Organo ufficiale della SocietĂ Italiana di Diabetologia
Direttore Scientifico Antonio Tiengo (Padova) Co-direttori Agostino Consoli (Chieti) Francesco Dotta (Siena) Francesco Giorgino (Bari) Francesco Purrello (Catania) Anna Solini (Pisa) Roberto Trevisan (Bergamo) Comitato di Redazione Maria Felice Brizzi (Torino) Daniela Bruttomesso (Padova) Franco Cavalot (Torino) Claudio Cobelli (Padova) Pierpaolo De Feo (Perugia) Massimo Federici (Roma)
C o n s i g l i o d i r e tt i vo S i d
Pietro Formisano (Napoli) Gabriella Gruden (Torino)
Presidente
Annunziata Lapolla (Padova)
Stefano Del Prato (Pisa)
Luigi Laviola (Bari) Frida Leonetti (Roma)
Presidente eletto
Lorenzo Mantovani (Napoli)
Enzo Bonora (Verona)
Matteo Monami (Firenze) Andrea Natali (Pisa)
Tesoriere
Annalisa Natalicchio (Bari)
Vincenza Spallone (Roma)
Giuseppe Penno (Pisa) Piermarco Piatti (Milano)
Segretario
Lorenzo Piemonti (Milano)
Roberto Miccoli (Pisa)
Salvatore Piro (Catania) Paolo Pozzilli (Roma)
Consiglieri
Sabrina Prudente (Roma)
Marco Giorgio Baroni (Roma)
Giuseppe Pugliese (Roma)
Geremia Brunetto Bolli (Perugia)
Lucia Ricci (Arezzo)
Riccardo C. Bonadonna (Parma)
Laura Sciacca (Catania)
Raffaella Buzzetti (Roma)
Giovanni Targher (Verona)
Paolo Fornengo (Torino) Andrea Giaccari (Roma)
Responsabili di Redazione
Rosalba Giacco (Avellino)
Gian Paolo Fadini (Padova)
Francesco Giorgino (Bari)
Alberto Maran (Padova)
Livio Luzi (Milano)
Paolo Tessari (Padova)
Laura Sciacca (Catania)
Saula Vigili de Kreutzenberg (Padova)
Roberto Trevisan (Bergamo)
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Golden Circle
S i lv e r c i rc l e
Presentazione del Direttore
Il Diabete, organo ufficiale della Società Italiana di Diabetologia, è stato diretto nell’ultimo decennio da Riccardo Giorgino che, con i co-direttori Emanuele Bosi, Marco Comaschi, Agostino Consoli, Stefano Del Prato, Giuseppe Pugliese e Sebastiano Squatrito, ha saputo consolidare il profilo scientifico e didattico della rivista con efficaci aggiornamenti e dibattiti sulle tematiche più pregnanti del diabete e delle malattie metaboliche. Ho accettato la proposta del Consiglio Direttivo della SID di raccogliere il testimone da Riccardo Giorgino per la mia lunga appartenenza alla SID e perché ritengo di poter ancora svolgere un utile servizio per la Società. Con i colleghi che mi affiancheranno nella direzione della rivista, Agostino Consoli, Francesco Dotta, Francesco Giorgino, Francesco Purrello, Anna Solini e Roberto Trevisan, spero di poter rispondere degnamente alle attese della comunità diabetologica. È cambiata la veste tipografica, iniziando un nuovo percorso con un nuovo Editore, Bononia University Press. Abbiamo mantenuto la tipologia delle varie rubriche: le rassegne di aggiornamento su temi di maggior attualità, le opinioni a confronto su tematiche controverse coordinate da Agostino Consoli e Anna Solini, i messaggi più significativi della letteratura a carico di Francesco Giorgino, i problemi inerenti alla gestione e all’organizzazione dell’assistenza diabetologica a carico di Roberto Trevisan, la presentazione di casi clinici che dovranno coinvolgere i giovani futuri diabetologi delle Scuole di Specialità coordinata da Francesco Dotta e Anna Solini. È stata inserita una nuova rubrica innovativa, curata da Francesco Purrello, rivolta all’aggiornamento su nuove metodologie diagnostiche con tecniche di biologia molecolare. Il giornale sarà come sempre aperto ai contributi dei Gruppi di Studio ed alle iniziative e linee guida della SID e di altre società scientifiche. Come sempre l’obiettivo di un rinnovato comitato di direzione scientifica è quello di mantenere i livelli raggiunti dalla rivista nella sua lunga storia, sotto la direzione di Riccardo Vigneri e quindi di Riccardo Giorgino e possibilmente rendere il giornale sempre più attuale ed aggiornato, pronto a trasmettere i progressi della ricerca scientifica e delle nuove prospettive diagnostiche e terapeutiche. Il Comitato di Direzione si propone di confrontarsi con i colleghi della Società e di tutta la comunità diabetologica e metabolica che vorranno collaborare con suggerimenti e consigli e soprattutto con i loro contributi che saranno indispensabili per motivare e rendere vitale la nostra rivista. A tutti i colleghi e lettori un cordiale saluto da parte del Comitato di Direzione. Il Direttore Scientifico Antonio Tiengo
V
Presentazione del Presidente
1964-2014 – 50 anni di vita e attività della Società Italiana di Diabetologia. Tempo di consuntivi che verranno, ovviamente, fatti in occasione del 25° Congresso Nazionale di Bologna, ma anche il momento di guardare soprattutto avanti. Un modo per farlo è rinnovarsi e la nostra Società molto si è rinnovata in questi ultimi tempi. Da semplice associazione di diabetologi è diventata una struttura ricca e articolata. Questa maggiore articolazione si è resa necessaria con la crescita della Società e delle sue attività che, oltre al sostegno alla ricerca, da tempo vedono SID fortemente impegnata nella formazione, nella promozione e difesa della professionalità del diabetologo, nel coinvolgimento del mondo laico. Il rinnovamento non può non coinvolgere anche un altro dei settori di impegno societario, cioè quello editoriale. Pertanto, al giro di boa dei primi 50 anni di SID, nuovo editore e nuovo comitato editoriale anche per il Diabete oltre che a una nuova veste grafica. Il Prof. Tiengo, Editor-in-Chief del nostro giornale, riceve un’impegnativa eredità dal suo predecessore Prof. Riccardo Giorgino al quale la Società tutta è profondamente grata per la spinta che ha impresso a il Diabete. Al nuovo Editore gli auguri per la sua nuova attività e la conferma che il Consiglio Direttivo e tutti i Soci lo sosterranno con entusiasmo per continuare a far crescere il giornale. Proprio nello spirito di rinnovamento abbiamo deciso di cambiare la stessa veste editoriale, grazie anche alla professionalità della nuova Casa Editrice che con questo primo numero si presenta alla comunità diabetologica italiana. Tanta novità non deve comunque allarmare il lettore fedele che trovava ne il Diabete aggiornamento, dibattito, informazione. L’obiettivo de il Diabete continuerà, nella sua consolidata tradizione, ad essere il punto di riferimento culturale della comunità diabetologica nazionale. Di fatto non di cambiamento si tratta ma bensì di un passaggio laddove la sostanza rimane sempre quella della solida cultura diabetologica italiana con un maquillage, più snello, più moderno, più immediato. Colgo, infine, l’occasione di questa presentazione per ringraziare, al termine del mio mandato, tutti i Soci e i Sostenitori di SID. È stato un orgoglio essere al timone della nostra Società nel momento di questo storico giro di boa. È stato uno stimolo continuo vedere la passione che i colleghi del Direttivo hanno profuso in tante ore di instancabile attività. Con ammirazione ho potuto apprezzare la dedizione con la quale lo staff di SID ha sostenuto la nostra azione. È motivo di orgoglio vedere quanto la diabetologia italiana sia unita, convinta e capace nel continuo rinnovamento della propria professionalità sia nelle attività cliniche che in quelle di ricerca. A loro, ai lettori de il Diabete, a tutti i Soci, i Presidenti Regionali, i Sostenitori, lo staff della Segreteria, tutti coloro che ci hanno aiutato organizzando eventi sempre di grande successo e impatto il mio personale grazie! SID e il Diabete non possono che guardare con rafforzato ottimismo all’inizio della seconda metà di secolo di vita. Vostro, Il Presidente SID Stefano Del Prato
Vol. 26, N. 1, maggio 2014
Sommario — Rassegne 1 Come raggiungere il compenso glicemico nei pazienti con diabete tipo 2 e insufficienza renale A. Avogaro, M. De Rocco Ponce 9 La terapia insulinica: tradizione e novità G. Formoso, P. Di Fulvio, A. Consoli — documenti 19 Indagine sull’atteggiamento del diabetologo nei confronti dell’ipoglicemia nel paziente con diabete R. Miccoli Commento, C. Fanelli
— o p i n i o n i a c o n f ro n to a cura di A. Solini, A. Consoli 25 L’esercizio fisico è un efficace strumento terapeutico nel diabete di tipo 2? P. De Feo, C. Fatone — m e d i c i n a t r a s l a z i o n a l e : applicazioni cliniche della ricerca di base a cura di F. Purrello 34 MicroRNA circolanti: nuovi biomarcatori diagnostici e prognostici nel diabete mellito G. Sebastiani, L. Nigi — c a s o c l i n i c o a cura di F. Dotta, A. Solini 46 Un caso non comune di iperpotassiemia M. Comassi, A. Solini — ag g i o r n a m e n to Da l l a l e tt e r at u r a a cura di F. Giorgino 50 Netrin-1 trattiene i macrofagi nel tessuto adiposo e promuove l’insulino-resistenza in presenza di obesità 52 Alterazioni delle reti di interazione del microbiota intestinale in bambini con autoimmunità anti-insula pancreatica — o rg a n i z z a z i o n e e g e s t i o n e d e l l’a s s i s t e n z a d i a b e to lo g i c a a cura di R. Trevisan 54 Nota di commento congiunta della Associazione Medici Diabetologi e Società Italiana di Diabetologia sui nuovi piani terapeutici per le incretine
Il Diabete è pubblicato trimestralmente e inviato in abbonamento postale. Abbonamento annuo cartaceo e online:
Vol. 26, N. 1, maggio 2014
€ 65,00 per uso personale; € 105,00 istituzionale. Spese di spedizione annuale per l’estero (non incluse nel prezzo dell’abbonamento): € 14,00. Il costo annuo dell’abbonamento alla versio-
Direzione Scientifica Antonio Tiengo Università degli Studi di Padova via 8 Febbraio, 2, 35122 Padova
Periodico riconosciuto “di elevato valore culturale” dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali
ne online è di € 40,00 (solo per uso personale), il prezzo del singolo fascicolo è di € 20,00 per uso personale e di € 25,00 per uso istitu-
Autorizzazione Tribunale di Milano n. 707 del 2/11/1988
Direttore Responsabile Stefano Melloni
Progetto grafico e impaginazione: Alessio Bonizzato Stampa: Officine Grafiche Litosei (Rastignano, Bologna)
Copyright © 2014 SID Società Italiana di Diabetologia ISBN 978-88-7395-945-8 ISSN Stampa 0394-901X ISSN Online 1720-8335 Nessuna parte può essere duplicata o riprodotta senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.
Bononia University Press Via Farini 37, 40124 Bologna tel. (+39) 051 232 882; fax (+39) 051 221 019 e-mail: info@buponline.com www.buponline.com
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Spedire la presente cedola a: Bononia University Press, via Farini 37 40124 Bologna, oppure via fax al n. +39 051 221019 Si richiede l’abbonamento alla rivista il Diabete
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Società Italiana di Diabetologia Convocazione dell’Assemblea Ordinaria dei Soci SID
L’Assemblea Ordinaria dei Soci della Società Italiana di Diabetologia è convocata per il giorno 29 maggio 2014 alle ore 08.00, in prima convocazione, e alle ore 17.00, in seconda convocazione, presso la sala Europa del Palazzo della cultura e dei Congressi - Piazza Costituzione 3 - Bologna - sede del Convegno SID “25° Congresso Nazionale”, con il seguente ordine del giorno: 1. L a Società 50 anni dalla sua fondazione, Del Prato 2. Modifiche Statutarie SID, Del Prato 3. Comunicazioni del Presidente; • Attività ECM, Baroni • Attività editoriale e di comunicazione, Giaccari • Il Diabete, Tiengo • Iniziative di finanziamento ricerca, Bonadonna • Centro studi, Pozzilli 4. Approvazione Bilancio Consuntivo SID 2013, Spallone 5. Approvazione Bilancio Preventivo 2014, Spallone 6. Relazione del Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, Bicchierai 7. Candidature Consiglio Direttivo SID 2014 - 2018, Bonora 8. Candidature Collegio dei Probiviri SID 2014 - 2018, Bonora 9. Candidature Collegio dei Revisori dei Conti SID 2014 - 2018, Bonora 10. Varie ed eventuali. In attesa di incontrarVi a Bologna, vi saluto con viva cordialità. Il Presidente SID Prof. Stefano Del Prato
IX
Società Italiana di Diabetologia XXV Congresso Nazionale Bologna, 28-31 Maggio 2014 M e rco le d i ’ 2 8 m agg i o 2014 Europauditorium 12:00
Sala Bianca
Sala Indaco
A p e r t u r a s e g r e t e r i a - r e g i s t r a z i o n e pa r t e c i pa n t i
15.30 -16.30 17.00-17.30
Cerimonia inaugurale Saluto delle autorità
17.30-19.00
Simposio inaugurale La diabetologia: storia, società, scienza
19.00-20.00
C o c k ta i l d i b e n v e n u t o g i ov e dì 29 m agg i o 2014 Europauditorium
7:30
Sala Bianca
A p e r t u r a s e g r e t e r i a - r e g i s t r a z i o n e pa r t e c i pa n t i
09.00-10.00
Macrosimposio ricerca Nuovi meccanismi di danno renale nel diabete mellito Novel mechanisms of kidney damage in diabetes mellitus
10.00-11.00
11.00-11.15 11.15-12.45
Comunicazioni orali giovani ricercatori (co01 – co06) c o l a z i o n e d i l av o r o
13.00-14.00
Area poster esposti Aspetti socio-sanitari (p256 – p259) Piede diabetico (p260 – p 265) Prevenzione del diabete e delle complicanze (p266 – p274) Sindrome metabolica (p275 – p279) Diabete e gravidanza (p280 – p284) Educazione (p285 – p295) Miscellanea (p296 – p299) Diabete di tipo 1 (p300 – p303) Complicanze renali ed ipertensione (p304-p305) Dislipidemie (p306) Epidemiologia (p307 – p308) Metabolismo e azione ormonale (p309 – p310) Neuropatia (p311) Obesità e tessuto adiposo (p312) Terapie innovative (p313 – p314) Terapia (p315 – p335)
13.00-14.00
14.00-15.00
Macrosimposio innovazione Turnover ed espansione del tessuto adiposo: nuovi meccanismi e strategie di controllo Cell turnover and proliferation in adipose tissue: novel mechanisms and control strategies
Coffee bre ak
12.45-15.00
14.00-15.00
Sala Indaco
Evento Roche Diabetes Care Personalizzazione e qualità per la gestione del diabete Evento Boehringer Ingelheim – Eli Lilly Fisiologia e pratica clinica: due mondi così distanti?
Evento Msd – Sigma-Tau Costo del diabete: stiamo dando i numeri
X
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
M e rco le d i ’ 2 8 m agg i o 2014 Sala Italia
Sala Magenta
Sala Verde
Sala Celeste
A p e r t u r a s e g r e t e r i a - r e g i s t r a z i o n e pa r t e c i pa n t i
A p e r t u r a s e g r e t e r i a - r e g i s t r a z i o n e pa r t e c i pa n t i g i ov e dì 29 m agg i o 2014 Sala Italia
Sala Magenta
Sala Verde
A p e r t u r a s e g r e t e r i a - r e g i s t r a z i o n e pa r t e c i pa n t i Macrosimposio innovazione Terapia cellulare nel diabete mellito Cell therapy in diabetes mellitus
Minisimposio clinica sette sfide per il diabetologo.1. Terapia del paziente diabetico ricoverato Treatment of the diabetic patient in the hospital
Macrosimposio innovazione Massa e funzione betacellulare nel diabete mellito
Minisimposio clinica sette sfide per il diabetologo.2. Il paziente con diabete di tipo 1 gravemente scompensato coffee bre ak
C o l a z i o n e d i l av o r o Area poster discussi Complicanze del diabete (pd144 – pd151) Diabete e gravidanza (pd215 – pd 224) Diabete di tipo 1 (pd80 – pd87) Epidemiologia (pd64 – pd71) Ormoni e metabolismo – Sessione 1 (pd159 – pd166) Sindrome metabolica (pd181 – pd189) Terapia – Sessione 1 (pd01– pd07) Terapia – Sessione 3 (pd16 – pd23) Aspetti socio-sanitari (pd152 – pd158) Fisiopatologia integrata (pd72 – pd79) Macroangiopatia (pd167 – pd173) Obesità tessuto adiposo – Sessione 1 (pd247 – pd255) Piede diabetico – Sessione 1 (pd136 – pd143) Prevenzione del diabete e delle complicanze – Sessione 1 (pd88 – pd95) Terapia – Sessione 2 (pd08 – pd15) Terapia – Sessione 4 (pd24 – pd31) Evento Novo Nordisk Terapia del diabete: innovazione, personalizzazione e future prospettive
Evento Astrazeneca Terapie innovative nel diabete tipo 2: nuovi target clinici oltre l’hba1c Evento Novartis Il paziente dmt2: individualizzare i target glicemici e prevenire le complicanze
XI
Sala Celeste
X X V C o n g r e ss o Na z i o n a l e
g i ov e dì 29 m agg i o 2014 Europauditorium
Sala Bianca
Sala Indaco
15.00-16.00
Minisimposio ricerca Cardiomiopatia diabetica: grasso o muscolo?
Minisimposio ricerca Ruolo patogenetico delle cellule progenitrici nelle complicanze del diabete
16.00-16.15
Coffee bre ak
16.15-17.00
Lettura Premio Alcmeone L’impatto del diabete sui meccanismi di rigenerazione vascolare
17.00-18.30
Assemblea dei soci v e n e r dì 30 m agg i o 2014 Europauditorium
8:00 08.30-10.30
Sala Bianca
Sala Indaco
A p e r t u r a s e g r e t e r i a - r e g i s t r a z i o n e pa r t e c i pa n t i Simposio diabete italia Il diabete mellito: alla ricerca dell’attenzione perduta
Comunicazioni orali Meccanismi molecolari di malattia (co23 - co30)
Comunicazioni orali Macroangiopatia (co31 - co38)
10.00-18.00
S e gg i o p r e s s o a r e a a c c r e d i t i
10.30-10.45
Coffee bre ak
10.45-11.45
Comunicazioni orali Genetica (co55 - co58)
Comunicazioni orali Fisiopatologia integrata (co59 - co62)
11.45 - 12.45
Minisimposio ricerca Drug discovery e nuovi bersagli terapeutici nel diabete di tipo 2
Minisimposio innovazione Il dolore neuropatico nel paziente diabetico
12.45-15.00
c o l a z i o n e d i l av o r o
13.00-14.00
Area poster esposti
Votazioni
14.00-15.00
Aspetti socio-sanitari (p256 – p259) Piede diabetico (p260 – p 265) Prevenzione del diabete e delle complicanze (p266 – p274) Sindrome metabolica (p275 – p279) Diabete e gravidanza (p280 – p284) Educazione (p285 – p295) Miscellanea (p296 – p299) Diabete di tipo 1 (p300 – p303) Complicanze renali ed ipertensione (p304-p305) Dislipidemie (p306) Epidemiologia (p307 – p308) Metabolismo e azione ormonale (p309 – p310) Neuropatia (p311) Obesità e tessuto adiposo (p312) Terapie innovative (p313 – p314) Terapia (p315 – p335)
XII
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
g i ov e dì 29 m agg i o 2014 Sala Italia
Sala Magenta
Minisimposio clinica Arno e tosca: work in progress
Sala Verde
Sala Celeste
Minisimposio clinica sette Minisimposio innovazione sfide per il diabetologo.3. Quando, perché e in chi sospetIl piede diabetico: prima e dopo tare forme specifiche di diabete l’amputazione coffee bre ak
v e n e r dì 30 m agg i o 2014 Sala Italia
Sala Magenta
Sala Verde
Sala Celeste
A p e r t u r a s e g r e t e r i a - r e g i s t r a z i o n e pa r t e c i pa n t i Comunicazioni orali Epidemiologia (co07 - co14)
Comunicazioni orali Complicanze oculari, renali ed ipertensione (co15 - co22)
Comunicazioni orali Funzione beta-cellulare (co39 - co46)
S e gg i o p r e s s o a r e a a c c r e d i t i Votazioni Coffee bre ak Comunicazioni orali Diabete di tipo 1 – Sessione 1 (co47 - co50)
Comunicazioni orali Neuropatia (co51 - co54)
Comunicazioni orali Diabete e cancro (co63 - co66)
Minisimposio clinica Emoglobina glicata, complicanze e mortalità
Minisimposio clinica sette sfide per il diabetologo.4. I microinfusori insulinici: dall’organizzazione ambulatoriale ai nuovi orizzonti terapeutici
Minisimposio ricerca Simposio congiunto sid – sie Ruolo di alfa e delta-cellule pancreatiche nella patogenesi del diabete mellito
C o l a z i o n e d i l av o r o Area poster discussi Genetica (pd120– pd127) Macroangiopatia e infiammazione (pd174 – pd180) Obesità e tessuto adiposo – Sessione 2 (pd206 – pd214) Ormoni e metabolismo – Sessione 2 (pd190 – pd198) Prevenzione del diabete e delle complicanze – Sessione 2 (pd233 – pd240) Telemedicina/diabete e gravidanza (pd104 – pd111) Terapia – Sessione 5 (pd32 – pd39) Terapia – Sessione 7 (pd48 – pd55) Angiopatia in vitro (pd128 – pd135) Educazione (pd96 – pd103) Funzione beta-cellulare (pd241 – pd246) Nefropatia (pd112 – pd119) Piede diabetico – Sessione 2 (pd225 – pd232) Terapia – Sessione 6 (pd40– pd47) Terapia – Sessione 8 (pd56 – pd63) Terapia del diabete di tipo 1 (pd199 – pd205)
XIII
Workshop congiunto sid-osdi ore 10.30-17.00 Le nuove tecnologie nella gestione del diabete
X X V C o n g r e ss o Na z i o n a l e
v e n e r dì 30 m agg i o 2014 Europauditorium
Sala Bianca
13.00-14.00
Sala Indaco
Evento Takeda ore 13.00-14.30 Diabete mellito di tipo 2: tra target terapeutico e approccio clinico
14.00-15.00
Evento Abbott Diabetes Care ore 13.30-15.00 Flash glucose monitoring e ambulatory glucose profile (agp): la prossima frontiera dell’autocontrollo glicemico
15.00-17.00
Lettura del Presidente La diabetologia italiana al giro di boa dei 50 anni
Evento Vree Health ore 14.30-15.00 Il paziente diabetico al centro del percorso diagnostico-terapeutico: nuovi modelli di gestione?
Lettura Premio Celso Dai marcatori genetici ed immunologici alla protezione della beta cellula: quali cambiamenti nella prognosi del diabete di tipo 1
Workshop congiunto SID-OSDI ore 15:30-16:30 Lavori di gruppo
Cerimonia premiazioni 17.00-17.15
Coffee bre ak
17.15-18.15
Minisimposio innovazione Telemedicina e diabete Telemedicine and diabetes mellitus
Minisimposio innovazione Diabete e carcinoma pancreatico: una relazione bidirezionale
Sa bato 31 m agg i o 2014 Europauditorium 8:00
Sala Bianca
A p e r t u r a s e g r e t e r i a - r e g i s t r a z i o n e pa r t e c i pa n t i
08.30-9.30
Comunicazioni orali Dislipidemie (co75 - co78)
09.30-09.45
Coffee bre ak
09.45-10.45
Macrosimposio ricerca Genetica del diabete di tipo 2: prospettive future Genetics of type 2 diabetes: what comes next?
10.45-11.45
11.45-12.00
Sala Indaco
Comunicazioni orali Obesità e tessuto adiposo (co79 - co82) Minisimposio ricerca Infiammazione e lipotossicità nella regolazione della glicemia: Meccanismi e bersagli terapeutici
Minisimposio innovazione Oftalmopatia diabetica: un altro punto di vista
Conclusioni e chiusura del congresso
XIV
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
v e n e r dì 30 m agg i o 2014 Sala Italia
Sala Magenta
Sala Verde
Sala Celeste
Evento Astrazeneca Evento A. Menarini Diagnostics ore 13.00-13.30 Glucomen ready, evidenze La prevenzione cardiovascolare dallo studio skup, aderenza alla nel paziente diabetico terapia e ruolo del diabetologo prescrittore Evento Sanofi ore 13.30-15.00 Diabete di tipo 2: è tempo per una terapia personalizzata
Evento Janssen Cambiamento e innovazione nel controllo glicemico: quale ruolo per gli inibitori sglt2?
Workshop Congiunto sid-osdi ore 10.30-17.00 Le nuove tecnologie nella gestione del diabete
Workshop congiunto SID-OSDI ore 15:30-16:30 Lavori di gruppo
coffee bre ak Minisimposio clinica Gli standard di cura italiani 2014
Minisimposio clinica sette sfide per il diabetologo.5. Attualità in diabete e gravidanza
Sala Italia
Sala Magenta
Minisimposio ricerca “Organ cross talk” nel controllo del metabolismo
sa bato 31 m agg i o 2014 Sala Verde
A p e r t u r a s e g r e t e r i a - r e g i s t r a z i o n e pa r t e c i pa n t i Comunicazioni orali Diabete di tipo 1 – sessione 2 (co67 - co70)
Comunicazioni orali Piede diabetico (co71 - co74)
Minisimposio clinica sette sfide per il diabetologo.6. Nefropatia nel paziente diabetico: stiamo già facendo tutto il possibile?
Macrosimposio innovazione Incretine: focus su rct, complicanze diabetiche e tossicità Incretin based therapy: focus on rct, diabetic complications and toxicity
Comunicazioni orali Terapia (co83 - co86)
Coffee bre ak Macrosimposio clinica L’ipoglicemia e la sua prevenzione nel diabete mellito
Minisimposio clinica sette sfide per il diabetologo.7. Empowerment del paziente con diabete
XV
Sala Celeste
Vol. 26, N. 1, maggio 2014
Rassegna
Come raggiungere il compenso glicemico nei pazienti con diabete tipo 2 e insufficienza renale
Angelo Avogaro, Maurizio De Rocco Ponce Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Medicina e Chirurgia
In troduzione
Abbiamo specificamente escluso “end-stage renal disease” e “hemodialysis”.
Il diabete mellito di tipo 2 (T2DM) è un fattore di rischio importante ed indipendente per malattia cardiovascola-
Definizione di CKD, insufficienza renale e nefropatia
re (CVD) (1). Parecchi studi dimostrano una relazione tra
Secondo le National Kidney Foundation Practice Guide-
la glicemia e le complicanze a lungo termine del diabe-
lines for Chronic Kidney Disease: Evaluation, Classifi-
te: uomini e donne diabetici hanno, rispettivamente, il
cation, and Stratification Kidney, il “danno” è definito
doppio ed il triplo di probabilità di morire per coronaro-
come un’alterazione della struttura o della funzione del
patia ischemica rispetto a uomini e donne non diabetici
rene che si manifesta con delle alterazioni patologiche
(2). Una lunga durata del diabete e uno scarso controllo
dei marker di funzionalità renale, come un esame urine
glicemico sono importanti fattori di rischio per nefropa-
anormale, o con delle anomalie nell’imaging renale (4).
tia cronica (CKD) in pazienti con T2DM (3): pertanto, un controllo glicemico rigoroso è un punto chiave per preve-
FAD ECM “il Diabete”
nire l’esordio o la progressione della nefropatia. Queste
Questa rassegna fa parte di un percorso di formazione a distanza
osservazioni, unite al fatto che, nello stesso paziente,
accreditato a livello nazionale e disponibile gratuitamente nell’aula
coesistono una lunga durata della malattia, CVD e CKD,
virtuale della SID (http://sidfad.accmed.org).
rendono spesso problematico il raggiungimento del conPer partecipare al corso occorre:
trollo glicemico. In questa review, quindi, discuteremo le
1. Leggere la rassegna (disponibile anche on-line)
seguenti domande: quali farmaci antidiabetici possono
2. Registrarsi all’aula e iscriversi al corso “il Diabete”
essere usati o non dovrebbero essere usati in pazienti con
3. Rispondere on-line al quiz di verifica e compilare il questionario di
T2DM e CKD? Quale aggiustamento del dosaggio è neces-
valutazione dell’evento FAD.
sario applicare? Non ci occuperemo della end-stage renal disease (ESRD) né del controllo di altri fattori di rischio
Una volta eseguito con successo il test di valutazione e compilato
per CVD.
il questionario di valutazione dell’evento, sarà cura della Segreteria ECM della SID far pervenire l’attestato ECM del corso ai diretti inte-
Criteri di selezione delle fonti
ressati nei tempi e nelle modalità stabiliti dalla regolamentazione
Abbiamo riesaminato la letteratura presente in PubMed
vigente. Per ulteriori informazioni: http://sidfad.accmed.org
riguardate farmaci antidiabetici in pazienti con CKD. 1
R A SSEGN A
In questa classificazione vengono definiti 5 stadi di CKD
riduce gli eventi renali maggiori del 28%, e questo include
in base alla velocità di filtrazione glomerulare stimata
una riduzione del 33% del rischio di insorgenza o peggiora-
(eGFR). Il quadro di “insufficienza renale cronica” è com-
mento della nefropatia, una riduzione del 54% del rischio
preso all’interno della CKD ed è definito come l’innalza-
di esordio di macroalbuminuria ed una riduzione del 25%
mento del livello di creatinina sierica a valori ≥1,4 mg/dl
del rischio di comparsa di microalbuminuria (14).
nell’uomo e ≥1,2 mg/dl nella donna, oppure quando viene riscontrata microalbuminuria (5).
Management at t uale
Storia naturale e progressione della CRI/CKD
A. Cosa consigliano le linee guida?
La percentuale di pazienti diabetici con una eGFR minore
Studi osservazionali mostrano costantemente un’asso-
di 60 ml/min è notevole ed oscilla tra il 12 e il 35% (6-8).
ciazione tra scarso controllo glicemico e sviluppo di al-
Quando si confrontano gruppi di pazienti ad alto rischio
buminuria elevata in pazienti con T2DM. La National
con CKD, si osserva un continuum nel rischio per malat-
Kidney Foundation (NKF; http://www.kidney.org/pro-
tia coronarica (CHD) in termini di eventi per 1000 perso-
fessionals/KDOQI/guideline_diabetes/guide2.htm) e la
ne all’anno. In pazienti diabetici con una eGFR minore
American Diabetes Association Guidelines (15) raccoman-
di 45 ml/min il tasso di eventi cardiovascolari (endpoint
dano, per i pazienti diabetici adulti, il raggiungimento
combinato) è del 25% (9). Dalla diagnosi di diabete, la pro-
di un livello di HbA1c minore di 7,0% o il più possibile
gressione verso la microalbuminuria è del 2,0% all’anno,
vicino a valori normali senza troppi episodi di ipoglice-
la progressione dalla microalbuminuria alla macroalbu-
mia. I pazienti con una funzionalità renale ridotta (CKD
ninuria è del 2,8% all’anno e quella dalla macroalbuninu-
stadi 3-5) hanno un aumentato rischio di ipoglicemia
ria a valori plasmatici di creatinina ≥175 μM/l o necessità
(16-17). Questi soggetti hanno una gluconeogenesi ridot-
di terapia renale sostitutiva è del 2,3% all’anno (10). La
ta, una degradazione insulinica renale compromessa,
proporzione di pazienti con CKD che fanno uso di farma-
minore clearance delle sulfoniluree o dei loro metaboli-
ci antidiabetici è aumentata notevolmente (6).
ti attivi (18). La NKF suggerisce di evitare le sulfoniluree di prima generazione (es. clorpropamide, tolazamide e
Riduzione del rischio in pazienti con CRI
tolbutamide) nei pazienti con CKD. Tra le sulfoniluree di
Nello studio STENO-2, un’implementazione nel miglio-
seconda generazione (es. glipizide, gliclazide, gliburide
ramento dello stile di vita e nella terapia farmacologica
e glimepiride) sono da preferirsi la glipizide e la glicla-
dell’iperglicemia, dell’ipertensione, della dislipidemia e
zide in quanto non hanno metaboliti attivi. Nella classe
della microalbuminuria, ha portato ad una significativa
delle meglitinidi, in presenza di una ridotta funzionali-
riduzione del rischio di sviluppare nefropatia o di pro-
tà renale, aumentano i metaboliti attivi con la nategli-
gressione della stessa (rischio relativo 0,39, 95% CI 0,17-
nide mentre non aumentano con la repaglinide (19). La
0,87; p=0,003) (11). In un ulteriore periodo di follow-up di
metformina non andrebbe somministrata a pazienti con
5,5 anni si è poi osservato un beneficio persistente con un
concentrazioni di creatinina sierica ≥1,5 mg/dl nell’uomo
rischio relativo di sviluppare nefropatia di 0,44 (95% CI,
e ≥1,4 mg/dl nella donna in quanto essa è escreta per via
0,25-0,77; p=0,004) (12). Lo studio Losartan Intervention
renale e espone potenzialmente i pazienti al rischio di
For Endpoint reduction in hypertension (LIFE) ha dimo-
acidosi lattica. Il rosiglitazone è escreto per via epatica
strato, in un follow-up della durata media di 4,7 anni, che
e non necessita di essere ridotto in presenza di alterata
il rapporto albumina: creatinina (UACR) è un predittore
funzionalità renale. Pertanto, non aumenta il rischio di
dell’endpoint primario combinato per morte cardiovasco-
ipoglicemia ma, come per il pioglitazone, potrebbe peg-
lare, infarto del miocardio ed ictus (13).
giorare la ritenzione idrica. Le linee guida della National
Nell’analisi covariata tempo dipendente, un aumento di
Institute for Health and Clinical Excellence (NICE: www.
due volte della UACR sotto trattamento corrispondeva ad
nice.org.uk/nicemedia/live/12165/44320/44320.pdf) appro
un aumento per endopoint combinato dell’11% (RR 1,111,
vano un uso cauto della metformina per i pazienti a ri-
p<0,001). Nello studio ADVANCE, la combinazione di un
schio di improvviso deterioramento della funzionalità
controllo glicemico intensivo con perindopril/indapamide
renale e per quelli a rischio di una riduzione della eGFR 2
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
a valori <45 ml/min/1,73m 2. Il consensus sul diabete tipo
di un controllo più intensivo dei fattori di rischio in pa-
2 della American Association of Clinical Endocrinolo-
zienti con T2DM e CKD; essi riportano un 8% di pazienti in
gists/American College of Endocrinology conferma che
trattamento con la sola dieta, un 34,5% con antidiabetici
la presenza di una funzionalità renale deteriorata con-
orali e un 57% con insulina (24). Berl e coll. riportano, per il
troindica l’uso della metformina (20). L’Australian Natio-
Collaborative Study Group, solamente una percentuale di
nal Evidence Based Guideline for Blood Glucose Control
pazienti T2DM in trattamento insulinico pari al 57% (25). È
in Type 2 Diabetes (www.nhmrc.gov.au/_files_nhmrc/
chiaro, dalla letteratura, che disponiamo ancora di poche
file/publications/synopses/di19-diabetes-blood-glucose-
e incomplete informazioni circa l’attuale trattamento dei
control.pdf) raccomanda di evitare la metformina in pre-
pazienti T2DM con CKD o CRI. Questo è particolarmente
senza di un eGFR <30 ml/min/1,73 m ed una particolare
importante anche alla luce dei numerosi episodi di ipogli-
cautela quando la eGFR ha valori compresi tra 30 e 45 ml/
cemia nei pazienti con CKD; in pazienti con età superiore
min/1,73 m . Analogamente, le linee guida del Canadian
a 70 anni, nei quali la eGFR è strettamente correlata all’e-
Diabetes Association (www.diabetes.ca/files/cpg2008/
tà, episodi di ipoglicemia indotta da SU avverrebbero in
cpg-2008.pdf) raccomandano cautela con valori di eGFR
più del 60% dei casi (17).
2
2
<60 ml/min/1,73 m e controindicano l’uso di metformina 2
con eGFR <30 ml/min/1,73 m 2. La percezione è che le linee
Quali trattamenti “tradizionali” possono essere usati in
guida attualmente disponibili per il trattamento dei pa-
UE per i pazienti con T2DM e CRI?
zienti diabetici con CKD o CRI si concentrino prevalen-
La presenza di insufficienza renale può compromettere
temente sull’uso della metformina trascurando ampia-
l’efficacia e la sicurezza delle sostanze usate per tratta-
mente le altre classi di farmaci.
re le comorbilità. Inoltre, la concentrazione plasmatica dei farmaci ipoglicemizzanti può essere aumentata in
B. Come vengono gestiti attualmente i pazienti diabetici
pazienti con CKD e questo aumento può avere delle con-
di tipo 2 in Europa?
seguenze come l’ipoglicemia o effetti avversi sconosciuti.
Sono disponibili pochi dati riguardo il trattamento dei
In teoria, il trattamento insulinico non ha controindica-
pazienti con CKD in Europa. Abbiamo valutato il trat-
zioni, tuttavia, si assiste ad una progressiva diminuzione
tamento attuale per i pazienti diabetici con una ridotta
del fabbisogno insulinico parallelamente alla riduzione
clearance della creatinina (<60 ml/min) sia in studi cli-
della clearance della creatinina (26). L’insulina esogena
nici che in trial randomizzati e controllati in Europa.
è primariamente eliminata per via renale, mentre l’in-
Nello studio RENAAL, tra i pazienti caucasici con eGFR
sulina endogena è normalmente degradata a livello epa-
di 42 ml/min/1,73 m2, il 61% dei maschi e il 75% delle fem-
tico. La metformina può essere usata con una eGFR <60
mine era in terapia insulinica (21). Nello studio TREAT, i
ml/min/1,73 m 2, va ridotto il dosaggio per una eGFR <45
pazienti avevano una mediana di eGFR di 45 ml/min/1,73
ml/min/1,73 m 2 mentre va invece sospesa quando la eGFR
m ; tra questi, il 49% era trattato con insulina, il 25% con
scende a valori <30 ml/min/1,73 m 2 (vedi Tab. 1). L’utilizzo
tiazolidinedioni, il 35% con sulfoniluree (SU) e il 17% con
di altri farmaci sembra problematico.
biguanidi (22). In un altro studio nel quale Schneider e
L’acarbosio può essere usato quando la eGFR è >25 ml/
coll. hanno valutato gli effetti del pioglitazone sull’outco-
min/1,73 m2. I pazienti con insufficienza renale cronica
me cardiovascolare, in presenza di una eGFR media di 50
tendono alla ritenzione idrica e questa condizione può
ml/min, il 7,9% dei pazienti era trattato con metformina
essere aggravata dai tiazolidinedioni (TZD). Tuttavia, il
(MET), il 17% con SU, il 24% con la combinazione di MET
pioglitazone non ha controindicazioni né necessita di ag-
più SU, il 19% con MET più insulina e il 12% con insulina
giustamento del dosaggio (per clearance della creatinina
più SU (9). Lo studio VIVALDI, nel quale si è testato l’effet-
>4 ml/min). Le SU di seconda generazione come la glicla-
to antiproteinurico degli antagonisti del recettore dell’an-
zide, la glimepiride e la glipizide, possono essere usate in
giotensina telmisartan versus valsartan in pazienti iperte-
presenza di una compromissione della funzionalità rena-
si con T2DM e CKD, con una eGFR di 56,5 ml/min, il 57,5%
le lieve a moderata ma solo con un attento aggiustamento
dei pazienti era trattato con antidiabetici orali e il 57% con
del dosaggio a causa dell’elevato rischio di ipoglicemia. Il
terapia insulinica (23). Joss e coll. hanno testato l’effetto
gliquidone può essere usato in pazienti diabetici nefro-
2
3
R A SSEGN A
Tabella 1
Indicazioni all’uso della MET in base alla funzione renale
Stadio della Nefropatia 1o2
Azione
VFG (ml/min/1,73m2)
Non controindicazioni alla MET
≥60
3a
Continuare l’uso ma monitorare funzione renale ogni 3-6 mesi
45-59
3b
• Prescrivere MET con cautela (50% della dose massimale) • Monitorare funzione renale ogni 3 mesi • Non iniziare MET nei pazienti naive
30-44
4o5
STOP MET
≤ 30
patici grazie al suo metabolismo epatico. In alternativa,
raglutide, un altro GLP-1 RA, non è metabolizzato solo
grazie alla loro più breve emivita, le meglitinidi cause-
dal rene (35). Sembra non ci siano problemi di sicurezza
rebbero meno ipoglicemie; tuttavia, esse possono essere
nell’uso di questo farmaco in pazienti con CKD (35). La
prescritte in CRI lievi e moderate ma vanno attentamente
disfunzione renale non ha portato a una maggiore espo-
titolate nell’insufficienza renale severa (27).
sizione alla liraglutide e i pazienti con T2DM ed insufficienza renale dovrebbero usare dei regimi standard per il
Quali trattamenti ipoglicemizzanti innovativi possono
trattamento con liraglutide (36). Esiste, tuttavia, al mo-
essere usati in UE per pazienti con T2DM e CRI?
mento, una limitata esperienza nell’uso della liraglutide
Le terapie incretiniche sono state recentemente intro-
in pazienti con patologia renale che vada oltre lo stadio
dotte nella pratica clinica e rappresentano la più recen-
di lieve insufficienza. Gli inibitori della DDP-4: sitaglip-
te classe di farmaci ipoglicemizzanti disponibile per il
tina, vildagliptina, saxagliptina, alogliptina e linaglip-
trattamento del T2DM. L’agonista per il glucagon-like
tina, agiscono incrementando la concentrazione delle in-
peptide 1 (GLP-1) riduce in modo significativo il peso cor-
cretine endogene. Le prime quattro hanno una variabile
poreo e dà una riduzione della glicemia senza il rischio
eliminazione per via renale che va da un 80% circa per la
di ipoglicemia (28). Gli inibitori della dipeptidyl pepti-
sitagliptina ad un 15% circa per la vildagliptina. La saxa-
dase-IV (DPP-4) hanno anch’essi un meccanismo basato
gliptina, analogamente, ha un’escrezione primariamen-
sulle incretine e sul GLP-1; anch’essi riducono la glicemia
te reale ma è pure soggetta a metabolismo epatico. Solo
senza indurre ipoglicemia e non hanno effetti sul peso
la linagliptina è escreta pressoché interamente per via
corporeo (29). L’exenatide, un agonista del recettore del
biliare (37). Per quanto riguarda la sicurezza e la tollera-
GLP-1 (GLP-1 RA) è primariamente eliminato dal rene. La
bilità degli inibitori della DPP-4, cefalea e rash sono stati
via renale sembra essere la principale via di eliminazio-
osservati in pazienti trattati con vildagliptina rispetto
ne e degradazione dell’exenatide (30). La sua tollerabilità
a pazienti trattati con TZD (38). Un numero minore di
è considerata clinicamente accettabile per pazienti con
pazienti hanno interrotto lo studio a causa degli effetti
CRI lieve-moderata; è quindi appropriato somministra-
avversi rispetto al gruppo trattato con TZD. Effetti av-
re l’exenatide a questi pazienti senza aggiustamento del
versi importanti sono stati più numerosi fra i pazienti in
dosaggio. Tuttavia, in pazienti con severa CKD la tollera-
trattamento con TZD (3,0%) rispetto a quelli trattati con
bilità diventa scarsa a causa della comparsa di nausea e
vildagliptina (2,4%). Nei pazienti con CKD, il trattamento
vomito e vi sono alterazioni significative della farmaco-
con vildagliptina è stato dimostrato essere relativamente
cinetica alle dosi terapeutiche disponibili (5 e 10 micro-
sicuro in termini di funzionalità epatica (39). Come per
grammi) (31). Se la terapia con exenatide si accompagna
la vildagliptina, in presenza di CRI, il dosaggio di sita-
a nausea e vomito, l’ipovolemia conseguente potrebbe
gliptina dovrebbe essere aggiustato (40-41). I pazienti con
portare a insufficienza renale ischemica (32-34). La li-
insufficienza renale lieve-moderata a cui si prescriva la 4
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
sitagliptina necessitano di una riduzione del 50% della
moderata-severa (44). I trials con linagliptina mostrano
dose. Se l’insufficienza renale è severa, la sitagliptina
che l’escrezione renale di linagliptina non metabolizzata
va ridotta al 25% del normale dosaggio (42). La saxaglip-
è <7% in pazienti con CKD. Il grado di insufficienza rena-
tina migliora il controllo glicemico ed è ben tollerata nei
le non modifica il profilo della curva concentrazione pla-
pazienti con insufficienza renale. In uno studio rando-
smatica-tempo. Questi trials hanno mostrato un declino
mizzato, controllato, a doppio cieco, è stato confrontato
e delle concentrazioni plasmatiche a 24 ore dalla sommi-
il trattamento con saxagliptina 2,5 mg vs placebo; 170
nistrazione sostanzialmente sovrapponibili nei pazien-
pazienti con HbA1c tra il 7 e l’11% e clearance della creati-
ti con insufficienza renale lieve, moderata o severa e in
nina <50 ml/min sono stati stratificati in base all’insuffi-
pazienti T2DM con o senza insufficienza renale. È stata
cienza renale. La diminuzione della HbA1c media aggiu-
riscontrata solo una debole correlazione tra la clearance
stata alla 12a settimana è stato numericamente maggiore
della creatinina e l’esposizione steady-state (45). La DPP-4
nei pazienti trattati con saxagliptina rispetto al placebo
è un enzima ubiquitario che regola l’attività di un gran
nei sottogruppi di pazienti con CKD moderata e severa
numero di substrati come il neuropeptide Y e lo stromal
(43). La saxagliptina è stata generalmente ben tollerata;
derived factor-1 (46). La compresenza di CKD e alti livelli
l’incidenza di effetti avversi ed eventi ipoglicemici sono
di inibizione della DPP-4 può potenzialmente avere degli
stati simili al placebo. La FDA raccomanda una dose di
effetti avversi. Sembra esserci un aumentato rischio di
2,5 mg/die (la dose più alta è 5 mg) per pazienti con CKD
angioedema associato con la riduzione dell’attività della
Figura 1
Prescrivibilità dei farmaci antidiabetici in base alla funzione renale
Adattato da Schernthaner G, Ritz E, Schernthamer GH. Strict glycemic control in diabetic patients with CKD or ESRD: beneficial or deadly? Nephrol Dial Transplant 25(7): 2044-2047, 2010 Jul. doi: 10.1093/ndt/gfq199. Epub 2010 Apr 12
Insulina
L’IR terminale può richiedere aggiustamenti
Liraglutide Exenatide Linagliptin Saxagliptin
Riduzione della dose a 2.5 mg
Sitagliptin
Riduzione Riduzione della della dose dose aa 50 50 mg mg
Vildagliptin
Riduzione della dose a 50 mg
Usare con cautela
Pioglitazone Acarbosio Repaglinide Usare con cautela
Gliclazide RM
60 60
50 50
40
30 30
40
5
20 20
10 10
00
eVFG (ml/min/1.73m2)
R A SSEGN A
DPP-4, soprattutto in associazione con l’uso di ACE inibi-
7. Dormandy JA, Charbonnel B, Eckland DJA, Erdmann E,
tori per il trattamento dell’ipertensione (47). Non possono
Massi-Benedetti M, Moules IK, et al. Secondary preven-
essere esclusi una perdita dell’efficacia del farmaco (48) o
tion of macrovascular events in patients with type 2 dia-
il potenziale di rilascio di cellule staminali dal midollo
betes in the PROactive Study (PROspective pioglitAzone
osseo.
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Conclusioni
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I pazienti diabetici con compromissione renale sono ad
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alto rischio per complicanze severe e morte. Un cattivo
9. Schneider CA, Ferrannini E, DeFronzo R, Schernthaner
controllo glicemico è associato ad un significativo au-
G, Yates J, Erdmann E. Effect of Pioglitazone on Car-
mento della mortalità sia all-cause che per cause cardio-
diovascular Outcome in Diabetes and Chronic Kidney
vascolari, specialmente in pazienti con CKD. Molti dei
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farmaci antidiabetici orali largamente utilizzati non
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10. Adler AI, Stevens RJ, Manley SE, Bilous RW, Cull CA,
lati per ridurre l’alto rischio di ipoglicemie (vedi Fig. 1). I
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farmaci più nuovi a disposizione come gli GLP-1RA o gli
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inibitori della DPP-4 potrebbero ampliare queste limitate
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Rassegna
La terapia insulinica: tradizione e novità
Gloria Formoso, Patrizia Di Fulvio, Agostino Consoli Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”
Trattare il Diabete Mellito, sia di tipo 1 (DM1) sia di tipo 2
in definitiva il DM2 una malattia endocrina del pancreas:
(DM2) non è certamente semplice: non solo perché siamo
di conseguenza, per certi versi, la somministrazione di
di fronte, almeno allo stato attuale delle conoscenze, ad
insulina è LA TERAPIA anche del DM2 oltre che del DM1.
una malattia “trattabile” ma non “guaribile”, non solo
Effettivamente, a più di 90 anni dalla sua scoperta da par-
perché va sempre ricercato un delicato equilibrio tra un
te di Banting e Best, l’insulina resta il farmaco principale
profilo glicemico il più “fisiologico” possibile ed il rischio
nella terapia sia del DM1 sia del DM2. La terapia insulini-
di ipoglicemia, non solo perché è estremamente difficile,
ca, che si è comunque profondamente evoluta nel tempo
nel caso del DM2, guadagnarsi la compliance del paziente
(dalla prime preparazioni dell’ormone di origine bovina
nel trattamento di una patologia cronica il più delle vol-
o porcina sino ai moderni analoghi generati con la tec-
te “asintomatica”, ma anche perché trattare il diabete
nica del DNA ricombinante) è a tutt’oggi l’unica capace
non significa solo ottenere un controllo ottimale della
teoricamente, attraverso una opportuna modulazione dei
glicemia ma anche, e soprattutto, prevenire e/o rallentare le complicanze tentando di ridurne la morbilità e la
FAD ECM “il Diabete”
mortalità.
Questa rassegna fa parte di un percorso di formazione a distanza
A questo proposito è lecito approfondire i ragionamenti
accreditato a livello nazionale e disponibile gratuitamente nell’aula
relativi alle caratteristiche dei farmaci attualmente a no-
virtuale della SID (http://sidfad.accmed.org).
stra disposizione per analizzare meglio quali problematiPer partecipare al corso occorre:
che non siano ancora risolte dalla presente farmacopea e
1. Leggere la rassegna (disponibile anche on-line)
definire quali caratteristiche debbano avere i farmaci an-
2. Registrarsi all’aula e iscriversi al corso “il Diabete”
cora in fase di sperimentazione perché possano in tutto o
3. Rispondere on-line al quiz di verifica e compilare il questionario di
in parte risolvere queste problematiche e contribuire alla
valutazione dell’evento FAD.
ulteriore ottimizzazione della terapia del diabete. Una volta eseguito con successo il test di valutazione e compilato
Negli ultimi anni si è sempre più affermato il concetto
il questionario di valutazione dell’evento, sarà cura della Segreteria
che anche nel DM2 il fattore che maggiormente contri-
ECM della SID far pervenire l’attestato ECM del corso ai diretti inte-
buisce alla patogenesi della malattia è un deficit più o
ressati nei tempi e nelle modalità stabiliti dalla regolamentazione
meno severo della funzione beta cellulare, e quindi della
vigente. Per ulteriori informazioni: http://sidfad.accmed.org
produzione di insulina. Questo permette di considerare 9
R A SSEGN A
dosaggi, di ricondurre al target glicemico desiderato qua-
che ne differenzia la farmacocinetica rispetto alla insuli-
lunque soggetto affetto da diabete mellito. Tuttavia, no-
na umana, è lecito aspettarsi che i tre analoghi rapidi in
nostante la farmacocinetica e la farmacodinamica delle
commercio non presentino tra loro sostanziali differenze
più nuove preparazioni abbiano notevolmente migliorato
in termini di farmacocinetica e farmacodinamica. In ef-
la sicurezza e la facilità di utilizzo della terapia insuli-
fetti, le lievissime differenze osservate in alcuni studi (5-
nica, esiste ancora un ampio margine per un potenziale
11), non hanno di fatto alcuna rilevanza clinica (12).
miglioramento e per l’introduzione in terapia di molecole
È comunque opportuno notare che gran parte degli studi
insuliniche con ancora maggiore efficacia ed efficienza.
di farmacocinetica sugli analoghi rapidi dell’insulina
Ad oggi le tipologie di insulina di comune impiego clinico
sono stati condotti su soggetti sani normopeso o su
sono 5: insulina regolare, insulina protaminata neutra
pazienti DM1 magri (13-15). Sono pochi invece gli studi
Hagedorn (NPH), analoghi dell’insulina ad azione mol-
condotti su soggetti affetti da DM2 in sovrappeso o obe-
to rapida, analoghi dell’insulina ad azione protratta nel
si, nonostante l’obesità caratterizzi una larga parte dei
tempo, insuline premiscelate. L’unica via di sommini-
pazienti trattati. Questo potrebbe rappresentare un pro-
strazione praticabile con successo è quella dell’iniezione
blema dal momento che tra i molti fattori che influen-
sottocutanea, cosa che contribuisce a rendere la terapia
zano l’assorbimento dell’insulina (le proprietà chimico-
insulinica meno accettabile per i pazienti rispetto al trat-
fisiche, gli eccipienti, la concentrazione, il dosaggio della
tamento orale. Ma, ancor più della somministrazione
preparazione, le condizioni cliniche durante la sommi-
iniettiva, ciò che rende comunque complesso il tratta-
nistrazione, il sito e la profondità dell’iniezione, l’eser-
mento insulinico sono la elevata possibilità di errore, il
cizio fisico, la temperatura ed il fumo di sigaretta (4, 15-
rischio di ipoglicemia, l’incremento ponderale, la neces-
17) è necessario considerare anche il volume iniettato e
sità di una grande accuratezza relativamente alle dosi ed
il flusso plasmatico del tessuto sottocutaneo (18-19). Nei
ai tempi di somministrazione.
soggetti obesi insulino-resistenti e nei soggetti affetti da
La insulina regolare e l’insulina NPH sono le principali
DM2 il flusso plasmatico sottocutaneo è ridotto, rispetto
insuline umane, identiche come sequenza amino-acidica
ai non obesi, in condizioni basali e non incrementa come
all’ormone nativo ed ottenute mediante tecniche di DNA
atteso nel periodo post-prandiale (20-21). Un recente stu-
ricombinante: la prima è caratterizzata da una durata
dio di Gagnon-Auger e coll. (22) ha in effetti dimostrato
d’azione relativamente breve, che si esaurisce dopo 4-5
che, in pazienti DM2 obesi, sia l’assorbimento sia l’effetto
ore dalla somministrazione, con un picco a 90-120 min
ipoglicemizzante di dosi crescenti di insulina lispro (10-
(1); mentre la seconda ha una durata d’azione intermedia
30-50 U), iniettate sottocute durante clamp euglicemico,
(6-8 ore) e presenta anche essa un distinto picco di attività
risultavano severamente ritardati. Il ritardo nell’effetto
dopo 3-5 ore dalla somministrazione (2-3).
ipoglicemizzante degli analoghi rapidi dell’insulina mo-
Gli analoghi dell’insulina ad azione molto rapida agiscono
strato in questo studio potrebbe fornire la spiegazione del
più velocemente rispetto all’insulina regolare, con un pic-
perché, in alcuni casi, la somministrazione di insulina
co di azione più pronunciato e decisamente più precoce ed
prandiale non fornisca il beneficio atteso (22).
una durata che si esaurisce dopo circa 3 ore dalla sommi-
Per quello che riguarda invece le cosiddette “insuline ad
nistrazione (4). Nonostante le molecole ad oggi disponibi-
azione ritardata”, l’insulina lispro protaminata neutra
li (lispro, aspart, glulisina) presentino delle differenze tra
Hagedorn (lispro NPH), l’insulina glargine e l’insulina
loro nella struttura molecolare (ancorché molto modeste),
detemir sono state progettate con l’intento di sviluppare
il principio su cui si basano le loro caratteristiche farma-
un’insulina basale che fosse assorbita lentamente nell’ar-
cocinetiche e farmacodinamiche è lo stesso: le diverse
co di un lungo periodo di tempo, con un profilo d’azione
modificazioni nella struttura molecolare che esse presen-
relativamente piatto. Le strategie utilizzate per raggiun-
tano rispetto alla insulina umana, infatti, prevengono
gere questi obiettivi sono completamente differenti e ri-
per tutte e tre le molecole la aggregazione in esameri. La
sultano, di fatto, in profili farmacodinamici sostanzial-
loro iniezione nel sottocute in forma già monomerica ne
mente differenti. Lispro NPH è il risultato dell’aggiunta
condiziona quindi una più rapida diffusione dal sottocute
di zinco-protamina non ad insulina umana ma all’ana-
al circolo ematico. Essendo identico quindi il meccanismo
logo rapido insulina lispro. Come prevedibile, le diffe10
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
renze di farmacodinamica tra insulina umana NPH e
alla somministrazione della dose successiva, dando luogo
lispro NPH sono molto modeste (23). La insulina glargine
ad un rialzo della glicemia nelle ore del tardo pomeriggio
presenta invece la sostituzione di un singolo aminoacido
(fenomeno “tramonto”) (31-32).
all’interno della catena A e due aminoacidi aggiunti alla
L’insulina detemir può essere somministrata una o due
catena B, modificazioni che spostano il punto isoelettri-
volte al giorno e, al contrario di glargine, è stata studia-
co della molecola rendendola solubile in ambiente acido.
ta più frequentemente in protocolli che prevedevano due
Pertanto, una volta iniettata sottocute in un ambiente
somministrazioni/die. Dagli studi di farmacodinamica
neutro, questa preparazione forma microparticelle che
effettuati si evince che la durata d’azione di detemir è
vengono assorbite lentamente (24), approccio che, rispet-
dose dipendente e mediamente si attesta intorno alle 19,9
to all’insulina NPH, elimina la necessità di risospendere
ore per dosi di 0,4 U/kg in pazienti con DM1, C-peptide ne-
la soluzione prima dell’iniezione, riducendo la variabilità
gativi (27). Detemir presenta quindi una durata d’azione
dei tempi di assorbimento. L’insulina detemir presenta a
più breve rispetto a glargine, pur se è oggettivamente dif-
sua volta una delezione aminoacidica alla estremità della
ficile fare un confronto diretto tra i profili di farmacodi-
catena B, dove si lega un acido grasso (acido miristico). Il
namica di queste due insuline sulla base di dati ottenuti
profilo d’azione più lungo rispetto all’insulina NPH è de-
in studi differenti.
terminato dalla formazione di esameri nel sito di iniezio-
In base ai risultati di uno studio di confronto diretto fra
ne e dal legame reversibile dell’ac. miristico all’albumina
detemir, glargine ed insulina umana NPH, Heise e coll.
in circoloQuesta proprietà conferisce un effetto buffer che
(26) concludevano che detemir presenta, sotto il profilo
potrebbe contribuire a ridurre la variabilità interindivi-
della azione ipoglicemizzante, una variabilità intra-indi-
duale (26). La farmacodinamica di insulina detemir ed in-
viduale più bassa rispetto alle altre due molecole. Questo
sulina glargine è diversa da quella della insulina NPH in
potrebbe rappresentare un indubbio vantaggio in termi-
quanto entrambe hanno una durata di azione più lunga
ni di rischio di ipoglicemia, specialmente in soggetti in
ed un picco meno pronunciato. Tuttavia, anche tra glar-
controllo glicemico molto stretto. Tuttavia, nello studio
gine e detemir esistono importanti differenze di farma-
in questione le diverse preparazioni insuliniche venivano
codinamica, con glargine che mostra un profilo di azione
testate su diversi soggetti e la possibile esistenza di una
più lungo (vicino alle 22-24 ore) con una quasi assenza di
importante variabilità inter-individuale potrebbe avere
picco (4) mentre la durata di detemir si attesta sulle 12-16
in qualche modo influenzato i risultati dello studio. La
ore e la somministrazione dell’analogo è comunque se-
durata d’azione delle tre molecole non era oggetto spe-
guita da un picco intorno alla ottava ora (seppure di entità
cifico dello studio, tuttavia gli studi di clamp effettuati
modesta) proporzionale alla dose somministrata (27).
mostravano che la somministrazione di glargine era in
Proprio in virtù di questa diversa farmacodinamica, glar-
grado di mantenere una azione insulinica basale per le
gine e detemir sono state utilizzate in modo diverso ne-
intere 24 ore in circa il 40% dei casi, mentre questo era vero
gli studi clinici e, di conseguenza, nella pratica clinica.
solo per il 25% dei casi per insulina detemir e per meno del
Glargine è stata ampiamente studiata ed utilizzata in
20% dei casi per insulina umana NPH. Per questa ragio-
mono-somministrazione giornaliera, sulla base di dati
ne, anche se studi successivi hanno mostrato differenze
derivanti da iniziali studi di clamp, eseguiti su soggetti
più modeste di durata di azione tra le differenti prepa-
sani (28) o con DM1 (29), che suggerivano una durata me-
razioni (33), glargine viene considerata la più “basale”
dia d’azione molto lunga (28-30). Uno studio effettuato su
tra le insuline attualmente disponibili. La possibilità di
pazienti con DM1 con C-peptide negativo ha riscontrato
avere a disposizione una insulina “basale” è di notevole
una durata d’azione media di glargine di 20,5 ore per som-
importanza, dal momento che, nonostante l’assenza di
ministrazioni di 0,3 U/kg (29). Questo dato rende ragione
dati solidi a supporto, vi è la percezione diffusa che la
della osservazione clinica relativa ad alcuni pazienti (in
mono-somministrazione giornaliera potrebbe essere pre-
particolare alcuni dei pazienti con secrezione insulinica
ferita dai pazienti rispetto a quella bis in die. Uno studio
endogena scarsa o assente) nei quali una singola sommi-
cross-over tra glargine somministrata una volta al giorno
nistrazione di insulina glargine alla sera non è in grado
e NPH somministrata due volte al giorno (in aggiunta ad
di mantenere una adeguata insulinizzazione basale fino
insulina aspart ai pasti), condotto su diabetici di tipo 1 11
R A SSEGN A
non ha evidenziato differenze significative, in termini di
rapida in maniera indipendente inducono un compenso
qualità della vita, tra i due trattamenti. Tuttavia, nella
metabolico meno robusto. L’uso delle insuline premisce-
seconda fase dello studio post cross-over, è stato riporta-
late contraddice quindi, in linea generale, uno dei prin-
to un grado di soddisfazione maggiore con glargine (34).
cipi chiave della terapia insulinica moderna, che è quello
La flessibilità nei tempi di somministrazione rappresenta
di tentare di raggiungere il miglior controllo metabolico
sicuramente un fattore determinante per migliorare la
possibile pagando il prezzo più basso possibile in termini
qualità della vita dei pazienti in trattamento, pertanto
di ipoglicemia. Può tuttavia avere un suo razionale l’uso
un’insulina basale in grado di garantire un effetto supe-
di una insulina premiscelata, ad alto contenuto di insuli-
riore alle 24 ore potrebbe in teoria meglio soddisfare le di-
na rapida (dal 50% al 75%), in quei soggetti in terapia basal-
verse esigenze individuali.
bolus quadri-iniettiva nei quali l’azione della insulina ba-
Infine sono tutt’oggi disponibili le formulazioni premi-
sale somministrata a bed-time tendesse ad esaurirsi nelle
scelate, costituite dalla combinazione di insuline a lenta
ore del tardo pomeriggio, dando vita al già menzionato
e rapida durata d’azione. La composizione di queste for-
“fenomeno tramonto”. In questa situazione, la sommi-
mulazioni varia considerevolmente, dal 50% di insulina
nistrazione prima del pasto di mezzogiorno di una pre-
lenta più il 50% di insulina rapida al 75% di lenta più il 25%
miscelata ad alto contenuto di insulina rapida potrebbe
di rapida. Si tratta di formulazioni che dovrebbero sod-
garantire un modesto apporto di insulina ad azione più
disfare il fabbisogno insulinico a digiuno e dopo il pasto
lenta capace di mantenere un controllo glicemico accetta-
con una sola somministrazione, permettendo quindi di
bile fino all’ora del pasto serale.
ridurre il numero di iniezioni giornaliere rispetto alla te-
Cosa manca quindi alle insuline attualmente a nostra
rapia basal-bolus (35). Nei pazienti affetti da DM2 le insu-
disposizione per assicurare un compenso metabolico otti-
line premiscelate permettono di ridurre i livelli di emo-
male, con una riduzione significativa degli effetti collate-
globina glicata, tuttavia inducono un maggior numero
rali e delle barriere nei confronti della terapia insulinica
di eventi ipoglicemici rispetto alla terapia basal-bolus.
costituite, oltre che dal fastidio legato all’iniezione, dalla
Inoltre non potendo adeguare le dosi di insulina lenta e
paura dell’ipoglicemia?
Figura 1
Struttura molecolare di IDeg
L’insulina umana DesB30 è stata acetilata a livello della LysB29del Ɛ-amino gruppo con un acido esapentaenoico per mezzo di un Υ-L-acido glutammico. Mod. da (36)
Des(B30) LysB29(y-Glu N Ɛ -hexadecandiol) human insulin s
A1 G
B1
I
s
V E Q C C T S
I
A21
DesB30
C S L Y Q L E N Y C N
T
s
s s
s
B29
F V N Q H L C G S H L V E A L Y L V C G E R G F F Y T P K
desB30 Insulin O
NH
O NH
HO O
Hexadecandioyl Fatty diacid side chain
12
OH O
L-y-Glu Glutaminic acid ‘spacer’
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
• Garantire un profilo d’azione affidabile
formazione di aggregati multipli di di-esameri è prevenu-
• Garantire quotidianamente una riproducibilità di as-
ta da molecole di fenolo (in alta concentrazione nel mezzo
sorbimento e farmacodinamica
di sospensione) che bloccano i siti di interazione tra di-
• Avere maggiore flessibilità nei tempi di somministra-
esameri (36). Dopo l’iniezione, la concentrazione di fenolo
zione
viene ovviamente abbondantemente diluita nel sottocu-
Per rispondere a queste esigenze, sono attualmente in
taneo: di conseguenza, i di-esameri di IDeg si dissociano
sperimentazione, o sono già in uso in alcuni Paesi, mole-
dal fenolo e si assemblano immediatamente a formare
cole con proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche
una struttura multiesamerica solubile, che rimane stabi-
più avanzate. La molecola più recentemente approvata
le a pH fisiologico (36); diffondendosi con il tempo lo zinco
dall’EMA e da poco introdotta nell’uso clinico in diversi
che mantiene legati tra loro i monomeri, i multiesameri
Paesi europei è degludec (IDeg), una nuova insulina basa-
si dissociano lentamente, dando luogo ad un lento e con-
le che per mezzo di un meccanismo innovativo presenta
tinuo rilascio in circolo di monomeri di insulina (Fig. 2),
una durata d’azione prolungata, che supera le 42 ore pur
senza picchi e con un effetto ipoglicemizzante stabile (36).
mantenendo un profilo piatto e stabile (36-37). Questa pre-
Questa nuova formulazione ha un’emivita di 25 ore allo
parazione, come già ricordato approvata dall’EMA ed in
steady-state, non dose dipendente, ed è riscontrabile in
fase avanzata di approvazione da parte dell’FDA (38), dif-
circolo ancora 120 ore dopo la somministrazione dell’ulti-
ferisce dall’insulina umana per la rimozione della treoni-
ma dose (37). La farmacodinamica di degludec è tale che
na in posizione B30 e il legame di una catena di ac. grassi
l’area sotto la curva della somministrazione di glucosio
con la lisina in posizione B29 con l’interposizione di un
necessaria a prevenire una riduzione della glicemia dopo
ac. glutammico (Fig. 1) (36).
una singola somministrazione sottocutanea della mole-
In questa formulazione, la molecola di degludec si trova
cola è sostanzialmente identica nelle prime 12 ore (tempi
sotto forma di di-esameri nella soluzione iniettabile e la
0-12) e nelle seconde 12 ore (tempi 12-24) (37).
Figura 2
Assorbimento sottocutaneo di IDeg (36)
Rappresentazione schematica della conformazione degli esameri insulina-zinco responsabili della durata d’azione prolungata dell’insulina degludec. In seguito all’iniezione nel sottocute lo zinco diffonde lentamente e gli esameri si separano in dimeri e monomeri di insulina con un lento e costante rilascio di insulina per più di 24 ore
IDeg di-hexamers
Injected formulation
-Phenol
IDeg multi-hexamers
Subcutaneous depot formation
-Zn 2+
IDeg monomers
13
Absorpion
R A SSEGN A
IDeg è stata utilizzata in trials clinici sia in pazienti DM1
digiuno vanno somministrate alla stessa ora ogni giorno;
sia DM2, dimostrando di essere una preparazione insu-
questo può però rappresentare un ostacolo in pazienti con
linica a durata d’azione ultra-lunga, con una migliorata
uno stile di vita irregolare e che possono talvolta omettere
stabilità farmacodinamica, in grado di abbassare la glice-
di assumere i farmaci. Inoltre, l’analisi dei dati ottenuti
mia a fronte di un numero inferiore di ipoglicemie soprat-
in pazienti DM1 ha mostrato una variabilità inter-gior-
tutto notturne (39-43). Inoltre, grazie alla sua emivita,
naliera 4 volte più bassa nell’effetto ipoglicemizzante per
più lunga rispetto a glargine (24 vs 12,5 ore), e alla partico-
IDeg rispetto a glargine, il che potrebbe favorire la titola-
lare farmacocinetica che permette una esposizione al far-
zione della dose insulinica su obiettivi più ambiziosi di
maco del tutto simile tra le prime e le seconde 12 ore dopo
glicemia a digiuno (40).
l’iniezione, IDeg può essere somministrata in qualsiasi
Ad ulteriore supporto della sicurezza dell’uso di IDeg, una
momento della giornata, assicurando quindi una flessi-
recente metanalisi degli studi registrativi mirata a valu-
bilità degli orari di somministrazione tale da favorire un
tare gli effetti di IDeg in soggetti di età > 65 aa (46) ha di-
minore impatto sullo stile di vita del paziente (37, 44).
mostrato anche in questi pazienti relativamente più an-
In un trial in aperto, treat-to-target di 52 settimane con-
ziani che l’uso di IDeg era associato ad un minor numero
dotto su pazienti DM1, IDeg ha dimostrato la stessa effi-
di ipoglicemie totali e di ipoglicemie notturne. Inoltre, a
cacia ipoglicemizzante di glargine, a fronte di un numero
fugare il dubbio che una insulina a più lunga durata d’a-
totale di episodi di ipoglicemia comparabile, ma con una
zione e a più lunga permanenza in circolo potesse essere
significativa riduzione (-25%) delle ipoglicemie notturne
associata ad un recupero dalla ipoglicemia meno efficace,
(41). Dati simili sono stati ottenuti in un trial di disegno
Koehler et al. (47) hanno dimostrato che i sintomi dell’i-
simile, ma condotto su pazienti DM2 (43). Anche in questa
poglicemia e la risposta cognitiva ad essa erano simili in
tipologia di soggetti IDeg dimostrava la stessa efficacia di
soggetti trattati con IDeg o glargine e che i tempi di re-
glargine sul controllo glicemico ma in questo caso sia il
cupero dall’ipoglicemia erano parimenti simili con le due
numero totale di ipoglicemie sia il numero di ipoglicemie
molecole.
notturne risultava modestamente ma significativamente
Un altro analogo basale dell’insulina, che ha da poco ter-
ridotto nei pazienti randomizzati ad assumere IDeg (43).
minato la fase 2 di sperimentazione, è l’insulina lispro
In realtà è soprattutto nei pazienti con DM2 spesso poli-
peghilata, ILPeg (LY2605541), una molecola di insulina li-
trattati e mediamente più “fragili”, che la riduzione delle
spro incorporata in una catena di polietilene glicole (PEG),
ipoglicemie, ed in particolare di quelle notturne, rappre-
tecnologia che permette di prolungare la durata d’azione
senta un vantaggio molto concreto. È stato inoltre recen-
dei farmaci iniettabili (48) (Fig. 3). In questa formulazione
temente pubblicato un trial di 26 settimane, in aperto,
l’assorbimento della insulina lispro viene infatti rallenta-
treat-to-target, condotto sempre su pazienti DM2, naive
to dalle elevate dimensioni della molecola di PEG in cui è
all’insulina in trattamento con ipoglicemizzanti orali,
incorporata (49-50).
in cui l’efficacia e la sicurezza di IDeg somministrata ad
Questa formulazione è in grado di legare 3 molecole di
orario variabile sono state confrontate con glargine som-
acqua, il che aumenta la grandezza idrodinamica della
ministrata ad orario costante: nonostante la variabilità
molecola, determinando un ritardo nell’assorbimento ed
nell’orario della somministrazione, IDeg è risultata para-
una riduzione nella filtrazione renale con aumento dell’e-
gonabile a glargine sia come efficacia nel raggiungimento
mivita. La peghilazione protegge inoltre la molecola dalla
di un controllo metabolico accettabile, sia nell’incidenza
degradazione proteolitica
delle ipoglicemie, totali e notturne. Poter variare l’orario
La ILPeg è stata studiata in pazienti sia DM1 sia DM2 in
di somministrazione dell’insulina da un giorno all’altro,
cui ha dimostrato di essere ugualmente, se non addirit-
senza incorrere nel rischio di un peggioramento del com-
tura più efficace rispetto a glargine nel controllo della
penso metabolico e di ipoglicemia potrebbe avere un po-
glicemia e, laddove il trattamento insulinico è general-
tenziale impatto positivo sulla compliance al trattamento
mente associato ad incremento ponderale, il trattamento
insulinico (45).
con ILPeg sembra associarsi ad una riduzione del peso cor-
In effetti, gli attuali schemi terapeutici si avvalgono di in-
poreo (38). Nello studio di fase 2 condotto su pazienti DM1,
suline che per fornire il miglior risultato sulla glicemia a
il trattamento con ILPeg per 8 settimane risultava infatti 14
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
Figura 3
Rappresentazione schematica di LY2605541
nel tessuto epatico, dove diffonderebbe più facilmente
(64)
a causa delle ampie fenestrazioni dei capillari epatici.
Una molecola di insulina lispro è stata coniugata con una catena di
Questo renderebbe l’azione insulinica “più fisiologica” in
polietilene glicole (PEG).
quanto, fisiologicamente, il fegato, che estrae oltre il 50% dell’insulina nel primo passaggio, grazie alla sua collo-
LY2605541 has a diameter analogous to the size of a 71-98 kDa globular protein
cazione anatomica a valle della vena porta, riceve una insulinizzazione doppia rispetto ai tessuti periferici quali il muscolo scheletrico. Studi successivi dovranno chiarire se questo possa effettivamente risultare in un vantaggio clinico: per il momento occorre rilevare che, nei trial registrativi, l’uso di ILPeg sembra associato ad un modesto
Insulin lispro (5,8 kDa)
aumento dei livelli delle transaminasi epatiche e della concentrazione plasmatica di trigliceridi (53). Non solo nel campo delle insuline a lunga durata d’azione novità importanti si stanno affacciando sul mercato. An-
20 kDa Polyethylen glycol (PEG) chain
che le insuline “prandiali” oggi a disposizione, ancorché gli analoghi monomerici abbiano una farmacocinetica ed una farmacodinamica che riproduce meglio della insulina umana la fisiologica increzione insulinica che segue la
più efficace rispetto a glargine nel migliorare il compen-
ingestione del pasto, spesso non consentono di raggiun-
so glicemico ed era seguito da una significativa perdita di
gere profili glicemici post-prandiali ottimali (54-55). Que-
peso corporeo. Il trattamento con ILPeg si associava tut-
sto è in parte dovuto al fatto che nel sottocute la matrice
tavia ad un maggior numero di effetti collaterali, princi-
extracellulare rappresenta una barriera alla diffusione
palmente a livello gastrointestinale, effetti modesti che
dei fluidi per la presenza di acido ialuronico, un glico-
non sembrano essere responsabili della perdita di peso,
saminoglicano che, legando le molecole di acqua libera,
i cui meccanismi molecolari restano da chiarire (51). Per
crea una matrice gelatinosa altamente viscosa (56-58); di
quello che riguarda poi gli eventi ipoglicemici, questi
conseguenza l’insulina iniettata nel sottocute diffonde
globalmente risultavano più numerosi (pur se non signi-
con difficoltà nel letto capillare in quanto bloccata nei de-
ficativamente) nei pazienti trattati con ILPeg rispetto ai
positi locali (4, 56-59). La ialuronidasi è un enzima che,
pazienti trattati con glargine: il numero di ipoglicemie
mediante la depolimerizzazione dell’ac. ialuronico, mi-
notturne tuttavia è risultato significativamente inferiore
gliora la diffusione e l’assorbimento dei farmaci sommi-
(51). Un apparente aumento del numero delle ipoglicemie
nistrati per via iniettiva. Studi condotti su volontari sani
totali potrebbe essere dovuto all’algoritmo di titolazione,
e su pazienti DM1 e DM2 hanno dimostrato che l’aggiunta
che era lo stesso per ILPeg e glargine nello studio, e che do-
della ialuronidasi umana ricombinante (rHuPH20) a cia-
vrebbe invece probabilmente essere diverso in virtù della
scun analogo rapido oggi disponibile ne accelera, rispetto
diversa farmacodinamica delle due molecole (24, 52). Del
all’analogo somministrato da solo, la farmacocinetica e
resto, in un trial di fase 2 condotto in pazienti con DM2,
l’assorbimento, raddoppiando l’esposizione all’insulina
ILPeg è risultava efficace quanto glargine nel migliorare il
durante la prima ora e dimezzandola nelle due ore succes-
compenso glicemico ed anche in questo caso era in grado
sive alla somministrazione (60-63). Questo si traduce in
di indurre una perdita di peso significativa (53). Tuttavia,
un miglioramento dell’azione insulinica, con effetto più
in questo caso il numero di episodi ipoglicemici totali non
rapido ed una durata inferiore. Preparazioni insuliniche
era diverso nei due gruppi di trattamento, ma, anche in
“addizionate” di ialuronidasi sono in fase di sviluppo, ma
questo caso, si assisteva ad riduzione relativa, rispetto al
è ancora presto per affermare con certezza che riusciran-
baseline, delle ipoglicemie notturne nei pazienti trattati
no ad essere una risposta valida al problema della otti-
con ILPeg (53). Le dimensioni molecolari della insulina
mizzazione della farmacodinamica post-prandiale e che,
peghilata dovrebbero teoricamente renderla più attiva 15
R A SSEGN A
soprattutto, saranno scevre da effetti collaterali a livello
namic parameters of insulin boluses in youth with type
del tessuto sottocutaneo.
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CONCLUSIONI
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10. Luzio S, Peter R, Dunseath GJ, et al. A comparison of pre-
gia del DNA ricombinante si è fatta molta strada (in meno
prandial insulin glulisine versus insulin lispro in people
di un secolo). La “terapia sostitutiva ormonale” del dia-
with type 2 diabetes over a 12-h period. Diabetes Res Clin
bete mellito, tuttavia, è ancora lungi dall’essere perfetta.
Pract 79: 269-275, 2008.
I continui progressi della tecnologia ci stanno portando
11. Arnolds S, Rave K, Hovelmann U, et al. Insulin glulisine
verso forme sempre più avveniristiche di terapia insu-
has a faster onset of action compared with insulin aspart
linica: è bene tuttavia che gli entusiasmi che le novità
in healthy volunteers. Exp Clin Endocrinol Diabetes 118:
giustamente suscitano siano sempre temperati da una
662-664,
saggia prudenza, legata soprattutto alla considerazione
12. Home PD. The pharmacokinetics and pharmacodynam-
che il numero si soggetti diabetici che hanno bisogno di
ics of rapid-acting insulin analogues and their clinical
terapia insulinica è talmente vasto che qualunque formu-
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DOC U MENTI
Indagine sull’atteggiamento del diabetologo nei confronti dell’ipoglicemia nel paziente con diabete Roberto Miccoli Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa
L’importanza dello stretto controllo glicemico per ridur-
Me todi
re il rischio delle complicanze micro- e macrovascolari è indiscutibile, ma numerose barriere ostacolano il suo
Un questionario composto da 32 items è stato reso acces-
raggiungimento. L’ipoglicemia costituisce un’importan-
sibile sul sito www.siditalia.it. Il questionario conteneva
te limitazione per il raggiungimento di un buon control-
quesiti relativi a:
lo nel diabete tipo 1, mentre viene ancora considerato un
• sistema raccolta dati (item 1-6)
problema minore nella cura del diabete tipo 2, mentre i
• educazione/informazione (7-13)
più recenti trial clinici hanno evidenziato frequenza e ri-
• caratteristiche dell’ipoglicemia (14-18)
schi di questo evento.
• fattori di rischio dell’ipoglicemia (19-23)
Di contro, nella pratica clinica quotidiana l’impatto
• qualità di vita (24)
dell’ipoglicemia associata all’uso di farmaci anti-iper-
• formazione (25-26)
glicemici è sottostimato e spesso confinato al solo trattamento insulinico.
FAD ECM “il Diabete”
Stime recenti indicano che l’ipoglicemia interessa il 12%-
Questa rassegna fa parte di un percorso di formazione a distanza
30% dei pazienti con diabete tipo 2, a seconda del tratta-
accreditato a livello nazionale e disponibile gratuitamente nell’aula
mento (1-3). L’ipoglicemia è stata associata ad un aumen-
virtuale della SID (http://sidfad.accmed.org).
tato rischio di complicanza cardiovascolare (4), riduzione Per partecipare al corso occorre:
in qualità della vita (5), eccesso di alimentazione a sco-
1. Leggere la rassegna (disponibile anche on-line)
po preventivo e conseguente aumento del peso corporeo
2. Registrarsi all’aula e iscriversi al corso “il Diabete”
(6). Inoltre, l’ipoglicemia rimane una causa maggiore di
3. Rispondere on-line al quiz di verifica e compilare il questionario di
ospedalizzazione per cause farmacologiche (7) e aumento
valutazione dell’evento FAD.
del costo del diabete (8). Alla luce di queste considerazioni, SID ha lanciato, con
Una volta eseguito con successo il test di valutazione e compilato
il supporto incondizionato di Novo Nordisk, una survey
il questionario di valutazione dell’evento, sarà cura della Segreteria
concernente la percezione e il comportamento del diabe-
ECM della SID far pervenire l’attestato ECM del corso ai diretti inte-
tologo italiano nei confronti dell’ipoglicemia.
ressati nei tempi e nelle modalità stabiliti dalla regolamentazione vigente. Per ulteriori informazioni: http://sidfad.accmed.org
19
DO C U M ENTI
I dati sono stati raccolti su data base relazionale e ela-
domiciliare. Da segnalare che il 20% dei pazienti comuni-
borati mediante SPSS. I risultati sono espressi come
ca tali informazioni al proprio medico tramite telefono.
media±deviazione standard, frequenze assolute o relative.
I 2/3 dei partecipanti presta adeguata attenzione al rischio della hypoglicemia unawareness che, nella quasi totali-
Risultati
tà di casi, viene indagata mediante colloquio mirato. In caso di ipoglicemia severa oltre a rivalutare lo schema te-
Sono stati raccolti i dati di 165 questionari. L’età media del
rapeutico (34%), si interviene sull’aspetto educativo (34%),
campione era di 51±10 anni senza differenze di sesso (M/F,
sul monitoraggio domiciliare (20%) e viene verificata la
51/49%). Il tasso di risposta ai vari items variava dal 64%
presenza di hypoglycemia unawareness (15%).
al 90%.
I rischi più frequentemente associati all’ipoglicemia sono
Il 60% dei partecipanti alla survey dichiara di utilizzare
gli eventi cardio- (24%) e cerebro-vascolari (22%), i traumi
una cartella clinica informatizzata che, però, permette di
(22%) e il rischio di morte (4%). Conseguenze psicologiche
raccogliere informazioni specifiche sull’ipoglicemia solo
e sociali sono associate all’ipoglicemia nel 14% e 10% dei
nel 43% dei casi. La frequenza con cui vengono registrati
casi. Minoritaria è la percentuale di operatori (5%) che
i dati sull’ipoglicemia varia in funzione delle sue caratte-
considerano i costi sanitari dell’ipoglicemia un problema.
ristiche. Mentre il 76% dei partecipanti afferma di regi-
La hypoglycemia unawareness o pregressi episodi di ipoglice-
strare i casi d’ipoglicemia severa (su supporto cartaceo o
mia severa sono considerati ostacoli al raggiungimento
informatizzato), il 53% dichiara di registrare tutti gli epi-
di un controllo glicemico ottimale nel 30% e 25% dei casi,
sodi di ipoglicemia <70 mg/dl (53%), mentre il 9,4% e il 12%
rispettivamente. Altrettanto il paziente con lunga dura-
registra solo quelli con glicemie <60 mg/dl e <50 mg/dl,
ta di malattia (16%) e il bambino con diabete (14%) sono
rispettivamente. Solo il 14% degli operatori è in possesso
percepiti come condizioni nelle quali il raggiungimento
dei dati relativi alla frequenza di ipoglicemia severa nella
del target glicemico è più problematico. La paura dell’ipo-
propria popolazione.
glicemia quale ostacolo all’accettazione della terapia vie-
L’educazione/informazione del paziente viene svolta nella
ne considerato molto importante dal 70% dei partecipanti
maggior parte dei casi dal medico (38%) e, in minor mi-
che attribuisce un valore >7 in una scala di valutazione
sura, dall’infermiere (28%) utilizzando la comunicazione
compresa tra 1-10. La stessa paura dell’ipoglicemia sem-
orale (19%) a volte associata alla distribuzione di materia-
bra condizionare l’atteggiamento del medico nella scelta
le educativo (29%). Nel 30% dei casi si utilizzano formali
terapeutica nel 50% dei casi (punteggio >7), soprattutto
sessioni di educazione individuale. Il tempo medio indi-
quando gli episodi ipoglicemici sono severi.
cato per l’educazione relativa all’ipoglicemia risulta <10
L’impatto dell’ipoglicemia nei confronti della qualità del-
minuti nel 64% dei casi, compreso tra 10-20 minuti nel
la vita è ritenuta molto importante dall’86% dei casi.
37% e nel 3% dei casi si va oltre i 20 minuti. Nelle visite
Secondo i partecipanti alla survey, la prevenzione dell’i-
successive alla prima, l’argomento ipoglicemia occupa un
poglicemia potrebbe essere migliorata dalla disponibilità
tempo variabile tra <5 minuti (45%) e tra 5-10 minuti (53%).
di personale dedicato per l’educazione terapeutica (38%),
Nell’ambito di questi contatti, con il paziente vengono af-
di maggiori risorse per materiale educativo (24%) e per il
frontati gli aspetti dei sintomi dell’ipoglicemia (25%), del
monitoraggio glicemico (25%). Minore impatto viene at-
trattamento dell’ipoglicemia lieve (20%), del trattamento
tribuito a una maggiore circolazione dei dati relativi agli
dell’ipoglicemia severa con glucagone (9%), delle modalità
episodi ipoglicemici (13%).
di correzione della terapia (8%) o di esecuzione dell’auto-
Infine, il 63% dei partecipanti considera insufficienti i
monitoraggio glicemico (9%). Nel 20% dei casi questi ar-
contenuti sull’ipoglicemia offerti dai programmi di edu-
gomenti vengono trattati globalmente ma un protocollo
cazione continua.
standardizzato sull’ipoglicemia viene utilizzato solo dal 36% dei partecipanti.
Conclusioni
Nella maggior parte dei casi (44%) la fonte delle informazioni relativa agli episodi ipoglicemici è rappresentato dal
I risultati di questa indagine, per quanto basata su un
diario (cartaceo o informatizzato) dell’automonitoraggio
numero di questionari limitati, offre una serie di con20
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
siderazioni sulla percezione e attitudine degli operatori
dal rischio d’ipoglicemia e soprattutto di quella severa.
diabetologici nei confronti dell’ipoglicemia farmacologi-
Questo condizionamento è riflesso anche dalla dichiara-
camente indotta nel paziente con diabete tipo 2.
zione che l’argomento ipoglicemia dovrebbe ricevere una
La prima riflessione riguarda la definizione d’ipoglice-
maggiore attenzione con programmi di formazione ad
mia. Se si assume che l’ipoglicemia è quanto viene re-
hoc.
gistrato, ben si può notare come diversi sono i livelli di
Nel complesso, i risultati di questa survey suggeriscono
glicemia utilizzati per identificare il livello soglia. Un’e-
una sufficiente sensibilità a proposito del rischio d’ipogli-
ventuale rilevazione del “fenomeno ipoglicemia” richie-
cemia farmacologicamente indotta, una sufficiente co-
derebbe, quindi, un consenso sulla definizione d’ipo-
noscenza delle condizioni che ne favoriscono la comparsa
glicemia. Ovviamente un accordo sulla definizione non
e delle implicazioni cliniche sia per quanto riguarda le
risolve il problema della disparità dei mezzi di registra-
complicanze che l’interferenza con il raggiungimento del
zione e quindi di un’affidabile estrapolazione e confronto
buon controllo glicemico. Poco apprezzate sono invece le
dei dati raccolti in vari database.
implicazioni sui costi associati all’ipoglicemia. Dal que-
Le conseguenze dell’ipoglicemia sembrano essere rela-
stionario emerge anche la necessità di:
tivamente chiare all’operatore diabetologico in termini
1. Standardizzazione della definizione di ipoglicemia;
sia di rischio sia di limitazione al raggiungimento dell’o-
2. Sistemi di rilevazione e raccolta dati confrontabili;
biettivo terapeutico. Colpisce invece la scarsa attenzione
3. Uniformi processi di educazione della persona con
che il diabetologo sembra attribuire al possibile impatto
diabete;
dell’ipoglicemia sui costi diretti e indiretti del diabete.
4. Una maggiore attività formativa su ipoglicemia ed ele-
Il dato sembra piuttosto consolidato in letteratura, ma
menti correlati.
forse la nostra classe medica non ha ancora sufficienti elementi conoscitivi per apprezzare il significato che una
Biblio gr afia
terapia razionale può avere sulla gestione economico-so-
1.
Barnett AH, et al. Curr Med Res Opin 26: 1333-1342, 2010.
ciale della malattia.
2.
Budnitz DS, et al. N Engl J Med 365: 2002-2012, 2011.
A questa riflessione può essere ricondotta anche l’appa-
3.
Foley JE, et al. Vasc Health Risk Manag 6: 541-548, 2010.
rente disparità che il questionario fa emergere in termini
4. Jennings AM, et al. Diabetes Care 12: 203-208, 1989.
di processi formativi della persona con diabete. Questo
5.
risultato sprona alla definizione di programmi educazio-
Jermendy G, et al. Health Qual Life Outcomes 31; 6: 88, 2008.
nali quanto più uniformi, strutturati e condivisi nella
6. Jönsson L, et al. Value Health 9: 193-198, 2006.
comunità diabetologica possibilmente che, grazie anche
7.
McEwan P, et al. Diabetes Obes Metab 12: 431-436, 2010.
alla preparazione di kit educativi comuni, possa facilita-
8.
Stargadt T, et al. Health Qual Life Outcomes 22; 7: 91,
re la comunicazione degli elementi base della percezione,
2009.
prevenzione e trattamento dell’ipoglicemia. La richiesta di una maggior disponibilità di personale dedicato per l’educazione terapeutica, di maggiori risorse per materiale educativo e per il monitoraggio glicemico può essere letta come una dichiarazione di limitazione del tempo da dedicare a processi educativi organizzati. Purtroppo, il nostro sistema sanitario poco concede all’educazione terapeutica, mentre l’empowerment della persona con diabete è una procedura in grado di migliorare gli outcome clinici e ridurre i costi del trattamento. Il rischio d’ipoglicemia è percepito dal diabetologo come un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi terapeutici. La metà circa dei medici che hanno risposto al questionario dichiara di essere fortemente condizionata 21
DO C U M ENTI
Co m m e nto
del paziente da parte di altre persone (parenti o amici) o il ricovero in ospedale per il trattamento. Verosimilmen-
Indagine sull’atteggiamento del diabetologo nei confronti dell’ipoglicemia nel paziente con diabete
te tutti (o quasi tutti) i pazienti che hanno avuto un’ipoglicemia grave informano il proprio diabetologo. Per questo sorprende il dato della survey promossa dalla SID sull’atteggiamento del diabetologo nei confronti dell’ipoglicemia nel paziente con diabete, da cui risulta che solo il 75% degli operatori registra i casi di ipoglicemia grave
Carmine Fanelli
(su supporto cartaceo o informatizzato) e solo il 14% degli operatori è in possesso dei dati relativi alla frequenza di
Dipartimento di Medicina Interna, Scienze Endocrine e Metaboliche, Università degli Studi di Perugia
ipoglicemia grave nella propria popolazione. Una spiegazione per questa incongruenza può essere ricercata nel fatto che almeno il 50% degli operatori che utilizza una cartella clinica informatizzata non ha a disposizione un
L’ipoglicemia iatrogena è la complicanza più comune del-
campo specifico dedicato all’ipoglicemia. Inoltre, sor-
la terapia ipoglicemizzante condotta con insulina, sulfo-
prende la disomogeneità con cui sono registrati gli even-
niluree e glinidi, mentre è meno comune con gli altri an-
ti ipoglicemici riguardo al valore soglia di definizione
tidiabetici orali. È più frequente nei pazienti con diabete
dell’ipoglicemia. Infatti, 9,4% e 12% degli operatori regi-
di tipo 1 rispetto a quelli con diabete di tipo 2, e nei sog-
strano solo episodi con glicemie inferiori a 60 e 50 md/dl,
getti con un deficit più marcato di secrezione insulinica e
rispettivamente, mentre il 53% registra episodi di ipogli-
maggiore durata di malattia. È responsabile di una com-
cemia <70 mg/dl. Questo significa che non vi è un con-
promissione acuta delle condizioni intellettuali e fisiche
senso tra gli operatori sulla definizione di ipoglicemia e
del paziente e, se prolungata o grave, può determinare
che è necessaria una standardizzazione.
confusione, convulsioni, perdita di coscienza e perfino
Le risposte alla survey che riguardano l’educazione, le in-
la morte. L’ipoglicemia aumenta il rischio di eventi car-
formazioni che gli operatori danno ai pazienti, il tempo
diovascolari (1-2), di demenza (3), di fratture (6) e di mor-
a questi dedicato durante la prima e le visite successive,
talità generale (8). Inoltre, riduce la qualità di vita (4-5),
il tipo di operatore e le modalità che gli operatori stes-
genera paura nei confronti della terapia ipoglicemizzan-
si utilizzano per istruire il paziente sulla gestione delle
te (7) con ricadute negative sulla adesione del paziente al
ipoglicemie non sono del tutto uniformi. Questo in par-
trattamento e aumenta i costi sanitari del diabete (9). La
te dipende probabilmente dal sistema organizzativo del
prevenzione del rischio di ipoglicemia è quindi uno de-
singolo centro di diabetologia. Tuttavia, l’educazione/
gli obiettivi principali che i pazienti e i diabetologi de-
informazione del paziente verso il problema ipoglicemia
vono perseguire continuamente nel corso della terapia,
è fornita generalmente in maniera soddisfacente. È evi-
soprattutto se intensiva. Ne consegue pertanto che oggi
dente, però, che il tempo dedicato per l’ipoglicemia (> 10
il buon controllo glicemico o il controllo glicemico otti-
minuti solo dal 40% degli operatori) può essere spesso in-
mizzato non significa solo il raggiungimento e il man-
sufficiente soprattutto per alcune tipologie di pazienti,
tenimento della glicemia quasi-normale, ma anche la
come per i pazienti con ipoglicemie ricorrenti, asintoma-
riduzione a livelli accettabili del rischio di ipoglicemia.
tiche o con fattori di rischio per ipoglicemia e richiedere
La visita diabetologica deve comprendere necessaria-
generalmente un tempo >10 minuti. Verosimilmente, la
mente la rilevazione degli episodi di ipoglicemia con
mancanza di un protocollo standardizzato per l’educazio-
l’obiettivo di caratterizzarli prima di tutto per la gravità
ne/informazione del paziente nella maggior parte delle
e, per quelli non gravi di definirne le caratteristiche cli-
unità operative (> 64% delle unità operative) contribui-
niche (sintomatiche o asintomatiche) e identificarne la
sce a spiegare l’apparente disomogeneità dell’intervento
frequenza e i fattori favorenti. In generale, gli episodi di
educativo.
ipoglicemia grave vengono facilmente ricordati dai pa-
Per quanto riguarda le caratteristiche dell’ipoglicemia la
zienti o dai loro familiari perché richiedono l’assistenza
survey evidenzia come la maggior parte degli operatori 22
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
valuti criticamente i profili glicemici dei pazienti e pon-
quali l’ADA (American Diabetes Association) (10), la Endocrine
ga particolare attenzione alla presenza di ipoglicemia
Society (10), l’ISPAD (International Society for Pediatric and Ado-
asintomatica (hypoglycemia unawareness) che costituisce un
lescent Diabetes) (11), identificano come livello soglia per
fattore di rischio per l’ipoglicemia grave. Il verificarsi di
la definizione di ipoglicemia valori < 70 mg/dl. Anche i
episodi di ipoglicemia grave spinge, giustamente, l’ope-
principali enti regolatori FDA (12) e EMA (13) ritenendo
ratore a riconsiderare lo schema terapeutico, a migliora-
che la definizione di ipoglicemia debba essere standar-
re l’autocontrollo glicemico, a programmare incontri di
dizzata nell’ambito di protocolli di ricerca e clinical trials, si
rinforzo educazionale e a ricercare la presenza di ipogli-
sono allineati alla definizione, classificazione e scelta del
cemia asintomatica. Tuttavia, il questionario non chiede
livello soglia di ipoglicemia di 70 mg/dl proposto dall’ADA
quali siano gli atteggiamenti correttivi messi in atto da-
per gli adulti e dall’ISPAD per i bambini. Si ricorda che ne-
gli operatori per i pazienti con ipoglicemia asintomatica.
gli Standard Italiani per la Cura del Diabete Mellito SID-
Gli operatori dimostrano di conoscere le conseguenze
AMD (14) si definisce come ipoglicemia valori glicemici
cliniche, in particolare cardiache, neurologiche, trau-
< 70 md/dl. Quindi, la necessità di uniformare la defini-
matiche, e psicosociali dell’ipoglicemia. Conoscono le
zione di ipoglicemia potrebbe essere soddisfatta, sempli-
tipologie di pazienti a maggior rischio di ipoglicemia e
cemente, aderendo alla classificazione proposta dall’ADA
sanno che per questi pazienti, la paura dell’ipoglicemia
e utilizzando il valore di 70 mg/dl come livello soglia di
può rappresentare un importante ostacolo all’accettazio-
ipoglicemia da parte di tutti gli operatori italiani. Inol-
ne della terapia. Inoltre, è evidente come il rischio di ipo-
tre, nell’ottica di raggiungere un obiettivo di standardiz-
glicemia condizioni fortemente la decisione dell’operato-
zazione più ampio non solo in termini di definizione di
re in merito alla scelta terapeutica e il grado di controllo
ipoglicemia, ma anche di rilevazione della frequenza di
glicemico da raggiungere. Generalmente, è data scarsa
ipoglicemia, sia grave e non grave, e di presenza di ipo-
rilevanza all’aspetto dei costi associati all’evento ipogli-
glicemia asintomatica (hypoglycemia unawareness) sarebbe
cemico, mentre si ritiene molto importante l’impatto ne-
estremamente utile la realizzazione e la diffusione di un
gativo dell’ipoglicemia sulla qualità di vita dei pazienti.
questionario composto da pochi quesiti, inserito nella
Infine, sono indicati gli strumenti ritenuti più utili per
cartella informatizzata, capace di cogliere la frequenza
implementare programmi educazionali per l’ipoglice-
di ipoglicemia, eventuali ipoglicemie gravi e la presen-
mia, ritenendo la maggior parte dei partecipanti (il 63%)
za di ipoglicemia asintomatica (hypoglycemia unawareness).
non sufficienti i programmi di educazione continua in
Questo strumento consentirebbe lo studio longitudinale
medicina (ECM) finora svolti.
degli eventi ipoglicemici nel singolo centro e, se adottato
Un dato che colpisce in questa survey riguarda la man-
in maniera diffusa, nel territorio nazionale.
canza della presenza di una cartella clinica informatiz-
In conclusione, la survey evidenzia come la maggior par-
zata in circa il 30% delle unità operative interpellate, un
te degli operatori siano molto sensibili verso la proble-
deficit che sicuramente non facilita la gestione del diabe-
matica dell’ipoglicemia, ritenendo che l’ipoglicemia rap-
te e della complicanza ipoglicemia, soprattutto nell’am-
presenti un reale ostacolo nell’attuazione della terapia
bito di una gestione integrata con altri specialisti e con
mirata al raggiungimento del buon controllo glicemico.
il MMG. Colpisce anche il dato che evidenzia l’assenza di
Tutti riconoscono l’effetto negativo dell’ipoglicemia sulla
un campo specifico dedicato all’ipoglicemia nella cartel-
qualità di vita e il rischio di generare complicanze. Tut-
la clinica informatizzata nella metà delle unità operative
tavia, dalla survey emerge anche la necessità di stabilire
che ne sono dotate. Pertanto, è auspicabile che una sezio-
modalità di rilevazione dell’ipoglicemia più uniformi,
ne della cartella dedicata all’ipoglicemia diventi disponi-
che utilizzino strumenti integrati nella cartella clinica
bile presso tutte le unità in modo che ognuna di queste
informatizzata, in grado di registrare rapidamente gli
possa raccogliere le informazioni sull’ipoglicemia nella
aspetti più importanti dell’ipoglicemia, in modo che
propria popolazione. A questa considerazione se ne deve,
l’operatore e il paziente possano concordare tempestiva-
peraltro, aggiungere subito una seconda: la necessità di
mente la strategia educativa e terapeutica più appropria-
standardizzazione della definizione di ipoglicemia. Per
ta per prevenire l’ipoglicemia. Infine, emerge l’esigenza
questo si ricordi che diverse società scientifiche, tra le
di implementare programmi educativi sull’ipoglicemia e 23
DO C U M ENTI
di promuovere attività ECM che forniscano informazioni
12. FDA: Guidance for Industry Diabetes Mellitus: Develop-
adeguate sul tema dell’ipoglicemia.
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24
SID-AMD
(http://www.siditalia.it/linee-guida.
OPINIONI A CONFRONTO
a cura di Anna Solini1, Agostino Consoli2 1 Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa; 2Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, Università degli Studi di Chieti-Pescara “G. D’Annunzio”
La nuova veste editoriale de il Diabete si accompagna ad alcune variazioni nelle caratteristiche della rubrica “Opinioni a confronto”. Innanzitutto la rubrica stessa si avvarrà di un secondo curatore, Anna Solini, che da questo numero affiancherà Agostino Consoli nella proposta dei temi e nella selezione dei discussant. In secondo luogo, abbiamo pensato di rivedere la struttura rigida che prevedeva la presenza “obbligatoria” di due discussant che esprimessero opinioni contrastanti su uno stesso argomento; infatti, molte problematiche scientifiche e situazioni cliniche sulle quali si riscontra un ampio accordo possono comunque presentare una serie di limitazioni e di difficoltà che ne ostacolano la applicabilità nella pratica clinica. Per questa ragione abbiamo deciso di ospitare in alcuni numeri nella rubrica, oltre ad effettivi “confronti” di opinioni diverse su uno stesso argomento, discussioni su un argomento da parte di un singolo esperto o gruppo di esperti, che avranno però il preciso compito di illustrare “luci ed ombre” relative ai temi trattati. Per il numero odierno, abbiamo chiesto ad un indiscusso esperto della materia, Pierpaolo De Feo, di fare il punto sulle reali applicabilità cliniche e sulle ricadute osservate dell’esercizio fisico inteso come vero e proprio strumento terapeutico nel diabete di tipo 2. Verranno prima discussi dati recenti che sembrerebbero suggerire che l’esercizio fisico strutturato possa rappresentare una potente arma terapeutica, con buone caratteristiche di efficacia e, ovviamente, amplissime caratteristiche di sicurezza. Verranno però poi affrontate anche le “ombre”, relative alla difficoltà di implementazione dei programmi di incentivazione della attività fisica, ai loro costi ed alla generale “arretratezza” culturale e strutturale del nostro sistema salute rispetto a questo argomento (pur non mancando, anche in questo campo, lodevoli eccezioni). Nella speranza che anche questo formato leggermente diverso catturi la Vostra attenzione e possa stimolare il Vostro interesse, Vi auguriamo buona lettura. Anna Solini, Agostino Consoli
L’esercizio fisico è un efficace strumento terapeutico nel diabete di tipo 2?
DISCUSSANT
Pierpaolo De Feo, Cristina Fatone Healthy Lifestyle Institute, C.U.R.I.A.MO., Università degli Studi di Perugia
Argomenti a favore La pratica regolare di attività motoria è da sempre considerata esigenza biologica dell’essere umano, requisito fondamentale e garanzia dell’integrità e del benessere psico-fisico dell’uomo. Dal IV sec. a.C. quando la medicina greca proponeva “la ginnastica medica”, come mezzo di educazione del fisico e della personalità dell’individuo, al 1953, quando J. Morris fornì la prima evidenza scientifica sulla positiva relazione tra stile di vita attivo e morbilità cardio-vascolare ad oggi, si è progressivamente implementata una corposa evidenza scientifica che sostiene la pratica regolare di attività fisica come fattore determinante nella prevenzione e nella cura di molte patologie croniche. La sedentarietà oggi, costituisce la quarta causa di mortalità nel mondo, responsabile di circa 3,2 milioni di morti annuali e fattore di rischio chiave nella diffusione di malattie croniche non trasmissibili (NCD o Non Comunicable Deseas) come diabete, neoplasie e malattie cardio-vascolari. Il diabete colpisce 171 milioni di adulti a livello mondiale (2,8%), numero destina25
O P INIONI A C ON F RONTO
to a crescere fino a circa 400 milioni (5,3%) entro il 2025; e il 90-95% dei casi è, e sarà, rappresentato dal diabete di tipo 2, non insulino-dipendente, la forma strettamente associata ad uno stile di vita sedentario (1). Il termine “attività fisica” indica qualsiasi movimento corporeo prodotto dal muscolo scheletrico, che comporta un dispendio energetico e include molteplici tipologie di attività: lavorative, di piacere e qualsiasi attività quotidiana. Il termine “esercizio” si riferisce ad un’attività strutturata e pianificata e include movimenti corporei ripetitivi, eseguiti con l’obiettivo di mantenere o migliorare la forma fisica (“physical fitness”): capacità aerobica, forza e resistenza muscolare, flessibilità e composizione corporea. L’esercizio fisico rappresenta di certo un elemento essenziale nella gestione terapeutica del diabete, sia in termini di prevenzione primaria (per la positiva modulazione dei molteplici fattori di rischio della malattia), che secondaria (per il contenimento della sua diffusione e gravità) e terziaria (per l’ottimale gestione delle complicanze micro e macroangiopatiche, tipicamente caratterizzanti la malattia). La sua azione “pleiotropica”, gli effetti benefici generati a livello del sistema cardiovascolare, muscolo-scheletrico, endocrino-metabolico e immunitario nonché sulla sfera psichica, generano un favorevole controllo del quadro glico-metabolico, di vari fattori di rischio cardiovascolare, ma anche della qualità della vita. Ne conseguono una riduzione della mortalità per cause cardiovascolari compresa tra il 30 e il 60% nei vari studi epidemiologici, e una significativa riduzione della mortalità da tutte le cause, effetti che complessivamente sono paragonabili a un intervento plurifarmacologico intensivo. Negli ultimi decenni, una consistente evidenza scientifica ha sostenuto l’attività fisica e in particolare, l’esercizio fisico, come una strategia terapeutica efficace nella gestione del diabete di tipo 2 (2-13) e recenti meta-analisi hanno permesso di sintetizzare ed identificare programmi di esercizio specifici, efficaci e sicuri, per la popolazione diabetica. Le principali Società Scientifiche (American Diabetes Association, American College of Sports Medicine e American Heart Association) si sono recentemente espresse, all’unanimità e con coerenza, definendo i cardini di un ottimale intervento sullo stile di vita del persone con diabete; l’esercizio-terapia dovrebbe essere il core di un intervento strutturato, prescritto e proposto secondo le stesse modalità della prescrizione farmacologica, al fine di massimizzarne i benefici e contenerne i rischi (14-17). E V IDENZE PER LA PRE V ENZIONE DEL DIABETE Almeno cinque grandi studi randomizzati, condotti negli Stati Uniti, Cina, Finlandia, Giappone e India, hanno documentato una riduzione (del 30%-60%) dell’incidenza di diabete in popolazioni ad alto rischio, mediata da uno strutturato intervento sullo stile di vita (18-22). E almeno tre di questi RCT, in un prolungato follow-up, hanno confermato l’estensione nel tempo, del positivo effetto dell’intervento sulla riduzione del rischio di comparsa di DM2 (18-20). Un programma che preveda la pratica di attività motoria aerobica (da moderata a intensa) per almeno 150 minuti a settimana e la correzione di alcuni aspetti nutrizionali (lieve deficit calorico, incremento del consumo di fibra, riduzione dell’apporto dei grassi saturi e degli zuccheri semplici), capace di migliorare il quadro ponderale (riduzione minima del 5-7% del peso corporeo), riduce significativamente il rischio di sviluppare DM2, con netta riduzione dell’incidenza della malattia. E V IDENZE PER LA TERAPIA DEL DIABETE L’esercizio fisico migliora significativamente il controllo glicemico (glicemia a digiuno, HbA1c e insulino-sensibilità). Il mediatore indiscutibile di tale risultato è rappresentato dal sistema muscolo-scheletrico. Un dato di fisiologia, spesso sottovalutato, riguarda il ruolo del tessuto muscolare nella definizione della sensibilità all’insulina; il muscolo scheletrico rappresenta da solo circa il 90% di tutti i tessuti insulino-sensibili. Nei pazienti con DM2, obesi e insulinoresistenti, sono ben documentate alterazioni quantitative e qualitative del muscolo scheletrico; oltre a una significativa riduzione della massa muscolare (che rappresenta più del 90% del peso di un soggetto ben allenato rispetto al 75-80% riscontrabile nei soggetti sedentari, a parità di peso), il tessuto muscolare della persona con diabete mostra peculiari anomalie funzionali che vengono sinteticamente descritte come “disfunzione mitocondriale” e “inerzia metabolica”. 26
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Nei soggetti con diabete di tipo 2, l’esercizio fisico strutturato, aerobico, di forza o combinato, determina una diminuzione dell’HbA1c (compresa tra 0,51-0,73 punti percentuali), con una relazione dose-dipendente. Il maggiore effetto si ottiene con attività che preveda la combinazione di attività aerobica e di forza, soprattutto se della durata di almeno 150 minuti a settimana (7-12). L’allenamento aerobico (o di resistenza) ha effetti migliorativi sulla capacità aerobica (VO2 max) dei soggetti e sul controllo glicemico (in particolare l’HbA1c), mentre non sembra avere effetti determinanti sul quadro ponderale e sull’assetto lipidico (2, 3, 23). L’intensità dell’attività aerobica, (% VO2 max) sembra essere maggiormente relata, rispetto al volume di attività praticata (MET/h/sett), all’entità del miglioramento della VO max e della HbA1c oltre che dell’insulinosensibilità (24-25); un’attività aerobica vigorosa ha benefici superiori rispetto ad una attività di moderata intensità. Anche l’allenamento contro resistenza o di forza, è efficace nel migliorare il controllo glicemico, molteplici fattori di rischio cardio-vascolare e l’insulino sensibilità. Nell’ultimo decennio è aumentata l’evidenza scientifica in merito a questo argomento e in particolare tre grossi RCT (26-28) hanno evidenziato l’efficacia dell’allenamento di forza nel miglioramento del controllo glicemico. Effetto mediato dagli adattamenti morfologici, strutturali e quindi funzionali della massa magra, che determinano un’aumentata abilità nel depositare glicogeno muscolare e quindi una riduzione dell’insulino-resistenza. L’associazione delle due tipologie di attività (attività combinata) sembra essere la modalità di allenamento con maggiore efficacia (7, 29-31), garantendo effetti sinergici e incrementali nel controllo della glicemia. È verosimile che la maggior parte degli effetti benefici documentati nell’esercizio fisico combinato siano dovuti sia all’incremento della VO2max (3, 11, 40), della biogenesi mitocondriale (40) e della sensibilità all’insulina (6, 45, 33), effetti prevalenti dell’attività aerobica, ma anche all’incremento della forza e della resistenza della massa muscolare, effetti diretti della attività di forza (6, 11, 40). In linea teorica si dovrebbe accumulare un volume di attività aerobica, di 2,5 ore settimanali, se di moderata intensità (14-15), o di 1, 5 ore settimanali, se di più elevata intensità. In pratica, l’intensità di esercizio fisico proponibile alle persone con DM2 è, nella maggior parte dei casi, moderata (3-6 MET o 40-60% VO2max). Considerando l’età, la frequente coomorbidità e il grado di allenamento, esercizi di elevata intensità sono spesso poco proponibili (32). Inoltre, un’attività di intensità moderata può essere sostenuta per un tempo prolungato ed evidenze scientifiche dimostrano come attività di intensità moderata/lunghe distanze, aumentino la sensibilità all’insulina fino a 14 giorni dopo la fine dell’ultima sessione di allenamento (33) oltre che favorire il consumo dei lipidi (34). Alcuni studi dimostrano che la quantità di energia spesa con l’esercizio aerobico capace di produrre il miglior beneficio, varia tra i 20-30 MET/h/settimana (4, 11), corrispondente a circa 20-30 km settimanali, percorsi a piedi, ad una velocità di 4-5 km/h. Tuttavia, le modalità di allenamento più efficaci per i soggetti con DM2, sono continuamente sottoposte a revisione e ridefinizione; recentemente ad esempio, è stato confrontato il semplice camminare, in maniera continuativa, a intensità moderata, con una tipologia di allenamento intervallato (camminare alternato a 3 min. di ripetizioni a bassa e ad alta intensità), evidenziando la superiorità di questa seconda modalità, nel migliorare la forma fisica, la composizione corporea e il controllo glicemico, anche a parità di spesa energetica (35) (Tab. 1 e 2). La pratica di esercizio fisico è determinante per il miglioramento e il mantenimento del quadro ponderale. Livelli adeguati di attività fisica e/o esercizio strutturato, sono essenziali nel perseguire un calo ponderale significativo e, soprattutto, nel suo mantenimento nel corso del tempo. I livelli di attività fisica praticati costituiscono il miglior predittore del mantenimento del peso corporeo, raggiunto dopo uno strutturato tentativo di calo ponderale (36-38). I risultati del follow-up di 4 anni dello studio LOOK-HAED hanno evidenziato che gli effetti benefici di un intervento intensivo sullo stile di vita (che incrementi i livelli di attività fisica e riduca l’apporto calorico medio) sono similari nei soggetti gravemente obesi e in sovrappeso. I soggetti con BMI >40 Kg/m2 mostrano la stessa compliance e un similare miglioramento del peso corporeo e del rischio cardiovascolare, rispetto ai partecipanti meno obesi, suggerendo che l’esercizio-terapia possa essere un’opzione efficace anche in questa popolazione (13). E dati più recenti relativi allo stesso studio, hanno
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Tabella 1
Attività aerobica o di resistenza o di endurance, qualsiasi esercizio che interessi ampi gruppi muscolari,
mantenibile nel tempo, di natura ritmica e aeorobica (camminata, jogging, bicicletta o esercizi su macchine aerobiche: cyclette, ellittico, arm-ergometro)
Frequenza Durata Intensità
Almeno 3 volte/sett con non più di 48 ore di inattività fra 1 seduta e la successiva Almeno 30 minuti/die, fino a 7 ore a settimana per il mantenimento del peso corporeo (dopo calo ponderale) Moderata
Vigorosa
150 minuti/sett
90 min/sett > 70% FC MAX
50-70% FC MAX
> 60% VO2MAX
40-60% VO2MAX
> 60% FC DI RISERVA
40-60% FC DI RISERVA
Grado di sforzo percepito >13 (SCALA DI BORG 6-20)
Grado di sforzo percepito 11-13 (SCALA DI BORG 6-20)
Grado di sforzo percepito > 4 (SCALA DI BORG 1-10)
Grado di sforzo percepito 2-4 (SCALA DI BORG 1-10)
Tabella 2
Attività contro resistenza o di forza (associata all’attività aerobica e non sua sostituta): esercizi (che
prevedono contrazioni concentriche-eccentriche) con carichi crescenti, eseguiti con serie e ripetizioni, ma anche con allenamento a circuito (circuit training)
Frequenza
3 gg a settimana (non consecutivi)
Intensità
Moderata, evitando carichi pesanti
dimostrato la maggiore probabilità di remissione parziale della malattia diabetica, nel gruppo di pazienti seguito con approccio comportamentale intensivo rispetto a quello supportato secondo le modalità standard (39). L’esercizio fisico migliora fattori di rischio cardiovascolare (11, 13-14) e promuove il raggiungimento e il mantenimento di una buona forma fisica (CFR o fitness cardio respiratoria (3, 9, 11, 40) in soggetti con diabete di tipo 2. Diversi studi prospettici hanno dimostrato una significativa relazione inversa tra il CFR e tutte le cause di mortalità nei soggetti con diabete di tipo 2; il miglioramento di 1 solo MET (3,5 ml.kg-1 min-1 di ossigeno) riduce il rischio di morte di circa il 18% (41-42) nella popolazione diabetica. E alcuni studi hanno messo in evidenza l’associazione tra più elevati livelli di attività fisica e più basso rischio di mortalità (43). Tuttavia, recentemente il LOOK-HEAD è stato interrotto dal National Instiutute of Health, perché l’intervento che prevedeva attività ad alta intensità non riduceva l’incidenza di eventi cardiovascolari, end-point primario dello studio (44). Al momento pertanto, non è accertato che l’esercizio fisico regolare possa ridurre in modo significativo gli eventi cardiovascolari in soggetti con DM2/obesi-sovrappeso. L’esercizio fisico strutturato e supervisionato è consigliato anche a soggetti con precedenti eventi cardiovascolari, ma lo screening per il rischio CVD prima di iniziare il protocollo di allenamento è importante per ridurre al minimo il rischio di complicazioni cardiovascolari acute indotte dall’esercizio fisico. Questi aspetti sono discussi in dettaglio nelle linee guida redatte dall’American Diabetes Association e dall’American College of Sports Medicine (15). 28
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L’esercizio fisico regolare migliora la qualità della vita e il tono di umore dei soggetti diabetici (46-47), effetti che supportano l’efficacia di uno strutturato intervento sullo stile di vita dei soggetti obesi e con diabete, anche nel contrastare il peso sociale della depressione, secondo le proposte dell’OMS (48). Negli ultimi anni si è implementata l’attività di ricerca volta a definire i rischi psicopatologici che possono essere associati all’obesità ed al diabete. La depressione, in particolare, è uno dei disturbi più frequenti e, come l’obesità e il diabete, contribuisce sostanzialmente alla morbilità ed alla mortalità. Una recente meta-analisi ha dimostrato che l’11,4% dei pazienti con diabete risponde anche ai criteri di comorbilità con la depressione maggiore ed il 31% ha significativi sintomi depressivi; e si conferma come, in presenza di depressione, i soggetti diabetici mostrino una peggiore adesione ai trattamenti con conseguenti peggiori esiti clinici. Numerosi studi dimostrano come interventi strutturati incentrati sull’esercizio-terapia, abbiano migliorato la modalità di relazionarsi dei pazienti, con se stessi e con gli altri (49), risultato di certo non ottenibile con la terapia farmacologica; e come il rapporto medico-paziente possa migliorare quando l’esercizio viene utilizzato come strategia di base per trattare il diabete di tipo 2, perché il counseling favorisce l’empatia e l’ascolto (32, 50).
Argomenti contro È difficile l’applic a zione e l’ implementa zione dell’ e sercizio -t er apia Di fronte ad una convincente evidenza scientifica sull’efficacia dell’esercizio-terapia nella prevenzione e nella gestione della malattia diabetica, si pone la altrettanto forte e indiscutibile evidenza della sua difficile applicazione e fattibilità, nella gestione a lungo termine dei pazienti diabetici. Il pieno rispetto di una prescrizione terapeutica in termini di esercizio richiede una forte motivazione e capacità, sia nei diabetici che negli operatori, nonché una forte alleanza terapeutica fra questi. Le criticità che possono ostacolare questa relazione virtuosa sono diverse; in primis la formazione e le conoscenze del diabetologo o dell’operatore sanitario propositore, nonché il suo stesso stile vita e la sua considerazione riguardo l’importanza di uno stile di vita salutare. I medici non sono preparati in merito all’uso dell’esercizio fisico come strumento terapeutico; il percorso accademico e spesso il percorso di vita e professionale, non consentono di conoscere e apprendere le modalità più appropriate di gestione e prescrizione di un farmaco come “l’esercizio fisico”. Son spesso in prima persona i medici a non credere nella necessità, nella sicurezza e nell’efficacia di uno stile di vita equilibrato (32); lo dimostra anche la diffusa prevalenza della sedentarietà, del sovrappeso e della sindrome metabolica, nella classe medica. È stato recentemente dimostrato come i medici con un BMI normale rispetto ai loro colleghi in sovrappeso/obesi siano più efficaci nelle consulenze volte alla modifica dello stile di vita (51). Il paziente è per lo più istruito a gestire la propria patologia con i farmaci, a monitorizzare le proprie glicemie per eseguire appropriati adeguamenti posologici della terapia; è educato alla semplicità e immediatezza dell’assunzione di una compressa, piuttosto che al rispolverare “le proprie scarpe da tennis” e le abilità e il piacere di riprendere a praticare un’attività considerata essenziale in precedenza. I nostri pazienti sono generalmente abituati a credere in ciò che vedono: e se “chi si prende cura di loro” crede nella bontà di una compressa e non nella eguale efficacia “delle gambe”, impareranno a pensarla allo stesso modo. Le difficoltà sono nei tempi a disposizione per la valutazione ambulatoriale che spesso l’organizzazione di un ambulatorio diabetologico impone, per la sua povertà di personale e strutture, a fronte di una richiesta massiva e, in progressiva crescita, di assistenza. È spesso impossibile dedicare più di 15-20 minuti ad una valutazione diabetologica; considerato il tempo dedicato alla inevitabile raccolta di dati anamnestici recenti, alla valutazione delle complicanze micro e macroangiopatiche, i pochi minuti che rimangono sono spesso appena sufficienti per far comprendere al paziente la possibilità di migliorare la gestione della malattia anche senza l’aiuto dei farmaci. Lo studio di Di Loreto et al. (50) dimostra che il medico può, con un’attività strutturata di counseling per l’esercizio fisico, motivare a lungo termine
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circa il 70% dei pazienti con diabete ma questa attività richiede un primo colloquio solo mirato all’esercizio fisico di circa 30 minuti e dei rinforzi di 15 minuti ogni 3-6 mesi. Supportare il paziente nella modifica del suo stile di vita, non può prescindere dalla valutazione di aspetti psicologici, affettivi e cognitivo-comportamentali oltre che naturalmente del quadro metabolico. La prescrizione dell’esercizio fisico dovrebbe pertanto far parte di un intervento strutturato, gestito da un team multidisciplinare, che prevede la presenza e l’integrazione del lavoro di differenti figure professionali; modello di intervento rispettoso dell’eziopatogenesi bio-psico-sociale, della malattia diabetica. Solo se associato ad una corretta valutazione globale della persona e ad un opportuno supporto motivazionale, il programma strutturato di esercizio fisico, potrà risultare efficace nella modifica dello stile di vita; solo così il paziente potrà partecipare attivamente e autonomamente ad un processo di cambiamento, durevole. Per implementare l’esercizio-terapia nel diabete di tipo 2 è necessario produrre chiare evidenze di fattibilità e di sostenibilità economica dei modelli di cura ambulatoriali incentrati sull’esercizio fisico, modelli che apparentemente sono più costosi perché coinvolgono più figure professionali ma che potenzialmente possono consentire un risparmio di spesa sia per il servizio sanitario nazionale che per la società. Un altro aspetto che sta a monte dell’organizzazione del sistema sanitario e che incide significativamente sulla pratica regolare dell’esercizio fisico da parte della popolazione in generale, e anche delle persone con diabete, riguarda l’organizzazione sociale, la presenza di infrastrutture nel tessuto urbano (percorsi pedonali, ciclabili) e nei luoghi di lavori, la sicurezza del territorio, le misure fiscali e assicurative a favore della pratica dell’esercizio fisico che nel nostro Paese richiede una strategia di intervento globale e coordinato. Questi aspetti sono stati trattati di recente in un documento pubblicato nel sito web della World NCD Alliance in cui vengono suggerite le strategie intersettoriali da applicare in Italia per favorire l’attività motoria (52). BIBLIO GRAFIA 1. Global health risks: mortality and burden of disease attributable to selected major risks. Geneva, World Health Organization, 2009. 2. Boulé NG, Haddad E, Kenny GP, Wells GA, Sigal RJ. Effects of exercise on glycemic control and body mass in type 2 diabetes mellitus: a meta-analysis of controlled clinical trials. JAMA 286: 1218-1227, 2001. 3. Boulé NG, Kenny GP, Haddad E, Wells GA, Sigal RJ. Meta-analysis of the effect of structured exercise training on cardiorespiratory fitness in Type 2 diabetes mellitus. Diabetologia 46: 1071-1081, 2003. 4. Di Loreto C, Fanelli C, Lucidi P, Murdolo G, De Cicco A, Parlanti N, Ranchelli A, Fatone C, Taglioni C, Santeusanio F, De Feo P. Make your diabetic patients walk: long-term impact of different amounts of physical activity on type 2 diabetes. Diabetes Care 28: 1295-1302, 2005. 5. Snowling NJ, Hopkins WG. Effects of different modes of exercise training on glucose control and risk factors for complications in type 2 diabetic patients. A meta-analysis. Diabetes Care 29: 2518-2527, 2006. 6. Thomas DE, Elliott EJ, Naughton GA. Exercise for type 2 diabetes mellitus. Cochrane Database Syst Rev 3: CD002968, 2006. 7. Sigal RJ, Kenny GP, Boulé NG, Wells GA, Prud’homme D, Fortier M, Reid RD, Tulloch H, Coyle D, Phillips P, Jennings A, Jaffey J. Effects of aerobic training, resistance training, or both on glycemic control in type 2 diabetes: a randomized trial. Ann Intern Med 147: 357-369, 2007. 8. Yates T, Khunti K, Bull F, Gorely T, Davies MJ. The role of physical activity in the management of impaired glucose tolerance: a systematic review. Diabetologia 50: 1116-1126, 2007. 9. Hordern MD, Coombes JS, Cooney LM, Jeffriess L, Prins JB, Marwick TH. Effects of exercise intervention on myocardial function in type 2 diabetes. Heart 95: 1343-1349, 2009. 10. Church TS, Blair SN, Cocreham S, Johannsen N, Johnson W, Kramer K, Mikus CR, Myers V, Nauta M, Rodarte RQ, Sparks L, Thompson A, Earnest CP. Effects of aerobic and resistance training on hemoglobin A1c levels in patients with type 2 diabetes: a randomized controlled trial. JAMA 304: 2253-2262, 2010.
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m e d i c i n a t r a s l a z i o n a l e : a p p l i c a z i o n i c l i n i c h e d e l l a r i c e rc a d i b a s e
a cura di Francesco Purrello Dipartimento di Biomedicina Clinica e Molecolare, Università degli Studi di Catania
Inizia da questo numero della rivista una nuova Rubrica, che abbiamo chiamato “Medicina Traslazionale: applicazioni cliniche della ricerca di base”. La Medicina Traslazionale si basa sulla capacità di trasferire nuove conoscenze dalla scienza di base a quella biomedica in modo da generare applicazioni diagnostiche e terapeutiche avanzate. Si occupa di tutto ciò che, in ambito medico, traduce la scoperta scientifica che avviene nei laboratori di ricerca in risultati clinici al letto del malato. Questa nuova Rubrica vuole evidenziare lo stretto legame, anche in ambito diabetologico, tra due mondi apparentemente lontani, quello della ricerca di base e quello della pratica clinica, e vuole offrire ai lettori la possibilità di conoscere quegli ambiti di ricerca che risultano particolarmente innovativi e con prospettive più o meno immediate di applicazione clinica. L’articolo presente in questo numero spiega come la scoperta dei microRNA (piccoli frammenti di RNA) abbia portato alla comprensione di meccanismi di regolazione della sintesi di proteine finora sconosciuti. I microRNA vengono oggi anche dosati in circolo, e quindi si prospetta la possibilità che, da un semplice prelievo di sangue effettuato al letto del malato, si possano ottenere preziose informazioni sullo stato di avanzamento della malattia diabetica e delle sue complicanze. Francesco Purrello
MicroRNA circolanti: nuovi biomarcatori diagnostici e prognostici nel diabete mellito
Guido Sebastiani1, Laura Nigi2 Dipartimento di Scienze Mediche Chirurgiche e Neuroscienze, U.O. Diabetologia, Università degli Studi di Siena; 2Fondazione Umberto Di Mario Onlus, TLS-Toscana Life Sciences, Siena
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In troduzione La scoperta di nuovi biomarcatori, costituisce ad oggi una sfida per la predizione, la diagnosi precoce e per il follow-up di pazienti affetti da diabete mellito al fine di prevenirne le complicanze e per sviluppare le migliori strategie diagnostiche e terapeutiche. Purtroppo, l’identificazione di nuovi biomarcatori in ambito diabetologico è resa difficile dall’assenza di specifiche molecole che, da un lato siano facilmente individuabili e misurabili in modo non-invasivo e, dall’altro, forniscano informazioni dettagliate sullo stato delle isole pancreatiche e degli altri organi e tessuti coinvolti in tale patologia. Recentemente, è stata individuata una nuova classe di molecole, i microRNA, presenti all’interno della maggior parte delle cellule del nostro organismo e che potrebbero rappresentare degli ideali biomarcatori. Essi, all’interno delle cellule, hanno la funzione di inibire l’espressione dei geni che codificano per proteine e, perciò, partecipano attivamente alla regolazione di molti processi cellulari. La loro alterazione è stata osservata in molte patologie, rendendoli degli importanti target terapeutici. Inoltre, è stato scoperto che i microRNA possono essere secreti dalle cellule che li producono ed essere misurati nel sangue periferico. Questa caratteristica, li ha resi degli ottimi candidati come biomarcatori
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periferici per diverse malattie, in quanto potrebbero potenzialmente rivelare in periferia le alterazioni eventualmente presenti nei tessuti colpiti da un determinato processo patologico. In questo articolo, ci proponiamo di approfondire il concetto di microRNA come regolatori di funzioni fondamentali all’interno delle isole pancreatiche sia in condizioni normali che patologiche e di microRNA circolanti come futuri biomarcatori per la diagnosi precoce del diabete mellito. Cosa sono i microrna? M e ssaggi ch iav e • I microRNA sono delle piccole sequenze di RNA (circa 20-22 nucleotidi) che non codificano proteine. La loro funzione è invece quella di regolare (prevalentemente inibire) gli RNA prodotti dai geni classici, impedendo che questi vengano usati per la sintesi delle proteine. • Sebbene costituiscano soltanto l’1% dell’intero genoma umano, sono ritenuti responsabili della regolazione di circa il 50% del patrimonio genetico. Ciascun microRNA può potenzialmente inibire l’espressione di molti geni, mentre ogni RNA messaggero può essere bersaglio di più microRNA, creando in tal modo una complessa rete di regolazione post-trascrizionale dell’espressione genica.
I microRNA, scoperti per la prima volta nel 1993, rappresentano una classe di piccoli RNA non codificanti per proteine, costituiti da un singolo filamento della lunghezza di circa 20-22 nucleotidi. Essi regolano negativamente l’espressione genica a livello post-trascrizionale, sia negli organismi animali che vegetali, tramite l’inibizione della traduzione in proteine dell’RNA messaggero o tramite la sua degradazione. Negli ultimi anni è stata dimostrata la loro importanza nella regolazione di varie funzioni cellulari quali l’apoptosi, la proliferazione, il differenziamento, lo sviluppo embrionale e la “comunicazione” tra cellule. Nell’uomo sono stati identificati più di 1500 microRNA, il cui numero è destinato a crescere; essi sono ritenuti responsabili della regolazione di circa il 50% del patrimonio genetico sebbene costituiscano soltanto l’1% dell’intero genoma umano (1). Le varie tappe di maturazione nel processo di biogenesi dei microRNA avvengono in parte nel nucleo e in parte nel citoplasma cellulare. A livello del nucleo, i microRNA vengono trascritti dall’enzima RNA polimerasi II a partire dai propri geni (2); la prima struttura non matura, prodotta in seguito alla trascrizione del gene del microRNA, viene chiamata pri-microRNA e viene processata nel nucleo cellulare dall’enzima ribonucleasi di tipo III (RNAsi III), Drosha, dando origine ai precursori dei microRNA (pre-microRNA), costituiti da circa 70 nucleotidi. L’RNAsi III Drosha per svolgere la sua funzione, necessita di un cofattore, la proteina DGCR8 (l’acronimo per DiGeorge Sindrome Critical Region 8), fondamentale per la maturazione dei microRNA. I pre-microRNA vengono trasportati dal nucleo al citoplasma tramite la proteina Esportina-5 (uno dei recettori nucleari responsabili del trasporto dell’RNA dal nucleo al citoplasma) e vengono processati ad opera dell’enzima RNAsi III-Dicer, a formare i microRNA maturi a doppio filamento, ciascuno comprendente circa 22 nucleotidi. I microRNA, affinché siano completamente maturi e funzionanti necessitano della separazione dei due filamenti complementari e dell’unione di un singolo filamento selezionato ad un complesso proteico (RISC- RNA-Induced Silencing Complex), principalmente costituito dalle cosiddette proteine Argonaute, la cui funzione è quella di mediare l’inibizione dell’espressione genica guidata dal microRNA stesso. L’attività di inibizione dell’espressione genica post-trascrizionale da parte dei microRNA, avviene esclusivamente in seguito alla loro incorporazione nel complesso proteico di silenziamento RISC (3). Tale attività si verifica nel momento in cui il microRNA, insieme al complesso RISC, tramite la sua sequenza specifica, si appaia a regioni particolari dell’RNA messaggero bersaglio. Il meccanismo di inibizione dell’espressione genica può essere mediato dal blocco della traduzione dell’RNA messaggero oppure dalla sua diretta degradazione da parte del complesso RISC. La scelta del mec35
M EDIC IN A TRA SL A ZIONALE
Figura 1
Processo di trascrizione e maturazione dei microRNA all’interno di una cellula
L’attività di inibizione dell’espressione genica può svolgersi attraverso la diretta degradazione dell’RNA messaggero (1), in seguito ad un completo appaiamento del microRNA alla sequenza bersaglio, oppure attraverso blocco della traduzione proteica dell’RNA (2) in conseguenza di un parziale o incompleto appaiamento
Degradazione dell’RNA messaggero
1
Ago2 microRNA mRNA 3’UTR
RNA Pol II
Gene microRNA
RISC
Trascrizione DICER-1
Ago2
microRNA Esportina-5 Drosha
Pri-miRNA
DGCR8
Pre-miRNA
Drosha-DGCR8 complex
Ago2
mRNA 3’UTR
Ribosoma
Blocco della traduzione
2
Nucleo
microRNA
Citoplasma
canismo è strettamente dipendente dal tipo di appaiamento (completo o incompleto) del microRNA alla sequenza di riconoscimento (Fig. 1). Da notare che ciascun microRNA può potenzialmente inibire l’espressione di molti geni, mentre ogni RNA messaggero può essere bersaglio di più microRNA creando una complessa rete di regolazione post-trascrizionale dell’espressione genica (3). In tal modo, la presenza dei microRNA risulta strettamente necessaria per il controllo dell’espressione genica e, di conseguenza, per l’omeostasi di interi processi cellulari come l’apoptosi, il differenziamento ed il ciclo cellulare. Microrna e Diabe te M e ssaggi ch iav e Ruolo dei microRNA • Negli ultimi anni è stata dimostrata la loro importanza nella regolazione di varie funzioni cellulari quali l’apoptosi, la proliferazione, il differenziamento, lo sviluppo embrionale e la “comunicazione” tra cellule. Alcune evidenze sperimentali hanno associato i microRNA ad aterosclerosi, patologie cardiovascolari e diabete mellito tipo 2 (DM2). In particolare, alcuni microRNA 36
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sono ritenuti fondamentali per il corretto funzionamento delle beta-cellule pancreatiche e dei tessuti bersaglio dell’insulina. Ad esempio, il miR-375 è un microRNA la cui espressione è particolarmente elevata e specifica a livello delle isole pancreatiche; esso è coinvolto nella regolazione della secrezione insulinica e nel controllo dell’espansione della massa beta-cellulare. • Oltre al mantenimento di una corretta funzione delle isole pancreatiche, i microRNA sono coinvolti anche nell’omeostasi del sistema immunitario. Infatti, è stato dimostrato che alcuni microRNA sono degli importanti regolatori sia dello sviluppo del sistema immunitario che della risposta immunitaria.
Il coinvolgimento dei microRNA nella patogenesi di diverse malattie è stato ampiamente confermato in letteratura (2). I dati più consistenti provengono dagli studi sul cancro. Infatti, è stato dimostrato che circa il 50% dei geni codificanti per i microRNA nel genoma umano sono localizzati in regioni classicamente associate alla tumorigenesi o comunque in siti fragili all’interno dei cromosomi. Esistono, tuttavia, evidenze sperimentali che associano i microRNA anche alla regolazione di diverse funzioni nell’ambito del sistema immunitario e, quindi, allo sviluppo di malattie a patogenesi immuno-mediata (4) come l’artrite reumatoide, il lupus eritematoso sistemico, la sclerosi multipla e il diabete
Figura 2
I microRNA regolano la secrezione insulinica
I microRNA sono in grado di regolare l’espressione di geni codificanti per proteine coinvolte nel processo di fusione del granulo di insulina alla membrana plasmatica. Al processo di regolazione partecipano diversi microRNA (miR-124a, miR-34, miR-96, miR-9) che direttamente o indirettamente, inibiscono o attivano la funzione di alcuni geni coinvolti nella secrezione
Membrana plasmatica
miR-9 miR-96 Onecut2
NOC2
Rab Granulofilina 27a
7a b2 a R
miR-124a
p25 Sna
Rab3a
ptof isina 1A
Insulina
Sina
a1A xi n a t n Si
miR-124a mp Va
2
miR-34 Granulo secretorio di insulina
37
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tipo 1 (DM1) (5), oppure a disordini metabolici e quindi nello sviluppo ad esempio di aterosclerosi, patologie cardiovascolari e diabete mellito tipo 2 (DM2) (6-7). I microRNA sono fondamentali per il corretto funzionamento delle isole pancreatiche. In particolare la funzione delle beta-cellule e dei tessuti bersaglio dell’insulina è in parte determinata dall’espressione di specifici microRNA. Molti di questi sono comunemente espressi in diversi tessuti all’interno dell’organismo, con alcune importanti eccezioni. Il miR-375 è un microRNA la cui espressione è particolarmente elevata e specifica a livello delle isole pancreatiche; esso è coinvolto nella regolazione della secrezione insulinica e nel controllo dell’espansione della massa beta-cellulare. È stato dimostrato che l’iper-espressione del miR-375 in linee murine di beta-cellule, nonché in isole pancreatiche umane e di roditore, regola negativamente la secrezione insulinica glucosio-indotta, principalmente attraverso il controllo dell’espressione della miotrofina, una proteina coinvolta nell’esocitosi del granulo secretorio (8), mentre induce una riduzione della proteina PDPK1 (3’phosphoinositide-dependent protein kinase-1), comportando una diminuzione nell’azione stimolatoria da parte del glucosio sull’espressione del gene dell’insulina e sulla sintesi di DNA. Inoltre, è stato osservato che topi omozigoti per la delezione del gene codificante il miR-375 presentano iperglicemia cronica, riconducibile principalmente alla riduzione della massa beta-cellulare e dei livelli di insulina (9). Anche altri microRNA sembrano partecipare al processo di secrezione insulinica tramite il controllo dei livelli di espressione di alcuni componenti chiave del meccanismo di esocitosi. Tra questi il miR-124a, espresso nelle beta-cellule e nelle cellule nervose. Esso è principalmente coinvolto nel processo di sviluppo embrionale delle isole pancreatiche attraverso la regolazione del fattore di trascrizione FOXA2 (coinvolto nella differenziazione beta-cellulare), ma risulta anche implicato nel processo di secrezione dell’insulina tramite la regolazione di geni quali la miotrofina e la GTPasi RAB27A (10). È stato dimostrato che anche altri microRNA possono regolare il processo di secrezione insulinica, bersagliando geni con diverse funzioni ed operanti in vari stadi del processo di esocitosi (Fig. 2). L’avvento delle nuove piattaforme di screening dei microRNA ha messo in evidenza l’importanza dell’identificazione di una loro alterata espressione a livello tissutale. Nelle isole pancreatiche di donatori multi-organo affetti da DM2 sono state osservate alterazioni dell’espressione di alcuni microRNA che probabilmente contribuiscono alle disfunzioni beta-cellulari spesso osservate in questi pazienti. In particolare, è stata dimostrata l’alterazione dell’espressione di un intero cluster di microRNA (i cui geni sono situati nel locus DLK1-MEG3) che sono specificamente ipo-espressi nelle beta-cellule di donatori DM2 e che regolano geni coinvolti nell’apoptosi (TP53INP1) e nella produzione di amiloide (IAPP), portando ad un aumento dei fenomeni di morte cellulare e quindi ad una riduzione della massa beta-cellulare (11). L’alterazione dei profili di espressione dei microRNA è stata inoltre osservata in isole pancreatiche di donatori multiorgano che presentavano una ridotta tolleranza al glucosio (12). In questo caso, gli autori hanno individuato alcuni microRNA (miR-375, miR-184, miR-127a) la cui espressione in soggetti privi di alterazioni a carico del metabolismo glucidico era correlata positivamente alla biosintesi dell’insulina (miR-375, miR-127a) e negativamente alla secrezione insulinica glucosio-indotta (miR-184). Tali correlazioni non si evidenziavano invece nei soggetti con ridotta tolleranza al glucosio (HbA1c>6,1), dimostrando un ruolo attivo dei microRNA nei processi coinvolti nella funzionalità dell’unità gluco-sensoria (12). L’alterazione dell’espressione dei microRNA è stata riscontrata anche in isole pancreatiche provenienti da modelli animali di diabete autoimmune. In particolare, diversi studi hanno dimostrato un aumento dell’espressione di alcuni microRNA in isole di topi NOD (Non-Obese Diabetic) prediabetici; tra i microRNA iper-espressi sono stati identificati il miR-146, il miR-34, il miR-29 e il miR-21 i quali influiscono in maniera fortemente negativa sulla funzione e sulla vitalità delle beta-cellule. Inoltre, l’espressione di tali microRNA può essere indotta in vitro in varie linee beta-cellulari, nonché in isole pancreatiche, in seguito a trattamento con citochine pro-infiammatorie, dimostrando come essi possano anche rappresentare dei mediatori del danno infiammatorio riscontrabile nel DM1 (13). Oltre al mantenimento di una corretta funzione delle isole pancreatiche, i microRNA sono coinvolti anche nell’omeostasi del sistema immunitario. Infatti, è stato dimostrato che alcuni microRNA sono degli importanti regolatori sia dello sviluppo del sistema immunitario che della risposta immunitaria. Per esempio, nei linfociti T, una corretta 38
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espressione del miR-155 è necessaria per un adeguato differenziamento e per un’ottimale attivazione di tali cellule. Infatti, è stato dimostrato che topi transgenici mancanti del miR-155 mostravano sintomi di immunodeficienza e difetti nella funzione dei linfociti B, T e delle cellule dendritiche (14). Altri microRNA, come quelli facenti parte del cluster miR-17-92, sono fondamentali per lo sviluppo dei linfociti B ed una loro alterazione è in grado di generare disordini autoimmunitari (es. DM1, sclerosi multipla, encefalomielite autoimmune) (15). Recentemente, diversi studi hanno dimostrato un’alterazione dell’espressione dei microRNA in cellule del sistema immunitario provenienti dal sangue periferico (PBL) di pazienti affetti da DM1. In uno studio del 2011 abbiamo analizzato i livelli di espressione del miR-326 a livello dei linfociti estratti dal sangue periferico di pazienti con diabete tipo 1, con e senza positività anticorpale (anti decarbossilasi dell’acido glutammico e anti proteina tirosin-fosfatasi IA-2). I livelli di miR-326, già descritti come iperespressi a livello linfocitario nell’ambito della sclerosi multipla e correlati con la gravità di malattia, risultavano incrementati nei pazienti con positività anticorpale rispetto a quelli con anticorpi negativi (15). Più recentemente, sono stati identificati ben 44 microRNA la cui alterazione nei PBL era associata alla presenza di diabete autoimmune, rafforzando l’ipotesi di un coinvolgimento dei microRNA anche a livello del sistema immunitario in presenza di DM1 (16). I microrna circol anti M e ssaggi ch iav e • Oltre a svolgere un ruolo nella regolazione dell’espressione genica all’interno delle cellule che li producono, alcuni microRNA possono essere secreti e quindi possono essere trovati nella maggior parte dei fluidi biologici (ad es. plasma, siero, saliva, urine). • Nella pratica clinica, così come enzimi, isoenzimi e proteine, anche i microRNA potrebbero essere utilizzati come biomarcatori per la diagnosi, la prognosi e la risposta al trattamento in molte patologie, tra cui il diabete e le sue complicanze coniche. Resta ancora da chiarire con esattezza l’origine dei microRNA circolanti. Al momento si alternano due ipotesi principali: la prima sostiene che i microRNA vengono passivamente rilasciati in circolo da parte di cellule appartenenti a tessuti che hanno subito un danno; la seconda ipotesi, invece, prevede la secrezione attiva dei microRNA all’interno di microvescicole.
Oltre a svolgere un ruolo nella regolazione dell’espressione genica all’interno delle cellule che li producono, alcuni microRNA possono essere secreti e quindi possono essere trovati nella maggior parte dei fluidi biologici (plasma, siero, saliva, urine, liquido seminale, latte materno, liquido amniotico, liquido cefalo-rachidiano, liquido pleurico e peritoneale ecc.). Nella pratica clinica, così come enzimi, isoenzimi e proteine, anche i microRNA potrebbero essere utilizzati come biomarcatori per la diagnosi, la prognosi e la risposta al trattamento in molte patologie, tra cui il diabete e le sue complicanze coniche, come viene ampiamente suggerito in ambito oncologico. La presenza dei microRNA nei fluidi biologici è stata descritta per la prima volta nel 2008 da Chim et al. che hanno dosato, nel plasma materno, specifici microRNA placentari (17) e da Latrie et al. che hanno rilevato la presenza di microRNA tumore-associati nel siero di pazienti con linfoma a cellule B diffuso (18). I microRNA possono circolare nel sangue complessati alle proteine Argonaute, a particelle HDL (High Density Lipoprotein) (19) oppure all’interno di vescicole. In tal modo, essi sono protetti dalla degradazione ad opera degli enzimi ribonucleasi, abbondantemente presenti nel siero (3, 19), e perciò risultano molto stabili. Tuttavia è ancora da chiarire con esattezza l’origine dei microRNA circolanti. Al momento si alternano due ipotesi principali: la prima sostiene che i microRNA vengono passivamente rilasciati in circolo da parte di cellule appartenenti a tessuti che hanno subito un danno (un esempio è il miRNA-208 che è tipicamente espresso a livello del miocardio e che può essere rilevato a livello sierico in seguito ad una lesione tissutale cardiaca) e che risultano complessati a proteine argonaute; la seconda ipotesi, invece, prevede la secrezione attiva dei microRNA all’interno di microvescicole (Fig. 3). Esistono tre diversi tipi 39
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di vescicole contenenti microRNA: i corpi apoptotici, le vescicole di fusione e gli esosomi. Questi ultimi derivano dai corpi multivescicolari citoplasmatici la cui formazione ed il conseguente rilascio possono essere indotti da stimoli extracellulari sia in condizioni fisiologiche che patologiche (20). Essi sembrano svolgere diverse funzioni biologiche come la presentazione dell’antigene, il trasporto di RNA e proteine e la comunicazione cellula-cellula (19, 21). È possibile quindi ipotizzare che i microRNA possano essere appositamente secreti, trasportati alla cellula/tessuto bersaglio e rilasciati tramite la fusione degli esosomi con la membrana plastica della cellula ricevente (oppure tramite il legame a specifici recettori), in modo da poter svolgere la loro funzione di regolazione dell’ espressione genica a livello degli RNA messaggero bersaglio anche a “distanza” dalla cellula produttrice (21-23). Una terza ipotesi, che si aggiunge alle precedenti, sostiene infine che i microRNA circolanti potrebbero derivare dalle cellule presenti nel torrente circolatorio come reticolociti, linfociti B/T ecc. (24).
Figura 3
I microRNA vengono secreti dalle cellule
La secrezione dei microRNA può avvenire attraverso diverse modalità: (1) essi possono essere secreti dalle cellule complessati a lipoproteine (HDL) ed essere trasportati in circolo attraverso questa modalità; (2) possono essere inglobati negli esosomi e secreti dalle cellule in seguito alla formazione dei corpi multivescicolari; (3) in seguito alla formazione dei corpi apoptotici, in conseguenza della morte cellulare, i microRNA insieme ad altri residui intracellulare, vengono incorporati in queste particolari vescicole e rilasciati in circolo; (4) i microRNA in complesso con le proteine Argonaute vengono secreti dalle cellule per fusione di vescicole intracellulari alla membrana plasmatica
Ago
Nucleo
4
Pre-miRNA
Ago
Ago RISC
microRNA associati alle proteine Argonaute
microRNA
Corpi multivescicolari
3 Citoplasma
Spazio extracellulare
Corpi apoptotici contenenti microRNA
2 1
HDL
microRNA complessati a lipoproteine
Esosomi
40
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Microrna circol anti e diabe te Esistono ad oggi pochi studi pubblicati in letteratura, sull’espressione dei microRNA nel siero/plasma di soggetti affetti da diabete mellito. Per quanto riguarda il DM2, in uno studio prospettico del 2010 sono stati determinati i livelli di espressione plasmatica dei microRNA in una popolazione di 800 soggetti, di cui 80 con DM2 all’inizio dello studio e 19 che lo svilupparono nel corso dei successivi 10 anni di follow-up. Tale studio ha portato all’identificazione di 13 microRNA che risultavano essere differenzialmente espressi nei soggetti diabetici, di cui 5 (miR-15a, miR-126, miR-320, miR-223, miR-28-3p) già alterati prima della manifestazione della malattia. La determinazione dell’alterazione dell’espressione dei microRNA appartenenti a questo cluster era sufficiente all’identificazione di circa il 70% dei soggetti con DM2 (25). Inoltre, l’alterazione dell’espressione di tali 5 microRNA permetteva di predire l’insorgenza della patologia in circa il 52% dei soggetti inizialmente reclutati come normoglicemici e che la sviluppavano nel corso del follow-up, dimostrando la qualità dei microRNA come biomarcatori diagnostici. Altri autori hanno successivamente confrontato il profilo di espressione dei 5 microRNA precedentemente descritti e differenzialmente espressi in soggetti suscettibili allo sviluppo di DM2, nel plasma di pazienti con DM2 o con alterata glicemia a digiuno rispetto a soggetti di controllo. Dai risultati dello studio è emerso che i livelli plasmatici del microRNA miR-126 risultavano significativamente ridotti nei pazienti con DM2 e con alterata glicemia a digiuno rispetto ai controlli (26). In un altro studio sono stati arruolati 56 soggetti, suddivisi in tre gruppi (19 soggetti normoglicemici, suscettibili allo sviluppo di DM2, 19 soggetti con alterata glicemia a digiuno e/o ridotta tolleranza ai carboidrati e 18 soggetti con DM2 neodiagnosticato) allo scopo di valutare il significato clinico dell’espressione a livello sierico di 7 microRNA coinvolti nella patogenesi del DM2. L’analisi dei risultati ha dimostrato che tutti i 7 microRNA risultavano iper-espressi nei soggetti diabetici rispetto ai normoglicemici e che 5 erano iper-espressi rispetto ai soggetti pre-diabetici (27). Nel 2012, invece, Karolina et al., in uno studio il cui scopo era quello di caratterizzare il profilo di espressione dei microRNA nel sangue e negli esosomi di 265 pazienti con sindrome metabolica, hanno osservato l’iper-espressione dei microRNA miR-150, miR-192, miR-375, miR-27a e miR-320a in una coorte di pazienti con DM2 (28). Recentemente, è stato pubblicato uno studio che suggerisce il ruolo predittivo del microRNA miR-146a nella diagnosi di DM2. Infatti, gli autori hanno osservato un’iper-espressione di tale microRNA nel plasma di 90 pazienti diabetici neodiagnosticati rispetto a 90 soggetti di controllo. Il miR-146a potrebbe contribuire alla patogenesi del DM2 poiché coinvolto nell’espressione dell’enzima eme ossigenasi-1 (HO-1), e quindi, indirettamente nello stress ossidativo causato dal metabolismo del ferro, che sappiamo essere implicato nello sviluppo del DM2 (29). Infine, uno studio pubblicato molto recentemente ha valutato il profilo di espressione di 14 microRNA nel plasma di 152 soggetti, 84 nati in Iraq e poi trasferitisi in Svezia e 68 nati in Svezia ed ivi residenti, di cui 19 appartenenti al primo gruppo e 14 appartenenti al secondo gruppo con DM2. Considerando la popolazione totale in studio, i microRNA plasmatici miR-24 e miR-29b sono risultati iper-espressi nei pazienti con DM2 rispetto ai controlli, mentre, suddividendo i partecipanti allo studio in base al paese d’origine, il miR-144 è risultato significativamente più elevato nel plasma dei pazienti nati in Svezia e affetti da DM2 (30). In riferimento al diabete di tipo 1, in uno studio del 2012, abbiamo confrontato il profilo di espressione dei microRNA circolanti di 20 pazienti con DM1 alla diagnosi, con quello di soggetti di controllo ed abbiamo dimostrato che dei 206 microRNA rilevati nel siero, 64 risultavano differenzialmente espressi nei pazienti con DM1. Tali microRNA risultano implicati nella regolazione della funzione beta-cellulare e di cellule appartenenti al sistema immunitario (31). Nielsen et al. hanno invece confrontato il profilo di espressione dei microRNA nel siero di bambini affetti da DM1 e di soggetti di controllo ed hanno individuato 12 microRNA (tra i quali alcuni implicati nel processo di apoptosi delle beta cellule) che risultavano iper-espressi nei pazienti diabetici (miR-152, miR-30a-5p, miR-181a, miR-24, miR-148a, miR-210, miR-27a, miR-29a, miR-26a, miR-27b, miR-25, miR-200a). Inoltre, i livelli circolanti del miR-25, erano correlati con la funzione beta-cellulare residua (valutata tramite la misurazione del c-peptide) e con un controllo glicemico adeguato (valutato tramite la determinazione dei livelli di emoglobina glicata) a tre mesi dall’insorgenza di malattia (32). Recentemente, uno studio su un modello animale di diabete autoimmune (topo NOD), ha dimostrato il potenziale ruolo del miR-375 (specificamente ed abbondantemente espresso nelle isole pancreatiche) come biomarcatore per la ri41
M EDIC IN A TRA SL A ZIONALE
levazione della distruzione beta-cellulare. Gli autori hanno dimostrato che i livelli plasmatici di tale microRNA erano molto alti nelle 2 settimane che precedevano l’insorgenza della patologia in topi NOD. Inoltre, la distruzione, sperimentalmente indotta, delle beta-cellule in topi normali, ha portato ad un drastico aumento plasmatico del miR-375 dimostrando la diretta provenienza di tale microRNA dalla distruzione delle beta-cellule. Tali dati suggeriscono un potenziale ruolo del miR-375 nel rilevare possibili danni a carico delle isole pancreatiche, già prima dell’esordio clinico della malattia e potrebbe quindi essere utilizzato in futuro come biomarcatore per il DM1 (33). Microrna circol anti e complic anze croniche del diabe t e MESSAGGI CHIAV E • Per quanto riguarda il DM2, sono stati identificati alcuni microRNA che risultavano essere differenzialmente espressi nei soggetti diabetici, di cui alcuni già alterati nei soggetti con pre-diabete, quindi prima della manifestazione clinica della malattia. • Per quanto riguarda il DM1, alcuni microRNA coinvolti nella regolazione della funzione beta-cellulare e di cellule appartenenti al sistema immunitario, e nel processo di apoptosi, sono risultati iper-espressi nei soggetti diabetici rispetto ai controlli. • Alcuni studi hanno anche trovato un’alterazione dell’espressione di alcuni microRNA nei pazienti con complicanze macro- e microvascolari, rispetto a quelli senza complicanze.
Alcuni studi hanno correlato la presenza delle complicanze del diabete all’alterazione dell’espressione sierica/plasmatica dei microRNA. Nello studio condotto da Zampetaki et al., citato in precedenza, è stato osservato che i ridotti livelli plasmatici di miR-126 (microRNA che sembra svolgere un’importante funzione nell’integrità delle strutture vascolari) in pazienti con DM2, correlavano con la presenza di vasculopatia (25). Caporali et al. hanno descritto invece una iperespressione del miR-503 nel plasma di pazienti diabetici con ischemia vascolare periferica (34); inoltre, tale microRNA, era risultato iperespresso a livello muscolare in ratti diabetici con ischemia periferica. Infine, in uno studio pubblicato nel 2013 abbiamo analizzato il profilo di espressione di 384 microRNA nel siero di pazienti affetti da DM2 con e senza complicanze croniche. I risultati hanno indicato un’alterazione dell’espressione dei microRNA nei pazienti con complicanze macro- e microvascolari, rispetto a quelli senza complicanze. In particolare, il miR-31 è risultato iper-espresso nei pazienti con complicanze microvascolari rispetto agli altri due gruppi (35); dati presenti in letteratura suggeriscono che tale microRNA potrebbe essere implicato nella permeabilità dei vasi e nell’angiogenesi, rivelando un suo possibile ruolo nel danno vascolare in corso di diabete. D osaggio dei microrna circol anti Attualmente, sono disponibili diverse metodiche che permettono la misurazione (specifica o in massa) dei microRNA. Tra queste spiccano certamente la PCR (Polymerase Chain Reaction), ed il sequenziamento di nuova generazione (NGS miRNA-seq). La misurazione dei microRNA circolanti prevede il medesimo procedimento comunemente utilizzato per il dosaggio dei microRNA cellulari (estrazione dell’RNA, produzione di cDNA, analisi attraverso PCR o RNAseq). Tuttavia, la preparazione del campione su cui effettuare la misurazione, risulta essere un passaggio di fondamentale importanza, soprattutto per quanto riguarda siero o plasma derivanti da sangue periferico. È stato dimostrato che i livelli di espressione dei microRNA circolanti possono variare considerevolmente in relazione a fattori pre-analisi che riguardano la preparazione del campione di siero o plasma. Uno dei fattori fondamentali nella preparazione del campione è la separazione, attraverso centrifugazione, della parte corpuscolata del sangue dalla parte liquida di interesse. In questo caso, essendo i microRNA trasportati mediante diverse modalità nel circolo sanguigno, la velocità di centrifugazione potrebbe influenzare notevolmente la presenza di alcuni microRNA a discapito di altri.
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La valutazione dell’esame emocromocitometrico, risulta essere anch’essa di fondamentale importanza; infatti, variazioni considerevoli della presenza di particolari tipi di cellule del sangue potrebbero influenzare l’espressione di alcuni specifici microRNA. Infine, altro parametro da tenere in considerazione, è il livello di emolisi del campione da analizzare che potrebbe portare ad un’elevata contaminazione nel siero/plasma di microRNA intracellulari. Conclusioni I microRNA circolanti potrebbero offrire un importante contributo alla diagnosi, alla prognosi e all’identificazione dei soggetti a rischio per lo sviluppo di molte malattie, in quanto possiedono molte caratteristiche attribuibili ad un biomarcatore ideale. Attualmente, molti kit in commercio consentono di effettuare il dosaggio dei microRNA sia su plasma che su siero, dove si mantengono piuttosto stabili e risultano particolarmente resistenti a valori estremi di pH, a temperature di ebollizione, a multipli cicli di congelamento-scongelamento e a lunghi periodi di conservazione (24). Inoltre, alcuni microRNA sono altamente tessuto-specifici e peculiari nell’ambito di determinate patologie, pertanto la ricerca della loro espressione a livello sierico sta prendendo sempre più piede, come indicano gli innumerevoli studi in campo oncologico, nella diagnosi precoce, nella prognosi e nell’ andamento di malattia. In riferimento al diabete ma anche alla fase che precede l’insorgenza di malattia, l’utilizzo dei microRNA come biomarcatori, che permettano di effettuare la diagnosi o l’identificazione di soggetti a rischio per lo sviluppo della malattia ancor prima della loro manifestazione clinico-strumentale, potrebbe svolgere un ruolo fondamentale. Nell’ambito ancor più specifico delle complicanze croniche del diabete, che rappresentano la principale causa di morbilità e mortalità dei pazienti affetti da tale patologia, una diagnosi precoce potrebbe senz’altro contribuire a prevenire o limitare i danni a carico degli organi bersaglio, con un enorme impatto sul miglioramento della qualità della vita dei pazienti che ne risultano affetti. Attualmente infatti non sono presenti dei biomarcatori sierici/plasmatici in grado di identificare la presenza delle varie complicanze del diabete, o ancor meglio di anticiparne la diagnosi rispetto alle indagini strumentali o alla comparsa delle manifestazioni cliniche. Tuttavia un’importante sfida per il futuro sarà quella di confermare i dati emersi da studi condotti sul dosaggio dei microRNA in piccole popolazioni, in popolazioni più ampie determinando, in tal modo, l’impronta digitale certa dei microRNA circolanti durante il diabete. Al momento restano ancora molte domande: non si conoscono le funzioni svolte da molti dei microRNA circolanti e non sempre esiste una correlazione tra i livelli di certi microRNA a livello tissutale e a livello sierico/plasmatico. Non sappiamo quanto rapidamente le eventuali modifiche dei livelli circolanti dei microRNA che in teoria rispecchiano quelle a livello tissutale, si verifichino (22). Inoltre, sebbene sia già possibile dosare in maniera accurata i microRNA circolanti, ancora non esistono dei protocolli altamente standardizzati che permettano di trovare un punto di incontro a livello tecnico tra diversi laboratori, generando, in tal modo, risultati anche diversi tra loro (22, 24). In conclusione, i microRNA circolanti rappresentano degli ottimi candidati a divenire ideali biomarcatori che permettano di predire l’insorgenza del diabete e di poterne seguire l’andamento nel tempo e di individuare, anzitempo, le complicanze prima della loro manifestazione clinica. Biblio gr afia 1. Hussain M.Ul. Micro-RNAs (miRNAs): genomic organisation, biogenesis and mode of action. Cell Tissue Res 349: 405-413, 2012. 2. Liu B, Li J, Cairns MJ. Identifying miRNAs, targets and functions. Briefings in Bioinformatics 15(1): 1-19, 2012. 3. Guay C, Roggli E, Nesca V et al. Diabetes mellitus, a microRNA-related disease? Translational Research 157: 253-264, 2011. 4. O’Connell RM, Rao DS, Chaudhuri AA et al. Physiological and pathological roles for microRNAs in the immune system. Nature Reviews 10: 111-122, 2010. 43
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45
CASO CLINICO
a cura di Francesco Dotta1, Anna Solini2 1 U.O.C. Diabetologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Università degli Studi di Siena; 2Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa
La SID è fortemente impegnata nella formazione e nella promozione della professionalità del diabetologo, pertanto il nuovo comitato editoriale ha deciso di mantenere, tra le varie rubriche, quella relativa alla presentazione di casi clinici, che è risultata molto apprezzata nel corso degli anni. Per tale rubrica si è deciso di coinvolgere attivamente i giovani futuri diabetologi che frequentano le Scuole di Specialità nelle varie università italiane. Il caso clinico presentato in questo numero riguarda un paziente affetto da iperpotassiemia, condizione che si può manifestare con una certa frequenza, e che viene analizzato in dettaglio, sottolineando l’importanza di un iter diagnostico appropriato per condurre ad una corretta diagnosi differenziale e, conseguentemente, alla strategia terapeutica più opportuna. Francesco Dotta, Anna Solini
Un caso non comune di iperpotassiemia
Mario Comassi, Anna Solini Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Pisa
Giunge alla nostra osservazione un paziente di 67 anni con diabete tipo
1 ° Que sito
2 noto da 7 anni, trattato con associazione metformina+sitagliptin
Quali sono gli esami ematochimici e strumentali utili ad indagare la causa di iperpotassiemia in questo paziente?
1000/50 mg x 2/die, in ottimo compenso metabolico (HbA1c 6,8%); coesiste ipertensione arteriosa da 4 anni, trattata inizialmente con ACEinibitore, sospeso 6 mesi fa per il riscontro di iperkaliemia e sostituito con Ca-antagonista, e ipercolesterolemia trattata da due anni con simvastatina 20 mg. Sei mesi prima della visita il paziente era stato sottoposto a tromboendoarteriectomia in elezione per stenosi critica
Si definisce iperpotassiemia una concentrazione plasma-
della carotide interna destra. La terapia del paziente, oltre ai farmaci
tica di potassio superiore a 5,5 mEq/L. Le cause più comu-
indicati, comprende un antiaggregante piastrinico (ASA 100 mg/die).
ni di questa alterazione ionica sono riportate nella Tabel-
Gli esami ematochimici sono sostanzialmente nella norma tranne che
la 1. Una ridotta escrezione renale dello ione non è di raro
per la presenza di iperpotassiemia (6,12 mEq/L); concomita la presen-
riscontro; in alternativa, possono essere chiamati in cau-
za di alterazioni della fase di ripolarizzazione all’ECG (intervallo QT
sa meccanismi di redistribuzione intra ed extracellulare
accorciato, ST lievemente sottoslivellato). L’esame delle urine è nella
(primitivi e iatrogeni), o rare forme dovute ad eccessivo
norma; si segnala, però, un valore di pH urinario francamente acido
introito alimentare. Una corretta diagnosi, suffragata da
(pH=5). La funzione renale del paziente appare conservata (eGFR sti-
specifiche alterazioni elettrocardiografiche che rispec-
mato 86 ml/min/1,73m , normale escrezione urinaria di albumina).
chiano l’andamento della potassiemia, può essere favo-
2
rita da un’attenta anamnesi volta soprattutto alla ricerca di eventuali cause iatrogene, nonché da una valutazione della funzionalità renale (azotemia, creatinina, acido urico e stima del filtrato glomerulare), dell’escrezione 46
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
Tabella 1
Cause di iperpotassiemia
Cause comuni
Cause rare
Insufficienza renale acuta o cronica di grado severo (GFR <20 mL/min)
Insufficienza cortico-surrenalica (malattia di Addison), con deficit di glucocorticoidi e mineralcorticoidi
Scompenso cardiaco severo
Tumor lysis syndrome: rilascio massivo di potassio intracellulare (es: in pazienti con carcinoma bronchiale disseminato)
Ipoaldosteronismo
Indotta da farmaci: suxametonio, pentamidina, tossicità da ciclosporina o da digossina, trimethoprim
Farmaci: diuretici risparmiatori di potassio (amiloride e triamtere- Paralisi periodica iperkaliemica (congenita o familiare) ne); ACE inibitori; ARBs; uso sostenuto di FANS, soprattutto se in presenza di ridotta funzionalità renale Aumentato apporto di potassio in soggetti con ridotta funzionalità renale (diete ad alto contenuto di potassio o supplementazione con integratori)
Massive trasfusioni di sangue
Cirrosi epatica (soprattutto in pazienti trattati con ACE inibitori, diuretici risparmiatori, diete ad elevato apporto di potassio)
Emolisi intravascolare
Rabdomiolisi
Pseudoiperkalemia di tipo 2 (sindrome di Gordon)
Acidosi tubulare renale di tipo IV, specialmente nel paziente diabetico, ove la ridotta escrezione di potassio è secondaria a deficit di aldosterone o a resistenza del tubulo renale ai suoi effetti Chetoacidosi diabetica non corretta (da alterato trasporto insulino-mediato del potassio intracellulare)* Significativa riduzione del volume plasmatico per diuresi indotta da farmaci o diuresi osmotica (es: nel diabete gravemente scompensato, o in corso di chetoacidosi) Forme multifattoriali * Nella maggior parte dei casi di chetoacidosi diabetica il contenuto corporeo totale di potassio è ridotto, sebbene all’esordio la potassiemia possa essere elevata. Dopo l’inizio della terapia insulinica, è di solito necessaria una supplementazione di potassio perché i livelli plasmatici di potassio si riducono in modo significativo, fino all’ipokaliemia
renale di potassio e sodio sulle raccolte urinarie delle 24
RTA: RTA prossimale (tipo II); RTA distale (tipo I) ed RTA
ore, dell’equilibrio acido-base e del valore di osmolarità
iperkaliemica (tipo IV), le cui principali caratteristiche
plasmatica ed urinaria, utili alla stima del gradiente
atte a formulare una corretta diagnosi sono riportate
transtubulare di potassio.
nella Tabella 2. Il normale processo di acidificazione delle urine è frutto
2 ° Que sito
dell’interazione tra i meccanismi di riassorbimento di bi-
Quale è l’approccio diagnostico corretto in questo paziente?
carbonato a livello del tubulo prossimale e di secrezione degli ioni H+ a livello del tubulo distale. Il primo passo da effettuare nella valutazione di un paziente in cui si so-
Vista la presenza di un pH urinario acido, si può sospettare una acidosi
spetti la presenza di un’acidosi tubulare, una volta esclu-
tubulare renale.
sa la presenza di cause iatrogene, è la valutazione dell’e-
Le acidosi tubulari renali (RTA) rappresentano un gruppo
quilibrio acido-base mediante emogasanalisi arteriosa ed
di sindromi, sia primitive che secondarie, caratterizza-
il calcolo dell’AG sierico ((Na+)+(Cl- - HCO3-)]. È utile ricor-
te da una sostanziale normalità della funzione renale in
dare come, in presenza di severa ipoalbuminemia, il va-
presenza di acidosi metabolica ipercloremica ed Anion
lore di AG debba essere corretto in quanto, generalmente,
Gap (AG) normale. Si possono distinguere tre forme di
ogni riduzione di 1 g/dl di albumina rispetto al valore nor47
C A SO C LINI C O
Tabella 2
Diagnosi differenziale delle acidosi tubulari renali distali
Tipo 1 “classica” (distale)
Tipo 2 (prossimale)
Tipo 4 “iperkaliemica”
No
No
Positivo
Negativo
Positivo
>5.5
<5.5
<5.5
Escrezione NH4+
N
Escrezione Calcio
N
No
Assenti
Presenti
Assenti
Presente
Assente
Assente
Raro
Presente
Assente
Potassiemia Anion Gap Urinario pH urine
Altri difetti tubulari Nefrolitiasi Coinvolgimento osseo
male di 4,5 g/dl si accompagna ad una riduzione del AG di
L’acidosi tubulare renale tipo IV, tipicamente iperkaliemi-
circa 2,5 mEq/L).
ca, si può distinguere in primitiva (transiente) e secondaria. Quest’ultima a sua volta è suddivisibile in 3 clas-
La emogasanalisi arteriosa del nostro paziente è compatibile con aci-
si: (1) Mineralcorticoide deficiente; (2) Mineralcorticoide
dosi metabolica ipercloremica ed AG normale (pH 7,34, AG 10 mmol/l,
resistente; (3) Iatrogena. Le forme mineralcorticoide de-
cloro: 115 mEq/L).
ficienti possono essere ricondotte a ipoaldosteronismo
Una volta confermata la presenza di acidosi metaboli-
iporeninemico in corso di nefropatie croniche (quali quel-
ca ipercloremica con AG normale è necessario valutare
le secondarie a diabete, LES, sindrome da immunodefi-
l’escrezione urinaria di sodio, potassio e cloro al fine di
cienza acquisita), glomerulonefriti acute, o patologie in
poter calcolare lo AG urinario ([Na urine+K urine]-Cl uri-
assenza di danno renale, quali il Morbo di Addison o la
ne), che fornisce una stima indiretta del titolo di ammo-
Iperplasia Adrenogenitale. Le forme mineralcorticoide
nio urinario e, se positivo, suggerisce la presenza di RTA
resistenti si associano speso a patologie genetiche e a ne-
distale.
fropatie interstiziali, mentre quelle iatrogene sono spes-
La valutazione dell’AG urinario risulta di fondamentale
so conseguenza dell’azione di farmaci interferenti con il
importanza nel processo diagnostico in quanto il riscon-
sistema renina-angiotensina-aldosterone o con i mecca-
tro di un valore negativo con elevata cloremia si associa,
nismi di escrezione renale di potassio, nonché della sua
tipicamente, a perdita di bicarbonato conseguente a cau-
redistribuzione intra ed extracellulare. In questa tipolo-
se gastrointestinali o lesioni del tubulo renale prossi-
gia di RTA il difetto nei meccanismi di acidificazione è
male. Visto inoltre il ruolo diretto dell’aldosterone nello
primariamente conseguenza di un’alterazione dell’am-
stimolare la secrezione di ioni H mediante la pompa H -
moniogenesi, indotta dall’iperkaliemia stessa nonché
ATPasi delle cellule intercalate e la secrezione di ioni K
dell’alterata o assente azione dell’aldosterone a livello dei
dalle cellule principali, la valutazione del gradiente tran-
tubuli distali.
+
+
+
-
+
+
stubulare di potassio (TTKG) permette di stimare l’azione dell’aldosterone a livello tubulare distale e di evidenziare
Il nostro paziente non presentava, apparentemente, alcun segno clini-
una sua alterazione [TTKG = (K+u/K+p)/(Uosm/Posm)]. Il va-
co di nefropatia; tuttavia, vista la eterogeneità dei quadri anatomo-
lore normale di TTKG è solitamente superiore a 4.
patologici di danno renale in corso di diabete, con una piccola quota di pazienti con interessamento tubulo-interstiziale, abbiamo ricercato i
Una acidosi ipercloremica con AG plasmatico normale ed AG urinario
segni di una eventuale tubulopatia mediante il dosaggio di alcuni mar-
positivo in un paziente diabetico può far sospettare la presenza di RTA
catori di danno tubulare (N-acetilglucosaminidasi urinaria e β2 micro-
di tipo IV.
globulina sierica), che sono risultati aumentati. 48
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
3 ° Que sito
pianto di organi solidi, in cui la iperkaliemia può essere
Vi sono test più specifici atti a confermare la diagnosi?
provocata dall’uso di inibitori della calcineurina, è utile
Lo step successivo è coniugare la potassiemia con il pH
quali il sodio polistirene sulfonato (Kayexalate) sono da
urinario; a questo proposito, può essere utile la misura
preferire in alcune emergenze o in alcuni pazienti con
dell’escrezione urinaria di citrato e l’esecuzione di test
danno renale avanzato.
alla furosemide per la valutazione della capacità di aci-
Il paziente è stato trattato con furosemide e fluoroidro-
dificazione delle urine. Il protocollo di esecuzione del test
cortisone fino alla normalizzazione della potassiemia; la
alla furosemide prevede la valutazione dell’effetto di una
terapia antipertensiva consigliata a domicilio è stato un
singola dose di 40 o 80 mg di furosemide sul pH urinario
Ca-antagonista (manidipina 10 mg) e una piccola dose di
e sulla potassiuria ogni ora per tre ore. I soggetti normali
furosemide (12,5 mg a dì alterni); abbiamo raccomandato
presentano una riduzione del pH urinario <5,5 ed un in-
anche una attenzione specifica a ridurre al minimo gli
cremento della potassiuria. La dimostrazione di una ri-
alimenti molto ricchi di potassio (pomodori, frutta secca,
dotta capacità di acidificazione delle urine dopo test alla
cioccolato, banane, agrumi ecc.).
l’uso di un analogo dell’aldosterone (es. il 9-α fluoroidrocortisone acetato [Florinef]). Le resine a scambio ionico
furosemide, in presenza di una potassiemia normale o ridotta, depone per la presenza di Acidosi Tubulare Renale
Conclusioni
Distale. Se pH urinario e potassiuria restano immodificati, il risultato suggerisce la presenza di ipoaldosteroni-
Il riscontro di acidosi tubulare iperkaliemica (tipo IV)
smo o una resistenza agli effetti dell’aldosterone.
nell’adulto è spesso espressione di un difetto acquisito e
Se, infine, la potassiemia è aumentata ed il pH urinario
conseguente ad un’alterazione dell’attività mineralcorti-
è minore di 5.5, la diagnosi di Acidosi Tubulare tipo IV
coide derivante da un deficit di renina. Tale ipoaldoste-
iperkaliemica è confermata, ed è necessario valutare la
ronismo iporeninemico si può associare alla presenza
presenza di alterazioni del sistema renina-angiotensina-
di una nefropatia diabetica anche in uno stadio molto
aldosterone mediante dosaggio di aldosterone e renina.
iniziale, durante il quale si può osservare un peculiare
Nel nostro paziente entrambi i parametri sono risultati lievemente al-
coinvolgimento tubulare che non si associa, inizialmen-
terati: aldosterone 1,8 ng/ml (v.n. 2-15 in clinostatismo); renina 5,1 (v.n.
te, ad una franca riduzione della funzione di filtrazione.
4,4-46 mUI/ml in clinostatismo).
L’identificazione di tale difetto può essere utile al fine di adeguare la terapia del paziente stesso, spesso composta
4° Que sito
da farmaci che agiscono in maniera peculiare sul sistema
Quale è il trattamento più appropriato in questo paziente?
renina-angiotensina-aldosterone e la cui somministra-
Il paziente con RTA tipo IV necessita di trattamento speci-
genza di iperkaliemia grave.
zione, in ragione di un’eventuale RTA tipo IV, deve essere necessariamente modulata al fine di prevenire l’insor-
fico atto a correggere l’iperkaliemia e l’acidosi. L’iperkaliemia, spesso acuta e clinicamente importante, sopprime
Le t t ure consigliat e
il metabolismo dell’ammonio ed è causa stessa del man-
• Harrison’s. Principles of Internal Medicine, 18th
tenimento dell’acidosi; ne consegue che una sua correzio-
edition.
ne spesso migliora l’equilibrio acido-base. In primis sono
• Reddy P. Clinical approach to renal tubular acidosis in
quindi da sospendere i diuretici risparmiatori di potassio
adult patients. Int J Clin Pract 65: 350-360, 2011.
(rivalutando poi una loro reintroduzione in terapia se-
• Rodriguez Soriano JR. Renal tubular acidosis: the cli-
condo la risposta clinica del paziente). Nei pazienti con
nical entity. J Am Soc Nephrol 13: 2160-2170, 2002.
funzione renale conservata, nella fase acuta, può essere
• Karet FE. Mechanism in hyperkalemic renal tubular
indicata l’infusione EV di soluzione salina e l’uso di un
acidosis. J Am Soc Nephrol 20: 251-254, 2009.
diuretico dell’ansa (es. furosemide). Nei pazienti con iporeninemia ed ipoaldosteronismo, nonché in riceventi tra49
a gg i o r n a m e n t o d a l l a l e t t e r a t u r a
a cura di Francesco Giorgino Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
L’“Aggiornamento dalla Letteratura”, Rubrica già presente nelle precedenti edizioni de il Diabete si modifica nella struttura in questa nuova edizione. Lo scopo di questa Rubrica rimane quello di aggiornare i lettori sulle più recenti ricerche in ambito diabetologico, affrontando problematiche di ricerca di base e di pratica clinica, con l’obiettivo di evidenziare approcci innovativi per la prevenzione e il trattamento della malattia diabetica e delle sue complicanze. In ogni numero vengono selezionati due articoli da prestigiose riviste scientifiche con elevato Impact Factor. Gli articoli scelti affrontano temi inerenti il diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2, l’obesità e la sindrome metabolica. Oltre alla descrizione del razionale dello studio, delle metodologie impiegate e dei risultati conseguiti, vengono riportate figure e tabelle relative ai risultati più significativi contenuti nella pubblicazione scientifica, al fine di accompagnare il lettore nella lettura critica e nella discussione di un singolo dato sperimentale o clinico di particolare rilievo. Francesco Giorgino
a rt i c o l i s e l e z i o n at i e c o mm e n tat i
Il Diabete n. 1/2014
Francesco Giorgino, Anna Leonardini Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Art icolo n. 1
Netrin-1 promotes adipose tissue macrophage retention and insulin resistance in obesity – Netrin-1 trattiene i macrofagi nel tessuto adiposo e promuove l’insulino-resistenza in presenza di obesità Ramkhelawon B, Hennessy EJ, Ménager M, Ray TD, Sheedy FJ, Hutchison S, Wanschel A, Oldebeken S, Geoffrion M, Spiro W, Miller G, McPherson R, Rayner KJ, Moore KJ. Nat Med 2014 Mar 2. L’accumulo di macrofagi nel tessuto adiposo promuove l’infiammazione cronica e l’insulino-resistenza associate con il diabete di tipo 2. I macrofagi residenti nei tessuti sono una popolazione eterogenea e il loro fenotipo e la loro funzione riflettono il metabolismo locale e il microambiente immunitario. Si è ipotizzato che i macrofagi che popolano il tessuto adiposo in assenza di obesità siano simili ai macrofagi M2 che caratteristicamente secernono citochine antiinfiammatorie (per esempio IL-10) e promuovono il rimodellamento del tessuto. Con l’aumento dell’introito calorico e l’incremento dell’obesità, nel tessuto adiposo vengono richiamati macrofagi attivati M1 che secernono fattori pro-infiammatori in grado di alterare l’omeostasi glucidica a livello dello stesso tessuto adiposo e di altri tessuti. Nonostante le scoperte recenti sui meccanismi che regolano le cellule del sistema immunitario che si vanno accumulando nel tessuto adiposo quando è presente l’obesità, restano da chiarire i meccanismi che guidano il reclutamento dei macrofagi 50
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
e il loro mantenimento nel tessuto adiposo. È stato ipotizzato che in aggiunta ai segnali che dirigono i macrofagi nel tessuto adiposo, l’obesità provochi segnali che promuovono il trattenimento dei macrofagi nel tessuto stesso. Recentemente è stata posta attenzione al ruolo di molecole secrete a livello neuronale in grado di regolare la risposta immunitaria, incluse la migrazione e l’adesione di cellule infiammatorie, e che possono in ultima analisi regolare il cosiddetto “immuno-metabolismo”. Tra le diverse molecole individuate, in questo lavoro gli Autori hanno concentrato la loro attenzione sulla netrin-1, molecola fondamentale per orientare gli assoni dei neuroni per la sinaptogenesi. Per netrin-1 è stato ipotizzato un ruolo nel mantenimento dei macrofagi a livello del tessuto adiposo. Gli Autori hanno dimostrato che la netrin-1 è molto espressa nel tessuto adiposo sia umano che murino, dove controllerebbe il reclutamento e il mantenimento in sede dei macrofagi. La netrin-1, la cui espressione è indotta nei macrofagi dall’acido grasso saturo palmitato, agisce tramite il suo recettore Unc5b per bloccare la migrazione dei macrofagi. In un modello murino di obesità indotta dalla dieta, gli Autori hanno dimostrato che i macrofagi del tessuto adiposo hanno una ridotta capacità migratoria, che può essere ripristinata bloccando la netrin-1. A tal fine gli Autori hanno utilizzato un protocollo che prevede un’iniezione intravenosa retro-orbitale di una sostanza fluorescente in grado di marcare i monociti in vivo e di seguirli nel tempo. Il primo gruppo di topi era sacrificato dopo tre giorni, tempo necessario per il reclutamento di monociti marcati da parte dei tessuti e la clearance dei rimanenti da parte del sangue. Il secondo gruppo di topi, sacrificato al quattordicesimo giorno, era utilizzato per quantificare il numero di macrofagi marcati rimanenti nel tessuto adiposo. Al giorno tre, una dieta ad alto contenuto in grassi (HFD) aumentava, rispetto a quella normale (chow), il reclutamento di monociti marcati nel tessuto adiposo di due volte e mezzo sia in topi controllo (WT) che in topi geneticamente modificati e privi di netrin-1 (Ntn1-/ -). Dopo quattordici giorni nel tessuto adiposo di topi privi di netrin-1 si osservavano pochi monociti mentre un maggior numero si rinveniva nei linfonodi mesenterici suggerendo che i monociti del tessuto adiposo lasciano il tessuto in assenza di netrin-1.
Figura 1
Analisi del reclutamento e del trattenimento di macrofagi nel tessuto adiposo di topi sottoposti a dieta
controllo (“Chow”) o dieta ad alto contenuto in grassi (“HFD”) utilizzando un tracciante fluorescente. In nero, topi di controllo (WT); in grigio, topi privi di netrin-1. Mod. da Ramkhelawon B et al., Nat Med 2014
*
*
*
Cellule positive per sezione
*
WT
WT
Ntn1-/-
Cellule positive per sezione
Ntn1-/-
Chow Chow
HFD HFD
Chow Chow
HFD HFD
GIORNO 14
GIORNO 3
Giorno 3
Giorno 14
51
AGGIORN A MENTO DALLA LETTERATURA
Questi dati suggeriscono che in presenza di obesità indotta da una dieta iperlipidica netrin-1 agisce a valle dei segnali che richiamano i monociti per promuoverne la ritenzione a livello del tessuto adiposo. Inoltre, l’eliminazione di netrin-1 dalle cellule ematopoietiche facilita la fuoruscita dei macrofagi dal tessuto adiposo, riducendo l’infiammazione e migliorando la sensibilità all’insulina. Le attuali strategie che mirano a modulare l’infiammazione del tessuto adiposo hanno fornito risultati non ottimali e ad oggi non completi: ad esempio, il blocco del segnale del TNF-alfa in soggetti obesi con diabete tipo 2 produceva effetti sub-ottimali mentre studi clinici che hanno valutato l’inibizione dell’IL-1 sembrerebbero essere più promettenti. Comunque, queste terapie disegnate per bloccare le citochine prodotte in presenza di infiammazione cronica potrebbero essere meno efficaci di trattamenti che mirano alla fonte del problema, cioè all’accumulo di macrofagi e di altre cellule del sistema immunitario nel tessuto adiposo patologico. Questo lavoro suggerisce che la modulazione di fattori locali che promuovono la ritenzione dei macrofagi nel tessuto adiposo, come la netrin-1, potrebbe ridurre i mediatori locali e sistemici dell’infiammazione che conducono alla disfunzione metabolica. Art icolo n. 2
Compromised gut microbiota networks in children with anti-islet cell autoimmunity – Alterazioni delle reti di interazione del microbiota intestinale in bambini con autoimmunità anti-insula pancreatica Endesfelder D, zu Castell W, Ardissone A, Davis-Richardson AG, Achenbach P, Hagen M, Pflueger M, Gano KA, Fagen JR, Drew JC, Brown CT, Kolaczkowski B, Atkinson M, Schatz D, Bonifacio E, Triplett EW, Ziegler AG. Diabetes 2014 Mar 7. In questo lavoro, gli Autori hanno cercato di determinare se vi fossero differenze nella composizione del microbiota intestinale dalla nascita ai tre anni di età in bambini che hanno sviluppato autoimmunità cellulare anti-insula pancreatica. L’analisi è stata condotta su 298 campioni prelevati da 44 bambini (22 bambini con positività per gli anticorpi anti-insula e 22 bambini controllo con negatività per tali anticorpi) che partecipavano allo studio BABYDIET. Lo studio BABYDIET è uno studio randomizzato che coinvolgeva 150 bambini con un familiare di primo grado affetto da diabete tipo 1 e con un genotipo di rischio HLA DR3/4-DQ8 o DR4/4-DQ8 o DR3/3 a 6 e 12 mesi di età. I campioni di sangue e feci venivano raccolti ogni tre mesi dai tre ai trentasei mesi e successivamente ogni sei mesi. In ogni visita erano dosati gli anticorpi anti-insulina, anti-GAD, anti fosfo-tirosin-fosfatasi e contro l’isoforma 8 del trasportatore dello zinco. L’analisi si è incentrata sulla valutazione della diversità batterica, sulla composizione del microbiota, sulle singole specie di batteri e sulle reti d’interazione del microbiota. Non si sono osservate differenze nella composizione microbica o nell’abbondanza dei singoli generi tra i bambini con autoanticorpi positivi e quelli con autoanticorpi negativi. Dato che il microbiota intestinale costituisce un ecosistema, dove i batteri dipendono uno dall’altro e competono per il loro sostentamento, gli Autori hanno ipotizzato che una interazione funzionale dei batteri fosse cruciale per lo sviluppo del microbiota intestinale e che differenze nell’interazione tra batteri potessero associarsi con lo sviluppo di autoimmunità anti-insula pancreatica. Gli Autori hanno quindi utilizzato due differenti score per indagare le interazioni batteriche: l’“Eigenvector centrality” e il numero di nodi isolati. I nodi rappresentano i generi batterici. In particolare l’“Eigenvector centrality” misura l’importanza relativa e la connettività di ciascun nodo nella rete. Questo tipo di analisi è stata recentemente applicata con successo ad altri lavori che hanno analizzato il microbiota intestinale. La correlazione basata sulle reti di interazioni batteriche è stata valutata all’età di sei mesi, 1 e 2 anni in entrambi i gruppi. Nella Figura i cerchi bianchi rappresentano i nodi che hanno un’alta centralità, in grigio sono rappresentati quelli che hanno una media centralità, in nero quelli con bassa centralità, mentre le stelle individuano i nodi isolati. Le differenze nell’“Eigenvector centrality” indicano che le reti di bambini positivi agli autoanticorpi anti-insula mostravano una significativa differenza nella distribuzione a 52
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
Figura 1
Reti di interazioni batteriche in bambini che sviluppano positività o restano negativi per gli autoanticorpi
anti-insula dalla nascita ai tre anni di età. Mod. da Endesfelder D et al., Diabetes 2014
Ab anti-insula positivi 0,5 0,25 anni
Ab anti-insula positivi 1 0,25 anni
Ab anti-insula positivi 2 0,25 anni
Ab anti-insula negativi 0,5 0,25 anni
Ab anti-insula negativi 1 0,25 anni
Ab anti-insula negativi 2 0,25 anni
Nodo con alta centralità
Nodo con bassa centralità
Nodo con media centralità
Nodo isolato
sei mesi e a 2 anni. La maggior parte dei generi che avevano un’alta centralità all’età di 6 mesi avevano anche un’alta centralità all’età di 2 anni sia per i bambini positivi (88%) che negativi (77%) per gli autoanticorpi. Nessuna differenza significativa tra i due gruppi si osservava all’età di un anno; dal momento che molti bambini modificano la loro alimentazione passando dal latte materno ai cibi solidi tra i sei mesi e l’anno, è stato ipotizzato che questo cambiamento potesse svolgere un forte effetto e che fosse in grado di mascherare l’associazione dell’autoimmunità anti-insula con la rete batterica all’età di un anno. Inoltre, i bambini con positività per gli autoanticorpi anti-insula avevano un aumento del numero di nodi isolati, in figura rappresentati dalle stelle, che causano un ridotto numero di possibili percorsi di comunicazione e che quindi possono compromettere la flessibilità della rete e l’adattabilità della comunità batterica. A oggi questo è il più grande studio che collega il microbiota intestinale allo sviluppo dell’autoimmunità nei bambini. Questi risultati potenzialmente rilevanti per lo sviluppo dell’autoimmunità anti-insula pancreatica non sembrano essere focalizzati sul microbiota individuale, ma sulla loro connettività. Inoltre, il microbiota intestinale in età precoce è fortemente influenzato da fattori come i cambiamenti nella dieta e il passaggio a un microbiota più simile a quello dell’adulto. Gli Autori concludono suggerendo la necessità di una visione sistemica per capire la complessa relazione tra lo sviluppo del diabete di tipo 1, l’ambiente e il microbiota intestinale. 53
o r g a n i z z a z i o n e e g e s t i o n e d e l l’a s s i s t e n z a d i a b e to lo g i c a
a cura di Roberto Trevisan Direttore USC Malattie Endocrine e Diabetologia, Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo
Questa sezione de il Diabete, già presente nelle precedenti edizioni, è dedicata a contributi che descrivono il complesso e in continua evoluzione modello dell’assistenza diabetologica in Italia e nel mondo. Siamo in presenza di una crisi del welfare tradizionale che appare sempre meno sostenibile di fronte a una continua riduzione delle risorse disponibili. D’altra parte il costante aumento delle persone con diabete (anche per l’invecchiamento della popolazione) che spesso presentano altre malattie croniche e fragilità pone le strutture diabetologiche in crescente difficoltà nel far fronte alla domanda di cura e follow-up. Inoltre la crisi della finanza pubblica spinge le organizzazioni sanitarie a ridurre le risorse disponibili alla cura del diabete. Stanno emergendo modelli di gestione della malattia cronica che tendono a marginalizzare la figura dello specialista. Per questo motivo questa sezione si propone non solo di aggiornarci sulla situazione della diabetologia, ma anche come un “Forum” di proposte per una diabetologia sostenibile che valorizzi la professionalità e le competenze del diabetologo. Per il numero odierno, abbiamo scelto di pubblicare la presa di posizione comune di SID e AMD nei riguardi di AIFA per la prescrivibilità delle incretine. In particolare non appare giustificata la scelta di AIFA di non rimborsare le incretine in associazione con insulina basale, una combinazione efficace nel migliorare il controllo glicemico senza aumentare il rischio di ipoglicemie. Grazie alle osservazioni di SID e AMD, AIFA ha promesso di riconsiderare nel prossimo futuro i criteri di rimborsabilità dei nuovi farmaci. Attendiamo con fiducia e speranza degli sviluppi positivi. Roberto Trevisan
Nota di commento congiunta della Associazione Medici Diabetologi e Società Italiana di Diabetologia sui nuovi piani terapeutici per le incretine Il nuovo schema per la prescrizione in regime di rimbor-
ottenere riduzioni assai maggiori della media. È opportu-
sabilità di farmaci basati sulle incretine (inibitori della
no ricordare che nessuna terapia per il diabete riduce (me-
DPP4 e agonisti recettoriali del GLP1) presenta varie criti-
diamente nei trial) la HbA1c di oltre 1,0-1,5% – a parte forse
cità, che elenchiamo di seguito.
uno schema intensivo con insulina; questo non significa
1. La soglia di 7,5% di emoglobina glicata (58 mmol/mol),
che i pazienti con oltre 9% di HbA1c non possano essere
nella definizione del “Fallimento terapeutico” quale Limitazio-
trattati con successo, raggiungendo i target terapeutici.
ne generale alla rimborsabilità, è arbitraria e in contrasto con
3. Non è chiaro perché la soglia di 8,5% dovrebbe essere
la maggior parte delle linee guida e raccomandazioni,
valida solo per i nuovi farmaci. Come già detto, nessuna
che indicano come livello di intervento 7% (53 mmol/mol)
terapia per il diabete riduce la HbA1c di oltre 1,0-1,5%. Non
nella maggior parte dei pazienti, proponendo addirittu-
si capisce perché, con pari efficacia, dimostrata da decine
ra obiettivi più ambiziosi (6,0% - 48 mmol/mol) nei gio-
di studi di non inferiorità, la limitazione dovrebbe essere
vani/adulti senza malattie concomitanti o complicanze
valida solo per i farmaci incretinici.
macrovascolari.
4. Nella parte “Limitazioni generali alla rimborsabilità” dei Piani
2. La soglia di 8,5% oltre la quale non si avrebbe sufficiente
Terapeutici per la prescrizione di Exenatide e di Liragluti-
efficacia è arbitraria. La riduzione media di HbA1c è infat-
de, analogamente a quelli per gli inibitori della DPP-4, è
ti funzione della HbA1c iniziale e singoli pazienti possono
riportato il paragrafo: “[…] il livello di HbA1c può estendersi al 9% 54
vol. 26 – n. 1 - maggio 2014
nel caso in cui sussistano uno o più elementi di fragilità quali l’età >75
presenta un motivo sufficiente per privilegiare tratta-
anni, l’insufficienza renale cronica di grado severo (GFR <30 ml/min)
menti non gravati da tale effetto collaterale.
e/o complicanze e/o patologie concomitanti che riducano l’aspettativa
8. Il punto 3 della parte “Precisazioni” (Rischio di ipoglice-
di vita”. Se ne evince che exenatide e liraglutide possano
mie) è tendenzialmente in contrasto con il punto 1 (HbA1c
essere prescritti e rimborsati fino a una HbA1c del 9% se vi
> 7,5%). Se un paziente in terapia con sulfoniluree presen-
è un’insufficienza renale cronica di tale gravità. Questa
ta degli episodi di ipoglicemia, con una HbA1c<7,5%, sem-
rappresenta una rilevante (e potenzialmente pericolosa)
bra che inibitori della DPP4 e agonisti del GLP1 non pos-
contraddizione con quanto riportato nelle indicazioni
sano essere prescritti in sostituzione della sulfonilurea,
delle Schede Tecniche Ministeriali di tali farmaci (RCP,
in quanto il punto 1 non è soddisfatto. L’unica possibilità
Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto), che non
allora è quella di sospendere la sulfonilurea e attendere
sono prescrivibili con clearance <30 ml/min.
che la HbA1c risalga oltre 7,5, sperando che non superi
5. Il valore di HbA1c non sempre corrisponde fedelmen-
8,5%. Questa modalità comporta una inutile esposizione
te alla media delle glicemie del paziente. In un sogget-
del paziente ad una fase di iperglicemia, con rischio di
to con anemia cronica, trasfuso di recente o affetto da
scompenso.
emoglobinopatie (quale una condizione talassemica,
9. Il documento fa riferimento a valutazioni di costo-ef-
patologia a elevatissima prevalenza in alcune aree e re-
ficacia. Non siamo a conoscenza di valutazioni sui costi
gioni del Paese), una soglia di HbA1c 7,5% corrisponde a
diretti relativi alle terapie incretiniche e ai farmaci alter-
un grado di compenso glicemico nettamente peggiore
nativi effettuate in Italia. In particolare, sarebbe interes-
rispetto a un soggetto non affetto da tali condizioni. Di
sante conoscere quale è l’effetto dell’uso delle sulfoniluree
contro, il valore di HbA1c può risultare falsamente au-
e dell’insulina, in alternativa alle incretine, sul costo per
mentato in presenza di insufficienza renale, alcoolismo,
l’automonitoraggio della glicemia, sugli interventi sani-
ipertrigliceridemia.
tari per ipoglicemia e sui ricoveri (per ipoglicemia o per
6. Quanto sopra contrasta con le linee guida e le racco-
altri motivi). Sarebbe paradossale se, per favorire l’uso di
mandazioni delle principali società scientifiche a livello
farmaci meno costosi, si determinasse, oltre ad un peg-
internazionale, che indicano che la terapia del diabete
gioramento della qualità della cura, anche un aumento
deve essere personalizzata, essendo la risposta dei sin-
della spesa sanitaria complessiva.
goli pazienti assai variabile in base alle loro caratteristi-
10. Secondo il nuovo schema di prescrizione, non è più
che cliniche (Inzucchi et al., Diabetes Care 35: 1364, 2012;
rimborsabile l’associazione con insulina (per es., l’as-
Standard Italiani di Cura del Diabete Mellito, 2010). L’im-
sociazione insulina + sitagliptin, autorizzata da EMA e
posizione – di fatto – di una o due classi di farmaci a sca-
AIFA, e rimborsabile fino a dicembre 2013). Secondo quan-
pito delle altre riduce la possibilità per molti pazienti di
to riportato nel paragrafo “Limitazioni alle indicazioni terapeu-
ottenere cure pienamente adeguate per le loro esigenze.
tiche” a giustificazione della restrizione, l’analisi costo-ef-
7. La prescrizione di farmaci capaci di indurre ipoglice-
ficacia a lungo termine di tale associazione non è ancora
mie gravi comporta limitazioni per la guida di veicoli
ben definita. Le Società Scientifiche scriventi fanno pre-
commerciali e per l’uso di altri macchinari. La mancata
sente come siano disponibili evidenze di efficacia, tolle-
possibilità di utilizzare farmaci alternativi a sulfonilu-
rabilità e addirittura di vantaggi economici (correlati alla
ree e insulina, per coloro che non possono permettersi di
riduzione del dosaggio dell’insulina e alla diminuzione
acquistarli personalmente, renderà impossibile ad alcu-
del rischio di ipoglicemie) per tale associazione terapeuti-
ni pazienti con rischio professionale per possibili ipogli-
ca; è curioso a questo proposito rilevare come tali eviden-
cemie (ad esempio, autotrasportatori, autisti, gruisti, la-
ze fossero state ritenute sufficienti fino all’autunno scorso
voratori su impalcature) di proseguire la propria attività
mentre non lo siano più nei nuovi Pianti Terapeutici, non
lavorativa, e limiterà il rinnovo della patente di guida a
risultando pubblicati – a quanto a noi noto – nuovi studi
molti altri. Il rischio di ipoglicemie rappresenta quindi
con evidenze opposte rispetto a quelle succitate.
un criterio per togliere alla persona con diabete oppor-
11. In relazione al punto precedente, si genera la surreale
tunità lavorative per limitarne la libertà di movimento
situazione di dover cambiare una prescrizione terapeuti-
e peggiorarne la qualità di vita, mentre non sempre rap-
ca (incretine con insulina) a individui in buon compenso 55
A ss i s t e n z a DI A B ETOLOGI C A
glicemico per effetto della stessa, e quindi indipendente-
la pratica clinica. Se l’intento è quello (condivisibile) di
mente dai risultati ottenuti; tutto questo a meno che il
contenere la spesa sanitaria, occorre che si tenga conto di
paziente non sia disposto a pagare tale terapia di tasca
tutti i costi, o almeno di tutti i costi diretti, e non soltan-
propria, generando un’inedita disparità di accesso alle
to di quelli direttamente dovuti all’acquisto di farmaci. È
cure sulla base delle condizioni economiche individuali.
infatti possibile (ed in questo caso probabile) che la scelta
12. Più in generale, l’obbligo di prescrizione attraverso
del farmaco meno costoso generi altri costi, maggiori del
Piani Terapeutici on line sempre più complicati, con dif-
risparmio ottenuto, tanto da provocare un danno all’era-
ferenze di rilievo tra i diversi farmaci appartenenti alla
rio. La spesa per farmaci per il diabete rappresenta meno
classe delle incretine, crea un ovvio deterrente che limita
del 10% dei costi diretti per la cura nei pazienti diabeti-
enormemente la possibilità di prescrizione di questi far-
ci: una percentuale rimasta sostanzialmente invariata
maci, ostacolando di fatto la fruibilità delle cure da parte
negli ultimi anni, mentre è progressivamente aumenta-
dei pazienti e limitando la tutela della salute dei cittadini
ta quella legata ai costi dei ricoveri (Osservatorio ARNO
in relazione al diritto di accesso universale alle terapie.
Diabete. Rapporto 2011 Volume XVII - Collana “Rapporti
Tra le conseguenze di tali limitazioni, vi è la concreta
ARNO”). La decisione di promuovere l’uso di sulfoniluree
probabilità che si tollereranno valori glicemici più alti del
ed insulina quali farmaci di seconda istanza, che deriva
normale o che aumenti la prescrizione di farmaci gravati
da questa disposizioni, comporta un aumento della spesa
da maggiori effetti collaterali e con costi complessivi ana-
per automonitoraggio domiciliare della glicemia (attual-
loghi (intensificazione dell’automonitoraggio glicemico,
mente circa uguale a quella per i farmaci per il diabete) ed
cadenza più elevata di visite di controllo, maggior rischio
un aumento del costo per interventi di urgenza, accessi al
di ricovero per ipoglicemie ecc.).
pronto soccorso e ricoveri per le ipoglicemie e le loro conse-
In aggiunta a quanto sopra indicato, esistono alcuni pun-
guenze (N Engl J Med 2011, 365.2002; Exp Clin Endocrinol
ti in cui il testo non è chiaro o di difficile interpretazione.
Diabetes, 118: 215, 2010).
In particolare:
Inoltre, l’uso di sulfoniluree ed insulina si associa ad
a. Al punto 1, si attesta che i farmaci in questione possono
aumento di peso, che genera ulteriori costi sanitari (He-
essere prescritti soltanto in caso di “Fallimento terapeutico
alth Technol Assess 14: 1, 2010). Occorre poi ricordare che
(HbA1c 47,5%) alla dose massima tollerata della terapia ipoglicemiz-
esistono dubbi crescenti sulla sicurezza sul piano cardio-
zante corrente e dopo adeguata e documentata modifica dello
vascolare delle sulfoniluree. Una recente review della
stile di vita (dieta e attività fisica)”. Al di là dell’arbitrarie-
Cochrane Collaboration (Cochrane Database Syst Rev 4:
tà della soglia di HbA1c (vedi sopra), la dizione “terapia
CD009008, 2013) ha concluso che non ci sono dati di sicu-
ipoglicemizzante corrente” è ambigua.
rezza sufficienti per raccomandare la prescrizione di sul-
b. Allo stesso punto 1, non si capisce bene come si dovrebbe
foniluree. È quindi presumibile che le forti limitazioni
documentare la modifica dello stile di vita: se ciò che
sulla prescrizione di incretine possano generare un incre-
deve essere documentato è l’intervento terapeutico, i
mento marcato di prescrizione di insulina, più che di sul-
pazienti che non possono accedere a strutture che forni-
foniluree, con effetti sui costi opposti a quelli auspicati.
scano adeguati programmi di educazione terapeutica,
Si ritiene inoltre molto grave il fatto che a tutt’oggi non
già svantaggiati rispetto agli altri, si vedrebbero preclu-
sia disponibile il piano terapeutico on line. La lunga (e per
dere anche la possibilità di accedere alle terapie innova-
molti aspetti di opinabile utilità) raccolta di dati obbliga-
tive, aggravando la disparità di trattamento. Qualora si
toria per la prescrizione è assolutamente inutile se non si
intenda che si deve documentare l’avvenuto mutamen-
è in grado di utilizzare in qualche modo i dati stessi. Cer-
to dello stile di vita, ciò significa condizionare l’eroga-
tamente i dati in cartaceo non sono utilizzabili.
zione delle cure al comportamento del paziente; secon-
In conclusione, le limitazioni imposte alla prescrizione
do lo stesso principio, si dovrebbero, ad esempio, negare
dei farmaci innovativi, così come configurate nel docu-
le cure per la cirrosi epatica a chi continua ad assumere
mento AIFA, comportano un peggioramento della qua-
alcool, o le cure antitumorali a chi continua a fumare.
lità della cura per una parte dei pazienti con diabete ed
Nel complesso, le disposizioni contenute nel documento
espongono molte persone a eventi avversi gravi associati
sembrano essere dettate da una lettura selettiva ed in-
alle terapie alternative. L’impatto sulla spesa sanitaria si
completa delle evidenze disponibili, non confrontata con
tali limitazioni è ignoto e potenzialmente negativo. 56