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Escursionismo | Diario sloveno

Incontri (quasi) casuali che si trasformano in opportunità. Merito dei club alpini. E così siamo andati alla scoperta delle meraviglie dell'altopiano carsico della Komna, sulle Alpi Giulie Orientali

testo e foto di Elio Candussi*

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Ci sono storie semplici che meritano di essere raccontate. Avventure personali che nascono dalla volontà di scoprire luoghi nuovi e che si trasformano in esperienze emotivamente irripetibili. E così la dimensione privata diventa pubblica attraverso il racconto. L’inizio di questa piccola grande storia ha un nome: Jože. L’ho conosciuto durante un incontro del gruppo Alpe-Adria tra i club alpini di Slovenia, Carinzia e Friuli-Venezia Giulia. Jože abita vicino al Bohinj, il più grande lago sloveno, ai margini del Parco nazionale del Tricorno (Triglavski narodni park). Fino a quel momento conoscevo abbastanza bene la parte meridionale del Parco, a nord del lago, ma non l’area occidentale, che si estende su un vasto altopiano disabitato verso la valle dell’Isonzo. Poi ecco che, circa un anno fa, si presenta l’opportunità tanto attesa attraverso l’invito di Jože. Mi dice che il Planinsko Društvo, il club alpino di Stara Fužina, il suo paese, possiede un rifugio sull’altopiano della Komna. Desideravo esplorarlo da tempo e questa è l’occasione giusta. Ma non andrò da solo.

CHE L’AVVENTURA ABBIA INIZIO

Mi accordo infatti con l’amico Livio. Lui arriva da Udine e insieme decidiamo di raggiungere Bohinj d’inverno, all’inizio del 2020. Di solito a gennaio, lassù, c’è almeno un metro di neve. Stavolta non è così, ma desideriamo comunque provare. Partiamo. Con Jože e un paio di suoi amici ci incontriamo alla Dom Savica, a 650 metri di altitudine. Intorno a noi è tutto verde, il lago di Bohinj è di un blu intenso e splende il sole. È bellissimo. Sappiamo già che le ciaspole non ci serviranno, quindi le abbandoniamo nell’auto. Per salire in quota percorriamo una mulattiera costruita dai militari austriaci durante la Prima guerra mondiale. E così proseguiamo il nostro noioso zigzagare lungo 48 tornanti Ω tutti puntualmente indicati, uno a uno Ω fino a raggiungere 1200 metri di quota. Il versante è esposto a nord, quindi senza sole e con frequenti tratti ghiacciati coperti da foglie, molto insidiosi. Qua i ramponcini sono indispensabili. Arrivati sull’altopiano, usciamo dal bosco fino a raggiungere l’imponente Rifugio Dom na Komni (1530 m). Ci avviciniamo così alla meta finale e, dopo una breve sosta raggiungiamo il rifugio Dom na Bogatinom (1513 m). Il desiderio di proseguire l’esplorazione è forte. Anzi, fortissimo. Ma non è ancora il momento. Con Jože e i suoi amici ci fermiamo per mangiare qualcosa. E ovviamente, insieme, parliamo di montagna. Alla fine gli amici faranno ritorno a casa e noi resteremo in un rifugio semi deserto e molto confortevole.

I resti di un cippo del confine di Rapallo tracciato nel 1920.

IL MISTERO DELL’IMPRONTA

Ci troviamo in mezzo a una conca suggestiva, tra la Spodna Komna (a sud) e la Lepa Komna (a nord). La neve è scarsa, 20 centimetri al massimo, e non fa freddo. La temperatura è di pochi gradi sotto lo zero. Prima che giunga il tramonto andiamo a curiosare tra i resti di un ospedale militare austriaco. È una zona piuttosto ventosa e sulla neve scopriamo delle curiose impronte di scarponi e i segni lasciati dagli sci: anziché essere infossate nella neve, le impronte sono in rilievo. La neve intorno è più bassa, ma com’è possibile? Questo fenomeno apparentemente innaturale è in realtà presto spiegato. Il vento ha spazzato via una decina di centimetri di neve soffice e farinosa, lasciando a noi l’enigma di quella che iniziamo a chiamare “impronta contraria”. Durante la camminata serale, non senza stupore, incontriamo la rifugista Ana accompagnata dal suo cane. Camminava per scaricare una tensione personale. Del resto ognuno ha i suoi buoni motivi per camminare. Dopo cena sono proprio i gestori del rifugio (due ragazze e un cuoco) a darci suggerimenti sull’itinerario del giorno dopo. Solo in quel momento scopriamo di essere gli unici italiani nel raggio di parecchi chilometri.

DALL’ALTO, IL MARE LUCCICANTE

Il mattino seguente la sveglia suona all’alba. A gennaio, si sa, le giornate sono piuttosto corte. C’è ancora il sole, non fa freddo. Indossiamo i ramponicini e con uno zaino leggero partiamo verso ovest. In un paio d’ore raggiungiamo il Bogatinsko Sedlo, m. 1804 (Bogatinsko Sedlo, m 1804). È la sella che ci mette in comunicazione con un vasto altopiano che arriva fino al Krn, noto come Monte Nero. Qua ci sono pietre ovunque in mezzo alla neve. Verso sud-est, ecco le vicine vette del Bogatin e del Mahavš e. Ma la sorpresa arriva da sud, dove si apre un varco tra le montagne che ci consente di vedere perfino uno spicchio di mare luccicante. In sella scopriamo i resti dei cippi del cosiddetto “confine di Rapallo”, che dal novembre 1920 divideva il Regno d’Italia da quello di Jugoslavia.

“impronta contraria”, cioè in rilievo

il tornante n. 48 del sentiero dal lago di Bohinj, all’altopiano della Komna

Consultiamo le mappe, riconosciamo i monti, il cielo è sempre limpido e il blu vivace si riflette sul candore della neve. Proseguiamo verso nord. In assenza di tracce, seguiamo l’intuito. È così che riusciamo a raggiungere la cima del Monte Lanzevica (2000 m) senza troppe difficoltà. Per tornare al rifugio stabiliamo di percorrere un anello attorno a un’altura. A metà del tratto possiamo toccare con mano un luogo che ci era stato raccomandato da Ana, la Mrzla Komna, noto come il posto più freddo della Slovenia. Ci aveva detto “mainus fortinain”. Avevo capito bene? Sì, meno 49 gradi. Stentavamo a crederci. Ma improvvisamente, superate chiazze di mughi, vediamo un piccolo avvallamento con un palo dotato di strumentazione. È una piccola stazione meteo e c’è una tabella che riporta effettivamente la scritta “-49°C registrati il 9 gennaio 2009”. Incredibile.

COME I RE MAGI

Proseguendo verso il nostro rifugio superiamo un passo cosiddetto dei Turchi. Ce ne sono diversi da queste parti e tutti ricordano le invasioni nel XV e XVI secolo. Alla fine, attesissimo, ci accoglie il calore della nostra “ko a” (capanna). A quell’ora potremmo anche scendere a valle, ma siamo stanchi e il tepore della stufa è particolarmente gradevole. Quindi doccia calda, cena con “jota” e “klobase”, quattro chiacchiere con gli ospiti e dritti a letto. Arriviamo così all’ultimo giorno. Notiamo un insolito e incessante afflusso di giovani e meno giovani locali che salgono dal lago al Rifugio Dom na Komni. Ci domandiamo perché salgano nel tardo pomeriggio e scopriamo che all’imbrunire ci sarà una messa all’aperto per festeggiare l’arrivo dei Re Magi. Seguirà una sagra paesana invernale, fino a notte fonda. Alcuni resteranno a dormire nel rifugio, altri si faranno allegramente un paio d’ore in discesa con un po’ di vino in corpo. Buon per loro. Ora è il nostro momento. Prima di ripartire diamo un’occhiata alla Cascata della Savica, l’immissario del lago di Bohinj, che precipita dalla valle dei Sette Laghi. Ma questa è un’altra storia.

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