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Torrentismo | Cuore in gola

Un team di otto persone, nel giugno dell’anno scorso, ha esplorato 28 nuove calate nella gola della Val Clusa, nel comune di La Valle Agordina, un paese di 1000 abitanti incastonato nelle Dolomiti Bellunesi

di Alessio Vescovo e Filippo Artuso

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Ci troviamo in Veneto, più precisamente nel comune di La Valle Agordina, un paese incastonato nelle Dolomiti Bellunesi. La Val Clusa (anticamente Crusa) fino a un decennio fa era la gola più tecnica d’Italia, poi spodestata da altri percorsi più lunghi e impegnativi. Il team di esplorazione è formato da otto persone Ω come dicono scherzosamente gli amici Ω “i mica tanto a posto”: Luca, Andrea, Elena, Filippo, Alessio, Giacomo, Michele, Costantino. Facciamo tutti parte del Vertical Water team, gruppo già conosciuto per alcune spedizioni di torrentismo pubblicate anche su Montagne360 come: “Chamje Khola” e “Exploring island” (vedi M360 ottobre 2019, ndr). Il perché abbiamo deciso di intraprendere questa esplorazione che vi sto per raccontare, come al solito, è difficile da spiegare. È la voglia di mettersi alla prova, di sentir scorrere l’adrenalina; voglia di voler evadere in una dimensione dove la natura ti risucchia senza possibilità di uscita e tu puoi solo ascoltarla e rispettarla, ritrovando quell’emozione che nelle città ormai è perduta.

L’INIZIO DELL’ESPLORAZIONE

L'avventura è iniziata da uno studio cartografico del territorio unito al successivo sopralluogo di Luca e Sara. C’erano tutti i parametri per presupporre l’esistenza di altre cascate inesplorate a monte, restava il grandioso dubbio: «ma vuoi che nessuno sia mai andato fin lassù a controllare?». Poi, nell’incertezza, abbiamo deciso di andare. Siamo partiti alle luci dell’alba del mattino del 21 giugno 2020, dopo i consueti controlli del materiale e il carico dei mezzi fuoristrada con cui abbiamo percorso un tratto di circa 6 chilometri, costeggiando il Monte Zelo. Sono seguite due ore a piedi e, svalicando in Val Clusa a quota 1860, siamo scesi fino a incontrare il torrente a quota 1500. Da lì abbiamo iniziato a intravedere quelle prime pozze e calate di quella che sarà chiamata la “parte Altissima”. Il primo di noi che è arrivato a questa prima calata ha cercato subito in ogni angolo della parete limitrofa se vi fossero tracce di vecchi chiodi da roccia o un foro di un vecchio spit portato via negli anni dall’acqua. «Niente!», ha poi urlato con grandissima emozione.

(foto Giacomo Meglioli)

L’ambiente è bello e la progressione costante, quindici calate prima della prima via di fuga a quota 1300, dove abbiamo trovato un grosso nevaio e un ghiaione. L’idea che fosse già finita, ovvero che il ghiaione si estendesse fino a Casera Prima di Val Clusa, l’attacco classico del canyon, è svanita alla vista di un nuovo inforramento. Il freddo dell’acqua proveniente dal nevaio non rendeva piacevoli le soste obbligate per attrezzare; diverse le calate e varie le disarrampicate prima di incontrare il nuovo punto tecnico della Val Clusa: “Valalla”.

(foto Costantino Boscolo)

Se non sei selvaggio come la natura in cui sei immerso, se non sei il giusto mix di preparazione tecnica e forza, non sei nel posto giusto

(foto Costantino Boscolo)

(foto Costantino Boscolo)

STANCHI MA FELICI

L’acqua era tanta e per la particolare conformazione a “doppia S” si nebulizzava e non permetteva di decifrare dal nostro osservatorio la sua progressione. Luca ha deciso di andare per primo, mentre io cercavo di non guardare. Troppa l’amicizia, troppa l’acqua nebulizzata, troppo il salto nel vuoto che stava per fare. Discensore alla mano, Luca si è immerso completamente in Valalla, nei 70 lt/sec che lo schiaffeggiavano come a ricordarci che se non sei selvaggio come la natura in cui sei immerso, che se non sei il giusto mix di preparazione tecnica e forza, non sei nel posto giusto. Dopo un tempo indefinito che in questi momenti, si sa, si dilata in modo ansiogeno, ecco ricomparire Luca nel greto, fuori della cascata. «È uscito!». Luca con qualche segno faceva capire ad Andrea che era troppo pericoloso far scendere la squadra in quella cascata e che si sarebbe dovuto costruire una teleferica con cui far calare in sicurezza tutti. Si sono susseguite poi altre calate, di cui una da 30 metri, prima di arrivare finalmente a Casera Prima di Val Clusa. Ho estratto il taccuino dove avevo man mano preso annotazioni sullo sviluppo della forra e, prima ancora di togliere muta e prendere fiato, ho contato le calate scoperte e attrezzate. Erano 25 nuove calate su corda, eravamo esausti ma felicissimi.

(foto Costantino Boscolo)

(foto Costantino Boscolo)

LA NUOVA VAL CLUSA

Pochi giorni dopo, appena le condizioni meteo lo hanno consentito, siamo tornati per una ripetizione integrale. Lo scopo era di migliorare alcuni armi (che rimangono comunque di tipo esplorativo), verificare l’accuratezza degli appunti che avevo preso sullo sviluppo della forra, e allestire la congiunzione con la “val Clusa classica”: tre ulteriori calate che venivano finora evitate, facendo partire l’itinerario direttamente dalla calata successiva. La discesa integrale è stata molto impegnativa e ha richiesto 6 ore di logistica e 12 ore all’interno del torrente di percorrenza senza sosta. Queste 28 nuove calate unite alle 39 che erano già conosciute e attrezzate portano il totale a 67. Con 1100 metri di dislivello e 5 chilometri circa di sviluppo orizzontale si era aperta la “nuova Val Clusa”, il canyon con più calate attrezzate d’Italia, superando Val di Bares, Val Serviera e Rio Menta, giusto per citarne alcuni. Con 1100 metri di dislivello e 5 chilometri circa di sviluppo orizzontale si era aperta la “nuova Val Clusa”, il canyon con più calate attrezzate d’Italia.

Con 1100 metri di dislivello e 5 chilometri circa di sviluppo orizzontale si era aperta la “nuova Val Clusa”, il canyon con più calate attrezzate d’Italia

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