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Nomi comuni di montagna
4 – Panettone
Normali parole che tra le vette assumono significati speciali. Come sella, terrazzo, camino – e molte altre – che nella prima definizione d’un dizionario hanno un certo senso, mentre in una relazione, guida o mappa di montagna ne acquistano un altro. Molto più pieno per chi le vette le ama e le frequenta. Tutto da scoprire per chi si sta avvicinando a esse. Questo processo, quando ci si trova lì nelle Terre alte, è per tutti istantaneo: da semplici vocaboli su carta i termini mutano in sensazioni ed esperienze vive. E a quel punto le altre comuni accezioni svaniscono.
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Bruno Tecci, narratore per passione, comunicatore di mestiere. Istruttore sezionale del Cai di Corsico (MI). Autore di Patagonio e la Compagnia dei Randagi del Sud (Rrose Sélavy) e di Montagne da favola (Einaudi Ragazzi).
Franco Tosolini, ricercatore e divulgatore storico. Istruttore regionale di alpinismo del Cai della Lombardia. È autore e coautore di saggi e libri tra cui La strategia del gatto (Eclettica).
Luca Pettarelli, illustratore e allenatore di karate. Con le sue pitture a olio ha collaborato al volume Montagna (Rizzoli). Nel 2016 è stato selezionato alla Bologna Children’s Book Fair. Le tradizioni sono rassicuranti. Stanno lì, immutate e immutabili, mentre tutto il resto attorno cambia e si evolve. Di esse ci si può fidare: non presentano sorprese né fregature. Sono belle e buone, col potere di ben disporre gli animi delle persone. Del Natale, lo san tutti, il panettone è una gran tradizione. Che han provato mille volte a modernizzare, proponendone varianti dai gusti più disparati, sorprendenti, ammiccanti – cioccolato, crema al Grand Marnier o pasticciera, marron glacé, zenzero o cannella, gusto strudel – ma il panettone, quello vero, non ha mai ceduto. Si presenta ogni anno all’appuntamento restando sempre fedele a se stesso: rassicurante, fidato, bello e buono. È talmente un’istituzione che molti dizionari ne danno la definizione e pure la ricetta. Tipico dolce natalizio milanese, tradizionale in tutta Italia, dalla rigonfia sezione superiore a cupola. La sua lavorazione prevede due impasti – quello della sera, con farina, lievito, burro e zucchero; e quello del mattino, con farina, burro, zucchero, sale, tuorli d’uovo, uva sultanina e cedro candito – che vengono poi incorporati, riposti in forme cilindriche e cotti in forno. Il panettone degli scialpinisti ha molto in comune col dolce natalizio. Per via della forma, ovviamente: è un monte poco pendente e dalla sommità tondeggiante. Ma non solo. Come il panettone classico della tradizione è rassicurante, fidato, bello e buono. Lo si sceglie quando proprio non si riesce a rinunciare a una bella salita con sci e pelli nonostante il rischio valanghe sia in aumento; o il meteo in generale non suggerisca un’escursione. Perché, data la sua conformazione, sul panettone è un po’ più raro che le valanghe si inneschino. Si può godere di una bella discesa in neve fresca con meno pensieri. Si può ammirare il paesaggio attorno, o concentrarsi sulla tecnica dello sci per disegnare una perfetta sequenza di “S” sul pendio, senza temere di finire in un dirupo. E come ognuno, a Natale, ha il suo pasticciere di fiducia, ogni scialpinista ha il suo luogo prediletto, di cui conosce ogni cambio pendenza, metro di sviluppo, albero o masso: anche ciò dà sicurezza. Il mio panettone è Pointe de la Pierre, in Valle d’Aosta, sopra Aymavilles. Rilievo di 2.653 metri con in basso un fitto bosco e in alto ampi e docili pendii. Anche dopo abbondanti nevicate lì si può “provare”. E se si riesce, un buon allenamento è assicurato: il dislivello da coprire è di 1.200 metri. In più, offre una vista superba sulla vicina Grivola, che è una montagna d’una bellezza disarmante e, all’orizzonte, sulle più famose vette della regione e del mondo. Col tempo è divenuto il mio panettone benché anni fa, in una delle prime salite, stava per rivelarmisi fatale. Possibile? Non erano “sicuri” i panettoni? Be’, sì! Ero io a non essere molto capace oltreché sprovveduto. Eran caduti ottanta centimetri di neve con la promessa d’una radiosa giornata di sole l’indomani. Io e il mio amico Flavio, neo-scialpinisti, ci dicemmo: Andiamo! La salita fu durissima, nonostante la traccia semi-battuta da chi quella mattina s’era svegliato prima di noi. Giungemmo in cima dopo ore, sfatti ma felici per la fatica vinta. Decidemmo poi di far andare giù tutti, prima di lanciarci, soli, in discesa, godendo della montagna tutta per noi. Flavio avanti, più bravo, fluido; io dietro, inebriato da quel galleggiamento mai provato prima neppure col surf. Una, due, cinque curve eee... Pof! Caddi di faccia in un metro di neve polverosa. Ci misi cinquanta estenuanti minuti a rialzarmi da quelle gelate sabbie mobili. Con Flavio più giù, a portata di grida, in precaria attesa che compattassi la neve attorno a me per far leva e tirarmi su, mentre pensavo solamente: È così che la montagna t’inghiotte. Non dovevamo lasciar scendere tutti. Con una mano tesa sarei ripartito... Invece sto congelando. Mancavan tre giorni a Natale ma una volta a casa, quella sera, affamato come non mai, non resistetti: tagliai una fetta del panettone destinato alla cena della Vigilia, grato d’esser vivo e poterlo assaporare. B.T.