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AlpiMagia: riti, leggende e misteri dei popoli alpini
Vi presentiamo un progetto di Stefano Torrione, che racconta per immagini le tradizioni delle genti di montagna: sarà visitabile al Museo Civico di Bolzano fino al 25 aprile prossimo
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Nel 2021 la Sezione Cai di Bolzano festeggia i 100 anni dalla sua costituzione e, ad aprire gli eventi organizzati per la ricorrenza, c’è la mostra fotografica: “Alpimagia: Riti, leggende e misteri dei Popoli alpini”, con le immagini di Stefano Torrione, che spaziano dalla Liguria al Friuli-Venezia Giulia, toccando tutte le regioni dell’arco alpino, e che raccontano la storia, le tradizioni, la cultura dei popoli della montagna. Il fotografo ripercorre, infatti, le tappe di un anno solare nelle Alpi, documentando riti e leggende popolari, parti integranti della cultura e delle tradizioni delle genti di montagna. Dalla leggenda delle anguane a quella dell’uomo selvatico, dai fuochi epifanici a quelli del Solstizio d’estate, dai falò del diavolo a quelli in alta quota, dalle rappresentazioni dei lupi a quelle degli orsi, dai riti primaverili a quelli di aratura propiziatoria, dai guaritori mistici ai riti arborei, dai rituali di passaggio ai canti epitalamici e, ancora, dalla notte delle streghe a quella delle stelle. La mostra – come si può vedere dalle immagini di queste pagine – è un affresco di cultura alpina, nel quale si potrà apprezzare la ricchezza e il fascino di un progetto che, come in un gioco di specchi, riflette squarci di vita dei piccoli mondi alpini, separati tra di loro da vallate impervie, ma uniti in un unico spirito. Il progetto di AlpiMagia è impreziosito dai testi di Paolo Cognetti, scrittore che ha dedicato le sue pagine alla montagna, e di cui pubblichiamo qualche estratto. Curatore della mostra è Augusto Golin, collaboratore del responsabile della Commissione Cultura del Cai Bolzano e vicepresidente della Sezione Maurizio Veronese, che ha curato l’organizzazione generale.
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Da quale tempo arriva questo mio sogno? Ho sognato di essere tra gli uomini che videro arrivare il primo inverno. Il mondo era generoso, allora, e noi lo abitavamo senza domandarci nulla: perché i campi davano frutto, perché l'acqua dei torrenti scorreva e non si esauriva, perché il sole passava nel cielo e illuminava la terra. Ma ora il sole tramontava dietro alle montagne e i giorni cedevano a notti sempre più buie. La terra diventò dura e sterile, e il freddo bruciò l'erba dei pascoli, spogliò le piante nei boschi, seccò i torrenti. Che cosa succede al mondo?, ci chiedevamo tra noi. Poi venne la neve.
Uscimmo a toccarla mentre cadeva, e la neve era come un sonno che si posava su ogni cosa: si accumulava e restava e nessuno di noi sapeva se avremmo mai riavuto la terra e l’erba, o se quella era la fine. Così, insieme all’inverno, imparammo la paura. Restammo rintanati per giorni nelle nostre case buie, finché qualcuno degli uomini si ribellò: andò là fuori e fece un mucchio di legna secca con cui accese un fuoco sulla neve. Lo osservammo incantati, e uno alla volta uscimmo a scaldarci al suo calore. Chiedemmo a quel fuoco di avere le forze per superare l’inverno.
Quando gli uomini si travestono da animali (homo selvaticus) Una macchia compariva nella neve in un pomeriggio di febbraio. Sapevo già dove sarebbe uscita, nel punto della montagna più ripido ed esposto al sole, e ogni giorno tornando a casa alzavo gli occhi a cercarla. Subito dopo ne emergevano altre: la terra intorno ai grandi massi, il tappeto di aghi sotto agli abeti, l'erba morta sui pendii.
Era la neve che si ritirava. Gli uomini del sogno si affacciavano dalle loro case e capivano che l’inverno finiva; i pesci in letargo coglievano il primo chiarore nell’acqua buia. Tutti uscivamo pazzi di gioia. La magia allora diventava carnevale: gli uomini si mettevano in faccia una maschera e addosso una pelle, davano fondo alle scorte di vino, e che fossero tuo padre o tuo figlio non li conoscevi più. Imbestiati, matti, ubriachi, giravano per il villaggio a far festa perché l'inverno se ne andava. Mezze bestie, mezzi diavoli, si trasformavano in esseri venuti dal mistero: toccavano il fuoco senza bruciarsi e si rotolavano nella neve; entrando nelle case mascherati ricevevano da mangiare e da bere. Venivano accolti con gioia perché noi stessi ci liberavamo, con loro, della paura dell'inverno, e noi stessi ci abbandonavamo all'euforia. Tuo padre, tuo figlio, tuo fratello. La mattina dopo non avresti riconosciuto più nessuno.
Alberi in fiamme C’era un vecchio larice davanti a casa nostra. Una sera d’agosto ero fuori a respirare il profumo del temporale quando uno schianto, simile a un’esplosione, mi fece voltare di soprassalto. Una fiamma percorse il larice dalla punta alle radici, così veloce che quasi l’occhio non le stava dietro, e anche sotto tutta quell’acqua la terra s’incendiò, bruciò per un secondo e poi si spense. Il giorno dopo, alla luce del sole, trovammo la terra nera sotto alla pianta. Il fulmine non era sceso dritto, ma lungo una spirale che girava intorno al tronco e che adesso era un solco bianco, umido di linfa fresca, come una cicatrice. Questa pianta è segnata, disse mio padre. Tra poco muore. Ma a me sembrava ancora verde e forte e sperai che mio padre si sbagliasse. Diventò giallo prima di tutti gli altri, quel larice, in ottobre, e in giugno mise le gemme per ultimo. L’anno dopo pensai che non ce l’avrebbe più fatta, e invece, con molto ritardo, germogliò di nuovo. Impiegò cinque lunghi anni a morire: l’ultima estate restava solo un ramo verde, un grosso ramo che ancora metteva gli aghi in una pianta secca. Poi mio padre lo tirò giù e lo fece a pezzi per la stufa. Alberi: i fulmini cadono dal cielo e li attraversano per dare fuoco alla terra. Gli uomini del villaggio sceglievano un pino o un abete, in primavera, che fosse tra i più belli e alti del bosco. Lo abbattevano, lo spogliavano dei rami, lo pulivano della corteccia, e con una fune, a forza di braccia, lo issavano su una montagna. L’albero, bianco e spoglio, restava lassù per un mese, come un’offerta, come un ringraziamento. Poi una notte d’estate ci riunivamo per incendiarlo. Quest’altra fiamma partiva dalle radici e arrivava fino alla punta. Era il modo in cui gli uomini chiedevano al sole di restare lassù, all’estate di non finire. Un fulmine che partiva dalla terra e dava fuoco al cielo.
9 1. Piemonte. L’Orso di Segale di Valdieri, nella Val di Gesso, più che quelle di un animale selvatico, ha le sembianze di un fantoccio di paglia, e viene cacciato e catturato quando esce dal letargo invernale. 2 Veneto. A Lagole si racconta che le anguane, donne legate al mito dell’acqua, erano figure misteriose e molto belle che vivevano nei boschi presso laghi o corsi d’acqua.
Narra la leggenda che le anguane si recassero al laghetto delle Tose, le ragazze, a lavarsi e a pettinarsi i lunghi capelli rossi. 3 Alto Adige. Vestiti di stracci multicolori e nascosti dietro maschere di diavoli cornuti, i Brutti o Klaubaufn, vanno all’incontro con gli Esel, asini scampanatori, nel giorno dell’apparizione di Santa Klos a Stelvio. 4 Alto Adige. Un angelo appare improvvisamente nel mezzo del corteo dei Krampus radunatisi a Dobbiaco.
Gli angeli sfilano solitamente al fianco di San Nicolò, anche se spesso sono oscurati dalla prepotente esuberanza dei mostruosi diavoli che dominano la scena. 5 Piemonte. Nella parte alta del villaggio di La Toureto, al termine della processione si compie il rogo de Lou Fantome, simulacro dell’anno appena passato. 6 Friuli. Alla luce delle fiaccole i Krampus scendono dai boschi di Rutte Piccolo, frazione di Tarvisio. I demoni delle Alpi sono diffusi dall’Alto Adige al Friuli, dalla Slovenia fino alla Carinzia e Stiria. 7 Alto Adige. I Wudelen escono ogni due anni nei giorni della sfilata dell’Egetmann a Termeno. Sono figure mostruose alte più di due metri, tenute a freno da un domatore-macellaio, che incutono terrore sbattendo con fragore le fauci. 8 Alto Adige. In Val Venosta, la prima domenica di quaresima, prima del lancio dei dischi infuocati, o Scheibenschlagen, viene innalzata una enorme Strega, una stanga impagliata a forma di croce che verrà incendiata all’imbrunire. 9 Valle d’Aosta. Il 29 giugno, in occasione di S. Pietro e Paolo, Danilo
Blanc continua una lunga tradizione accendendo un falò sulla cima del Monte Emilius a quota 3.559 m. È forse il fuoco più alto di tutto l’arco alpino. 10 Alto Adige. Salita al Monpiccio, in Val Venosta, per i fuochi del Sacro Cuore.
Gli scritti di queste pagine sono di Paolo Cognetti e illustrano le immagini della mostra anche nell’allestimento