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Lorenzo Arduini Le sentinelle del territorio Lorenza Giuliani

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Lettere

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Le sentinelle del territorio

Facciamo un bilancio dell’estate trascorsa in quota con Giacomo Benedetti, Presidente della Commissione Centrale Rifugi del Club alpino italiano

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di Lorenza Giuliani

«È stata una stagione che, seppur segnata pesantemente dalla pandemia, non si è rivelata disastrosa e soprattutto ha visto quasi tutti i rifugi aperti intenti a presidiare, con responsabilità, i territori che li ospitano. Ciò grazie alla volontà dei rifugisti e alla ferma determinazione del Club alpino italiano che li ha supportati». A parlare è Giacomo Benedetti, Presidente della Commissione Centrale Rifugi, che fa per noi un bilancio dell’estate che ci siamo lasciati alle spalle.

Visitando i rifugi e parlando con i loro gestori, che impressione ha ricavato, di questa stagione particolare?

«Sicuramente è stata una stagione particolare, segnata da mille nuovi problemi e varie difficoltà. Oggi possiamo dire che è andata meno peggio del previsto. All’inizio del lockdown, quando non sapevamo se, quando e come i rifugi si sarebbero

potuti aprire, ipotizzavamo una stagione estiva fallimentare. Le disposizioni legislative anti-Covid hanno mediamente dimezzato la ricettività delle strutture sia in termini di posti letto che di somministrazione pasti. A ciò bisogna aggiungere la chiusura delle frontiere che, di fatto, ha limitato, se non impedito, la percorrenza delle alte vie alpine e dei grandi tour internazionali penalizzando i piccoli – ma grandi – rifugi d’alta quota. Situazione diversa alle medie e basse quote. La possibilità di somministrare pasti in modalità “take away” e vendere bevande e panini ha consentito, ai rifugisti, di recuperare parte dei ricavi. Ovviamente tutto questo ha richiesto uno sforzo organizzativo non indifferente».

I protocolli anti-Covid hanno funzionato, a suo parere?

«Sì, i protocolli anti-Covid hanno funzionato

Sopra, sanificazione al Rifugio Jervis in Valle Pellice, effettuata dal terzo alpini di Pinerolo

egregiamente. Tant’è che non si sono rilevati contagi e/o focolai nei Rifugi alpini del Cai. Grazie all’encomiabile lavoro svolto dai nostri rifugisti, le disposizioni sono state applicate alla lettera. Dalla Sede Centrale e dalla Commissione Centrale Rifugi ed Opere Alpine è stato svolto un imponente lavoro di comunicazione per informare, sensibilizzare e, per quanto possibile, formare gli avventori: nei Rifugi Cai è stata installata una cartellonistica dedicata al Covid-19 che spiega le 10 regole base per evitarlo. I locali sono stati regolarmente sanificati utilizzando principalmente il sanificatore a ozono fornito dalla Sede Centrale e, quando sono capitati casi sospetti, è stata immediatamente misurata loro la temperatura e la saturazione del sangue utilizzando la strumentazione fornita in dotazione. Tutto questo ha permesso la frequentazione dei Rifugi in sicurezza e con i risultati che dicevo prima».

L’affluenza ha avuto picchi notevoli. Che cosa ha spinto la gente in montagna?

«In effetti, come avevamo previsto, l’affluenza sulle nostre montagne è aumentata in modo considerevole, con picchi notevoli durante i fine settimana, rischiando di far collassare le infrastrutture del territorio, rifugi compresi. Il perché credo sia facile da capire. La montagna, da sempre, è considerata, dall’immaginario collettivo, il luogo “salubre” per eccellenza. Un posto dove l’aria pura, il cibo genuino e l’attività fisica – che solitamente si svolge – garantiscono una sana e alta qualità della vita. In tempi di pandemia, di potenziali contagi, di ospedali e rianimazioni evocate in ogni ora da ogni telegiornale quale miglior rifugio se non la montagna? Se a questo aggiungiamo la possibilità di effettuare escursioni giornaliere, in quasi totale autonomia, il gioco è fatto. La crisi economica generata da lockdown si è riversata nelle tasche dei cittadini creando dissesti e, conseguentemente, generando il fenomeno de “l’escursionismo pendolare”. Frotte di gente, molto spesso con scarpe da ginnastica e panino in borsa – borsa e non zaino –, si sono riversate sui sentieri in cerca di quei benefici psicofisici prerogativa delle Terre alte».

Che cosa ha insegnato, questa estate atipica?

«La cosa più importante che questo difficile periodo ha evidenziato è l’assoluta inscindibilità del binomio “montagna - rifugi”. Una montagna senza rifugi non è immaginabile. I rifugi presidi del territorio, sono vere e proprie infrastrutture irrinunciabili e propedeutiche alla corretta e sicura frequentazione delle Terre alte. L’insegnamento ricevuto è che con la volontà, la tenacia e la passione si possono superare grandi difficoltà, apparentemente insormontabili. Per questo, un grazie a tutti i rifugisti, cuore pulsante e valore

aggiunto dei nostri rifugi».

Quali sono state le maggiori criticità?

«Le maggiori criticità si sono verificate al momento dell’accoglienza per la somministrazione dei pasti. In questi momenti l’osservanza delle disposizioni sanitarie è stata messa a dura prova. Mascherina, igiene delle mani, distanziamento fisico sono stati comunque garantiti dal grande sforzo organizzativo messo in campo».

Che cosa preoccupa per la stagione invernale?

«La stagione invernale non desta particolari preoccupazioni. La maggior parte dei rifugi hanno chiuso i battenti e l’inverno, con le sue peculiarità, attuerà la consueta selezione sui frequentatori della montagna riducendone drasticamente il numero, riallineandolo ai posti disponibili offerti dai rifugi aperti. Le preoccupazioni sono rivolte alla prossima stagione estiva. Non possiamo sapere e nemmeno prevedere come si evolverà la pandemia e quali saranno le normative a cui i rifugi si dovranno attenere. Sicuramente dobbiamo mettere in conto una seconda stagione anomala e per questo dobbiamo attrezzarci al fine di superarla, ancora una volta, nel miglior modo possibile. Avanti tutta!».

In alto, Benedetti al Bivacco Barenghi, in Val Maira. Sopra, al Rifugio Pastore con il gestore Giuliano Masoni

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