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Lettere

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Dalla preistoria ai giorni nostri

Grandi animali estinti da millenni stanno riemergendo sempre più spesso dal permafrost. E c’è chi ha intenzione di clonarli

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Lal rapida fusione del permafrost, che cinge l’intero Oceano artico con una fascia larga molte centinaia di chilometri, sta riportando alla luce quanto era rimasto sepolto e congelato da millenni. Stanno così emergendo entità invisibili, come microorganismi (vedi numero di giugno 2020 di questa rivista) e gas, fra cui ingenti quantità di metano. Ma tornano alla luce anche grandi animali: una fauna favolosa, che condivideva con gli uomini preistorici gli sterminati spazi artici, e i cui resti sono incredibilmente giunti pressoché intatti fino ai nostri giorni. Molti dei ritrovamenti sono casuali. Così alcuni pastori di renne hanno recentemente rinvenuto nella remota isola siberiana di Lyakhovsky i resti perfettamente conservati, con tutti gli organi interni, di un orso delle caverne morto 39.000 anni fa (vedi foto). Gli scienziati che hanno studiato il sito hanno trovato a poca distanza anche la “mummia” di un cucciolo della stessa specie, che si aggiunge all’elenco di esemplari giovani ritrovato negli ultimi anni, comprendente lupi e altri canidi, leoni delle caverne, mammut lanosi e lo straordinario puledro di una specie equina estinta (Equus lenensis), emerso dalla colata detritica che in estate fluisce dal “cratere” di Batagaika, enorme squarcio nel permafrost della Siberia orientale che si sta allargando al ritmo di una ventina di metri all’anno. Fra gli altri esemplari della macrofauna vanno ricordati bisonti delle steppe, buoi muschiati, alci e rinoceronti lanosi, ma il vasto campionario di corpi conservati nel terreno ghiacciato annovera anche topi, roditori simili alle marmotte e perfino uccelli, come l’allodola cornuta (Eremophila alpestris) vecchia di 46.000 anni trovata da due cercatori di mammut. Questi ultimi sono senz’altro gli animali meglio rappresentati (con esemplari in ottimo stato di conservazione) e più emblematici nel campo dei ritrovamenti nel permafrost. L’interesse per i mammut trascende l’ambito puramente scientifico per entrare in quello economico: sono infatti attivamente ricercati per l’alto valore delle loro zanne, notevolmente cresciuto da quando, nel 2018, il bando del commercio d’avorio di elefante è stato esteso anche alla Cina, di gran lunga il principale importatore mondiale. Ricercato fin dai tempi della Russia zarista, l’avorio fossile vale attualmente quasi mille dollari al chilo, prezzo che lo rende molto appetibile in regioni povere come la Yakuzia, da cui provengono gran parte delle esportazioni; si sta così scatenando una vera e propria corsa all’“oro bianco”, che vede i cercatori

spingersi fino alle isole più desolate nella speranza di un colpo fortunato. Gli animali congelati hanno uno grande valore scientifico grazie allo straordinario stato di conservazione di numerose carcasse, con il pelame e gli organi spesso ancora intatti; dal puledro di Batagaika gli studiosi sono riusciti anche ad ottenere sangue allo stato liquido, da cui gli scienziati della North-Eastern Federal University di Yakutsk, in collaborazione con una fondazione coreana, si augurano di potere riportare in vita la specie estinta. E ad Harvard il progetto Wolly Mammoth Revival, guidato dal noto genetista George Church, si ripromette di “ricreare” il mammut lanoso: in questo caso non si tratterebbe di una vera clonazione, ma dell’inserimento nell’embrione di un elefante indiano delle sequenze genomiche che differenziano le due specie, appena lo 0,04 dell’intero patrimonio genetico.

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