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Lettere

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La nascita di un ghiacciaio. Il Crater Glacier si è formato all’interno del cratere del monte Saint Helens dopo l’eruzione del 1980, offrendo ai glaciologi la straordinaria opportunità di seguirne l’intero sviluppo

a cura di Mario Vianelli

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I meno giovani ricorderanno sicuramente l’eruzione del monte Saint Helens, la più impressionante del secolo scorso e seconda soltanto a quella del Pinatubo per violenza e quantità dei materiali eruttati. Dopo due mesi di avvisaglie sismiche e di rigonfiamenti il 18 maggio 1980 il regolare cono vulcanico della montagna – uno dei molti allineati nella catena della Cascate, presso la costa pacifica degli Stati Uniti settentrionali – fu squarciato dal collasso del fianco nord della montagna, probabilmente innescato da un terremoto e seguito da un’immane esplosione e da un flusso piroclastico che distrusse ogni cosa per più di 10 chilometri. Gran parte della calotta di ghiaccio e neve e delle lingue che ne scendevano si fusero quasi istantaneamente, generando colate di fango e detriti che raggiunsero il fiume Columbia, a un’ottantina di chilometri di distanza, e che furono la principale causa di distruzione alle infrastrutture; nonostante l’allarme diramato da tempo vi furono 57 vittime. Quando la polvere si posò su un paesaggio sconvolto e color cenere, il cono risultò abbassato di quasi 400 metri (oggi la sommità è a 2549 m) e apparve come un cratere squarciato sul lato settentrionale; tre quarti della massa glaciale era scomparsa. Altre eruzioni minori, di tipo effusivo, proseguirono nei mesi successivi, poi una relativa quiete scese sulla montagna ferita, circondata da decine di chilometri quadrati di paesaggio devastato. Fin dal primo inverno, all’ombra delle ripide e instabili pareti del cratere si andarono accumulando ingenti masse di neve e detriti, inizialmente ignorate dagli scienziati che monitoravano la montagna. Soltanto nel 1996 le riprese aeree rivelarono che si stava formando un vero e proprio ghiacciaio, e che stava crescendo a un ritmo molto sostenuto, tanto che cinque anni dopo ricopriva già un chilometro quadrato con un volume stimato di circa 120 milioni di metri cubi. Ben presto il nuovo ghiacciaio incontrò un ostacolo: un neonato cono vulcanico che a partire dal 2004 iniziò a crescere al centro del cratere sfondato, ma che fu aggirato con due lingue distinte che nel 2008 si riunirono nuovamente a valle dello sbarramento; il nuovo ghiacciaio – battezzato nel 2006 Crater Glacier dall’U.S. Board of Geographic Names – era già il più grande del Saint Helens, con una massa superiore a quella di tutti gli altri rimasti sul monte. Nonostante la fusione dovuta alle emissioni vulcaniche – artefici di spettacolari grotte al contatto fra roccia e ghiaccio – il Crater Glacier ha continuato il suo accrescimento, sia pur rallentato, e oggi sfiora i 3 chilometri di lunghezza con uno spessore massimo prossimo ai duecento metri. Le vicende del Crater Glacier sembrano contraddire la tendenza generale all’arretramento glaciale, ma in realtà sono l’eccezione che conferma la regola. La nascita e il rapido accrescimento di un ghiacciaio a una quota insolitamente bassa per la regione (le parti superiori sono a poco più di 2000 metri) si spiega con una concomitanza di fattori favorevoli: l’abbondanza delle precipitazioni (quasi 4000 mm all’anno); l’ombreggiatura garantita dall’anfiteatro vulcanico, da dove scendono frequenti valanghe; la massiccia copertura detritica, anch’essa alimentata dalle pendici soprastanti, che preserva il ghiaccio dalla fusione. I glaciologi continuano a seguire con attenzione l’evoluzione del Crater Glacier, non lasciandosi sfuggire l’occasione unica di studiare un ghiacciaio fin dalla culla.

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