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Segnali dal clima

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Eruzioni misteriose

Sofisticate tecniche di indagine permettono di ricostruire l’attività vulcanica del passato, ma molto rimane ancora da scoprire

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Ènoto che il vulcanesimo ha un’influenza determinante sul clima e che, probabilmente, è stato una delle cause principali delle ampie fluttuazioni climatiche del passato. Le eruzioni maggiori immettono nell’atmosfera grandi quantità di anidride solforosa, che nella stratosfera si converte in acido solforico sotto forma di minuscole goccioline (aerosol) che aumentano la capacità di riflettere la radiazione solare, provocando un raffreddamento temporaneo dell’intero pianeta; ad esempio, l’eruzione del 1991 del Pinatubo, nelle Filippine, ha provocato l’abbassamento della temperatura globale di circa 0,5 °C. Il fenomeno è in realtà molto più complesso, coinvolgendo la distruzione di parte dell’ozono atmosferico, l’effetto delle polveri e delle ceneri che possono rimanere in sospensione per anni e molti altri fattori ancora oggetto di studio e di dibattito, anche perché questo modello si adatta soltanto a episodi eruttivi localizzati. La paleoclimatologia suggerisce, infatti, che nelle ere di prolungata attività vulcanica su scala continentale – come quelle che hanno prodotto i trappi siberiani e del Deccan, colate di basalti stratificati estese su milioni di chilometri quadrati con spessori di migliaia di metri – a un raffreddamento iniziale fa seguito un riscaldamento, probabilmente dovuto all’immensa quantità di anidride carbonica emessa assieme a quella solforosa. Limitandosi a epoche più recenti, l’attività vulcanica è puntualmente registrata dalla dendrocronologia e dai depositi di solfati e di ceneri rinvenuti nei carotaggi nei ghiacciai – oltre che dalle formazione coralline e dalle concrezioni carbonatiche –, ma l’analisi dei dati così ottenuti ha rivelato che ci sono ancora notevoli lacune nelle conoscenze e che in epoca storica ci sono state violente eruzioni esplosive di vulcani non ancora localizzati. Soltanto nel 2013 è

stato individuato nel vulcano Samalas – nell’isola indonesiana di Lombok – il responsabile della catastrofica eruzione del 1267, dapprima scoperta da carote nei ghiacci groenlandesi e antartici e poi confermata da indizi disseminati in tutto il globo. Gli effetti immediati – oltre alla devastazione di una vastissima area circostante il vulcano, con la scomparsa di tre regni – furono la persistenza di “nebbia secca” e un irrigidimento del clima seguito da carestie segnalate in regioni diverse e distanti fra loro; è probabile che l’eruzione abbia avuto un’influenza significativa nell’innesco della Piccola era glaciale, un periodo di clima rigido e instabile perdurato fino alla seconda metà del XIX secolo. I “detective del clima” hanno poi individuato due grandi eruzioni avvenute attorno alla metà del XV secolo, probabilmente le concause principali della fase più rigida della Piccola era glaciale, testimoniata dalle tavole di Pieter Bruegel il Vecchio e dai numerosi dipinti delle fiere che si tenevano sul Tamigi ghiacciato e dei pattinatori sui canali olandesi. La prima, del 1453, ha interessato la gigantesca caldera sommersa di Kuwae, nelle isole Vanuatu, mentre la localizzazione della seconda, avvenuta attorno al 1465, è ancora sconosciuta. Infine, è del tutto avvolta nel mistero l’origine del notevole accumulo di solfati riscontrati attorno al 1808, soltanto sette anni prima dell’eruzione del Tambora che portò al famigerato “anno senza estate”, il più catastrofico evento climatico degli ultimi secoli con ripercussioni nell’intero pianeta; è probabile che sia stata l’eruzione di uno dei tanti vulcani sottomarini, ben più numerosi e potenzialmente attivi di quelli che possiamo vedere sulla superficie terrestre. ▲

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