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Peak&tip

(Ri)naturiamoci

di Luca Calzolari*

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“Ho una notizia buona e una cattiva”. Quante volte l’abbiamo sentito dire? Di solito la frase prosegue con una domanda: quale vuoi che ti dica per prima? Ricordo quando guardai insieme ai miei figli il film d’animazione Madagascar. E ricordo quando il pinguino Skipper si rivolse agli altri pinguini dicendo: “La buona notizia è che stiamo per atterrare, quella cattiva è che sarà un atterraggio di fortuna”. A quel punto dovrebbero scattare le risate. Ma stavolta, ahinoi, c’è ben poco da ridere. Proprio mentre il numero di settembre di Montagne360 sta per andare in stampa sono venuto a conoscenza dell’ultimo rapporto Onu sul clima, a cui hanno lavorato la bellezza di 234 scienziati e che è stato approvato dai delegati di ben 195 differenti paesi. Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, l’ha commentato così: «Questo rapporto è un codice rosso per l’umanità. Se uniamo le nostre forze, possiamo evitare la catastrofe». Sicuramente avrete capito che questa è la cattiva notizia. Come sempre vengono proposte soluzioni per riportare il termometro in equilibrio e per dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030 con l’obiettivo di arrivare a zero nel 2050. Ecco, per dirla come i pinguini del film, questo è il nostro “atterraggio di emergenza”. Ogni volta, quando ci troviamo di fronte ai bilanci della crisi climatica, il tono è sempre più allarmato e sottolinea l’urgenza di mettere in pratica ogni strategia di contrasto. Nell’introduzione del rapporto da parte del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Ipcc) si legge che “il peggio deve ancora venire e a pagarne il prezzo saranno i nostri figli e nipoti, più che noi stessi”. E così, mentre i governi cercano di riparare quello che senza una risposta comune e globale rischia di diventare l’irreparabile, assistiamo a scelte dal basso che forse non saranno determinanti per l’inversione di rotta, ma sicuramente fanno immaginare e sperare che l’umanità possa avere un futuro. E questa - finalmente ci sono arrivato - è la buona notizia: c’è chi ha pensato bene di promuovere un nuovo movimento per riportare la natura in città (e non solo). In questi lunghi mesi di pandemia, un anno e mezzo dopo il primo lockdown, sappiamo tutti quanto sia importante poter far affidamento su spazi verdi. Ebbene, già prima che in tanti scattasse la consapevolezza diffusa del benessere che la natura è in grado di generare - agli esseri umani e al clima - in Scozia hanno dato un nome a quel fenomeno che spinge verso la conversione di spazi urbani in boschi, parchi, giardini e aree verdi. Si chiama “Rewilding” e si basa sul principio (difficile da smentire) che la natura sappia bene come proteggersi. Non è un mistero che due terzi del patrimonio selvatico siano andati persi nell’ultimo mezzo secolo. Come sostiene la “Scottish rewilding alliance” (Swa), forse è arrivato il momento di restituire alla natura ciò che le appartiene. Un principio valido in assoluto e che, tra le varie strategie per la salvaguardia dell’ambiente (anche quello urbano), prevede l’azzeramento del consumo di suolo, la ricostruzione sostenibile di paesi e città, e la reintroduzione di specie animali nell’ambiente. Stefano Mancuso, agronomo e scienziato di fama internazionale, nel suo saggio La pianta del mondo racconta di uno studio condotto nel 2019 da un team di ricercatori dell’Università di Zurigo e in cui si evidenzia come, a livello planetario, mettere a dimora mille miliardi di alberi sarebbe una soluzione molto efficace per riassorbire dall’atmosfera una parte significativa della CO2 prodotta dalla rivoluzione industriale a oggi. Tanti? Sì, ma lo spazio non manca. Dove? Ovunque, ma soprattutto nelle città, che sono luoghi di grande produzione di CO2. I benefici della natura sono evidenti. L’abbiamo appreso durante la pandemia e lo conferma la scienza. Come il recente studio della University College London condotto su 3.568 studenti tra i 9 e 15 anni. Cos’hanno scoperto? Semplice: i ragazzi che hanno trascorso più tempo vicino ai boschi hanno mostrato un miglioramento delle prestazioni cognitive e della salute mentale durante l’adolescenza. Anche questa, a ben guardare, è una buona notizia. Abbiamo visto come negli ultimi mesi sempre più persone abbiano scelto la montagna e le aree interne, come se fosse la risposta più istintiva e immediata per diminuire il rischio del contagio. Sappiamo che la risposta è ben più complessa, ed è un mix tra vaccino, comportamenti corretti e certamente vita all’aperto. Ma dobbiamo fare in modo che la ricerca della natura non avvenga solo in emergenza. Forti della consapevolezza maturata dovremmo infatti intervenire con ancor più convinzione incentivando la trasformazione green delle città (e non solo), il ripopolamento delle zone rurali, lo sviluppo sostenibile e nuove economie a impatto zero.

* Direttore Montagne360

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