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PHIT N°06 MAG/GIU 2011 ANNO II BIMESTRALE 3,90 €
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mod. CARRERA 4 - mod. CARRERA 4/B -
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I editoriale Ma è parlando con il coach Andrea di Nino che mi si è aperta davvero la mente sull'argomento: «se c'è gente – mi dice lui – che pratica uno sport come il nuoto, dove le relazioni sociali sono ridotte all’osso e le giornate sono scandite da interminabili chilometri passati a contar piastrelle, allora, o questa gente ha qualche rotella fuori posto oppure ci deve essere qualcosa di nascosto, qualcosa che riesce continuamente a darti la forza, spronandoti e facendoti andare sempre avanti…». Sì, ci deve essere qualcosa. Ma è anche vero che dietro un grande campione c'è spesso e volentieri un grande preparatore. E in molti casi, anche un mental coach. I limiti, però – lo sappiamo bene – si trovano anche nel quotidiano, nel lavoro, nelle relazioni sociali. Ebbene, il discorso non cambia: anche in questo caso possiamo superarli, ridefinendoli a nostro piacere. Ne è un esempio Mauro “Selvatiko” Vanoli, che nel 1999 molla il posto da impiegato e si reinventa una vita di viaggi e sport. Ora gira il mondo a cavallo di mountain bike, Grazielle e monopattini. Poi c’è chi i propri limiti non li ha ancora incontrati, semplicemente perché non ne ha avuto il tempo: è il nostro grande piccolo Leonardo “Leo” Fioravanti. 13 anni, il surf dentro, un talento straordinario e le idee molto chiare. Anche Phit sta cercando di superare i propri limiti, con soluzioni sempre nuove e – lo speriamo – migliorando continuamente se stesso. Mi piace pensarlo come un essere vivente, un organismo, un campione… Uno che ascoltando, raccontando, migliorando e sbagliando, cresce sempre di più.
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Federico Riva
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uando abbiamo iniziato la nostra avventura con Phit, avevamo un grosso punto di domanda di fronte a noi: dove avremmo trovato contenuti sempre migliori? Nuovi campioni? Idee? Talenti? Passioni? Quali sarebbero stati i nostri di limiti? Ora, al numero 6, qualche storia Phit l’ha ascoltata, e raccontata. E sono proprio tutte le esperienze raccolte, le persone incontrate, le foto, i ricordi, i sogni, le vittorie e le sconfitte passate su queste pagine, a farmi pensare a quanto i limiti si possano continuamente ridefinire. Perché ognuno di noi può trovare modi anche estremamente originali per “sfondarli”. Per andare avanti, o, più semplicemente, per cambiare direzione. Ce lo insegnano i grandi primatisti, come il campione di nuoto Milorad Čavić, che siamo andati a trovare in una deserta Lignano Sabbiadoro, dove si allena con il programma ADN Swim Project di Andrea Di Nino. Lui è uno che per ben due volte ha sfiorato l’oro nei 100m farfalla: prima alle Olimpiadi di Pechino, poi ai Mondiali di Roma. E che per ben due volte si è visto portare via la vittoria dallo stesso “nemico”, Michael Phelps, per una manciata di centesimi. Insomma, Čavić è uno che la sconfitta la conosce, eccome. Eppure ha saputo guardarla in faccia e capirla, per poi scoprire il proprio punto debole. Così ha trovato una soluzione, apparentemente distante dalla sua disciplina, per superarsi: l’allenamento in apnea. Ora, a un anno e sei mesi di distanza da Londra 2012, è già nell'ottica delle Olimpiadi.
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phit parade < eventi, tech, people >
Le Finals NBA, la nuova stella del surf Leo Fioravanti, gli Oscar sudati, ISPO Brand New...
vitamina < le erbe di Phit >
Piante, semi, radici: dall'infuso all'impacco, tutti i rimedi naturali per lo sport e il benessere.
phitted! < water...Prof.! >
Made in USA, anima serba. Colui che da anni fa tremare il trono di Michael Phelps: Milorad Čavić, il velocista pensatore.
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< il re bambino >
I piedi nudi e la sabbia, l’acqua calda di Zarautz, una tavola “da sogno”… Ecco come un bambino diventa re.
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< mr. nepal, bici e cuore >
Un personaggio “Selvatiko” alla conquista dell’Everest sulle due ruote più strambe: dalla Graziella al monopattino, a 5.000m di altezza...
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phit therapy < il successo è dentro te >
Mental coaching, parte II: il coach dei campioni Livio Sgarbi ci insegna come vincere ogni battaglia, e accettare ogni sconfitta.
outphit < terra rossa >
Sapore rétro, capi tecnici ed elegantemente versatili, nuance naturali in dolce contrasto con la “ruggine” del campo...
< rispetta l'oceano >
Il surf, la libertà, la comunione sacra con l’oceano… E i retroscena che ammazzano gli ecosistemi marini: dalla tavola alla muta, tutto è petrolio...
< dischi, eventi, novità >
Caldo, sempre più caldo. L'estate è rosso funky con Eric Legnini, blu saudade con Nicola Conte, ipnotica coi Radiohead, desaturata con Jaar...
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phit & chips
< swim core training >
< zuppetta fave&cipolle >
Il training dei campioni mondiali di nuoto: per allenare il “core” del nostro corpo ovvero il centro di tutti i nostri movimenti.
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Di corsa, su, e oltre, fino alla cima di una montagna, fino all’ultimo piano di un grattacielo: i segreti di sky e vertical running.
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< su e giù dal cielo >
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Anima mediterranea, ingredienti freschi di stagione, velocità di preparazione e gusto: la ricetta Phit dello Chef Roberto Di Mauro.
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febbre da cavallo
È tempo di tuffarsi in acqua e di viverla in tutti i modi possibili, magari su un Challenger o davanti a uno Spinnaker. Prendono il via le competizioni velistiche estive, con l’ISAF World Cup che attraversa il pianeta da una latitudine all’altra. Ora le regate del circuito olimpico giungono dall’Australia e dalle Americhe per inoltrarsi in Europa: a Medemblik (24-29 maggio), a Weymouth (5-11 giugno) e a Kiel (18-26 giugno). Ma per gli appassionati c’è un altro atteso evento più a portata di mano: la regata del Bracciano Sailing Contest (24-26 giugno). Nel frattempo, l’oscar italiano della vela è stato conquistato da Andrea Mura, primo trionfatore nostrano della Route du Rhum a bordo del 50 piedi Open “Vento di Sardegna”. Pare che il fenomeno sia contagioso: durante la serata di premiazione il rugbista Lo Cicero avrebbe annunciato di voler intraprendere l’avventura olimpica nella vela…
Non canteranno di certo “Sciolgo le trecce ai cavalli” gli ospiti della Royal Ascot, la corsa equestre più mondana del pianeta, che si svolgerà dal 14 al 18 giugno sulle piste verdeggianti del Berkshire, come del resto accade dal 1711. Più che i cavalli, i migliori purosangue del mondo, fanno sfoggio di sé gli invitati, con la Regina Elisabetta in prima fila, i rampolli, i politici, i VIP e il più eccentrico, strambo e lussuoso sfoggio di vestiti e cappelli mai visto. Il dress code, imposto dagli organizzatori stessi, è severissimo: abito da giorno per lei, tight e tuba per lui. Tutt’altro stile sul versante opposto dell’Oceano, in America, dove il 7 maggio si svolgerà il Kentucky Derby a Louisville: due minuti di corsa per un premio da milioni di dollari e un appuntamento descritto come “l’evento sportivo più emozionante dell’anno”. Alle griglie di partenza anche l’Epsom Derby (Inghilterra, 4 giugno) e il Derby Italiano delle Capannelle (7 maggio).
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È il momento caldo della stagione tennistica con, in ordine, gli Internazionali BNL d’Italia (8-15 maggio), gli Open di Francia (17 maggio-5 giugno) e la sfida di Wimbledon (20 giugno-3 luglio). Gli Open italiani si svolgeranno, come da tradizione, presso il Foro Italico e i suoi 11 campi, incluso il Centrale, che risulta lo stadio con la migliore visibilità al mondo. Per quanto riguarda
il Roland-Garros, invece, non sarà probabilmente presente Serena Williams, che aveva annunciato di essere più che decisa a tornare sul campo proprio in Francia, ma è poi stata operata d’urgenza per un embolo polmonare. Le ultime indiscrezioni su Wimbledon, infine, dicono che a consegnare la prestigiosa coppia sarà Kate Middleton, novella sposa del Principe William, nonché tennista appassionata.
© www.celebsoasis.com
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giganti È tempo di bilanci per le formazioni NBA alle prese con le attesissime Finals (3-17 giugno). La squadra vincitrice si aggiudicherà il Larry O’Brien Championship Trophy, meglio conosciuto come “anello”, mentre al miglior giocatore sarà assegnato il premio MVP. È difficile fare pronostici a Playoffs non ancora iniziati, ma le squadre più accreditate sono i campioni in carica L.A. Lakers con la stella Kobe Bryant, i Miami Heat del chiacchierato LeBron e i Boston Celtics, che con 17 anelli risultano il team più titolato. Dalle nostre parti, si svolgeranno le Final Four di Eurolega a Barcellona (6-8 maggio) ed Eurobasket Women 2011 in Polonia (18 giugno-3 luglio). Foto di Gary W. Green
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13-19 giugno Beach Volley Roma
21-26 giugno Pallanuoto Firenze
25-26 giugno Triathlon Spagna
La riviera romagnola è pronta ad accogliere per la sesta volta Rimini Wellness: l’appuntamento più atteso da tutti gli appassionati di fitness, sport e benessere fisico e mentale. Le ultime tendenze, gli attrezzi e i tessuti tecnici, i migliori trainer mondiali, la fisioterapia, le performance live, gli eventi di WPRO e WFUN, le terme, il Gestalt Tango… Ce n’è per tutti.
Per la prima volta i Mondiali di Beach Volley sbarcano in Italia, grazie al lavoro congiunto di Federazione Italiana Pallavolo e Coni, che si erano già adoperati con successo per ospitare i Mondiali di Pallavolo Maschile nel 2010. Nella magnifica cornice del Foro Italico, saranno 96 le coppie in gara, per tuffi, salti e schiacciate spettacolari con tanto di occhiali da sole.
È la FINA World League, una delle manifestazioni per nazioni più importanti della pallavolo maschile, ma anche l’appuntamento decisivo per stabilire chi si aggiudicherà un volo diretto per le Olimpiadi di Londra del 2012. La Final Eight si svolgerà a Firenze, patria della centenaria Rari Nantes Florentia, che nella stagione 2009/2010 ha ottenuto ottimi risultati.
Questa volta i Campionati Europei di Triathlon si svolgono nella città galiziana di Pontevedra. Per tutti gli atleti, sia maschili che femminili, una prova di nuoto (1.500m), una di ciclismo (40km) e una di corsa (10km) senza interruzioni. Per le capacità di forza e resistenza che richiede, il triathlon risulta lo sport multidisciplinare più estenuante, ma dalle enormi soddisfazioni.
www.riminiwellness.com
www.beachvolleyroma.com
www.federnuoto.it
www.fitri.it
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12-15 maggio Rimini Wellness Rimini
tech
speciale
porta a porta Per la gioia di tutti gli amici appassionati di calcio e calcetto e delle partite improvvisate in spiaggia, per strada e al parchetto, ecco Bazooka Goal: la porta più compatta che esista. Leggerissima, con un design accattivante in nylon e fibra di vetro, può essere trasportata ovunque e vi eviterà di usare giacche, zaini, “opere d’arte” (come in “Tre uomini e una gamba”), compagni sgraditi e qualsiasi altro oggetto vi capiti “a tiro”, per delineare l’area di porta. La flessibilità estrema le permette di essere aperta e riposta in pochi secondi. Ma soprattutto Bazooka Goal si piega senza muoversi di un millimetro, resistendo anche alle peggiori cannonate!
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la scarpa perfetta
tanto di cappello
shoot your adrenaline!
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principi della biomeccanica (la scienza che studia il movimento dell’uomo e degli esseri viventi) e punta tutto sul design raffinato: niente colori fluo e robe da palestra anni 80. Con il controllo personalizzato di postura, allineamento, distribuzione della forza e persino delle naturali imperfezioni “podologiche”, si può non solo svolgere al meglio l’attività sportiva preferita, ma anche diminuire il rischio di infortuni. Vi calzeranno a pennello. Per info collegatevi al sito: www.somnioshoes.co.uk.
La nuova mini-camera GPSHD Action Cam di Gobandit dispone di un GPS integrato che unisce le riprese video ai dati sulla velocità, l’altitudine, la posizione e l’itinerario compiuto. Facile da usare, impermeabile, robusta e di piccole dimensioni, può essere applicata al proprio casco e all’attrezzatura, grazie a un’ampia gamma di supporti già forniti oppure opzionali. Con il software gratuito Gobandit Studio, poi, si possono arricchire i video con grafiche personalizzate. Anche le prestazioni più spettacolari possono essere registrate in HD 16:9 con un’ottima qualità audio, un angolo visivo di 135 gradi e scatti di foto in automatico a intervalli di 2 o 5 secondi. Il materiale può essere mostrato in tempo reale su YouTube, Facebook e gli altri social network. Per info: www.gobandit.com
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Ecco una piccola soluzione creativa ai problemi di postura e ai mal di schiena della vita di tutti i giorni, dello stress da ufficio e della sedentarietà da computer. Sta tutta in un cappello e piacerebbe molto a Charles Darwin, visto che si pone l’obiettivo di «preservare 7 milioni di anni dell’evoluzione umana». I berretti e copricapo sportivi di Tallabé, infatti, sono calibrati con piccoli pesi, che compiono una pressione corretta sulla colonna vertebrale, ne riducono lo sforzo di raddrizzamento e aiutano a migliorare la propria postura. La strategia è ispirata all’usanza tipica delle donne africane, che da secoli portano enormi carichi sulla testa. Oltre a proteggere dal freddo e dal vento, identificare uno stile di vita e porsi come oggetto di moda, il cappello potrebbe anche essere usato per ritrovare l’equilibrio…
Non chiamatele solo “scarpe da tennis”, la dicitura corretta è “scarpe da corsa ad adattamento biomeccanico”. Si tratta delle prime running shoes create su misura per ogni singolo piede di ogni singola persona. Funziona così: prima si sceglie un modello base dalla collezione Somnio, poi ci si reca presso uno dei rivenditori autorizzati per un’accurata analisi anatomica individuale effettuata anche con misuratori laser e infine si ottiene la “scarpa perfetta”. La ricerca dei laboratori Somnio sfrutta i
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oscar sudati La mamma di Sylvester Stallone aveva una palestra, Schwarzenegger è diventato una stella grazie al suo fisico da culturista e Bruce Lee era un maestro di arti marziali. Ma non per tutti gli attori è così facile: in alcuni casi i migliori professionisti si allenano duramente per interpretare certi ruoli, perché stuntman e computer non possono risolvere ogni sequenza. Eccoli allora entrare davvero “nella parte”, con somma felicità di Stanislavski.
Christian Bale
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Ha più volte stravolto il proprio corpo. Per il ruolo dell’ex pugile tossicodipendente di “The Fighter” si è appena aggiudicato un Oscar, ma ha anche dovuto raggiungere il peso “piuma” di 66kg (nulla a confronto dei 55kg de “L’uomo senza sonno”). Ora, però, sta girando l’ultimo episodio di Batman: giù di dieta ipercalorica e massacranti sollevamenti peso.
l'Italia s'è desta
the wrestler
Come ex boxeur appesantito da anni bui e chili di troppo, deve aver sentito davvero suo il ruolo di “The Wrestler”. Ma quei 15kg di muscoli messi su in soli sei mesi restano un mistero. Certo, il body building estenuante e sette pasti iperproteici al giorno, ma resta l’ombra degli steroidi. «Quando interpreto un wrestler, mi comporto come un wrestler» ha detto lui.
Natalie Portman
black swan
Vederla sollevare l’Oscar per “Il cigno nero” è stata una soddisfazione. Tanto più sapendo che per interpretare la ballerina di danza classica, oltre a perdere sei chili, si è allenata per un anno e mezzo, 6 giorni su 7, per 15 ore… «Non è vero niente», ribatte la sua controfigura Sarah Lane. «Delle riprese a figura intera, solo il 5% è da attribuire a lei»! Fiction o verità?
Russel Crowe
Per interpretare Robin Hood non gli sono bastati i muscolacci da gladiatore un po’ imbolsito: Russel Crowe ha dovuto affrontare un training piuttosto curioso. Ginnastica pesante, panca, ore e ore a tirare con l’arco (circa 200 frecce al giorno) anche correndo, sotto la pioggia e con indosso la massiccia maglia di metallo. Per tre mesi è persino andato a caccia a piedi nudi…
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Biondo, abbronzato e bello come il sole, pare di Auckland, ma poi si presenta – «ciao, sono Leonardo Fioravanti, ho 13 anni, vengo da Cerveteri e sono un surfista – e tira fuori tutta la sua italianità. 13 anni, 14 nel 2011, il che significa che è nato nel 1997, millenovecentonovantasette… Quando Clinton viene rieletto, entra in vigore la legge sulla Privacy, scompaiono Gianni Versace e Lady D e iniziano a circolare i primi cellulari. Oggi “Leo” Fioravanti è già un piccolo grande campione del surf, che, tanto per citare i risultati del 2010, ha conquistato la corona dello European Quicksilver King of the Groms, il secondo posto ai Campionati Europei in Portogallo e l’undicesimo ai Mondiali ISA under 16. Sul surf da quando aveva 5 anni, ha già le idee chiarissime su quello che vuole fare da grande: «tra 10 o 20 anni spero di entrare nel WCT, essere uno dei migliori surfisti al mondo e fare dei buoni risultati!». Del resto, Leo fa il surfer “vero” già da quando, a 7 anni, comincia a girare il mondo, tra le Hawaii e le Maldive, la Francia e l’Australia. Nella sua cameretta di Cerveteri, un orsetto Teddy Bear e almeno un paio di cappellini Red Bull: non un gadget, bensì parte della sua “divisa”, visto che dal 2009 è ufficialmente nel team Red Bull. Il momento più emozionante della sua vita? Quando ha incontrato il suo eroe, Kelly Slater, in un hotel alle Hawaii. Per il resto, Leo parla quattro lingue, gioca alla Wii, studia, sta con gli amici e ama la pizza e la pasta. Phit tifa per lui e gli dedica il Passion a pag.28.
Mickey Rourke
erbe a cura di
giorgia baroni
le erbe di Phit + Dagli antichi Egizi ai medici greci, dai vichinghi agli erbari medievali, passando per i decotti e gli impacchi della bisnonna: da sempre l’uomo si cura con le erbe. Ma quali sono quelle Phit, utili per l’attività sportiva, il benessere e la bellezza?
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i chiama “fitoterapia”, dal greco “phyton” (“pianta”) e dal latino “therapia” (“cura”), una parola che sta a indicare la pratica di curare la salute a 360° con piante o estratti. È una tradizione millenaria comune a tutti i popoli e differenziata a seconda delle singole civiltà e dei loro territori. Una sapienza di cui anche oggi, nonostante i progressi della ricerca e i ritrovati delle industrie chimico-farmaceutiche, non si può fare a meno. Tanto che la medicina stessa torna sempre più a considerare i benefici dell’impiego di piante officinali, per esempio con il riconoscimento ufficiale dell’omeopatia e delle pratiche di “medicina alternativa” scientificamente comprovate. Ma il ricorso a erbe, estratti e soluzioni fitoterapiche non ha lasciato indifferente nemmeno lo sportivo. Anzi, è ormai risaputo che i rimedi più efficaci per migliorare la prestazione di un atleta, sotto il profilo energetico, alimentare, muscolare e cardiocircolatorio, sono proprio quelli naturali. Incremento della forza fisica, aumento della capacità di concentrazione, potenziamento delle difese immunitarie, miglioramento dei tempi di recupero, diminuzione della massa grassa: chi non vorrebbe ottimizzare questi risultati?
Fatte queste premesse, Phit vi propone una carrellata di erbe a uso esterno o interno facilmente reperibili e a cui è possibile ricorrere senza particolari complicazioni. Dai “cosmetici” naturali (impacchi, olii da massaggio, creme, lozioni) a infusi, tisane e macerati. I principi attivi più utili allo sportivo sono quelli che possiedono funzioni adattogene, antiossidanti e ricostituenti. In particolare, gli adattogeni aumentano complessivamente la capacità dell’organismo di adattarsi alle più diverse condizioni, quindi anche all’attività fisica, potenziando la resistenza e attenuando i danni indotti dallo sforzo a organi e tessuti. Tra le piante adattogene, vi sono il ginseng, l’eleuterococco e la schisandra. I principi antiossidanti, invece, sono utili nella protezione dei muscoli e nella rimozione di acido lattico e radicali liberi: si trovano, oltre che nella sopraccitata schisandra, nel mirtillo, nell’acerola, nel tè verde etc. Infine, vi sono i composti naturali ricostituenti che, con il loro apporto nutritivo, sono necessari per dare all’attività fisica un sostegno metabolico-nutrizionale, come le germe di grano, il malto d’orzo e la pappa reale. Esistono molte tradizioni e interpretazioni sull'impiego delle erbe: è un argomento vasto e non pretendiamo certo di esaurirlo qui. Piuttosto, desideriamo darvi qualche spunto per un ulteriore approfondimento.
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Eppure – lo scriviamo a chiare lettere e lo sottolineiamo – bisogna fare davvero attenzione: l’assunzione di qualsiasi integratore, inclusi quelli naturali, va sempre effettuata sotto consiglio o controllo medico, tanto più in caso di patologie particolari, utilizzando prodotti certificati, e secondo le giuste quantità. Inutile esagerare: il sovraddosaggio e il mix incontrollato di principi attivi, a nostra insaputa spesso contrastanti tra di loro,
può produrre risultati esattamente opposti a quelli desiderati. Per non parlare delle controindicazioni: ricordiamoci che anche i prodotti naturali possono avere effetti collaterali dannosi sull’organismo
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estetica fatica psiche
traumi
cellulite
contusioni
dolori
circolazione
Alga Marina
Arnica
Artiglio del Diavolo
Centella
Dimagrante e ipolipemizzante, è utilizzata nelle diete ipocaloriche e per combattere la cellulite, grazie alla presenza di iodio naturale, che accelera il metabolismo dei grassi. In compresse, estratto liquido, polvere o prodotti cosmetici a uso esterno.
È molto efficace in caso di traumi, dolori muscolari, slogature e contusioni, perché ne riduce dolore e gonfiore. Sono in commercio creme, pomate o gel già pronti da frizionare sulla parte lesa. Da usare solo per via esterna.
Anti-reumatico, anti-infiammatorio e anti-dolorifico, è particolarmente indicato in caso di mal di schiena, tendiniti, contusioni, sciatica, dolori al collo, artrite. A uso interno (estratto) o esterno (creme, pomate).
Ha proprietà cicatrizzanti e vaso-protettive, perciò è particolarmente indicata per combattere l’insufficienza venosa e i problemi circolatori. Stimolando il metabolismo basale, ha un’azione dimagrante, diuretica e anticellulitica.
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spossatezza
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Eleuterococco
Fieno Greco
Gingko
Ginseng
Pianta adattogena per eccellenza, è un tonico psico-fisico e un anti-stress, che migliora il rendimento, aumenta la sintesi proteica, favorisce la concentrazione e stimola le difese immunitarie (fattore importante per l'outdoor).
Ha una forte azione ricostituente e proprietà anabolizzanti, dovute al suo alto contenuto nutritivo (fosforo, lecitine, sali minerali, oli vegetali, vitamina B, proteine). Stimola il metabolismo e rivitalizza l’organismo.
Ha una potente azione antiossidante e un effetto benefico sulla circolazione, in particolare nella zona cerebrale. Per questo è utile per combattere l’invecchiamento, i radicali liberi, l’acido lattico e i cali di memoria.
Con funzioni adattogene, è il più potente tonico psico-fisico, capace di aumentare la sintesi proteica, migliorare il rendimento energetico, favorire il recupero, stimolare le difese immunitarie e ridare energia in caso di debilitazione.
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invecchiamento
Maca
Schisandra
Spirulina
Grazie alla caffeina che contiene (2/3 volte in più rispetto al caffè), è un tonico soprattutto mentale, utile alla stimolazione di memoria e concentrazione. Ma funge anche da vasodilatatore, combattendo l’affaticamento fisico.
È un adattogeno tonificante, che migliora il rendimento energetico e modula il metabolismo dei lipidi, aiutando a potenziare la muscolatura e perdere la massa grassa. Può essere un’alternativa agli anabolizzanti di sintesi.
È un buon adattogeno, con proprietà simili a quelle del ginseng. In più, è caratterizzato da una potente azione antiossidante, utile per la stanchezza, l’esaurimento fisico, l’astenia e lo stress. Aumenta i riflessi e la concentrazione.
Contiene alte concentrazioni di amminoacidi, vitamina B12, acido folico, ferro e minerali ed è ottima per integrare l’alimentazione di uno sportivo. Migliora l’ossigenazione delle cellule, con effetti tonificanti e ringiovanenti.
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stupido a dirlo così, ma è ciò Una vita intera a contare piastrelle. Sembra o voluto capire meglio quali che spesso si dice dei nuotatori. Noi abbiam chi vive in acqua e, in una depensieri si nascondano tra le “piastrelle” di to i supercampioni del nuoto serta Lignano Sabbiadoro, abbiamo incontra rea di Nino. Tra di loro c’è che si allenano con il programma ADN di And tremare il trono di Michael Milorad Čavić, colui che da qualche anno fa fronte un velocista pensatore, un Phelps. Altro che piastrelle: ci troviamo di cartesiano e battagliero, un filosofo dello sport e della vita, un razionalista pioniere made in Usa con l’anima serba…
Sei nato in California, ma di nazionalità serba: qual è la tua storia? Sì, la mia famiglia si trasferì dalla Jugoslavia agli States nel 1980, alla morte del dittatore Josip Broz Tito. Non so se mio padre ci avesse visto lungo, ma sta di fatto che dopo questo evento il governo e l’economia jugoslava fallirono. C’era insicurezza nell’aria, e molte persone emigrarono: mio padre fu uno di questi. Scelse la California, ed è così che, io, mio fratello e mia madre abbiamo avuto una vita felice, senza dover vivere la guerra, senza dover sentire il frastuono delle bombe. Gli sono molto grato per questo.
moltissimo, anche ad avere – come si dice in giro – «una delle migliori bracciate a farfalla del mondo»…
Com’è il tuo rapporto con lui? Per me Michael è un amico e anche un secondo padre. Ha 55 anni, ma la mentalità di un ragazzo di 20. Ha personalità, è intelligente e sa bene come divertirsi e rilassarsi. Lui mi ha capito davvero, ed è fondamentale lavorare con una persona con cui si ha una buona comunicazione e non con un “dittatore”, come spesso succede nel mondo del nuoto. Nei sette anni in cui mi sono allenato con lui, ho imparato
In che senso? È una scuola antiquata ormai, non scientifica. Ti fanno nuotare per 10km al giorno, ma se domandi il perché al tuo allenatore, lui al massimo ti risponde: «perché te l’ho detto io!». E così non funziona: quando ti alleni a questi livelli, devi capirne il senso e il coach deve essere pronto a risponderti con motivazione e logica. Così ho detto a Yevgeny di venire a provare il programma ADN...Be', nel giro di due anni ha realiz-
PHITTED !
E, invece, come nuotatore chi devi ringraziare? Io sono sempre stato allenato dai migliori coach di nuoto del mondo, e per sei anni da David Clark “Dave” Salo, uno dei più grandi. Ma solo all’Università di Berkeley ho conosciuto l’uomo che mi ha cambiato la vita: Michael Bottom. Lui, a mio avviso, è il miglior allenatore del mondo per gli sprinter. È grazie a Bottom se sono diventato l’uomo che hai di fronte.
Come mai ora ti trovi in Italia? Sono arrivato a un punto in cui credevo di non aver più nulla da imparare. Allora ho detto a Michael che avevo bisogno di provare qualcosa di nuovo. Poi alle Olimpiadi di Pechino sono entrato in contatto con Andrea di Nino, che guida il programma ADN dal 2006. Lui mi ha detto: «se vieni possiamo creare un bel team con altri nuotatori» e io l’ho raggiunto nel dicembre del 2008. In Andrea ho trovato un coach razionale, logico, scientifico e aperto alla comunicazione: ha una filosofia simile a quella di Michael, lui. Ma anche il gruppo si è evoluto con il mio arrivo, non tanto per me, quanto perché ho fatto venire qui altri talenti, come il mio amico russo Yevgeny Korotyshkin, che era in procinto di abbandonare la carriera… Sai, la situazione agonistica in Russia non è come quella americana o italiana. Lì i metodi di allenamento non sono proprio corretti…
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IDENTIPHIT Nome e cognome: Milorad Čavić Sopranome: Mile Altezza e peso: 198cm x 97kg Nazionalità: serba Data di nascita: 31/05/1984 Luogo di nascita: Anaheim (California) Specialità: 50/100 farfalla
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zato due record mondiali! E tu adesso vivi in Italia? Sì, ma faccio avanti e indietro da Belgrado. L’anno scorso mi sono operato d’ernia e sono stato “fuori” per quattro mesi. Ora, però, sono qui, dove ci sono le migliori condizioni perché Andrea possa darci la carica giusta. In previsione delle Olimpiadi, l’idea è di creare il miglior team di farfallisti del mondo. Uno dei nostri benefit, poi, è che vengano programmate anche altre gare, in modo che possiamo finanziarci questo tipo di vita. Sai, nel nuoto non ci sono molti sol-
di… Così una volta al mese il manager del nostro team organizza delle competizioni: se le vinciamo, possiamo portarci a casa qualche extra per pagare la riabilitazione, i massaggi e le cure dei dottori.
vicenda. È vero: questo sport è molto individuale, e la testa sta sempre sott’acqua. Ma tra una vasca e l’altra, durante le pause, giochiamo e ci tiriamo su il morale a vicenda.
Come, scusa? Siete voi a pagare queste spese? Certo: siamo dei professionisti! Paghiamo noi l’allenatore, i dottori e via dicendo, anche se nel programma ADN riusciamo ad avere delle agevolazioni.
La farfalla, con quelle bracciate, è uno stile pazzesco… Sì, è il più difficile, il più unico. E rappresenta un po’ il mio carattere. Ti stanca più di ogni altro stile e non ammette pause: devi essere sempre al 100%.
E sei contento di stare a Lignano? Sì, sono molto contento. Contento di essere in questo gruppo.
Hai un idolo? Sicuramente Aleksandr Popov, e per molte ragioni. Non solo è stato il più veloce del suo periodo, ma è anche uno che ha personalità e qualcosa di sensato da dire, al contrario di molti altri miei colleghi.
Parlami del team: è come una famiglia, giusto? Passo tutto il tempo con loro: ci aiutiamo e ci diamo la carica minuto dopo minuto, bracciata dopo bracciata. Ci sosteniamo a
A proposito, dicono che tu sia una persona piuttosto difficile e che spesso
non accetti interviste, ma adesso che ti ho davanti non mi pare… Molti nuotatori sono restii nel parlare con i giornalisti. Io, invece, se faccio un’intervista – e ne faccio davvero poche – voglio lanciare un messaggio forte. Non sono come Mourinho, che va in Asia e parla della SARS. Io voglio comunicare davvero qualcosa a tutti gli sportivi. Voglio motivare e promuovere. Voglio che il nuoto cresca. Ci provo, almeno. E spero che quando la mia carriera finirà, il nuoto sarà uno sport migliore, perché anch’io ho dato il mio contributo. Cosa farai in futuro? Continuerò così. Sono sicuro che alle prossime Olimpiadi ci sarà parecchia attenzione su quello che accadrà tra me e Michael Phelps. Anche a Roma la gara più eccitante è stata quella dei 100 farfalla. Tu e Michael Phelps siete entrambi americani: lo conosci bene? No, perché quando io vivevo in California, lui stava a Baltimora, nel Maryland. Poi io mi sono spostato in Florida e lui nel Michigan. Insomma, per un caso o per l’altro, ci troviamo sempre in luoghi opposti. Quanto è importante per te batterlo? Guarda, io oltre a essere un nuotatore sono anche un filosofo (ahpperò, ndr). Se guardo la mia vita dall’alto, in maniera oggettiva, non è così importante. Ma soggettivamente per me sarebbe un’enorme soddisfazione, perché il nuoto è la mia vita.
Che opinione hai di lui? Non ce l’ho un’opinione. Non posso giudicare un uomo che non conosco. So solo che è un grande atleta e lo rispetto per questo. Qual è il momento che ha cambiato la tua vita? La mia gara alle Olimpiadi di Pechino. Ha cambiato tutto perché ho vinto la medaglia d’argento, sebbene sognassi l’oro. Quindi, esaminando la situazione, devo ammettere che non ho raggiunto il mio obiettivo. Ma c’è anche da dire che se avessi vinto l’oro, probabilmente adesso non nuoterei più. Avrei perso la motivazione. Sarebbe stato bello e brutto al tempo stesso. Oscar Wilde, in proposito, diceva una cosa molto sensata: «a questo mondo vi sono solo due tragedie: una è non ottenere ciò che si vuole, l'altra è ottenerlo». Cos’è per te il nuoto? Il nuoto lo devi amare, perché a questi livelli è veramente dura. Alla sera sono stanco. Molto stanco. Ma essere in acqua per me è la cosa più importante della vita. Quali altri sport acquatici pratichi? Faccio body surfing e pesca in apnea. Ho anche praticato la pallanuoto, ma il mio forte è decisamente il nuoto. E col body surf riesci ad affrontare anche grandi onde? Assolutamente sì! Guardatevi qualche video su YouTube: è molto, molto bello!
25 LE ULTIME MEDAGLIE
MONDIALI DI ROMA - 2009
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Argento 100m Farfalla Oro 50m Farfalla
OLIMPIADI DI PECHINO - 2008
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Argento 100m Farfalla
EUROPEI DI RIJEKA - 2008
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Argento 50m Farfalla Oro 100m Farfalla
Europei DI Eindhoven - 2008
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Oro 50m Farfalla
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Oro 50m Farfalla Oro 100m Farfalla
Europei DI Debrecen - 2007
Europei DI Helsinki - 2006
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Argento 50m Stile libero Oro 100m Farfalla
PHITTED !
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«Se ti convinci mentalmente di qualcosa, alla fine sarà il tuo cuore a crederci, e con lui il tuo corpo: è così che vincerai!»
Tirando le somme, tu sei stato capace di diventare un campione, ma anche di laurearti… Sì. E l’America per questo è fantastica: riesce a conciliare le due cose. Negli States ci sono università specializzate, oltre che negli studi, anche nello sport: nuoto, basket e via dicendo. In Italia, invece, questo concept non esiste: se studi, studi, punto e basta. Poi anche se diventi un nuotatore fortissimo, puoi arrivare a guadagnare massimo 50.000 euro l’anno, che arrotondi con gli sponsor. L’America, invece, ti dà la possibilità di diventare davvero qualcuno. Conosco solo un Italiano che è andato negli States ad allenarsi, eppure lo consiglierei a tutti quelli che vogliono fare questo tipo di vita: è da lì che bisogna partire! La mia università, poi, è la migliore, sia per gli studi che per il nuoto. Hai un mental coach o un motivatore? La differenza fra uno scarso atleta e un grande atleta è la fiducia che si ha in se stessi. Devi credere in te! Proprio come il mio programma per gli orfani in Serbia: “Верујем у себе” (“Believe in yourself” o “Credi in te stesso”). Se ti convinci mentalmente di qualcosa, alla fine sarà il tuo cuore a crederci, e con lui il tuo corpo: è così che vincerai! Never give up! Fight 10 minutes more! Take your time! (e giù di incitazioni!, ndr) Be optimistic! Live with reason! You have everything! Do something great! Scusa, ma in tutta questa teoria sportiva, c’è qualcosa di serbo? Nulla, penso (mmm, questo ci convince poco, ndr…). Questa è la mia filosofia di vita: io attacco, attacco, attacco! Vado in guerra, senza sperare in nulla. Mi ci butto con tutto me stesso e con tutta la mia forza! Sai, quando vedo un film di guerra vorrei entrare direttamente nel video, in azione. Non do al mio avversario la possibilità di venirmi addosso, perché attacco prima io. Thomas
Hobbes dice: «la vita è brutale, corta e aggressiva». E io dico che quando il diavolo ti sorride, devi sorridere anche tu!
PHELPS VS ČAVIĆ
Una domanda ci nasce spontanea: ma hai studiato filosofia? No: è stato il nuoto e tutto il tempo che ho passato da solo in acqua! Quello mi ha fatto capire che perdere significa vincere e rendersi conto dei propri errori significa non rifarli di nuovo. Io so che non rifarò più gli stessi errori. Prima hai citato il tuo progetto di volontariato: di cosa si tratta? In Serbia gestisco un programma per i bambini orfani e cerco di passare più tempo possibile con loro. Per esempio, ci mettiamo anche a fare la pizza e le crêpes insieme. Voglio dar loro la mia presenza, non solo regali. Così vado a trovarli ogni volta che posso. E quando sei in vacanza cosa fai? Mi piace andare al mare anche perché l’aria buona è il miglior modo per riprendersi dalle fatiche del nuoto. La più bella vacanza che ho fatto è stata nelle isole greche dello Jonio con gli amici. Eravamo in catamarano e cambiavamo posto ogni giorno. Com’è che Monica Bellucci ha detto di te «è il più bell’atleta del mondo»? Lei mi ha fatto un gran bel complimento, e ne sono commosso: è rimasta molto affascinata dalla mia figura. Ma quando lo ha dichiarato era incinta… Ecco, io rispetto le donne e penso che quello per loro sia un momento davvero fantastico, ma anche una fase in cui ragionano poco logicamente… Insomma, magari non lo pensava veramente, quando l’ha detto. Io, però, questo complimento me lo prendo tutto! Per finire: cos’è che ti fa sentire “phit”? Solo toccare l’acqua: stare in acqua per me è il paradiso.
Pechino 2008, Olimpiadi, 100m farfalla. Phelps conquista l’oro con una vittoria al fotofinish, soffiando il posto a Čavić per un centesimo di secondo e conquistando il suo ottavo oro olimpico. Pare che la vittoria sia dipesa solamente da una differente pressione del sensore: maggiore quella di Phelps. Dubbi, polemiche, proteste da parte dello stesso serbo. Ma il risultato non cambia: Čavić dovrà aspettare un anno per rifarsi della sconfitta. Roma 2009, Campionati Mondiali di Nuoto, 100m farfalla. Di nuovo Čavić contro Phelps per la finale più attesa. Il dominio del serbo nei primi 50 metri è enorme: praticamente già una vittoria. Mile vira quasi un secondo prima rispetto a Michael, ma poi, negli ultimi 20 metri, Phelps ingrana la quinta. Anzi, è Čavić a scendere in terza. Ecco il tocco: un altro oro e un record da brividi per Phelps (49''82). Pugni sull’acqua, una gioia immensa, una vittoria, una sconfitta. Londra 2012, Olimpiadi, 100m farfalla. Cosa succederà?
PHITTED !
«Per me essere “phit” è semplicemente toccare l'acqua: stare in acqua per me è il paradiso!»
L'ETERNA SFIDA
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AGOSTO 07:30
il re bambino
PHIT PASSION
la sabbia, l'aria Ho dormito come "un bambino". Sono le 7, l’aria è ancora frizzante. Non sono molto nervoso, in fondo è quasi una missione impossibile e mi sono detto: io faccio quello che posso, SENZA MENATE. Cammino a piedi nudi e la sabbia è ancora fresca.
PHIT
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AGOSTO 09:25
il re bambino
lei!
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PHIT PASSION
Devo mantenere il mio STATO DI TRANQUILLITA': la cosa migliore è "entrare" Mi sciolgo nell’acqua calda di Zarautz. Mi rilassa. Mi sento bene, sono in forma. Non ho nulla con me, solo "LEI", che mi accompagna con le sue curve gialle.
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AGOSTO 10:15
il re bambino
PHIT PASSION
lo studio Esco dall'acqua, mi levo la shorty e mi metto in pantaloncini, maglietta e piedi nudi. Ho sette heat per studiare onde e avversari. Io sarò nell'OTTAVA. Le onde sono destre e sinistre, non troppo grosse. Tra una heat e l'altra, però, una partitina alla Wii sotto il tendone CI STA TUTTA!
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AGOSTO 11:00
il re bambino
i voti
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PHIT PASSION
Ă&#x2C6; il mio turno. Mi gioco tutto. Le condizioni sono le mie. Alla prima onda prendo 17.13 su 20: ottimo risultato. Gli altri sono tutti piĂš grandi, ma io mi sento al loro livello. SURFO SENZA PENSIERI.
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AGOSTO 12:10
il re bambino
PHIT PASSION
usa la testa! Heat dopo heat, la mia media rimane intorno ai 15/16 e passo i turni. Senza neanche accorgermene, sono all’ULTIMA. È qui che la sento: la tensione comincia a salire fino al CERVELLO e le gambe tremano. Divido le onde con i miei compagni Alexandre e Naxto. So che devo SCEGLIERE BENE, USARE LA TESTA.
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AGOSTO 13:00
il re bambino
da una storia di leonardo fioravanti testo di giorgio alfieri illustrazioni di giulia salemi
the King!
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PHIT PASSION
Parto con un 6.5. A scuola mi andrebbe bene, ma qui siamo in acqua. Arriva l’8. E se non mi sbaglio 6.5 + 8 fa 14.5. Gli altri sono dietro di me, a non più di 12. A questo punto la CALMA PIATTA. È una condizione che in qualsiasi altro momento non avrei voluto subire, ma ora…. Fatto sta che i minuti passano e finiscono le onde surfabili. Io divento magicamente campione europeo del QUICKSILVER KING OF THE GROMS. E sapete una cosa? Ancora adesso non ci credo!
NEPAL - 27°42’N 85°20’E EVEREST – spaccata tra Nepal e Cina, è la vetta più alta della terra (8.848m). Il suo nome nepalese, “Sagaramāthā”, significa “dio del cielo”. ANNAPURNA – Altra catena himalayana del Nepal, è il primo gigante della terra (8.091m) a concedere all’uomo di toccare la sua CIMA NEL 1950.
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Marco Polo, Lorenzo Jovanott i
nepal
a cura di foto di
alessia giorgia pagano mauro vanoli, mike trent, diego nieto
mr. nepal, bici e cuore + Phit incontra questa volta Mauro “Selvatiko” Vanoli: uno “on the road”, ma sul serio. Uno che a un certo punto si è reinventato un lavoro e una vita, mettendo insieme le sue passioni: i viaggi e la bici. Ecco come lui si è innamorato del Nepal, e noi ci siamo innamorati di lui… UNA STORIA ORDINARIA?
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E il riscontro da parte delle aziende è più che positivo: in breve, arrivano gli sponsor ufficiali e il primo viaggio che non grava in toto sulle sue tasche. Mauro Vanoli, che da qui in poi chiameremo “Selvatiko”, con creatività, voglia di vivere, coraggio, e pure un po’ di faccia tosta, si è inventato il suo nuovo lavoro: girare in solitaria le zone off-limits del pianeta, sulle due ruote più strambe che la sua mente possa elaborare. Dalla Graziella modificata alla bici-monopattino, usando, collaudando e immortalando, con materiali audio-video, brand, prototipi e pre-serie, inclusi i mezzi di trasporto, gli indumenti e gli strumenti tecnici.
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Un lavoro normale, una vita normale e la mountain bike, con cui nel weekend va ad allenarsi insieme alla squadretta amatoriale, nei dintorni di Como. Ma nel 1999 Mauro Vanoli molla tutto, perché l’azienda farmaceutica in cui lavora si trasferisce lontano da casa e lui, di fare il pendolare, su e giù e avanti e indietro, proprio non ne ha voglia. Questi sono i fatti, ma a posteriori si potrebbe dire che era destino, e che poi, in fondo, lui di tutta questa vita da impiegato si era bell’e che rotto le balle. Sta di fatto che Mauro si prende il suo “anno” sabbatico («tre mesi
e 10 giorni» per la precisione) e decide di fare la “coast to coast” San Francisco-New York, con tappa a Seattle, in bicicletta, praticamente a zero budget. Mentre il tempo passa, Vanoli tira a campare per qualche annetto, tra impieghi vari ed eventuali e immancabili giri intorno al mondo. Ma finalmente, nel 2005, arriva l’idea fulminante che gli cambierà la vita: chiedere alle aziende una sponsorizzazione sui materiali sportivi indossati durante le gare in mtb e i viaggi, dal borsellino alla camera d’aria, passando per la maglietta. «Tutto nasce così – ci racconta Mauro – un po’ per gioco, un po’ forse perché sono un tipo simpatico».
«Forse è possibile innamorarsi di un paese come di una persona, vedere in quel luogo cose che per qualche ragione non trovi altrove; stabilire con esso un legame speciale, sentirsi attratto dal suo carattere, viverlo con un intensità particolare» (David Jiménez, “Figli del Monsone”)
IL LAVORO Concretamente la faccenda funziona così: la pianificazione di un viaggio “selvatiko” implica non solo mesi di studio, «ragionamenti», preparazione atletica e inventiva (aka follia, incoscienza, passione, senso dell’avventura: chiamatela come volete), ma anche un’intensa attività di marketing. Certo, dopo l’attenzione della stampa, la comparsata alla trasmissione “Alle falde del Kilimanjaro” e il Tg1 (cui è seguito il Tg2 e il “non c’è 2 senza Tg3”), le opportunità si sono allargate, tanto che sono sempre più spesso gli sponsor a contattare
lui. Perché – è inutile nasconderlo – Selvatiko è uno che fa notizia. Non che la cosa gli faccia montare la testa, intendiamoci: «va bene la pubblicità – precisa lui – ma io non voglio tirarmi scemo. Voglio continuare a poter dire: “mi sono rotto le balle, domani parto”, senza dover rendere conto a nessuno di quello che faccio. Sono uno spartano, io!». E così i viaggi da raccontare si moltiplicano. Lui stesso ne tiene nota con un blog in cui documenta le sue imprese – foto, pensieri, biglietti, bozzetti e sfighe incluse – praticamente in diretta (selvatikontheroad.blogspot.com). Noi ne riportiamo alcune citazioni,
ma vi consigliamo comunque di “sfogliarlo” per intero, tanto è divertente, spontaneo, ironico, vissuto, vivido e vitale. Ci sono l’Islanda, la Thailandia affrontata con una mtb e una canoa pieghevole, l’India attraversata con una bici fatta di bamboo… Ma qui noi vogliamo parlare di un luogo particolare per Selvatiko, che rappresenta un po’ l’amore della vita e la balena bianca, il sogno e la sfida, la casa e l’Atlantide, la croce e la delizia. Il Nepal.
NEPAL Ci è andato e tornato almeno dieci volte. E il suo blog è pieno di commiati amorevoli («ti dimentico, Kathmandu… cappuccino & cornetto, e si chiude l’avventura nepalese») come di ben-trovati commossi e pieni di propositi. Tra quelle righe, troviamo anche una citazione che ben si addice a questa storia: «forse è possibile innamorarsi di un paese come di una persona, vedere in quel luogo cose che per qualche ragione non
trovi altrove; stabilire con esso un legame speciale, sentirsi attratto dal suo carattere, viverlo con un intensità particolare. (…) Sono luoghi dove pensi di tornare quando ancora non te ne sei andato» (David Jiménez, “Figli del Monsone”). Ecco, quel luogo per Selvatiko rappresenta tutto questo. Ma perché proprio il Nepal? «La gente è fantastica», ci dice. «Ridono sempre, sono friendly, spensierati… E anche se non hanno niente, vivono leggeri». Tanto che lui ha quattro amici “veri” laggiù, (ma forse dovremmo dire “lassù”): Yoghi, Munna, Thir e “Bin Laden”. Uno del Kashmir, uno dell’India del Nord e due nepalesi. Il che rende, seppur vagamente, l’idea della mescolanza delle culture, etnie e religioni che convivono in equilibrio in questo paese, schiacciato tra Cina e India, ma sopravvissuto proprio perché “protetto” dalle montagne più alte della terra. Induisti e musulmani, figli dell’hippy-che-fu e scalatori, militari e contadini: «è un puttanaio», ci dice Selvatiko con la consueta spontanea
Sand Board
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L'aeroporto di Lukla
MAURO “SELVATIKO” VANOLI
«Naaa… Nessun segreto. Ma un progetto serio, due credenziali, competenza, tenacia, professionalità, culo… Dimenticavo: faccia di tolla!». Si descrive così Mauro Vanoli, classe 1974, comasco, meglio conosciuto come “Selvatiko”. E si racconta, a noi come sul suo blog, davvero senza peli sulla lingua, così come gli viene, perché lui è «uno terra terra». Tanto che per spiegarci la posizione di Dreamland Lodge, Annapurna foto: Mike Trent
riadatta ogni volta, per convivere e lavorare fianco a fianco con i nepalesi, affrontando la loro “normalità”, inclusi i quotidiani black-out dell’energia elettrica. Ma lui, spartano com’è, non ci mette poi molto ad abituarsi: «al
fronta per la prima volta “la” sfida: raggiungere in mountain bike l’Everest Base Camp, a quota 5.300m. Quest’ultimo è il punto di arrivo dei trekking classici sull’Everest e quello di partenza per tutte le spedizioni
Kathmandu, foto: Diego Nieto
bando pc, schede sim, memory card e via discorrendo: una candela, un blocco note, una matita. E vai di appunti».
EVEREST - MOUNTAIN BIKE È il 2006 quando Selvatiko af-
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“all’attacco” della vetta più alta del pianeta (8.848m). Da Kathmandu, si prende un volo interno per Lukhla, il cui aeroporto, piazzato a 2.900m, con una pista di appena 1.500m e frequenti raffiche di vento, è considerato uno dei più pericolosi del mon-
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Everest, Annapurna e Kathmandu, ci porta ad esempio il triangolo Bergamo-MilanoMonte Rosa. «Mattatore, burlone, protagonista e anche un bel poco rompicoglioni!». E colorito, spontaneo, vitale, puro e libero quasi come un bambino. Una di quelle rare persone che appare sempre com’è e fa a meno di giochi di parole e doppi sensi. Non porta l’orologio, è sempre in ritardo, ha costantemente la batteria scarica, ma non riesce a star fermo né con le gambe, né con le idee... www.selvatiko.com – www.selvatikontheroad.blogspot.com
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espressività. «Ci trovi un sacco di gente strana, un po’ come a Venezia. Giapponesi, Cinesi, Russi, Indiani, Australiani, Israeliani: di tutto, insomma». Certo, viste la povertà, la convivenza etnicoreligiosa muso a muso, l’instabilità politica pre-democratica, la presenza di integralisti islamici e l’incombenza della Cina, i problemi non mancano. E lo stesso Selvatiko ci si è trovato più volte in mezzo. L’equilibrio è sempre precario, insomma, ma resta un fatto: è una meravigliosa precarietà, in una meravigliosa terra. Non meno colorita è la descrizione della capitale nepalese. «Kathmandu – racconta Selvatiko – è la base di partenza e di arrivo per tutti i trekking sull’Himalaya e per qualunque viaggio in Nepal. In pratica, è un formicaio, con gente ovunque e a tutte le ore, tra risciò sgangherati e colorati, animali da pascolo che attraversano la strada, taxi, clacson e l’inquinamento che ti pizzica la gola. Un posto assurdo, insomma, in cui la confusione pura convive con ritmi lentissimi…». Ritmi a cui Selvatiko si
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«Ma quello ero io. Volavo, volavo più alto della vetta conquistata (e sudata, che non ne avete idea)» do. Da qui inizia il trekking: «non è una salita unica, come si potrebbe pensare – ci spiega – bensì una serie interrotta di tratti, scaloni, pietre e persino discese». A 4.000 metri, poi, è altamente consigliabile effettuare un giorno di riposo per “acclimatarsi” alle nuove quote, allenando il respiro, la testa e il cuore. Ma questa volta lui ai 4.000 non ci arriva neanche, a causa di un intoppo a metà strada, nel villaggio di Namche Bazaar (3.440m). Va detto che il regolamento del Parco Nazionale dell’Everest vieta l’ingresso alle biciclette, anche se lui punta sul fatto che le forze dell’ordine chiudano un occhio facendolo passare (si è pure procurato una finta lettera di permesso... ). Peccato che proprio in quel momento scoppi la guerra civile e i controlli dei militari diventino ferrei. «La notizia – ricorda Selvatiko – è che la città è sotto i fuochi dei maoisti, che vogliono destituire il re. Il che significa sassaiole, pistole, coprifuoco. Lì, sulle pendici dell’Everest, regna la pace assoluta, ma io mi trovo i fucili dei soldati puntati addosso, mentre sono in un internet point. Tre militari alti niente, con lo schioppo in mano, che mi chiedono: “sei tu l’italiano che va in giro in bici? O la lasci giù, o finisci in galera!”». Pericoloso, anche perché il telaio che sbuca fuori dal suo zaino può facilmente essere scambiato per un’arma. Lui ci prova, prima con la simpatia, poi escogitando di nascondere la bici in un sacco di juta da far trasportare in cima a qualche yak… Ma c’è poco da scherzare, i ragazzi della guesthouse lo sconsigliano e Selvatiko, che senza mountain bike non ha
motivo di restare, fa marcia indietro «con le orecchie basse». È lo scotto, la sconfitta. Kathmandu, dove sarà costretto a rimanere per 15 giorni, rintanato in hotel per il coprifuoco, gli resta nel cuore. E pure un po’ sul groppone.
L’EVEREST IN GRAZIELLA
*
Non passa molto, solo due anni, che il destino illumina un’altra volta la strada di Selvatiko, facendogli trovare (nella spazzatura!) una «fantastica Graziella rosa». Di quelle vecchie, di quelle che si piegano in due, di quelle che usavano le nostre mamme. L’idea è fulminante: «se loro sull’Everest non mi fanno entrare con la bici, io non gliela farò vedere!». E si mette in testa di affrontare nuovamente l’Everest Base Camp proprio con la Graziella, nascosta in un’enorme sacca-zaino realizzata su misura. Eccolo finalmente tornare “a casa”, in Nepal. Dai suoi amici, dal black tea, dalle motorette «che ti fanno il pelo e il contropelo», dalle Suzuki-Maruti, dai black-out, dai ragni e dalle scolopendre. Dalle orde di bambini che gli corrono dietro, al grido di “cycle, cycle!”. Questa volta, però, c’è una nuova compagna di viaggio: Graziella, che Selvatiko fotograferà, abbellirà e vizierà, proprio come una donna. Citiamo dal suo blog: «ora “lei” si è messa in testa di farsi regalare un tatuaggio: da buon italiano-medio, toccherà accontentarla!». Ed ecco che la Graziella, già modificata in versione mountain bike e tutta colorata di verde metallizzato, viene decorata “sui fianchi”
con due bei dragoni da un artista nepalese (vedi sopra, ndr), «35 anni di esperienza tanka». Il tutto mentre nella sartoria dell’amico Yoghi (Yoghesh) si confeziona lo zaino-abito che conterrà e nasconderà la bici. Un’impresa, questa, che tra black-out e ritmi nepalesi, comporterà un mese di lavoro e “rotture di balle”, per dirla alla Selvatiko. Finché, eccolo: lo zainone da 140l è pronto e «lei vi si trova a meraviglia, non stringe e la copre tutta!»… Come va a finire? «Qui Namche Bazaar, 3443m – scrive Selvatiko sul blog – un internet point che "mi sopporta" a fatica. ps: raggiunta la vetta! Da oggi, chiamatemi pure “Mr. Nepal”!!;–)». Già, alla fine Selvatiko ce la fa, anche se non raggiunge propriamente il Campo Base, sovraffollato per la chiusura del versante cinese dell’Everest causa passaggio della fiaccola olimpica, bensì Kala Pattar, 200m più in alto, da cui si gode la migliore vista e da cui dovrà scendere di nuovo a piedi a causa di un pedale rotto. «Mi sentivo appagato, soddisfatto come un bambino», ricorda ridendo. «Glie l’avevo messa in quel posto! Anche se ero stanchissimo, per i 23kg sulle spalle, per i 7 chili persi, per la fatica e per il freddo: 20 gradi sottozero con il vento a 60 all’ora. Ma quello ero io. Volavo, volavo più alto della vetta conquistata (e sudata, che non ne avete idea)!» .
IL FUTURO
PHIT
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In Nepal, poi, c’è stato un’altra volta nel 2010, raggiungendo quota 5.416m sul’Annapurna, con un monopattino brevettato dall’olandese Koga-Miyata. E un’altra volta ancora, pochi giorni fa: mentre scriviamo queste righe, tanto per dire, ha appena disfatto le valigie. Conta di tornarci a ottobre, per il progetto umanitario “977” che avrà, di sicuro, una nuova compagna di viaggio… Ora, però, resta spazio solo per un’ultima domanda: «ma chi te lo fa fare?». Lui risponde così: «lo faccio non per soldi, non per fama, non per il successo, non per ottenere un record. Per pura passione, finché le ginocchia reggono». Buon lavoro e arrivederci, Mr. Nepal!
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ADN SWIM PROJECT
federico riva giorgia baroni luisa castellari
a cura di testi di illustrazioni di
swim core training È il training di Čavić, Korotyshkin, Fesikov e di tutti i campioni mondiali di nuoto che si allenano con l’A.D.N. Swim Project. Ma è anche un allenamento semplice, efficace e adatto a tutti, perché mira dritto al fulcro del corpo, per stabilizzarlo, ritrovare l’equilibrio, correggere la postura ed esercitare i muscoli profondi.
Cos’è?
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PHIT
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vimenti che compiamo ogni giorno: salire le scale, raccogliere un oggetto da terra, portare i sacchetti della spesa. «Allenare in profondità il core – continua Matteo – è indispensabile per ogni nuotatore, perché potenzia la performance. Un professionista, infatti, deve migliorare il più possibile la sua idrodinamicità, limitando gli spostamenti “fuori asse” laterali o verticali, che aumentano la resistenza dell’acqua e diminuiscono significativamente la propulsione». Ecco perché avere muscoli stabili significa avere una maggiore stabilità del corpo nello spazio e ottenere una prestazione migliore. «Inoltre, il core working, che noi effettuiamo senza l’ausilio di alcun attrezzo, lavora su gruppi muscolari meno isolati rispetto agli esercizi di spinta e panca piana, mirati a determinate muscolature, quali i pettorali e i tricipiti». Questo tipo di allenamento è, quindi, utile anche a ogni sportivo, professionista e no, e a chiunque ami tenersi in forma. «Rende stabili il tronco e la spina dorsale – conclude Matteo Giunta – aiuta a potenziare forza e resistenza ed è anche utile per la prevenzione di infortuni e lombalgie». Dal training olimpico di Čavić al benessere della vita quotidiana, il passo è breve: tutta questione di "core".
ON THE ROAD PHITNESS
deato dal giovane coach Andrea Di Nino, l’A.D.N. Swim Project è il primo progetto in Italia rivolto a nuotatori di livello internazionale, l’unico in cui campioni olimpici serbi, russi, americani si allenano fianco a fianco. Ogni atleta inserito nel programma A.D.N. è costantemente seguito da un team di specialisti a tutti i livelli: tecnico-atletico, medico, burocratico e manageriale. Phit vi mostra i segreti dell’allenamento base dei campioni mondiali di nuoto, con l’aiuto di Matteo Giunta, preparatore fisico A.D.N. «È il core training applicato al nuoto», ci spiega. Laddove “core training”, dall’inglese “core” (fulcro, nocciolo), indica un allenamento sulla parte centrale del corpo e del movimento umano: il fulcro, appunto, che collega gli arti inferiori a quelli superiori e comprende la pancia, il basso ventre e la zona lombare. «Il concetto di core del corpo – spiega Matteo – è stato introdotto oltre un secolo fa da Joseph Pilates, che lo chiamava “cintura di forza”». Per comprenderne l'importanza, va detto che i muscoli centrali del core (retto-addominali, obliqui interni, obliqui esterni, quadrato dei lombi, dorsali e multifido) sono coinvolti praticamente in tutti i mo-
ES.01
front plank a braccia tese (5 x lato)
STEP 1 Mettersi in posizione push up da piegamenti sulle braccia. Il bacino deve essere in linea con le spalle, così come l’apertura delle gambe. STEP 2 Piegare il braccio sinistro, poggiando l’avambraccio a terra. Anche il braccio destro risulterà leggermente piegato. STEP 3 Poggiare anche l’avambraccio destro a terra, sollevare l’avambraccio sinistro e ripetere questo movimento di saliscendi, un braccio alla volta. Si tratta di un esercizio dinamico.
ES.02
front plank alternato (3x20")
STEP 1 Posizionarsi come nell’ES.01STEP 3. STEP 2 Sollevare il braccio sinistro e la gamba destra con un movimento controllato. Mantenere la posizione per almeno 3 secondi, senza esagerare con la torsione del braccio, ma cercando di stare paralleli al terreno. STEP 3 Ripetere l’esercizio dalla parte opposta continuando alternativamente. Si tratta di un lavoro di tipo isometrico, volto a mantenere la posizione corretta, più che a cambiarla dinamicamente.
ES.03
“superman” variante 1(2x60", 2" per lato)
STEP 1 Mettersi in posizione prona.
PHITNESS
STEP 2 Alzare simultaneamente il braccio destro e la gamba sinistra. STEP 3 Alzare il braccio sinistro e la gamba opposta, e ripetere alternativamente. L’esercizio è di tipo sia dinamico che isometrico e può essere svolto più velocemente oppure tentando di mantenere la posizione per almeno 5 secondi.
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ES.04
“superman” variante 2 (2x 45"/60")
STEP 1 Mettersi in posizione prona, con le braccia a lato della testa. STEP 2 Piegare e sollevare le braccia a candelabro. STEP 3 Distendere le braccia in avanti, sempre tenendole sollevate. Una volta tornati alla posizione dello STEP 2, ripetere l’esercizio in maniera dinamica.
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back bridge (3x40",10" x gamba)
STEP 1 Mettersi in posizione supina, con le gambe piegate e le piante dei piedi poggiate a terra, sollevando il bacino in modo da allineare il tronco e gli arti inferiori. STEP 2 Sollevare la gamba destra da terra, portandola in linea con l’altra e mantenere la posizione per minimo 10 secondi. STEP 3 Cambiare gamba e ripetere l’esercizio in modo isometrico, ovvero puntando sul mantenimento della posizione corretta.
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crunch alternato classico (3x20")
STEP 1 Mettersi in posizione supina, con le mani dietro la testa, a sorreggerla. STEP 2 Sollevare la gamba destra e cercare di toccare il ginocchio destro con il gomito sinistro, effettuando una torsione.
ON THE ROAD PHITNESS
STEP 3 Ripetere l’esercizio dinamicamente, con la gamba sinistra e il gomito destro.
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One Step Closer, U2
micol della penna ben nevis
skyrunning
a cura di foto di
su e giù dal cielo + Su, su, e ancora più su. Fino alla vetta di una montagna, fino alla cima di un grattacielo: l’importante è correre tra le nuvole, ad altezze vertiginose. Ecco a voi lo skyrunning e il vertical running: la passione dei “corridori del cielo”.
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«Si tratta della libertà assoluta di arrivare con i propri mezzi (cuore, polmoni, gambe e… testa!) là, dove la terra incontra il cielo»
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Corsa oltre i 2000m con oltre il 30% di pendenza»: questa la definizione dello skyrunning, secondo il regolamento della International Skyrunning Federation che, istituita nel 2008 e ora rappresentata in ben 18 paesi, gestisce e promuove la disciplina a livello mondiale. Dal 2010, inoltre, si occupa ufficialmente anche del cosiddetto “vertical running” (o “skysraper vertical running”) che, di fatto, è lo skyrunning outdoor, svolto sui più alti grattacieli
del mondo. Tra questi, i più suggestivi per la disciplina risultano il Torre Agbar (Barcellona), il “Gherkin” (Londra), le Petronas Towers (Kuala Lumpur) e il Taipei 101 (Taiwan).
IERI E OGGI Tutto nasce alla fine degli anni 80 dagli sport d’alta quota e dalla passione di alcuni atleti che hanno iniziato a cimentarsi con la corsa a 4.000m, dalla Francia (Chamonix-Monte
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Bianco) all’Italia (Monte Rosa, CourmayeurMonte Bianco). C’erano il triatleta Laurent Smagghe (detto “l'alpiniste-coureur"), lo svizzero Pierre André Gobet e gli alpinisti italiani Valerio Bertoglio e Marino Giacometti. Phit si fa raccontare la storia proprio da quest’ultimo, che, oltre a essere l’attuale presidente della ISF, può essere considerato il pioniere della disciplina. Dopo aver lanciato in prima persona il record da Courmayeur al Bianco nel 1990, Giacometti organizza la prima
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competizione diretta sullo stesalta montagna», ci spiega Giaso percorso. Quattro uomini, cometti. «Ötzi, per esempio, una donna e l’attenzione mela mummia di Similaun rimadiatica della stampa italiana, sta conservata nel ghiaccio che subito conia l’espressione per 5.000 anni, può essere “i corridori del cielo”, da cui considerato il primo skyrunderiveranno le parole inglesi ner del mondo di cui si ab“skyrunner” (ora un marchio bia notizia!». Ma anche molti registrato) e “skyrunning”, la cacciatori, contrabbandieri o disciplina. Segue un altro remessaggeri, per ragioni meno cord: la Maratona dell’Everest sportive, hanno praticato a (42km di corsa fino al campo modo loro lo skyrunning. «La base nepalese a 5.000m), dopo prima salita documentata, il quale Giacometti si adopera però – prosegue Marino – riper organizzare un vero e prosale al 1519 ed è avvenuta prio circuito competitivo, che sul vulcano Popocatépetl Marino Giacometti - Sportivo for Sport at Altitude, una fedevada dalle Alpi al Tibet, pasin Messico, a quota 5.441. e alpinista appassionato, ne- razione privata internazionale, sando per i “Rockies” del CoMentre il primo record “ufgli anni 90 lancia i record dei che nel 2008 diventerà la ISF, lorado, i vulcani messicani e il ficioso” spetta a Frederick 4.000m. Le sue prime gare di International Skyrunning FedMonte Kenya. Ma solo nel 1995 Morshead, che affrontò il skyrunning risalgono al 1992: eration, di cui Marino è tuttora avviene la piena istituzionalizMonte Bianco in 17h30’ nel Adamello, Monte Rosa e Monte il Presidente. Contemporaneazazione dello skyrunning, con 1864». Ma anche le gare locali Bianco, seguiti poi dal Nepal. mente, gestisce un team che reun circuito mondiale di gare in nate come sfide o scommesse Già nel 1993, con un’importante alizza numerose gare di skyrunquattro continenti, otto nuovi hanno origini lontane: il Ben sponsorizzazione, dà inizio a un ning e record in tutto il mondo, record certificati oltre i 4.000m Nevis Race in Scozia (1903), circuito in tutto il mondo, dalle per un totale di circa 80 eventi e una 12 ore su un ottomila il Trofeo Mezzalama sulle Alpi Alpi al Tibet, dal Kenya al Colo- e 23 record mondiali. Di fatto, tibetano. Risale proprio a que(1933) e il Pikes Peak Mararado, passando per i vulcani Giacometti ha ufficializzato un sto periodo la fondazione della thon (1954) negli USA. messicani. Ed è per regolamen- movimento che, partito da una Federation for Sport at Altitude, tare la nuova disciplina che nel decina di corridori, conta oggi che nel 2008 diventerà InternaLA MOTIVAZIONE 1995 fonda la FSA - Federation oltre 30.000 “skyrunners”. tional Skyrunning Federation: una strada burocratica un po’ Sia nello skyrunning che nel inusuale per gente che è abivertical running si deve “sail progetto ha coinvolto 28 ricercatori e 300 tuata a correre liberamente in lire”, cioè vincere la forza di corridori in ricerche sul campo e in labora- gravità su pendenze che nelle gare in montamezzo alla natura, ma necessaria per sancire torio. «La strada verso l’Olimpo – dice Giaco- gna variano dal 30 al 40%, mentre sui grattal’atto di nascita di questa disciplina. Partimetti – è ancora lunga e ripida, ma, del resto, cieli si attestano intorno al 50%. L’idea della to da una decina di corridori, lo skyrunning l’alta quota è la nostra specialità!». conta oggi circa 30.000 skyrunner proveconquista, come può esserlo la vetta di una nienti da almeno 40 paesi del mondo, oltre montagna o la cima di un palazzo, è da sem200 gare di alto livello sopra i 2.000m di quopre connaturata all’uomo. Ma lo skyrunning DALL’ALBA DEI TEMPI ta, 16 nazioni associate. Con 70 associazionon si limita a questo: «si tratta della liberni e 100 gare sul territorio, l’Italia è il paese Il concetto sotteso allo skyrunning può sem- tà assoluta di arrivare con i propri mezzi del maggior movimento skyrunning. Va poi brare semplice: correre da un paese fino alla (cuore, polmoni, gambe e… testa!) là, dove ricordato che lo skyrunner è l’atleta più stuvetta di una montagna. Eppure, scavando la terra incontra il cielo. E poi ci sono le diato in assoluto: oltre ai 15 lavori scientifici in profondità, si scoprono radici molto più viste mozzafiato in salita, considerato che e alle 23 pubblicazioni ai congressi medici, lontane. «L’uomo ha sempre corso anche in in discesa gli occhi stanno incollati sul per-
skyrunning «Toccare la natura con mani e piedi ti fa sentire un tutt’uno con la terra»
corso, per non cadere». Nello skyrunning, poi, l’amore per l’ambiente è fondamentale per la motivazione dell’atleta: «la natura è tutto e la montagna è l’arena del corridore, che non lascia alcuna traccia del suo passaggio: un’attività del tutto ecofriendly». Infine, c’è la potenza della natura stessa, quell’energia che si sprigiona e sa alleviare la fatica. «Toccare la natura con mani e piedi – conferma Giacometti – ti fa sentire un tutt’uno con la terra». Ma la motivazione sta anche nel puntare sempre più in alto, nello stabilire nuovi record, nel competere con campioni migliori, fino magari a diventare campioni del mondo. «Poi, quale altro sport ti permette di correre tra le nuvole?».
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IL TRAINING DELLO SKYRUNNER Ma c’è un’altra motivazione che spinge lo skyrunner e merita uno spazio a sé: il training. «Bisogna calibrare il proprio corpo a un altissimo livello atletico», ci spiega Marino. Gli skyrunner top, infatti, possono essere definiti come le “Formula Uno” della montagna: «hanno una cilindrata di motore pari a quella dei migliori fondisti o ciclisti. E viaggiano a una velocità di circa 3-4 volte superiore a quella di un normale camminatore». Basti pensare che ogni record stabilito in poche ore corrisponde a salite che, normalmente, si compiono in due giorni, pernottando in rifugio. «Un atleta top può allenarsi anche fino a 30.000m di dislivello al mese: oltre quattro volte l’altezza dell’Everest!». E la competizione diventa sempre più elevata. Il che significa che ci vuole un
allenamento specifico molto intenso. «Correre in quota significa far salire di giri il proprio motore, come mai si potrebbe fare in piano». Ma il discorso vale anche per le persone comuni: salire le scale con il ritmo giusto permette di tonificare l’apparato cardiorespiratorio, oltre a stimolare il metabolismo. «Correre in piano – conclude Marino Giacometti – è come far andare una Ferrari con le ruote di una Cinquecento!».
Gare, ATLETI, record Il primo Campionato del Mondo di Skyrunning risale al 1998, ed è stato poi seguito dalla prima edizione degli SkyGames® – “l’Olimpiade d’alta quota”, che si svolge tuttora ogni quattro anni, mentre gli Europei dello skyrunning hanno sempre cadenza biennale. Dopo queste tappe fondamentali dell’era federale, dal 2003 è in continua crescita la Skyrunner® World Series: 7-8 gare e altrettanti Trials, per un totale di 12 paesi in 4 continenti e un World Champion uomo e donna ogni anno. Quanto ai campioni della disciplina, oggi sono almeno 20 gli uomini e 10 le donne a livello di podio. Tra tutti, spiccano il catalano Kilian Jornet (tre volte Campione del Mondo Skyrunning) e l’italiano Marco De Gasperi (sei volte campione del mondo di Corsa in Montagna e Campione Europeo Skyrunning 2009). Tra le donne, invece, svettano l’italiana Emanuela Brizio (Campionessa del Mondo Skyrunning 2009 e 2010), e nuove stelle come la francese Laetitia Roux, la neozelandese Anna Frost e la spagnola Mireia Mirò.
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vertical running I GRATTACIELI Il vertical running era già praticato come evento per promuovere il grattacielo o sostenere alcune organizzazioni di beneficienza. Ciò accade tuttora, soprattutto nei paesi di stampo anglosassone e nel Commonwealth, dove l’obiettivo delle gare di vertical running è spesso quello di raccogliere fondi, senza alcuno scopo competitivo o di performance. Ora, però, con il Vertical World Circuit®, l’unico circuito ufficiale della specialità e il solo a unire le gare e gli atleti d’èlite con un ranking e un premio finale, il vertical running è diventato una vera e propria disciplina sportiva. Con tanto di federazione che lo regolamenta, lo patrocina e conduce ricerche medicosportive a riguardo. Tornando alla storia, la gara più antica e più famosa è quella dell’Empire State Building Run-Up, che risale al 1977. Le differenze tra sky e vertical running non sono molte, tanto che spesso gli atleti eccellono sia in una che nell’altra specialità. Ma, se la pendenza è
simile, la durata, di contro, varia molto. In sostanza, il vertical running permette anche a chi vive in città di allenarsi in salita. E se non tutti hanno a disposizione i grattacieli di Manhattan, tutti possono comunque allenarsi, specialmente in un paese pieno di condomini e ascensori come l’Italia: bastano 5/10 piani di scale antincendio. «Anche i più sedentari», specifica Marino. «Le scale, infatti, possono essere per loro un’ottima palestra. Se l’atleta può farne una serie di 2/3 ripetute per integrare i propri allenamenti anche d’inverno, chi è in sovrappeso può perdere qualche chilo e diabetici e cardiopatici possono trarne beneficio: il tutto gratuitamente e a qualsiasi ora!». Perciò il VWC promuove anche questo aspetto, con il progetto “Vertical Fitness”, atto a sensibilizzare un ampio pubblico sui benefici dello “stair climbing”. Per quanto riguarda i campioni del vertical running, invece, per ora il vero specialista resta il tedesco Thomas Dold, Campione
del Mondo 2010 del Vertical World Circuit® e sei volte vincitore dell’Empire State Building Run-Up. Tendenzialmente, comunque, gli atleti più forti sono quelli che hanno esperienza nella corsa in salita in montagna e che riescono a gestire lo sforzo, senza passare oltre il 99,99% delle loro capacità aerobiche. Il che dipende anche da quanto acido lattico riescono a sopportare. Lo stesso Thomas Dold, sulle gare più lunghe, come quella di Taipei, è stato battuto da Marco De Gasperi, campione mondiale di corsa in montagna, e dal neozelandese Jonathan Wyatt, stesso titolo. Fra gli italiani, poi, sono da segnalare anche Fabio Ruga, vincitore del Vertical Rush a Londra e secondo a Milano nel 2010 e, fra le donne, Cristina Bonacina, seconda a New York e vincitrice a Londra. L’attuale campionessa del mondo è, invece, la neozelandese Melissa Moon, incalzata dalla fortissima connazionale Anna Frost. In attesa del Vertical Sprint di Milano il 24 settembre...
Ecco i giganteschi monoliti che identificano inequivocabilmente lo skyline di una città e lasciano senza parole chi vi si trova davanti o, meglio, sotto. Testimonianze dell’ardimento architettonico, ma anche del potere economico dell’uomo, i grattacieli sono da sempre fonte di ispirazione per la cultura come per lo sport, dal primo “King Kong” (1933) fino a Spiderman, passando per l’ultimo “Mission Impossible 4” che vede protagonista, oltre a Tom Cruise, anche il Burj Khalifa di Dubai: 124 piani, 824m e il titolo incontrastato di edificio più alto del mondo. Ma non tutti sanno che il primo vero “uomo ragno” è stato, ed è tuttora, Alain Robert, che è riuscito a scalare in free-climbing, con il solo ausilio di mani e piedi, i più alti grattacieli del mondo. L’ultima sua impresa è, appunto, il Burj Khalifa, conquistato il 28/03/2011. Tra i giganteschi edifici attualmente in costruzione, spiccano i 12 palazzi coreani che supereranno i 100 piani e lo Shard di Londra, che cambierà per sempre il volto secolare della City. Ma contano anche la fascinazione storica (il Chrysler Building in puro stile art déco “ispira” più dell’Empire State Building), lo stile (le decorazioni islamiche delle Petronas Towers) e il contesto urbano e ambientale: le vie di Barcellona, come il deserto del Golfo di Persia su cui troneggia il Burji Khalifa. Per il vertical runner, però, chiuso sulle scale e «nei budelli delle torri, spesso essenziali come il corridoio di un ospedale», per dirla con Giacometti, la bellezza conta poco: il premio è alla vetta.
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a cura di
alberto brigidini
il successo è dentro di te! Eccoci alla seconda puntata sul training mentale con l'intervista a Livio Sgarbi, uno dei primi in Italia a intraprendete il life coaching con personaggi illustri dello sport (e non solo). Un'attività svolta a partire dalla convinzione che in ciascuno di noi vi siano le potenzialità per potersi migliorare. Nello sport come in ogni altro settore della vita. lettera le parole utilizzate da Sgarbi. E per stimolare tale processo interviene il coach sportivo. «Ma c'è da fare un’importante premessa. Il lavoro del coach nello sport non può prescindere dal life coaching. Come siamo, pensiamo e agiamo nella nostra vita quotidiana, infatti, influenza inevitabilmente le nostre performance sportive». Il coach, quindi, aiuta a raggiungere determinati obiettivi anche andando ad agire, se serve, su alcuni aspetti personali. «Ed è proprio questo uno dei motivi che più mi coinvolge: entrare in empatia con qualcuno per riuscire a stimolare un suo cambiamento, ovvero una crescita a livello personale, non solo è una grande soddisfazione, ma aiuta, di riflesso, ad arricchirti a tua volta. Siamo esseri umani con le nostre paure, le debolezze, i limiti. E quando io, attraverso lo sport, imparo ad affrontare i miei limiti, a superarli, poi posso trasportare tali risultati anche in altri settori
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«Non esiste un metodo per vincere, ma un approccio. E l'approccio è sulla persona. Il mio lavoro è aiutare a trovare le motivazioni, ma la decisione, per divenire definitiva, non può che essere presa dalla persona stessa». Esordisce con questo pensiero Livio Sgarbi, personal coach che ha seguito, tra gli altri, personaggi del calibro di Carlo Ancelotti (nella sua fase da allenatore), Vincenzo Iaquinta, Sebastian Frey, e Fabio Fognini. Phit lo incontra in occasione di un approfondimento sul tema del training mentale nello sport, affrontato in prima analisi sul numero precedente (Phit 05, ndr). L’esordio di Livio Sgarbi ci lascia un po' stupiti. Altro che teorie pseudo-scientifiche e tecniche mentali da strizzacervelli! Qui si parla di potenziale insito nella natura umana. Davvero niente male, visto il presupposto: tutto ciò che ci serve si trova già dentro di noi. «Si tratta di crederci, scovarlo e usarlo», citando alla
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«L'esagerata esaltazione dopo una vittoria può avere effetti negativi tanto quanto l'eccessivo demoralizzarsi a seguito di una sconfitta» della vita». Un obiettivo raggiungibile solo con un adeguato percorso di crescita. «Spesso anche top atleti, capaci di performance sportive pazzesche, grintosi e spietati sul campo, nella vita personale si perdono, per non dire che sono un vero disastro. Quel che io cerco di fare è strutturare la persona, attraverso diverse pratiche, farla crescere come individuo e non solo come atleta. Lo sport per sua natura è un ambito in cui il coaching è particolarmente efficace. Questo perché ha bisogno di un’evoluzione sistematica». Rimettersi in gioco, allenarsi con costanza, misurarsi con uno o più avversari e con se stessi: mica cose da poco. E, infatti, la prestazione sportiva si raggiunge solo grazie al perfetto equilibrio tra corpo, spirito e mente, come ci conferma Livio. «Oggi più che mai non si può pensare ad allenare solo uno di questi aspetti. Così come non è più ipotizzabile la presenza di un solo coach che segua tutte le componenti del training. Ricordiamoci che qualche decennio fa si curava quasi solo l'aspetto tecnico. Poi negli anni si è capita l'importanza di un’adeguata preparazione fisica. Così è sorta la figura del preparatore atletico. Oggi, però, ciò che fa davvero la differenza non è l'abilità tecnica, la tattica, il fisico, bensì la capacità di un atleta o di una squadra di trovarsi nello stato mentale giusto al momento giusto. Quante volte ho assistito ad atleti o squadre che scendevano in campo carichissimi, salvo poi va-
nificare tutto alla prima difficoltà. Questo succede perché non sono stati preparati con cura aspetti quali concentrazione, convinzione, atteggiamento positivo, capacità di reagire alle avversità. Ingredienti irrinunciabili per fare davvero la differenza». A questo punto ci sorge una riflessione. Se stiamo parlando di fattori così palesemente fondamentali, come mai molti professionisti ancora non si affidano a un mental coach? «Diversi atleti oggi hanno compreso l'importanza della testa, ma ritengono di poter fare da sé. Per carità, ciascuno è libero di farsi autodidatta, ma i risultati concreti si raggiungono soltanto in seguito a un determinato percorso su se stessi, oltre che a un certo background culturale. Il coach mentale è in grado di seguire l'atleta con sistematicità allo stesso modo del preparatore atletico per il lavoro fisico. Spesso gli sportivi sono al top nella preparazione atletica e tecnica, ma hanno delle mancanze nella motivazione, nella capacità di concentrazione, nella gestione delle emozioni, tanto positive quanto negative. L'esagerata esaltazione dopo una vittoria, infatti, può avere effetti negativi tanto quanto l'eccessivo demoralizzarsi a seguito di una sconfitta». E, di fatto, non si contano i casi di atleti o di intere squadre entrate in crisi in seguito a una o due sconfitte. Cosa che può sembrare impossibile per professionisti, almeno in apparenza, pronti a tutto. «Può essere che non
siano stati preparati adeguatamente la gara o il torneo. Ma ricordiamoci sempre che la perfezione non esiste. Neanche in natura. Uno dei primi concetti che cerco di trasmettere è proprio che non può esistere vittoria senza sconfitta. Se ogni volta che perdi pensi di aver fallito, sei sulla strada giusta per arrivarci davvero, al fallimento». A sostegno di quanto appena affermato il nostro interlocutore ci ricorda Michael Jordan, che in uno spot di qualche tempo fa raccontava in prima persona di aver sbagliato più di 9.000 tiri nella sua carriera, di aver perso più di 300 partite e, nonostante ciò, o per meglio dire grazie a ciò, di essere diventato uno dei più grandi campioni del basket NBA. Dunque, non solo l'errore è compreso nel successo ma, secondo Sgarbi, l'abilità di gestire una sconfitta è in grado di far capire i motivi per cui si perde e quali siano gli aspetti da migliorare. Un discorso simile si può fare per l'infortunio. «Capita a tutti: top atleti e amatori, nessuno escluso. È importante affrontarlo con estrema positività. La mente umana, infatti, ha un grande potenziale di guarigione sull'organismo. Se durante un infortunio faccio degli esercizi di visualizzazione, mi vedo guarito, immagino visivamente le mie cellule che lavorano, un osso che si ricompone e si rigenera, tutto ciò agirà accelerando il processo di guarigione». All'opposto, il processo sarà rallentato mantenendo un atteggiamento negati-
prenditori, professionisti e atleti di svariate discipline. È stato personal coach di: Carlo Ancelotti, Massimo Caputi, Sebastian Frey, Vincenzo Iaquinta, Igor Protti, Riccardo Maspero e di numerose personalità di rilievo in ambito dirigenziale e manageriale. Laureato in sociologia, è Master in PNL (Programmazione Neurolinguistica), NHR (Neuro Hypnotic
Repatterning) e diplomato alla Mastery University/Trainer Academy di Anthony Robbins, uno dei guru delle tecniche di sviluppo personale. È, inoltre, fondatore e Presidente di Ekis Peak Performance Training, società specializzata nello sviluppo delle risorse umane
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Da 20 anni si occupa di strategie per lo sviluppo delle prestazioni ottimali (peak performance training) nei più diversi campi di applicazione professionale, personale e sportiva. Ha seguito e segue tuttora in qualità di mental coach aziende multinazionali, squadre sportive (calcio, pallavolo, pallamano, equitazione, golf, tennis), manager, im-
«Molte cose ci spaventano per la rappresentazione che la nostra mente ne costruisce e non per la loro reale oggettività»
vo, di sfiducia. «Personalmente ritengo che gli atleti che hanno infortuni ricorrenti debbano rivedere non solo gli allenamenti fisici, ma anche il proprio modo di pensare». E anche qui – supponiamo – interviene il lavoro del coach mentale. «L'attività del coach, in sintesi, si traduce nell'accellerare dei processi, far sì che il potenziale personale emerga e che l'atleta prenda coscienza delle sue capacità. Ed è proprio la presa di coscienza la prima fondamentale tappa. La seconda, invece, è riuscire ad attingere dal proprio potenziale. La terza, infine, è allenare tale potenzialità affinché sia sempre disponibile ogni volta che ne ho bisogno per dare il meglio». Il mental coaching, quindi, fornisce gli strumenti per poter individuare le nostre abilità, riconoscerle e farle emergere, con metodi assai pragmatici. Primo fra tutti la linguistica. «Un buon coach, attraverso tecniche di conversazione, riesce a far cambiare il focus di un soggetto. Per esempio da: «non riesco» a «ce la posso fare», da «non voglio farlo» a «voglio farlo» fino a «posso farlo». Sono step che portano una persona a cambiare completamente approccio». Ma la nostra testa –
si sa – è bella complessa. E, infatti, Livio Sgarbi sottolinea come nel processo di cambiamento altre due questioni risultino fondamentali. La prima è che il nostro inconscio non distingue ciò che è immaginato da ciò che è realmente vissuto. Quindi pensare, ad esempio, che il mio avversario sia troppo forte porta il cervello a creare un’immagine negativa. Allo stesso modo, un'immagine mentale positiva diventa come un'esperienza vissuta e vincente a cui poter attingere. La seconda questione è che comandi negativi come «non devo agitarmi» o «non voglio perdere» a livello interiore trasmettono insicurezza. «Il mio consiglio è di evitare qualsiasi dialogo con noi stessi che comprenda comandi con la negazione». Allora vincere le paure e superare i nostri limiti non sono traguardi impossibili. «Molte cose ci spaventano per la rappresentazione che la nostra mente ne costruisce e non per la loro reale oggettività. Pensate a chi ha paura dei ragni, per esempio. Anche se vede un ragnetto piccolino, innocuo, su una parete lontana, in lui scatta il meccanismo della paura perché il suo cervello lo rappresenta come un
insetto enorme, peloso, pericoloso. Suoni, colori, luci, movimenti, grande, piccolo, vicino, lontano, e altre ancora sono le cosidette “sottomodalità”, ovvero i termini sensoriali attraverso cui la mente dà immagine, corpo e vita ai nostri pensieri. Il cambiamento delle sottomodalità nel mio lavoro è una tecnica fondamentale. Anche un atleta si vede rappresentato in un certo modo ma, intervenendo sulle sottomodalità si può cambiare la rappresentazione che il soggetto ha di sé». Interessante, davvero. E per vincere su eventuali reticenze personali dell'atleta circa il voler cambiare se stesso, Livio Sgarbi suggerisce di operare sempre con intuito e professionalità, cercando una certa empatia con l'altro. «Il mio modo di operare è di sposare la causa di un'atleta o di una squadra. Ti dimostro che sono con te. Voglio che tu ci creda come ci credo io. È una sfida anche per me stesso. So essere duro quando necessario. Ma l'atleta deve sapere che non c'è mai nulla di personale o di offensivo, se ti critico è per stimolarti in una certa direzione». Quella del cambiamento che porta al successo, appunto.
le sottomodalità I singoli elementi che compongono una rappresentazione mentale sono definiti “sottomodalità”. Quando rappresentiamo nella nostra mente un’esperienza, creiamo delle immagini (colori, forme, prospettive) e “ascoltiamo” dei suoni (volume, velocità, ritmo). Eccovi un esempio:
intervento della paura e immagine mentale
intervento del mental coach sulle sottomodalità
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immagine soggettiva finale
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immagine reale
TERRA ROSSA Sapore rétro, capi tecnici ed elegantemente versatili, nuance naturali in dolce contrasto con la “ruggine” del campo...
scopri il backstage dal tuo smartphone vedi come a pag. 74
a cura di SIMONA CONTALDO
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foto: ANDREA BENEDETTI stylist:VALENTINA RODA e LUCA INCANI hair & makeup: SARA MENCATTELLI models: KRISTINE EIDUKA@MP, ISABELLA BERT@ICE, KETIL MALBAKKEN@FASHION location: JUNIOR TENNIS MILANO
Kristine: body e cintura M MISSONI, gonna COLMAR, maxi-gambaletti CALZEDONIA, sandali REPETTO. Ketil: polo LACOSTE, pantaloni PAOLONI, stringate REPETTO. Isabella: camicia e cravatta MAURO GRIFONI, golf LACOSTE, bermuda M MISSONI, scarpe CHIE MIHARA
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Isabella: polo RALPH LAUREN, pagliaccetto M MISSONI Kristine: gonna e visiera LACOSTE, maglioncino AMERICAN APPAREL, stringate CAMPER
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Isabella: polo SERGIO TACCHINI, pagliaccetto MAURO GRIFONI, gambaletti CALZEDONIA, scarpe CHIE MIHARA Ketil: polo manica lunga RAF by RAF SIMONS, giacca tecnica FILA, pantaloni C'N'C' COSTUME NATIONAL, sneakers LACOSTE
Kristine: abito M MISSONI, stringate CAMPER
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Visiera LACOSTE
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Kristine: body e scarpe LACOSTE, gonna AMERICAN APPAREL, cardigan GAUDì LOVER, cintura M MISSONI
Ketil: maglione GAUDì LOVER, pantaloni e scarpe LACOSTE
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Isabella: maglioncino LACOSTE, pantaloni e cintura AMERICA APPAREL, sandali REPETTO
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Kristine: body e scarpe LACOSTE, gonna AMERICAN APPAREL, cardigan GAUDI' LOVER, visiera FEDERICA MORETTI HANDMADE
Ketil: polo tecnica FILA, giacca MANUEL RITZ, bermuda RAF by RAF SIMONS, sneakers C'N'C' COSTUME NATIONAL
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Ketil: camicia e cardigan MAURO GRIFONI, pantalone tecnico e calzettoni FILA, sneakers DIADORA. Kristine: canotta ADIDAS by STELLA MC CARTNEY, gonna C'N'C' COSTUME NATIONAL, maxi-gambaletti CALZEDONIA, scarpe LACOSTE
a cura di
alessia giorgia pagano
rispetta l'oceano Non c’è disciplina che più del surf esprima una comunione totale, quasi sacra, con la natura. Il profumo del mare, il suono delle onde, le goccioline di vento. Quell’istante magico in cui entri nella bocca dell’oceano… Eppure dietro questo stile di vita si celano veleni che possono recare seri danni all’oceano stesso. E non solo.
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letteratura e, non ultima, la moda. Dalle pellicole “Un mercoledì da leoni” e “Point Break” ai Beach Boys, passando per i bermuda da spiaggia, i motivi floreali, le collanine con le conchiglie. Eppure c’è un grosso, enorme, controsenso: l’industria del surf contribuisce all’inquinamento del pianeta e al global warming. E a lungo andare potrebbe provocare danni irrimediabili all’oceano stesso: l’aumento delle temperature e dell’acidità dell’acqua, l’allargamento di zone morte ovvero prive di ossigeno,
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l problema non riguarda solo il surf, ma qualsiasi disciplina che preveda tessuti tecnici, accessori, prodotti d’abbigliamento. Tutti gli sport, quindi, nessuno escluso, tanto che anche i brand principali stanno cercando di correre ai ripari. Ed eccolo lì, il surfista: bello come il sole, dentro e fuori, amante della vita, esploratore dell’armonia, alla costante ricerca dell’onda perfetta. Un immaginario e uno stile di vita da cui hanno attinto a piene mani la musica, il cinema, la
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lo sbiancamento dei coralli. Non si può più fare finta di niente: è ora di agire, sia attraverso le iniziative dei singoli che attraverso l'operato delle industrie. LA TAVOLA Sgargiante o discreta, tribale o barocca, rétro o hip-hop, è sempre comunque bellissima. Ed è la compagna inseparabile di ogni surfista, che spesso la personalizza con colori, immagini e decorazioni che
agg ius ta prim ad i co se mp com rar pri, e sce gli l 'us fai ato dur are di p iù g li o sì a gg i br ett and i gre en ori ridu ent ci, ed rius ae rici cla
Eco-Surf
I principi di un buon surfista ecosostenibile
IL KIT DEL SURFISTA ECOSOSTENIBILE
la tavola rappresentano tutto il suo mondo. Parlando di materiali, la tavola da surf è composta da una struttura base in schiuma poliuretanica e da una copertura impermeabile fatta di fibra di vetro e resine indurenti. Il punto è che tutti questi “ingredienti” sono nemici acerrimi dell’ambiente, della natura e dell’uomo stesso. In particolare, il poliuretano deriva dal petrolio, che non solo è una fonte di energia non rinnovabile e in via d’esaurimento, quindi assolutamente non ecosostenibile, ma prevede processi, come la raffinazione, che rilasciano nell’atmosfera anidride carbonica (C02), idrofluorocarbonio e molte altre sostanze tossiche responsabili del surriscaldamento globale e del buco nell’ozono. La fibra di vetro di cui la tavola è ricoperta per diventare impermeabile rilascia, invece, una polvere nociva per l’uomo, che ha già causato a chi vi lavora costantemente a contatto enfisemi polmonari e gravi malattie respiratorie. Anche i “monometri di stirene” di cui sono composte le resine che rendono così lucidi e colorati i nostri surf, come pure le tavole da snowboard, gli sci e compagnia bella, secondo recenti studi risultano altamente tossici per l’uomo. Per non parlare della cera di cui si ricopre il surf e che è composta di paraffina, altro figlio del petrolio. LA MUTA Le spiagge deserte e l’oceano tutto per il surf: l’inverno risulta spesso il periodo
migliore per affrontare le onde, perciò la muta deve proteggere dal freddo ed essere più che mai confortevole. Vale lo stesso per i sub, gli apneisti e chiunque pratichi sport acquatici anche nei periodi freddi. Peccato che le mute siano tutte composte di neoprene, altro derivato del petrolio. LO STILE Boardshorts e t-shirt, prima di tutto: pur nelle differenze individuali, c’è un codice di vestiario condiviso dalla comunità mondiale del surf. Un abbigliamento che identifica uno stile di vita controcorrente e ne celebra la voglia di libertà. Eppure anche dietro una semplicissima maglietta può nascondersi un mondo deleterio per la natura. Infatti, va detto che le coltivazioni di cotone, il filato più utilizzato nell’industria tessile, sono quelle che in assoluto consumano più acqua (800 litri per realizzare un solo paio di jeans) e impiegano la maggior quantità di insetticidi e pesticidi, in quanto le piante, per loro natura, sono più facilmente colpite dagli insetti. Spesso, poi, le produzioni di capi d’abbigliamento sono delocalizzate nei paesi del Terzo Mondo, a causa della disponibilità di manodopera a bassissimo costo. Perciò comprare una t-shirt made in China (o Taiwan, India, Honduras…) significa molte volte contribuire a un sistema in cui i lavoratori, spesso minorenni, sono sfruttati e sottopagati. Tra i costi di trasporto necessari
per importare i capi di abbigliamento ed esportarli in tutto il mondo, poi, vanno inclusi gli ulteriori sprechi energetici e le emissioni di anidride carbonica. Ma va tenuto conto anche delle tinture realizzate con sostanze chimiche ed ettolitri di acqua, e di tutti gli altri tessuti e accessori, come il softrack, che sono spesso composti di nylon o poliestere, altri derivati del famigerato oro nero. IL VIAGGIO Dalle Hawaii all’Australia, dal Cile al Sud Africa: il surfer è un viaggiatore per definizione, alla ricerca costante di onde migliori e scenari mozzafiato. La tentazione di spostarsi da una spiaggia all’altra e, soprattutto, da un continente all’altro è irresistibile. Tanto che, secondo l’Associazione dei Surfisti Professionisti ogni surfer agonista produce viaggiando 24 tonnellate di anidride carbonica e dovrebbe piantare almeno 575 alberi sempreverdi all’anno per cominciare a ridurre i danni che ha provocato, a partire dal primo decennio d’età delle piante… La quantità di C02 emessa da un aereo, infatti, è pari a quella che produrrebbero complessivamente tutti i passeggeri se coprissero le medesime distanze in macchina. Con la differenza che, volando, le emissioni inquinanti sono rilasciate direttamente nell’atmosfera. Ma anche le automobili fanno la loro parte, scaricando nell’aria combustibili fossili, idrocarburi, ossidi di azoto
Sono stati realizzati surf in schiuma di polistirene espanso e resina epossidica o in schiuma biologica di origine vegetale; ma anche composti in legno certificato FSC, bamboo, alaia, balsa e, ancora, tavole in fibra di carbonio, polipropilene, alluminio a nido d’ape, kevlar.
la muta
La creatività e la tecnologia sono ancora al lavoro, ma sono già state realizzate mute in amido di mais o a base di calcare, con zip riciclate e stampe con inchiostri ad acqua. In ogni caso cerca sempre di prenderti cura della tua muta che va sciacquata in acqua fresca dopo ogni sessione, per non essere corrosa dal sale. Poi ricordati di farla asciugare all’ombra, rivoltata e appesa dal centro (mai dalle spalle!).
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HERBALIFE. SENTIRSI IN FORMA, SEMPRE. TANIA CAGNOTTO, CAMPIONESSA DI TUFFI.
“Come nello sport, anche nella vita di tutti i giorni è fondamentale sentirsi in forma per “ affrontare al meglio la giornata. Grazie ai prodotti Herbalife e ad uno stile di vita sano ed attivo vinci anche tu le sfide quotidiane che ti attendono”. Scopri i prodotti nutrizionali e l’opportunità di lavoro indipendente Herbalife chiamando il numero 06 52 30 42 80 o visitando il sito www.herbalife.it
e monossidi di carbonio responsabili di smog, piogge acide e global warming. COSA FARE? A oggi moltissimi brand, inclusi quelli di punta del mercato, stanno cercando di correre ai ripari. È allo studio anche un’etichetta da apporre sulla merce per certificarne univocamente e dettagliatamente l’ecosostenibilità, cosa che già esiste per i tessuti (il Global Organic Textile Standard) e il legno (Forest Stewardship Council). Il che scongiurerebbe il rischio di greenwashing (v. box in calce), un fenomeno purtroppo già in corso, per cui si “spaccia” un certo
articolo come ecosostenibile, solo perché se ne sottolinea un aspetto “verde”. Bisogna fare attenzione: per essere veramente ecosostenibile un prodotto (la muta, la maglietta, la tavola etc.) deve essere realizzato con materiali organici, riciclati e riciclabili; deve essere sottoposto a processi produttivi rispettosi dell’ambiente e dei lavoratori; deve aver percorso il minor numero di chilometri possibili; deve essere pubblicizzato con il minor spreco di carta e risorse; deve durare il più possibile e deve potersi trasformare, alla fine della sua “carriera”, in qualcos’altro, diventando una “materia prima secondaria”.
Per un approfondimento, consigliamo di leggere “A Surfer’s Guide to Sustainability” di Nick Power, che ci ha fornito molti spunti nella stesura di questo articolo.
info: www.greenbean.it
greenwashing Il “Green Marketing” è un concetto nato negli States sul finire degli anni 90, quando aziende e produttori si sono accorti che comunicare il rispetto dell’ambiente apportava miglioramenti nell’immagine e nelle vendite. Si parla di “Green Marketing” quando un’azienda modifica prodotti, processi produttivi e packaging, con l’obiettivo di tutelare la natura e gli ecosistemi. Spesso, però, le aziende “dipingono” i loro
A oggi non esistono soluzioni comprovate e complete perché il surf e lo sport smettano di contribuire all’inquinamento globale: il procedimento è ancora lungo, difficile, rallentato dagli interessi economici come dalle necessità individuali. Ma tutti noi, singolarmente, possiamo iniziare a metterlo in atto, con alcuni accorgimenti. In fondo, l’oceano è formato da miliardi e miliardi di singole gocce.
prodotti con il verde, per celare le loro responsabilità e i danni provocati all’ambiente. Ecco che allora si parla di “Greenwashing” (letteralmente “lavare con il verde”), fenomeno che si verifica “quando una società o un’organizzazione impiega più tempo e denaro ad affermare di essere verde attraverso la pubblicità e il marketing, piuttosto che a mettere in atto misure che riducano al minimo il suo impatto ambientale”.
Purtroppo il “Greenwashing” è praticato anche da grandi multinazionali, case automobilistiche, imprese petrolifere e brand molto amati dal pubblico, sport incluso. Da una ricerca condotta sull'argomento dall’agenzia Greenbean (www.greenbean.it) risulta che su 83 marchi che hanno realizzato campagne “green” dal 2008 al 2010, ben 53 abbiano messo in atto evidenti operazioni di Greenwashing.
Ecco sei campanelli d’allarme per distinguere i prodotti falsamente “green”. State attenti, se il messaggio pubblicitario…
... omette informazioni rilevanti, tenendo nascosti dati tecnici e quantitativi
... comunica caratteristiche spesso irrilevanti per essere “green”
... fornisce dati vaghi e indimostrabili, senza una certificazione riconoscibile da parte di soggetti terzi
... esagera sulle caratteristiche del prodotto o dei servizi forniti
... utilizza visual, parole e grafici ingannatori, che non corrispondono alla realtà
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Tessuti organici e riciclabili (cotone organico, canapa, lino biologico, juta, lana di alpaca), trattati con coloranti vegetali e prodotti vicino a casa. Sono anche già in commercio i bermuda realizzati in PET, attraverso il riciclo delle bottigliette di plastica.
il viaggio
Meno viaggi in macchina da una spiaggia all'altra, meno viaggi in aereo da un continente all'altro. Permanenze più lunghe. Ricordiamoci che secondo stime ufficiali, ogni surfista professionista produce 24 tonnellate di anidride carbonica all’anno, grazie ai suoi viaggi… . Sul sito carbonfund.org trovate i mezzi per valutare, e ripagare, le emissioni di carbonio dei vostri viaggi in aereo, moto e nave.
“Reduce, Reuse, Recycle” Jack Johnson
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... evidenzia una caratteristica singola, per classificare come interamente “green” il prodotto
lo stile
music Nicola Conte
The King of Limbs Self-released
eu não gosto
The Vox (Discograph)
scattered
hypnotic
tommaso riva
Eric Legnini & The Afro Jazz Beat
Radiohead
Presents Viagem 3 DGC
eu gosto
a cura di
funky
mellow
Arriva l’estate… saudade do Brazil? Volete un disco per scaldarvi? Non la solita bossa… Questa è una bomba dagli anni 60 che vi entra nelle vene. Ballate tutta la notte. Fiumi di caipirinha. Tanto domani cosa avete da fare? Bravo sciur Conte.
Ci sono band che, impeccabilmente, dopo il terzo album cominciano a fare musica di pessima qualità. Ci sono band, invece, che non scendono mai a compromessi, rimangono unite e vanno sempre più in alto. I Radiohead.
Non si giudica un libro dalla copertina: vero. Ma questo rosso trasuda funky da tutte le parti. Le note scoppiettanti delle tastiere di Eric Legnini sono presto accompagnate dalla voce soave, eterea di Krystle Warren. Che classe.
Toro Y Moi
Nicolas Jaar
The Natural Yogurt Band
Underneath the Pine Carpark Records
disco
Tuck in With… Now Again
Space is Only Noise Circus Company
bedroom
Chaz Bundick. Occhialoni quadrati grossi, sembianze da nerd post-moderno rétro chic. Questo è il genio compositivo che sta dietro a Toro Y Moi e alle linee di basso sicure che tracciano impeccabilmente ogni singolo attimo.
bubbly
square
Difficile descrivere la musica di Jaar. Sicuramente nel titolo dell’album c’è il concetto che sta alla base del suo mood musicale. Un ambiente ovattato, come una bolla. Sonorità desaturate fino a diventare “bianco e nero”, per poi sparire.
gipsy
tipsy
Il nome del gruppo è immediata garanzia di demenza. Un disco ruvido pieno di flauto traverso, organetto anni 60 e tamburello. Sembra venire fuori dal migliore inseguimento cane-inchiappetta-lepre alla “Snatch”. Roba da scappati di casa.
EUROPEAN JAZZ EXPO IN SARDEGNA: IL FESTIVAL ECO-SOSTENIBILE.
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espressione della cultura underground. All’interno del parco non mancheranno ampie aree di ristoro: anzi, sarà allestito un vero e proprio Villaggio del Gusto dove potrete assistere alle performance di alcuni tra i piu grandi nomi della gastronomia dell’Isola e della Penisola, con gli occhi e con il palato... ! Non siete ancora convinti? Fatevi un giro su www.jazzinsardegna.it. “Eja”!
PHIT ORCHESTRA
Stefano Bollani, Sergio Cammariere, Franco Cerri, Mauro Palmas, Transglobalunderground, Dhol Foundation, Funk Off e tanti altri si esibiranno all’aria aperta sulla splendida cornice del Parco di Monte Claro, una delle aree piu grandi e verdi di Cagliari. Quest’anno lo EUROPEAN JAZZ EXPO (EJE) si svolgerà dal 26 al 29 maggio per quattro giorni all’insegna di musica jazz e rappresentazioni teatrali,
food testi di foto di location
micol della penna tommaso riva ispar “a.vespucci “- milano
zuppetta di fave e cipolle Con l’aiuto dello chef Roberto Di Mauro, vi proponiamo una ricetta tutta mediterranea, armoniosa, veloce e facile da preparare, che trova le sue radici nel caldo Sud. Per mangiare leggeri, con ingredienti freschi di stagione, senza dimenticare il gusto.
preparazione
PHIT & CHIPS
Prendere le cipolle rosse di Tropea, pulirle e tagliarle à la julienne, cioè a filetti sottili (fig.1). Farle stufare per 5 minuti a fuoco basso in una casseruola alta con 2 cucchiai di olio e 1 foglia di alloro (fig.2-3; per un soffritto più leggero, v. sotto). Aggiungere in casseruola un peperoncino tritato grossolanamente e, subito dopo, le fave fresche già pulite (figg 4-5). Al-
lungare con mezzo bicchiere di acqua o brodo vegetale naturale (v. sotto), aumentare la fiamma e far cuocere con il coperchio. Dopo 5 minuti, versare nella casseruola 1 altro bicchiere d’acqua o di brodo, salare quanto basta e lasciare cuocere la zuppa per altri 10 minuti, girandola di tanto in tanto. In questo modo le fave rimarranno croccanti fuori e bel-
le saporite dentro. Servire in un piatto fondo con crostini di pane ai cereali (fig.6), qualche semino di zucca tostato (fig.7) e le decorazioni preparate con il pomodoro disidratato (fig.8 e box sotto). Si può aggiungere un po’ di polpa di pomodoro fresca per colorare ulteriormente il piatto. Buon appetito!
brodo naturale
soffritto leggero
decorazione facile
Come preparare il brodo per la settimana, senza usare il dado. Prendete 1 cipolla, tagliatela a metà, pelatela e fatela tostare in padella per 2'. Formate 1 mazzetto con 2 foglie di alloro e 1 chiodo di garofano e avvolgetelo in una garza. Pulite 2 porri privati della parte verde, 2 carote e 2 coste di sedano senza foglie, e poneteli insieme alle cipolle in una casseruola. Coprite con acqua fredda (min 3l). Portate a ebollizione rapidamente e tenete sul fuoco a fiamma bassa per 40' da quando bolle. Filtrate e conservate in frigorifero. Ricordatevi di non salare: il brodo naturale prende il sapore dai suoi singoli ingredienti. Meglio qualche spezia in più.
Cipolle e un filo d’olio, eventualmente con l’aggiunta di qualche carota e del sedano: il soffritto è la base di tutta la cucina mediterranea, ma spesso lo tralasciamo per evitare la pesantezza dei grassi. Ecco una soluzione facile per prepararlo in maniera molto leggera. Ci arriva dalla tradizione e da una necessità popolare antica: consumare meno olio d’oliva, in quanto molto costoso. Il trucco è questo: prima di far scaldare l’olio, fate bollire dell’acqua a parte. Ne verserete un bicchiere in padella contestualmente all’olio, e aggiungerete subito gli altri alimenti da soffriggere. Il tutto risulterà così molto più leggero.
Ecco un trucchetto per decorare il vostro piatto come uno chef, senza troppa fatica. Prendete un pomodoro ed effettuate un taglio a forma di croce sulla buccia. Immergetelo completamente in acqua bollente per 1 minuto. Fatelo raffreddare in un contenitore con acqua fredda e cubetti di ghiaccio: lo shock termico farà in modo che la buccia si separi più facilmente dalla polpa. Pelatelo formando dei petali, che farete seccare in forno a 120 gradi per 1 oretta oppure sotto il sole (in tal caso ci vorrà un'intera giornata di esposizione). Otterrete così dei deliziosi riccioli, dorati e commestibili, con cui decorare ogni piatto.
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ingredienti calorie protidi lipidi carboidrati fibra energia (kcal)
18,17 23,52 75,67 12,12 567,8
- 2 cipolle rosse di Tropea - 100ml di olio e.v. di oliva - 1 foglia dâ&#x20AC;&#x2122;alloro - 1 peperoncino fresco - 300g di fave fresche - 200ml di acqua o brodo vegetale naturale - 10g di semi di zucca - 1 pomodoro - 200g di pane ai cereali
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contributors
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hot stu ff
+ leo fioravan ti + rét ro tennis + eco -surfin '
phitted! milorad čavić phitting around nepal phit inside skyrunning phitness swim core training phit therapy mental coaching II
PHIT N°06 MAG/GIU 2011 ANNO II BIMESTRALE 3,90 €
6 °0 N
Phit 06 IN COPERTINA
Milorad Čavić nella campagna stampa Arena sviluppata da Y&R Brands. Direttore Creativo Esecutivo: Vicky Gitto, Fotografo: Joan Garrigosa, Art Supervisor: Cristian Comand, Art: Andrea Fumagalli, Copy: Valerio Lualdi
Andrea Di Nino
Chef Roberto Di Mauro
Leonardo Fioravanti
Nato a Roma nel '72, è l’ideatore di A.D.N. Swim Project, il primo programma europeo per nuotatori internazionali. Ha al suo attivo due titoli mondiali, tre titoli europei e quattro primati del mondo.
Nasce tra le pentole e i fornelli il 16/07/1975 a Vibo Valentia. È chef, docente di cucina e collabora con importanti ristoranti e servizi di catering. I suoi piatti sono un’armonica fusione di natura, umanità, tradizione ed estro.
La vita di un dodicenne e una carriera da surfer professionista già avviata con importanti vittorie in giro per il mondo. Un piccolo grande campione della tavola, già reclutato nel team di Red Bull…
Marino Giacometti
Matteo Giunta
Mauro Vanoli
Alpinista nell’animo, negli anni 90 lancia i record sui 4.000m. È fondatore della prima Federazione per gli Sport d’Alta Quota e attuale presidente della Federazione Internazionale di Skyrunning.
Classe 1982, il giovanissimo preparatore fisico del programma ADN Swim Project allena ogni giorno personaggi del calibro di Korotyshkin e Čavić, e da due stagioni segue il campione Filippo Magnini.
Da Katmandu a Bangalore, dal Tibet all’Annapurna, in solitaria, sulle due ruote più bizzarre che si possano immaginare. Questo il lavoro del comasco Mauro Vanoli, classe 1974, “100% Selvatiko”.
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Autorizzazione Tribunale di Tortona: Num. Reg. Stampa 1/2010 Direttore responsabile Federico Riva f.riva@phit.it Direttore esecutivo & Fashion editor Simona Contaldo s.contaldo@phit.it Art director Federico Riva f.riva@phit.it Photo editor Tommaso Riva t.riva@phit.it Caporedattore Alessia Giorgia Pagano a.pagano@phit.it In redazione Alberto Brigidini, Giorgia Baroni, Giorgio Alfieri, Luca Incani, Micol Della Penna, Valentina Roda Immagini di: Andrea Benedetti, Ben Nevis, Mauro Vanoli, Mike Trent, Sterling Lorence, Tommaso Riva Illustrazioni di: Giulia Salemi, Luisa Castellari Grafica: K30 info@kappatrenta.com Stampa Stampa Tipografica Derthona Tortona (Al)
Si ringraziano: Arianna Carla, Alessio Abbateianni, Annalisa Di Cataldo, Cristina Cantoni, Daria Papponetti, Diego Jrillo, Francesco Maglione, Francesco Perini, Gianluca Martinelli, Lapo, Laura Mele, Lauri Van Houten, Marco Contaldo, Mauro Tavola, Mediterranean Surf Culture, Ricky Monti, Redbull.
Distribuzione So.di.p Concessionaria esclusiva per la pubblicità:
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Urban Vision srl Unipersonale Gruppo Holding Adv Viale Aventino 80 00153 Roma Tel. 06 83511386/7 Via Senato 12 20121 Milano Tel. 02 89691826 Errata corrige Phit n.05 mar/apr 2011: le fotografie di Marco Belinelli in copertina e nel servizio alle pagg 22-26 sono del fotografo David Potes. Phit06 è stato chiuso il 21/04/2011. La redazione si impegna a verificare preventivamente la correttezza dei dati riportati, ma non si assume alcuna responsabilità per eventuali errori, omissioni o cambiamenti.
UNO 61 srl Editore di riviste e periodici Domicilio Fiscale: Tortona, (AL) Strada vicinale Ribrocca 6/5 Redazione : Via Pietrasanta 12 - 20141, Milano codice fiscale e p. iva: 02283960066 tel. 02.45.47.34.11 - fax 02.45.47.31.49 web: http://www.unoseiuno.it / mail: info@unoseiuno.it n. R.E.A.: 241990 - C.C.I.A.A.: ALESSANDRIA Autorizzazione Tribunale di Tortona: Num. Reg. Stampa 1/2010 Presidente: Luca Martinotti Amministratore delegato: Federico Riva, Carlo Salvador
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Il Codice QR è il nuovo modo per visualizzare velocemente contenuti extra dal web tramite dispositivi portatili . Per visualizzare il contenuto associato all'immagine qui sopra, scaricate e installate sul vostro smartphone un'applicazione per decifrare i Codici QR (come ad esempio i-nigma reader, collegandovi al sito www.inigma.com) Dopo l'installazione, avviate l'applicazione inquadrando l'immagine dal display del vostro smartphone e scoprirete in un istante tutti i contenuti inediti di Phit.
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