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La scoperta dei neuroni specchio In ambito neurologico due neuroscienziati italiani, il Dr. Rizzollatti e il Dr. Gallese hanno scoperto che nelle scimmie si attiva un comportamento simulatorio sia quando è la scimmia a compiere l’atto motorio sia quando lo osserva. Questo singolo comportamento “Monkey see. Monkey do” è stato successivamente confermato anche nell'uomo: si tratta di una specie di neuroni chiamati “neuroni specchio” la cui particolarità sarebbe quella di eccitarsi sia quando un soggetto compie una determinata azione, sia quando è un altro a compierla innanzi ai suoi occhi (Rizzolatti, 2006). L’importanza dei neuroni specchio è che gli stessi permettono una percezione univoca dell’azione: anziché avere due mondi separati nel cervello, “si capisce” e “si fa” contemporaneamente. L’altro aspetto è che i neuroni danno una conoscenza esperienziale; quello che sa fare l’altro, fa risuonare qualcosa che so fare anch’io: da qui si spiegherebbe il fenomeno dell’empatia rivelandone una base biologica. Gallese afferma che alla base dell'empatia ci sarebbe un processo di “simulazione incarnata”, vale a dire un meccanismo di natura essenzialmente motoria. Ciò consente all'osservatore di utilizzare le proprie risorse per penetrare il mondo dell'altro mediante un processo di modellizzazione che ha i connotati di un meccanismo non conscio, automatico e prelinguistico di simulazione motoria. Questo meccanismo instaura un legame diretto tra agente e osservatore, in quanto entrambi vengono mappati in modo per così dire “anonimo” e neutrale. L'osservazione dell'azione altrui induce automaticamente in modo obbligato la simulazione della stessa.
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CAPITOLO 1
Quando vedo qualcuno esprimere col proprio volto un’emozione, ne comprendo il significato: l'emozione dell'altro è assorbita dall'osservatore e compresa grazie a un meccanismo di simulazione che produce nell'osservatore uno stato corporeo condiviso con l'attore di quella espressione. È per l'appunto la condivisione dello stesso stato corporeo tra osservatore e osservato a consentire questa forma diretta di comprensione, che potremmo definire “empatica” (Gallese 2006b, pp. 236-243). I neuroni mirror – spiega Gallese – scaricano solo se si tratta di un soggetto effettivamente agente, a “prescindere” dal fatto che tale soggetto sia colui che osserva la scena o colui che viene osservato (Gallese, 2006a, p. 49). Secondo i neuroscienziati, la reazione dei neuroni specchio si spiega scientificamente in un set di cellule cerebrali che si trova su entrambi i lati della testa in mezzo a tutte le altre ramificate cellule del nostro cervello che si scarica quando un essere umano osserva un uomo o un animale compiere una determinata azione e che varia a seconda che tale azione faccia parte di quello che Gallese e Rizzolatti chiamano “vocabolario degli atti” o “patrimonio motorio” o anche “repertorio comportamentale” di cui sarebbe dotato colui che vi assiste, sicché quanto più l'azione osservata rientra in tale repertorio, tanto più intensa ed estesa risulta la reazione neuronale (Rizzolatti, 2004). In altre parole, la reazione del meccanismo neuronale sembra essere in stretto rapporto con la capacità dell'individuo che osserva di riprodurre a sua volta l'azione che viene os-
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L'esercizio fisico praticato con regolarità inibisce la morte cellulare. Interventi individualizzati e finalizzati al miglioramento o mantenimento delle condizioni psico-fisiche dell'anziano Lo sport consente di intervenire in tempo utile e di prevenire o ritardare i danni sempre più invalidanti dell'invecchiamento, anche con obiettivi intermedi rivolti al miglioramento, al mantenimento, al recupero globale delle potenzialità residue. Man mano che passano gli anni, perdiamo la plasticità del nostro cervello, ossia perdiamo un certo numero di neuroni che non ci consente più di essere come prima. Il sistema nervoso, come abbiamo detto sin qui, consente ad ogni essere umano di sopravvivere ed agire nel mondo attraverso il movimento. Nell’essere umano la gamma di movimenti istintivi ed appresi è straordinariamente ampia rispetto a quella di animali estremamente evoluti come le scimmie antropomorfe. Attività molto diverse quali fonazione, mimica, locomozione, costruzione di oggetti, dipendono tutte dalla contrazione muscolare. Tuttavia, tra le varie attività, la locomozione è fondamentale per la sopravvivenza. In un contesto naturale infatti la capacità di spostamento influenza più di ogni altra la possibilità dell’individuo di esplorare l’ambiente, di sfuggire ai predatori e di procacciarsi cibo. Per comprendere bene questi concetti è importante tenere presente che, a dispetto dell’enorme sviluppo culturale e tecnolo-
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CAPITOLO 2
gico, gli esseri umani moderni sono biologicamente uguali a quelli di almeno 40/50 mila anni fa. Nell’essere umano camminare è la forma più naturale ed essenziale di spostamento nell’ambiente, quella che viene sviluppata più spesso in assoluto. La corsa va considerata in effetti semplicemente come una trasformazione della marcia dettata da esigenze particolari quali alcune fasi della caccia o la fuga. La deambulazione bipede riveste dunque un’importanza essenziale per la sopravvivenza dell’individuo. Poiché questa attività ha accompagnato e favorito nel corso di milioni di anni l’evoluzione della specie umana, i primi ominidi contraddistinti dal mantenimento della stazione eretta sono comparsi oltre quattro milioni di anni fa, i vari apparati, per esempio scheletrico, miofasciale, neuromuscolare si sono, in un certo senso, sviluppati in modo da favorire la funzionalità della deambulazione. La camminata, in particolare quella sportiva, basata sulla maggiore intensità che si deve dare al passo, aiuta a mantenere equilibrato il metabolismo. Essa si basa su un corretto assetto posturale, sulla maggiore fluidità del passo e sull’uso ritmico delle oscillazioni degli arti superiori, ottimizza le virtù terapeutiche del passeggiare; i livelli di intensità e di durata dipendono dallo stato di effi-
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Stimoli positivi per la nostra salute fisica e psichica ritardano gli effetti dell'invecchiamento Secondo quanto stabilito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ad Alma Alta nel 1978:
necessariamente sintomo di malattia anche se per certi versi può essere rassicurante reputarlo tale.
“La salute, intesa come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non soltanto come assenza di malattia e di infermità, è un diritto fondamentale dell’essere umano, e l’accesso al più alto grado possibile di salute è un obiettivo sociale di estrema importanza, che interessa il mondo intero e presuppone la partecipazione di molti altri comparti socio-economici oltre a quello sanitario”.
Il 30-40% dei pazienti che si recano quotidianamente dal medico di base presentano patologie psicosomatiche e, pertanto, solo a 2 pazienti su 3 vengono diagnosticate malattie che possono essere curate dalla medicina.
La concezione in positivo della salute è dunque un evento relativamente recente che amplia l’area di interesse della medicina dalla cura del singolo soggetto alla protezione e promozione sanitaria della collettività. È pressoché intuitivo che la salute non possa essere considerata una semplice assenza di malattia. Infatti, il corretto funzionamento degli organi non crea da solo uno stato di benessere: pensiamo al disagio, al batticuore a seguito di una forte arrabbiatura, alla sensazione di venire meno per la fame, al disagio psicologico e anche fisico (sudorazione profusa) per la timidezza ecc. Non avere disturbi fisici non significa necessariamente essere esenti da malattie in corso: pensiamo ad esempio alla possibilità di diagnosi in fase asintomatica di tumori quali quello della cervice uterina mediante pap-test. D’altro canto, un disturbo non è
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CAPITOLO 3
Nella definizione di salute emerge il ruolo dell’ambiente, nella sua accezione più generale comprendente l’ambiente di vita e di lavoro, nel condizionare lo stato di salute e la responsabilità dell’uomo verso l’ambiente. La salute è interesse sia del singolo che della collettività e responsabili della sua gestione sono sia i tecnici e gli amministratori, sia i singoli individui. Lo “star bene” e lo “star male”, il “sentirsi bene” e il “sentirsi male” hanno dei connotati non solo fisici ma anche psicologici, caratterizzati fortemente dalla soggettività, e sociali. Questi ultimi sono difficilmente definibili in assoluto, poiché relativi ad un contesto storico ed economico. Parametri di benessere sociale quali il lavoro, l’alloggio, l’alimentazione, il grado di istruzione ecc., hanno un valore che infatti varia considerevolmente da Paese a Paese, da classe sociale a classe sociale. È in genere arbitrario definire il momento di passaggio dallo stato di salute a quello di malattia. In molte malattie, soprattutto quelle
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Una palestra di vita Per rimanere in forma, per contrastare l’incedere degli anni, per sentirsi giovani più a lungo, come abbiamo più volte ribadito, occorre adottare uno stile di vita sano e attivo.
linconia, alla depressione, tutti rischi a cui spesso la terza età è maggiormente esposta, da molti considerate anche come malattie del nostro tempo.
Gli esperti che si occupano di terza età sostengono con decisione l’effetto anti-aging di una regolare attività fisica in abbinamento ad un regime alimentare equilibrato.
Subito dopo avere compiuto un’attività di tipo aerobico, la tensione e l’ansia si riducono; c’è, insomma, un effetto acuto che, comunque, si protrae da due a cinque ore e che può essere rilevato oggettivamente, misurando alcuni parametri biochimici (per esempio i livelli di adrenalina nel sangue), cardiocircolatori (pressione del sangue), elettrofisiologici (elettromiografia) e così via.
Infatti, tra quelle che sono universalmente accettate come regole di “lunga vita”, troviamo: il consumo moderato di alcolici, il divieto di fumo, una dieta ricca di frutta e verdura, l’attività sportiva. Nello specifico, lo stile di vita attivo garantisce a corpo e psiche un aspetto giovane e tonico, secondo gli esperti, necessita di almeno 3 ore settimanali di sport. Le ricerche scientifiche, che nel corso degli ultimi anni hanno affrontato l’argomento, evidenziano come la camminata veloce, il cosiddetto “fitwalking”, sia per eccellenza l’attività aerobica raccomandata agli ultrasessantenni. Per il nostro corpo, il camminare rappresenta un’importante sollecitazione a tutti i livelli. I nostri apparati fisici si risvegliano, l’ossigenazione dei tessuti migliora e la funzionalità di tutti i principali sistemi (cardiocircolatorio, respiratorio, cerebrale ecc….) riceve dimostrato giovamento. A tutti questi benefici, deve essere aggiunta la possibilità di socializzazione che il fitwalking praticato in gruppo offre e che rappresenta uno stimolo fondamentale per la dimensione psico-emotiva individuale capace di contrastare la tendenza all’apatia, all’abulia, alla ma-
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CAPITOLO 4
Negli individui con personalità ansiosa è stata documentata una riduzione degli indici di ansia quando acquisiscono l’abitudine a compiere sport. È stato dimostrato che l’attività fisica ha effetti tranquillizzanti superiori a quelli che possono derivare all’assunzione di una pastiglia di ansiolitico e simili a quelli che si ottengono attraverso tecniche di rilassamento mentale. Secondo l’American College of Sports Medicine (ossia l’associazione dei medici sportivi americani) si può avere un effetto ansiolitico facendo 15-30 minuti di lavoro di tipo aerobico a intensità non elevata. A ricavare i maggiori benefici sono gli individui che, prima di cominciare l’attività, erano più tesi. Inoltre, molte ricerche dimostrano che la sedentarietà favorisce la depressione. Dal momento che molti depressi non accettano spontaneamente la loro malattia e, ancor meno, la vogliono considerare come malattia mentale, varrebbe la pena di proporre loro di praticare perlomeno allenamento fisico. Ogni giorno noi tutti siamo sottoposti a molti stress, di tipo fisico e psicologico; da un indi-
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Progettazione, implementazione e gestione di un percorso sportivo La nostra percezione dello spazio è tridimensionale (lunghezza, altezza e profondità). Lo spazio è il punto incessante di legame tra noi e gli oggetti circostanti; un oggetto viene riconosciuto nello spazio in quanto ha una posizione nell’ambiente ed è orientato verso una direzione rispetto a noi e rispetto ad altri oggetti (destra/sinistra, avanti/indietro, alto/basso). L’oggetto cioè si trova ad una certa distanza e ha una certa forma (inoltre può avere un certo movimento, colore ecc.). Distinguere lo spazio significa dunque percepire i caratteri geometrici delle cose. Tuttavia, gli impulsi luminosi producono sulla retina delle immagini bidimensionali, per cui ci si chiede: la percezione tridimensionale dello spazio è una propensione innata o l’acquisizione di un’esperienza? Il problema rimane ancora aperto benché, come abbiamo detto, lo stimolo offerto dalla percezione dell’oggetto presenterebbe delle caratteristiche che ci consentono di collocarlo alla distanza appropriata, sulla base della nostra passata esperienza. Possiamo fare alcuni esempi a sostegno di questa tesi: • Grandezza familiare: la grandezza di un oggetto, che appartiene ad una classe di oggetti che ci sono familiari, fornisce, sulla base dell’esperienza passata, un indice della sua distanza (ad esempio se vediamo da lontano un’auto, la percepiamo non come un’auto in miniatura o più piccola del normale, ma come un’auto normale “a distanza”).
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• Interposizione: se l’immagine di un oggetto copre parzialmente l’immagine di un altro oggetto, il primo viene percepito come più vicino del secondo (esempio delle due mezzelune di uguali dimensioni che quando contrapposte l’una con l’altra, la prima o la seconda sembrerà di dimensioni maggiori rispetto all’altra). • Prospettiva lineare: l’esperienza ci fa percepire come più distanti gli oggetti il cui angolo visivo è più piccolo (ad esempio la luna vista in città di dimensioni minori rispetto se vista in campagna). • Prospettiva aerea: un oggetto, la cui superficie non viene percepita con precisione di dettagli, viene collocato a una distanza maggiore. • Luce, ombra e colore: una diversa intensità luminosa degli oggetti ci fornisce degli indici di distanza. Ma anche il tempo ha un suo nesso con la percezione dell'uomo. L’unico tempo che riusciamo realmente a percepire è il presente. Il passato, affidato alla memoria, e il futuro, affidato all’immaginazione, sono rappresentazioni derivate per analogia e sempre in connessione col presente (ad esempio è impossibile immaginarsi un futuro completamente diverso dal presente, così come è impossibile raffigurarsi il passato in maniera fedele).
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Stile di pensiero e strumenti di una terapia sportiva L’approccio alla PNL sta in uno stile di pensiero e non nelle tecniche terapeutiche. Bandler stesso ci insegna come possiamo ottenere da qualunque situazione, positiva o negativa, un insegnamento. Ciò che conta è mantenere la curiosità per ciò che accade poiché c’è sempre qualcosa d’altro da imparare, non ci sono limitazioni alle scelte, alle novità e alle possibilità di cambiamento. Quello che ci guida per mantenere la curiosità per ciò che accade sono il sistema rappresentazionale dominante e il sistema guida. Per determinare il sistema rappresentazionale dominante è necessario fare particolare attenzione ai predicati (sensorialmente basati) più utilizzati. Oltre a ciò ci sono anche tutta una serie di altre informazioni che vengono emesse a livello non verbale: il respiro, i gesti delle mani, la postura del corpo, il paraverbale. In genere la persona nel descrivere l’esperienza passata o l’esperienza in corso utilizza più canali sensoriali secondo una strategia per il recupero delle informazioni. In questa strategia potremmo rilevare tutti i passaggi e individuare, al contempo, il sistema rappresentazionale che ha un segnale di intensità maggiore rispetto agli altri (il sistema rappresentazionale dominante). Ciò è possibile facendo attenzione ai predicati utilizzati (per esempio: vediamo un po’…, ho la sensazione che…, mi chiedo se…). Quando si chiede a una persona come fa a fare una certa cosa, egli riaccede automaticamente alla strategia utilizzata.
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Ma se si tratta di un comportamento inconscio, la persona non avrà coscienza della maggior parte delle rappresentazioni che passano per i suoi sistemi neurologici mentre percorre le varie fasi della strategia. Appena cominciate ad ascoltare i predicati delle persone e ad osservare i loro segnali di accesso, noterete che, qualche volta, essi non corrispondono. Quando fate una domanda, qualcuno guarderà in alto a sinistra, cominciando la sua risposta con: “Mi sento…”. Ciò sta ad indicare che queste persone stanno elaborando le informazioni attraverso un sistema, e le esprimono consciamente tramite un altro sistema. Nella PNL, il primo è il “sistema guida”, mentre il secondo è, come abbiamo detto, il sistema rappresentazionale primario. Questi due sistemi non possono essere diversi per una persona, in un dato momento; quando sono diversi, il “sistema guida”, vi apparirà attraverso i segnali di accesso e il sistema dominante sarà individuato dai predicati della persona. In altre parole, il sistema guida è il sistema utilizzato per il recupero dei dati. L’intera strategia può essere più o meno conscia all’individuo. Lankton spiega alcune cose di fondamentale importanza nell’individuare gli aspetti peculiari delle strategie. Per esempio, quando una persona si ricorda qualcosa, inizia a vedere o sentire ciò
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Tipi di attività sportive. Costruzione del setting I vari argomenti affrontati finora ci hanno aiutato a capire come sia importante l’esercizio fisico per la nostra salute. Ora intendiamo soffermarci su quali tipi di attività sportive fanno bene al nostro corpo e perché. Qualsiasi attività sportiva ha efficacia maggiore quando ciò che viene duplicato è un comportamento al di fuori della consapevolezza dell’individuo. Un buon modo per ricalcare non si limita solo al ricalco del sistema rappresentazionale primario, ma all’intera strategia sul piano verbale (predicati) e non verbale (tutti i segnali d’accesso non verbali: occhi, postura, gesti, tono della voce). Sono due i modi di ricalcare efficacemente: ricalcare la strategia passo per passo dall’inizio alla fine oppure fare il percorso al contrario. Si possono utilizzare a proprio favore le strategie già esistenti nell’interlocutore basta fare domande del tipo: “Hai mai preso una decisione sicuro di fare la cosa giusta?” o “Sei mai stato motivato a fare veramente qualcosa?” Per un terapeuta una domanda efficace è la domanda miracolo: “Ti è mai capitato di sentirti sicuro?” oppure se la persona dice di non trovare un ricordo specifico: “Come sarebbe se tu riuscissi a…” oppure “OK. Ipotizziamo che domani Lei si svegli e tutti i suoi problemi per miracolo siano scomparsi: cosa cambierebbe, cosa farebbe, come si sentirebbe?”
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La persona è letteralmente obbligata a una ricerca transderivazionale per ottenere una risposta elaborando una strategia efficace per raggiungere quel particolare risultato. La risposta che il cliente ci invierà, la percepiremo prima della sua risposta verbale. Un esempio nel tennis è costituito dalla pratica atta a sensibilizzare il contatto e ricalcare le strategie con la pallina da tennis: “…porre la pallina da tennis sul piatto corde e farla rimbalzare una volta in alto e poi alternare questo esercizio con un rimbalzo in basso”. Spesso questo movimento viene praticato nel mini-tennis per favorire una maggiore dimestichezza con la racchetta e la pallina stessa da parte del bambino. Il ripetersi dello stesso gioco favorisce un incremento della sicurezza nel bambino che potrà passare ad esercizi successivi mirati al lancio della pallina con la mano dall’alto e alla padronanza nell’afferrare la stessa dopo il primo rimbalzo, sostituendo così il movimento con la racchetta. Spesso ci viene rivolta la domanda a noi tecnici circa quale sia l’attività motoria giusta per un bambino. La risposta è semplicemente riconducibile all’impegno profuso dallo stesso bambino.
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Metodiche Con l’obiettivo di ottimizzare la prestazione atletica, in psicologia dello sport, sono stati sviluppati molteplici programmi di preparazione mentale, al fine di favorire l’allenamento delle abilità psichiche (cfr. Robazza, Bortoli e Gramaccioni, 1994). Siffatti programmi si imperniano prevalentemente su strategie di tipo cognitivo-comportamentale che comprendono goal-setting (programmazione degli obiettivi), e tecniche di imagery consistente nell’induzione di rappresentazioni mentali, prima semplici e poi sempre più complesse, allo scopo di rivivere mentalmente alcuni aspetti della prestazione, mantenendo il controllo cosciente dell’individuo. Il self-talk (rinforzo positivo) è un’altra metodica di autoregolazione dell’arousal, termine inglese difficilmente traducibile (letteralmente “risveglio”) con cui viene designato il livello di attivazione della corteccia cerebrale necessario a mantenere questa in uno stato di vigilanza e quindi di adeguata ricezione degli stimoli provenienti dal mondo esterno, in un continuum di allenamento della concentrazione e gestione dello stress. Queste strategie, ampiamente trattate negli anni ‘70 e tuttora impiegate, puntano a far acquisire all’atleta l'attitudine a controllare i propri processi mentali ed emozionali partendo dalla premessa che la gestione, o la modifica dei processi cognitivi e degli stati emozionali-affettivi negativi, possa cambiare in meglio la prestazione. Sebbene siano ampiamente utilizzati, questi programmi di mental training, hanno recentemente ottenuto delle critiche da parte di
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alcuni autori e evidenziato alcuni limiti delle tecniche di preparazione mentale. Holm, Beckwith, Ehde e Tinius (1996), ad esempio, hanno dimostrato come un programma comprendente self-talk, imagery e goal-setting, proposto a tennisti di college universitari, contribuiva a determinare una considerevole riduzione dell’ansia competitiva, ma non quello che ci si aspettava rispetto al gruppo di controllo. E in effetti anche altri autori, utilizzando programmi di allenamento mentale, hanno ugualmente riscontrato riduzione dell’ansia e miglioramento della fiducia, ma non della prestazione (Maynard, Smith e WarwickEvans, 1995; Murphy e Woolfolk, 1987; Weinberg, Seabourne e Jackson, 1981). Tali programmi si basano spesso su strategie di controllo e/o riduzione degli stati psico-fisici negativi senza che sia in base dimostrato, che esperienze interiori negative portino invariabilmente a risultati scadenti (Hayes, Strosahl e Wilson, 1999). In realtà, si ritiene che i tentativi di sopprimere pensieri ed emozioni indesiderate, possano determinare spesso un effetto paradossale, poiché la ricerca attiva di segni di attività cognitiva negativa o indesiderata (pensieri, emozioni, sensazioni) comporta uno “scanning metacognitivo” che determina una attenzione eccessiva verso se stessi e verso elementi irrilevanti per il compito (Purdon, 1999; Wegner e Zanakos, 1994). Quindi, tentativi di soppressione dei pensieri e di controllo degli schemi mentali negativi possono determinare un aumento indesiderato di attività cognitiva (Clark, Ball e Pape, 1991) e la focalizzazione verso elementi non correlati al compito che tendono a danneggiare la prestazione, anziché facilitarla. Sulla base di
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Uno sguardo più approfondito sull'approccio psicodinamico La psicodinamica è l'insieme di meccanismi e processi psichici sottesi al comportamento e, più in generale, alla personalità di un individuo preso singolarmente o in relazione ad altri. Si parla di psicodinamica associandola all'inconscio dal momento che, dalla rivoluzione psicoanalitica in poi, i processi mentali legati al comportamento manifesto sono considerati attraverso un'ottica inconscia, vale a dire agenti "sotto" il livello di consapevolezza. La disciplina della psicologia che studia, analizza e descrive gli aspetti della psicodinamica è la psicologia dinamica. Questa branca si è andata a sviluppare grazie al contributo di Sigmund Freud e con il tempo ha assunto il sinonimo di psicoanalisi. Il significato "dinamica" sta ad indicare prevalentemente l'esistenza di forze o attività psichiche che possono interagire o entrare in conflitto, dando origine a caratteristiche di personalità e comportamenti che, se pervasivi e disadattivi, sono considerati come sintomi di un disturbo psichico. È noto il concetto di conflitto psichico in Freud ed è quindi centrale nella psicologia dinamica. Conflitto continuo fra desiderio e difesa, vale a dire fra un movimento verso un oggetto e una serie di "impedimenti" dettati dalla morale o da altre regole comportamentali apprese. La definizione ci porterebbe a concludere e a circoscrivere l'interesse della psicologia dinamica al ramo delle nevrosi, ma nel corso del tempo si sono sviluppate delle teorie psicodinamiche relative a disturbi diversi, come le psicosi e i disturbi di personalità, relative al rapporto con la realtà e alle relazioni.
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Gli stessi modelli psicodinamici intesi nell'accezione storica originaria "pulsionalista" di inizio Novecento (ed attualmente in buona parte superati e revisionati), sono accomunati dalla concezione del funzionamento mentale come il risultato di un conflitto. Il conflitto è dato dalla opposizione tra potenti forze inconsce che richiedono l’espressione e la soddisfazione immediata, e forze opposte che impongono un controllo e limitano l’espressione reprimendola o permettendone la soddisfazione in modalità socialmente accettabili. Il conflitto, in altri termini, può essere concettualizzato come la contrapposizione tra un desiderio e una difesa contro il desiderio stesso. Freud considerava la psicodinamica come un'eredità della natura umana, visto che i disturbi che egli studiava li definiva come una serie di meccanismi prettamente "regolari" fra le persone (meccanismi di difesa, natura del conflitto psichico, organizzazione delle istanze psichiche) e questo ha dato vita a diversi dibattiti circa la natura dei disturbi stessi e quindi dei processi legati alla loro genesi. L'esperienza, in questo senso, interverrebbe a deviare, spostare o arricchire i percorsi soliti dell'attività psichica, orientata verso un oggetto o un obiettivo. Ad esempio, il bambino che sugge al seno materno risponde all'esigenza di nutrirsi, ma la piacevolezza legata all'esperienza, dovuta alla libido orale, lo porterà a ricercare il piacere della stimolazione oroalimentare.