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CAPITOLO 1
1.1 INTRODUZIONE
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Un mondo nuovo che si apre, un nuovo modo di pensare ed interpretare l’allenamento per una proposta con modalità operative efficaci quanto originali. Per comprenderla appieno, occorre cambiare punto di osservazione e mettere in discussione certezze acquisite il più delle volte per atteggiamenti abitudinari e improntati a comodità e scarsa attitudine alla riflessione. Riacquisire la consapevolezza del corpo per tornare ai massimi livelli di efficienza fisica e concretezza operativa: questo l’obiettivo finale del processo rieducativo suggerito. Il corpo umano interagisce con l’ambiente formando un tutto unico e ciò rende importante e fondamentale, il riappropriarsi dei movimenti naturali, gli stessi che da bambini permettono di cadere e di rialzarsi velocemente senza avere una cognizione cosciente dell’azione, il riacquisire familiarità con gesti e sensazioni che solo la completezza del movimento nella sua totalità può dare. Il nostro fisico non è nato per selezionare e isolare i movimenti: invece la completezza del gesto, composto da sequenze omogenee di movimenti, è da migliaia di anni il motivo fortunato della evoluzione del corpo umano. Nella società moderna il troppo benessere e gli eccessivi ausili nelle attività di spostamento anche minimali, creano soggetti spenti e privi di quelle energie che in passato favorivano l’integrazione con il mondo circostante. Lo sport situazionale è fatto di movimenti rapidi, esplosivi, di cambi di direzione repentini, di accellerazioni fulminee e di decelerazioni altrettanto rapide. L’organismo è costretto ad impegnare ogni muscolo per rispondere in contemporanea agli stimoli molto variegati che riceve: motivo determinante perché ogni atleta debba essere allenato come una unica grande entità. Da ribadire la motivazione: il cervello umano riconosce il movimento nel suo insieme e non per l’azione di ogni singolo muscolo. L’allenamento deve essere quindi quanto più possibile funzionale allo sport praticato con lo scopo di creare effetti positivi per la prestazione e riproducibili velocemente quando le ciscostanze di gara lo richiedano: è il concetto di Functional training o Allenamento funzionale per una visione della pratica sportiva integrata ed integrale. Originariamente questo tipo di approccio funzionale era caratteristica esclusiva della riabilitazione fisioterapica e della medicina sportiva. L’obiettivo era ovviamente quello di riportare i soggetti in fase di recupero alla piena funzionalità operativa nelle comuni azioni giornaliere o di ripristinare la piena dinamica operativa negli sportivi a livello amatoriale e professionale. Anni di esperienze teoriche e soprattutto pratiche hanno prodotto una metodica di lavoro che dimostra come e quanto il Functional training rappresenti una forma di lavoro condizionante che ha lo scopo di raggiungere l’equilibrio di un sistema all’interno del quale i singoli elementi contribuiscono armonicamente a raggiungere il fine voluto: la prestazione sportiva ottimale.
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THE FUNCTIONAL TRAINING
1.2 LE AZIONI PRIMORDIALI Per meglio comprendere il concetto di Functional training, occorre ripensare ai movimenti primordiali che l’uomo primitivo acquisiva e praticava per quotidiana necessità. Le posizioni primitive, e i circuiti di schemi centrali, sono da considerare di primaria importanza per chi lavora in ambito sportivo e sono riassumibili in tre principali: assetto natatorio stazione eretta deambulazione. Sono tappe del passaggio evolutivo dell’uomo dal nuoto all’andatura a quattro zampe, alla posizione eretta fino ad arrivare alla deambulazione in posizione bipede eretta. è sufficiente soffermarsi ad osservare il modo di muoversi durante il gioco dei bambini, ancora privi dei condizionamenti motori che la quotidianità poi trasmette, per capire quanto completo ed armonico sia il movimento umano quando naturale come quello nel gioco dei più piccoli. Una attività nella quale si riscontrano movimenti che coinvolgono tutte le varie parti del corpo (braccia, avambraccia, mani, dita delle mani, coscia e gamba, piede, dita dei piedi, busto, testa, spalle) e classificabili in rapporto alle escursioni ed ai piani del movimento:
Le azioni primordiali
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CAPITOLO 2
2.1 INTRODUZIONE
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La corretta intepretazione linguistica in italiano di core potrebbe essere quella di “nucleo”, inteso come quella zona centrale del complesso coxo-lombo-pelvico che costituisce un punto di reazione stabile per il resto del corpo o ancora più semplicemente “il centro funzionale del corpo”. Dagli studi sul Core sta nascendo una nuova scienza in grado di rivoluzionare molti metodi di allenamento tradizionali e per assumere un ruolo cardine in tutti i settori dell’attività motoria. Una nuova scienza che definiremo per convenzione: Core Training. Secondo una visione più ampia, il Core comprende: “tutti i muscoli compresi fra spalle e pelvi e che agiscono per il trasferimento di forza dalla colonna alle estremità ovvero consentendo il collegamento reciproco fra tratto assile e tratti appendicolari”. La capacità di mantenere una adeguata stabilità funzionale ed un buon controllo neuromuscolare nella regione descritta prende il nome di Core stability. Il controllo della muscolatura addominale e lombare assume un ruolo primario nella prevenzione e nel recupero di patologie muscolo/scheletriche e nel controllo della postura ma anche nel miglioramento della performance sportiva. Per chiarire ulteriormente il concetto si può intendere il corpo umano come una gru della quale il Core rappresenta la base. Aumentando la stabilità di questa che è la base operativa, si consente un uso migliore e più sicuro delle strutture che su di essa appoggiano. Dal punto di vista antomico si può affermare che viene garantita la stabilità prossimale assicurando una ottimale mobilità distale. Già alcuni decenni or sono, Joseph Pilates, ideatore del metodo poi affermatosi con successo, aveva denominato “Powerhouse”quella che oggi viene definita”Core Region”, inquadrandola come l’elemento portante e fonte primaria nella generazione di tutti i movimenti. Lo stesso Punjabi lo definiva “Sistema Stabilizzatore Spinale”. Questo modello, tuttora attualissimo, comprende tre sottosistemi che interagiscono per stabilizzare globalmente la colonna vertebrale. Un deficit di uno comporta inevitabilmente stress compensatori negli altri.
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IL CORE
Ne fanno parte: • Sottosistema Passivo costituito dai legamenti vertebrali e dai dischi intervertebrali che pur avendo una valenza limitata nella stabilizzazione lombopelvica, svolgono un’azione di primaria importanza nell’informare il S.N.C. sulla posizione ed il movimento della colonna vertebrale. Ciò grazie ai molteplici propriocettori che possiedono e che svolgono questa utilissima azione di feedback. • Sottosistema Neurale che modula la stabilità delle strutture in risposta alle forza esterne e ne garantisce il movimento. Esso agisce contraendo o meno le fibre muscolari sulla base delle continue informazioni provenienti dagli organi del Golgi, dai fusi neuromuscolari e dai legamenti vertebrali. • Sottosistema Atti vo è costituito da tutte le strutture muscolo-tendinee che agiscono sul complesso lombo-pelvico. La differenza di tensioni che si creano consentono di mantenere una adeguata stiffness vertebrale garantendo la mobilità e la stabilità dell’intero sistema. In tale sottosistema si devono distinguere due diverse unità: una unità interna ed una esterna. La valutazione separata delle due unità deve essere fatta tenendo in considerazione quanto affermato da Faries e Greenwood: “le due unità debbono sempre operare insieme per garantire una stabilizzazione dinamica ed efficienti movimenti multiplanari del rachide. Una eccessiva attivazione dell’unità esterna senza un adeguato livello di funzionalità di quella interna, crea un pericoloso disequilibrio funzionale.” Pertanto nella programmazione proposta di seguito è la visione globale che prevale tanto da consigliare di partire nelle prime settimane di lavoro con una stimolazione della sola unità interna per poi progressivamente inserire lavori che agiscano su quella esterna. Nelle specifiche sedute di allenamento entrambe le unità saranno contemporaneamente presenti.
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CAPITOLO 3
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Per affrontare questo nuovo metodo di allenamento nel modo più corretto ed efficace e poter comprendere la progressione di lavoro proposto, è necessario completare una preparazione teorica sul movimento ed una conoscenza degli attrezzi e degli strumenti utilizzati ed è per questo fondamentale reintrodurre qualche nozione di base sul movimento umano. 3.1 ASSI E PIANI Ai cardini di una porta possono essere assimilati gli assi del corpo intesi come linee immaginarie attorno alle quali avviene il movimento. La porta si muove su di un piano attorno ad un asse. Il piano (la porta) è determinato dall'orientamento dell’asse (perno nel cardine). Distinguiamo tre tipi di assi ad angolo retto l’uno rispetto all’altro: Il longitidinale o verticale che è perpendicolare alla base di appoggio, verticalmente in senso cranio-caudale, quando il corpo è in posizione eretta. I movimenti di rotazione laterale e mediale, oltre a quelli di adduzione ed abduzione orizzontale della spalla, avvengono attorno a tale asse. Il coronale o trasversale che è diretto da sinistra a destra ed è perpendicolare all'asse longitudinale. Attorno a questo asse avvengono i movimenti di flessione ed estensione. Il sagittale o antero-posteriore che è diretto dalla superficie posteriore alla superficie anteriore del corpo ed è perpendicolare agli altri due assi. Il movimento di abduzione ed adduzione avvengono attorno a tale asse. I piani anatomici sono delle linee immaginarie disegnate attraverso il corpo. Queste linee permettono di descrivere oggettivamente i movimenti e le posizioni del corpo: Il piano sagittale è un piano verticale immaginario che passa attraverso il centro del corpo, attraverso gli assi longitudinale e sagittale, dividendolo in due metà identiche di destra e di sinistra.
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CORE E MOVIMENTO
Il piano frontale o coronale è un piano verticale parallelo alla fronte e perpendicolare al piano mediano che passa per gli assi trasversale e longitudinale e divide il corpo in una porzione anteriore ed una posteriore. Il piano orizzontale o trasversale è un piano che divide il corpo in due metà, superiore o craniale ed inferiore o caudale. In posizione eretta è orizzontale, è situato perpendicolarmente al piano mediano e al piano frontale e passa per gli assi trasversale e sagittale. è proprio su quest’ultimo piano che l’atleta esercita la sua dinamica perché è proprio dalla rotazione nel piano trasverso che scatta il meccanismo antigravitario, il quale consente a sua volta la migrazione del baricentro verso l'alto. Le articolazioni interessate al movimento nel piano trasverso sono, a catena cinetica chiusa, la sottoastragalica, la coxofemorale e le cerniere rachidee. In particolare, l'articolazione coxofemorale e l'articolazione astragalo-scafoidea sono analogicamente strutturate e corrispondentemente disposte. I movimenti essenziali nella meccanica antigravitaria dell'anca si estrinsecano nell'estensione e nella concomitante rotazione esterna. Nel trasferimento dalla flessione all'estensione, quindi, il femore ruota verso l'esterno riflettendosi nel meccanismo di rilasciamento-irrigidimento dell’elica podalica. Lo svolgimentorilassamento adattativo al terreno dell’elica podalica è connesso alla rotazione interna dei segmenti sovrapodalici e dell’osso astragalo e viceversa l’avvolgimento-irrigidimento propulsivo dell'elica podalica è connesso alla rotazione esterna.
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CAPITOLO 4
4.1 INTRODUZIONE
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Il Core Training consiste in una tecnica integrata di allenamento, che è alla base dei movimenti primordiali abbinando le più moderne tecniche di allenamento, fondendole ed evolvendole ad hoc in un puzzle di massima efficacia per l’atleta moderno. Seguendo il passo delle più recenti ricerche scientifiche, questa tecnica è in continua evoluzione nella ricerca dell’eccellenza dei risultati. Immutabili ed imprescindibili le tre linee guida del progetto: • utilizzo di esercizi mirati, ad effetto multiplo e massimamente efficaci per il raggiungimento di tutti gli obiettivi preposti; • facilità di reperimento di attrezzi accessibili a tutti senza dover ricorrere ad apparecchiature speciali così da rendere immediata e frequente l’attività in ogni circostanza; • una efficace introduzione teorico-pratica alla tecnica che faciliti l’apprendimento consapevole e le possibilità di esecuzione del lavoro in autonomia ed in abbinamento a forme di autovalutazione semplici ed immediate. L’allenamento del Core, in ambito sportivo, consentirà una maggiore capacità da parte dei muscoli delle spalle, delle braccia e delle gambe, di generare potenza diminuendo il rischio di infortuni muscolari come corollario al miglioramento della prestazione dovuto all’accrescimento dei valori di rapidità, agilità ed endurance. Questo concetto ha una valenza in tutte quelle discipline sportive che necessitano di una buona capacità di stabilizzazione e di controllo neuromuscolare legata alla natura tridimensionale di molti movimenti specifici che richiedono per questo un adeguato livello di forza dei muscoli del tronco e delle anche.
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CORE TRAINING
4.2 CORE PROGRESSION I principi sui quali basarsi per creare una corretta progettualità nell’allenamento sportivo sono essenzialmente i quattro elencati: • variabilità; • continuità; • progressività; • specificità. Le variabili di cui il sistema nervoso deve tener conto sono molteplici ma è soprattutto il movimento sinergico di centinaia di muscoli che rende il compito veramente arduo. Si deve quindi vedere e considerare l’allenamento come un’unità integrale in cui si ricreano le condizioni di gara affinché il sistema nervoso centrale riconosca ed elabori i movimenti che poi dovrà tentare di rieseguire e controllare in gara. Ricreare in palestra ciò che avverrà in campo non salvaguarderà con certezza assoluta l’atleta dal rischio di infortuni per il fatto che in gara i movimenti non avvengono certo su di un unico piano ed in una unica direzione; si susseguono infatti gesti tecnici eseguiti in condizioni di assimmetria ed instabilità, equilibrio monopodalico, in fase di volo od a contatto con un avversario, con esecuzione di movimenti globali e triplanari. Ciò induce a creare stimolazioni multiplanari e multidirezionali molto varie creando anche esercizi di ginnastica funzionali che richiamino elementi situazionali utili a rendere l’atleta più fluido e nello stesso tempo più potente e reattivo. Una proposta che dovrà seguire comunque una progressione che porti l’atleta ad incrementare la propria performance senza rischiare di incorrere in spiacevoli infortuni che ne bloccherebbero il processo di crescita. Una crescita che si auspica invece continua e che può rendere il soggetto autonomo nel seguire il metodo ricevendone benefici non solo fisici ma anche psicologici. In tal senso la progressione di lavoro risulta così articolata: • incremento del R.O.M.- range of motion articolare utilizzando gli esercizi di preabilitazione; • incremento della stabilità funzionale attraverso la Core stability e la Core endurance; • incremento della potenza lavorando su Core strenght e Forza funzionale; • ottimizzazione della resistenza e del recupero con Cardio training e Rigenerazione;
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CAPITOLO 5
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La catagolazione per unità, sei in totale, è finalizzata a rendere più accessibile il piano di lavoro e la programmazione organizzativa. I blocchi di lavoro costruiti sul filo conduttore delle singole unità non devono costituire sezioni separate e staccate ma integrate l’una con l’altra in una sequenza finalizzata all’ottenimento dei massimi benefici condizionali. I contenuti delle unità devono essere proposti seguendo i principi generali della metodologia dell’allenamento con variazioni nei tempi e nei contenuti adeguati alle accresciute capacità atletiche dei soggetti.
5.1 LE 6 UNITà 1. preabilitazione
2. core ability 3. forza funzionale
4. cardio-training
5. sprint training 6. rigenerazione
Il complesso di attività con le quali formulare il programma di riscaldamento finalizzato a preparare il fisico agli esercizi più intensi che costituiranno il corpo centrale della seduta. Si ottiene lo scopo rendendo elastici ed armonici i distretti muscolo-articolari con la finalità di prevenire gli infortuni. Ne fanno parte anche i mezzi allenanti l’equilibrio e la flessibilità; eserciziario che, proposto in opportune sequenze, deve stimolare i muscoli del corsetto addominale incrementandone la stabilità e la tonicità; lavoro finalizzato al di rafforzamento muscolare specifico che coinvolge sia gli arti superiori che inferiori ma sempre nel rispetto della funzionalità delle catene cinetiche; modalità innovative per indurre adattamenti alla resistenza organica con incremento simultaneo del VO2max e della potenza aerobica ottenendo in contemporanea anche un aumento delle capacità contrattili delle fibre muscolari; accelerazioni e circuiti codificati di destrezza che mirano a rendere l’atleta più rapido, agile e reattivo; attività di fine seduta a bassa intensità che accelerano e migliorano le capacità di recupero.
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IL PROGRAM TRAINING
Una programmazione settimanale di lavoro deve necessariamente comprendere elementi di tutte le sei unità di lavoro modulati sulla base del numero delle sedute di allenamento. è ovviamente importante valutare la distanza temporale dall’impegno agonistico per la migliore scansione nel tempo degli elementi più opportuni da applicare sulla base dell’obiettivo prefissato. Il programma settimanale deve prevedere dalle tre alle cinque sedute di allenamento atletico pertanto si è voluto progettare tre tipologie di processo allenante impostate su differenti volumi di lavoro. Resta inteso che volumi ed intensità del carico devono essere progressivamente modificati nel corso della stagione agonistica sempre seguendo i più corretti principi di progressività.
5.2 PROGRAMMA PREAGONISTICO Il program training per il periodo prima della competizione si basa su tre settimane di lavoro che precedono l’inizio dell’impegno agonistico con a disposizione una quarta settimana assimilabile, in questo ciclo, a quella rigenerativa del successivo impegno agonistico. è questo il periodo migliore per lavorare fisicamente in quanto gli atleti provengono da un periodo di riposo psicofisico totale e non dovrebbero presentare infortuni o traumi fatto invece piutosto comune nel periodo agonistico. è consigliabile progettare un carico di lavoro generale di base da incrementare nelle settimane a seguire. Dedicando tempo a spiegazioni più dettagliate degli esercizi e curandone dimostrazione e correzione di eventuali errori, gli atleti potranno entrare nel program training da attori protagonisti e non solo come esecutori di un movimento predeterminato da altri o poco attinente allo sport praticato. Il tempo inizialmente speso servirà ad automatizzare il gesto a livelli tali da ottimizzare ed accorciare in seguito i tempi di lavoro. L’aspetto psicologico è un cardine del programma ed il lavoro atletico deve dare all’atleta sicurezza fisica e mentale. L’obiettivo finale rimane fondamentalmente quello di creare atleti che autonomamente svolgano parte del lavoro in quanto consapevoli di una situazione in cui si sentano più stabili e protetti. Ciò è riscontrabile nelle esperienze pratiche analizzate nelle quali non è particolarmente necessario dover stimolare gli atleti, siano essi professionisti o dilettanti, al lavoro.
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