MUSCOLI E MOVIMENTI 10
Muscoli e Movimenti Il movimento umano, come fenomeno fisico-fisiologico, avviene sempre per uno scontro di forze interne, prodotte dalla contrazione muscolare, contro quelle esterne provenienti dall’ambiente circostante, tra le quali la forza di gravità è la più rappresentativa. Se le forze muscolari superano per intensità quelle esterne, il movimento è positivo, altrimenti sarà negativo; nel caso esse si equivalgano, il movimento è nullo (bilancio delle forze). In ogni caso l’attività muscolare sussiste sempre - in regime superante, cedente o isometrico per effetto anche involontario - per guidare il movimento. Il concetto fisico di forza differisce da quello fisiologico: mentre la forza in fisica si esprime in forma vettoriale, caratterizzata, oltre che dal modulo, da un punto di applicazione, direzione e verso, in ambito fisiologico viene indicata con varie denominazioni, spesso non univoche, come forza massima, veloce, esplosiva, reattiva. Questi termini stanno ad indicare le modalità con le quali vanno ad attivarsi processi temporali ed energetici dei muscoli. Per la fisica, infatti, la forza non è né veloce né esplosiva, ma lenti e veloci sono soltanto i moti dei corpi a essa assoggettati. Per la prima legge del moto di Newton, un corpo in quiete rimane in quiete e un corpo in moto resta in moto (e continuerà a muoversi indefinitamente in linea retta e a velocità costante) finché non interverrà una forza esterna a mutare lo stato di quiete o di moto. Una forza esterna ha, quindi, come risultato quello di variare la velocità. Ma una variazione di velocità è una accelerazione (positiva o negativa): perciò l’effetto di una forza esterna è di produrre un’accelerazione. (fig. 1.1) Si può concludere che l’accelerazione, a, è inversamente proporzionale alla massa accelerata:
Fig. 1.1 – Velocità di un corridore
da cui F=m . a a= F m
L’unità di misura della forza adottata nel Sistema Internazionale (SI) è il Newton, N, mentre nella pratica il kg peso presso a poco equivalente a 9,8 N (peso di un corpo di massa 1 kg). Quale è la differenza? Il Newton, N, viene definito come quella forza che applicata ad un corpo avente massa 1 kg imprime una accelerazione, a, di 1m/ sec2 nella direzione e verso della forza applicata esprimibile sotto forma di equazione:
1N =
1kg . 1m sec 2
Il kg peso è la forza con cui un corpo avente massa 1kg è attratto dalla terra con una accelerazione di gravità, g = 9,81 m/sec, al livello del mare ed alla latitudine di 45°. Il kg peso è, dunque, l’intensità della forza che applicata ad un corpo di una massa di 1 kg imprime una accelerazione di 9,81 m/ sec e cioè:
1 kgp = 1 kg . 9,81 m/sec per cui
1 kgp = 9,81 N Il newton perciò rappresenta la forza necessaria per imprimere alla massa di 1 kg l’accelerazione di 1 m/sec2. (fig. 1.2). Nel muscolo scheletrico la forza è prodotta dalle fibre muscolari che lo compongono,
CAPITOLO I
IL MODELLO MECCANICO DEL MUSCOLO 18
Il modello meccanico del muscolo I muscoli costituiscono unità contrattili normalmente distinti in tre generi: 1. muscoli striati o scheletrici governati volontariamente dal sistema nervoso centrale; 2. muscoli lisci o involontari governati dal sistema nervoso vegetativo; 3. muscoli cardiaci che, sebbene involontari, si presentano striati. I muscoli veri e propri sono quelli scheletrici, predisposti ad esercitare forze di trazione per muovere, stabilizzare un’articolazione ed agire così sulla struttura portante ossea. Questi si presentano come un insieme di fibre che si accollano le une alle altre e ciascuna
fibra appare come una fusione di cellule (sincizi) di diametro 1/1000 di millimetro e di una lunghezza fino a 10 centimetri. Ogni muscolo è formato da migliaia di fibre e ogni fibra annovera migliaia di miofibrille caratterizzate dalla alternanza di bande chiare e bande scure, nel cui interno, in un fluido viscoso, scorrono tra loro filamenti spessi detti miosina e filamenti sottili detti actina, veri responsabili della contrazione. Questi filamenti terminano longitudinalmente nelle linee Z, M, Z. In sezione trasversa si presentano in forme esagonali e definiscono una unità funzionale: il sarcomero (fig. 2.1). Oltre all’actina e alla miosina, la funzionalità del sarcomero è assicurata da altri filamenti, ponti trasversali; per esempio la titina, che ha il compito di mantenere i due filamenti prima citati al centro tra la linee Z, M, Z.
Fig. 2.1 – Rappresentazione schematica delle componenti contrattili del muscolo scheletrico
CAPITOLO II
CONSIDERAZIONI SULLA “FORZA DINAMICA”
Considerazioni sulla “forza dinamica” Se P0 fornisce una base più esatta di valutazione rispetto alle altre espressioni della forza, per contro i tempi più lunghi di attivazione, da 3/5 sec, finiscono per non assegnare ad essa un valore caratteristico. Per questo gli esercizi specifici scarsamente compaiono nei programmi d’allenamento degli atleti, se non in quelli della ginnastica maschile. Infatti in azioni di tipo esplosivo balistico, i tempi di realizzazione sono estremamente brevi, circa 100/200ms, e quindi solo una parte della Fmax isometrica è utilizzabile. La curva forza-tempo, espressa come funzione crescente della forza, F = fc (t), illustra la relazione con la quale si sviluppa la forza nel tempo, strettamente legata alle diverse tipologie di fibre (fig. 9.1). Va da sé che prestazioni in cui è possibile sviluppare tutta la forza, come nelle fasi di contatto dei salti, non risentono di un “tutto e subito”. Fino ad un certo punto però, perché gli agganci tra i filamenti di actina e miosina hanno durata limitata diversa tra le singole fibre muscolari; così, mentre alcuni filamenti si agganciano, altri si sganciano. I motoneuroni più piccoli FL, a più bassa soglia, scaricano per più lunghi periodi di tempo mentre quelli a più alta soglia, innervati da fibre veloci, vengono attivati per scariche di breve durata, ma ad alta frequenza di scarica. Cosicché contrazioni massimali sono prodotte dalla scarica sincrona delle diverse unità motorie, mentre il prolungarsi della contrazione, ad una scarica asincrona. Un coinvolgimento simultaneo appare perciò impossibile, poiché richiederebbe un unico tipo di fibre mai osservate. Nell’adulto “medio”, la distribuzione tra unità lente e veloci è di circa il 50%, ma negli esseri umani esiste una grande variabilità.
II TIPO B II TIPO A FORZA (N) -›
52
I TIPO
TEMPO (ms) -› Fig. 9.1 – Comportamento contrattile dei diversi tipi di fibre
Le osservazioni di L. Jesper e coll., condotte presso il “Centro di Ricerca dei Muscoli” dell’ Università di Copenaghen, riferiscono di soggetti che nel quadricipite era presente solo il 19% di fibre lente e di altri che, invece, ne possiedono fino al 95%. Così non soltanto non è possibile un coinvolgimento simultaneo di tutte le unità motorie disponibili, ma nemmeno impedire l’effetto frenante delle fibre a contrazione lenta rispetto a quelle rapide (fig. 9.2). Perciò per quanto immediata e violenta possa essere l’azione muscolare, meccanismi specifici sovrintendono alla salvaguardia del sistema muscolo scheletrico. La determinazione della cosiddetta forza massima presenta notevoli difficoltà interpretative fra i tre tipi di contrazione isometrica, concentrica, eccentrica–concentrica. Rispetto a P0, quella concentrica può essere inferiore del 20% mentre quelle eccentrico– concentrica superiore del 10/30%. Queste differenze sono dovute allo stato di eccitazione iniziale del muscolo, che rende conto della sua “storia” precedente, ma anche dell’angolo articolare, ovvero della lunghezza del muscolo alla quale la misurazione fa riferimento.
CAPITOLO IX
DISPOSIZIONE DELLE FIBRE MUSCOLARI E FUNZIONALITÀ 70
Disposizione delle fibre muscolari e funzionalità L’angolo di pennazione delle fibre assume un ruolo importante sulla funzionalità del muscolo rispetto all’asse di direzione della forza, in funzione della lunghezza/velocità, e della forza. Le fibre muscolari, che si estendono tra le due inserzioni tendinee, prossimale e distale, si dispongono diversamente in fascicoli tra i vari muscoli con differenze anche individuali. In generale è possibile distinguere tre tipi principali di pennazione: • muscoli con disposizione delle fibre orientate parallelamente alla linea di forza del tendine (fig. 11.1); • muscoli con orientamento obliquo
A
b
alla linea di forza, con angolo unico di pennazione, muscoli unipennati; • muscoli composti con fibre a più angoli rispetto alla linee di forza, definiti multipennati. La forza che i muscoli trasmettono effettivamente al tendine è rappresentata dal coseno dell’angolo di pennazione per la forza esercitata. Per un angolo pari a zero, il coseno è uguale a 1 e perciò tutta la forza viene trasmessa al tendine. A seconda dell’aumentare dell’angolo di pennazione, il coseno avrà un valore inferiore ad 1 e perciò solo una parte della forza è trasmessa al tendine. Per cos α = 0, la forza sarebbe nulla, perciò nei muscoli umani quest’angolo è sempre compreso tra 0 e 30 gradi e tende ad aumentare con l’ampiezza del movimento, permettendo la contrazione in uno spazio minore di elementi contrattili (fig. 11.2).
c
d
Fig. 11.1 – Nello schema sono mostrati due tipi di disposizione delle fibre muscolari sia a riposo che in contrazione. (A) Disposizione delle fibre pennate a riposo. I tendini sono rappresentati dalle linee di prolungamento dei due lati del parallelogramma. (B) Lo stesso muscolo al massimo accorciamento. Le fibre muscolari si sono accorciate di un terzo della loro lunghezza di riposo lungo il loro asse come indicato dalla freccia sottile. Il muscolo in toto si accorcia meno (freccia spessa) di quanto si accorcino le singole fibre che lo compongono. Tale differenza dipende dall’angolo tra le direzioni di accorciamento delle fibre e quella del muscolo. (C) Fibre di un muscolo fusiforme a riposo. Le linee che si irradiano dalla base del rettangolo e si portano ad un punto rappresentano i tendini. (D) Lo stesso muscolo al massimo accorciamento. Le fibre muscolari e il muscolo in toto si sono accorciati di un terzo in quanto direzione di trazione sui tendini e direzione di accorciamento delle fibre coincidono. Così benché le fibre in A e in C abbiano uguale lunghezza, l’accorciamento in B è minore di quello in D.
CAPITOLO XI
MUSCOLI E DIFFERENZE DI GENERE
Muscoli e differenze di genere È di comunemente noto che la forza muscolare nei maschi è molto superiore a quella delle femmine e ciò ha indotto, soprattutto nel passato, a proporre procedure di allenamento sostanzialmente differenti. In età prepuberale non esistono apprezzabili differenze di forza nei due sessi, per mancanza degli ormoni sessuali maschili nei maschi, ma in età puberale la loro graduale comparsa, associata alla evoluzione antropometrica– somatica evolverà verso uno sviluppo della forza fino ai 18–20 anni (fig. 13.1). Però, a causa delle continue variazioni dei processi di crescita e di sviluppo, questa evoluzione può presentare periodi di stasi e anche delle regressioni che possono durare fino ai sei mesi, secondo Tanner (1980). L’aumento della massa muscolare e della forza è direttamente correlata alla sintesi di testosterone endogeno, sicchè la sua efficacia anabolica è dovuta ai livelli ematici dello stesso organismo nonché all’insieme dei diversi fattori che si accompagnano nell’evoluzione verso l’età adulta. % 100
Supererebbe i limiti di questo lavoro un approfondimento circa le modificazioni che si determinano in età evolutiva nei due sessi, sotto la spinta di un controllo genetico programmato e sotto l’influenza dei fattori ambientali. Perciò queste note si riferiranno sinteticamente e strettamente alla forza muscolare. Dunque se non esistono differenze tra maschi e femmine nelle fasi preadolescenziali successivamente queste si manifestano per assumere una connotazione assimilabile come carattere sessuale secondario. A che cosa è dovuto tutto ciò? Se si considera il problema da un punto di vista anatomico-fisiologico, si può rimanere delusi in prima istanza, poiché la forza esercitata per unità di area della sezione trasversa di uno stesso muscolo nei due sessi è la stessa per capacità di contrazione e qualità delle fibre (fig. 13.2). Nei maschi, però, la massa muscolare è molto maggiore, soprattutto nel busto, torace, braccia, e minore come differenza negli arti inferiori rispetto alla femmine. Se si guardano le prestazioni sportive di salto o comunque con prevalente impegno degli arti inferiori, nei due sessi, si evince che 30
(a) FORZA DEI FLESSORI DEL BRACCIO (kg)
78
80 60 40 20
20 15 10 5 0
4
6 8 10 12 14 16 18 20
Fig. 13.1 – Evoluzione e sviluppo della forza in maschi e femmine (Hettinger, 1973)
maschi femmine
25
0
5
10
15
20
25
30
AREA DELLA SEZIONE TRASVERSA (cm2)
Fig. 13.2 – Forza dei flessori del braccio in relazione alla sezione trasversa in maschi e femmine (Fox e Mathews, 1981)
CAPITOLO XIII
FORZA MUSCOLARE E MOMENTI DI FORZA 86
Forza muscolare e momenti di forza Il sistema scheletrico sul quale agiscono le forze, interne ed esterne, può essere considerato, come in meccanica, un sistema articolato di segmenti rigidi, connesso da molteplici cerniere, le articolazioni. Ciascun segmento costituisce una leva, che può ruotare attorno ad un punto fisso, il fulcro. I muscoli, contraendosi, esercitano momenti di forza, dati dalla forza esercitata per il braccio, b, la minima distanza intercorrente tra il fulcro e la forza motrice, Fm , e la forza resistente Fr. Il sistema è in equilibrio quando i due momenti Fm . b = Fr . b, hanno somma algebrica nulla (bilancio delle forze). Nel mantenimento posturale, nelle posizioni statiche, devono essere considerati più i momenti dati dai segmenti corporei con somma algebrica uguale a zero Sm = Sm1. Il movimento è negativo o positivo quando uno dei due momenti prevale sull’altro. Il braccio, b, assume perciò un ruolo essenziale ai fini della velocità e della forza espri-
mibile, che dipendono in maniera determinante dalla struttura scheletrica sulla quale il muscolo agisce. Le diverse costituzioni fisiche, biotipie, rappresentano un punto di partenza nell’indirizzo alle discipline sportive. Le leve che compongono il corpo umano si presentano nei tre generi di varietà (fig. 15.1): • di primo genere, o interfissa, in cui il fulcro è situato tra i punti di applicazione di Fm e Fr , per esempio nelle articolazioni del capo; • di secondo genere, in cui la Fr è situata tra il fulcro e il punto di applicazione delle Fm , per esempio nell’articolazione del piede; • di terzo genere, quando la Fm è situata tra il fulcro e la Fr , per esempio nell’articolazione del gomito. Più è lungo il braccio della Fmrispetto a quello della resistenza, tanto più la leva è vantaggiosa; di contro, il movimento sarà più limitato per escursione e velocità. In meccanica le leve sono considerate macchine semplici, nel corpo umano esse sono quasi tutte di terzo genere e cioè svantaggiose al fine di vincere elevate resistenze e
Fig. 15.1 – Da sinistra a destra: articolazione del capo (a 1° genere), articolazione del piede (b 2° genere), articolazione del gomito (c 3° genere).
CAPITOLO XV
CENNI SULLO SVILUPPO DELLE COMPONENTI DI CONTRAZIONE 118
Cenni sullo sviluppo delle componenti di contrazione Le espressioni della forza muscolare vengono regolate da un insieme di molteplici fattori, principalmente dalla componente neuronale, dalla materia contrattile, dagli elementi elastici in serie e in parallelo. Congiuntamente rappresentano un ampio campo di studi ed in letteratura esistono moltissimi ed esaurienti trattazioni sulle metodologie d’allenamento, che in questo lavoro non si potranno però ripercorrere. Tuttavia, sembra utile per completezza fornire un quadro generale con la convinzione che precise indicazioni siano riferibili soltanto all’ambito di una prestazione fisica. Anche se non è possibile separare nettamente il ruolo svolto dalle tre principali componenti, si propone un approccio che tenga conto, sempre molto sinteticamente di: 1) metodi per lo sviluppo della componente neuronale; 2) metodi per il miglioramento dell’elasticità muscolare; 3) metodi per l’aumento della massa muscolare. I metodi diretti al miglioramento della componente energetica a elevata intensità di carico riguardano più gli aspetti metabolici implicati nella ricarica dei substrati energetici e nella eliminazione dei metaboliti che non le caratteristiche contrattili e per questo non vengono affrontati. Tra i metodi neuronali per lo sviluppo della forza possono essere annoverati: a) metodi isometrici; b) metodi eccentrici; c) metodi sul principio della vibrazione.
Metodi isometrici Il modo migliore attraverso il quale un muscolo può esplicare la sua forza massima è dato dalla somma dell’attività contrattile delle diverse fibre reclutate dalla stimolazione nervosa. Questa situazione viene a verificarsi di fronte a una resistenza invincibile. Nonostante la tensione indotta volontariamente il muscolo è costretto a conservare il suo stato dimensionale, sebbene il componente contrattile si accorci a spese degli elementi elastici. Il presupposto più impostante consiste nella volontà di impegnarsi nello sforzo, indispensabile ai fini di stimolare e mobilitare ogni singola fibra. Le prime configurazioni metodologiche, che risalgono agli ormai lontani anni Sessanta, si devono ad Hettinger e furono studiate per soggetti posti in immobilizzazione coatta. Il sistema riscosse tanto successo per i risultati immediati sulla forza da essere esteso anche in ambito sportivo. Ma, successivamente, estreme forzature che nemmeno tenevano in conto la velocità di salita della forza, relegarono il metodo isometrico sempre più ai fini terapeutici e riabilitativi. Forse troppo presto, Schmidtbleicher (1983) ritenne che la velocità di reclutamento nella determinazione della massima tensione fosse molto più importante della tensione stessa. Un impianto concettuale a partire proprio dalla velocità di salita della forza, può configurarsi: • prestabilendo innanzitutto le condizioni iniziali di lunghezza del muscolo, ovvero l’angolo articolare (per esempio nel bicipite, a 160°, 90°, 60°, 30°). - l’intensità della tensione da sviluppare - la durata della tensione - la frequenza di allenamento. L’angolo articolare di partenza deve essere scelto in rapporto con il movimento tecnico, nei punti più critici quali: il mantenimento posturale, le fasi di puntello o di opposizione
CAPITOLO XVIII
L’ENERGIA DEL MOTORE MUSCOLARE 134
L’energia del motore muscolare
Il motore muscolare, per essere messo in moto e funzionare, ha bisogno di energia da trasformare in lavoro meccanico. Questa energia viene fornita principalmente dalla demolizione di una molecola, l’ATP, già presente nel muscolo, la quale necessita di essere continuamente resintetizzata al fine di svolgere qualsiasi attività cellulare non (1) soltanto muscolare . Ciò comporta l’attivazione di meccanismi molto complessi, che diversamente intervengono durante l’attività fisica quando questa viene condotta in forma blanda o alla massima intensità possibile. Le modalità attraverso le quali avvengono questi processi sono rappresentate da: • Meccanismi aerobici • Meccanismi anaerobici L’energia prodotta viene normalmente indicata sotto forma di kilocalorie (Kcal) per unità di tempo; però, in base a nuovi accordi internazionali, è stata adottata la misura del Joule (J). I primi studi sui sistemi energetici dell’uomo risalgono ai primi decenni del secolo scorso, quando Krogh e Linhard, nel 1923, definirono il debito di ossigeno e Hill il massimo consumo di ossigeno. Nel 1927 quest’ultimo, studiando i fenomeni integrativi tra le diverse fonti energetiche disponibili dell’organismo, fu il primo a dimostrare, per la corsa, una maggiore economicità mediante un ritmo costante di conduzione (fig.19.1). Da allora è trascorso molto tempo e, malgrado gli sforzi di numerosi ricercatori, studiosi (1)
La sintesi dl sostanze specifiche; che concorrono alla costituzione dell’organismo, viene indicata con il termine di anabolismo, mentre per catabolismo si intende la degrada¬zione di queste che prendono parte alla costituzione dell’organismo oppure di sostanze provenienti da alimenti. Per il metabolismo generale vengono impiegati prevalentemente i lipidi ed i carboi¬drati mentre le proteine giocano un ruolo principalmente per la sintesi di costituenti strutturali dei tessuti a scopi elastici.
del settore, rimangono numerosi interrogativi sui quali si possono fare soltanto supposizioni. Le informazioni che si riportano tengono conto di conoscenze normalmente accettate e proposte in forma semplificata. Bioenergetica della contrazione muscolare Come già detto, qualsiasi attività cellulare -e principalmente la contrazione- avviene mediante l’utilizzazione di una sostanza chiamata ATP, che ne costituisce l’elemento indispensabile continuamente ricomposto. La rottura del legame che unisce i gruppi chimici che compongono tale sostanza fornisce ai muscoli l’energia di cui essi hanno bisogno per poter funzionare. I due gruppi chimici che formano l’ATP sono quelli detti «fosforici beta e gamma» dell’adenosintrifosfato. I muscoli, veri motori a combustione interna, utilizzano per la contrazione l’energia liberata dall’idrolisi del legame anidrico secondo la reazione:
A – Pα – Pβ – Pγ
→ A–P–P+P
Questo acido, insieme con altre sostanze, glicidi, lipidi, protidi, e con l’intervento di alcuni enzimi catalizzatori, dà origine alla complessa reazione capace di tradurre l’energia chimica in energia meccanica. II fenomeno di trasformazione comporta l’accorciamento dell’unità di base, il sarcomero, grazie al relativo movimento dell’actina e della miosina, e la decontrazione, necessaria per ripristinare le condizioni per un nuovo impulso nervoso. Però la disponibilità presente nelle cellule di ATP è piuttosto scarsa e altrettanto minime risultano le quantità di creatinfosfato, che costituisce una riserva appena sufficiente per sostenere lavori massimali per la durata di qualche secondo. Appare così chiaro che, per il prolungarsi dell’attività muscolare, l’ATP debba essere
CAPITOLO XIX
EVOLUZIONE E SVILUPPO DELLA TEORIA DELL’ALLENAMENTO 152
Evoluzione e sviluppo della teoria dell’allenamento Il funzionamento del motore muscolare è dovuto alla risultante di un sistema complesso, in cui i vari organi si trovano partecipanti in diversa misura nell’attuare un lavoro esterno. Nello sport, l’aumento del potenziale motorio costituisce l’obiettivo principale; su questo tema esiste una vasta letteratura, con elementi di indirizzo non sempre univoci. Allo stato attuale abbiamo ancora frammentarie testimonianze scientifiche sulla logica delle leggi che regolano i processi dell’adattamento fisico all’esercizio intensivo. La preparazione verso alti risultati, in qualsiasi disciplina sportiva, appare oggi più che mai come un’organizzazione di stimoli specifici diretti non soltanto all’incremento del potenziale bioenergetico di prestazione, ma anche alle capacità di utilizzazione di questo stesso potenziale. Ora per tale utilizzazione bisogna mettere in conto una molteplicità di altri fattori, altrettanto specifici, che hanno la loro ricaduta su abilità speciali, sulla tecnica, sulla salute, sulla personaòlità. Ma più elementi intervengono nella definizione di un problema, più diventa difficile pervenire ad un quadro concettuale univoco ed esauriente. La spinta alla ricerca scientifica negli ultimi decenni è, nella storia degli studi in questione, senza precedenti e spazia dall’ambito fisiologico a quello meccanico, da quello psicologico a quello sociale ed esistono, naturalmente, più scuole di pensiero le quali, pur non disconoscendo i dati incontestabili della ricerca, assegnano agli stessi una diversa contestualizzazione. Ma a che punto siamo? Abbiamo oggi l’idea corretta che l’organizzazione dell’allenamento fondi le sue leggi sulla proprietà della materia vivente di adattarsi agli stimoli esterni, se questi hanno modo di agire secondo dinamiche complesse, ma tali
da rientrare nei limiti di tollerabilità dell’individuo stesso. L’aspetto genetico rappresenta un punto di partenza imprescindibile, che da sé spiega come dagli stessi allenamenti soggetti diversi non ottengano gli stessi risultati. Quest’individualità è il primo motivo che impedisce di trarre conclusioni precise sull’efficacia degli stimoli che l’esercizio strutturato comporta nell’organismo, se non in linea generale, anche se gli studi portati sui gemelli (soggetti identici) possono fornire ulteriori ragguaglio. Stimoli molto blandi o occasionali non producono effetti d’adattamento nell’organismo, così come stimoli troppo intensi. Sono le leggi della natura, le stesse che hanno consentito l’evoluzione e la scomparsa di tutte le specie viventi quando l’ambiente è cambiato troppo bruscamente. C’è da aggiungere che la pressione ambientale esterna è di importanza fondamentale per la vita; in assenza di questa, è possibile osservare una riduzione funzionale e strutturale che, senza eccezione alcuna, investe tutti gli organi e apparati. Ma come funziona questo meccanismo? Detto molto sinteticamente: allo stato di riposo, i diversi sistemi biologici si stabilizzano in una condizione di equilibrio definito “equilibrio omeostatico”, la cui rottura, dovuta allo sforzo fisico e ad agenti esterni, determina uno stato definito di “eterostasi”. In ragione dell’intensità, della durata e del complesso delle azioni agenti, molti parametri fisiologici si innalzano, mentre altri si abbassano. Fattore di rilievo che alcuni di questi possono sussistere in un “range” molto ampio -come la frequenza cardiaca che può andare da 40 pulsazioni al minuto a oltre 200- e altri in uno più ridotto, come il lattato ematico. Il ritorno alla normalità avviene però in tempi molto differenti, che dipendono dallo stato di adattamento del soggetto, da pochi minuti come nella frequenza cardiaca, a più giorni come per le proteine reattive (CRP) e la creatinchinasi (CK) o poche ore come per gli acidi
CAPITOLO XX