Personal trainer Come sceglierlo, come diventarlo

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1. Professione personal trainer Sempre più spesso si sente parlare della figura del Personal Trainer. Sino a pochi anni fa era esclusivo appannaggio di individui facoltosi, che potevano permettersi un istruttore alle loro dipendenze. I tempi cambiano e, oggigiorno, richiedere i servizi di un personal trainer, sta divenendo sempre più una consuetudine. Cresce la domanda e cresce l’offerta di personal trainer. Cercheremo, in questo capitolo, di comprendere “chi è il personal trainer”, come lavora, quanto costa. Ma anche come si diventa personal trainer, cosa ci si deve aspettare da tale figura professionale. Affronteremo questo lavoro dal lato del professionista e dal lato del cliente.

1.1 Come nasce il personal trainer

Se è vero, come è vero, che il movimento corporeo non ha bisogno di insegnamenti, essendo un esercizio che si apprende fin dal ventre ma-

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La voglia di tenersi in forma è, fortunatamente, un desiderio che accomuna sempre più soggetti. Dall’esigenza di raggiungere una buona efficienza fisica, alla decisione di iniziare una pratica sportiva, il passo è breve, il percorso quasi obbligato. I benefici dell’attività sportiva sono noti a tutti, se non nel dettaglio, perlomeno a grandi linee. La pratica di un’attività sportiva non è un aspetto da sottovalutare e, ritenersi esperti, o quantomeno adeguatamente preparati per affidarsi al fai da te, può nascondere esiti assolutamente imprevisti e, spesso, controproducenti.


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2. La valutazione del cliente Prima di entrare nel vivo dell’allenamento, sarà compito del personal trainer valutare lo stato di forma del cliente, effettuare una valutazione funzionale che lo aiuti a comprendere quale sia il livello di performance atletica del soggetto, che consenta di saggiare gli obiettivi raggiungibili, che offra la possibilità di controllare l’andamento del risultato mediante opportuni test da ripetere ciclicamente. Sono riportati di seguito una serie di strumenti di indagine di facile applicazione, utili nella misurazione dei parametri di interesse.

2.1 Lo stato di forma e di efficienza fisica del soggetto (la valutazione antropometrico funzionale)

Prima di cominciare una qualunque programmazione dell’allenamento è buona norma accertarsi dello stato di forma del vostro cliente. Non è una fase da sottovalutare.

È buona norma effettuare un colloquio conoscitivo, richiedendo se il cliente ha patologie di una certa entità, se sta seguendo cure farmaco-

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Dall’interpretazione dei dati rilevati vi sarà possibile comprendere, con immediatezza, qual è la situazione di efficienza fisica nella quale si trova, ed intraprendere il miglior programma di allenamento per il raggiungimento degli obiettivi. Oltre a tale verifica, occorrerà sincerarsi dello stato di salute del soggetto. Effettuate sempre una piccola anamnesi per accertare che non vi siano situazioni che sconsiglino la pratica sportiva, o che prevedano di praticarla secondo delle regole specifiche.


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PERSONAL TRAINER logiche specifiche, se ha problemi di natura cardiocircolatoria o se qualche familiare ha mai avuto problemi cardiaci (alcune problematiche cardiache hanno una certa familiarità, ed è più probabile andare incontro a rischi se qualche familiare ha già riscontrato dei problemi). Chiedete se è un soggetto fumatore, da quanto tempo fuma o da quanto tempo ha smesso, da quanto tempo non pratica attività sportiva, se ha problemi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico, se soffre di ipertensione ecc. Annotate tutti i dati su un’apposita scheda. Non sostituitevi mai al parere del medico, né azzardate diagnosi in caso di qualche disturbo. Accertatevi che, prima di intraprendere l’attività sportiva, il vostro cliente si sia sottoposto ad una idonea visita medica. Non vi solleverà da tutte le responsabilità in caso di incidenti, ma certo potrà dimostrare che avete fatto del vostro meglio per accertare che il cliente fosse idoneo alla pratica sportiva. Se qualche elemento della sua anamnesi non vi convince, o non siete in grado di valutarlo, nel dubbio, richiedete sempre che il medico esprima il suo giudizio.

CAPITOLO 2

Una volta accertato che nulla ostacola la pratica sportiva, sarà bene prevedere dei test cui sottoporre il cliente. Tali test avranno il duplice effetto di valutare nell’immediato lo stato di forma e di consentire delle successive comparazioni. Il confronto dei dati fra due o più valutazioni, effettuate a distanza di tempo, permetterà infatti di stabilire al meglio se il programma di allenamento somministrato sta raggiungendo i risultati previsti.

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Eseguirete con molto scrupolo le valutazioni e, se inizialmente il vostro cliente potrà sembrarvi diffidente, quando a distanza di 2-3 mesi effettuerete il primo test di verifica, sarà entusiasta di apprezzare tutti i miglioramenti ottenuti. Se avrete l’accortezza di elaborare i dati con un software specifico, consegnando una copia cartacea del risultato al vostro cliente, certamente avrete cementato la fiducia e l’interesse nei vostri confronti, oltre a fornire un’iniezione di entusiasmo e voglia di continuare. Riassumendo, la valutazione del soggetto assolve l’esigenza di conoscere il suo stato di forma e la costituzione, permettendo un’adeguata scelta


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3. Test specifici Accanto ai test precedentemente esposti, utili per qualsiasi tipo di individuo e per sportivi di qualsivoglia disciplina, ci sono tutta una serie di test specifici per determinate discipline sportive. Tali test, pur potendo essere applicati a qualsiasi sportivo e, se le condizioni di salute lo consentono, anche a soggetti sedentari, trovano maggior riscontro nell’ambito di precipue discipline sportive. La ragione di tale diversificazione è facilmente intuibile. Molto probabilmente, un giocatore di basket sarà interessato a conoscere la forza esplosiva nelle sue gambe più che il suo massimale alla panca piana, cosa che potrebbe essere più utile ad un pesista o body builder. Allo stesso modo, un maratoneta sarà più interessato a conoscere la sua capacità aerobica che non il grado di mobilità articolare ecc. È importante sottolineare che, come per gli altri test, è vivamente sconsigliato somministrare i test specifici a soggetti con problemi come malattie croniche a carico dell’apparato respiratorio, febbre, grave ipertensione, gravi stati infiammatori, oppure in corso di terapie farmacologiche, con scompensi cardiocircolatori ecc. Accertatevi sempre delle ottime condizioni di salute dei soggetti da sottoporre a test.

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3.1 Test di forza esplosiva per gli arti inferiori In breve Cosa occorre: un metro o una parete con indicate le varie altezze Difficoltà: bassa. Tempo richiesto: 5 minuti circa. Consigliato a: sportivi di discipline in cui l’elevazione è un parametro importante (basket, volley ecc.). Sconsigliato a: soggetti in forte sovrappeso, con problemi alle ginocchia, anziani.

Questo tipo di test è utile per tutte le discipline che implicano una buona forza esplosiva negli arti inferiori, normalmente utilizzata per le elevazioni, tipiche azioni nel gioco del basket, della pallavolo etc. A titolo di curiosità Michael Jordan raggiungeva in questo test un’elevazione di ben 122cm. Si definisce la forza esplosiva come: la capacità del sistema neuromuscolari di muovere il corpo e le sue parti, oppure oggetti, alla massima velocità possibile33. Valutarne il grado di efficacia è consentito, tra l’altro, dal test di Sargent34 (o jump and reach).

CAPITOLO 3

La sua esecuzione è estremamente semplice. Occorre chiedere al soggetto da valutare di porsi di fianco ad un muro, distante da esso circa una decina di cm. In questa posizione far distendere il braccio verso l’alto e misurare la distanza dal suolo al punto massimo raggiunto con le dita. Successivamente bisognerà far effettuare un salto verso l’alto senza precaricamento sugli arti inferiori, ma assumendo la posizione a gambe semipiegate (90°). L’imperativo è cercare di raggiungere il punto più alto possibile, con il braccio completamente disteso.

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33. Weineck J., L’allenamento ottimale, Ed. Calzetti Mariucci, Perugia, 2001 34. Sargent, D.A.: The Physical test of man. Am. Phys. Ed. Rev., 25, 188194, 1921


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4.1 Addominali bassi È una delle più spiacevoli affermazioni, quanto uno dei più radicati falsi miti, che gravano da tempo indefinito nel settore del fitness. La possibilità di allenare in modo distinto la parte alta e, soprattutto, la parte bassa dell’addome è una pratica impossibile da realizzare nel concreto. Il retto dell’addome è un unico muscolo, con origine a livello della sinfisi pubica e della cresta pubica ed inserzione a livello del processo xifoideo e della 5a, 6a, e 7a costa. L’unica separazione, di carattere squisitamente anatomico, è possibile farla tra la parte destra e sinistra, unite dalla linea alba (punto di fusione delle guaine fibrose che avvolgono il muscolo). L’innervazione è garantita dai rami primari anteriori degli ultimi nervi toracici (T6/T12). Avendo una sola zona d’origine, ed una sola zona di inserzione, non è possibile far lavorare in modo distinto la parte alta e la parte bassa di questo muscolo. Equivarrebbe a sostenere che, afferrando un elastico per i suoi 2 capi, uno in ciascuna mano, si sia in grado di porre in tensione solo metà elastico. L’idea di poter differenziare l’allenamento nasce dalla sensazione percepita durante l’esecuzione di alcuni esercizi, per effetto dei quali si avverte un senso di affaticamento localizzato nella regione pubica. Gli esercizi appartenenti a questa categoria sono quelli che prevedono la flessione degli arti inferiori, generalmente dalla posizione supina. Dimenticandosi completamente che, il retto addominale, non ha punti di inserzione sulla struttura femorale, quindi non potrebbe in ogni caso avviare un simile lavoro.

CAPITOLO 4

È da precisare che, in genere, se si avverte questa sensazione, quasi sicuramente gli esercizi svolti non sono eseguiti correttamente.

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5.1 Il fitness attraverso il tempo libero L’impiego del proprio tempo libero in attività motorie di gruppo ha varie motivazioni, facilmente individuabili chiarendo i concetti stessi di fitness e di tempo libero. Il fitness, spesso confuso con qualche specifica disciplina sportiva, in genere attività svolte in palestra e quindi associate al mondo dello sport, rappresenta in realtà un termine che individua un ottimale stato di benessere, di equilibrio e di efficienza fisica. Elementi che inevitabilmente si traducono in una condizione di stabilità anche di natura emozionale, che deriva dall’accettazione di se stessi e dalla capacità di sfruttare la propria efficienza fisica anche nel soddisfacimento delle comuni attività giornaliere. Il fitness pertanto è una condizione di benessere fisico e mentale, frutto di corretti stili di vita, e fra questi la regolare attività fisica. Essere in una condizione di fitness non individua la semplice assenza di patologie, ma descrive un più ampio grado di benessere anche di natura emotiva.

CAPITOLO 5

Il tempo libero individua le attività che è possibile svolgere da parte di un soggetto in modo piacevole e al di fuori di contesti lavorativi od obblighi di altra natura. Il proprio tempo libero, al di fuori di impegni stringenti, può essere utilizzato per attività molto eterogenee, che spaziano dall’ozio puro, all’impegno in ambito sociale e culturale, sino alla molteplicità delle attività fisiche a disposizione. Vale a dire l’oggetto proprio della nostra trattazione. L’idea di impegnare il proprio tempo libero è un concetto relativamente recente, poiché correlata ad una condizione socioeconomica di benessere, che vede già attuato il soddisfacimento dei bisogni primari dell’individuo (vedi paragrafo 1.16) e lo induce a ricercare stima ed autorealizzazione, ovvero di soddisfare il bisogno di accettarsi ed essere accettati. Condizione che passa certamente attraverso un buon grado di efficienza fisica e benessere generale. Aspetti facilmente coltivabili mettendo a frutto il proprio tempo libero.

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Del resto è noto fin dall’antichità il ruolo benefico dell’attività fisica sul proprio corpo. Già Ippocrate, nel 400 a.C. sosteneva che “Mangiare solamente non manterrà un uomo in buona salute; egli dovrà fare inoltre dell’esercizio fisico”; “Mens sana in corpore sano” è del resto una massima nota ed universalmente condivisa.


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6.1 L’alimentazione pregara Uno dei dubbi più frequenti in ambito sportivo è rappresentato dalla dieta pregara, ossia da cosa sia meglio mangiare nei giorni a ridosso di una competizione sportiva di tipo agonistico. Non occorre pensare che questo dilemma sia di recente introduzione, perfino nella Roma dei gladiatori, gli antenati degli attuali allenatori suggerivano i pasti più opportuni la sera prima delle competizioni. Con l’evolversi della scienza dell’alimentazione e dell’allenamento, si è cercato di dare una risposta maggiormente scientifica alla domanda cosa mangiare prima di una gara? La risposta non è uguale per qualsivoglia esigenza. Innanzitutto occorrerà analizzare la natura della competizione ed anche la sua durata.

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Per attività di fondo, o comunque di lunga durata, l’alimentazione diventa un parametro talmente importante da poter condizionale il risultato finale. Per simili eventi infatti, è fondamentale porsi nella migliore condizione da un punto di vista energetico, ovvero ottimizzare al meglio le scorte di glicogeno epatomuscolare, che rappresenta il principale carburante per l’organismo. Per ottenere questo risultato sarà necessario fornire, per i 3 giorni che precedono la competizione, circa il 70% delle calorie introdotte sottoforma di carboidrati complessi, come l’amido, e non certo zuccheri semplici. Nel medesimo periodo sarà necessario prevedere allenamenti di moderata intensità e per un lasso di tempo non superiore ai 30/35 minuti. Questo genere di preparazione, comunemente nota come carico di carboidrati, è finalizzata a “saturare” il muscolo di glicogeno, ed è chiaramente ottimizzata dalla blanda attività fisica sopra descritta. Scorte di glicogeno particolarmente importanti presentano ulteriori vantaggi per il fondista. L’impiego di glicogeno sotto il profilo energetico infatti, determina anche il rilascio di una cospicua quantità di acqua durante la competizione, situazione che contribuisce a contrastare la disidratazione dell’atleta nel corso di una gara.

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Prima della competizione vera e propria, e compatibilmente con i tempi necessari per la digestione, è opportuno prevedere un pasto leggero ma a base di carboidrati complessi, consumato 3/4 ore prima dell’inizio. Questo tipo di pasto pregara è efficace nel migliorare il rendimento atle-


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Linee guida per l’alimentazione dello sportivo tico incrementando la disponibilità di glucosio98. A questo proposito però sembrerebbe necessario introdurre circa 300grammi di carboidrati, 4 ore prima della competizione di lunga durata. L’applicazione di tale regola comporterebbe un incremento della performance pari al 15% mentre, per quantitativi molto minori di carboidrati, non sembrerebbero esserci vantaggi significativi99. Il Dr. Michael Colgan, segnala tuttavia che, come tra l’altro intuibile, alcuni atleti possono accusare disturbi gastrici assumendo queste quantità di carboidrati, anche se si tratta di farlo 4 ore prima di una gara. Il problema è potenzialmente aggirabile abituando l’atleta a gestire un’alimentazione di questo tipo, quindi facendo assumere anche in allenamento, e sempre 3/4 ore prima, una piccola porzione di carboidrati, che via via nel corso delle sessioni, subirà un graduale incremento. È dunque a dir poco azzardato procedere senza tappe di avvicinamento, e senza aver testato il risultato, con integrazioni glucidiche di tale livello. Per competizioni la cui durata supera le 3 ore, è importante segnalare la necessità di apporti glucidici anche nel corso della competizione medesima, situazione facilmente gestibile soprattutto mediante l’apporto di maltodestrine. Ancor più importante, con riferimento al pasto pregara, la necessità di introdurre carboidrati complessi, per evitare picchi glicemici eccessivi e conseguente ipoglicemia secondaria. Infine, entro la mezz’ora precedente l’avvio della competizione, è possibile introdurre una piccola quantità di carboidrati sottoforma di maltodestrine diluite in acqua.

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98 D.L., Costill, Carbohydrates for exercise. Dietary demand for optimal performance, Int J Sports, 9:1-18, 1988 99 C. Peden, Sherman, W.M., D’Acquisto, L. and Wrigt, D.A., Preecercise carbohydrate meals enhance performance, Medicine and Science in sport and exercise, 21, S59, 1989.

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Il discorso muta se parliamo di competizioni in cui l’intensità è di tipo massimale o sub massimale (superiore al 90% del VO2max) ed ovviamente la durata temporale assai ridotta. In queste circostanze, soprattutto per competizioni estremamente brevi, le scorte di glicogeno vengono utilizzate solo in misura molto modesta. Tuttavia numerosi autori, a seguito di sperimentazione, concordano con l’affermare che un’alimentazione con grande apporto di carboidrati nei giorni precedenti l’impegno sportivo, permette di ottimizzare anche lavori di tipo lattacido.


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