Déodat Roché
StUdi maNichei e catari IIa edizione riveduta e corretta Traduzione, introduzione, note aggiuntive, cronologia e glossario a cura di Franco De Pascale
Iniziazione spirituale dei cristiani catari Documenti e origine manichea del catarismo S.Agostino e i manichei del suo tempo La Pistis-Sophia – i catari e l’amore spirituale Il problema del male e della redenzione Il Graal pirenaico Catari e platonici cattolici
CambiaMenti
Titolo originale: Études manichéennes et cathares © 1952 di Déodat Roché Tutti i diritti sono riservati alla Société du Souvenir et des études Cathares - F - 81260 Ferrières
© 2006 Editrice CambiaMenti II edizione
ISBN 88-900823-0-5 - EAN-UCC 978-88-900823-0-6 editrice CAMBIAMENTI sas 40137 Bologna - Via dei Lamponi, 22 Tel. 051.52.24.40 www.CambiaMenti.com Progetto grafico di collana (copertina e interni) Energia di Emanuela Crivellaro
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Immagine di copertina: rogo di catari, particolare da “Chroniques de France”, Paris, Bibliothèque nationale; cl. BN. Le immagini di Déodat Roché ci sono state gentilmente concesse dalla rivista Cahiers d’etudes cathares
Intelletto d’Amore All’alba di una novella rinascenza del mondo, il Maestro dei Nuovi Tempi, audace, annunciò: “La somma di tutte le verità è presente in ogni singola anima e può fiorire, se l’anima vi si consacra.” Contemplando l’aurora dorata, il Maestro d’Occidente rispose: “C’è tanto odio nel mondo, quanto occorre trasformarne in Amore.”
Animae celesti meae reginae lucis Hoc opus fideli corde dicavi. Curator
INVITO
“Questo paese trasuda l’eresia”: così si esprimeva la nostra guida su un sito occitano testimone dell’esistenza, nel XII° secolo, di una comunità catara di donne e di fanciulli. In Languedoc, non v’è luogo che non custodisca nel segreto di qualche grimoire o nello sguardo d’un contadino, la certezza che una diversa via arricchisca il desiderio d’illuminare ciò che viene scosso dal dubbio che ancor sussiste dietro il teatro dei giorni e dei mesi. Su quest’istmo tra Mediterraneo e Atlantico, protetto dai Pirenei come dalle Cévennes, dal Quercy e dal Périgord, il Catarismo risplendette per tre secoli per poi fondersi nella memoria delle famiglie e nella disposizione dei paesaggi. Nel Tolosano, il risveglio coraggioso del pensiero gnostico alla fine del XIX° secolo, suscitò una ‘Queste’ dell’insegnamento cataro. Fu in questo fermento, nutrito dall’atteggiamento fiero e laborioso di suo padre, che Déodat Roché, giovane magistrato, orientò le sue aspirazioni e i suoi studi. Alla ricerca di movimenti contemporanei, in Europa, bagnati dalla Gnosi, Déodat Roché fu presto ricondotto nel 1925 nelle sue natali Corbières, a sud di Carcassonne. Nessun altro focolare meritava meglio la sua presenza in quel “Midi” della Francia ove il Manicheismo portò la sua fiamma sotto la veste delle comunità catare. Egli vi consacrò la sua vita. Giacché, erede del puro lignaggio dei sapienti, inscrisse se medesimo nell’applicazione della sua filosofia, conformandosi ai precetti che proponeva, portando nel suo slancio l’aspettativa d’una via ritrovata della quale era testimone nella sua vita quotidiana, nei suoi incontri amichevoli e nell’ospitalità del suo cuore. Se la creazione dei Cahiers d’Études Cathares nel 1949, poi della Société du Souvenir e des Études Cathares due anni più tardi, avven-
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nero allorché superò il suo 75° compleanno, fu per offrire una conveniente assise all’emergere di questo rinnovamento che egli stesso sostené con tutte le sue energie: nel 1936, la sua conferenza sul Catarismo a Montpellier gli valse una notorietà evidente. Da allora in poi, non ebbe sosta nel riunire cercatori ed appassionati sui luoghi ove dorme la memoria del Catarismo allo scopo di rivelare alla nostra coscienza l’essenza luminosa che il Manicheismo vi ha infuso. Il cammino seguito da questo ‘errante’ salutare è per lui unica forza di novella risorgenza. Per un secolo la sua vita tracciò un vettore potente per la nobilitazione di una ‘Queste’ così profondamente rinnovata. Un detto popolare vuole che Bélibasta, ultimo ‘conduttore’ dei Catari nella Languedoc devastata dai furori della Crociata contro gli Albigesi, abbia lanciato salendo sul rogo questo annuncio: “Tra settecento anni l’Alloro rifiorirà” (“Al cap de sèt cents ans verdeja lo Laurel”). Questo termine: ‘Laurel’ (Alloro) porta, in occitano, gli anagrammi della lode, del lavoro nei campi, dell’oro dei trovatori. L’alloro, compagno dei giardini di ogni casa, testimonia di questa certezza che una vita spirituale sottende l’esistenza delle anime. Non poteva esservi miglior asseveratore per un popolo in attesa. Déodat Roché, nella sua opera e con la sua vita, ne fu così il messaggero al termine atteso di sette secoli: ecco, in una traduzione scelta, il suo testo fondante. Tutti gli amici che vegliano a prolungare ‘l’aratura’ adempiuta da Déodat Roché, avvertono in questa edizione nella lingua del ‘sì’ – questo linguaggio così adatto a far cantare la nostra anima – lo slancio per servire ancor meglio questo apostolato. Ne siano qui vivamente ringraziati i suoi artefici. Olivier Cébe Segretario generale della Société du Souvenir et des Études Cathares (Cahiers d’Études Cathares – F – 81260 Férrières)
INDICE
XI XLII XLIV
Introduzione Bibliografia essenziale Avvertenza Studi manichei e catari Prefazione
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I. Introduzione: Iniziazione spirituale dei cristiani catari
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II. I documenti catari; l’origine manichea e le due principali Scuole del catarismo
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III. Sant’Agostino e i manichei del suo tempo
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IV. La Pistis-Sophia. Fede e Saggezza. Insegnamento del Cristo Risorto 103
I Parte: La gnosi della Pistis-Sofia, 135 II Parte: La gnosi della Pistis-Sofia, 162
V.
I catari e l’amore spirituale
Testi manichei e catari, 228
185
VI. La dottrina dei catari sul problema del male e sulla Redenzione 233
I Parte: Il problema del male, 233 II Parte: La Redenzione, 260
VII. Il Graal pirenaico: catari e templari
293
VIII. Conclusione: I catari e i platonici della Scuola di Chartres
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Appendici
343
I Gnostici e manichei, 343; II Origine manichea del catarismo. I documenti, 355; III Origine manichea del catarismo. La storia, 362.
Note Cronologia Glossario
371 407 419
Déodat Roché
PREFAZIONE
Da più di mezzo secolo abbiamo rivolto la nostra attenzione alle gnosi, le scienze spirituali antiche, in particolare quelle del manicheismo e del catarismo. Abbiamo concentrato le nostre ricerche su tutti i documenti che la storia delle religioni e quella della filosofia hanno potuto offrirci. Abbiamo anche ricercato nelle principali società occulte della nostra epoca le vestigia di tradizioni da lungo tempo dimenticate. Perché potessimo ristabilire le dottrine che ci interessavano è stato necessario avere nelle mani documenti manichei e catari e studiarli con i metodi precisi, obiettivi, dell’erudizione moderna; ma, fatto questo, abbiamo considerato che non è stato detto tutto, quando dei libri sono stati classificati in una biblioteca come oggetti senza vita, come cadaveri in un cimitero. Bisognava chiarire il senso di quelle dottrine attraverso un’intuizione filosofica che rispondesse al loro spirito di sintesi, e penetrarle, dato che esse sono fondate sulla conoscenza diretta del mondo spirituale, mediante comparazioni con i dati analoghi di una scienza dello spirito moderna e vivente. Inoltre abbiamo dapprima pubblicato nella rivista «La Science Spirituelle» di Parigi, 90 rue d’Assas, i primi studi che si trovano in questo volume, aggiornati in seguito alle più recenti scoperte. Si tratta della Introduzione del 1925 sulla «Iniziazione spirituale dei cristiani albigesi» e dello studio del 1931-32 su «La dottrina dei catari sul problema del male e sulla redenzione». La pubblicazione che facemmo, poi, della nostra comunicazione del 7 maggio 1937 al Congresso delle Scienze Storiche, tenu-
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to alla Facoltà di Lettere di Montpellier, sul catarismo, il suo sviluppo nel Mezzogiorno di Francia e le crociate contro gli albigesi, ci ha mostrato quanto questo problema interessi i nostri contemporanei, e più ancora ce lo ha mostrato il successo della riedizione che ne facemmo nel 1947, con alcune aggiunte, all’Istituto di Studi Occitani di Tolosa. Abbiamo, da allora, iniziato a scrivere, nel «Génie d’Oc», nei «Cahiers du Sud» e nei «Cahiers d’Études Cathares» da noi editi, alcuni studi dei quali si troverà la prima serie in questo volume. In essi abbiamo risposto a dubbi, a incomprensioni che speriamo di dissipare nei lettori in buona fede e senza pregiudizi, sia per quanto concerne la genesi cristiano-manichea del catarismo sia sul mezzo di restituire l’essenziale delle dottrine attraverso opere che erano nelle mani dei catari o attraverso la tradizione orale che essi ne hanno avuto. Come abbiamo detto il 23 maggio 1946 in occasione di una conferenza tenutasi al «Centre International de Synthèse» di Parigi, da quando i catari furono perseguitati durante il periodo delle crociate e delle inquisizioni, è stato possibile raccogliere soltanto frammenti delle loro dottrine, come si sarebbe potuto fare delle ceneri e delle ossa dai loro roghi. Spesso li si è ricongiunti con una erudizione tanto grande quanto impressionante, ma senza quella critica costante delle testimonianze che deve essere alla base dei giudizi della storia. Potremmo dare numerosi esempi del modo in cui gli inquisitori, ed alcuni storici, hanno raccolto le opinioni caotiche che essi hanno attribuito ai catari. Ve n’è uno notevole nella «professione di fede dei catari fiorentini» riportata in latino da J. Guiraud nella sua «Histoire de l’Inquisition au Moyen-Age» (vol. II, pp. 456-57). Ne leggeremo l’analisi nello studio sui documenti catari. Non si sa nulla dei due testimoni che hanno firmato questa dichiarazione, scritta e redatta dall’inquisitore, se non che uno di essi non ne capiva niente. Certo vi si trovano indicazioni interessanti, che riporteremo,
Prefazione
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ma non è sicuro che siano tutte conformi alle dottrine catare. Le dottrine non si ricostruiscono attraverso le affermazioni di uditori più o meno istruiti, perché in tal modo si raccolgono soltanto elementi sparsi, nei quali Pierre Breillat non ha visto una sintesi nella «Revue du Languedoc» del 15 giugno 1943 (p. 130): non si raccolgono che membra sparse, delle «disjecta membra la cui riunione raffazzonata non può dar luogo che ad un mostro senza esistenza reale». Siamo sempre del parere che bisogna procedere come già proponemmo nel 1937: partendo dalle indicazioni degli inquisitori e dei polemisti, risalire il più rapidamente possibile ai documenti che erano nelle mani dei catari e alle dottrine che erano state loro trasmesse, penetrarle attraverso una conoscenza della filosofia e anche della teosofia occidentale che troppo mancava a storici eruditissimi, ma innanzitutto teologi, e riunire questi elementi in uno spirito di sintesi che ci permetta di tornare a cogliere quanto c’era di vivente e di efficace in essi. Sulla base del consiglio che dette Maurice Croisset per lo studio della Grecia antica, il giorno dell’inaugurazione del «Centre International de Synthèse», noi scartiamo la storia convenzionale, ci rivolgiamo direttamente alle opere degli gnostici, dei manichei e dei catari; infine, per «trasportarci in spirito nel loro tempo e rifarci un’anima simile alla loro», abbiamo spesso meditato sulle sacre colline di Montségur e di Montréalp-de-Sos nell’Ariège, così come nelle grotte d’Ussat. Ma per essere storici della vita e non becchini, dobbiamo sbarazzarci delle fables convenues e dei pregiudizi teologici. Bisogna considerare almeno per qualche istante con una immaginazione simpatetica una religione filosofica che si ricollega alle più grandi religioni e alle più grandi filosofie dell’antichità. Abbiamo riportato in «Documenti e commentari» de «Le Catharisme» (seconda edizione) una esegesi dei miracoli di S.Domenico con alcuni esempi curiosi di quelle fables convenues che alcuni stimati storiografi, come Luchaire nella sua opera su Innocenzo III e la
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crociata degli albigesi, narrano come fatti storici, seguendo lo scritto pieno di preconcetti e di falsi miracoli del monaco Pierre des Vaux de Cernay. Sono i pretesi miracoli del libro e delle spighe insanguinate attribuiti a S.Domenico, così come quello della prova del fuoco dalla quale solo gli «ortodossi» sarebbero usciti indenni. Quanto ai pregiudizi teologici, essi attribuiscono poco valore a dottrine la cui ispirazione era alquanto diversa da quella del giudeo-cristianesimo, e che si esprimeva soprattutto attraverso miti, alla maniera di Platone. Eppure, esse erano profondamente cristiane, come riconosce il P. Lebreton a proposito del manicheismo nella sua «Histoire de l’Église» edita da Bloud et Gay (vol. II, cap. XI), e come si potrà vedere leggendo i nostri studi sulla genesi della religione catara. Chiediamo semplicemente ai cristiani di tutte le confessioni di aprire la loro mente e il loro cuore più di quanto lo facessero i cristiani ai tempi di Clemente d’Alessandria: coloro ai quali quell’illustre Padre della Chiesa rimproverava nei suoi «Stromata» (Libro 6, Cap. 11, par. 89.1) di tapparsi le orecchie, come i compagni di Ulisse per paura di essere sedotti dalle sirene, e di passare così – nell’ignoranza delle lezioni dei Greci - accanto al ritmo e all’armonia. Déodat Roché
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INTRODUZIONE: l’iniziazione spirituale dei cristiani catari
La corrente spirituale venuta dall’Oriente, giunta in Francia nell’XI secolo, addirittura sin dalla fine del X secolo, si è diffusa soprattutto nel Mezzogiorno nel XII e nel XIII secolo con il nome di catarismo; essa ha lasciato tracce profonde nella nostra memoria. Del resto è vero, come dice S. Reinach, che «ancora cerchiamo a Béziers e a Carcassonne monumenti espiatori alla memoria dei martiri albigesi»(1) e che la violenza dei crociati e degli inquisitori ha trovato apologeti persino ai nostri giorni. Il miglior modo di rendere omaggio ai catari è certamente quello di ricostruire la loro immagine, deformata dal fanatismo o dall’ignoranza dei loro avversari. Gli apologeti dell’Inquisizione sono incapaci di comprendere una tale corrente spirituale. Credono di averla sufficientemente squalificata quando hanno impiegato tutto il loro sapere nel ricollegarla alla gnosi o al manicheismo, e cioè a un insieme di dottrine generalmente mal comprese, deformate e disprezzate. Per penetrare il senso delle dottrine catare, è necessario illuminarle per mezzo delle stesse esperienze spirituali che le hanno generate. Per ritrovare le loro origini, bisogna conoscere l’evoluzione spirituale e la corrente alla quale esse si ricollegano. La moderna Scienza dello Spirito è qualificata attraverso i suoi metodi per illuminare questo argomento, e il senso profondo dell’evoluzione spirituale, che l’insegnamento di Rudolf Steiner risveglia, può permetterci di collocare il movimento cataro al suo vero posto nella storia. ***
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Studi manichei e catari
Gli storici hanno troppo spesso cercato di contrapporre, le une alle altre, espressioni diverse delle stesse verità, o di determinare se queste espressioni fossero eretiche od ortodosse rispetto a dogmi teologici. Essi hanno così continuato (anche non intenzionalmente) l’opera superficiale e veramente materialistica degli inquisitori; non hanno compiuto un’opera storica profonda, perché hanno disconosciuto la più salda intenzione dei nostri antenati; i catari non avevano, in effetti, concili dogmatici volti a fissare delle formule, e ancor meno a determinare la loro concordanza con i dogmi dei concili cattolici, di modo che accostarli con pregiudizi dogmatici è veramente vietarsi di penetrarli e di comprenderli. Se vogliamo cogliere l’atteggiamento dei catari nei confronti del cristianesimo, dobbiamo considerare che essi avevano un grande rispetto per i Vangeli, e in particolare per quello di Giovanni. È noto che portavano sempre con sé una copia del Nuovo Testamento, nel corso delle loro frequenti visite ai credenti. Sarebbe veramente singolare pretendere, come fa lo storico Schmidt, che fosse per rivestire le loro dottrine «eretiche» di apparenze cristiane, poiché lo stesso Schmidt ha riconosciuto la loro sincerità quando ha scritto(2) queste righe: «Uomini che, il più delle volte braccati, fuggiaschi, circondati da mille pericoli, conservano ciò nonostante la loro fede; uomini che si gettano con gioia nelle fiamme dei roghi, possono essere degli entusiasti, mai degli impostori o degli ipocriti». Guiraud vuole pure ammettere(3) che, senza dubbio in buona fede, i «perfetti» si credevano cristiani e successori degli apostoli. Il Nuovo Testamento, dal quale essi citavano così spesso dei passi, era con ogni evidenza per loro il libro di meditazione preferito, e questo ci permette di caratterizzare il loro atteggiamento essenziale: essi avevano la profonda intenzione di essere veri cristiani e ciò che ricercavano attraverso le loro meditazioni era la reale iniziazione che consegue alle esperienze spirituali. Dob-
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biamo dunque mostrare, per farli conoscere sotto la loro vera luce, come essi si preparavano a questa iniziazione ed in cosa essa consistesse. *** I catari erano svincolati da quel dogmatismo che impone alla massa una fede cieca, e che è il più grande ostacolo a una iniziazione personale, ma essi non seguivano tuttavia neppure il percorso sentimentale e mistico dei Santi cattolici, per i quali la salvezza era nell’imitazione delle sofferenze di Gesù Cristo. L’insegnamento delle dottrine era per essi il mezzo per preparare i credenti alla pratica delle virtù morali ed alla purificazione, che sola permette di comprendere e ricevere l’iniziazione spirituale. Non daremo di queste dottrine che i tratti indispensabili all’intelligenza della questione di cui ci occupiamo. Per parlarne maggiormente bisognerà prima ricostruirle secondo il loro spirito autentico, che non era assolutamente astratto, poiché i catari descrivevano in miti immaginativi l’azione concreta delle entità spirituali che hanno contribuito alla formazione dell’uomo (è possibile esprimere un giudizio in merito, attraverso un trattato che si trova negli archivi dell’Inquisizione di Carcassonne: «Le domande di Giovanni e le risposte del Cristo», o la «Cena Segreta»); occorrerà anche spiegarle attraverso l’insegnamento dei filosofi platonici del Medioevo, poiché è accertato che i ministri catari erano scelti spesso tra i giovani che avevano fatto studi letterari e filosofici completi e che «erano (se vogliamo credere su questo punto allo storico erudito di S.Domenico) una élite mirabilmente formata per la predicazione e il ministero delle anime»(4). L’uomo era essenzialmente costituito, secondo i catari, da un corpo, da un’anima e da uno spirito. Essi citavano a sostegno della loro dottrina alcuni passaggi dei Vangeli e la parola di Paolo nella sua prima Lettera ai Tessalonicesi «che tutto ciò che è in voi, lo spirito, l’anima e il corpo si conservino senza macchia…». Tuttavia in quel caso si trattava della costituzione dell’uomo pri-
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mordiale, che nell’epoca celeste viveva in un corpo spirituale; ma l’uomo non ha conservato la sua unità originaria, si è frammentato in anime individuali che sono discese entro corpi terrestri, entro corpi di fango (corpora lutea). Queste anime si sono lasciate andare all’attrazione dei sensi, alla concupiscenza, ai desideri carnali, e pertanto sono cadute in un lungo sonno, hanno perduto coscienza della loro unione con lo spirito e con il corpo spirituale, hanno dimenticato la loro origine celeste. Gli uomini alle prese con la carne hanno dovuto subire le malattie, passare attraverso la morte e rinascere in nuovi corpi per purificarsi attraverso vite successive, per liberarsi della materia, ma le loro anime devono alla fine riallacciare la loro unione con lo spirito che le attende, come incatenato da esse in prigioni di carne. L’azione morale che i ministri catari esercitavano aveva quindi per scopo quella purificazione che prepara il ritorno della coscienza spirituale, e ne leggiamo la prova in queste poche righe scelte nel testo dell’esame di coscienza dei credenti: «Mentre … i nostri fratelli spirituali predicano affinché respingiamo ogni desiderio della carne e ogni sozzura, e facciamo la volontà di Dio, adempiendo il bene perfetto … noi soddisfiamo il più delle volte i desideri della carne e le preoccupazioni del mondo, cosicché nuociamo ai nostri spiriti …». «Oh Signore, giudica e condanna i vizi della carne, non aver pietà della carne, nata dalla corruzione, ma abbi pietà dello spirito che è imprigionato» (Aias merce del esperit pausat en carcer)(5). I credenti che volevano veramente prepararsi alla vita spirituale ricevevano d’altronde dei consigli personali dai cristiani catari; una riforma radicale dei costumi era necessaria per arrivare alla ricostituzione dell’unità umana. Occorreva purificarsi dai desideri e dalle passioni, imparare a resistere alle tentazioni della carne, alle seduzioni sessuali, causa della decadenza delle anime. Il credente doveva quindi passare in meditazione un periodo di prova o di astinenza (astenencia) che durava almeno un anno e
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spesso di più, e per accelerare la sua purificazione imparava anche ad astenersi da alimenti di origine animale, che rafforzano le tendenze passionali dell’anima. Quando era sufficientemente preparato, il credente era ricevuto tra i cristiani, non certo per vivere in una contemplazione passiva, ma per partecipare a un’instancabile attività nei centri d’istruzione e d’accoglienza, nelle scuole per giovani, nella predicazione e nell’aiuto, sia spirituale sia caritatevole dato ai credenti. Se vogliamo precisare in cosa consisteva questa purificazione che conduceva verso una nuova vita, possiamo dire che evidentemente ciò che accadeva nel corso del periodo di prova non era altro che una Kàtharsis, o purificazione dell’anima così profonda che permetteva al credente di ricevere l’iniziazione spirituale, cioè di accogliere in piena coscienza nella propria anima rigenerata lo Spirito Consolatore. Il termine greco di Kàtharsis spiega perché si sia potuto dare agli iniziati il nome di catari o puri, ma quello di perfetti ha esagerato e deformato la percezione del loro pensiero. L’inquisitore Raniero Sacconi, nella sua «Summa de catharis» usa il nome di catari. Gli inquisitori del Mezzogiorno, redattori delle deposizioni che ricevevano, scrivevano «eretici» o «eretici rivestiti»; ma talvolta lasciavano passare l’appellativo di «bons hommes»(6); comunque, nel testo del rituale occitano(7) si dà ai catari iniziati il nome di cristiani e di bons hommes, e il popolo li chiamava solo in questo modo. *** L’entrata dell’iniziato in una nuova vita era contrassegnata da un rito solenne , tuttavia rimasto semplice e che non era segreto, poiché i credenti potevano assistervi. Era il rito della consolazione, o Consolamentum. Lo storico Schmidt ne descrive così lo svolgimento: «Quando il recipiendario si era preparato attraverso la prova preliminare, veniva introdotto in silenzio nel luogo dove l’iniziazione doveva essere celebrata; numerose fiaccole accese erano disposte lungo i muri, indubbiamente per simboleg-
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giare che si stava per dare a un fratello il battesimo del fuoco; al centro si trovava una tavola coperta con un drappo bianco, sul quale era posto il volume del Nuovo Testamento. Prima d’iniziare la cerimonia, i ministri, così come tutti gli astanti, si lavavano le mani, perché nessuna sozzura compromettesse la purezza del luogo. L’assemblea si disponeva quindi in cerchio, secondo il rango che ciascuno occupava nella setta, e serbando il silenzio più rispettoso; il novizio si poneva al centro, a poca distanza dalla tavola che fungeva da altare». Nel «rituale cataro» che fa seguito al Nuovo Testamento, pubblicato da L. Clédat, è possibile trovare preziosi dettagli sulla cerimonia. – A questo punto dobbiamo far notare che questo rituale, di cui viene data la traduzione francese all’inizio della riproduzione fotolitografica del Nuovo Testamento, non dovrebbe essere definito provenzale, bensì occitanico, perché è scritto in lingua d’Oc e probabilmente nel dialetto dell’Aude e del Tarn. È anche probabile che i catari abbiano preso il nome di albigesi dalla città di Albi. – Quando i cristiani sono d’accordo nell’accogliere un credente che è in astinenza, gli si dà prima l’orazione, vale a dire il Pater, che è sempre detto in latino, preceduto da un’allocuzione che si basa su citazioni dal Nuovo Testamento. In tal modo il credente è ammonito ed esortato con testimonianze appropriate(8).Questa allocuzione, o discorso preliminare, illustra il senso dell’orazione del «Pater» per mezzo di testi scelti, cui seguono alcuni chiarimenti: «La Chiesa significa riunione, è là dove sono i veri cristiani, là sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, come dimostrano le sacre Scritture». I testi precisi che vengono in seguito citati parlano del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e della loro manifestazione nell’uomo, così come appare in questa citazione di Paolo (1a Lettera ai Corinzi, III, 16-17): «Non sapete che voi siete tempio del Dio vivente e che lo Spirito di Dio è in voi?». Le parole dell’orazione dominicale erano già conosciute dai credenti, poiché il manuale di confessione posto all’inizio del rituale occitano (pagina X)
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indica che essi avevano l’abitudine di recitarla. È quindi evidente che l’anziano spiegava il significato spirituale di questa orazione al credente che egli iniziava. E in effetti il frammento del rituale latino di Firenze(9) inserisce qui un commento approfondito di questo senso dell’orazione, che «certamente è breve, ma contiene molte cose». (Oratio quidem brevis est, sed magna continet). L’anziano, del resto, aggiungeva che per riceverla fruttuosamente il credente doveva pentirsi di tutte le sue colpe e perdonare tutti, conservandola così per tutto il tempo della sua vita. L’allocuzione indica che il Padre Santo vuole ricevere il suo popolo, che gli spiriti maligni hanno separato da Lui, e che vuole riceverlo «con l’avvento di suo Figlio Gesù Cristo». J. Guiraud, basandosi su una presunta testimonianza dell’Inquisitore Raniero Sacconi (10) , ammette che dopo la comunicazione dell’orazione e prima dell’atto di iniziazione ai credenti veniva richiesto un rinnegamento del battesimo d’acqua e della Chiesa romana. Questa affermazione è inverosimile, e d’altronde non la ritroviamo nel passaggio citato dal testo della «Summa de catharis», passaggio aggiunto successivamente, e neppure autentico(11); non è nemmeno riprodotto nell’edizione di Dondaine(12). Notiamo tuttavia che in un’altra opera J. Guiraud(13) cita Pierre des Vaux de Cernay(14) che, in effetti, descrive questa pretesa rinuncia, ma sappiamo che le informazioni date da questo autore, così partigiano, non sono tra le più sicure. Il numero di preti e di monaci cattolici conquistati dal catarismo sembra essere stato notevole, e questo preteso rinnegamento li avrebbe obbligati a lasciare la Chiesa romana; cosa che non facevano affatto. Basterebbe d’altronde citare ciò che lo stesso Guiraud scrive in merito ad alcuni cappellani «eretici», e in particolare quello di Amaury de Montfort. Nel 1220 Gaubert, cappellano del conte di Montfort, andava a Fanjeaux ad ascoltare, in compagnia di un converso di Prouille, Pierre Roger, il cataro Raymond Mercier e il suo compagno, e li veneravano piegando
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le ginocchia … «Fino a che punto l’eresia doveva insinuarsi nel clero, se era capace di arrivare fino a Prouille, mentre era ancora vivo S.Domenico, e nella cerchia più intima di Amaury de Montfort, il capo della crociata?»(15). Del resto, l’affermazione di Pierre des Vaux de Cernay viene smentita dal nostro testo. Dopo la comunicazione dell’orazione che esigeva il perdono delle colpe, non vi era spazio per una polemica, e in effetti, si legge solo una magnifica preparazione al battesimo dello Spirito. Il frammento del rituale latino di Firenze è del resto molto preciso a questo riguardo(16). «Non si deve credere che ricevendo questo battesimo (dello Spirito), dobbiate disprezzare l’altro battesimo, né quanto di cristiano e di bene avete fatto o detto finora, ma dovete capire che è necessario che voi riceviate questa santa ordinazione del Cristo come il supplemento di ciò che non è bastato alla vostra salvezza». Anche in questo caso, come per la prima allocuzione, troviamo una scelta di testi brevi, ma possiamo comunque rimettervi un certo ordine. La superiorità del battesimo dello Spirito vi è indicata senza ulteriori commenti, attraverso le parole di Giovanni Battista (Vangelo di Giovanni I, 26-27) e di Gesù Cristo (Atti degli Apostoli I, 5) che possiamo così riassumere: Giovanni Battista ha battezzato con l’acqua, ma Gesù Cristo è più potente di lui e battezzerà con lo Spirito Santo. «Questo santo battesimo, attraverso il quale viene dato lo Spirito Santo, la Chiesa di Dio l’ha conservato a partire dagli apostoli fino ad oggi, facendolo pervenire, di “bons hommes” in “bons hommes”, fino ad oggi, e continuerà a farlo fino alla fine dei tempi». L’allocuzione indica di seguito, con l’ausilio di precise citazioni, i poteri spirituali che risultano da questo battesimo, e insiste sulle condizioni nelle quali li si acquisisce. «E, se volete ricevere questo potere e questa potenza, occorre che osserviate tutti i comandamenti del Cristo e del Nuovo Testamento, secondo il vostro potere … occorre ugualmente che odiate questo mondo e le sue opere, e le cose che sono in esso».
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Il credente faceva allora onorevole ammenda delle sue colpe e l’assemblea dei cristiani gliele perdonava: poi gli era data la Consolazione(17). L’anziano prendeva il libro e glielo poneva sul capo, mentre gli altri “bons hommes” imponevano su di lui ognuno la mano destra. Tutti, insieme, pronunciavano queste parole: «Pater sancte, suscipe servum tuum in tua justitia et mitte gratiam tuam et spiritum sanctum tuum super eum». (Padre Santo, accogli il tuo servitore nella tua giustizia e poni la tua grazia e il tuo Spirito Santo su di lui). Se era una donna: «Pater sancte, suscipe ancillam tuam … super eam» (Padre Santo, accogli la tua ancella … su di lei, ecc.). Pregavano Dio con l’orazione e l’anziano leggeva un passaggio del Vangelo, di solito i primi 17 versetti del Vangelo di Giovanni. La cerimonia terminava, come quella dei primi cristiani, con il bacio della pace, ma con una precauzione commovente e pura allo stesso tempo, poiché, da sola, l’imposizione del Nuovo Testamento sulla spalla trasmetteva l’abbraccio fraterno da un sesso all’altro. «Essi fanno la pace tra loro e con il libro». Un credente che non era in condizione di ricevere il Consolamentum nel corso della sua vita terrena, chiedeva solitamente di riceverlo prima della morte. La consolazione gli veniva conferita in tal caso secondo un rituale analogo ma semplificato, quando era gravemente malato e in imminente pericolo di morte. *** Ci sarà utile rilevare innanzi tutto il parere di J. Guiraud(18) in merito alle allocuzioni che precedono il Consolamentum, per vedere fino a che punto le sue tendenze dogmatiche si siano scontrate con la verità profonda che egli attribuisce a questi testi. Egli si compiace di considerare come un fatto «veramente strano» … il linguaggio volontariamente «ortodosso» della prima allocuzione pronunciata davanti ad amici, quando non si trattava di sviare gli avversari, e scrive della seconda (che veniva pronunciata nelle stesse circostanze): «Essa deriva da un’ispirazione cristiana talmente pura che avrebbe potuto essere stata pronunciata tanto
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da un inquisitore quanto da un eretico». E conclude del resto così il suo erudito raffronto del Consolamentum con il culto cattolico: «I riti catari del XIII secolo ci ricordano quelli della Chiesa primitiva con una verità e una precisione tanto più grandi quanto più ci si avvicina all’epoca apostolica». Egli si spinge ancora più oltre in una sua opera precedente(19), in cui le cerimonie catare gli appaiono come «vestigia archeologiche della liturgia cristiana originaria … ultima testimonianza di uno stato di cose che il regolare sviluppo del culto cattolico aveva amplificato e modificato». Questa interessante confessione conferma la tesi del nostro testo sull’origine puramente cristiana del rito cataro, e speriamo ora di far cogliere attraverso i nostri commenti perché i “bons hommes” avevano ragione quando dicevano che questo rito si sarebbe conservato fino alla fine dei tempi. Questo rito, come abbiamo fatto notare, era pubblico, ma rispondeva a delle realtà spirituali che soltanto gli iniziati erano in grado di conoscere. L’iniziato, la cui anima ha raggiunto un grado sufficiente di purezza, viene ricevuto all’interno di un cerchio in cui brillano numerose fiaccole che rappresentano delle stelle; egli si trova dunque nel mondo astrale. Il cerchio formato dagli iniziati è l’involucro protettivo che, con la sua forma circolare, rappresenta la vita pura e perfetta nella quale egli si impegna. Lo spirito vi si manifesterà e il Verbo puro, rappresentato dal Nuovo Testamento, vi eserciterà la sua azione. Mentre i “bons hommes” impongono le mani sul nuovo cristiano e pronunciano la loro invocazione, il Paracleto, lo Spirito consolatore, gli appare sotto forma di entità astrale. E quando l’anziano pone il libro al di sopra del suo capo, l’iniziato, illuminato dalla luce dello Spirito, vuole leggere la scrittura occulta che manifesta, ai suoi occhi chiaroveggenti, sotto una forma immaginativa, la parola del Vangelo, l’azione del Verbo che potrà ormai farsi sentire sempre più chiaramente nel suo corpo astrale purificato. In tal modo l’anima ha ritrovato lo spirito da cui si era separa-
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ta (noi diremmo: di cui essa aveva perduto coscienza), e da esso riceve oramai particolari illuminazioni, precisi aiuti e consolazioni che hanno fatto attribuire a questa riunione il nome stesso di Consolamentum. *** Quale importanza hanno attribuito i catari alla celebrazione esteriore del loro culto? Lo apprendiamo dalle risposte che davano a coloro che non comprendevano il fatto di come potevano considerare un atto materiale ed esteriore come l’indispensabile mediazione dello Spirito Santo(20). Alcuni rispondevano che «secondo S.Paolo (2a Lettera ai Corinzi, IV, 16), vi è un corpo esteriore e un corpo interiore, e che nel Consolamentum non è la mano visibile che agisce, bensì la mano interiore e invisibile», e altri «non consideravano l’imposizione delle mani che come un atto simbolico e accessorio; l’essenziale è la preghiera; è questa che, secondo loro, faceva tutto; conservavano l’imposizione delle mani solo perché era un retaggio apostolico». Queste due spiegazioni non sono in realtà che una sola quando si coglie il legame che le unisce. La meditazione o la preghiera richiamano l’azione della mano interiore dei Maestri spirituali sul corpo interiore o corpo astrale del discepolo, di modo che, se è vero affermare che l’imposizione delle mani impartita esteriormente non era che un atto simbolico, nondimeno essa corrispondeva a una realtà spirituale, all’imposizione delle mani data interiormente da un Maestro spirituale. Per la comprensione e l’approfondimento dello spiritualismo puro dei catari, che andava al di là dei riti stessi che essi praticavano come simboli, abbiamo oggi l’aiuto della Scienza dello Spirito, insegnata da Rudolf Steiner, che non si limita ai simboli e ai riti esteriori, e non li considera come indispensabili a una vera iniziazione spirituale cristiana. Possiamo quindi applicare questo aforisma enunciato da R. Steiner(21) riguardo al discepolo della Saggezza che si avvia sul sentiero della conoscenza: «Quanto meno ci si immaginerà che
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questa iniziazione consista in un rapporto esteriore umano, tanto più giusta sarà la rappresentazione che se ne avrà». Ed ecco perché gli inquisitori non hanno potuto impedire che una simile iniziazione fosse data attraverso i tempi (in saecula), «dalle alte potenze spirituali che guidano l’umanità», poiché il dominio dell’anima e dello spirito è al riparo da persecuzioni terrene. Dobbiamo spiegare nella stessa maniera il Consolamentum dato ai moribondi. I cristiani controllavano rigorosamente che venisse dato solo al momento estremo, perché allora era il segno della realtà spirituale che il credente avrebbe conosciuto; doveva corrispondere all’incontro che l’anima si preparava a fare con lo Spirito quando avrebbe lasciato il corpo fisico. Se cerchiamo un episodio del Vangelo di Giovanni che corrisponda a questa unione dell’anima con lo Spirito che gli antichi gnostici celebravano come nozze spirituali e che è rappresentato dal rito cataro del Consolamentum, lo ritroviamo nella resurrezione o iniziazione di Lazzaro. Leggendo «Il Cristianesimo come fatto mistico e i Misteri dell’antichità» di R. Steiner,(22) potremo vedere perché questo mistero celato nel segreto dei templi antichi sia stato prodotto davanti agli occhi di tutti gli uomini; coglieremo pure come i catari fossero nella tradizione cristiana, poiché davano il simbolo di questo mistero davanti ai credenti, e l’offrivano così a tutti i non iniziati. *** Dopo la Consolazione che si dava all’anima purificata, l’iniziato doveva realizzare in maniera pratica la purezza dell’anima nella sua vita di tutti i giorni. A tale scopo, egli si sottoponeva a un periodo di digiuno, per dominare la carne, sottomettere l’organismo e mantenere le promesse fatte nel giorno dell’iniziazione. Bisognerebbe condurre uno studio specifico sulla morale dei catari, per dissipare le incomprensioni e confutare i sofismi che si sono accumulati su questo argomento. Le restrizioni alimentari che erano prescritte riguardavano gli alimenti d’origine animale, che provengono dalla generazione e hanno perciò un’influenza
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sessuale. Non vogliamo dire che questo o quel dettaglio di quelle prescrizioni sarebbe applicabile nella nostra epoca, ma pensiamo che lo scopo di tale regime, completato da periodi di digiuno, fosse di favorire la castità assoluta dei cristiani senza diminuirne le forze vitali. Il fine essenziale degli iniziati era certamente di operare una riforma radicale del proprio temperamento e soprattutto di dominare la sessualità per sfuggire l’influenza delle entità avverse. Per favorire questa trasformazione, i cristiani catari facevano la confessione delle colpe commesse e ricevevano consigli pratici dai loro ministri nel corso di una riunione mensile che veniva designata col nome di «Appareilhament» (o di preparazione). Ritroviamo qui probabilmente la confessione pubblica dei primi cristiani. Per i catari l’Appareilhament era infatti un “servizio” che doveva essere offerto a tutti, dato che i credenti vi partecipavano con la lettura della formula di confessione pubblica e dell’esame di coscienza di cui abbiamo già fatto menzione, e ricevevano anch’essi l’indicazione delle “penitenze”, digiuni, orazioni, assistenza alle predicazioni che erano loro utili. Il rito della benedizione e dello spezzare il pane veniva compiuto all’inizio dei pasti, e il pane era distribuito a tutti senza distinzione, con la stessa semplicità. «Al tempo degli Apostoli – dice Guiraud(23), la Cena era celebrata allo stesso modo». Così, dopo la purificazione che aveva permesso la riunione dell’anima con il suo Spirito, si trattava per l’iniziato di “prepararsi”, vale a dire di purificare il suo temperamento e le sue abitudini; è così che ogni giorno poteva veramente mettersi ancor più in rapporto con le forze vitali della terra, animate dal Cristo, nutrirsene realmente e comunicare con esse. Se apriamo il Vangelo di Giovanni, vi troveremo che Gesù, prima della Cena lavò i piedi ai suoi discepoli, perché potessero partecipare al suo regno. Egli ha dato loro l’insegnamento di rendersi questo servizio l’un l’altro per purificare la parte dell’uo-
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mo che tocca la terra e che occorre incessantemente purificare affinché tutto l’essere umano conservi la sua purezza. *** Da questo possiamo dedurre che l’insegnamento dottrinale era per i catari la preparazione a una conoscenza diretta di cui si rendevano degni attraverso la loro purificazione morale e le loro meditazioni spirituali. Abbiamo visto che i loro riti portavano indubbiamente il marchio di un’origine cristiana, e che la celebrazione in pubblico attribuiva loro quel carattere essenziale che distingueva l’iniziazione cristiana dai misteri segreti dell’antichità. Cercheremo, attraverso lo studio dei documenti a nostra disposizione, di ricostruire tali dottrine, volgendoci innanzi tutto al passato e comparandole con a quelle degli gnostici e dei manichei. Le chiariremo in seguito con l’ausilio degli insegnamenti della moderna Scienza dello Spirito i cui metodi rispondono esattamente alle esigenze della nostra epoca. È verso la metà del XIII secolo (verso il 1250) che il movimento cataro della Francia meridionale è stato sconfitto attraverso la crociata e l’Inquisizione, dopo mezzo secolo di lotta ardente nel corso della quale i catari furono decimati col ferro e col fuoco. Il principale rifugio dei “bons hommes” fu il castello di Montségur, situato nell’Ariège, su una delle cime dei Pirenei. Dovette arrendersi ai crociati nel mese di marzo 1244 e sul rogo innalzato ai piedi della montagna duecentocinque cristiani furono bruciati vivi. Una tradizione trasmessa con fervore dai nostri poeti vuole che il Mezzogiorno si ridesti dopo un sonno di sette secoli. Questo risveglio di un popolo che si è sacrificato allo Spirito deve essere essenzialmente una rinascita spirituale.