Camper - The Walking Society - Numero 12 - Corsica (IT)

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CAMMINARE significa viaggiare, spostarsi da un luogo a un altro. Significa anche progredire, migliorare, svilupparsi, innovare. The Walking Society è una comunità virtuale aperta a chiunque e a background sociali, culturali, economici e geografici eterogenei. A livello individuale e collettivo, promuove l’immaginazione e l’energia, apportando idee e soluzioni utili e positive per migliorare il mondo. In modo semplice e onesto. CAMPER significa contadino. L’austerità, la semplicità e la prudenza del mondo rurale si fondono con la storia, la cultura e i paesaggi del Mediterraneo, influenzando l’estetica e i valori del marchio. Il nostro rispetto per la tradizione, le arti e l’artigianato è il valore su cui poggia la nostra promessa: offrire prodotti utili, originali e di qualità, che promuovano la diversità, con la forte intenzione di svilupparli e migliorarli attraverso l’innovazione, la tecnica e l’estetica. Puntiamo a un approccio più culturale e umano all’attività imprenditoriale. CORSICA In CORSICA si va alla scoperta di un’isola con una geografia e un’identità estremamente particolari: una delle più grandi dell’area mediterranea, unisce in pochi chilometri quadrati un’anima marittima e una di montagna. E due identità anche culturali: quella italiana, più antica, e quella francese più recente. THE WALKING SOCIETY Il dodicesimo numero di The Walking Society è un viaggio in un Mediterraneo a tratti atipico, fatto di una vera e propria catena montuosa in mezzo alle acque. Un saggio anche sulla ricchezza – che spesso fa rima con complessità – di scambi, scontri ed evoluzioni di questo mare grande come un mondo. WALK, DON’T RUN.

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Dalla Corsica, guardando verso la terraferma, la costa più vicina è quella della Toscana, in Italia. A immaginarsi un gigante, lo si potrebbe far saltare sulle piccole isole che separano Bastia dall’Italia, quasi fossero un percorso di pietre messe lì apposta per l’attraversamento: prima Pianosa, poi Elba, infine Capraia. Da lì, l’ultimo balzo lo porterebbe al porto di Livorno, da cui partono le grandi navi che ogni giorno fanno la spola in poche ore con l’ex capitale dell’isola, appena sotto quel dito roccioso chiamato Cap Corse. Bastia fu fondata dai genovesi nel 1378 e divisa in due parti: Terra Nova, la città alta, protetta dai bastioni, e Terra Vecchia, quella bassa, aperta e in cui viene costruito il porto. Fino al Diciottesimo secolo la Corsica parla italiano. È parte della Repubblica di Genova, e i commerci si fanno con quella che qui chiamano Terra Ferma, ovvero il continente, soprattutto Liguria e Toscana. L’identità di quest’isola è divisa tra Francia e Italia, come testimoniano le numerose scritte sui muri della città. Sono rivendicazioni di indipendenza di un popolo che ha mantenuto sempre la sua lingua, ma anche messaggi allo stesso tempo spavaldi e leggeri, come quel “Campioni” tratteggiato con uno spray azzurro nel centro di Bastia per festeggiare la recente promozione del Bastia in Ligue 2, la seconda serie del campionato calcistico francese, ma che riecheggia anche la vittoria dell’Europeo, nella stessa estate, della Nazionale italiana. 6


Brutus Sandal S/S 2022 La Corsica ha poco meno di 340.000 abitanti, su una superficie di oltre 8500 chilometri quadrati: una densità estremamente bassa se paragonata al resto della Francia. Eppure, l’immigrazione verso l’isola è enorme, se confrontata con quella continentale: superiore di quasi quaranta volte.

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Thomas Marfisi si divide tra Parigi e Bastia. Lavora come attore e come cantante solista. Il suo stile musicale è ispirato al rock classico e ai classici dell’indie.

Maeva ha 30 anni ed è nata a Bastia. Prima ha vissuto a Tolosa, per dieci altri anni. Voleva tornare, anche perché qui c’è suo fratello, che ha un cinema. Lavora come fotografa e make-up artist, che è quello che ha studiato sul continente.

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Yannick è il fondatore dell’azienda agricola SoloBio, che si occupa di permacultura a Linguizzetta dal 2018. L’agricoltura che pratica e promuove è basata sul rispetto della terra, quella degli uomini e delle donne che la lavorano.

Saoirse si è trasferita a Bastia nel luglio 2021 dalla Bretagna. Lavora come assistente alla fotografia e tecnico delle luci. Della Corsica le piace particolarmente il clima, molto più estivo rispetto alla Francia settentrionale.

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Nonostante nel Mediterraneo non manchino certo innumerevoli perle naturalistiche, il soprannome della Corsica è piuttosto importante: isola della bellezza. I motivi non sono difficili da trovare: un ecosistema così vario e così straordinario non si trova in nessun’altra isola.


Il museo nazionale è arroccato sull’antica cittadella, dalle finestre si vede il mare che nelle giornate più terse mostra all’orizzonte le coste toscane. Davanti a Bastia c’è il mare, alle sue spalle si alzano repentine le montagne. La via principale che attraversa la città “nuova” oggi è Boulevard Paoli, dedicato a Pasquale Paoli che della Corsica è l’eroe nazionale. Proclama l’indipendenza nel 1755, promulga una nuova costituzione e un nuovo sistema giudiziario, fonda un’università a Corte, al centro dell’Isola, che sceglie come capitale. Conquista anche Capraia, e i genovesi, sconfitti, chiedono aiuto alla Francia per sconfiggere gli indipendentisti. La Francia sconfigge Paoli e il nuovo esercito corso, e ottiene dalla Repubblica i diritti sull’isola. Ci riprova nel 1793, ma di nuovo viene sconfitto, e sceglie per sempre la via dell’esilio in Inghilterra. È curioso che in questa isola così periferica nel territorio francese, e proprio a poche settimane dalla fine dell’esperienza indipendentista di Pasquale Paoli, sia nato Napoleone Bonaparte, il francese più celebre di sempre. Lo scrittore tedesco W.G. Sebald scrisse diversi racconti impressionisti sulla Corsica, uno dei quali è una descrizione perfetta di quest’isola divisa nella geografia come nell’appartenenza: Le Alpi nel mare. Geograficamente la Corsica è un pezzo di continente, incastrato tra Italia e Francia, andato alla deriva qualche milione di anni fa. Popolo di montagna, più che di mare. Così anche le tradizioni culinarie, molto legate 11


alla pastorizia. Il mercato di Bastia, nel fine settimana, si riempie di piccoli produttori che vendono i migliori pezzi di figatellu, una salsiccia fresca fatta di frattaglie, fegato di maiale e spezie, oppure bianche forme di brocciu, il formaggio tipico, fresco o stagionato. Corsica è anche isola di caratteri duri, spiriti diretti. Pochi abitanti: appena trecentomila. Una natura incontaminata su gran parte del territorio: un quarto dell’isola fa parte del Parco naturale regionale della Corsica. D’estate si riempie, in autunno si svuota. Destino comune di tutte le isole mediterranee, insieme gioiose e malinconiche. Sebald la guarda, in uno dei racconti dedicati all’isola, e descrive «un’aura di melanconia che, persino nelle giornate più radiose, si posava come un’ombra sulla vegetazione verdeggiante dell’isola».

CHARLOTTE VANNUCHI p.15 Musicista e dj, nata a Cargese e cresciuta sul continente: Charlotte è il nuovo volto della Corsica, europeo, giovane, e con radici ben piantate sull’isola. PARC RÉGIONAL DE CORSE p.23 Un’escursione tra le montagne dell’isola, un paradiso naturale unico in Europa. Grandi rapaci, rilievi antichissimi e specchi d’acqua immersi nel silenzio. A SIGNORA CAPRA p.32 In Corsica l’allevamento delle capre è un’arte oltre che un lavoro, tradizione ancora oggi estremamente importante. Economia, storia alimentare e culturale insieme. A LINGUA CORSA p.41 La lingua è uno strumento fondamentale per un popolo che si vuole definire. Quella còrsa è lo specchio della complessa storia dell’isola. A BUCCIA p.51 Una giornata giocando a bocce a Bastia, passione francese che in Corsica raggiunge livelli quasi religiosi. FURMAGLIU p.77 Una cucina, una cultura, un pezzo di storia. Il formaggio è una colonna dell’identità còrsa, culinaria e non soltanto. Viaggio tra i monti dell’Alta Corsica dove si produce ancora secondo le antiche ricette. CARTA PUSTALE p.89 Sette piccole cartoline sotto forma di francobollo, sette luoghi e curiosità tipici della Corsica. Da una spiaggia per le mucche alla tipica salsiccia. U CULTELLU p.96 Un popolo così legato alla pastorizia ha i suoi simboli: la coltelleria còrsa è un’eccellenza conosciuta ben oltre i confini isolani. IL RITMO DELLA NATURA p.105 Vivere la natura, la montagna e il Mediterraneo: un dialogo tra Miguel Fluxa, CEO di Camper, e Jeff Mercier. ISABELLE BUZZO E JEAN-PHILIPPE SPINELLI p.117 Architettura e innovazione, rocce e mare. Conversazione con lo studio Buzzo Spinelli sull’architettura della Corsica, ieri e oggi.

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Brutus Sandal S/S 2022 La vecchia capitale dell’isola è Bastia, città fondata anticamente dai genovesi sulla costa orientale. Ma Ajaccio dà i natali nel 1769 al còrso (e francese) più celebre di sempre, Napoleone, che la nomina capitale di tutta l’isola nel 1811.

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In conversazione con

Charlotte Vannuchi

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Charlotte Vannuchi è atterrata da poche ore in Corsica. Per raggiungere Cargese, il piccolo paese di mare in cui è cresciuta e in cui ha ancora una casa, l’aeroporto più vicino è ad Ajaccio. Poi, un’ora in automobile con il sole che si abbassa nel mare verso ovest, costeggiando tutto il Golfo di Sagone, le spiagge, la costa frastagliata di uno degli angoli meno turistici e più belli della Corsica. Charlotte ha fatto come molti corsi della sua generazione, ventenni che sono nati qui e crescono facendo però spola tra l’isola e la Francia. Il suo lavoro glielo permette: Charlotte è una delle dj più in ascesa in Francia e in Europa, ha suonato a New York, Parigi, Ibiza, Berlino e al Fabric di Londra – con il suo nome di battesimo, semplicemente: Charlotte. Vive a Parigi ma gira i club del continente e, soprattutto in estate, i festival della Corsica. Con il lockdown ha passato lunghi mesi solitari a Cargese, dissotterrando nella memoria delle radici che non si erano in realtà mai indebolite, che non erano mai sparite. È sempre così, quando ci sono di mezzo le isole.

Charlotte, com’è la giovinezza in Corsica? Mio padre era un calciatore professionista e ha presto lasciato l’isola per lavoro, quindi non sono cresciuta esattamente ogni anno in Corsica. Ma ogni estate tornavo per almeno due mesi all’anno: e non andandoci a scuola, ma sempre in vacanza, in un certo senso ho vissuto la Corsica più di quanto io abbia vissuto la Francia dove invece andavo a scuola. È molto diverso quando passi tutta l’estate qui sull’isola, perché quando sei giovane sei libera di andare in spiaggia... Penso che in Corsica ogni bambino si senta libero ma allo stesso tempo sicuro. In Francia non mi sono mai sentita così sicura come quando invece ero sull’isola. Forse è per quel senso di natura. Come se fosse un’estate perenne. Sì, ogni anno, perché avevamo questa casa a Cargese, vicino ad Ajaccio. Anche io giocavo spesso a calcio, sulle spiagge di Cargese. Ma la tua educazione, quella scolastica e culturale, è più legata alla Francia? Ho fatto le scuole a Marsiglia, ma quando ho compiuto 18 anni sono andata a Parigi per studiare produzione musicale. 16

La prima volta che ho suonato in un club ero a Marsiglia, quindi comunque ero affacciata sul Mediterraneo. Invece la Corsica quanto entra nella tua musica? Quando avevo 16 anni dei ragazzi che avevano organizzato un festival musicale a Cargese mi chiamarono. Io già suonavo qualcosa, e quello era un festival che negli anni era cresciuto molto. Ero a Marsiglia con la mia famiglia, ma sono tornata di corsa a Cargese per suonare, ed era la line-up più grande che avessi mai fatto, e per di più nel mio paese in Corsica. È stato strano perché avevo pensato di dover andare via da Cargese per fare carriera nella musica, e la prima volta che ho suonato poi a un festival, davanti a duemila persone, è stato proprio a Cargese. È stato super emozionante. Ultimamente ci torni spesso? Ci sto passando sempre più tempo, anche per i lockdown degli ultimi anni. Ho passato più tempo in Corsica che a Parigi. Qual è la prima immagine o il primo sentimento che ti viene in mente quando pensi alla Corsica? È una cosa profonda e privata, ma ho perso uno dei migliori


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Oltre a esibirsi come “single act” con il nome di Charlotte, Charlotte Vannuchi suona anche con il dj Louison Savignoni come “Charly & Scotch”.

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amici di recente. È successo qui in Corsica. E il mio rapporto con l’isola si è fatto ancora più intenso da quando è successo. Si chiamava Maxime e lottava per una Corsica migliore. Il modo in cui lui vedeva l’isola è lo stesso con cui la vedo io.

La riapertura dei club dopo i lockdown del 2020 può essere un modo per creare un nuovo legame tra le persone? Un ritorno più energico della condivisione, dopo i mesi di lontananza forzata?

È lo stesso “Massimu” (in corso, Maxime in francese) che compare su tutti i muri di Bastia, anzi, di tutta la Corsica?

Ti dirò una cosa più profonda della musica. Essendo parte della comunità Lgbtq+, penso che questo tipo di comunità abbia un profondo momento di affermazione in certe scene nei club. Personalmente, ho sempre sentito di poter esprimermi al meglio nei club o durante la notte. E penso anche che ci siano ancora persone che durante il giorno vivono in un modo non del tutto libero, per poi sentirsi se stesse soltanto la notte. Quindi sarà importante anche da questo punto di vista. Il clubbing è un tipo di cultura. E abbiamo molto bisogno di cultura.

Sì, era uno dei miei migliori amici sull’isola. A cos’altro pensi? A mio nonno. Quando ho iniziato a suonare, era orgogliosissimo di me. A Cargese, a quel festival di cui ho parlato, è venuto tutto il paese, e anche lui. Ma ho un amore incondizionato per quest’isola. Com’è essere un teenager in Corsica? È divertente! Forse non è tranquillissimo, perché a volte è un po’... molto selvaggio. In Corsica, i bambini sono visti da tutti come qualcosa di molto prezioso. Di quasi sacro. Eppure è stato divertente, perché qui puoi fare veramente una vita sicura e tranquilla, da bambino. Io potevo stare in giro da sola per tutto il giorno, fino alla notte. Questo tipo di sicurezza e fiducia non l’ho mai vista sul continente. C’è un legame tra la musica che fai e il Mediterraneo? Dopotutto le Baleari, Ibiza ma non solo, hanno avuto un profondo impatto sulla musica house. Sì, è vero, anche se la Corsica è un po’ fuori da quel discorso. La musica elettronica qui non è mai stata importante, ad Ajaccio forse non c’è nemmeno un negozio di dischi. Però ci sono dei club. E ci sono molti festival musicali: il Cargese Soundsystem. Calvi On The Rocks. E un altro che si chiama Era:Ora, ad Ajaccio. Quando è scattato l’amore per la musica? La prima volta che ho sentito qualcosa che veramente mi ha toccato ero in macchina, con mio padre. Stava guidando dall’aeroporto di Ajaccio verso Cargese, e aveva messo un disco dei St. Germain. Mi sono innamorata immediatamente dell’acid jazz. A mio padre piace un sacco quel tipo di musica. E adesso anche l’elettronica, ovviamente. Quando può, viene a sentirmi suonare. E la prima volta che hai deciso di volerlo fare di lavoro? Ero a Marsiglia, già più grande. Era la mia prima volta che andavo in un club. Prima ero sempre stata spaventata dai club, pensavo che la musica che suonassero fosse solo roba pop tipo Beyoncé perché mia sorella maggiore ascoltava quel tipo di musica all’epoca, e io non avevo idea di come si ballasse! Ma sono entrata in questo club e ho visto una cosa che mi ha colpito profondamente: gente che non si era mai vista prima, in una stanza, sembrava condividere le stesse emozioni nello stesso momento. Ho guardato il dj e ho pensato: questa persona sta creando una vibrazione per tutte queste persone, sta comunicando gli stessi sentimenti a tutta questa gente così diversa l’uno dall’altra.

Hai già ricominciato a suonare? È diverso, rispetto a prima? È diverso perché quando hai perso qualcosa, e poi lo ritrovi, ti ricordi costantemente di quando non ce l’avevi. Allora fai il paragone con prima, e realizzi quanto fosse difficile vivere senza quella cosa. Ma è diverso anche perché le persone non sono uguali a prima. A volte c’è ancora più entusiasmo di prima, a volte invece è più strano, si vede che c’è ancora un certo tipo di timore. Pensi che rispetto alla società per così dire diurna il mondo della notte sia più sicuro? Non per forza. Io non ho mai avuto brutte esperienze, personalmente, ma penso che succeda molto. Penso che la notte dopotutto sia un altro pezzo della società, e se la società non è inclusiva, allora la notte non può essere così diversa. Soprattutto per la comunità Lgbtq+. Anzi, negli ultimi anni è diventato in un certo senso “cool” essere queer, e quindi ci sono posti che fingono di essere queer, ma alla prova dei fatti poi non lo sono affatto, è soltanto un’etichetta. Torniamo alla tua vita fuori dai club. Dopo la Corsica hai sempre vissuto a Parigi? No, penso di aver cambiato dieci città da bambina, per seguire il lavoro di mio padre. E dopo i diciotto anni? Soltanto Marsiglia e Parigi. E ho studiato poi Electronic Music a Parigi, e lì sono rimasta. E Corsica, ogni anno, per qualche mese. Qual è tuo concerto preferito, tra tutti quelli che hai fatto? Quello al Club der Visionaere a Berlino è stato una figata, perché era il release party del mio disco. Non avevo ancora mai sentito il mio disco suonato dal vivo prima di quella sera, e mentre stavo suonando un ragazzo che aveva lavorato al master del vinile è venuto da me sul palco e mi ha dato questo disco senza scritte sopra. Gli ho chiesto: che cos’è? E lui: è il tuo disco. L’ho messo su, l’ho ascoltato prima nelle cuffie, poi nelle casse, ed è stata un’emozione unica.

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«Essere un teenager in Corsica è divertente. Forse non è tranquillissimo, perché a volte è un molto selvaggio. In Corsica, i bambini sono visti da tutti come qualcosa di molto prezioso. Di quasi sacro. Eppure è stato divertente, perché qui puoi fare veramente una vita sicura e tranquilla, da bambino. Io potevo stare in giro da sola per tutto il giorno, fino alla notte. Questo tipo di sicurezza e fiducia non l’ho mai vista sul continente.»

Come hai imparato a suonare? Da sola, principalmente. Avevo 16 anni quando ho detto ai miei genitori: voglio fare la dj! Ma andavo malissimo a scuola. Mia madre allora mi ha detto: prima ti devi diplomare; se ti diplomi, puoi farlo. Credo che pensasse che non ce l’avrei mai fatta! Poi mi sono diplomata, e abbiamo trovato questa scuola a Parigi per la musica, ma non era così interessante, e ho finito col passare più tempo nei club che a scuola. La Francia ha avuto un grande impatto sulla musica elettronica europea, prima hai citato i St. Germain, quindi l’acid jazzi, ma c’è stato anche il French Touch… Senti che le tue radici musicali sono francesi? No, personalmente non davvero francesi. Il French Touch mi piace ma non è esattamente il mio stile, sono più influenzata dalla house del Regno Unito. Non ci sono molti artisti provenienti dalla Corsica in giro per l’Europa. Ti vedi come una sorta di pioniera? Io? No, no! Capisco la domanda, ma non direi. Ci sono molte persone di talento in Corsica, ma in tante rimangono qui, non vanno in Francia. Il rapporto tra Francia e Corsica non è dei più semplici, e questo ha un impatto. Quindi non mi vedo come pioniera: solo che me ne sono andata, e in questo sono diversa. Ma ho amici ad Ajaccio che fanno della musica che è veramente di qualità altissima. A volte mentre sto suonando da qualche parte ci penso a queste persone rimaste in Corsica, e penso che meriterebbero una visibilità molto maggiore di quella che hanno. Cosa ti manca di qui quando sei sul continente? Uff... Tutto. Il modo in cui la gente parla, lo stile di vita. La natura, ovviamente. Il mio cuore è qui.

Come si chiama il disco? Si chiama 777, e l’ho registrato nel mio studio, a Parigi. Invece il mio nuovo disco, che uscirà a breve, è stato fatto in Corsica. La Corsica entra molto nella tua musica. Sì. Quando ho visto Maxime l’ultima volta lui mi aveva detto: facciamo un disco insieme, tu fai la musica e io ci canto sopra in corso. E sull’aereo verso Parigi, in un’ora di volo, ho composto tutti i 6 minuti di musica. A volte non riesco a comporre niente per mesi, e a volte succede così. Essendo cresciuta in Corsica, hai un rapporto particolare con la natura? Sì. Non voglio fare paragoni forzati, ma quando vado a Marsiglia, che è comunque un posto con una natura bellissima, mi sembra spesso troppo sporca. Qui in Corsica non vedrai mai un bambino buttare qualcosa sulla spiaggia. È diverso. Qui la natura è tutto quello che hai. Forse perché non c’è molto altro, non succedono cose come sul continente. E quindi valorizzi e ti prendi cura di quello che c’è. La chiamiamo “maquis”. È la flora della Corsica. Quindi sì, è completamente diverso. 20

C’è qualcosa che fai solo quando sei qui? Ogni mattina quando sono a Cargese cerco di svegliarmi il più presto possibile per camminare un po’ da sola. Dalla mia cucina vedo il sole sorgere sul mare. Cerco sempre di uscire prima che sorga il sole. Voglio essere la prima, come una gara. Ogni volta che torno qui torno un po’ una bambina.




PARC RÉGIONAL DE CORSE

L’antica capitale, Corte, è arroccata al centro della Corsica, in mezzo alle montagne che di quest’isola costituiscono la spina dorsale, il carattere duro, forse anche un po’ l’anima. Sono molte le cime che si spingono oltre i duemila metri, quasi tutte incluse nella superficie del Parco naturale regionale corso. Di tutte le isole mediterranee, la Corsica è anche quella più ricca d’acqua. Uno dei bacini più affascinanti è il Lago di Melo, a oltre 1700 metri, di origine glaciale. Salendo dal mare si incontrano, nel silenzio delle conifere, strade vuote e vacche che pascolano tra i boschi e l’asfalto. Quando poi le auto si devono fermare e si deve proseguire a piedi, il sole illumina le pareti di granito che prendono sfumature verdi oppure rosse. Si sale con facilità, tra rivoli d’acqua che scendono a valle e i colori sgargianti dei muschi. Poco più distante c’è il più famoso Lago di Capitello, che sfiora i 2000 metri di altitudine. È ghiacciato per gran parte dell’anno. Quando non gela, splende di riflessi cangianti verdi e azzurri. 23


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Il Parco è stato creato nel 1972 e la sua importanza, nell’economia della salute della natura corsa, è fondamentale: in quasi cinquant’anni di vita ha contribuito a tutelare l’enorme ricchezza dell’isola in termini di flora e fauna. Camminando tra le rocce e gli arbusti e lasciandosi indietro il corso della Restonica, uno dei principali fiumi di questa parte di Corsica, il cielo è talvolta occupato da grandi rapaci che volano seguendo traiettorie circolari. Sono i nibbi reali che frequentano anche la Sicilia, la Sardegna e l’Appennino meridionale italiano. Tra alcuni anni, con un po’ di fortuna, si potrebbe scorgere anche la silhouette imponente del gipeto, uno degli antichi simboli di queste vette che il Parco sta, negli ultimi anni, aiutando a crescere in termini numerici, dopo il drastico calo di inizio secolo. Le cime delle montagne che circondano il lago come grandi sipari sono di origine cristallina, e lo si nota dalle forme aguzze, frastagliate. Sono pochi, qui, gli alberi che occupano queste altezze. Poco più a ovest invece la Corsica si trasforma in scistosa, lanciandosi giù fino al Tirreno. È questa la parte più boschiva, in cui crescono rigogliosi i boschi di castagni.

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Il simbolo del Parco naturale regionale della Corsica è il muflone, uno degli animali più rappresentativi di tutta l’isola. È presente con una popolazione di circa 500 esemplari, prevalentemente divisi in due comunità. Una è sul monte Cinto, il più alto dell’isola, e una a sud, sul Massiccio di Bavella.

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In Corsica, e nel Parco naturale, sono presenti moltissimi volatili. Oltre al gipeto, vi sono diversi esemplari di aquila reale, falco pellegrino, aquila di Bonelli e falco pescatore. Ma anche specie endemiche che vivono e nidificano soltanto qui: il picchio muratore, il gabbiano còrso.

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A SIGNORA CAPRA Nelle montagne dell’Alta Corsica si possono incontrare mentre pascolano da sole, accompagnate soltanto da un pacifico cane bianco, senza pastori, senza uomini. Hanno saputo conquistarsi la fiducia. Sono particolarmente dotate nel percorrere i sentieri più duri, grazie a una resistenza unica. Le Capre Corse, riconosciute come razza ufficialmente nel 2003, sono sull’isola da migliaia di anni e parte fondamentale della cultura corsa. Culinaria, naturalmente, ma anche in un senso più ampio. Dopotutto, fino a non molti anni fa il loro allevamento era estremamente diffuso in tutta l’isola, con una predilezione per la parte settentrionale, più montuosa. Ancora oggi si utilizzano, nell’allevamento, tecniche tradizionali come la transumanza, una migrazione stagionale andata invece quasi completamente perduta sul continente. Le capre corse sono robuste, resistenti a molte malattie, sono agili, per camminare a lungo e con facilità tra le altezze impervie dell’isola, e capaci di adattarsi ai diversi climi, il caldo dell’estate e il rigido dell’inverno, grazie ai lunghi manti che agiscono come una corazza e che possono prendere diversi colori.

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A LINGUA CORSA

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BONGHJORNU COMU SETI? GRAZIA MANGHJÀ BEIE PRISUTTU CASGIU GHJUVENTÙ OMU TÀVULA AVIÒ ZITELLU POMU GARA

BUONGIORNO COME STAI? GRAZIE MANGIARE BERE PROSCIUTTO FORMAGGIO GIOVENTÙ UOMO TAVOLO AEREO BAMBINO PATATA STAZIONE

Corsu per principianti 42


I popoli non si muovono mai da soli. Le merci, i beni di prima necessità, gli utensili sono solitamente i pacchi più voluminosi da portarsi dietro. Le tradizioni sono bagagli riconoscibili, bussole per orientarsi, talvolta armi taglienti da maneggiarsi con cura. Sono le lingue, però, il carico capace di invecchiare meglio, quello che più definisce ogni persona, ogni comunità. Una lingua è una roccia. Ad analizzarne gli strati, gli anni e i secoli, è qui che si ritrovano i segni delle migrazioni, delle invasioni, dei passaggi anche più frettolosi. Una lingua contiene i fossili della storia, e il corso non fa eccezione. Spesso si tende a pensare che la lingua corsa abbia strette parentele con il sardo, forse a causa di quell’uso abbondante della vocale “u” in entrambe, certamente per la vicinanza tra le due isole che, nello stretto di Bonifacio, si riduce a meno di quindici chilometri. Invece, come suggeriscono le sagome delle isole dell’Arcipelago toscano all’orizzonte della costa orientale dell’isola, è con i dialetti dell’Italia tirrenica la parentela più stretta della lingua corsa. Così come le isole rappresentano un ponte geografico tra la Toscana e la Corsica, la lingua corsa costituisce un forte legame filologico che attraversa i secoli e lega le due coste. Se infatti la storia medievale còrsa, prima della conquista francese, è legata indissolubilmente alla Repubblica di Genova, la lingua còrsa si forma ancora prima, nei primi tre secoli del primo millennio, quando l’isola viene amministrata dalla Repubblica di Pisa. È un periodo fondamentale nella storia dell’isola: la Repubblica di Pisa, una delle realtà politicamente, commercialmente e culturalmente più potenti del Mediterraneo, espande qui la sua influenza. La Corsica cresce, inizia a parlare pisano, un dialetto tipico della Toscana, pur simile all’attuale italiano. L’isola cresce, 43


fiorisce e diventa un potenziale bottino, così grande, così vergine e così vicina alle due repubbliche più in lotta tra loro. Da dove oggi partono i traghetti che collegano Bastia con la Toscana, al largo del porto di Livorno, si combatte così, nel 1284, la storica Battaglia della Meloria, che segna l’inizio del declino di Pisa e vede la vittoria della Repubblica di Genova la quale, a partire da quel giorno di inizio agosto e fino alla fine del 1700, mette le mani sulla Corsica. In quei primi tre secoli, tuttavia, il toscano ha affondato nelle rocce della Corsica radici solide che il dialetto genovese non andrà ad attaccare in profondità. Il toscano diventa a poco a poco la lingua ufficiale, sia orale che scritta, anche tra le classi più ricche, senza lasciare spazio al latino. Quell’influsso è evidente ancora oggi: la corrispondenza tra corso moderno e toscano antico si riconosce sia nel lessico che nella fonologia e nella sintassi, e la somiglianza con l’italiano contemporaneo è lampante. Ai visitatori italiani capiterà, visitando Corte o Bastia o Ajaccio, di sentir parlare una lingua che comprendono quasi interamente e in modo naturale, e di farsi capire perfettamente a loro volta, pur senza aver mai studiato il còrso. Con l’arrivo della dominazione francese alla fine del 1700, l’italiano di Corsica resiste ancora, come lingua ancora fondamentale per la nobiltà locale, per un secolo circa, fino alla proclamazione della lingua francese come unica ufficiale nel 1859. È a questo punto, a causa dell’intensa campagna di alfabetizzazione scolare che inizia e procede esclusivamente in francese, che la lingua che diventerà l’attuale còrso si fa sempre più orale e sempre meno scritta, e di conseguenza codificata. La lotta indipendentista di Pasquale Paoli è perduta da oramai un secolo, ma le lingue sanno essere uno strumento formidabile e capace di infinite trasformazioni lungo i binari della storia. 44


U BABBU DI A PATRIA Così, in lingua còrsa, viene chiamato tradizionalmente Pasquale Paoli, letteralmente “il padre della patria” còrsa, di cui proclamò la breve indipendenza nel 1755. 45


CISMONTAN O SUPRANACCIU Il còrso parlato nella zona nord-ovest dell’isola, soprattutto nelle zone di Bastia e Corte. È quello più diffuso e standardizzato.

OLTRAMONTANO O SUTTANACCIU È la variante più arcaica e conservativa, diffusa nella zona più meridionale dell’isola, specialmente nei distretti di Sartene e Port-Vecchio.

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Ecco che, esiliato dall’ufficialità, quell’italiano che era stato lingua nobiliare e della precedente dominazione inizia a configurarsi come idioma resistente. Non subito, però: ci vorranno anni, due guerre mondiali e una breve dominazione fascista (negli anni Trenta, quando l’intera Francia era occupata dall’Asse) perché il còrso attuale si distanzi dall’antico italiano e si trasformi in un simbolo di una fiera, e in un certo senso nuova, identità còrsa. Oggi, chiunque passeggi per i vicoli genovesi di Bastia, o guidi lungo gli innumerevoli tornanti che si arrampicano sulle montagne dell’isola, vedrà facilmente le moltissime scritte in corso che animano i muri. Sono frasi che incitano la squadra di calcio locale, oppure che ricordano eroi e martiri, oppure ancora una rivendicazione di identità. Si chiama “Riacquistu” il movimento culturale che, negli anni Settanta del Novecento, opera per riportare il còrso al centro della cultura isolana. A quell’epoca il dominio del francese come lingua unica era schiacciante, e il còrso, seppur diffuso, era rimasto relegato alla sola oralità. Nel 1970 venne prodotto però il primo manuale di ortografia còrsa, che standardizza la lingua, e nel 1981 riapre l’università di Corte, chiusa nel 1768 dopo la conquista francese. Viene intitolata, senza nessun dubbio, a Pasquale Paoli. Nonostante gli sforzi di diffonderne una codificazione ortografica, il còrso rimane tuttavia ancora prevalentemente orale. In un certo modo si è diffuso, certamente: circa un terzo della popolazione dell’isola, secondo un censimento del 2013, ha un buon livello di conoscenza della lingua. Naturalmente è una percentuale che sale molto nelle fasce più anziane della popolazione e viceversa scende in quelle più giovani. Il rinascimento della lingua còrsa si scontra però con due ostacoli. Il primo è la scarsa trasmissione intergenerazionale: nonostante il bilinguismo sia piuttosto diffuso, è raro che questo si tramandi ai figli. Il secondo è l’ostruzionismo istituzionale: all’Eliseo 47


non vedono affatto di buon occhio l’idea di una situazione di bilinguismo ufficiale in Corsica, e l’hanno già espresso con chiarezza diversi presidenti e primi ministri. Certo, da alcuni anni la lingua è insegnata nelle scuole, ma si tratta di poche ore a settimana soltanto, con il rischio ulteriore di trasformarla in materia meramente scolastica, non viva né contemporanea. Sono inoltre lezioni che si tengono in via esclusivamente facoltativa: se quindi nelle scuole medie inferiori il còrso è ancora estremamente praticato, quando gli studenti passano al liceo rinunciano in massa, in circa otto casi su dieci. È così che l’Unesco si è trovata costretta a relegare il còrso tra le lingue in grave pericolo di estinzione. I muri dell’isola parlano ancora còrso, e così la topografia, i cognomi, le ricette tradizionali, i salumi e i formaggi che ogni domenica si incontrano al mercato. Le persone, purtroppo, sempre meno.

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Camaleon S/S 2022


A BUCCIA

Da queste parti le bocce non sono un innocuo passatempo. Sono uno sport vero e proprio, e allo stesso tempo più di uno sport. D’altra parte è il Mediterraneo: confondere e mischiare svago e passione, e poi passione e dedizione: cose che succedono da queste parti, in cui i confini tra guerre e partite sfumano più che altrove. E il Mediterraneo e le bocce hanno da sempre una storia comune. Nasce affacciato su questo mare il gioco che conosciamo oggi, giusto un poco più a nord, oltre il piccolo tratto di mare che separa l’isola dalla Provenza. Il nome del gioco per come si conosce oggi in Francia, e quindi la pétanque, viene dall’espressione “pés tanqués”, ovvero piedi uniti. Perché è una trasformazione del vecchio “gioco provenzale” le cui regole sono simili ma in cui era prevista, prima del lancio, una rincorsa, oltretutto in un campo ben più lungo dell’attuale. A Bastia i campi sono molti, perché grande è la passione. A ogni cultura il suo playground. Dal villaggio di Cardo, che dall’alto domina tutta la città, con il suo campetto nascosto dietro la chiesa, su cui rotolano ogni tanto i palloni da calcio dei ragazzini che giocano sul sagrato, giù fino alla spiaggia dell’Arinella con i suoi enormi campi moderni e coperti e affacciati sulla grande spiaggia pubblica cittadina, il mare soltanto a pochi passi dal boccino. Ogni anno qui si gioca la “A Bucciata Bastiaccia”, un grande torneo che attrae quasi tremila giocatori di pétanque, centinaia di squadre, più di cinquantamila spettatori. Cinque giorni che portano a Bastia rappresentative dalla Grecia, dal Portogallo, dall’Italia e anche dal Madagascar. Un grande allestimento in Place Saint-Nicolas, che si trasforma in un enorme campo all’aperto. Gruppi televisivi da tutto il mondo. Le ginocchia si piegano lentamente, gli occhi guardano l’obiettivo. La mano dondola la boccia, poi la lancia verso il boccino. La sfera può piumbà, come un falco che in picchiata vada dall’alto al basso, oppure schjuccà, come un proiettile orizzontale e rapidissimo. Da queste parti le bocce non sono un innocuo passatempo. 51


La Confédération Mondiale des Sports de Boules ha proposto al comitato olimpico internazionale, in vista delle Olimpiadi del 2024 che si terranno a Parigi, di far diventare la pétanque disciplina olimpica.

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Il nome pétanque viene dal provenzale “ped tanco”, ovvero “piedi fermi al suolo”. Il lanciatore deve infatti tenere i piedi uniti e fermi a terra durante il lancio.

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CINCINE Il cerchio tracciato sulla sabbia all’interno di cui il giocatore si deve posizionare per lanciare poi la boccia verso il boccino.

BUCCINU La piccola sfera di legno che va tirata per prima e a cui le altre sfere si devono avvicinare il più possibile per vincere la partita.

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PIUMBÀ Un tipo di lancio che prevede di tirare la boccia verso l’alto, in modo che atterri scavalcando le altre e rotolando il meno possibile.

SCHJUCCÀ

Camaleon S/S 2022, Peu Rambla S/S 2022.

Lanciare la sfera in orizzontale, e forte, per colpire una delle altre sfere in gioco senza toccare prima terra.


I primi Mondiali vengono giocati nel 1959. La Francia è, nell’albo d’oro, irraggiungibile: 29 medaglie d’oro, contro le 4 della Svizzera, al secondo posto.

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L’influsso della dominazione francese è evidente nel medagliere: hanno vinto 3 volte i Mondiali il Marocco e la Tunisia, due volte il Madagascar, una volta l’Algeria.

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Camaleon S/S 2022, Peu Rambla S/S 2022, Runner K21 S/S 2022, Twins S/S 2022.


Casi Myra S/S 2022



Karst S/S 2022



Set S/S 2022



Taylor S/S 2022



Attraversando la Corsica da nord a sud i paesaggi cambiano con una rapidità che ha del magico. La mattina presto, nei giorni più freddi, ci si inerpica sui tornanti tra piccoli banchi di nebbia. C’è il silenzio tipico delle isole. Le foreste respirano. È un’isola ricca d’acqua, laghi, fiumi, mari e pioggia. Tutto sa di montagna, ma il mare circonda ogni vista.

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A Nonza la spiaggia è famosa perché nera, fatta di minuscoli ciottoli lucidati dalla risacca. Con le pietre più chiare i turisti compongono scritte e disegni che si ammirano poi dall’alto, salendo sulla rocca che ospita l’antico castello. Dopo l’estate le scritte rimangono lì, senza più gli ombrelloni e chi le aveva composte. Come un ricordo che non se ne va. Un promemoria per la prossima estate.

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Karole S/S 2022



Brutus Sandal S/S 2022



Pix S/S 2022



FURMAGLIU

A fine luglio le capre vanno nelle montagne più alte, e ci rimangono per tutto il mese di agosto, settembre e ottobre. In questo modo si riparano dal caldo, trovano l’acqua che non troverebbero più in basso, dove i fiumi si seccano sotto i trenta gradi del Mediterraneo. A novembre è tempo di tornare. La transumanza è terminata. Tempo di partorire. Tempo di raccogliere il latte che verrà usato per produrre il formaggio. Tutto si lega. Niente va sprecato. Tempo, stagioni, materie e fatica. I pastori parlano tra di loro più in corso che in francese, e si distinguono le vocali chiuse tipiche della lingua, parente non troppo lontana dei dialetti toscani e calabresi, in Italia. Sui tavoli d’acciaio rimestano i grandi secchi pieni di siero che si va addensando grazie al calore. Con i piccoli cestelli di plastica raccolgono i grumi, li travasano in altri cestelli che daranno al brocciu la sua caratteristica forma. È così che si chiama, in Corsica, il formaggio più caratteristico. Patrimonio nazionale così prezioso che il poeta parigino Émile Bergerat scrisse a fine Ottocento: «Chi non l’ha mai assaggiato non può conoscere l’isola». Non si trova sempre: la migliore stagione per mangiarlo è quella invernale o all’inizio di primavera, quando è ancora giovane e cremoso. Naturalmente si può stagionare anche oltre un mese, e per diverse settimane ancora. Filippo, uno dei pastori, finisce di creare una nuova forma, pulisce il secchio ormai vuoto e il banco con un getto di acqua bollente, e taglia un pezzo di un brocciu vecchio di alcuni giorni. Fuori dalla stanza dedicata ai formaggi i piccoli capretti, nati da poche settimane appena, corrono e capitombolano tra le rocce e il terreno umido per la pioggia dei giorni precedenti. Nella stagione di produzione del formaggio l’aria è frizzante, la notte spesso si va sottozero, e le giornate in montagna iniziano presto. Filippo versa il caffè dalla moka italiana in una tazzina. Il formaggio in un pezzo di pane. Un pezzo di salsiccia ancora. Nel caffè aggiunge un goccio di acquavite, anche quella fatta in casa. 77


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Pelotas Ariel S/S 2022, Runner S/S 2022, Pix S/S 2022.


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Karst S/S 2022


Anche in Corsica, come in Sardegna, si prepara il formaggio “con i vermi”, chiamato “casgiu merzu”, letteralmente “formaggio marcio”. Viene fatto stagionare finché delle mosche non depongono le uova dentro la crosta, dove si schiudono accelerando la fermentazione.

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BROCCIU BASTILICACCIU CASGIU MERZU SARTINESU CALINZANINCU NIULINCU VENACO 83


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Runner Up S/S 2022


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Pix S/S 2022


I formaggi corsi sono quasi tutti prodotti con il latte ovino, di pecora oppure di capra. A causa dell’orografia particolarmente montuosa dell’isola, sono sempre stati gli animali più facili e convenienti da allevare qui.

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CARTA PUSTALE

LI POZZI Al centro dell’isola, non lontano da Ghisoni e da Col de Verde, c’è uno dei paesaggi più affascinanti d’Europa: i Pozzi. Un prato acquitrinoso, verdissimo, “bucato” da piccoli laghi in cui si specchia il cielo.

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PISCIA DI GALLO Siamo dalle parti di Porto-Vecchio, nella Corsica meridionale. Piscia di Ghjaddu è il particolare nome di una cascata spettacolare e molto alta – arriva a 60 metri – che cade nel placido Rio dell’Oso.

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BARCAGGIO L’anima marittima e quella montuosa dell’isola sono perfettamente riassunte dalla spiaggia di Barcaggio, a Cap Corse: splendide dune affacciate sul Mediterraneo molto frequentate dalle mucche.

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FIGATELLU Una vera specialità della cucina còrsa, che eccelle nella salumeria, i figatelli sono salsicce fresche fatte di fegato di maiale e frattaglie, condite con aglio e spezie. Si mangiano tradizionalmente con polenta di castagne e brocciu.

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BONIFACIO Bonifacio è la perla della Coesica del sud: un paese costruito intorno a un’insenatura calcarea, a picco su un mare cristallino. Le rocce sono ricche di grotte e vani utilizzati tradizionalmente dai pescatori della zona.

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COZZE L’allevamento di cozze in Corsica è diffuso da molti secoli, fin dall’epoca romana, soprattutto nello Stagno di Diana, affacciato sul Tirreno. L’ostrica tipica còrsa è di qualità molto alta e destinata al mercato locale. Si distingue per un sapore di nocciola.

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CALANQUES DE PIANA A Piana, nella corsica nord-occidentale, non lontano da Ajaccio, si trovano gli spettacolari Calanchi: rocce di granito rosse dalle bizzarre forme, che si alzano sul mare come enormi sculture.

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U CULTELLU Un popolo tradizionalmente dedito all’agricoltura e alla pastorizia, almeno fino alla fine del Diciannovesimo secolo, non poteva che trattare uno strumento semplice e versatile come il coltello con la cura che si deve a uno scettro. Compagno, e non solo strumento. Indispensabile, prima che prezioso. Il più diffuso, il “vero” coltello corso, è chiamato curnicciolu, ovvero “piccolo corno”. Oggi è più diffuso il nome pastore, ma l’utilizzo è lo stesso, e la motivazione si intuisce facilmente: il manico era costruito con quello che c’era intorno, valorizzato, non sprecato. Capre. Corna. Un utensile resistente. Con una sua dura bellezza, affascinante, versatile. Per tagliare forme di formaggio, per tagliare canne e altra vegetazione, per incidere il legno. Per offendere no, mai. Per quello in Corsica è da sempre esistito un altro coltello: si chiama stiletto. Anche questo con radici genovesi, è affusolato, sottile, elegante. Il manico rifinito anche con ricche decorazioni, era orgogliosamente esibito alla cintura da donne e uomini.

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IL RITMO DELLA NATURA

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Una conversazione tra MIGUEL FLUXA, CEO di Camper, e JEFF MERCIER, guida alpina e soccorritore.

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MIGUEL: La tua carriera è nata ed è cresciuta sulle Alpi francesi, poi sei finito in Corsica dove ti occupi, tra le altre cose, di soccorso. In cosa consiste esattamente? JEFF: È divertente raccontare come ho iniziato a lavorare come soccorso alpino: sono stato soccorso io stesso una o due volte, ero giovane e probabilmente ho fatto qualche errore di troppo. Ma sono stato fortunato perché entrambe le volte è arrivato un elicottero a prendermi... MIGUEL: Dov’eri? JEFF: Nelle Alpi. Io sono cresciuto vicino a Chamonix. E poi in un certo senso è stato naturale per me fare questo lavoro: adoro camminare e scalare le montagna, e credo che ognuno abbia un certo istinto nell’aiutare le persone. In Francia è un lavoro full-time, siamo fortunati per questo, e lo possiamo fare tutto l’anno. E poi posso stare tutto il tempo in montagna. In montagna a volte sei il soccorritore, a volte sei il soccorso. MIGUEL: E com’è vivere in Corsica? Io sono nato a Maiorca, per me vivere su un’isola è naturale, ma so che è molto particolare.

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“Camper significa contadino, una persona che lavora la terra, e fin dall’inizio abbiamo avuto a cuore la sostenibilità. All’inizio il mio bisnonno faceva scarpe con pneumatici riciclati e con altri materiali di scarto”.

Miguel Fluxa 108


JEFF: All’inizio ci vuole un po’ per capire davvero la condizione di “isola”. Per tornare in Francia, dai parenti, dalla mia famiglia, devo prendere una nave. Non è come prendere la macchina e guidare: devi aspettare. Non è facile. Ma quello che amo è che è un nuovo mondo da scoprire. Ho sempre vissuto nelle Alpi, in montagna, e trasferirmi ad Ajaccio è stata una grande possibilità di scoprire questo nuovo mondo. E poi la Corsica è veramente selvaggia: non ci sono autostrade, le strade sono piccole, e anche in questo senso devi prenderti del tempo. MIGUEL: Devi accettare di stare a tempi non tuoi. A una lentezza che si trova raramente oggi ed è molto legata alla natura. È come il motto di questa rivista: Walk, Don’t Run. Poi ci sono le montagne: che differenze ci sono rispetto alle Alpi del continente? JEFF: Soprattutto che non ci sono né neve né ghiacciai, quindi questo la rende un posto più sicuro, perché i rischi maggiori solitamente derivano dalle valanghe. MIGUEL: Qual è la montagna più alta qui? JEFF: È alta circa 2700 metri, si chiama Monte Cinto. Ma è comunque “asciutta”: quindi si fanno pareti di roccia, una cosa che a Chamonix 109


si fa poco, più legata ad altri tipi di montagne, appunto rocciose. MIGUEL: Tu hai passato molti anni a scalare pareti di ghiaccio. Com’è successo che ti sei innamorato proprio del ghiaccio? JEFF: È una storia molto lunga: prima ero un rock climber, e con la roccia ho imparato come ci si muove su una parete verticale. Quando c’è il ghiaccio è diverso, però. Perché puoi scegliere tu il percorso, non devi seguirne uno in particolare. Non devi stare attaccato a una protezione, o cose che puoi trovare sulla roccia. Quindi quello che mi piace veramente del ghiaccio è questa completa libertà: vado dove voglio andare. Certo, devi capire come funziona il ghiaccio, non è semplice. Potrebbe collassare, oppure potrebbe non essere abbastanza spesso. Ma amo davvero questa relazione con il ghiaccio. È vivo! Dipende dalla stagione, ma cresce con l’inverno, poi si assottiglia o sparisce con la primavera. Devi aspettare il momento giusto per trovare la condizione migliore. È la relazione con la natura, innanzitutto: perché se vai troppo presto, potrebbe collassare, ma se aspetti troppo tempo il caldo sarebbe troppo forte, e quindi ancora pericoloso. È la natura che decide quando è il caso di scalare una certa cascata di ghiaccio. Hai questa sensazione che non è l’uomo ad avere il pallino in mano. 110


MIGUEL: E come si misura la sicurezza del ghiaccio, o il suo spessore? Puoi essere sicuro al cento per cento? JEFF: Più o meno, in una cascata di ghiaccio non è troppo complicato. E poi io lo faccio da molti anni, quindi riesco a dirlo a colpo d’occhio. Ma quello che mi piace di più è spingere il limite sempre un po’ più in là. Un altro fattore da considerare è il rischio valanghe: le cascate di ghiaccio si trovano spesso in luoghi in cui è facile che si formino valanghe. Devi considerare attentamente ogni mossa che farai. Mossa dopo mossa. Sarà meglio andare ancora in su oppure è meglio scendere? E quando hai raggiunto una certa altezza, l’unico modo possibile per finire la scalata è arrivare in cima, quindi a quel punto è tutta esperienza, tecnica, e le sensazioni che hai. Quello che amo di più è l’arrampicata mista, in cui le pareti hanno sia roccia che ghiaccio. MIGUEL: Il cambiamento climatico è un problema, e in montagna si sente più che in altri posti. Qual è la tua esperienza? JEFF: I ghiacciai sono probabilmente il posto in cui si vedono meglio gli effetti del cambiamento climatico, perché anno dopo anno puoi accorgerti di quanto si rimpiccioliscono. È diverso per le cascate di 111


ghiaccio, perché in generale il cambiamento climatico non significa per forza meno freddo: nel 2020 abbiamo avuto un gennaio freddissimo, e si sono formate delle strade di ghiaccio che non si vedevano da vent’anni. Quindi in questi casi non c’è un effetto immediato. Ma sui ghiacciai sì, e i ghiacciai hanno rappresentato una parte importante della mia vita da scalatore. È un universo nuovo, perché cambia molto. Quando arrampichi su una cascata di ghiaccio vai dalla base alla cima. Su un ghiacciaio è diverso: è molto più piatto, e devi controllare tutti i buchi, i crepacci che potresti trovare. Da lì funziona al contrario rispetto all’arrampicata: ti cali nel crepaccio dall’alto, per poi trovare il percorso più interessante da scalare. Quindi insomma quando sei sul ghiacciaio ti accorgi che la temperatura media ogni anno cambia. MIGUEL: Hai visto posti scomparire? JEFF: Ho iniziato a 14 anni, sul ghiacciaio del Bossons, uno dei ghiacciai vicini a Chamonix. Ma se andassimo ora sullo stesso ghiacciaio, a fine novembre, non troveremmo nessuna traccia di ghiaccio. È sparito. Erba, sabbia... Per trovarlo, oggi bisognerebbe andare oltre i tremila metri. Quando cammini in quei posti,

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“Ho sempre vissuto nelle Alpi, in montagna, e trasferirmi ad Ajaccio è stata una grande possibilità di scoprire questo nuovo mondo. E poi la Corsica è veramente selvaggia: non ci sono autostrade, le strade sono piccole, e anche in questo senso devi prenderti del tempo”.

Jeff Mercier 113


e vedi dove il ghiacciaio prima era, capisci che è una cosa veramente grande. Qualche tempo fa ero in Islanda, stavo arrampicando con delle persone locali, e mi hanno spiegato che le pareti che facevano vent’anni fa ora sono sparite. Una delle cose che vorrei fare è un film in cui incontro persone del luogo, climber locali, e parlare con loro, visto che vivendo lì è facile per loro spiegare cosa sta succedendo. Con una parte sportiva, fatta di azione, ma anche una parte importante di consapevolezza. MIGUEL: La cosa importante è che ci sia una coscienza condivisa di quello che sta succedendo e di quello che si può fare, in modo da poter lasciare un futuro alle prossime generazioni. Prima parlavi di ghiacciai e di come siano cambiati, io posso parlarti del mare: in Maiorca, quando ero bambino, si vedevano molti più pesci in mare. Non serve essere un esperto per notarlo. Anche il mare è un ecosistema molto fragile, ed è molto importante da proteggere.

È spettacolare, in Corsica, la spiaggia di Nonza, completamente nera. Non per una composizione vulcanica, bensì per la presenza di un’antica miniera di amianto che non è più tuttavia pericolosa. È allora piacevole godersi il luccichio dei granelli grigi e lucidi bagnati dal mare.

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In conversazione con

Isabelle Buzzo e Jean-Philippe Spinelli

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Si chiamano Isabelle Buzzo e Jean-Philippe Spinelli. Sono compagni nella vita e nel lavoro. Hanno fondato nel 2014 lo studio di architettura Buzzo Spinelli, che opera in Corsica e a Parigi. Insieme hanno lavorato a molti progetti sia Corsica che sul Continente. Insieme hanno lavorato a molti progetti sia nell’isola che sul Continente. Tra i più importanti, un rinnovamento della cittadella antica di Bastia, in cui hanno installato una passerella pedonale e una struttura di cemento che permette di comunicare tra il mare e la parte alta della città; a Bonifacio, invece, ha ricevuto diversi premi la costruzione di una serie di nuovi box multiuso per i pescatori della zona. Ma soprattutto Isabelle e Jean-Philippe rappresentano due anime diverse della stessa isola. Una settentrionale, Jean-Philippe, nato a Bastia, affacciato sul Tirreno ma circondato dalle montagne; l’altra meridionale, Isabelle, nata a Bonifacio, una specie di isola nell’isola, a dodici chilometri dalla Sardegna, un eden arroccato sul mare che lo circonda per tre lati su quattro.

Come vi siete conosciuti, come avete deciso di unire professionalmente le vostre vite?

avuto questa idea e da quando abbiamo iniziato ha funzionato bene, e così abbiamo continuato.

Siamo stati a scuola insieme a Marsiglia, all’École nationale supérieure d’architecture. In Francia non è proprio un’università, ma è qualcosa di simile. Abbiamo fatto cinque anni insieme a Marsiglia, e alla fine degli studi abbiamo iniziato a lavorare insieme.

È difficile dedicarsi a una città, e poi cambiare completamente e lavorare con il mare? Serve continuamente cambiare modo di pensare?

Come è nata l’idea di tornare in Corsica? Abbiamo sempre voluto mantenere attive due diverse situazioni, una in Corsica e una a Parigi. In Corsica abbiamo l’opportunità di lavorare su progetti in cui è forte l’elemento del paesaggio, del patrimonio, con il mare e con la luce. C’è una grande ricchezza di progetti. A Parigi possiamo sviluppare invece un’architettura urbana, legata alle abitazioni, progetti che si sviluppano in altezza. Non sono le stesse commissioni, sono due situazioni molto diverse. Un po’ come due vite. Come mai avete deciso di cercare questo equilibrio e non scegliere una cosa sola? È stato… una specie di istinto. Non abbiamo preso ad esempio nessun altro studio che lavora in questo modo, ma abbiamo 118

In fondo è lo stesso modo di pensare, usiamo la stessa attitudine per immaginarci progetti diversi. È bello lavorare ad esempio sul progetto di un grande palazzo a Parigi, e il giorno dopo su un altro come la passerella pedonale intorno alla cittadella di Bastia. In qualche modo, quello che impari da uno lo applichi anche all’altro. Che tipo di attitudine è? Come la descrivereste? Partiamo sempre dalla memoria del luogo. Per esempio: perché la cittadella di Bastia è così, oggi? Che cosa ha attraversato negli anni, anzi nei secoli? Perché è arrivata in questo modo fino a noi? E quindi: come si può lavorare con questa storia? Parliamo di una storia importante, genovese e poi francese, molto stratificata. È fondamentale comprendere come funziona un luogo, come è stato costruito, e alla fine trovare le tracce delle situazioni che si sono succedute in quel luogo, in modo che il progetto sia coerente e possa essere arricchito


Il progetto della cittadella di Bastia ha vinto il Premio di eccellenza il premio di eccellenza all’edizione 2021 dell’ACI Excellence in Concrete Construction Awards.

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Brothers Polze S/S 2022


dalle esperienze precedenti. È veramente una cosa fondamentale, e lo possiamo fare molto bene in Corsica. A Parigi invece meno: non c’è lo stesso rapporto con la storia.

sperimentato a Bastia, creando per la cittadella un tipo di cemento unico, e anche a Bonifacio abbiamo usato questo particolare cemento calcareo.

Costruendo una passeggiata pedonale intorno alla vecchia cittadella fortificata avete invertito la funzione originaria dei bastioni: prima era qualcosa di chiuso, creato per difendere, per tenere fuori i nemici, e invece adesso è diventata un palcoscenico per ammirare l’esterno, un modo per mettere in comunicazione il mare e la terra.

Quello che colpisce di Bastia è la doppia identità architettonica: nella parte più vecchia della città sembra di trovarsi in Liguria, in Italia, perché i palazzi sono rimasti gli stessi della dominazione genovese. Poi c’è invece una parte più tipicamente francese.

Sì, esatto. È difficile intervenire su un elemento come una cittadella proprio perché normalmente deve stare chiusa. Ma la passerella non è solo parte della cittadella: non è dentro la cittadella, ma le corre intorno. Il rapporto principale è quindi con il mare. È un progetto pensato più per un dialogo con il mare che con la città? Sì. Per ridare accesso al mare. Nel ventesimo secolo, con l’ampliamento del porto e la costruzione di un tunnel automobilistico lungo la costa, la relazione antica tra Bastia e il mare si è interrotta. Questo progetto è un modo per riconquistarla. Cosa vuol dire progettare e lavorare su un’isola e per un’isola? C’è sempre questo confine aperto, oppure questo non-confine. Certo, il mare è sempre un confine. Nella nostra riflessione c’è sempre l’intenzione di chiedersi come si può costruire soltanto con i materiali che abbiamo a disposizione sull’isola, senza importare niente. Per esempio, il progetto della cittadella, in alto, è realizzato con la roccia degli scogli. Tutto il cemento utilizzato per il progetto (che comprende anche un collegamento di scalinate tra il porto e la parte superiore della cittadella e la ristrutturazione dei giardini Romieu) è fatto con pezzi di costa e scogli. Non abbiamo prodotto niente. Abbiamo da sempre questo pensiero: che succede se domani non c’è nave o non c’è aereo, come si può fare? È la stessa mentalità degli anziani dell’isola. Qual è la cosa più importante da consierare quando si fa architettura sul mediterraneo? La luce? Ovunque c’è il mare. Sempre il mare. A Bonifacio c’è il mare, a Bastia c’è un mare diverso, ma sempre il mare. Il mare è un ponte per il continente. Ma la Corsica è particolare perché è una regione microscopica eppure con delle forti specificità: ha la sua pietra, la sua luce, è in rapporto sia con il fiume (la Restonica) che con il mare. E da Bastia a Bonifacio cambia tutto. La solita domanda, per molte isole del Mediterraneo: è una cultura più legata alla montagna o più legata al mare? È… una montagna nel mare. Anzi, due montagne: una scistosa e l’altra granitica. Con due ulteriori piccole situazioni anora diverse: Bonifacio e Saint-Florent, che sono calcariche. Qual è il materiale più importante per voi, per le architetture da progettare in Corsica? Il cemento per noi è fondamentale. Con il cemento abbiamo

C’è la Bastia storica, quella del Diciassettesimo secolo, che è la zona del vecchio porto, e poi c’è Bastia del Diciannovesimo secolo, che è per esempio quella che si vede bene in Place Saint-Nicolas. Ma la vecchia Bastia è autenticamente genovese. I genovesi hanno costruito la cittadella. E il nome stesso di Bastia viene dalla parola “bastiglia”, ovvero fortezza, che fu costruita dai genovesi nel 1378. Quando vi trovate a progettare a Parigi cercate di portare un po’ di identità corsa nel nord della Francia? Forse non veramente corsa, ma sicuramente portiamo l’identità di un posto che vive mesi molto caldi d’estate, ad esempio. Oggi con l’aumento delle temperature anche Parigi ha problemi d’estate e noi siamo già più abituati a vivere così, qui. E possiamo usare queste conoscenze nei progetti che facciamo a Parigi. Qual è invece la caratteristica personale che vi fa sentire corsi? C’è una cosa in particolare che vi identifica? Essere molto diretti. E anche la consapevolezza di vivere in un posto magnifico, prezioso e fragile allo stesso tempo. Nel vivere un po’ sull’isola e un po’ sul continente quali sono le differenze principali? Vi manca la quiete della Corsica, ad esempio? Sì, è molto più facile vivere in Corsica. In confronto sul continente si fa una vita più complicata, soprattutto per i bambini. Quando siamo a Parigi, ad esempio, il sabato ci diciamo: andiamo a fare un giro al parco. Ma al parco di sabato c’è sempre il mondo. Qui invece si può respirare davvero, una cosa che è impossibile a Parigi o nelle altre città. A proposito di spazio: rispetto alla costa marsigliese o alla costa della Liguria, in Corsica si è costruito meno, rispettando di più le montagne e la natura? Un po’ meno, ma al nord. A sud invece, Porto Vecchio, Calvi, Île-Rousse, lì si costruisce molto. Ma in confronto a una regione come la Costa Azzurra sì, è un territorio molto meno costruito. In tutte le isole del Mediterraneo la tradizione è una componente molto forte della cultura locale Quanto è un valore e quanto a volte può essere un limite? Un’isola è anche un popolo, e naturalmente la memoria è importante. In Corsica ci sono entrambi gli aspetti, c’è la gente che vuole preservare quello che c’è e non “importare”, e c’è anche il contrario. Ci sono due tipi di Corsica e si vedono anche in base alle stagioni: in estate l’isola è molto turistica e d’inverno c’è poca gente. D’estate è una Corsica affollata, pi121


ena di turisti, e l’inverno è un’altra cosa. Per vedere la Corsica della tradizione è meglio venire dopo la stagione estiva. Com’è progettare in Corsica? C’è libertà o al contrario è difficile convincere “l’isola”? No, anzi, è veramente facile fare molte cose. Anzi, più facile qui che in Francia. Ci sono molte possibilità per fare progetti innovativi, sperimentali. Per noi come abbiamo detto è importante fare sperimentazione con il cemento, la pietra, le strutture, anche sulle strutture. Adesso stiamo lavorando a un progetto basato sull’utilizzo del pino nero endemico della Corsica, ed è difficile, non ci sono molti artigiani che lavorano questo tipo di legno, ma siamo riusciti a trovarne uno. Avete avuto dei dubbi circa l’idea di tornare qui e crescere i vostri figli in Corsica oppure lo sapevate da sempre? Per noi è sempre stata la miglior soluzione. Durante il lockdown è stato più semplice vivere qui, in tranquillità? Sì, sicuramente. Ma anche tutto il resto dell’anno. Andiamo con i bambini due o tre volte all’anno a Parigi, oppure ce ne andiamo d’estate, partiamo per vedere altri posti. Non c’è solo la Corsica, ma il resto dell’anno è molto bello vivere qua. Qual è la vostra cosa preferita dell’isola? Il mare. Ma anche la montagna. Dipende a chi chiedi dei due. Ma alla fine è più montagna o più mare? Forse come DNA tutte le isole hanno anche una certa paura del mare. Dal mare un tempo venivano gli invasori. Ma a Bonifacio è ancora diverso. Perché c’è la cittadella da sola, e poi non è un mare aperto, la Sardegna è vicinissima, si vede, è a dodici chilometri. C’è un rapporto di vicinato.

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«Il mare è sempre un confine. Nella nostra riflessione c’è sempre l’intenzione di chiedersi come si può costruire soltanto con i materiali che abbiamo a disposizione sull’isola, senza importare niente. Abbiamo da sempre questo pensiero: che succede se domani non c’è nave o non c’è aereo, come si può fare? È la stessa mentalità degli anziani dell’isola.»




Lo scrittore W.G. Sebald, nel libro Campo Santo, pubblicato postumo nel 2003, descrive le navi attraccate al porto di Ajaccio come «dei grossi iceberg». Al termine dell’estate, quando su ogni costa del Mediterraneo scende una malinconia dolce e piacevole in un modo del tutto particolare, i traghetti che fanno la spola con la Francia e l’Italia possono davvero ricordare riproduzioni in miniatura delle montagne che dominano l’isola. In quei giorni, e nei mesi successivi, tutto rallenta e si fa più silenzioso. La Corsica torna a respirare a fondo, a chiudersi in se stessa. Torneranno altre barche e altre fiumane di persone, tra non molto. Come ogni anno. Come sempre.

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Walk 126


Brutus Sandal S/S 2022 Helena è nata ad Ajaccio, ma ha vissuto a lungo, nel corso della vita, ad Angoulême, in Nouvelle-Aquitaine. È tornata in Corsica, questa volta a Bastia, per crescere qui i suoi figli. Fa gioielleria creativa.

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Il gatto selvatico corso è una sottospecie di gatto selvatico molto grande, probabilmente parente del gatto selvatico sardo e africano. Ma sull’isola esiste anche il cosiddetto “gatto-volpe”, che si pensava soltanto mitologico ed è invece in fase di studio e classificazione.


Don’t 129


Run. 130


Pix S/S 2022 Thomas ha 45 anni ed è nato a Bastia, e sempre a Bastia, oggi, lavora come costumista e proprietario di un negozio di vintage e seconda mano. In mezzo, ha trascorso dieci anni in Asia, divisi tra Thailandia e India.

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Edizione e creazione Alla Carta Studio Brand Creative Director Achilles Ion Gabriel Brand Art Director Gloria Rodríguez Fotografia Leonardo Scotti Set design Emanuele Marcuccio Styling Elisa Voto Illustrazioni Joe O’Donnell Testi Davide Coppo Produzione Hotel Production Un ringraziamento speciale a Yves Andreani Jean Noël Guillaumin Luc Plavis Isabelle Porras camper.com © Camper, 2022

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Brutus Sandal S/S 2022



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