I GRANDI GRIGI

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I GRANDI GRIGI - scuola di pittura bolognese Pierpaolo Campanini, Paolo Chiasera, Cuoghi Corsello, Piero Manai A cura di Antonio Grulli 11 maggio – 06 luglio 2013 Inaugurazione 11 maggio 2013 h 17

Abbiamo perso nel mondo dell’arte l’abitudine a costruire narrazioni desiderose di creare “scuole” o gruppi di artisti: l’esercizio a trovare determinati stili, tematiche, valori che possano tenere raggruppati individui differenti. Ancor di più si è persa l’abitudine a legare queste narrazioni a un contesto geografico, come se il concetto di comunità (che implica inevitabilmente una prossimità fisica e quindi anche geografica) non avesse più senso. Come se l’arte vivesse in uno luogo scollegato dalla vita di tutti i giorni. In realtà, a ben vedere, questa abitudine si è affievolita solamente in Europa, o forse dovrei dire in Italia. Perché, ovunque nel mondo nascano cose interessanti da un punto di vista artistico, queste ultime sono sempre riconducibili in maniera più o meno evidente (o più o meno dichiarata) ad uno specifico e ben definito contesto di persone in grado di condividere in profondità determinate “cose”; dai luoghi di ritrovo fino ad una certa attitudine nel modo di fare arte. A Bologna, negli ultimi decenni, un grande numero di artisti (ma non solo) è nato, si è formato, o è transitato per un periodo di tempo significativo. Nonostante la sua prolificità, la città non è riuscita a fare in modo che il grosso di queste esperienze si sedimentasse in maniera costante. Folto è il numero degli artisti, critici, curatori che si sono dispersi in mille altri luoghi, come schegge di cui facciamo fatica a riconoscere l’origine comune. Parlo di origine comune proprio perché credo la città sia ancora in grado di manifestare una propria identità molto forte e, se si guarda con attenzione, riconoscibile in molti degli artisti che qui vivono o vi sono transitati. Questa mostra è il tentativo di mettere insieme alcuni di questi frammenti per ricostruire una sorta di trama, in particolare rispetto al linguaggio della pittura. I cinque artisti, in realtà, non lavorano solo con la pittura ma, la maggior parte di loro, prevalentemente con questo mezzo. Sono di generazioni leggermente diverse ma non troppo; pur essendoci una differenza di età è come se sfumassero anagraficamente tra di loro. Ma credo sia impressionante notare come vi siano determinate caratteristiche in grado di legare le loro opere, e soprattutto i loro dipinti, in maniera fortissima. In primis partirei da quella che potremmo definire una certa temperatura “romantica” (permettetemi per una volta il termine nella sua accezione più ampia e scontata) che è ritrovabile nella tavolozza e nelle tonalità di tutti loro. Anche il fatto che utilizzino quasi esclusivamente pittura a olio è un fatto da non sottovalutare, nonostante di questi tempi sia demodè parlare di colori. Un altro punto comune è il totale e maturo superamento della conflittualità tra astrazione e figurazione, problema ormai relegato alle generazioni precedenti di pittori. Tutti loro realizzano dipinti figurativi in quanto si tratta dell’unica scelta percorribile rispetto alla loro poetica. Ma la base in cui possiamo trovare le affinità maggiormente evidenti è sul tipo di immagine che viene rappresentata in questi quadri. Vi è infatti un processo di costruzione del soggetto dipinto che rende queste ricerche interessanti e che, a mio parere, può darci il diritto di parlare di “scuola” pittorica. Si tratta di figure che possono ricordare, o che a tutti gli effetti sono, opere d’arte o “momenti” dotati di una connotazione particolarmente intensa e artistica. Spesso troviamo veri e propri oggetti e opere che gli artisti hanno sentito la necessità di rappresentare, e “spostare” quindi, su di un piano maggiormente mentale, sospeso, molto spesso anche dall’atmosfera assolutamente metafisica e sognante. Un piano in cui è presente una componente coreografica, teatrale e di mise-en-scène (e, vedremo, curatoriale). Come se fosse fondamentale questa specie di “quarta parete” che è in grado di darci la bidimensionalità della pittura. Le opere di Pierpaolo Campanini ne sono un ottimo esempio. Hanno quasi sempre al centro della scena strani oggetti (potenziali sculture?) che sembrano creati in vitro dall’artista appositamente per poi essere ritratti. Nel caso del dipinto in mostra vi è un elemento all’apparenza in legno, e in parte coperto di colore, che sembra sul punto di essere avvolto dalla vegetazione. I soggetti dell’ultima serie (Exhibition Paintings) di dipinti di Paolo Chiasera invece sono mostre curate dall’artista (o talvolta dall’artista in collaborazione con un co-curatore) composte di vere opere, realizzate da veri artisti, ma che non hanno mai avuto luogo (anche se potenzialmente potrebbero) e che esistono solo nei suoi quadri. San Gerolamo è una reinterpretazione critica del dipinto di Antonello da Messina sotto forma di mostra, composta di opere più o meno recenti, che “ha luogo” all’interno del padiglione tedesco alla Biennale di Venezia. Cuoghi Corsello hanno lavorato solo parzialmente con la pittura a olio pur raggiungendo risultati estremamente interessanti; qui mostriamo alcuni dipinti realizzati partendo da fotografie degli spazi che negli anni hanno occupato e abitato (vere e proprie ambienti istallativi di dimensioni talvolta giganti con una fondamentale componente coreografica) e della loro vita di tutti i giorni, che è poi la sorgente quasi performativa su cui impostano da anni il proprio lavoro. Mise-en-scène fondamentale anche in tutto il lavoro di Piero Manai e in particolar modo nella sua ultima produzione. In molti casi, come nelle fotografie documentative il rifacimento di alcune morti celebri dell’arte, la componente teatrale è dichiarata. Ma è utile notare, rispetto a questa mostra, il modo in cui Manai è passato da una ricerca sulla figura corporea ad una prima scomposizione della stessa in elementi distinti (sarebbe interessante un parallelo con i reliquari di Paul Thek, artista americano con cui condivide purtroppo anche l’anno della morte), per passare poi ad una semplificazione di questi elementi corporei (in prevalenza la testa) fino a renderli sculture con evidenti riferimenti brancusiani via via sempre più semplici.


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