Rabel 26 9 low

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RAEBEL

NUMERO ZERO DIRITTI IN MOVIMENTO

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QUI DOVETE METTERE IL TITOLO DEL NUMERO

QUI MI DOVETE DARE UN SOTTOTITOLO DEL NUMERO CHE ABBIA UN NUMERO DI CARATTERI CHE SIANO PIU’ O MENO QUESTI



DIRITTI IN MOVIMENTO SOTTOTITOLO

Il doppio senso racchiuso nel titolo di questo periodico, disordine e ribellione, ben si s’addice ad una situazione di crisi non risolta come è la presente. E non deve suscitare nel lettore il sospetto di una qualche settorialità o parzialità di temi e di argomenti, il fatto che tra i promotori di questo periodico alcuni siano volontari di una Associazione, il Coordinamento AstiEst, che da decenni sono impegnati nella difesa del diritto all’abitare. Dovrebbe ormai risultare evidente il mutamento di una emergenza in stato di eccezione, e in questo il malessere sociale farsi caleidoscopio di mille situazioni e di mille esperienze. Dove il sistema delle merci mostra le sue contraddizioni, là dove si annunciano, attraverso il conflitto, le più varie soggettività, più o meno antagoniste, là non può darsi nessun incontro con la vecchia politica, con una “avan-

guardia” organizzata in programmi, tattiche e strategie. Il passato non ritorna identico a se stesso. Resta il campo delle infinite possibilità dell’immanenza, di ciò che si annuncia solo nell’azione, il laboratorio del fare dove anche le reminiscenze di eresie o guerre di popoli, o di immagini utopiche possono essere messe al lavoro. Non siamo pertanto alla ricerca di lettori o di generici attraversamenti di temi o di settori di “movimento”; non intendiamo concorre al disincanto, alle delusioni e agli inganni di un astratto e spesso incattivito, confronto politico. Vogliamo più semplicemente mettere in comunicazione chi si è già messo al lavoro, chi ha già fatto il tentativo di fuoruscire dalla solitudine e dalla disperazione, chi ha già pensato di sottrarsi ai dispositivi di assoggettamento (indebitati, mediatizzati, securizzati, rappresentati) del dominio mercantile.


Unanimità OGM QUI MI DOVETE INDICARE UN TITOLO CHE ABBIA QUESTO NUMERO DI BATTUTE L’ordine del giorno votato all’unanimità, a conclusione del Consiglio comunale aperto di lunedì 13, presenta qualche novità di rilievo rispetto al precedente, votato più o meno sugli stessi temi, nel dicembre del 2012. Vale la pena di sottolinearle. Il confronto con l’Asl, sull’uso degli edifici dismessi dalla Azienda, partecipato dalle Associazioni. Analogamente partecipato dalle Associazioni e in capo, forse, alla Prefettura, il confronto con gli enti pubblici e religiosi, per una esplorazione delle proprietà immobiliari eventualmente utilizzabili come abitazioni. Infine, la richiesta alla Fondazione di destinare il 25 % del bilancio al finanziamento di attività a favore dell’occupazione e del diritto all’abitare. Per il resto si tratta di impegni già votati in precedenza (i preliminari per un uso pubblico degli edifici “occupati” di strada Volta e via Allende), con l’aggiunta di un maggior controllo per ridurre il peso della morosità colpevole in Erp (il 3% del totale dei canoni di locazione, irrilevante). Sull’Agenzia Territoriale per la Casa gravano, con ben altre peso, il pagamento dell’imu, il costo delle aree, gli eventuali oneri di urbanizzazione (che il Comune di Asti, l’unico del Piemonte, fa pagare per intero), i crediti verso gli enti pubblici, la non affidabilità delle imprese, l’impossibilità di rinnovare il tournover. Di questa situazione di crisi dell’Atc e degli effetti collaterali, sicuramente di qualche interesse per i 700 aspiranti assegnatari e per le 100 emergenze abitative, non c’è traccia sull’ordine del giorno. Il continuo rinvio della pubblicazione graduatoria del bando del 2011 (quella precedente è in vigore da più di 4 anni, non era mai successo), la non

agibilità degli alloggi di viale Pilone già assegnati, la residualità degli alloggi popolari disponibili, compongono ad Asti l’ordito una politica della casa popolare ormai ridotta al lumicino, su tutto il territorio nazionale ( dal 2008 il numero dei provvedimenti di sfratto è aumentato del 60 %, negli ultimi 10 anni il tasso di crescita dei canoni di locazione è aumentato del 130 %, del 150 % nelle grandi città, 650 mila persone aspettano una casa popolare). Di tutto questo, nel corso del Consiglio, non ha parlato nessuno, salvo il consigliere dell’Atc che ne ha riferito, la delegata della Cgil e il portavoce del Coordinamento che ne hanno fatto cenno. Sul tema del lavoro e del reddito, in rapporto di causa ed effetto con il tema del diritto all’abitare, l’odg si esaurisce in dichiarazioni di principio. Ma già nel corso del Consiglio gli interventi non sono andati oltre una sommaria analisi della situazione occupazionale. Che uso fare delle borse lavoro disponibili (formazione o contributo di sostegno al reddito), che ruolo fare assumere all’ente locale nella promozione della imprenditorialità; sono temi che affogano nei vincoli imposti alla sovranità dei Comuni, dalle politiche neoliberiste e dell’austerità. Di tutto questo nessuno ha parlato, salvo l’assessore al lavoro che ne ha fatto una banalità, orientandolo ad una difesa del proprio ruolo. E’ un odg che porta il segno della opposizione politica e sociale, ma nel costrutto dialogante rimane un componente di un “dispositivo di controllo” che, insieme al dialogo, ha altri componenti (il linguaggio e l’autoreferenzialità per esempio). In altri termini, è un odg che serve alla giunta e al Consiglio per allontanare il conflitto sociale o ripor-

tarlo nell’alveo degli atti filantropici e compassionevoli. Come sono quelli agiti finora dalla giunta. Sono dieci mesi che questa giunta “dialoga” e segnala, con notarili elenchi dei limiti che gli sono imposti dall’esterno, che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. Noi opponiamo che, di mezzo ci sono gli atti costituenti (quelli che stiamo facendo noi, le occupazioni in particolare, attualizzando le promesse degli articoli 3, 41, 42, 43 della Costituzione) o gli atti possibili, che la giunta non vuole prendere e che il consiglio nel suo insieme aborre. Vale a dire le requisizioni e gli espropri, accompagnati da chiamate di responsabilità e di partecipazione; atti chiaramente incompatibili con lo statuto presente della proprietà. Insomma si tratta di un ODG votato all’unanimità; una unanimità Ogm. Carlo

CONSIGLIO APERTO. MA Ma voi ci siete mai stati in consiglio comunale aperto ? Per me e’ stato la prima volta (presumo anche l’ultima). Era un classico martedì di riunione. Si stava parlando di progetti e soluzioni quando annunciano che finalmente ci sarebbe stato un consiglio comunale aperto. Non intendendomi di certi argomenti la mia domanda è nata praticamente spontanea “di cosa si tratta ?” Subito mi risponde un ragazzo che frequenta le nostre riunioni: “E’ un consiglio comunale dove la giunta ascolta ciò che abbiamo da dire”.


O COMUNALE AMMA MIA! “Bellissimo”, rispondo. “È una grande occasione”. Il ragazzo con un mezzo sorriso mi dice “eh si in teoria..”, “come in teoria ?” Finalmente ci potremo confrontare con loro, esporre i nostri dubbi e parlare dei nostri problemi .Mi guardavano tutti con tenerezza come quando un bambino parla di Babbo Natale . Non capivo ! Nessuno mi ha dato una risposta ma ugualmente ci siamo impegnati a scrivere i nostri interventi. Ale, il portavoce delle famiglie di Corso Volta (una delle tre occupazioni) ha preparato il suo, ne

sono seguiti altri che raccontavano i problemi abitativi in città. Quella sera ci siamo trovati tutti in piazza S. Secondo. Uno sciame di tailleur di Chanel, cravatte Armani e finti sorrisi non facevano ben sperare … ma io ero ancora fiduciosa. Siamo saliti e il consiglio era già iniziato; in una splendida sala si era riunita la politica astigiana. Le persone con le loro problematiche hanno iniziato a parlare. Intervenivano una dopo l’altra, dietro a quel microfono che faceva rimbombare la loro voce, ma non faceva alzare gli occhi di quei politici ….nemmeno fingevano di ascoltarci ! Non gli interessava ciò che avevamo da dire, non gli interessavano i nostri problemi le nostre angosce. In diverse occasioni hanno tentato di zittirci, dicendoci che il tempo era poco o ancora peggio tentando di spegnere il microfono .

Ero sconvolta !!!!! . Non hanno prestato attenzione nemmeno ad un ragazzo che aveva perso il lavoro e la moglie stava facendo chemioterapia, anzi no, sto dicendo una bugia, alla parola chemioterapia hanno alzato gli occhi. C’era chi si guardava il cellulare chi chattava su Facebook e addirittura chi si faceva il solitario sull’Ipad. Avevo voglia di urlare e gridare nelle orecchie di quella gente che era li solo per fare numero. Mille domande, mille emozioni nella mia testa . Ma com’è possibile che queste siano le persone a cui abbiamo dato la nostra fiducia, com’è possibile che queste siano le persone a cui abbiamo i affidato nostri problemi se nemmeno li ascoltano ?! “Nooo basta !!! non resisto più !!!! vado a fumare !!!!” Ilaria


UNA CASA DI VETRO

RESISTE Parlando della casa, ho un amico che vive in una viuzza qui ad Asti, che è da poco andato a vivere da solo; sono andato a casa sua che è un cesso perché non mangia mai a casa, va sempre a mangiare al ristorante. Non riesco mai ad appoggiare una cosa sul tavolo, ci metto un po’ insomma a trovare un po’ di posto. Perde tutto. Poi c’è un cinquantacinquenne, che prima di dirti ciao, controlla sotto le scarpe se per caso trova un pezzo di terra incastrato tra i gommini. Lui è come colui che, trovando una macchia di sugo sul piano cottura, produce lamenti di un vittimismo angoscioso, come se quella macchia fossa caduta sul vivo del tessuto corporeo che gli appartiene. C’è un gruppo di hippies che dorme per terra dove capita, si trovano in comunità a spartire una casa di conoscenti di conoscenti, in un’atmosfera di tenue e leggera cordialità e accettazione, finché

qualcuno ne è sbattuto fuori (ce n’è sempre uno) da un avance della donna del padrone di casa (ce n’è sempre uno). Case a forma di barca, qualcuno nelle Azzorre ne è consapevole e inquilino, e sulla collina ne costruisce una ferma, come le altre, come prova della sua esistenza. Per dire poi che i suoi pensieri son solidi e stanno ancora in piedi. Lavori a rilento, ha qualcosa che lo trattiene da tornare a casa. Una volta ho visto una casa di vetro. Non ci ho visto mai nessuno dentro. Case aperte! Ma nascoste. Luride e sacre. Fatte di terra e rocce, lontane, che si affacciano sul mare tra ripide valli piene di cactus. I topi sono sfidati dall’abitante, nella loro caccia al cibo facile. Splendide spiagge, ma un giorno il mare ha portato via tutta la sabbia dorata! Non rimangono che rocce. Matteo C.

ESISTE Ribellarsi alle angherie e ai soprusi è legittimo e sacrosanto, ce lo hanno insegnato i partigiani e i milioni di lavoratori che, nei decenni trascorsi, hanno combattuto aspramente per migliorare le condizioni di tutti , conquistando i diritti che oggi i padroni e la banda di politici vari, vorrebbero cancellare. Per garantire alle nostre famiglie una


ERE PER ERE

vita dignitosa non abbiamo altro mezzo che lottare e resistere per difendere questi diritti! Per non pagare la crisi dei padroni! Per fare del nostro paese un paese senza più sfruttati ne sfruttatori dobbiamo lottare perché i lavoratori non debbano scegliere tra morire di cancro o di fame, come gli operai dell’ ILVA o come gli op-

erai esposti all’amianto che muoiono per mesotelioma, o come i lavoratori della Thyssen. bruciati nella fabbrica dove mancava ogni sicurezza Dove i giovani non si debbano consumare nel precariato , nella disoccupazione, nella distruzione della scuola pubblica. Dove chi e’ solo, ammalato, anziano o subisce un tracollo finanziario non debba essere costretto al suicidio Ai proletari migranti, che non vogliono vivere una vita in schiavitù , va ancora peggio , o muoiono nel mare nostrum, oppure vengono incarcerati ,senza nessuna colpa , nei C.P.T. veri e propri lager Sappiamo bene di come stiano le cose. Sono sotto gli occhi di tutti. Il sistema è marcio e corrotto in ogni sua cellula. Non possiamo permettere che

questo sistema scelga per noi , non possiamo accettare una schiavitù a piede libero , dobbiamo essere in grado di percepire sulla nostra pelle la realtà che ci circonda , sentire il tanfo che ci circonda , prima che diventi immobilità, farsa, parole nel vento. Non vogliamo essere ne succubi ne pecore. Per chi ancora vuole alzare la testa , lo sappiamo sarà una dura battaglia, l’Italia e’ lo stivale di un celerino, ci sono i manganelli di polizia e carabinieri , oppure le accuse di terrorismo con relative inchieste, perquisizioni, sequestri, carcerazioni preventive e processi farsa. Nessun uomo libero può accettare queste condizioni, nessun uomo degno può arrendersi senza resistere. Pinu


Il tempo che c’è, è una possibilità. Ti svegli un lunedì, apri il giornale, aspetti. Ti svegli un martedì, apri il giornale, aspetti. Ti svegli il lunedì dell’anno successivo, apri il giornale, stai ancora aspettando. Allora chiudi il giornale. Re Lear aveva ragione. Dal nulla non può uscire nulla. Il nostro governo, oggi, è il nulla. Per l’ennesima volta. Credo Raebel voglia partire da qui. E io con lui. È andata più o meno così. Sono dal dentista. Ho preso appuntamento a mezzogiorno. Ho un male cane. L’una, le due, le tre, le quattro. Il tempo passa. Il dentista non arriva. Il male resta. Sono incazzato nero. Vorrei spaccare tutto. Tavolino, sedie, attaccapanni, giornali di gossip del ‘98 e perché no, la faccia del dentista. Poi arriva Elena. Sa che non sono un violento. Sa che nella mia vita non ho mai dato un calcio nelle palle a nessuno. Nemmeno quando i suoi compagni di terza venivano a farci fare l’aquilotto. Mi dice andiamocene. Basta aspettare. Ci siamo stancati. Non ha più senso. Ma non ti preoccupare. Non siamo soli. Fuori ce ne sono altri. Molti altri. Una sola moltitudine. Persone come me, come te, come noi. Mi alzo, non

tocco nulla, me ne vado. Fine della storia. Mi siedo alla scrivania. Ne inizia un’altra. Non più la loro. Quella del dentista, del politico, della casta o di Dio solo sa chi. Ma la nostra. Di ciò che è nostro. Di ciò che ci appartiene. Di ciò che ci è stato donato. Di ciò di cui abbiamo diritto. Non sappiamo chi sono i veri responsabili. O sono spariti. O nascosti molto bene. Destra, sinistra, centro, Monti, Berlusconi o chi prima di lui ci ha governato. I guai sono tanti. Le certezze poche. Il paese è a pezzi. Non è colpa nostra. Noi siamo diversi. Noi abbiamo diciotto, venti, venticinque, trent’anni. Noi vogliamo una cosa sola. Consegnare ai nostri figli un paese migliore di come ci è stato consegnato. Un po’ come avevano fatto i nostri nonni. E la storia va avanti solo così. Allora dobbiamo ripartire. Lo so. Siamo senza corde vocali, abbiamo i denti mezzi rotti e il fegato spezzato. Ma dobbiamo ripartire. E questo può essere il punto iniziale. Riuniamoci. Torniamo a parlare di noi. Di ciò che davvero ci riguarda. Dei nostri problemi. Quelli veri. Se loro non lo fanno, facciamolo noi, fino alla nausea. Nelle case, sui

giornali, nelle strade, nelle piazze. Oltre ogni paura e speranza. Se questa ci mancherà, noi andremo avanti lo stesso, come diceva Pertini. Quando staranno per vomitare, talmente la nostra voce sarà forte e il nostro alito pesante, allora ci ascolteranno. Non ne potranno più fare a meno. Ormai siamo di più. Siamo troppi più di loro perché ci possano ignorare. Troppi di più perché non ci possano sentire. Noi, prima di loro, abbiamo messo da parte le nostre bandiere e i nostri colori. Noi, a differenza loro, abbiamo capito che il futuro è uno solo per tutti. Tutti si salveranno o nessuno verrà risparmiato. Ci rimane poco, a volte niente. Ma se ci perdiamo in questo niente nulla potrà rinascere. Spaliamo insieme le macerie e mettiamo il primo mattone. Anche questo insieme. Loro non ci parlano di lavoro? Noi lo urliamo cento volte più forte. Non ci parlano di diritti? Lo gridiamo mille volte ancora. La nostra voce riempirà presto non solo il nostro, ma anche il loro silenzio. 27.05.2013 The time they are_a-changing. M.S


SONO PRECARIO Eccomi, tra poco anche io avrò trent’anni. Trent’anni e una laurea e tanti anni a costruirmi il nulla. Il panorama intorno a me è triste, da disoccupati ci si sente disillusi e poi gli “adulti” si permettono di dire che i giovani sono svogliati, non si impegnano, il lavoro in realtà se uno lo vuole, lo trova, che tutti possono fare tutto, basta volerlo. Certo, chiaro, va bene, faccio la cameriera, in nero,ovviamente oppure, meglio ancora uno stage sottopagato dove faccio 12 ore al giorno , dove dovrei imparare qualcosa ma non c’è nessuno che mi insegna perché in realtà faccio il lavoro degli altri, ecco si!

Magari se mi va bene,vedrò i trecento euro a fine mese. Ed ecco che, questa felice storia si ripete, per qualche mese e poi? Si riparte da capo, magari facendo un corso di inserimento lavorativo dove professori di mille anni con due o tre lavori ti riempiono la testa di nozioni, libri da leggere, esercitazioni , simulazioni e poi tutto finisce e.. Si riparte, magari aggiungendo qualche ora di ripetizioni in nero, dove le mamme fanno fatica a pagare e ti dicono, guarda ti pago quando posso , ti spiace? e tu dici, certo va bene, capisco,del resto che altro potresti fare. E ti ritrovi un giorno, a sperare di essere chiamato a fare qualche

sostituzione nella cooperativa dove lavori in modo discontinuo da anni , per qualche euro. Dopo,assurdo, eccoti a gioire perché ti confermano il centro estivo di sei settimane dove farai le tue otto ore e non un’ora di tanto in tanto. Le tue otto ore a fare qualcosa che ti piace, in cui riesci, faticando ed arrabbiandoti però finalmente ti senti utile e forse l’estate passerà più in fretta e anche la sua afa soffocante. Lavoro, non è solamente lo stipendio a fine mese, è anche il sentirsi vivi, utili, realizzati e non disperati. Quindi, finalmente, ho deciso, ci provo. Forse andrà male, pazienza, ci provo, mi invento un lavoro. Questa è l’unica soluzione che ho trovato, dopo molti anni a sperare in qualcosa che non si è mai avverato, o la va o la spacca, tanto peggio di così non so proprio immaginare come potrebbe andare.

Marina


25 APRILE

Trasgredisci i rituali, raffina i sentimenti, se drizzo la mia mente a ciò che odo e a ciò che mi entra con passione, posso dire di andare d’accordo con questa frase, e di non essere persuaso dalla data 25 aprile. Non fa più effetto (in me) la festa per cui i nostri ragazzi fanno ali al folle ozio, che tanto Alitalia l’abbiamo venduta, comandanti e subrettes e la Juve, e alla fine se c’è facebook si campa sempre per un’oretta ancora. Intanto non c’è pietà di noi appena scendi col piede oltralpe. Non si può vivere. Non si vede dolore in giro, se non si è allenati psicologicamente a percepirlo, la gente è presa, già presa, il recipiente è pieno. Si ha bisogno

di una persona convincente come un Benigni a risvegliare per un’ora la passione per l’Italia che non ho mai visto, perché nessun maestro ha tirato via il telone dall’opera splendente e sopita. Come si vuol che facciamo noi ad esultare e acclamare ciò che non si vede e si sente? Oggi è il 25 aprile, è vacanza. Se si chiedesse alla gente comune per strada se avesse o meno una occupazione che consideri lavoro, si sentirebbero risposti pochi scontenti “si” e tanti rassegnati “no”. Esiste una pagina di wikipedia dedicata a Saya Gyi U Ba Khin, funzionario governativo che introdusse la meditazione vipassana nei diversi reparti del

governo birmano. Pulì a tal punto l’anima dei loro funzionari, e quindi degli stessi reparti, dalla corruzione e dall’inefficienza che a fatica, nel 1967, si ritirò dalla vita politica perchè rimpianto dal governo come guida spirituale. Questo per lamentarsi della bassa qualità del lavoro dei comunque sofferti “si”, sapendo che persone come U Ba Khin sono esistite. (Riguardo ai no, io do a tutti il consigli di andarsene via che tutto il mondo è paese) Matteo C.



RIFLESSIONI

DI GUARDIA ALLA CLAREA Nelle lunghe notti in Valle Susa, di guardia alla Clarea, a Chiomonte o sull’autostrada mentre aspetto l’attacco delle forze dell’ordine i miei pensieri diventano timori, per me, avanti negli anni e con qualche acciacco, per i giovani che nella notte lavorano a rinforzare le difese, mi passano un caffè caldo, giocano a carte per fare passare le lunghe ore, per Turi che da sette giorni non mangia e non beve e fa anche lo sciopero della parola, (e’ un pacifista No T.a.v.). Sapere che presto verrà la polizia, che mi vedrò davanti scudi, manganelli,caschi ,con dietro persone come me, che ricevono l’ordine di portarci via a qualsiasi costo,anche picchiandoci,strattonandoci,sparan doci lacrimogeni al C.S., noi ribelli, loro dalla parte della legalità, noi con la forza della ragione, loro armati di tutto punto,mi sento veramente impotente e mi domando: a noi alle nostre vite serve davvero questo T.A.V. E’ una lunga notte, tra di noi fratellanza, umanità, e’ tardi ma il vecchio partigiano non vuole tornare a casa , uniti nella resistenza, la sua presenza ci da forza e coraggio. Nell’umidità della notte penso ai fratelli No T.A.V. incarcerati, anche loro soffrono e lottano insieme a noi, penso a Luca che dal letto di un ospedale ci manda messaggi di incoraggiamento. La notte, si dice, porta consiglio, ma io non riesco a farmene una ragione, i governi non guardano in faccia nessuno quando ci sono di mezzo soldi, fama, poltrone, io penso alla devastazione, ai costi,ai danni che farà questo “supertreno”, in Italia ogni km. di linea è costata la vita a un lavoratore, quasi tutti migranti e in nero,solo un terzo dei lavoratori e’ del posto. Una montagna di soldi pubblici sono stati sottratti ai treni dei pendolari, alle

scuole, agli asili, ad una sanità decente per tutti e a tutto quello che ci serve per vivere dignitosamente. Soldi presi dalle tasche dei cittadini che quotidianamente vedono peggiorare le loro condizioni di vita a causa della crisi che morde sempre più forte. Un vento freddo mi fa rabbrividire, ma non solo quello , a difesa del “tunnel che non c’è’”, (perché nessun lavoro e’ mai cominciato) alle mie spalle, ci sono 200 poliziotti e io nello zaino ho una maschera anti- gas, indumenti da cambiarmi in caso, con gli idranti, mi sparino addosso acqua sporca e che procura dolorosi pruriti, mi chiedo e’ “giusto”!. Come facciamo ad essere cosi’ solidali, uniti , dove troviamo la forza di far tacere la paura che ti prende allo stomaco, come facciamo a sorriderci o sostenerci mentre fuggiamo davanti alle cariche della polizia con il cuore che batte all’impazzata. Solo uniti si vince, i No T.A.V. condividono tutto,il mangiare, l’ultima sigaretta ,un turno di guardia, il limone per pulirsi gli occhi dopo i lacrimogeni, il coraggio e l’allegria, questa e’ la nostra forza, e lo Stato retrocede, ci blandisce con gli incentivi, con la promessa di cambiare il progetto per renderlo meno costoso, noi continuiamo a resistere la linea ferroviaria c’è già, potrebbe ospitare un traffico da tre a cinque volte quello attuale, basterebbero poche e meno costose modifiche. “Collegamento con l’ Europa” “progresso” ma vale la pena, mi chiedo, di inquinare l’aria, l’acqua, provocare danni irreversibili a falde acquifere, alla flora e alla fauna, mettere in pericolo la nostra salute per arricchire chi la costruirà e attirare gli appetiti della mafia? Fermarli tocca a tutti noi, per difendere la nostra terra,il nostro futuro e il futuro dei nostri figli da chi vuole distrugger-

lo. Si sta facendo giorno, penso che i giornali stanno uscendo, vedo un titolo “Pericolosi black-bloch anarcoinsurrezionalisti allenati alla guerriglia in Grecia...nei boschi della Valle Susa” , il mattino mi trova serena, la resistenza continua. Pinuccia Cane

IUS SO Nato a: Milano. Scuola dell’infanzia: Milano. Scuola primaria:Milano. Medie: Milano. Superiori: Milano. Cittadinanza: albanese, marocchina, macedone, senegalese. Stranieri nati in Italia. Una palese contraddizione: la parola “straniero” fa pensare ad una lingua e ad una cultura diversa, ma anche ad un passato non condiviso. I ragazzi della seconda generazione non hanno mai provato l’esperienza dell’emigrazione, ma si sentono chiamare “immigrati”. Sono stranieri ovunque: spesso si sentono tali


OLI anche nel paese d’origine dei genitori. I ragazzi della seconda generazione infatti non hanno il diritto alla cittadinanza italiana, e sono considerati dunque, a tutti gli effetti, non italiani. Ius sanguinis o ius soli? Molti Paesi europei conciliano i due principi concedendo la cittadinanza ai bambini nati sul territorio e che vi risiedono da un certo numero di anni. In Italia bisogna aspettare la maggiore età. Una vera corsa ad ostacoli. Una corsa perché, a quel punto, si ha un anno di tempo per

procedere alla richiesta di cittadinanza. Ad ostacoli perché bisogna poter dimostrare di essere stati residenti regolarmente sul territorio per tutta la durata dei 18 anni. Non sempre è così scontato. Anche qualche errore burocratico, o qualche mese all’estero, possono pregiudicare il diritto alla cittadinanza. Oggi in Italia i ragazzi tra i 17 e i 18 anni nati in Italia, ma di origine straniera, sono circa 15.000. Molti di loro non sono sufficientemente informati sul loro diritto alla cittadinanza. Per questo motivo Anci, Save the children e Rete G2 stanno promuovendo una campagna rivolta ai neo-maggiorenni figli di immigrati, “18 anni... in Comune!”. L’obiettivo è quello di sollecitare i Comuni a informare questi ragazzi con una lettera al compimento della maggiore età. Un modo per augurare loro buon compleanno e allo stesso tempo per dare loro il benvenuto tra i cittadini italiani. Per ora sono 300 i Comuni che hanno aderito alla campagna. Non riconoscere il diritto di cittadinanza a questi ragazzi, se non al compimento dei 18 anni, significa ripetere loro insistentemente che lo Stato italiano li considera “stranieri”, “ospiti”, e magari “intrusi”. Che cosa significa per un ragazzo non avere la cittadinanza? Chiedere il

permesso di soggiorno nel Paese dove si è nati. Avere difficoltà nel viaggiare all’estero: il permesso di soggiorno dà possibilità di circolare per una breve durata nell’area Schengen, niente di più; inoltre, durante la data di rilascio o rinnovo del permesso non è possibile uscire dai confini italiani. Non votare e non candidarsi. Non partecipare a concorsi pubblici. Addirittura, non accedere alle borse di studio di alcune università, che prevedono la cittadinanza italiana come clausola per l’accesso. E i ragazzi della seconda generazione, proprio nell’anno in cui si diplomano, sono in bilico tra una nazionalità e l’altra. Questi ragazzi bilingui, che attingono a sorgenti educative molto variegate culturalmente, a seconda che esse siano la famiglia, la scuola o le amicizie, possono essere una risorsa inedita e un motivo di confronto e scambio nella scuola italiana. Riconoscere loro la cittadinanza è “non solo diritto elementare, ma dovrebbe anche corrispondere ad una visione della nostra nazione di acquisire nuove energie per una società invecchiata, se non sclerotizzata”: parola di Giorgio Napolitano. PE


LA CASBAH DI VIA MALTA

La mia amica Valeria afferma che il palazzone senza balconi all’esterno, con l’ingresso al cortile in via Malta, “è come la casbah”. Il paragone calza solo in parte ma è confermato dalle definizioni che i dizionari danno di quella conformazione urbanistica araba. Quartieri interni alla città, fortificati e abitati dalla parte più povera della popolazione. Quel palazzone è accartocciato su se stesso proprio come una fortificazione. Sono centoventi alloggi, uno sull’altro, che si affacciano su un cortile interno affollato di auto e di cassonetti dell’immondizia. Non c’è una traccia di verde, solo un battuto di cemento sconnesso che converge sulle grate in ferro dei pozzetti dell’acqua piovana. Per raggiungere i tre gradini in pietra di uno degli ingressi alle scale bisogna passare di lì, misurando bene i passi, tra un ostacolo e l’altro. Visti dall’alto dei balconi interni, quegli ingressi sembrano i passaggi ad una piazza. Nella bella

stagione e nei pomeriggi sono in ombra mentre il resto del cortile è illuminato e arroventato dal sole. Seduti sui gradini o in piccoli capannelli, è li che si danno appuntamento donne e bambini, sfaccendati, fumatori e naufraghi della vita. E’ pur sempre vita, anche se manca il colore, la vivacità e la leggerezza dei visitatori occasionali o degli abituali espositori di mercanzie che fanno della casbah una meta. In quel palazzone/fortezza invece non ci va nessuno, salvo i parenti degli inquilini, i funzionari dell’atc e del Comune e le famiglie che non possono sottrarsi in altro modo alla minaccia di finire in strada. Tutti se ne vogliono andare alla prima occasione, i cambi alloggio con inquilini atc che stanno altrove sono rarissimi, chi ha acquistato subaffitta. Qualche volta qualcuno da di testa oppure sfoga con il vicino più prossimo il proprio malessere. Allora arriva la polizia, ma è tutto come in un laboratorio in cui si misura il grado di resistenza umana in un

ambiente ostile; è tutto prevedibile e scontato. Di notte, su quel battuto di cemento, i ratti tracciano la mappa dei loro insani desideri, mettono alla prova le loro strategie alimentari. L’odore dei rifiuti, che è intensissimo, li anima in rapide, circospette e speranzose incursioni, dai pozzetti ai cassonetti e ritorno. Le subitanee attese in cui si irrigidiscono al minimo rumore, annullano gli spazi e dilatano i tempi, proprio come in un incubo. Gli stessi pozzetti sono popolati dall’esercito di blatte che nelle ore piccole prende d’assalto le condotte dell’acqua e degli scarichi. Una salita che si ripete ogni notte e rende ancora più inquieta l’insonnia e amaro il risveglio degli abitanti. Una inarrestabile marea, un brusio vero o immaginato, scarafaggi in neri mantelli che si muovono invisibili. Oppure si arrestano, immobili estenuati ed esposti a tutte le offese, appena un pallore di luce, di sole o di abatjour, li rende visibili. Uno scenario surreale, che non


IN RICORDO DEL DON “La cosa più importante è che si continui ad agire perché i poveri contino. Ci incontreremo ancora. CI incontreremo sempre. In tutto il mondo, in tutte le chiese, case e osterie. Ovunque ci siano persone che vogliono verità e giustizia. Ciao Andrea, nostro papa Gallo.” Linus

concede nessuna tenerezza, solo schifo e ripulsa. Gli errori e i lati oscuri della vita di ognuno possono trovare in questo luogo un perfezionamento. Storie di condanne mai pronunciate che però si adempiono per la forza delle circostanze. Il normale malessere sociale, costretto tra queste mura, tradisce i migliori sentimenti, la voglia e la necessità di cambiare solo qualche volta ispirano azioni liberatorie, più facilmente mutano in rancore sordo verso il vicino che sta peggio. I segni della vetustà e dell’incuria balzano subito all’occhio, molto più dei tentativi di porvi rimedio che pure ci sono, qualche scala è pulita, qualche intonaco rifatto, non tutti i balconi sono ripostigli, qua e là si vede qualche vaso di fiori. Ma l’impressione generale è sgradevole, l’odore è di segregazione. Il pavimento del cortile è sconnesso e durante i temporali di pioggia si riempie di pozzanghere, le pareti di molte scale hanno il colore dell’intonaco che sfarina e la gran-

iglia dei pianerottoli è impastata di sporcizia. Le cantine, senza averle viste, si immaginano umide, usate come discariche oppure come magazzini di oggetti destinati ad essere dimenticati o di merci da sottrarre a pubblici inventari. La proprietà dello stabile è divisa tra l’atc e un certo numero di inquilini che hanno acquistato l’alloggio. La circostanza non favorisce l’affermarsi di un principio d’ordine, meno che mai estetico, rende complicata e spesso paralizza qualsiasi seria attività di amministrazione. E’ un altro frutto velenoso, anzi velenosissimo, delle privatizzazioni, perché ha reso ancora più rancorose e non collaborative le relazioni tra inquilini. Tra questi ultimi ci sono indubbiamente quelli che si lasciano andare al peggio e non si sottraggono al fascino oscuro del luogo, però, con la rinuncia alla proprietà pubblica dell’intero stabile, è venuta meno un’altra (oltre quella strutturale) delle condizioni necessarie per fare esperienze positive di vita

in comune. In questo luogo, così fatto, le riunioni, le assemblee e le feste, sono azioni difficilmente agibili e i legami sociali tra inquilini e famiglie sono continuamente a rischio. In questi giorni architetti e cittadini che hanno a cuore la loro città hanno preso la parola contro l’abbattimento dell’edificio della Maternità. Hanno detto che quell’edificio è il luogo di memorie e storie ampiamente condivise, la testimonianza di un progresso sociale a cui hanno concorso in molti. Bene, con le stesse intenzioni, e con le stesse visioni dei protagonisti di allora, si potrebbe discutere oggi dell’abbattimento del palazzone/fortezza di via Malta. Il luogo, a differenza della Maternità storica, distrugge la coscienza di sé dei singoli nonché il senso di una dignitosa vita civile.



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