Casablanca numero 8

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f r o n t i e r a ANNO II NUM. 4

giugno 2007

MADE IN LINUX GNU

EdizioniLeSiciliane

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itori siciliaNi d n re p im li g Nel 1984 facevano pubblicità non ntimafioSI. sui giornali a itori siciliaNi d n re p im li g Nel 1993 facevano pubblicità I. non afioSSam" li antim ancora, sui giorna"Suonala O PIZZINori siciliaNi... EOLA &FFli IK N rendit IA p B im A IR g SAT Nel 2007

NEI QUARTIERI DI PALERMO E CATANIA LE DONNE NON SI RASSEGNANO AFFATTO: DIFENDONO LE SCUOLE DEI LORO FIGLI, SI ORGANIZZANO PER L'ACQUA E LA SOPRAVVIVENZA

SUD/ CATANIA IN SERIE A: CHI GIOCA BENE CHI GIOCA SPORCO

I E L O D N A A L L U E Q SI RIB DA MARSALA A CARRARA STORIE DI DONNE TOSTE E "DI SUCCESSO"

D'ANTONA PALERMI RINALDI ALLA SINISTRA DEGLI UOMINI PARLANO LE DONNE "ROSSE"

GIUSEPPE D'URSO/ MAFIA E P2 - PER NON DIMENTICARE MORRIONE GIULIETTI DALLA CHIESA


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Casablanca

www.lesiciliane.org

ANNO 2 NUMERO 4- GIUGNO 2007

__________________ GraziellaProto direttore graziella@sanlibero.it Riccardo Orioles direttore responsabile ricc@sanlibero.it Lillo Venezia vicedirettore lillo@sanlibero.it Lucio Tomarchio tecnologie lucio@sanlibero.it Con: Gian Carlo Caselli Beppe Lumia Claudio Fracassi Nando dalla Chiesa Umberto Santino don Luigi Ciotti Antonio Roccuzzo Nadia Furnari Rosa Laplena Marisa Acagnino Giovanni Abbagnato Rita Borsellino Sebastiano Gulisano Gianfranco Faillaci Fabio Gallina Vanessa Marchese Fabio D'Urso Piero Cimaglia Marco Benanti Carlo Gubitosa Alessandro Gagliardo Rosanna Scopelliti Aldo Pecora Dario Russo Antonio Mazzeo Luca Salici Luciano Bruno Giorgio Costanzo Rosario Giuè Augusto Cavadi Concetto Greco Sonia Giardina Carmelo Giardina Rocco Rossitto Luca Rossomando Francesco Feola Francesco Galante Francesco Di Pasquale Fabio Vita Antonella Consoli “Addiopizzo” “Il Pizzino” "Tele Jato" __________________ Illustrazioni: Mauro Biani Amalia Bruno Canjano & Ferro __________________

Commercianti antipizzo.Quanti sono?

Duecento su diecimila

SFACCIATO... ANCORA NON SONO CONSORTE.

DAI, FAMMI SOGNARE!

Verrebbe ucciso, nell'omertà e dunque nella complicità della popolazione di Cinisi, Peppino Impastato anche oggi nel 2007? E chi lo sa. Fatto sta che l'attentato alla sua casa dell'altro giorno, con l'acido sulla porta in "avvertimento", è potuto avvenire in pieno giorno e senza che nessuno avesse visto o sentito, e men che mai riferito ai carabinieri alcunché. La cultura mafiosa non è molto diffusa, tutto sommato, a livello di massa in Sicilia. Ma dove lo è, come a Cinisi, bisognerebbe che non restasse senza conseguenze. *** In Sicilia ci sono buoni e cattivi come dappertutto. Ci sono i ragazzi che fanno Addiopizzo, e ci sono i commercianti che il pizzo lo Progetto grafico: Studio O. (da pagano felicemente: coi loro bravi politici di riun’idea di Piergiorgio Maoloni) ferimento. __________________ Redazione Invitiamo alle manifestazioni tutt'e due? via Caronda 412, Catania Facciamo finta di niente, o prendiamo atto (095) 0932490 Pubblicità che sotto la mafia la Sicilia è spaccata esattavia Caronda 412, Catania mente come l'Italia sotto il fascismo? Anche (334)8093875 __________________ allora, il commerciante romano mica era "faStampa: Litocon srl scista": alle adunate ci andava malvolentieri, litostampa e confezioni Contrada Torre Allegra quando ci andava. Però gli conveniva che il Zona Industriale, Catania negozietto ebreo, che gli faceva concorrenza, (095)291862 __________________ fosse tolto di mezzo. Editore I ragazzi di Addiopizzo hanno tentato per due Edizioni Le Siciliane di Graziella Rapisarda anni di seguito di convincere i commercianti __________________ palermitani a dire semplicemente "io sono Registrazione Tribunale di Catania n.23/06 del 12.7.06 contro il pizzo". Su circa diecimila __________________ commercianti, ne hanno convinto circa due«A che serve vivere, se non c’è cento. il coraggio *** di lottare?» (Giuseppe Fava) Certo, non sono sono stati i brogli elettorali a __________________ far perdere (probabilmente) le elezioni

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Orlando. Però ci sono stati. A quanto corrispondono? Al tre, al quattro, al cinque per cento? E' che paese è quello in cui un partito numericamente rispettabile, che in certe occasioni potrebbe anche determinare le maggioranze, si basa sull'ideale di imbrogliare il voto? *** "La mafia lottata dal popolo", le visite del Presidente, il giorno dell'antimafia, anzi dell'antiterrorismo e dell'antitutto: bene, benissimo, se ne sentiva il bisogno. Ma a che servono tutte le cerimonie e tutti i calendari di questo mondo, quando la casa di Peppino Impastato (o una cooperativa di Corleone o una calabrese) può essere ancora attaccata impunemente, quando i politici inquisiti per mafia tagliano nastri e quando chi fa antimafia sul serio schiatta e crepa da solo nel silenzio generale, ivi compreso quello del nostro amatissimo Presidente? *** Sono le lotte dei poveri (i senzacasa, le cooperative contadine di Libera siciliane e calabresi, ecc.) quelle che fanno più paura al sistema mafioso. Su esse bisogna puntare al massimo, generalizzarle, sostenerle, avere una politica di alleanze (dai "moderati" agli "estremisti", senza puzze al naso) basata su di esse; e sviluppare una battaglia di comunicazione (giornali, tv, internet: nel nostro piccolo Casablanca, Sanlibero, TeleJato) senza la quale nessuna battaglia può essere generalizzata. Licausi, Radio Aut e Pio La Torre non sono dei nomi storici, sono semplicemente le cose da fare ora.


COPERTINA DI MAURO BIANI STORIE DALLE CITTA' DI FRONTIERA

10 - Nella nuova sinistra conteranno?

Tre rosse in parlamento

Olga D'Antona, Manuela Palermi e Rosa Rinaldi: partiti diversi (per ora) ma identica volontà di non far tappezzeria.

12 - Palermo, Catania: ribellioni

Donne di quartiere

A San Cristoforo salvano la scuola minacciata dal Comune, allo Zen portano avanti la famiglia in situazioni ai margini della sopravvivenza. Chi tiene a galla la Sicilia, alla fine? Le siciliane.

20 - Catania in serie A Che soddisfazione per i tifosi! Ma teppisti e notabili hanno fatto di tutto per lasciare la squadra (e la città) in serie B.

Chi gioca e chi... 25 - Le Siciliane

Imprese di donne

Chi l'ha detto che un'azienda per vincere dev'essere per forza arida e inumana? A Marsala e a Carrara due donne - José Rallo e Margherita Dogliani - stanno dimostrando esattamente il contrario. Ogni giorno.

32 - Mafia e P2

Le pagine gialle di Gelli

Sapevate che i piduisti del periodo d'oro erano per lo più impegnatii in Sicilia o siciliani? E chi erano? Con chi avevano a che fare? Un'inchiesta ormai classica, purtroppo - probabilmente - da rileggere ancora...

"Mi chiamo Tux e sono un pinguino. Che ci faccio qui? Beh, io sono il simbolo di Linux, il sistema per computer libero e senza padroni. E questo giornale è fatto interamente in Linux. E' il primo, in Italia! Anch'io sto facendo antimafia, a modo mio".

42 - Satira

Che c'è da ridere Biani, Kanjano & Ferro, Feola, e naturalmente "Il Pizzino"... Un saluto al volo dalla migliore satira italiana, dura, allegra e antimafiosa.

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Editoriali

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Il diritto alla casa Toni Pellicano COMITATO DI LOTTA PER LA CASA "XII LUGLIO"

Tutti dovrebbero avere riconosciuto il diritto alla casa, le amministrazioni dovrebbero adoprarsi in questo senso con scelte concrete e a volte anche coraggiose, ma questo purtroppo non è il caso del comune di Palermo. Qui il problema della casa non è mai stato affrontato, non esiste la volontà di risolvere una emergenza abitativa che si è ormai cronicizzata. Il Comitato di lotta per la casa "12 luglio" propone uno strumento preciso per affrontare questa emergenza: l'utilizzo ai fini abitativi delle case confiscate alla mafia. Abbiamo ottenuto risultati importanti, fra cui l'assegnazione provvisoria di circa 60 alloggi confiscati. Sempre pochi rispetto alle esigenze e rispetto all'enorme patrimonio di beni. L'attività del comitato è stata costantemente boicottata ed ostacolata da esponenti politici della maggioranza. Ci siamo sempre oppo-

sti a logiche clientelari e compromessi denunciando pubblicamente ciò che i vari politici di turno volevano tenere nascosto. Le occupazioni abusive a Palermo sono molto diffuse; solo allo Zen2 gli abusivi sono oltre 3500, in via Mozambico il comune sa che da circa tre anni sette famiglie con gravi problemi occupano sette alloggi popolari, assegnati in base alla graduatoria circa un anno fa. Da ciò la motivazione dell'operazione sgombero per sistemare alcuni buttando in strada altri. Ma il Comitato "12 luglio" nell'ottobre 2006 ha ottenuto la sospensione dello sgombero, affinché il comune trovasse una soluzione dignitosa ai sette nuclei familiari abusivi per poi consegnare gli alloggi ai legittimi assegnatari. L'otto giugno alle 7 del mattino in via Mozambico a sorpresa si presentano polizia, carabinieri, vigili urbani, ambu-

lanze, vigili del fuoco, e dirigenti dell'ufficio sgomberi. L'ordinanza, secondo la dirigente dottoressa Lo Voi, era firmata personalmente dal sindaco Cammarata (che ancora si doveva insediare). Era la prima volta che si presentavano gli assistenti sociali per i minori e le madri ed eventualmente trasferirli in case-famiglia, smembrando così il nucleo familiare). L'intervento del Comitato e di altre associazioni forse ha contribuito a convincere il dirigente del comune a sospendere momentaneamente lo sgombero. Ma soluzione ultima prospettata dal comune per l'emergenza casa sembra essere quella di destinare dei container in aperta campagna per uso abitativo. Il Comitato "12 luglio" non ci sta, siamo dalla parte dei più deboli perché vogliamo conquistare una giustizia sociale che viene quasi sempre calpestata.

Il diritto all'informazione Beppe Giulietti ASSOCIAZIONE PER LA LIBERTA' DI STAMPA "ARTICOLO VENTUNO"

Un anno di Casablanca? Un fatto straordinario, eccezionale, un avvenimento che va salutato con molta soddisfazione, che va festeggiato. Casablanca fa un giornalismo libero e indipendente, questa è la straordinarietà. L'Italia è un paese che soffre la mancanza di una vera informazione, i giornali piccoli o grandi, le televisioni, una miriade di testate, sono impegnati a fare altro, non raccontano i fatti, le realtà locali. E allora Casablanca che racconta, riferisce, espone, con molta libertà, assieme a pochi altri, “fa l’informazione che non c’è”. Va guardata con attenzione soprattutto per tutto l'impegno che ci sta dietro. Io penso che dovrebbero gioire anche coloro che ne sono stati criticati perchè la verità collettiva è una verità che vale

per tutti e vuole un paese più giusto. Una verità collettiva diventa fondamentale per avere editori più liberi. Perchè c'è così poca attenzione ai vari Casablanca? Ci sarebbe tutto un discorso da fare, su ciò che il berlusconismo ha lasciato nella nostra cultura. Io spero molto nella nuova legge sulla editoria. Aspetto di vedere la bozza del sottosegretario Levi. Non mi voglio pronunciare prima di aver letto la bozza. Sono pronto a fare una dura battaglia, ma spero, adesso con il centro sinistra, sia la volta buona per fare una buona legge. Penso ad un incontro allargato ai rappresentanti degli editori, giornalisti, realtà associative ed altri. C'è bisogno di editori seri ed onesti, di giornalisti coraggiosi che vogliono fare il loro mestiere. C'è bisogno di informazione libera, non suddita.

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Questo anniversario di Casablanca mi sembra un buon auspicio anche più in generale. Certo, ci sarebbe bisogno di sostegno. E' una cosa che ripeto sempre, basterebbero poche cose l'accesso al credito, le agevolazioni per la distribuzione, il telefono, le bollette dell'energia elettrica... Esiste anche una clausola che impegna le istituzioni locali, nel senso che dovrebbero garantire una piccola quota pubblicitaria alle realtà locali, ma tante guardano altrove e fanno finta di nulla. Occorre una riforma organica dell'editoria. Magari con dei controlli più idonei sono d'accordo, c'è bisogno di controlli, soprattutto per smantellare tutto ciò che non risponde ai requisiti. Penso alle false cooperative, a tanti giornali di partito... Buon compleanno, Casablanca.


IL PIU' BEL GIORNALISMO LA SICILIA MIGLIORE

GLI ARTICOLI DI GIUSEPPE FAVA PER "I SICILIANI" A CURA DELLA FONDAZIONE FAVA 6


Promemoria

LO SPIRITO DI UN GIORNALE GIUSEPPE FAVA Una volta, rispondendo a dei lettori, gli capitò di scrivere che cosa lui intendeva per giornalismo Egregi amici, voi avete tre idee politiche diverse, e mi piace immaginare che siate un democristiano, un socialista e un comunista cioè che copriate sostanzialmente l’arco politico che conta oggi in Italia. lo sono un socialista senza mai tessera (l’ho scritto altre volte) e perciò ferocemente critico nei confronti di tutti gli errori socialisti, continuamente pieno di passione e speranze, e continuamente deluso nei miei sogni civili. Ma evidentemente la vostra richiesta non riguardava il mio ideale politico (che è comunque un fatto gelosamente personale) e nemmeno la posizione politica del giornale, che è stata chiara e trasparente fin dal primo numero, quanto quello che voi chiamate il significato e io più esattamente vorrei definire lo spirito politico del Giornale del Sud. Una identità nella quale non gioca più la politica intesa nel senso grossolano del termine, ma il concetto di politica come criterio morale della vita sociale. Da questa prospettiva io posso serenamente e subito affermare che lo spirito politico di questo giornale è la verità. Onestamente la verità. Sempre la verità. Cioè la capacità di informare la pubblica opinione su tu/lo quello che accade, i problemi, i misfatti, le speranze, i crimini, le violenze, i progetti, le corruzioni. I fatti e i personaggi. E non soltanto quelli che hanno vita ufficiale e che arrivano al giornale con le loro gambe, i comunicati, i discorsi, gli ordini del giorno. poiché spesso sono truccati o camuffati per ingannare il cittadino, ma tutti gli infiniti fatti personali che animano la vita della società siciliana, e quasi sempre restano nel buio, intanati, nascosti, interrati. Io sostengo che la vera notizia non è quella che il giornalista apprende, ma quella che egli pazientemente riesce a scoprire. Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza

essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Persone uccise in sparatorie che si sarebbero potute evitare se la pubblica verità avesse ricacciato indietro i criminali; ragazzi stroncati da overdose di droga che non sarebbe mai arrivata nelle loro mani se la pubblica verità avesse denunciato l’infame mercato, ammalati che non sarebbero periti se la pubblica verità avesse reso più tempestivo il loro ricovero. Un giornalista incapace - per vigliaccheria o calcolo - della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze. le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento! Ecco, lo spirito politico del Giornale del Sud è questo! La verità! Dove c’è verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà! Se l’Europa degli anni trenta-quaranta non avesse avuto paura di affrontare Hitler fin dalla prima sfida di violenza, non ci. sarebbe stata la strage della seconda guerra mondiale, decine di milioni di uomini non sarebbero caduti per riconquistare una libertà che altri, prima di loro, avevano ceduto per vigliaccheria. E’ una regola morale che si applica alla vita dei popoli e a quella degli individui. A coloro che stavano intanati, senza il coraggio di impedire la sopraffazione e la violenza, qualcuno disse: “Il giorno in cui toccherà a voi non riuscirete più a fuggire, nè la vostra voce sarà così alta che qualcuno possa venire a salvarvi!”. [dal Giornale del Sud, 11 ottobre 1981]

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Università

Un "giuramento d'Ippocrate" per tutte le professioni NANDO DALLA CHIESA

SOTTOSEGRETARIO UNIVERSITA' E RICERCA

Da tempo immemorabile i medici, prima di cominciare a esercitare la professione, s'impegnano a esercitarla rispettandone l'etica profonda e non solo le leggi formali. Perché solo loro e non tutti gli altri professionisti? Perché non cominciare a insegnare anche questo a partire dall'Università?

Riformare l’università in modo morbido, quasi invisibile. Ma riformarla lo stesso, in profondità. Nel modo di insegnare e di apprendere. Nel modo di formare nuove classi dirigenti. E’ questo l’obiettivo di “Ethicamente”, il progetto che il ministero dell’Università e della Ricerca ha lanciato da poche settimane e che ha già trovato l’adesione di centinaia di docenti.

Il progetto "Ethicamente" Proprio così. Mentre si parla di concorsi, di finanziamenti, di status giuridici, di classi di laurea, di agenzie per la valutazione, si fa largo un’idea che può produrre sulla nostra università effetti altrettanto e più importanti dei mutamenti strutturali, incidendo sul suo software più che sul suo (importantissimo) hardware. Ci si è mai chiesti infatti che tipo di classi dirigenti sfornino oggi le nostre università? Certo, sappiamo che il livello medio della preparazione si sta abbassando in parallelo alla proliferazione delle sedi uni-

versitarie. Sappiamo, per converso, di produrre un buon, anzi un ottimo gruzzolo di ricercatori ogni anno, che alimenta regolarmente la cosiddetta fuga dei cervelli e la qualità di molti atenei stranieri. Ma non sappiamo affatto quale sia il livello dell’etica professionale e dell’etica pubblica al quale, mediamente, i nostri giovani laureati ancoreranno domani il proprio sapere tecnico, scientifico o umanistico. Quale uso faranno cioè di quel sapere, che fondamento gli daranno nelle loro scelte quotidiane. Con quale senso delle loro responsabilità sociali lo eserciteranno e lo accresceranno negli anni successivi. Insomma: non sappiamo che cosa essi rappresenteranno in concreto per lo sviluppo civile dell’Italia. E questo è il grande buco nero dei rapporti tra università e società, tra università e futuro del paese. onsabilità sociali è destinato al declino. Al declino civile, anzitutto, perfettamente compatibile (entro certi limiti, sia chiaro…) con un aumento del benessere economico. E invece l’università, come ci viene detto e ripetuto – giustamente a ogni Finanziaria, ha come suo primo

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compito proprio quello di fare da battistrada allo sviluppo. “Ethicamente” si prefigge dunque di porre con sempre maggiore forza nei percorsi di formazione universitari il tema della crescita intrecciata - sinergica, verrebbe voglia di dire - della conoscenza e del fondamento etico che la deve orientare.

La vera qualità della professione Perché la qualità vera della professionalità di un architetto, di un avvocato, di un consulente fiscale, di un dirigente di banca, di un magistrato, di un giornalista, di un pubblicitario, di un medico, e ovviamente di un professore universitario, non è affatto indipendente dal suo tenore etico, come la storia delle persone dimostra appena cala la polvere degli omaggi dovuti alla forza, alla ricchezza o al potere. Un giuramento di Ippocrate per ogni professione. Un giuramento non retorico ma consapevole. Immaginate un’università che si dia questo obiettivo e capirete che stiamo parlando di altro, di ben altro da ciò che abbiamo oggi sotto gli occhi…


Informazione

Liberanetwork: stampa, scuola e web

Un Osservatorio nazionale su mafie e informazione, una rete nazionale fra tutti coloro che ROBERTO MORRIONE RESPONSABILE INFORMAZIONE DI "LIBERA" scrivono di mafia, scambio con esperienze più consolidate e una formazione di incisive, lontananza ed estraneità da un quadro nazionale di iniziative, dalle istitugiovani che possano che rappresentano lo Stato e il rioccuparsene in futuro zioni spetto delle leggi e dell’etica contro Mi chiedo spesso perché e con qualestato d’animo un giovane che vive in una zona ad alta presenza mafiosa, intrisa di paure, interessi, conformismi, complicità, diffusa cultura dell’illegalità, trovi la forza di infrangere il muro d’indifferenza che lo circonda, sfociando quasi sempre nell’aperta disapprovazione e in ostilità, per assumere iniziative pubbliche di denuncia, di analisi critica, di alternativa ai silenzi e all’omertà. Ci sono certo motivazioni personali, modelli positivi che hanno lavorato in profondità nell’immaginario prima ancora che nella formazione di ciascuno, incontri e suggestioni di persone che non hanno accettato la prepotenza, la subalternità e la disonestà come inevitabili condizioni dell’essere, incontri che segnano per sempre vita e carattere, sviluppando impulsi di rivolta anche generazionale, per costruire un’alternativa a stereotipi e conformismi frutto di paura e di opportunismo. Sempre c’è anche la passione di chi vuole conoscere per informare gli altri, di chi non vuole dimenticare, di chi testimonia e vuole vivere una naturale ricerca di conoscenza e di memoria, che sono poi la materia prima del vero giornalismo e di una comunicazione onesta. Normalmente però con qualche prezzo personale da pagare, a partire dall’ incomprensione, da diffidenze, a volte da rischio fisico, sempre da segnali di isolamento e di solitudine, nell’ ambiente sociale, fra coloro che costituiscono oggi e ancor più domani il naturale e possibile riferimento per prospettive di lavoro o di carriera, magari fra i coetanei e gli amici e perfino nella stessa cerchia familiare. E affrontando difficoltà di ogni genere, assenza o carenza di risorse materiali e organizzative, mancanza di collegamenti e di

quella sub-cultura fatta di sopraffazioni e illegalità diffusa e vincente nel proprio territorio. E’ soprattutto per cominciare ad affrontare tutto questo, per rompere l’isolamento di tanti volontari, di associazioni, di gruppi di giovani che si muovono e agiscono sul terreno dell’informazione, della denuncia e dell’analisi, che sta nascendo e vuole operare l’Osservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie, annunciato nell’autunno scorso agli Stati Generali organizzati da Libera. Si sta costituendo per questo a Roma, con il ruolo centrale dell’associazione diretta da Luigi Ciotti, una sorta di “network” per costruire un punto di riferimento, di scambio, di formazione anche professionale fra le realtà individuali e di gruppo impegnate, soprattutto (ma non solo) nel Meridione, sul terreno dell’informazione per denunciare e contrastare tutte le forme di criminalità organizzata e di illegalità, il sistema di passività, connivenze e complicità di cui godono a livello pubblico, politico, economico, amministrativo e imprenditoriale che costituisce il volto nuovo e più coperto delle mafie, del loro crescente potere ed espansione nel Paese e nel mondo. Insieme con una costante presenza on line, operata da un nucleo redazionale multimediale attivo a Roma, l’Osservatorio conta di animare e realizzare iniziative di formazione, seminari, scambi e forniture di materiali video, accesso a teche e archivi, progetti di stage nei territori esposti a livello di università e scuole di giornalismo, come interfaccia di realtà finora del tutto isolate e non comunicanti. Allo stesso tempo vuole essere un punto di riferimento e di sollecitazione per il sistema dei media presenti sul

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mercato, a livello nazionale, regionale e territoriale, per cercare di costruire quella continuità di attenzione e capacità di approfondimento da parte dell’informazione che è finora mancata, esaurendosi nella pura cronaca della cosiddetta emergenza e lasciando enormi zone d’ombra e di oscurità sulle caratteristiche “normali” e quotidiane del complesso sistema criminale e delle sue reti di copertura a ogni livello. La partecipazione di organismi del giornalismo italiano,quali la Fnsi e Articolo 21, di amministrazioni regionali e comunali motivate e sensibili a questa enorme questione nazionale, di università e di associazioni della società civile e del mondo del lavoro, in collegamento con le istituzioni dello Stato e con i compiti della scuola, daranno ulteriore spessore e significato a questo progetto, che sarà aperto a tanti giovani impegnati con varie forme editoriali, stampate, audiovisive e on line d’informazione e di denuncia in Sicilia, in Calabria, in Campania, in Puglia e in tante altre regioni del Centro-Sud e del Nord del Paese. E’ certo un percorso complesso e difficile, ma l’urgenza dell’iniziativa è enorme, l’offensiva silenziosa delle mafie estremamente avanzata, mentre le luci su quanto sta accadendo non si sono o non restano accese come dovrebbero. Ma non mancano sensibilità, comprensione della natura e della gravità del problema, preoccupazioni, col conseguente interesse a operare un salto di qualità nella diffusione dell’allarme e nella necessità di un’informazione adeguata e libera. Esistono motivazioni e risorse umane e materiali da mettere in campo: si tratta di integrarle e collegarle fra loro facendo vivere un concreto progetto. Diceva Luigi Ciotti agli Stati Generali: “il tempo è scaduto”. Dunque davvero, con le parole di Primo Levi, “se non ora, quando”?


Politica

Tre donne di sinistra Sono molto poche le donne nel Parlamento italiano, e lo sono sia nella destra che nella sinistra. Quest'ultima comprende diversi piccoli partiti che, recentemente, hanno manifestato l'intenzione di unirsi per rinnovare la politica italiana. Come sarà questo rinnovamento? In esso, quanto conteranno le donne? Lo abbiamo chiesto a tre esponenti significativi di questi partiti: Olga D'Antona, Manuela Palermi e Rosa Rinaldi Rosa Rinaldi

(Rifondazione Comunista) Con la formazione della sinistra democratica, c’è un rimescolamento di carte, un circolare di idee e proposte che spero non precipiti solo nella definizione dei rapporti di potere, in un dibattito chiuso in se stesso, autoreferenziale. Il paese reale, quello che ha disertato le elezioni amministrative ed ha “bastonato” pesantemente il centrosinistra, quello che sciopera nelle fabbriche contro l’aumento dell’età pensionabile, quello che muore ogni giorno nei cantieri, nei porti, nelle officine malsane, nelle aziende al nero, il popolo di Vicenza, le tante persone omosessuali, eterosessuali e transgender che aspettano una legislazione rispettosa dei diritti delle persone e non sessuofoba, gli abitanti della Campania, che letteralmente muoiono di spazzatura e di camorra, i giovani, che non ce la fanno a diventare adulti con la dignità del loro lavoro, i vecchi, che sempre più invecchiano da soli e affidati alle cure ora attente ora frettolose di mani straniere, che in Italia non hanno sufficienti diritti e riconoscimenti, insomma la vita di tutti i giorni, che dovrebbe essere il sale della politica, tutto ciò scompare nel dibattito politico per la costituzione della lea-

dership del nuovo Partito di maggioranza relativo. Non deve e non può essere così anche a sinistra, l’occasione del rimescolamento di idee è troppo importante. Le donne, sono tante ed autorevoli, nella sinistra (mi è piaciuta la scelta della Sinistra democratica che da subito ha nominato una donna come capogruppo alla Camera). C’è un pensiero di donne che può illuminare e dare il sale ad una politica di sinistra che stenta a declinare pratica di governo con tensione ideale. Le donne possono in questa riapertura di dialoghi, progetti ed idee nella sinistra, dare un segno diverso a partire dal percorso che scelgono per sé e che propongono per tutti. Riapriamo la strada ad una ricerca collettiva a luoghi di pensiero ed azione femminista…le tante che della politica hanno passione e intelligenza, ma rifuggono dai luoghi istituzionali e vivono, nei movimenti, nella quotidianità delle contraddizioni reali il loro essere femministe…La donna di Catania, licenziata incinta al sesto mese, e quelle che ancora oggi muoiono di parto, in ospedale o rifiutate dagli ospedali…E quelle che sono morte di lavoro nero, bruciate in un materassificio al nero. Le donne, nella modernità continuano a vivere e a morire senza diritti.

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Riaprire un dialogo a sinistra, rimettere in circolo idee, proposte ed energie è necessario per questo, a dar agio, diritti e dignità a chi oggi se li vede negati, questo rimescolamento non solo è positivo ma è necessario. Mi va di provarci con le altre dentro e fuori la compagine governativa.

Manuela Palermi

(Partito dei Comunisti Italiani) Finalmente si è capito. Pensare ad un partito unico oggi è fuori dalla storia,. La confederazione lascia autonomia, visibilità, organizzazione ai singoli partiti, ma tiene insieme la loro attività, tenta di portare a sintesi possibili diversità.., a sinistra l’esigenza di unità parte ed è sentita fortemente dalla base ancor prima che dai gruppi dirigenti, che pure in questi mesi hanno fatto significativi passi in avanti. Penso, a tal proposito al lavoro che facciamo in Senato o alla Camera: mai, su provvedimenti importanti e “di sinistra”, Pdci, Prc, Verdi e parte dei Ds - oggi Sinistra Democratica - hanno votato in modo diverso. Vorremmo seguitare a procedere in questo modo, cioè partendo dai contenuti, dalle cose da fare e tornare veramente su quei punti del Programma dell’Unione per i quali


Politica Da sinistra: Olga D'Antona, deputata della Sinistra Democratica, Manuela Palermi. capogruppo Verdi-Pdci al Senato e e Rosa Rinaldi (Prc), sottosegretaria al Lavoro.

iamo battuti e di cui oggi sembra si sia persa la memoria: la questione sociale, ecologista, la laicità dello Stato ed i temi del lavoro e delle pensioni. In questo momento crediamo che sia più opportuno badare alla “cosa” piuttosto che alla “forma”, ed è per questo che in ogni occasione parliamo di “sinistra senza aggettivi”, perché solo così sarà possibile includere e non escludere. Con Rifondazione ci accomuna – e non è poco – la parola “comunista”, ma non possiamo negare che alcune cose ci hanno diviso. Nel 1998 non ci siamo divisi perché eravamo matti, ci siamo divisi perché è emersa ad un certo punto in maniera dirompente su un episodio drammatico, quale è stato la caduta del primo governo Prodi, una profonda diversità sul modo di intendere la politica, i rapporti col sindacato, l’idea stessa di partito. Ma anche da qui, da questa diversità di culture politiche è venuta la proposta della confederazione. Sono contenta, ci abbiamo messo anni, ma finalmente a sinistra si è capito che le differenze che ci hanno diviso, che sono state differenze profonde di cultura, di pensiero, di pratica, non possono essere cancellate ma superate, andando avanti, cercando di essere più forti nel confronto con le forze moderate che attanagliano il Paese. Oggi credo che l’unità della sinistra, partendo (ripeto) dai contenuti, sia un’esigenza sentita dall’elettorato di sinistra anche molto deluso da questo primo anno di governo Prodi. E' necessario far fare a questo governo scelte coraggiose in materia di diritti, lavoro, giustizia sociale, spostando l’as-

se dell’Unione, che sta andando pericolosamente verso un centro moderato, un po’ più a sinistra. E questo non per il nostro bene ma per il bene di quelle classi i settori di società che abbiamo il dovere di rappresentare.

Olga D'Antona (Sinistra Democratica)

La separazione non è stata indolore. Ma ora siamo sereni! Abbiamo già dato inizio alla costruzione del nuovo ritrovato orgoglio identitario: entusiasmo, speranza. Il nostro movimento sarà plurale e unitario con l’ambizione di trovare una sintesi tra tutte le forze di sinistra. La sfida è difficile, ci anima di entusiasmo, ci restituisce vigore. Siamo pronti a mettere a disposizione di questa idea le nostre migliori energie. Cercheremo di mantenere un forte ancoraggio a sinistra per evitare derive gregarie, troppo spostate al centro. Nella consapevolezza che avere smarrito l’utopia, non coltivare dentro di sé la visione, il fine del proprio impegno, affievolisce l’entusiasmo spegne la passione. E di passione c’è bisogno. Abbiamo memoria del nostro passato, che guardiamo con motivato orgoglio, ma ora dobbiamo essere capaci di interpretare e dare risposte ai nuovi bisogni di una società profondamente cambiata e in continua, veloce trasformazione. Parleremo dei salari degli operai e delle pensioni degli anziani; degli emarginati, degli immigrati, dello sfruttamento dei nuovi schiavi, delle giovani donne straniere, adolescenti, poco più che bambine, costrette a prosti-

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tuirsi sulle nostre strade. Parleremo di una società dove ciascuno sia libero di amare e di scegliere la persona con cui condividere la propria vita nel modo che crede, senza per questo essere considerato diverso ed essere trattato da diverso. Parleremo della preoccupazione per un clima sempre più caldo dove il sole, un tempo amico, ora ci brucia la pelle e ci contende l’acqua. Parleremo del bisogno d’Europa che c’è per affrontare i grandi temi globali, le ingiustizie che producono miseria, le guerre. Saremo costruttori di pace! Parleremo del nostro senso di legalità. Dei lavoratori in nero, della sicurezza sui luoghi di lavoro, di certi profitti delle banche che non garantiscono i risparmi dei cittadini e di certe speculazioni finanziarie. Parleremo di questione morale! Enrico Berlinguer per noi è ancora vivo, ed è ancora giovane! Vogliamo che, nel nostro movimento, siano valorizzate le competenze e l’impegno delle compagne, prezioso contributo di modernità e di cambiamento. Scegliere come capogruppo alla Camera una donna, alla sua prima legislatura, con un bagaglio di esperienza maturato nel mondo del lavoro con particolare riferimento alle discriminazioni femminili è stato un segnale. Dobbiamo trasmettere intorno a noi calore umano: che le persone sappiano che da noi possono trovare accoglienza, una comunità che condivide ideali e valori, che vuole aver cura delle relazioni umane perché è anche dalla qualità dei rapporti tra le persone che si deve distinguere il nostro movimento.


Palermo

Le libere donne dello Zen GRAZIELLA PROTO

Acqua niente perché sono abusivi. Perciò, acqua minerale. Luce niente, per lo stesso motivo. Perciò, un tanto a testa per l'allacciamento abusivo. Molti ragazzi spacciano, qualcuno vorrebbe smettere. Stato? Chissà dov'è. Eppure, questo quartiere resiste. Sfidando ogni legge della natura (e della questura), queste donne riescono in qualche modo a far sopravvivere le proprie famiglie e il quartiere. Prima di dare giudizi, pensate a cosa finora abbiamo dato loro “Scusi, come si arriva allo Zen2?” Ci guarda strano: “Per me la città finisce a viale Strasburgo”. Arriviamo lo stesso e posteggiamo davanti a una scuola. “Razzismo noi dello Zen1?” disse la signora sbracciandosi. Poi mettendo le mani ai fianchi a mo’ di provocazione si rivolse alla maestra di suo figlio: Siete voi classisti insegnanti perché se mio figlio ha una difficoltà voi me lo mettete per ultimo, la fate voi la discriminazione a quelli di qui”. “Tante mamme dello Zen 1 e 2 sono così, e alcuni insegnanti lo hanno sperimentato sulla loro pelle - spiega Sonia, la ragazza che aveva il compito di intercettarci Certamente – aggiunge - tutto ciò è criticabile, però se si riesce ad entrare nei problemi, a individuare un obiettivo, e si convincono che è un loro diritto, le donne dello Zen partono in quarta. Mani ai fianchi e la battaglia è già iniziata”. Non sono tutte uguali. Però sul quartiere Zen di Palermo, è finita l'epoca dei titoli urlati, i massimi sistemi, i paletti, i distinguo. Mentre andiamo in giro nella zona chiamata Zen2, alla ricerca del centro sociale Catalano, gestito dall'Associazione Zen Insieme, assistiamo ad una chiacchierata tra due balconi: “Signora Maria, allora siamo d'accordo diceva la signora Lucia, proprietaria abusiva di un appartamento alla sua vicina di casa, anche lei abusiva - a luglio lo faccia-

mo questo cambio di casa, facciamo il trasloco, io scendo al primo piano, così mio marito non avrà più il problema delle scale e lei si trasferisce qui, vedrà che panorama dal terzo piano”. Parlavano a voce alta e alla luce del sole. “Per loro è tutto normale – dice Graziella – compresa la condizione di abusivi”. Lo Zen2, come lo Zen1, voleva essere un nuovo modello di edilizia popolare, all'insegna della vivibilità, della modernità, ma poi qualcosa non è andato per il verso giusto. Ci guardiamo intorno:

"Per me la città finisce qui al viale" ovunque fotografie di Rita Borsellino candidata alla regione. La speranza e l’illusione dopo un anno sono ancora là, attaccati ai muri. Lunghissimi viali che si incrociano fra loro, spazi abbandonati pieni di erbacce e rottami. Corridoi di lamiere e cemento che si rincorrono creando un paesaggio angosciante e inquietante. Tra i panni stesi al sole, numerosi condizionatori d'aria – qui d'estate si muore per il caldo – e tante antenne paraboliche - le soap, e le trasmissioni tipo Amici o Uomini e donne, sono molto seguite. Non un fiore, non una piazza. Nulla di piacevole, di attraente. Vent'anni fa, intere famiglie o gruppi di persone hanno occupato abusivamente le

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case, non ancora ultimate, vi portarono i loro mobili, e “Ci siamo arrangiati un pochettino..." dicono per spiegare che abusivamente si allacciarono anche la luce, il gas e l'acqua. Nessuno ricorda che l’amministrazione comunale in tutti questi anni abbia fatto qualche passo, qualche iniziativa, per tentare di risolvere la situazione che si è venuta a creare. In venti anni, nulla... Sono stati formalizzati molti allacciamenti per luce e gas, ancora non ci sono gli allacciamenti per l'acqua. Da un po’ di tempo il comune ha deciso di assegnare legalmente le case che sono state occupate abusivamente, ma pretende la messa in regola con l'acquedotto. L’acquedotto sostiene che non può fare i contratti: e tutto rimane com'è. “Qui allo Zen, il degrado lo abbiamo e ce lo teniamo, ma non deve venire più nessuno. La dobbiamo smettere con i giornalisti che vengono, fanno il servizio in tv e scompaiono”. Iosè è incazzatissima, è titolare di una specie di piccola pizzeria e si sente strumentalizzata. Arriviamo al centro sociale. “Bice si scusa ma è dovuta andare al funerale” ci dice Giusi la ragazza che ci viene incontro. Un funerale? Ci spiegano che è morta la signora M., una donna che il centro seguiva da parecchio tempo. La chiesa e l’abitazione della morta sono abbastanza vicine, ci avviamo.


FOTO DI NADIA FURNARI

Palermo "Quelli che guadagnano un po' di soldi non sanno come spenderli. Non conoscono alternative oltre il quartiere"

La scena che ci si presenta è dolorosa. Triste. Esagerata. C’è un grande schieramento di forze dell’ordine, e già questo crea tensione. Dopo lo schieramento dei poliziotti, dal furgone della polizia esce il giovane G. un minorenne imputato per spaccio. Sta ammanettato tra due poliziotti. Dietro richiesta della associazione Zen Insieme (da vent'anni nel quartiere con Bice Mortillaro), ha ottenuto due ore di permesso per vedere la mamma morta. Alcuni poliziotti entrano nella stanza della deceduta, fanno uscire tutti, e dopo fanno entrare G.. Sempre ammanettato, sempre scortato. La piccola folla di amici e parenti fuori dalla casa aspetta e il funerale slitta di qualche ora. G. si godrà la sua mamma distesa sopra il letto al centro della stanza, da solo. Anzi no, in compagnia dei poliziotti che lo scortano. “Qui la polizia viene solo per arrestare persone e quindi c’è un odio mortale per i poliziotti - dice Mirella – non si vede mai nessuno per tutelare, proteggere, vigilare. Il senso dell'abbandono, dell'esclusione, del disagio, è generalizzato - conclude”. “Io – dice Bice - sono qui dagli anni 90, le altre, spesso, sono costrette a cambiare. Abbiamo lavorato soprattutto sulle donne. All’inizio per conquistare la loro fiducia andavamo a trovarle a casa. Un caffé insieme, una chiacchierata... Erano per lo più donne giovanissime, quasi tutte donne isolate, sotto un controllo sociale che oggi è

aumentato si estende anche alle giovanissime, e alle adolescenti...” “A causa della forma e della struttura dei palazzi, con il cortile interno, - lamentano a più voci - nelle famiglie non c’è privacy; Ognuno vede l’altro dal suo balcone e ognuno sente quello che dice l’altro: le case hanno le pareti molto sottili”. “Qui le donne sono vittime e complici – ri-

"Vittime e complici" prende Bice accalorandosi - c’è una cosa di loro che io non accetto; ad un certo punto la madre decide che il figlio di tredici quattordici anni deve portare i soldi a casa. I ragazzini stanno tutto il giorno fuori perchè devono garantire la presenza; le loro mamme fanno finta di non sapere come portano i soldi. Prima che ci fosse questo spaccio così diffuso, i poveri ragazzi lavoravano dodici ore al giorno in qualche salumeria a portare le cose a casa per quattro soldi, ma andava bene così. Oppure, andavano di notte a raccogliere ferro vecchio. E’ un vissuto dell’adolescente che noi contestiamo e contrastiamo, e per loro, rappresenta il passaggio da adolescente ad adulto – aggiunge. - Adesso c'è lo spaccio. Quando c’è la mafia che avalla, il fatto che la madre lascia perdere tutto perché porta i soldi a casa, è grave. E’ grave - ripete”. Si ferma solo un attimo “Spesso i ra-

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gazzi ci danno messaggi di aiuto, con uno stiamo avviando il sevizio civile internazionale perché lo stesso ci ha chiesto di andare via - riprende fiato e poi - con una altro stiamo avviando una altra piccola cosa, però tutto con molto cautela perché non verremmo che Lo Piccolo infastidito dicesse no questo non si fa”. Intanto, viene fuori che qualcuno dei ragazzi, stanco di stare sempre e a tutte le ore per strada, comincia a ribellarsi. Pur guadagnando. Quelli che guadagnano un po’ di soldi non sanno come spenderli. Non conoscono alternative oltre il quartiere. “Con lo spaccio – riprende Barbara che grazie al centro sociale ha studiato – c’è un certo benessere, nuovo, che penalizza le donne e i ragazzini, che partendo dal bisogno, ogni tanto uscivano dal quartiere. Adesso – aggiunge - è come se l’uomo dicesse ma tu vuoi andare al mare? Ti porto io. Vuoi la pizza? che problema c’è. Le donne hanno un nuovo disagio come se gli uomini avessero più potere con queste entrate. Io non ho avuto mai questi problemi, mio marito è una persona a modo” “Da quando hanno arrestato Provenzano, raccontano Graziella, Alessandra e Nina, donne operatrici ed abitanti dello Zen - il latitante Lo Piccolo pare che sia il padrone dello Zen2 e si dice che la zona sia diventata il deposito della cocaina di tutta Palermo. Qui c’è spaccio e rifornimento.


Palermo "Ci sono duetre capetti al massimo e poi un esercito di ragazzi che fanno da schiavi" "Mi buttano fuori? Io faccio succedere il finimondo, m'incateno piuttosto!"

Ci sono solo due al massimo tre capetti ed un esercito di ragazzi che fanno da schiavi. Sono quelli che poi vanno in carcere. Perché i più esposti. E d’altra parte con tutti questi labirinti è difficile anche per i carabinieri trovare qualcosa”. “Spesso siamo noi che vogliamo che le cose funzionino, più delle donne dello zen interviene Dominique, bellissima con il suo pancione. Partorirà ad agosto ed ancora è qui nel quartiere, dove, dal suo ufficio cerca di dare soluzioni ad annosi problemi. Vuole restare a lavorare nel quartiere fino a quando lo potrà fare. *** “L’occupazione abusiva dello Zen 2? spiega Serafina - pare che sia stata come dire pilotata, qualcuno ha voluto così. Pensa che le case sono state occupate quando ancora non erano complete, mancavano gli infissi, le fogne, i muri non erano finiti. Lo stato non è riuscito a finire la struttura perché sono state prese prima.

"Abbiamo fatto richiesta per il contratto dell'acqua. Ci hanno detto che non era possibile" "Veniamo dallo Zen e lo vogliamo urlare" fa il rap dei ragazzi del quartiere...

Forse non c'erano più soldi e non si potevano finire, in questo caso lo stato ha anche risparmiato - dice con ironia - Le hanno finite di costruire gli occupanti". "Però stiamo attenti – aggiunge - dalle case dei carabinieri, dei poliziotti, la gente abusiva è uscita dopo l’occupazione. Come mai?”.

"Qui non c'era niente"

“Qui non c’era niente, tutto a spese nostre abbiamo fatto - dice Margherita. Le case, le abbiamo costruite, perché non esistevano... ho dovuto mettere porte, servizi sanitari, finestre, adesso parlano di assegnazioni, ma ci vuole il contratto di casalotto e casalotto non lo vuole fare...” “Anche noi abbiamo fatto la richiesta per il contratto dell’acqua, ma siccome ci hanno detto che non era possibile, ci siamo allacciati abusivamente - raccontano al centro”.

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Tuttavia, senza il contratto ufficiale non si corre il rischio di essere buttati fuori? “Mi buttano fuoriii? Io faccio succedere il finimondo, piuttosto mi incateno, rompo teste... ho tre figli, da qui non esco manco con le cannonate" dice alzando la voce Margherita. Allo Zen è arrivata da pochi anni all’interno di un flusso migratorio caratteristico del quartiere nel senso che ci sono famiglie che utilizzano gli alloggi solo fino a quando non ne trovano uno più idoneo alle loro necessità. Chi ci riesce, si trasferisce perché si sente discriminato dal resto della città. Succubi di una forma di razzismo assurdo. Lo Zen è rifiutato dalla città; lo Zen2 è rifiutato dallo Zen1 che lo ritiene responsabile della cattiva fama che il quartiere ha a livello nazionale. “Veniamo dallo Zen e lo vogliamo urlare...”canta un rap fatto da un gruppo di ragazzi del quartiere, e il complessino musicale sta avendo parecchio successo. Anche fuori.


Palermo

“Ogni insula si è evoluta o involuta per i fatti propri, e quindi fra le varie insule sono sorti dei conflitti con conseguente deterioramento dei rapporti sociali – fa Bice – i ragazzi di un centro sociale – aggiunge non vogliono andare nell’altro che si trova dall’altro lato del rione perchè uno è il centro sociale dove si spaccia mentre nell’altro sono riusciti ad evitarlo”. A questo punto vengono fuori alcuni episodi a dimostrazione che gli abitanti dello Zen1 non hanno odio verso i loro vicini dello Zen2, tuttavia, si sottolinea da più parti, diversa è la loro storia. “Lo Zen1 è un quartiere autonomo perché ha tante cose che funzionano, tanti servizi, farmacie, negozi; - dobbiamo dirle queste cose esorta Serafina – E’ nato da un progetto che è stato pensato e studiato per condizioni di vita normali, case popolari assegnate regolarmente, seguendo una graduatoria. Le chiavi sono state distribuite e consegnate ai legittimi assegnatari, acco-

munati tutti, dal fatto che erano assegnatari. Bastava questo per entrare in sintonia. All’inizio quasi tutti gli arrivati si attivavano per sbrigare i problemi. Bisogna dirle queste cose – dice Serafina e altre donne, più timide, concordano - Per agevolare la nascita della prima scuola - continua – c'è

"Per fare nascere la prima scuola" stata molta collaborazione, tu pensi ai banchi, tu alla luce, tu al risanamento...” . Allo Zen2 è tutta un’altra storia. “Ci si è dovuti arrangiare”. Ma cosa manca di più allo Zen2? “Mancano i lampioni in buona parte del rione e questo crea problemi incredibili non appena inizia a fare buio - spiega Giusi”. “Lo Zen 2, è un quartiere del comune? Perché mancano i lampioni? Che qualcuno della amministrazione ci dica non mettiamo i lampioni allo Zen perchè li rompono.

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“Invece nulla - interviene in modo molto colorito Nadia”. “In verità, spesso sono gli spacciatori che li rompono apposta interviene Graziella - per attenuare la visibilità”. “Si, ma il comune cosa fa? Incalza ancora Nadia”. In un paese civile è normale che lo stato ne prende solamente atto?”. A questo punto le donne del quartiere, operatrici o abitanti, si accalorano, si infervorano, si appassionano. “Io frequento questo centro da quattro anni, qui nel quartiere non ho amiche, sono più piccole di me. Se volessi fare una passeggiata? Non c’è nulla, trovi qualche panchina allo Zen1, qui al 2 non c’è nulla”. Giusi è una ragazza che vive allo Zen2, grazie al Centro studia, ha tanti progetti da realizzare. La gente dello Zen ha anche delle speranze, delle aspettative. Avrebbe bisogno di essere ascoltata, considerata, il problema più grosso è quello di arrivare a fine settimana.


Catania

Le mamme riconquistano l'Andrea Doria GIUSEPPE SCATA'

"E va bene: ve la lasciamo per altri due anni". E' finita così, per ora, la famosa battaglia della Scuola Andrea Doria, l'unica scuola del quartiere più popolare, San Cristoforo. Il Comune la voleva chiudere ma le mamme, con una lotta da Iliade, l'hanno difesa. In autunno i bambini torneranno a scuola ma gli speculatori, che volevano fare i loro affari su quel terreno, mica ci hanno rinunciato. Le mamme ora festeggiano, ma con gli occhi aperti... “Ringraziamo il comitato civico in difesa della Doria, ringraziamo il prefetto, l’arcivescovo, le Orsoline, il GAPA e tutte le persone che ci sono state vicine in questa lotta”. E’il 9 Giugno. La Giunta invia al fax dell' Andrea Doria la copia di una delibera preannunciata: la scuola resta in via Cordai 59 per altri due anni. Manca però un documento: la copia del nuovo contratto d'affitto e la garanzia che il plesso verrà messo a norma di sicurezza. "Avrete tutto", promette l'assessore Maimone. Le mamme festeggiano. Tolgono le catene ai cancelli, ma non buttano il lucchetto. *** “C’era na vota nu rè bufè, biscotta e minè. Stu rè, bufè biscotta e minè…”, canticchia l’assessore Maimone in una sala del Palazzo degli Elefanti. Con la mano batte il ritmo e guarda negli occhi le madri dell’Andrea Doria. E’ il 22 Maggio. Ci accomodiamo nella sala. L’elefantino di vetro, imbizzarrito, con la proboscide sollevata e al centro del tavolo, stavolta riflette diciassette volti: ancora le quattro donne della Doria, Maimone, l’assessore Drago, il capogabinetto Ferlito, una segretaria, il consigliere comunale per An Puccio La Rosa, un secondo consigliere, due funzionari comunali, e tre uomini del comitato cittadino in difesa della scuola, tra cui me, cronista per Casablanca e per I Cordai. Maimone

parte e dice subito: “La scuola Andrea Doria non si tocca. Verrà semplicemente trasferita in un altro plesso, a poco più di cento metri”, qui si ferma e prende la carica, e poi, tutto d’un fiato: “Nella Livio Tempesta di via Gramignani, ristrutturata, ampliata, e finalmente a norma di sicurezza”. Dopo un suo piccolo movimento della mano la segretaria comincia a leggere una lettera dell’avvocato delle Orsoline: “Come già comunicato precedentemente, mettiamo in vendita il plesso”.

"C'era una volta un re..." “Insomma”, dice stupefatto Maimone, “Il comune non può certo acquistare un immobile di 3 milioni di euro per spenderne poi 1 e mezzo per l’adeguamento strutturale! Sarebbero spese di tipo straordinario e la Corte dei Conti ci bloccherebbe subito”. “Ma la Tempesta che c’entra, è del quartiere Angeli custodi!”, urla una madre, e La Rosa, cronometro alla mano: “E’ vicinissima. Ieri ho fatto a piedi il tratto tra la Doria e la Tempesta, lo confesso, e sono solo 7 minuti. Li ho contati”. “Tra l’altro - incalza Maimone - i dati nazionali registrano un aumento dell’obesità tra i ragazzi, e quella passeggiata gli farà certo bene”. Attimo di silenzio. Una

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delle madri cerca di farsi sentire tra un intervento e un altro: “Con quella scuola ci siamo cresciuti, per noi è come un monumento, è proprio davanti casa”. La Rosa e gli altri ridono. Ferlito, il capogabinetto, non ha un cronometro né una calcolatrice, e fa rapidi calcoli: “Insomma, alla Tempesta sono occupate solo 4 aule su 18, e i 240 bambini della Doria c'entreranno comodamente”. Da un angolo emerge la voce di Drago: “La Doria appartiene al passato. Costruiremo, come già in progetto, due scuole nuove nella zona di San Cristoforo. Noi abbiamo il dovere di tutelare quei ragazzi”. E Maimone, come per dare una benedizione: “Ogni bambino che sottraiamo alla strada è una conquista per la città”. Nuovamente silenzio. Un giornalista de I Cordai prende la parola: “Io ho visto il piano integrato di San Cristoforo e non risultano nuove scuole in fase di progettazione”. Drago si complimenta per la risposta ben articolata e aggiunge “Le costruiremo, le gare d’appalto sono già bandite”. Maimone chiede per telefono la planimetria per dimostrare quanto detto e dall’altro lato gli rispondono picche, “Io vi denuncio”, chiude, e poi: “Quei bambini sono i nostri bambini”, dice ancora, sovrapponendosi alla voce di La Rosa che afferma contento che le madri hanno capito tutto


FOTO DI GIUSEPPE SCATA' (AGENZIA LIBERA IMMAGINE)

Catania "Questa scuola è il cuore di questo quartiere, non si può levare. Sarebbe come togliere la statua dell'elefante da piazza Duomo!"

www.associazionegapa.org

e sono d’accordo, mentre la donna gomito a gomito con lui ripete già da un paio di minuti: “Un buco nell’acqua, un buco nell’acqua…”. Ad un nuovo cenno della mano la segretaria rilegge la lettera dell’avvocato delle Orsoline, nessuna la ascolta, ma lei prosegue. E’ l’unica donna presente insieme a una ispettrice della Digos e alle quattro madri. La settima è inginocchiata dietro il tavolo e alle spalle degli uomini. Ha le mani sul volto e ormai non oppone più difesa alle pietre scagliatele addosso. E’ inclinata da un lato e sanguina, ma non crolla ancora. E’ un grande dipinto della Lapidazione. “Stu rè, bufè biscotta e minè, aveva na figghia befigghia biscotta e minigghia…”. Il giorno dopo, alla Livio Tempesta: il cantiere è ancora aperto, e dei fili della luce scoperti fanno un arco sull’ingresso, dove un’isolata macchinetta del caffé dà il benvenuto. Cammino, seguito da un uomo: “La scuola è qui da sempre, è un pezzo di storia”, dice e saluta gli operai che pranzano, “A settembre 150 alunni sono stati spostati al plesso della Playa, e noi gli abbiamo promesso che sarebbero ritornati qui l’anno prossimo. Non c’è spazio per la Doria”. I corridoi sono appena intonacati e freschi e comincio a contare, anch’io senza cronometro e calcolatrice: 18 aule, di cui

quattro occupate, è proprio vero, la matematica non è un opinione. Ma sei di queste sono aule esattamente dimezzate, come se avessero usato un coltello da cucina su una torta alla crema, e due dovranno ospitare archivio e sala riunioni. “Io ho paura quando mio figlio va a pedi fino alla Playa, mica posso accompagnarlo. E nei giorni di pioggia?”, fa una donna, fuori di sé, e l’uomo, guardando i pontili del cantiere: “Lei sa che molti padri qui sono pescatori. Ecco, noi siamo in una barca sola nel mare, di notte. Senza stelle, e senza bussola, dove andiamo?”. Esco dalla Tempesta, prima di rimanerne inghiottito.

"Una soluzione illogica"

La Tempesta dichiara alla stampa che lo spostamento della Doria in via Gramignani è “una soluzione illogica”. Maimone reagisce e ribatte con una nuova idea: trasferire la Doria nelle dieci aule di via Case Sante, ma il preside della Doria, Santonocito, dice che lì c’è agibilità per soli quaranta alunni in più, come comunicato e raccomandato dallo stesso comune, con una circolare del 2005. E poi è quartiere Cappuccini. Non è certo necessario andare in alto mare o sulle banchine delle tonnare siciliane, per trovare dei profughi. Il 30 Maggio le mamme della Do-

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ria occupano la scuola: “La Doria è il cuore di San Cristoforo e di tutta la città. Allora sa che ci dico al sindaco, perché non togliamo l’elefante da piazza Duomo?!”. “Sta figghia, befigghia biscotta e minigghia aveva n’acceddu beceddu biscotta e mineddu…”. “Come possiamo noi educare i nostri bambini se il comune non vuole pagare nemmeno l’affitto di una scuola?”, urla sul palco la signora Di Fazio, durante lo sciopero generale del primo giugno. Più tardi il comitato civico in difesa della Doria, insieme alle donne di San Cristoforo, entra in prefettura. Maimone tira subito fuori un verbale senza firme e senza date e legge: “La Tempesta ha a disposizione 12 aule libere”, “Non è vero, quelle aule aspettano il ritorno degli studenti che abbiamo dovuto spostare al plesso Playa. Io l’ho scritto e firmato, e lei l’ha omesso”, dice il dirigente della Tempesta, e Maimone, rivolto al preside della Doria: “Perché ha chiesto ufficialmente la messa in sicurezza della scuola? E' un motivo in più per andare via dalla Doria”, e il preside: “La maggior parte delle scuole catanesi non è a norma. E poi io posso prendermi la responsabilità di una struttura che sta al di fuori della legge?”. A questo punto il prefetto, una signora di mezz'età, si intromette con un guizzo:


Catania "Non pagate neanche l'affitto delle scuole!"

"D'accordo, d'accordo... contatterò di nuovo la proprietà delle Orsoline, e proverò a convincerla a non vendere”. All’uscita l’assessore è circondato dalle madri. Lui prende un grande foglio, lo apre sul cofano di un auto, e con il dito tocca un piccolo punto di un disegno San Cristoforo: “C’è già una gara per una nuova scuola”, “Ma sta parlando di un bando di idee, e per un progetto di scuola materna, mica è un appalto!” gli rispondono. “Lo cambiamo” fa lui, “Certo, fin quando è un’idea”, fa un altro. Un geometra chiede di guardare le carte e si china sul cofano, Maimone avvolge la pianta e la nasconde sottobraccio. “Perché non pa-

gate proprio l’affitto della Doria, e rispettate gli altri pagamenti?”. E lui “C’è un ordine di debitori da rispettare”, “Ma quello non è per i servizi? Che c’entrano gli affitti?!”. “…St’aceddu beceddu biscotta e mineddu ci vulò…”.

"Ma che c'entrano gli affitti?"

Il 6 Giugno al teatro ambasciatori di Catania c’è il progetto Legalità & Cittadinanza: la scuola incontra le istituzioni. La Doria non è stata invitata, ma un gruppo di madri e ragazzi entra lo stesso, si mette accanto al palco e apre gli stri-

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scioni: “Ma che legalità se la scuola chiuderà?”. “Prima di tutto do' il benvenuto alla Doria”, dice subito Maimone, appena afferra il microfono; “Scapagnini perché stai zitto, la scuola non è un diritto?”, e Scapagnini dirà: “Ragazzi dateci il tempo di risolvere il problema Doria”, “Staiu addivintannu vecchia a furia d’aspittari!”, gli rispondono. “E’ colpa delle Orsoline”, fa Maimone, “Ma se non pagate l’affitto?!”, ribatte Carla, 3° media della Doria. “A cu pigghia st’aceddu biceddu biscotta e mineddu, ci dugnu a me figghia befighhia biscotta e minigghia”. Le madri occupano, tenendo sotto


Catania "Grazie a una opportuna variante del piano regolatore San Cristoforo Sud è diventata una zona edificabile. Dove ora c'è la scuola potrebbero costruire anche palazzi..."

il telefono, appena sequestrato al preside e avvolto nel filo come un pacco regalo. Si portano dietro i figli, “Ci aiu na casa pessa”, dicono, ma si fanno forza a vicenda.

"Si sono fatti avanti certi costruttori..." Mangiano panini, pizze, qualche volta cucinano della pasta, e dormono nella vice presidenza. Quando il preside mette i doppi turni al plesso Doria di via Concordia, loro corrono e infilano un bel catenaccio al cancello. Bloccano lezioni, scrutini ed esami, e la mattina del 7 Giu-

gno, come valanghe, raggiungono pure le aule della Doria di vie Case Sante, per protestare durante la recita di fine anno. “Questa occupazione è illegale”, dice il presidente della Prima municipalità, Messina. “Arriva ‘n tignusu vavusu biscotta e minnusu, afferra st’aceddu, va ni lu re e ci dici…” . “San Cristoforo Sud è diventata zona edificabile con una variante del piano regolatore. L’Andrea Doria è a San Cristoforo Sud, e se sulla carta vale 3 milioni di euro, domani il suo valore duplicherà, o triplicherà”, “Già degli imprenditori si sono fatti avanti, e ce n’è

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uno in particolare”. “...Ca c’è l’aceddu! datimi a vostra figghia befigghia biscotta e minigghia”.

"Domani il valore raddoppierà" “Ringraziamo anche Maimone... ma non diciamo grazie al consiglio di quartiere, che non si è mai interessato e ci ha abbandonato”. “Ma ‘u re ci dici: Vattinni tignusu vavusu biscotta e minnusu, ca voi a me figghia befigghia biscotta e minigghia”. (Casablanca, I Cordai)


Sud

Catania in serie A Chi gioca bene Chi gioca sporco GIANFRANCO FAILLACI

Cosa significa far festa per la salvezza? Significa gioire per un risultato sportivo che è uno schiaffo al calcio degli imbrogli. Ma significa anche ricordare ciò che è accaduto il due febbraio. L'amministrazione comunale ha un obiettivo: far finta che i criminali di quella sera fossero appena sbarcati da Marte. Del resto, quest'amministrazione ha portato la città in serie C2. E, come sempre, approfitta della festa per prendere i voti e scappare Lo stadio di Catania – uno stadio non nuovissimo, ma in regola con le norme di sicurezza – si trova in piazza Filippo Raciti, nel vecchio quartiere di Cibali. Per arrivarci si percorre tutta via Giuseppe Fava, si passano ordinatamente i controlli ed è impossibile entrarci senza biglietto o portandosi appresso bombe, armi, fumogeni illegali. Sugli spalti, più di ventimila persone aspettano la partita sventolando bandiere rossazzurre. I catanesi sono famosi, perché nessun’altra tifoseria in Italia segue la squadra con tanto entusiasmo, perfino nelle trasferte a duemila chilometri di distanza. Ma sono famosi anche perché, quando incitano i loro giocatori o sfottono gli avversari, lo fanno sempre con ironia e senza violenza. Non si vedono croci celtiche o altri simboli vietati. Nessuno fa cori contro la polizia; se qualcuno ci provasse, verrebbe immediatamente zittito dall’unisono di ventimila fischi. Il custode dello stadio è un dipendente comunale assunto con concorso regolare; non si accompagna con gli ultrà violenti, né conserva per loro spranghe ed esplosivi; se vede movimenti strani, li denuncia subito a chi di dovere. Il Comune ha abolito l’inutile assesso-

rato “alla squadra di calcio” – buono solo a ramazzare voti tra gli ultrà – ma in compenso ha un assessorato allo sport efficiente e tempestivo. Del resto, dopo il risanamento del bilancio, le casse pubbliche possono sostenere tutte le spese necessarie alla città: da quelle urgentissime per alloggiare le scuole medie a quelle, pur sempre importanti, per mantenere lo stadio sicuro e all’altezza della serie A. Il Calcio Cata-

In piazza Filippo Raciti nia è di conseguenza libero di investire tutte le sue risorse nel migliorare la squadra. Molti dei giocatori rossazzurri sono meridionali, alcuni proprio siciliani, ma c’è anche qualcuno che viene da lontano. Il giovane giapponese Morimoto, che oltre ad assomigliare in viso a Ronaldo è anche un centravanti solido e furbo, con i suoi gol ha fatto conoscere a Tokyo le immagini dell’Etna e del barocco catanese; per la prossima estate si prevede un flusso mai visto di turisti dall’Oriente. Tra i giocatori non nati in Sicilia c’è anche il capitano, Davide Baiocco, che a Catania è arrivato quando la squadra era in B, e ha trasci-

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nato i compagni, con classe e coraggio, alla promozione più bella e alla salvezza più insperata. Il sogno di Davide – che non è un attaccante – è di segnare, quest’anno, il suo primo gol in rossazzurro. E di segnarlo davanti al suo pubblico, proprio al Massimino. Dipenderà solo da lui, perché certamente il campo del Catania non sarà mai più squalificato. I responsabili della morte di Filippo Raciti e di tutte le violenze del 2 febbraio sono già stati assicurati alla giustizia. Dopo un processo equo e rigoroso, i colpevoli sono stati condannati. Si sono costituiti parte civile i familiari della vittima, il Ministero degli Interni, il Comune e la Provincia, la società Calcio Catania e quindicimila abbonati. Ciascuno di loro ha obbligato i violenti a pagare tutti i danni, grandi e piccoli, causati dai loro reati. La gente adesso va allo stadio con una fondata speranza: che una notte come quella, a Catania, non si ripeterà mai più. *** Alcune di queste cose potrebbero accadere il prossimo anno, altre potrebbero accadere in futuro e altre ancora, probabilmente, non accadranno mai. Ma far festa per la serie A, oggi, significa


Sud

C'è un uomo nuovo al governo: Matarrese

UN ARTICOLO DI GIUSEPPE FAVA ROSSAZZURRI CONTRO TUTTI da I Siciliani, settembre 1983 Lo sport fattore essenziale della civiltà contemporanea e quindi il calcio – il più popolare degli sport – come componente della cultura di un territorio. E dunque la conquista della serie A del Catania, unica squadra di massima serie da Napoli in giù, una conquista dell’intero Sud. Il segno di una sfida che le grandi città meridionali, Palermo, Catania, Bari, persino il Messina, hanno ripetuto e perduto, decine di volte nel dopoguerra. Nella realtà, per come è avvenuta, per le straordinarie circostanze tecniche e passionali che l’hanno caratterizzata, la drammatica sequenza finale degli scontri, la partecipazione, quasi la sollevazione popolare che ha accompagnato gli atleti nell’ultima fase agonistica, la serie A del Catania sembra appartenere davvero a tutto il Sud. Quasi settantamila catanesi e siciliani presenti all’Olimpico nelle tre partite decisive (Lazio, Como, Cremonese), una città che in meno di un mese riesce a spendere quasi sette miliardi sol per essere presente alla lotta e partecipare al trionfo; sono fatti che non si spiegano e nemmeno giustificano, ma sicuramente confermano il teorema. Il calcio è anche cultura! Se Catania avesse uno stadio da centomila, per almeno cinque-sei partite del prossimo campionato, Roma, Juventus, Inter, Milan, Sampdoria,

anche questo: pensare a come si potrebbe scrivere un’altra storia, gettare i semi di un futuro diverso. Intanto, sul campo neutro di Bologna, il Catania questa serie A se l’è riconquistata. Non ci credeva ormai nessuno, sia perché dopo il due febbraio la squadra non è mai più stata quella di prima, sia perché in Italia, quando si arriva agli sgoccioli del campionato, i risultati delle partite si conoscono generalmente in anticipo. All’indomani della vittoria del Milan in Champions League, contro una signora squadra come il Liverpool, non si trovava un italiano disposto a scommettere che Kakà, Gattuso e Seedorf avessero

Udinese, riuscirebbe a gremirlo. Folle di decine di migliaia s’annunciano, infatti, per quegli incontri, da ogni città e paese dell’isola e della Calabria. E verranno anche dalla Puglia, dalla Lucania, da Malta, probabilmente anche dalla Tunisia. In proporzione alla grandezza e importanza civile della conquista, l’accanimento e l’intelligenza per difenderli. Il problema è di resistere a quello che sarà sicuramente l’assalto del Nord. Nessuno infatti può amare il Catania in serie A, come non furono mai amati Palermo o Bari; Catania è troppo lontana dal cuore e dagli interessi del calcio italiano. Costringere i sublimi protagonisti a scendere fino all’estremo Sud, subirne il clima come una prepotenza, affrontare la drammatica passionalità popolare, viene appunto intesa come una sfida. […] Oltretutto – lo sappiamo – il Catania rappresenta molto più che la squadra di calcio di una grande città: per il modo stesso come è avvenuta la conquista, per la trionfante passione del pubblico, il Catania significa anche il Sud. Non è retorica. In un momento in cui tutte le bandiere pendono sempre più flaccide, senza vento, quella sportiva almeno è la più pulita e la più innocente. Quindi anche la più civile!

qualche probabilità di battere la modesta Reggina. E infatti il Milan ha puntualmente perso, cosicché la Reggina s’è salvata, come si è salvato il Siena battendo la fortissima Lazio. C’è stata una sola partita vera nell’ultima giornata, una sola partita in cui non potevano esserci risultati combinati. Per la semplice ragione che Catania e Chievo (la mezza sorpresa di quest’anno contro la sorpresa delle ultime sei stagioni) si giocavano senza tante cerimonie la serie A: o dentro, o fuori. È anche per questo che i gol dei due panchinari rossazzurri che hanno deciso il campionato – il colpo di testa rabbioso di Rossini, la zampata fameli-

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ca di Minelli – lasciano in bocca un gusto speciale. Il gusto di un piatto genuino assaporato dopo troppi bocconi avariati, il gusto di un dispetto contro i potenti. In un calcio che – come se nulla fosse accaduto – ha ai suoi vertici ancora un Matarrese, e non ha saputo liberarsi nemmeno d’un Carraro. *** È giusto far festa, per questa seconda promozione consecutiva in serie A. Altre squadre, che si sono salvate con molto minore gloria, non hanno avuto cuore di farla. Prendete il Torino, società dalla nobile storia ma dal presente miserello. Il suo proprietario, un editore berlusconiano che parla con la


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Sud

Una giunta imbottita di brocchi strapagati stessa voce del Cavaliere, l’ha messo su spendendo soldi a palate e comprando nazionali vecchi e nuovi. E la squadra è finita lì sotto, un punto più in basso del Catania e un punto più in alto della retrocessione, giocando probabilmente il calcio peggiore d’Italia. Non si sarebbe mai salvato, questo Torino, se a stagione praticamente finita non avesse vinto all’Olimpico di Roma. E non avrebbe mai vinto, all’Olimpico, se la Roma non se ne fosse andata in vacanza con la testa e con le gambe, e se uno dei suoi difensori più forti, Cristian Chivu, non avesse re-

Una sola partita vera galato agli avversari il gol decisivo con un liscio da oratorio. Va bene, ciò non significa che quella sia stata una partita combinata. Però, quando il Catania ha giocato a Roma, si è trovato contro un avversario furente che ha – giustamente e sportivamente – infierito contro i rossazzurri fino a batterli per sette a zero. È stato questo, dunque, il campionato del Catania: il campionato d’una squadra del Sud, ricevuta nel calcio dei ricchi con lo sprezzo con cui si guardano gli emigranti. Nessuno le ha regalato nulla; la partita della salvezza ha dovuto giocarsela fino alla fine. Ma, alla fine, ha saputo vincerla da sola. *** È giusto far festa, per la serie A ritrovata. Ma ciò non autorizza a dimenticarsi un solo istante di quel due febbraio. È giusto far festa, perché c’è un tempo per gemere e uno per ballare. Ma, dopo il tempo degli abbracci, viene anche quello in cui dagli abbracci bisogna sciogliersi. Se la salvezza del Catania significa davvero la vittoria di un calcio povero e bello, allora c’è molta gente che, di questa vittoria, non ha alcun diritto di appropriarsi. Tra questi, in prima fila, ci sono gli amministratori del Comune. Un Comune che rappresenta la perfetta antitesi di ciò che è il Catania in serie A. La squadra ha navigato per diversi mesi in alta clas-

sifica, e ha comunque mantenuto la categoria con merito e dignità; la città, grazie ai brocchi che la governano, figura da anni nella C2 della vivibilità urbana (nel 2006, secondo il Sole 24Ore, occupava il centotreesimo posto su centotre capoluoghi di provincia). La squadra è stata costruita con pochi soldi, puntando su giocatori giovani, bravi e spesso siciliani; la città ha un primo cittadino d’importazione, ed è tra quelle che pagano al proprio sindaco lo stipendio più caro (il sesto stipendio d’Italia, per l’esattezza). La squadra non ha mai ingannato il suo pubblico promettendo qualcosa di diverso dalla salvezza; il Comune ha preso una delle sue spiagge più belle – quella di San Giovanni Li Cuti –, ci ha fatto scaricare un po’ di spazzatura destinata a una discarica e ha provato a gabellarla per purissima sabbia vulcanica. Per convincersi di quanto poco questa serie A appartenga a chi governa Catania, basta osservare i lavori in corso per mettere a norma lo stadio. Il Comune non ha fatto nulla fino al due febbraio, e poco o nulla ha continuato a fare fino alla fine del campionato. Adesso i lavori sono iniziati ma, per una parte, le spese ha dovuto anticiparle il Calcio Catania. La società, anziché investire tutto quel che ha in cassa nell’ingaggio dei giocatori, ha dovuto comprare un costoso sistema di telecamere a circuito chiuso e perfino pagare le recinzioni di piazza Spedini: che è,

Lavori in corso, ma chi paga? fuor di dubbio, una proprietà comunale e non della squadra di calcio. Il contributo della politica cittadina è dunque questo: chiedere alla squadra un aiuto, di fronte al proprio dissesto finanziario, per far sì che allo stadio e dintorni sia più difficile ammazzare la gente. Cos’ha a che fare, un’amministrazione ridotta a questo, con una squadra di serie A? *** «In serie A il Catania sarà solo contro tutti». Lo scriveva Pippo Fava, nel

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1983, all’indomani di una promozione bella ma effimera. Solo contro tutti, il Catania, lo è stato anche quest’anno. E lo sarà probabilmente anche il prossimo. Solo, perfino contro un pezzo di città che non perde occasione per imbandierarsi di rossazzurro, ma che in realtà usa la passione popolare come pretesto per i suoi cinici calcoli elettorali, o per la sua bestiale violenza. Bisogna saperlo, se si vuole che la serie A di oggi sia meno effimera di quella di allora. Pippo Fava, prima ancora che si consumasse quella breve stagione sportiva, fu ammazzato per volontà di un pezzo piccolo ma potentissimo di Catania. E ci fu un pezzo molto più grande della città di allora che cercò di farlo dimenticare, e perfino di negare che a Catania esistesse la mafia. Oggi un gruppo di criminali, limitato ma non minuscolo, ha devastato un quartiere e causato la morte di Filippo

La violenza della città

Raciti. E ben presto i politici di governo sono corsi a dichiarare che costoro «nulla hanno a che vedere con la città». Secondo l’amministrazione comunale il due febbraio andrebbe rapidamente derubricato a un caso, particolarmente sfortunato, di violenza negli stadi; mentre esso è stato, con ogni evidenza, un caso estremo della violenza di Catania. Quella sera, poco lontano dalla piazza degli scontri, abbiamo assistito a una scena istruttiva. Un ragazzino di otto o forse dieci anni, con il volto coperto da una sciarpa, tirava sassi contro alcuni poliziotti. Non ce l’aveva con l’arbitro, o con i giocatori del Palermo, o con i tifosi rosanero. Ce l’aveva con gli “sbirri”. Il papà allora gli ha preso la mano, gli ha detto bravo e se l’è portato a casa. Il male di Catania è in quel papà, e forse è già passato a quel ragazzino. Negare che esista questo male può essere omertà, idiozia, ignoranza o calcolo. Poco importa, in fondo. Quel che è certo, è che negare il male non è sano. E comunque, è una cosa da serie C2.


UDI Campagna per la raccolta delle 50.000 firme necessarie alla proposta di legge d'iniziativa popolare

"50e50 ovunque si decide" L’Udi lancia una proposta di legge d’iniziativa popolare “50E50 ovunque si decide” basata sul principio (art. 51 della Costituzione) che l’accesso dei cittadini e delle cittadine alle assemblee elettive debba svolgersi in condizioni di pari opportunità. Si è deciso di promuovere questa iniziativa di democrazia paritaria perché i Partiti in Italia non hanno avuto la capacità gestire autonomamente il riequilibrio della rappresentanza. A questo fine, nei cinque articoli in cui si articola la proposta, si prevede che in tutte le assemblee elettive le candidature siano costituite da un numero uguale di uomini e di donne, disposti in ordine alternato per sesso, pena l’esclusione automatica della lista dalla prova elettorale.

La norma dovrebbe trovare applicazione per tutti i tipi di elezioni, da quelle per le Circoscrizione comunali a quelle per i candidati italiani al Parlamento europeo, passando per le elezioni di Comuni, Città metropolitane, Province, Regioni a statuto ordinario, Camera e Senato. E, visto che si sta discutendo di riforma del sistema elettorale, la proposta prevede modalità di applicazione del principio paritario sia per le candidature effettuate sulla base di liste o di gruppi sia per quelle all’interno di collegi uninominali. La proposta di legge è stata depositata in Cassazione e da ora iniziano i nostri lavori per contribuire alla raccolta delle 50.000 firme necessarie.

CENTRO DI RACCOLTA UDI CATANIA c/o MEDIA TRES – v.le Vittorio Veneto 76

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AMALIA BRUNO

Josè Rallo e Margherita Dogliani

Musica vino e jazz Un'azienda così

Le Siciliane

DISEGNI DI

GRAZIELLA PROTO New York: Al Bleu Note tempio del jazz, quella sera c’è il tutto esaurito. Sul palco un’attraente signora: folti capelli neri che le scendono sul volto come una cascata, pantaloni neri ben modellati, fascianti e ricercati, camicia allegra e colorata, una voce calda, suadente e bellissima che conserva la sua caratteristica di dono della natura ma esprime anche studio e ricercatezza. Le musiche? Jazz, soprattutto, ma anche tanta musica brasiliana. Tante le canzoni di Caetano Veloso ma anche di Pino Danieli. Non è un’artista in cerca di fama, ma José Rallo, una intelligente imprenditrice siciliana che miscelando la sua passione per la musica e per il vino, nella sua strategia di marketing, usa i concerti per promuovere e vendere la sua idea, imporre i suoi prodotti... Una canzone per ogni tipo di vino e il motivo musicale segue o presenta i diversi tipi di rosso e di bianco, ora è caldo e sensuale, ora morbido e gentile “I mercati non si conquistano solo con i prodotti, ma anche trasmettendo cultura e un modo di essere – spiega Josè - Oggi aggiunge - questo marchio rappresenta nel mondo una Sicilia solare, laboriosa, direi persino virtuosa nel saper cogliere e interpretare le vocazioni produttive del territorio.” Sul palco insieme a lei la band "Donna Fugata Music & Vine" un gruppo di fini musicisti fra cui suo marito, il percussionista Vincenzo Favara, sui tavoli bottiglie di Donnafugata. Un marchio e un logo che Josè e suo marito hanno portato da Roma a New York, da Mosca a Pechino e Shangai “Portiamo in giro in Italia e nel mondo, i nostri vini, raccontandoli con

la musica. Io canto musica brasiliana, mio marito suona le percussioni, abbiamo una band, con un gruppo di amici che suona con noi da quasi venti anni e facciamo tournèe eno-musicali... cerchiamo di svegliare i sensi di chi ama la musica e il vino, suonando, cantando... facendo gustare contemporaneamente i nostri prodotti”. Strategie di marketing, dicono alcuni arricciando il naso e stringendo le labbra, e però la signora del jazz, la brasiliana di Marsala, è un ciclone di fantasia e sensibilità. Un fenomeno. Certamente lo scopo principale è la conquista dei mercati, tuttavia, Josè dimostra giornalmente che l’obiettivo lo si può raggiungere senza alienare le proprie sensibilità: Donnafugata è impegnata a produrre vini di qualità, rispettando l’ambiente, valorizzando e recuperando il territorio. Ma anche il risparmio energetico, energie alternative che sfruttano il sole, vendemmia notturna come facevano gli Elimi; Ed ancora, gli scavi archeologici, per ritrovare l’antica città,…….. borse di studio a giovani medici che vengono a specializzarsi in cardiochirurgia a Palermo. Alleanze con l’Università, con alcuni reparti ospedalieri, con associazioni culturali, il premio letterario Tomasi di Lampedusa. Nel giro di pochi anni l'affascinante manager che “coltiva” quotidianamente la creatività, e cioè la voglia di affrontare il lavoro trovando sempre nuove soluzioni, dinanzi ad un mercato che si evolve in maniera sempre più veloce ed imprevedibile...” trasforma le sue aziende in un punto di riferimento per tanti. Niente barriere. Niente steccati ed ideologie. Alla sua corte può andare sia

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José Rallo, esperta di marketing, gestisce le sue aziende al ritmo di jazz e musica brasiliana. La maggior parte dei dipendenti sono donne. Produce vini e assieme al marito musicista va in giro per il mondo abbinando una canzone ad ogni tipo di vino. Grazie a Josè, la Donnafugata dei Rallo, è una delle prime aziende che utilizza l’energia eolica. Finanzia gli scavi di Elima e le borse di studio ai giovani medici che vengono a specializzarsi in cardio-chirurgia a Palermo. E' attenta al protocollo di Kyoto. Insomma, un fenomeno per la Sicilia Ermete Realacci, sia il ministro Alemanno, l’azienda è attenta alla qualità, ai mercati, ai guadagni, e contemporaneamente al Kyoto club, per promuovere l’adesione al protocollo sulla riduzione delle emissioni di gas serra; ha introdotto la vendemmia notturna per preservare gli aromi e ridurre l’uso di energie, si è convertita alla energia eolica.


Le Siciliane

Josè Rallo e Margherita Dogliani

“Per preservare gli aromi, dobbiamo raffreddare le uve e i mosti; dobbiamo tenere i vini a temperature controllate, insomma un grande consumo di energia elettrica... abbiamo pensato che poteva essere un buon segnale produrre energia pulita...”. Recentemente i Ds le hanno proposto di candidarsi per la Camera, ma lei ha rifiutato. “Non ho accettato questa proposta che, comunque, mi ha onorato, perché penso che far bene l’imprenditore rappresenti un impegno davvero importante al servizio della società e del Paese. Oggi la questione della selezione delle classi dirigenti non riguarda soltanto la sfera politica, ma tutta la società e in tutti i settori… si può essere classe dirigente anche se non si siede in una assemblea elettiva...”. Difficoltà come donna? Spiega che

non ne ha avute mai, perche’ suo padre, già da tempo aveva spalancato le porte dell'azienda alle donne della famiglia, prima a Gabrielle la mamma di Josè e poi a lei. Pur in un ambiente in cui il problema della mafia incombe “Sono i comportamenti di ciascuno di noi a diventare, nei fatti, il migliore antidoto per certi mali... La mia è una famiglia di imprenditori che opera nel vino di qualità dal 1851 a Marsala. Non ha mai conosciuto la paura della mafia né quella del pizzo. - spiega Un po’ diversa aggiunge - è la situazione tra le colline di Contessa Entellina, nel Belice, dove, accanto ad una cultura più chiusa ed arretrata, sussiste una mafia rurale... un atteggiamento fermo e una presenza costante sui luoghi di produzione ha tutelato l’azienda agricola da ingerenze e pressioni, a cui si può e si deve resistere”. Insomma, “fare l’imprenditrice in Sici-

lia offre grandi soddisfazioni se si hanno chiari gli obiettivi e gli strumenti con cui raggiungerli”. Mantenendo tutte le sensibilità e le attenzioni. Per esempio avere la maggior parte dei dipendenti donna “Direi che è un fatto assolutamente normale, interrompe - perché la metà della popolazione è donna. A questo aggiungiamo che oggi le donne rappresentano una risorsa innovativa, a 360 gradi, e il loro contributo in termini di creatività, flessibilità e di empatia può determinare il successo di un’azienda… spesso sono più preparate, hanno più fantasia e, soprattutto, capacità di comunicare la passione che ci mettono nel proprio lavoro. Insomma Donnafugata è un’azienda al femminile, ma non fatta a tavolino, con quote rosa o simili espedienti che trovo francamente un po’ banali e persino offensivi".

SCHEDA VIVERE NELLA RISERVA Quarant' anni superati da poco, due figli, anche loro perfettamente inseriti nella azienda familiare. Una loro foto molto suggestiva e tenera, promuove la vendemmia di notte a Contessa Entellina, l'azienda fiore all'occhiello dei Rallo antichi imprenditori di vino a Marsala e dintorni. Josè nasce a Roma ma cresce e studia a Marsala dove vivono i suoi genitori. Da giovanissima si rende conto che la Sicilia le va stretta, pensa che se resta a Marsala non avrebbe la possibilità di essere libera e indipendente. Le piace l’idea di essere una donna emancipata, di studiare in una scuola di eccellenza per avere il massimo, e così butta tutti i suoi libri e i suoi vestiti dentro una valigia e si trasferisce a Pisa dove si laurea in economia e commercio alla scuola Sant'Anna. All’inizio collabora con il Cnr, ma dopo poco tempo si lascerà affascinare dalla Andersen Consulting e poi dalla Artur Andersen e per lo-

ro lavorerà in giro per il mondo. Si specializzerà nelle strategie di mercato e scoprirà l’importanza del team sul lavoro. Durante una vacanza estiva in Sicilia, si innamora e decide di non ripartire. A lui piace la Sicilia, forse gliela farà vedere con altri occhi oppure in tutti questi l'isola è davvero cambiata. Rimane. La sua passione per l’eccellenza? L’ha fatta sposare con la sua passione per la musica, cosa che condivide con il marito e la applica alla gestione delle sue cantine. La sua sensibilità per l’ambiente? Adesso vive dentro la riserva naturale dello Stagnone, si è resa conto forse che la Sicilia non poi così come lei la vedeva da ragazza. La sua attenzione, il suo impegno per le altre donna continua. "Le donne nelle aziende - spiega - sono fondamentali, io per le mie dipendenti cerco di creare le condizioni per la massima flessibilità”.

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Josè Rallo e Margherita Dogliani

AMALIA BRUNO

Più cultura e più politica nelle imprese delle donne "Non volevo far diventare il denaro o il successo personale l’obiettivo unico della mia vita. Così mi sono guardata intorno e ho deciso di offrire qualcosa partendo da me, incominciando dal mio mondo; mi sono rivolta alle mie dipendenti perché sono le più vicine a me. Non nego le conseguenze corrette sul marketing, ma non ho cercato quello”. Il tono è pacato, lei è molto dolce, e racconta la sua esperienza in maniera molto diretta, senza giri di parole. "La scelta delle donne è la risposta ad una seria di interrogativi che mi sono posta ad un certo punto della mia vita... da tempo mi era resa conto che dovevo fare qualcosa per aiutare le donne mie dipendenti, trovare ed offrire loro momenti, spazi, idee nuove ed alternative, insomma, opportunità per confrontarsi con il mondo della cultura, della politica…”. Margherita espone il suo pensiero con grazia, e leggerezza senza darsi arie da suffragetta. “Era una occasione anche per me – aggiunge – insieme avremmo potuto ritrovare vigore ed entusiasmo, uno stimolo per rimettersi in gioco, per provare a riprendersi un ruolo di protagoniste... nella società civile... nella politica... senza rimanere ai margini del sistema insomma. Non mi bastava più fare il mio lavoro – aggiunge quasi riflettendo fra sé – occuparmi delle problematiche del mercato, dell’economia...”. Si ferma un attimo e poi riprende “...sono convinta che bisogna ricominciare ad ascoltare il proprio cuore per poter riparlare di ideali; ripartire dal cuore se vogliamo dare alle nostre battaglie, il senso della libertà, della giustizia, della democrazia... io credo nel percorso iniziato...” Una convinzione profonda, e così un bel giorno, prende contatti con la commissione Pari Opportunità del comune e il biscottificio Piemonte della famiglia Dogliani si trasforma in una fucina dove affrontare una grande varietà di temi: guerra, violenza, amore, fecondazione assistita, spiritualità, mafia…Gli ospiti tantissimi, scrittrici, attrici, politiche, giornaliste.

Tutte vengono appositamente per incontrasi con le dipendenti di Margherita, ed insieme fare tavole rotonde, pezzi teatrali,dibattiti. Un successo non previsto ma sperato e comunque superiore alle aspettative. Nella zona di Carrara le iniziative di Margherita sono divenute un appuntamento culturale atteso da tantissimi. Numerosa l’affluenza, tanti gli appuntamenti durante la stagione estiva. Non una semplice assemblea, ma un percorso all’interno di un progetto: far crescere le donne che hanno poco tempo per la cultura. Una formula vincente ed accattivante? Sicuramente tanto amore per le cose che fa. Eppure anni addietro Margherita aveva abbandonato quella realtà. Aveva preferito andare a studiare scienze politiche a Firenze, a differenza dei suoi due fratelli che sono rimasti assieme al papà, Franco a prenderne l’eredità professionale e Bernardo per gestire l’amministrazione. “Quando ritornai a casa, non mi sognavo assolutamente di sgomitare, ma ho dovuto farlo, ho dovuto lottare per apportare alcune modifiche”. “Vuoi lavorare qui? mi disse mio padre, bene c’è un posto di magazziniere” – aggiunse – E lei accettò quel posto di magazziniere; iniziava così la sua battaglia all’interno di una famiglia maschilista che forse non aveva né previsto né mai pensato, che una donna avrebbe portato una rivoluzione dentro il loro biscottificio. L’aziende di famiglia. L’impegno dentro il biscottificio comunque per Margherita è stato molto importante, proprio lì ha capito e si è resa conto della passione di suo padre per il suo mestiere, l’entusiasmo che metteva nel fare tutte quelle torte dalle forme strane e meravigliose, le colombe vive che per incanto uscivano dall’involucro di cioccolata ed iniziavano a volare. Quel mondo che per tanti anni aveva fuggito e non solo andandosene a Firenze,finalmente riusciva a comprenderlo. Le piaceva. Voleva migliorarlo. Sua l’idea di rinnovare a cominciare dal nome, da Piemonte a Dogliani “...anda-

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Margherita Dogliani abita a Carrara e di mestiere fa l’imprenditrice. Titolare assieme ai suoi fratelli del biscottificio Piemonte, da alcuni anni in qua ogni estate organizza delle iniziative culturali e politiche per le sue dipendenti. La prima volta nel parcheggio dello stabilimento, negli anni successivi un po’ più programmati re in Sicilia a promuovere il biscottificio Piemonte...” sua l’idea di portare in azienda interessi piacevoli ed allettanti, la fotografia, la pittura, il ballo, il teatro. La gestione Margherita Dogliani prende terreno,si diffonde. La Regione Toscana, su iniziativa della Commissione Pari Opportunità, ha creato una manifestazione per far si che l’esperienza del biscottificio di Margherita sia condivisa da altre imprenditrici .Durante la prima settimana di luglio, quattro aziende saranno protagoniste di incontri e tavole rotonde. Al biscottificio invece, gli incontri sono previsti durante la settimana del venti luglio e riguardano il problema dell’informazione e della mafia. “Il fenomeno mafioso esiste anche nella nostra città. La mentalità mafiosa è radicata e le espressioni più evidenti e concrete si riscontrano nel mondo del lavoro, nelle sue forme di clientelismo politico, riciclaggio di denaro... In Versilia, dove i locali sono molto grandi e più importanti, credo che ci siano situazioni di pizzo. Si, il pensiero che potesse riguardare la mia attività l'ho avuto ed ho avuto paura di affrontarlo”.

Le Siciliane

DISEGNI DI


Pianeta Sicilia

La terra vista dalla Terra SONIA GIARDINA

Se la Terra potesse parlare... Parlerebbe di siccità, di acqua rubata, di deserti che si allargano su tutte le zone abitabili, anche in Sicilia. Parlerebbe di politica? E chi lo sa. Cos'è politica, oggi? Basta, diamole la parola Mi spacco, non produco più. Sto diventando una terra senz’acqua. Gli scienziati mi studiano, discutono del mio futuro, ormai parlano di me sempre in termini di desertificazione, dicono che l’alterazione del suolo insieme al deterioramento delle condizioni naturali ed ecologiche mi stanno trasformando in deserto. Sono già nello stadio che prelude al deserto. Tra Enna, Caltanisetta e Agrigento, si aprono le zone più a rischio in emergenza permanente, ma tutto il meridione è nella morsa della sete. I fenomeni di erosione e salinizzazione mi stanno togliendo ogni linfa vitale, così come lo sfruttamento intensivo, il disboscamento e l’abbandono delle terre divenute improduttive concorrono al mio impoverimento. Gli scienziati rilanciano l’allarme desertificazione in Sicilia, ma poi non giunge alcun provvedimento per ripristinare la fertilità delle mie parti moriture. Come me, anche i miei abitanti sono

Un euro per dieci litri senz’acqua. Per molti è un terno al lotto vedere uscire l’acqua dal rubinetto. In tante città arriva sempre in maniera irregolare e quasi il 50% dell'acqua immessa in rete svanisce nel nulla. Niente acqua per me, niente acqua per gli uomini. Ad Agrigento arrivano persino a comprarla, un euro per 10 litri d’acqua e paradossalmente la diga Furore, fuori del paese, completata nel '92, non è mai entrata in funzione. Ma insomma, vi starete chiedendo, in

Sicilia c’è davvero così poca acqua? Se è vero che in molte zone le risorse idriche sono scarse, il vero problema nasce dalla loro gestione. Vi racconto allora cosa succede ogni giorno in Sicilia, cosa ho visto in passato e cosa vedo ancora oggi. A Lentini, l’acqua del Biviere va quasi tutta al polo industriale di Augusta-Priolo e all’ASI (Consorzio area sviluppo industriale) di Catania e, dati i costi esosi dell’acqua, i contadini per irrigare mi tri-

Altro che petrolio vellano tutta. Lo stesso vale per Gela dove l'acqua potabile del lago va all'Eni e ai cittadini viene destinata quella del dissalatore. Dopo il petrolio viene l’acqua, la chiamano l’“oro blu del XXI secolo”. L’acqua va alle industrie e non alle colture e agli uomini. Hanno deciso di trasformare l’acqua da diritto naturale e gratuito in merce strategica per soddisfare gli interessi delle società private. Da bene collettivo gestito come cosa pubblica a bene privato, appannaggio di pochi. La storia si ripete uguale in Sicilia come nel resto del mondo. In India la Coca Cola continua a sottrarre l’acqua alla collettività per imbottigliare le sue bevande, e lì l’accesso all’acqua potabile è davvero una cosa rara. Ma c’è di più. Il valore globale dell'industria idrica tocca gli 800 miliardi di dollari l'anno. La domanda d‘acqua è in aumento e l’oro blu fa gola a tanti. Il servizio di gestione idrico segue così

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sempre di più le logiche privatistiche: l’affidamento degli stessi acquedotti passa nelle mani dei privati. Tutto va ai danni della collettività che si vede sottratto un bene vitale. E la mafia fa affari d’oro grazie a un contesto politico che ha sempre favorito la sua presenza in questo mercato. Mafia e potere politico-economico stanno in questo modo spingendo solo al degrado ambientale e al disagio sociale. I danni che sto vivendo ogni giorno, io coi miei abitanti, si potrebbero affrontare in tanti modi, ma nessuno s’interessa più alla collettività e all’ambiente. Così ci sono dighe che aspettano ancora di essere finite, ce ne sono altre che vengono sfruttate solo in parte, come quella di Ancipa che contiene solo un ottavo dell’acqua che potrebbe realmente avere e che aspetta ancora di essere risistemata per la presenza di crepe e fenditure pericolose.

E la mafia? Affari d'oro... La colpa non è solo del controllo mafioso; sopra di me domina una politica delle opere pubbliche basata sullo spreco e il clientelismo. Allora, sono solo una terra senz’acqua. La reclamo, come la reclamano i miei abitanti che a migliaia sono scesi in piazza a Palermo per dire no alla privatizzazione dell’acqua, per chiedere che rimanga una risorsa della collettività. "Il whisky è per bere, l'acqua per combattersi", diceva Mark Twain. E io mi desertifico.


Antimafia/ Catania

Togli al mafioso e dai al cittadino GIORGIO COSTANZO

Certo, è solo un inizio. Ma è la strada buona: è la prima volta, a Catania, che si tenta un lavoro così. Ma perché tanto segreto sui beni dei mafiosi? E chi li gestisce, ora? Il 23 maggio a Catania è stata distribuita una mappa della città sulla quale erano riportati gli immobili appartenenti a due liste: quella della Catania Risorse e quella dei beni confiscati alla mafia. I firmatari, Addiopizzo ct, Cittàinsieme, Casablanca, il Gapa, L'Isola Possibile, l'Osservatorio sulla Mafia, Emergency e altre associazioni, volevano con questa denunciare il colpevole silenzio che da quasi cinque anni tiene i cittadini all’oscuro delle confische operate e ciò di fatto impedisce che la legge di Pio La Torre li risarcisca di quanto il dominio mafioso aveva loro sottratto. E, restando in tema di immobili, la “Catania Risorse” ben si abbina in quanto beni “confiscati ai cittadini”. Beni per i quali i catanesi dovranno da subito pagare un affitto che si sommerà al debito già presente. Il pamphlet è il risultato di due mesi di lavoro non ininterrotto. Le difficoltà non sono mancate sia dal punto di vista tecnologico che tecnico giornalistico ed essendo noi giovani ed inesperti ci siamo lasciati più volte prendere dallo sconforto. L'estrema difficoltà di reperire informazioni chiare su entrambi gli argomenti ha rallentato notevolmente il lavoro, ma abbiamo mantenuto la convinzione che es-

so fosse comunque necessario anche se non n completo. Certo, questo o è solo un primo passo: maa una seconda e più completaa versione dellaa mappa è già in progettazione. Ci rendiamo conto che non è abbastanza, che il problema non si limita ai beni confiscati né a Catania. Droga, racket, riciclaggio, appalti truccati formano una rete più solida di quelle di cui finora disponiamo noi. Ma per quanto piccolo ed impreciso il nostro contributo di cittadini si somma agli sforzi delle mamme della Doria, dei lavoratori della Cesame, della comunità ortodossa, del comitato Librino Attivo, del comitato di via Asiago... insomma di tutti quelli che impavidamente e spudoratamente alzano la voce e domandano “di chi è questa città?”. Una domanda posta già tanto tempo fa ma improvvisamente e prepotentemente tornata d'attualità. Catania è dei cittadini che lamentano disservizi su ogni fronte?

O è degli amministratori che per non sancire il dissesto finanziario che li manderebbe a casa confondono le carte con operazioni rischiosissime? Dei soliti megaimprenditori che la fanno sventrare per creare posteggi funzionali allo sviluppo dei loro centri commerciali? (Ma il consumatore non spende non perché non trova posteggio ma perchè è ogni giorno più povero...). O forse Catania è dei mafiosi che aspettano in silenzio l'occasione buona per investire i capitali di riciclo? La mappa che abbiamo realizzato e distribuito alla commemorazione di Falcone non poteva certo fornire una risposta a tutte queste domande perché su un foglio A3 in bianco e nero una verità così complessa proprio non ci entra. Ma siamo appena all’inizio.

VOCI DELLE RESISTENZE PRIMO CAMPEGGIO NAZIONALE DELLE RESISTENZE DALL'ANTIFASCISMO ALL'ANTIMAFIA 5 - 8 LUGLIO 2007, MONTE SOLE (BOLOGNA) http://www.vocidelleresistenze.it

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Ustica

"Ora si possono riaprire le indagini sulla strage" MARIO CIANCARELLA Dove non è arrivata la giustizia penale, è arrivata la sentenza di un tribunale civile: il governo è responsabile, almeno per omissione. A livello giudiziario e politico, il caso non è affatto chiuso Il Tribunale Civile di Palermo, accogliendo una istanza risarcitoria avanzata sembra fin dal 1984 da alcuni familiari delle vittime della strage di Ustica recentemente ha riconosciuto la responsabilità dei Ministeri Difesa e Trasporti. La condanna impone loro di rimborsare 15 familiari superstiti di quattro delle 81 vittime della scellerata strage. Inoltre, questa nuova sentenza costruisce una nuova possibilità di riattivare le indagini per strage: perchè, riconoscendo la validità delle tesi dei legali delle parti offese, afferma (meglio si ve-

I ministeri sono responsabili drà quando saranno pubblicate le motivazioni) che i Ministeri sono responsabili e tenuti alla azione risarcitoria, in quanto, quale sia stata la causa della esplosione (bomba o missile) del DC9, in ciascuna delle ipotesi si profila una responsabilità omissiva delle competenze di sicurezza e garanzia che essi avrebbero dovuto garantire ai cittadini ed al traffico aereo attraverso i propri apparati. Sicuramente una buona notizia per quanti sperano che chi ha ancora in mano il fascicolo relativo alla strage (reato imprescrittibile) abbandoni la attuale inerzia e voglia ripartire da questa affermazione di responsabilità per cercare ancora una Verità assolutamente intelligibile, se solo lo si volesse e si avesse il coraggio di arrivare ai santuari della connivenza politica con la strage.

L’assoluzione dei Generali è stata magari giusta e sacrosanta (ed è costretto a scriverlo uno dei loro più tenaci accusatori), perchè a loro non furono contestate correttamente le proprie responsabilità all’interno di uno scenario stragista affatto leggibile ed opponibile. Sarebbe stato necessario, per farlo correttamente, avere il coraggio di indagare le responsabilità dispositive dei vertici politici, ma nessuno a quelle responsabilità politiche intendeva arrivare. Se un Magistrato pur puntiglioso e coraggioso, non riesce o non vuol dare una fisionomia precisa alla dinamica della strage, come è poi possibile chiedere conto di un presunto depistaggio ai responsabili di Amministrazioni, Strutture ed Apparati sui quali non e’ stata formulata alcuna ipotesi di corresponsabilità nell’evento indagato Certa stampa, purtroppo, anche la supponenza di alcuni giornalisti inconsapevolmente collaboravano all’oscuramento della verità giudiziaria, storica e politica sulla strage qualche politico infine, accettando di sposare una tesi, indimostrabile e depistante, rispetto alle responsabilità franco-americana, ed ha affossato completamente la possibilità di intuire, indagare e riscontrare la partecipazione direttiva degli statunitensi e la partecipazione dei francesi alla trappola che avrebbe dovuto scattare ad Ustica contro il regime di Gheddafi. Una trappola miseramente fallita per i conflitti interni dei nostri servizi Si e’ arrivati a lamentare che vi fossero aerei a “targa spenta” quasi che questo inibisse piuttosto che allertare e mobili-

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tare la Difesa Aerea; si è affermato che tracce di velivoli comparsi improvvisamente sul mare indicavano il decollo da una portaerei. Ma questo dissennato convincimento ha indotto a diradare la attenzione sulla attivazione dei corridoi di oscuramento dei radar civili che quel velivolo statunitense orbitante su La Maddalena stava certamente attivando

L'oscuramento dei radar La tesi della natura endogena e autoreferenziale dei movimenti terroristici italiani, neri o rossi che fossero, predominando su tutto ha fatto si che il Parlamento non ha potuto discutere alcuna proposta della Commissione in ordine a provvedimenti legislativi necessari sui fenomeni di strage e sul depistaggio di cui tutti parlano ma pochi sanno che esso non è previsto in nessun comma del nostro codice. Non ci si è preoccupati di estendere anche agli eredi dei colpevoli accertati la responsabilità in solido alla azione risarcitoria nei confronti delle vittimanche. E così via. Dunque su Ustica, dopo questa sentenza, è possibile ripartire, se solo lo si voglia. A livello Giudiziario, ma anche e soprattutto a livello politico necessita una maggiore disponibilità ad ascoltare forse con maggiore attenzione, a verificare passaggi anche minimi che potrebbero essergli suggeriti sui “fondamentali” dell’Aeronautica, venuti meno il giorno della strage.


Genova

Nel luglio 2001 l'Italia era una monarchia LORENZO GUADAGNUCCI

COMITATO VERITÀ E GIUSTIZIA PER GENOVA

La "macelleria messicana" rimarrà purtroppo nella storia della degradazione civile del nostro Paese. Ed anche di un'immaturità profonda delle istituzioni, ancora in buona misura pre-repubblicane A Genova sono in corso tre importanti processi, due (sul blitz alla Diaz e le torture alla caserma di Bolzaneto) contro decine di agenti, funzionari e dirigenti delle forze dell'ordine, uno a carico di 25 manifestanti, accusati di devastazione e saccheggio. Durante le ultime udienze in tribunale, sono accadute alcune cose davvero rilevanti, sfuggite ai media nazionali, visto che vige la stravagante convenzione che considera quei processi come cronaca locale, quindi da relegare alle pagine dei liguri. Nelle ultime settimane le udienze hanno offerto i seguenti spunti. 1) L'ex questore di Genova Francesco Colucci, ascoltato come testimone, contraddice a più riprese quanto detto ai pm su come si arrivò al blitz alla Diaz, arrivando a indicare come massimo responsabile gerarchico dell'operazione il dottor Lorenzo Murgolo, l'unico fra i 29 funzionari e dirigenti inizialmente indagati a non essere stato rinviato a giudizio. Colucci è ora indagato per falsa testimonianza. 2) Lorenzo Murgolo, chiamato come testimone, si avvale della facoltà di non rispondere.

3) L'ex vice capo della polizia Ansoino Andreassi, anche lui in qualità di testimone, rivela che sabato 21 luglio, con le manifestazioni ormai in chiusura, dal capo della polizia Gianni De Gennaro arrivò l'indicazione di eseguire quanti più arresti possibile, suggerimento evidentemente seguito al momento di decidere l'irruzione alla Diaz (chiusa con 93 persone in manette, incluse le 60 costrette al ricovero in ospedale a causa del pestaggio). Richiesto di indicare chi fosse il responsabile gerarchico del blitz (gli alti dirigenti imputati sostengono che l'operazione non ne avesse uno...), Andreassi cita il defunto prefetto La Barbera ("era quello con più carisma..."). 4) Vista la "collaborazione" dei dirigenti di polizia, i pm rinunciano a sentire il capo della polizia De Gennaro: i pm non commentano la decisione, ma fanno capire di non potersi più aspettare una deposizione "genuina" dell'illustre "servitore dello Stato". 5) Il tribunale civile stabilisce che il ministero dell'Interno deve risarcire, con 5000 euro, la pediatra triestina Marina Spaccini, attivista della rete Lilliput, pe-

stata in piazza Manin il 20 luglio. Il giudice scrive che l'aggressione fu ingiustificata e frutto di un'azione sistematica decisa dalla polizia, e non l'eccesso di uno o più agenti. 6) L'avvocato Ezio Menzione, durante il processo contro i 25, chiede che sia ascoltato come testimone Mario Placanica, l'ex Cc che avrebbe ucciso Carlo Giuliani il 21 luglio 2001 (scagionato dal gip per legittima difesa e uso legittimo delle armi): il giorno dopo, di buon mattino, l'avvocato riceve una telefonata in cui viene minacciato di morte. Tutto questo è avvenuto nelle ultime settimane. Se volessimo allargare l'arco temporale, troveremmo molte altre perle sull'ostruzionismo della polizia e sulla vigliaccheria di alti magistrati e governanti, contrapposte alla generosa tenacia di molti testimoni, alcuni avvocati, qualche magistrato. Ma in Italia vige il silenzio stampa. Meglio non ricordare che nel luglio 2001 fu sospeso lo stato di diritto e che una Costituzione, per buona o addirittura ottima che sia, è già morta quando non vive più nelle coscienze dei cittadini e nella vita pubblica del paese.

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Memoria/Mafia e P2

La pagine gialle di Gelli GIUSEPPE D'URSO E RICCARDO ORIOLES

L'articolo che riproponiamo in queste pagine non è affatto uno scoop: è già uscito sui Siciliani vent'anni fa. Archeologia giornalistica, perciò? Certo: banchieri d'incerta origine, strane lobbies che coinvolgono generali, politici che complottano con tutt'e due... Tutto ciò, a quei tempi si chiamava P2. Ma son tempi passati. Oggigiorno, per fortuna, tutte queste brutte cose non si usano più... Per esempio: due gentiluomini palermitani, un bel giorno, decidono d'iscriversi alla P2. La cosa non è semplice: Gelli non accetta il primo venuto, ci vogliono referenze. Ma le referenze si trovano, e sulla domanda d'iscrizione dei due alla voce "può garantire sul loro conto" compare nientemeno che il nome - come si può leggere nella Relazione della Commissione parlamentare Anselmi, volume secondo, tomo secondo, pagine 871-872 e 881-882 - del Presidente della Regione Siciliana Mario D'Acquisto. Il nome, evidentemente, non è privo di autorevolezza in campo gelliano. La garanzia è sufficiente, la domanda viene controfirmata dal capopiduista locale Bellassai, e i due palermitani approdano gioiosamente in loggia. Uno è Antonio D'Ancona, "proprietario" dell'Ufficio Registro e di una sezione dc di Palermo; l'altro Paolo Matassa Marchisotto, democristiano, architetto, cavaliere di Malta, "docente di teologia presso la Facoltà di Posillipo", dirigente dell'Ufficio di Presidenza della Regione, e per finire Commissario Governativo all'Azienda di Soggiorno di Acireale, il cui direttore è l'onorevole Giuseppe Aleppo. Nella scheda d'iscrizione è prevista la voce "eventuali ingiustizie subite nel corso della carriera" e Marchisotto, con molta serietà, compila: "mancata nomina a Direttore Regionale".

Poco dopo, disgraziatamente, scoppia il caso P2: i due neofiti tornano a vita più o meno privata, mentre l'onorevole D'Acquisto continua tranquillamente a far politica e ad occuparsi, in particolare, delle minacciate fortune degli esattori Salvo. Questa piccola storia, gelosamente custodita con le schede personali dei piduisti nell'archivio uruguayano di Gelli, non è che una una delle tante sui piduisti siciliani, e non delle principali; tenendo conto del clima morale dei nostri enti pubblici regionali, ci si potrebbe anche sorridere su. Ma un'altra storia "siciliana" è quella di Sindona. E poi quelle di Musumeci, di Miceli, di Giudice. Tutta gente su cui c'è ben poco da sorridere.

Sindona, Giudice, Musumeci, Miceli... Chi sono i piduisti siciliani? Che fine hanno fatto? Che cosa facevano? E soprattutto: a che cosa serviva un'organizzazione come la P2 in terra di mafia? Ufficialmente, il catalogo della P2 in Sicilia consta di trentadue nomi, diligentemente aggiornati in un apposito registro ("Gruppo 1, Bellassai") dal capogruppo per la Sicilia Bellassai. Ma in realtà, sono molti di più. Dalle liste sequestrate a Gelli e dagli altri documenti in possesso della Commissio-

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ne Anselmi, risulta infatti che i piduisti operanti in Sicilia erano almeno centosei (vedi elenco). Altri sessantasette (la cifra è largamente parziale) erano invece i piduisti di origine siciliana operanti in campo nazionale. Fra essi, personaggi di primissimo piano nelle varie trame eversive, come il banchiere Sindona, il magistrato Spagnuolo, i generali Giudice, Miceli e Musumeci. Particolare significativo, ai piduisti siciliani venivano spesso affidati incarichi di particolare responsabilità nell'organizzazione anche al di fuori della regione di provenienza: il fondamentale settore piemontese, ad esempio, era affidato al siciliano Ioli. Erano siciliani ben venti dei componenti del "gruppo centrale", personalmente diretto da Gelli, che raggruppava gli affiliati meglio inseriti nelle istituzioni. E così via. In conclusione, un affiliato su sei alla P2 o era siciliano od operava in Sicilia: di gran lunga il gruppo regionale più consistente dopo quello toscano, che era peraltro alimentato da una tradizione e un radicamento massonici "ufficiali" infinitamente maggiori. Altro particolare significativo: la maggior parte dei piduisti siciliani non viene dalle province di più antica (e liberale) tradizione massonica come Messina e Siracusa, ma dalle province "nuove" di Palermo, Trapani e Catania.


Memoria/Mafia e P2

"Il grande mediatore di un'associazione segreta". Così un giudice definì un banchiere. Molti anni fa Da sinistra: Gaetano Graci, Licio Gelli, Michele Sindona.

PERSONE GIUSEPPE D'URSO E LA SCOPERTA DELLA "MASSOMAFIA" Il co-autore di questo articolo, il professor Giuseppe D'Urso, è stato il primo in Italia a studiare la relazione fra strutture mafiose e massoneria. Questa relazione, che anche altri studi (De Lutiis, Flamigni, ecc.) rivelarono in seguito estremamente accentuata, fu da lui definita come "massomafia", a indicare il legame organico fra sistemi di potere occulto "bassi" e "alti", criminali e politico-imprenditoriali. Le logge deviate come principale camera di compensazione fra mafia comunemente intesa e "terzo livello".

Quanto ai singoli personaggi, è inutile dilungarsi sul ruolo - per esempio - di un Sindona: banchiere della mafia, l'uomo era anche - per usare le parole del giudice Turone - "il grande mediatore di un'associazione segreta"; l'intervento delle Famiglie mafiose palermitane e americane è decisivo e costante in tutte le sue operazioni, e così pure i contatti con i grandi imprenditori siciliani. Un altro piduista siciliano, Musumeci, era al centro del gruppo eversivo che manovrava di fatto - secondo le risultanze della Commissione Parlamentare d'inchiesta - il servizio segreto SISMI, dava copertura agli autori delle più efferate stragi terroristiche e utilizzava uomini come Pazienza e Carboni in contatto, a loro volta, con i rappresentanti delle Famiglie

Il professor D'Urso, uno dei principali protagonisti della battaglia dei Siciliani (e non solo: fu fra i fondatori della Rete, allora intesa come movimento organizzato di base e non come ennesimo partito tradizionale), è morto il 16 giugno 1996, undici anni fa. La ripubblicazione di questo articolo vuol essere un richiamo ai filoni d'indagine che egli aprì a tutti i militanti antimafiosi, e un affettuoso tributo alla sua indimenticata memoria. G.P., R.O.

mafiose (Calò, ed altri); altri boss mafiosi (ad esempio Santapaola) ricorrono in vicende in qualche maniera legate alle attività di Musumeci. Un altro piduista siciliano, il generale Giudice, amico dell'imprenditore siciliano Rendo, è il protagonista di uno scandalo, il MiFoBiali, che si può considerare la prima grossa apparizione della P2.

Un generale della Finanza Si potrebbe continuare. Ma forse a questo punto i dati sono sufficienti per una prima sommaria analisi, che è la seguente: nelle liste della P2, la componente "siciliana" quantitativamente è seconda solo a quella toscana e qualitati-

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vamente non lo è a nessun'altra. La situazione è ancora più chiara se dalle liste "ufficiali" della P2 si passa ad altri strumenti operativi di cui Gelli si serviva con almeno altrettanta frequenza. Per esempio, il tabulato-agenda di 994 nomi sequestrato nella villa di Gelli a Castiglion Fibocchi e messo agli atti della Commissione Anselmi sotto la dizione "reperto 2/B". Qui, ai nomi che compaiono nelle liste se ne aggiungono altri non meno significativi; fra i siciliani, la novità più importante è data dalla presenza dell'industriale catanese Rendo, di cui s'è largamente riferito sull'ultimo numero del giornale. Ma che credibilità ha questa agenda, e in che termini entravano, i nomi in essa elencati, nell'organizzazione di Gelli?


Memoria/Mafia e P2

"Una lunga tradizione di influenza sulla politica non solo siciliana ma nazionale..." E' presto per dare una risposta certa alle due domande. Ma, dall'analisi del documento, emergono incontestabilmente alcuni punti che possono fin d'ora essere dati per certi. Primo. L'agenda rivestiva nella mente di Gelli un'importanza estrema, e il suo contenuto doveva essere tenuto assolutamente segreto. L'agenda veniva infatti conservata in cassaforte e c'era l'ordine espresso, per i collaboratori di Gelli, di controllare che vi fosse rimessa al termine di ogni giornata di lavoro. Questo si evince, fra l'altro, dalla deposizione resa il 21 maggio 1981 alla Procura bresciana dalla segretaria personale di Licio Gelli, Carla Venturi: "Quanto all'uso dell'agenda con l'indirizzario, il commendatore l'adoperava direttamente (...). Quando lui era assente la tenevo in cassaforte". La deposizione viene confermata davanti alla Commissione Anselmi il 16 settembre 1982. Secondo. Rispetto alle varie liste P2, l'indirizzario dell'agenda è più recente e più "operativo", nel senso che viene più frequentemente aggiornato e dunque utilizzato per contatti correnti.

464 nomi selezionati Terzo. Le liste della P2 (riportate, nella Relazione Anselmi, nel libro primo tomo primo a pagine 803-874 e 885-942 e nel libro primo tomo secondo a pagine 213 e seguenti e 1126 e seguenti) contengono in totale 953 nomi. Di essi, ben 464 compaiono anche nel tabulato-agenda "2/B". Questi 464 nomi sono accuratamente selezionati (militari, funzionari imprenditori, ecc.): il loro peso nelle istituzioni è in media decisamente maggiore di quello dei piduisti esclusi dal tabulato-agenda. Quarto. I 464 piduisti che compaiono nel tabulato-agenda "2/B" non solo sono in media più "importanti" degli altri; ma costituiscono anche il nucleo centrale attorno al quale il tabulato-agenda viene successivamente composto. Ciò è suggerito dalle dichiarazioni della Venturi ("L'agenda è stata scritta a macchina mediante trascrizione da un'altra agenda", Commissione Anselmi, data citata), ma è indubitabilmente provato dal fatto che molto spesso intere sequenze di nomi tratti dalle liste P2 vengono riportati pari pari nel tabulato-agenda,

nell'identico ordine (non strettamente alfabetico) e persino con la stessa divisione in pagine: a partire da queste sequenze, e in generale dall'elenco dei piduisti "scelti", il tabulato è stato costruito per successive aggiunte. Ed è logico pensare che i nomi successivamente aggiunti siano stati scelti in base a caratteristiche comuni a quelli del nucleo iniziale: a cominciare dalla disponibilità, quantomeno potenziale, ad essere coinvolti in iniziative "non ufficiali".

L'agenda interna della P2 Tutto questo per dire che il meccanismo piduista, in Italia e quindi in Sicilia, non si limita semplicemente alle liste P2 fin qui riconosciute. Esso, ad anni di distanza, non è noto che in parte; ma non è impossibile, attraverso l'analisi delle connessioni, ricostruirne altre parti. Il tabulato-agenda "2/B" è quantomeno uno strumento fondamentale per questa ricostruzione. Quanto alla Sicilia, abbiamo visto la connessione che almeno in un caso quello del cavalier Mario Rendo -è stato possibile ipotizzare, sulla base di questo documento, fra le attività di Gelli e quelle di soggetti ufficialmente estranei al mondo della P2. Ma connessioni possono essere istituite anche in altri casi. Per esempio, almeno cinque piduisti siciliani compaiono anche fra i massoni affiliati (vedi elenco) "all'orecchio" del gran maestro Corona, in via del tutto anomala e riservata; sarebbe interessante sapere da che cosa è motivata, nel caso dei non-piduisti, questa strana riservatezza.

La loggia "Normanni di Sicilia" Una connessione ancor più inquietante è data dalla presenza del capogruppo della P2 per la Sicilia, Salvatore Bellassai, nella loggia segreta "I Normanni di Sicilia", operante a Palermo (sede ufficiale, Monreale) dagli anni '50 fino al 13 novembre 1979. Il carattere di riservatezza di questa loggia era tale che i suoi affiliati si conoscevano solo tramite pseudonimi (quello di Bellassai era "Saba"); anche qui, non si sa perché ci fosse bisogno di tanta segretezza. Dei "Normanni di Sicilia" s'ignora

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infatti praticamente tutto, salvo il fatto che operavano su un terreno - quello delle associazioni paramassoniche palermitane - che dal dopoguerra in poi è stato il luogo privilegiato d'incontro di gran parte della classe dirigente siciliana. Ancora, sono noti i rapporti fra le operazioni "piduiste" finora note in Sicilia (rapimento Sindona) e i gruppi paramassonici autonomamente e da lungo tempo operanti nell'Isola, come la Camea di Michele Barresi e Joseph Miceli Crimi (più volte incontratosi con lo stesso Gelli per concordare insieme le iniziative da prendere): rispetto a costoro la P2, in Sicilia, aveva ben poco di nuovo da insegnare. Si tratta di gruppi con alle spalle una lunga tradizione di influenza non solo sulla politica siciliana, ma su quella nazionale: basti dire che viene dalla Sicilia, negli anni 50-60, l'iniziativa per l'unificazione fra le varie e disperse famiglie massoniche italiane e per il collegamento fra esse e le potenti centrali massoniche degli Stati Uniti (protagonisti dell'operazione, l'agente dei servizi segreti americani Frank Gigliotti e il principe siciliano Giovanni Alliata di Montereale, poi entrato nella P2).

Punti d'incontro clandestini Altri nominativi, che non compaiono negli elenchi della P2, sono tuttavia in qualche maniera correlati con essi, e come tali oggetto d'indagine della Commissione Anselmi. Abbiamo già parlato dell'ex-presidente della Regione D'Acquisto, non piduista ma in grado di garantire per i piduisti; non è difficile credere che i casi analoghi al suo, nelle istituzioni e nell'economia regionali, siano tutt'altro che rari. E non è azzardato presumere che molte decisioni importanti per le istituzioni e per l'economia siciliane siano passate - quanto meno, a titolo di mediazione - all'interno di "punti d'incontro" occulti di varia natura: non esclusivamente siciliani, ma soprattutto siciliani. In un'economia assistita, come quella siciliana, e in una classe politica casuale, come quella siciliana, un sistema di potere occulto come quello di cui parliamo finisce per essere di fatto l'unico potere in grado d'imporre le sue scelte.


Memoria/Mafia e P2

"L'improvvisa e anomala crescita di tutta una serie di personaggi..." Se questo è vero, trovano una spiegazione non solamente le - apparentemente irrazionali - contorsioni del "modello di sviluppo", economico e politico, siciliano; ma anche l'improvvisa e del tutto anomala crescita di tutta una serie di singoli personaggi, finanziari e politici, che di questo modello sono insieme i padroni e i beneficiari.

Le lobbies "siciliane" Da Scelba in poi, nessun uomo di partito siciliano ha più raggiunto - nel bene o nel male - una statura politica di rilevanza nazionale; eppure, il peso delle lobbies "siciliane" nei vari partiti e nel complesso degli apparati dello Stato è andato via via crescendo, fino a farsi su certe questioni determinante; ed ha raggiunto l'acme negli ultimi tre anni. Sulle esattorie dei Salvo, praticamente, è caduto un governo; si è fatto, e con successo, quadrato a Roma per non dare i poteri a Dalla Chiesa; l'affaire Calvi - cioè, l'affaire Sindona - ha sconvolto l'assetto bancario sul piano nazionale; sulle vicende d'una Procura di provincia, come quella catanese, sono pesantemente intervenuti i vertici nazionali di determinati partiti; e così per sabotare un'inchiesta di mafia, come quella del giudice Palermo. Tutto questo è ben strano. E, in tema di mafia: l'unico dato di fondo realmente certo, al di là del polverone, è che da alcuni anni a questa parte la mafia esegue dei delitti politici; non solo, ma li mette al centro della propria azione, anche a discapito della sicurezza di attività più lucrose (vedi omicidio Dalla Chiesa); in nome di quale superiore interesse? C'è un progetto politico, evidentemente. C'è un progetto e un partito, un "partito" modernissimo e arcaico, coi suoi collegamenti, i suoi obiettivi, la sua organizzazione. Un "partito" che solo parzialmente corrisponde al ceto politico-mafioso degli anni Cinquanta e Sessanta, ma che ha sviluppato un salto di qualità parallelo a quello segnato - sul piano più strettamente criminale - dalla mafia con la conquista del mercato della droga. Numerosi elementi insospettabili, apparentemente isolati, si ricollegano alle attività mafiose proprio attraverso la mediazione del progetto e del "partito". "Coerentemente alle dichiarazioni televisive del Presidente della Repubblica sulla massoneria propriamente detta e la loggia

P2, distinguendo fra la massoneria storica tradizionale e l'attuale massoneria italiana, La invito ad operare in riferimento alla nuova legge sulle società segrete e nel rispetto dell'articolo 18 della Costituzione italiana per ampia pubblicità dei nomi dei diciottomila affiliati come risultante dagli archivi sequestrati. La mancata pubblicità di tali nominativi provoca un'attenuazione della credibilità politica dei lavori della Commissione Parlamentare P2, essendo la massoneria il presumibile contesto naturale ed operativo dell'attività di detta loggia. L'opinione pubblica italiana richiede una democratica ed ampia informazione sui nomi degli affiliati alla massoneria al fine di fugare ogni sospetto sicuramente infondato su collegamenti di avallo e copertura a tutti i livelli passati e presenti a partire da componenti della stessa Commissione".

Se la mafia fa politica... Quando la commissione parlamentare sulla P2 cercava - senza molto successo di farsi dare le liste riservate delle varie massonerie, le arrivò, fra gli altri, anche questo messaggio. Arrivò, non casualmente, da Catania, dove in quel momento l'iniziativa della mafia - non solo di quella armata - era allo zenith. Chi l'aveva mandato, Giuseppe D'Urso, esprimeva in fondo un concetto di elementare buon senso: se la mafia "fa politica" e si avvale del segreto, cominciamo a sgombrare il campo da tutti i segreti più o meno artificiali che possono nascondere ogni cosa; facciamo un po' di luce, e lavoriamo. Ma, a qualche anno da allora, le organizzazioni segrete, in Sicilia come altrove, continuano a rimanere segrete: le logge innocue, e quelle di potere. Gli episodi di potere occulto - e mafioso su cui, del resto, si hanno informazioni specifiche son ormai vecchi di diversi anni. Il tentato "golpe" siciliano di Sindona (in realtà un congegno per coinvolgere funzionari dello Stato, notabili politici e militari in un più terreno disegno di ristrutturazione dei poteri), per esempio, è del '79. Non si sa assolutamente che cosa abbiano fatto e che evoluzione abbiano subito, nei sei anni trascorsi da allora, le forze - soprattutto imprenditoriali - evocate in quell'occasione. Ai primi anni Ottanta risalgono, secondo le conferme di Bu-

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scetta, le operazioni mafioso-piduiste di Pazienza e Calò. Ma siamo nell'85: cos'è successo nel frattempo? Quando scoppiò il caso P2, il vertice della piramide - veramente, l'Anselmi parla di due piramidi, collegate in un punto - coincideva ancora, almeno ufficialmente, con la persona di Gelli: ma adesso? La P2, o meglio il disegno affaristicoeversivo che nella P2 aveva uno degli strumenti, ai tempi di Bellassai contava in Sicilia su centosei nomi: ma adesso? E quanto a Catania: nell'agosto '79 gli uomini di Sindona potevano contare, in qualche modo, sull'amicizia del cavaliere Graci: i loro omologhi del 1985, sono ancora fermi a Graci? A Torino, nel processo per le tangenti (un processo, in buona sostanza, contro la P2), contro il principale testimone d'accusa si preparava un attentato di mafiosi catanesi... Di esempi, se ne potrebbero fare tanti. Il fatto è che dall'epoca del MiFoBiali, della prima P2 e di Sindona, il peso dei poteri occulti non è diminuito ma è andato crescendo; la "politicizzazione" della mafia siciliana non si è affievolita ma è aumentata; la presenza - in particolare - di "catanesi" fra un meccanismo e l'altro si è fatta sempre più consueta. Quest'ultimo dato, in particolare, merita una riflessione.

Strane storie catanesi Catania ha una strana storia criminale. La mafia catanese, che oggi è probabilmente se non la più forte la più attiva, diventa mafia - da malavita di contrabbandieri in epoca relativamente recente; analogamente, l'imprenditoria mafiosa catanese è molto posteriore rispetto a quella palermitana, e di molto più rapida accumulazione. L'una e l'altra, nel giro di circa tre anni - dal '79 all'81 - assumono una posizione di primissimo piano, scalzando in diversi casi le corrispondenti forze "palermitane" e non subendone contraccolpi degni di rilievo. Qual è il fattore che ha favorito questa così rapida trasformazione? E quale quello che ha garantito questa inspiegabile "immunità" (Dalla Chiesa: "...da Catania va alla conquista di Palermo...")? Le domande fondamentali, forse, oramai sono queste. Domande catanesi ma risposte - in buona parte - probabilmente anche romane.


Catania/ Affitti eccellenti

L'affare di via Biondi e quello di via Bernini PIERO CIMAGLIA

Scusi, sa dove si trova l’ufficio tecnico del Comune? «È proprio qui di fronte!». Il giornalaio si affaccia con noi dall’edicola e ci indica un palazzotto giallo pallido all’incrocio tra via Sangiuliano e Via Biondi. Quattro piani, 2.130 metri quadrati affittati dal Comune per 236.000 euro l’anno. Varcato il portone d’ingresso restiamo ammirati della bellezza dell’edificio. Ci fermiamo a guardare il ben riuscito risultato dei lavori di restauro. Un impiegato, compiaciuto della nostra ammirazione si avvicina e ci dice: «Bello, vero? Fino a qualche anno fa ci trovavamo in via Beato Bernardo, il palazzo dell’ESA, l’affitto era un po’ più alto, c’era un bel panorama ma certamente non era così accogliente». «Peccato – diciamo - che non sia di proprietà del Comune e con i problemi che hanno le finanze municipali pagare l’affitto sarà un bel problema». «In effetti è strano – ci risponde l’impiegato – che con tanti locali comunali lasciati vuoti, ogni anno si preferisca pagare l’affitto alla Finpop di Oreste Virlinzi. Ad esempio ci sarebbe il complesso di via Bernini. Non è bello come questo, ma vederlo diventare un rudere a causa dell’abbandono in cui si trova... è

Orazio Virlinzi nel 2001 acquista un immobile e lo affitta al Comune. Il Comune nel 1999 compra un immobile e l'abbandona a se stesso, preferendo pagare l’affitto a Virlinzi uno scandalo». Certo, via Bernini... quasi 5.000 metri quadrati circondati da sterpaglie, devastati dal vandalismo e dall’incuria del suo proprietario, il Comune di Catania. C’è chi dice che per questa struttura esista un progetto del Cnr, chi ricorda la volontà dell’Asl di trasferirci gli ambulatori e chi teme interessi speculativi, legati all’idea di utilizzare le aree vuote circostanti per costruirci un centro commerciale. Era stato proprio per risparmiare sull’affitto dell’ufficio tecnico, oltre che per rimediare ad uno sfratto esecutivo incombente, che gli amministratori comunali avevano deciso di comprare la struttura di via Bernini Fino al ’99 questa struttura era una proprietà della “Immobiliare Bernini spa”, una società della Banca Agricola Etnea. Per comprarla il Comune ha chiesto un mutuo di circa 4 milioni di euro e poi sembra essersene dimenticato. In questi anni c’era tutto il tempo di ristrutturarlo, dare ospitalità agli uffici tecnici del Comune e lasciare spazio anche ad altri uffici. Per l’acquisto del palazzo di via Biondi, invece, la Finpop ha pagato circa 1.380.000 di euro. Il contratto di affitto risale al 2003 e dopo soli sei anni – sempre che il prezzo d’acquisto dichiarato sia

quello reale – la Finpop rientrerà dell’investimento fatto. È vero che i 236.000 euro pagati dal Comune ad Oreste Virlinzi, uno dei più importanti imprenditori catanesi, non sono un prezzo eccessivo per le dimensioni e la bellezza dell’edificio. Se fosse stato affittato contemporaneamente a diverse famiglie, la Finpop avrebbe dovuto gestire numerosi contratti, avere a che fare col rischio di avere inquilini morosi... Meglio un contratto unico ed un solo inquilino. Se poi questo non paga, basta una sola esecuzione forzata. Se, ancora, l’inquilino non versa in buone condizioni economiche - come nel caso del Comune di Catania - ci si può magari rivalere sui beni di pregio venduti dallo stesso Comune alla sua società “Catania Risorse srl”. C’è un affitto che ha un certo peso sul bilancio comunale e che, quindi, contribuisce alla grave situazione finanziaria delle casse pubbliche. C’è il rischio che non si riesca a pagare regolarmente il canone. Ci sono degli immobili comunali di pregio che possono fare gola a chi ne vuole approfittare... È meglio fermarsi qui perché si rischia di “pensar male” e i nostri amministratori sono invece delle persone capaci, almeno di raggiungere lo scopo che si sono prefissati.

SCHEDA UNA S.R.L. CHIAMATA "CATANIA RISORSE" Nel 2003 il Comune di Catania presenta un disavanzo di circa 40 milioni di euro. Questo debito va coperto entro la fine del 2006 se si vuole evitare la dichiarazione di dissesto. Ricorrere ad un mutuo? No, la legge vieta di pagare i debiti degli enti con altri debiti. Alla fine del 2006 il Comune costituisce la “Catania Risorse srl”. Il 30 dicembre il Consiglio Comunale approva la vendita di 14 immobili alla nuova società ed il giorno dopo (domenica 31) viene firmato l’atto notarile. “Catania Risorse” dovrà versare al Comune quasi 65 milioni di euro entro 180 giorni. Giusto il tempo di trovare una banca

disposta a prestargli lo stesso ammontare di denaro, contraendo il debito che lo stesso Comune non può contrarre ma che cerca così di accollare ad una propria società. Ma come dovrebbe fare “Catania Risorse” a restituire i soldi alla banca se non ha un euro di suo? Semplicemente facendo pagare l’affitto degli immobili allo stesso Comune che glieli ha venduti. Ma come farà il Comune a pagare gli affitti con la situazione che si ritrova? Entro il 2007 si dovranno trovare altri 42 milioni per il disavanzo 2004. Sempre che nel frattempo non si sia costretti comunque a dichiarare il fallimento.

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Interviste/ Giambattista Scidà

"La cultura, la giustizia e l'informazione" Catania senza

L'ex presidente del Tribunale minorile è una delle figure più autorevoli del movimento antimafia a Catania. Chiede un Procuratore della Repubblica non catanese. Ecco perché

ANTONIA COSENTINO - A cosa si riferisce nel richiamare il caso-Catania?

"Il "fatto-Catania" comprende un’ormai inveterata devianza di fondamentali istituzioni e, attorno ad essa, un silenzio di tomba. La devianza, processo che non si arresta, ed il silenzio, condizione della sua impunità e del suo perpetuarsi, sono elementi di un articolato insieme: di una totalità alla quale si inchina il potere centrale, qualunque schieramento lo detenga". - Quale funzione ha avuto ed ha il mondo dell’informazione nelle vicende che hanno investito Catania dall’assassinio di Giuseppe Fava ad oggi?

"Nel sistema di potere che domina e sfrutta Catania, un posto eminente ha il controllo, totale, dei processi di diffusione della notizia. Tutti nelle stesse mani – mani di grande imprenditore – i media locali sono in grado di oscurare un fatto, di ingigantirne un altro, di determinare, nell’una direzione o nell’altra, i contenuti della coscienza collettiva. Non sono uno specchio della realtà oggettiva, ma la fabbrica di una realtà praticamente più vera (è un paradosso), perché vissuta come tale dalla cittadinanza. Il quotidiano e le emittenti televisive possono cancellare un accadimento, o impedirgli di emergere, o ingombrare la scena con un altro, più o meno inventato. Il monopolio è padrone oltre che della notizia, della comunicazione tra catanesi, che i media rendono impossibile non appena taluno voglia far giungere ai concittadini un appello, una proposta, un invito: se l’invito, la proposta, l’appello spiacciono ai grandi interessi che tengono il campo. I catanesi non possono parlarsi tra loro, a distanza, come ordinariamente avviene in tutte le città attraverso i giornali. Padroni della notizia, lo sono anche dell’immagine degli individui: possono cacciarli di scena assoggettandoli ad una specie di damnatio memoriae, o promuoverli all’esistenza sociale. In una parola, non riferiscono ma creano. Niente esiste

che essi non vogliano; e qualunque cosa che vogliono assume per lettori e spettatori l’esistenza che oggettivamente non ha. Il monopolio è invincibile. Catania, fu detto, è un geroglifico maligno, che uccide chi gli si avvicina per leggerlo e offrirne la decifrazione al pubblico. Fava, che provò, ci perse la vita. Uomini di buona volontà che, anni addietro, tentarono di far nascere un foglio alternativo, si videro rifiutare dalle agenzie del ramo ogni attività di distribuzione, e qualche uomo politico richiamare a rafforzare il rifiuto. Per fare un esempio recente: la “cronaca” del convegno, promosso da Rifondazione Comunista, sul tema “Liberiamoci dalla mafia – Da Portella della Ginestra a Catania”, ha amputato dal novero dei relatori tre di costoro. Per i lettori, sia le cose che loro hanno detto, sia il fatto che abbiamo detto qualcosa, sono scomparsi. Lo stesso è avvenuto con il “Caso Catania”, aperto dalle mie dichiarazioni (7.12.2000) e da quelle del magistrato Marino (gennaio 2001) davanti alla Commissione Antimafia, ma subito proclamato chiuso, proprio mentre esso andava spalancandosi; o tramutato da una questione di calci che erano stati dati alla Giustizia, in una di calci da dare a un pallone. Ma nulla di ciò potrebbe esser fatto (e neanche sarebbe tentato) senza la connivenza dei media a diffusione nazionale: connivenza che può essere assicurata solo dalle élites partitiche locali, e dalle loro possenti proiezioni in campo nazionale. Esse sono concordi nel volere che i problemi veri di Catania restino fasciati di silenzio: ignoti ai catanesi, ignoti a tutti nel Paese. Possenti proiezioni, ho detto: alcuni anni addietro erano tenuti da catanesi, contemporaneamente, il Ministero degli Interni, la Presidenza della Commissione Giustizia della Camera, la Presidenza della Federazione Editori Giornali, la Presidenza dell’Ordine dei Giornalisti. Bisogna aggiungere che, come sempre, l’Associazione Nazionale Magistrati era presieduta da un magistrato di

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Catania, della cerchia egemone che detiene tutti i posti-guida della Procura della Repubblica". - Qual è il ruolo della magistratura nel caso-Catania?

"Come in tutti i sistemi, nel sistema-Catania gli elementi che lo compongono (il monopolio dell’informazione, che è anche una grande impresa edile, con ingenti interessi nel tessuto del territorio urbano; le cerchie partitiche che, tutte insieme, hanno in mano l’avvenire comunale, qualunque spicchio dell’insieme vinca la competizione per il timone della nave: ma la rotta è sempre la stessa; e la magistratura requirente) si rafforzano vicendevolmente. Il ruolo dell’apparato giudiziario è essenziale, ma non lo è meno l’apporto che gli altri due elementi danno alla sopravvivenza del suo assetto presente, a dispetto di quanto emerso tra il dicembre del 2000 e questi ultimi mesi nel quadro-Catania". - E quello della cultura?

"Quanto alla cultura, Catania non sarebbe com’è se i suoi chierici fossero diversi. Purtroppo nessuno di essi nega consenso al sistema. Per non fare più di un esempio, la storiografia locale sulla mafia in genere, non ha una parola per la mafia a Catania". - L'ex magistrato antimafia Di Lello sostiene che i magistrati esprimono le contraddizioni interne alla società...

"Di Lello ha ragione; e forse non c’è situazione come quella di Catania che meglio ne confermi e illustri la tesi. Basti pensare ai rapporti tra magistratura e mafia di San Giovanni La Punta". - Perché ritiene necessario che a ricoprire il ruolo di Procuratore della Repubblica di Catania debba essere una figura esterna alla città?

"Un Procuratore della Repubblica estraneo all’ambiente, e non ricattabile da nessuno, e non in bisogno di sostegno né dall’informazione, né dalla politica, perché immediatamente forte di un vasto consenso, distruggerebbe il sistema".


Tecnologie

Per chi vota l'internet? Storie dal partito che non c'è Autismo Un bambino che non riesce a parlare. Un padre di famiglia che ha perso il figlio in guerra e vuole giustizia contro chi ce l'ha mandato. Un appassionato di musica dai gusti raffinati. Uno studente che ha bisogno di libri per studiare. Che cos'hanno in comune questi quattro esseri umani? Da soli, nel mondo "ufficiale", sono isolati. Con l'internet non sono più soli ma entrano a far parte di una rete che li può aiutare

Alpaca (Alternative Literacy with Pda and Augmentative Communication for Autism) è un nome altisonante per uno strumento semplice: un palmare, come quelli che usano ormai anche i controllori dei treni, ma personalizzato per le esigenze dei bambini autistici. Se tutto questo fosse stato realizzato nella Silicon Valley da Steve Jobs e brevettato con il marchio Apple tutte le più prestigiose riviste di tecnologia si sarebbero già mobilitate, ma Alpaca e' stato realizzato da un gruppo di sardi cocciuti che dal 1999 producono con il marchio Sardiniaweb materiali che uniscono scienza, didattica ed educazione. A sostegno di questa ricerca completamente autonoma si è attivato anche Giuseppe Doneddu, direttore del Centro per i

CARLO GUBITOSA

disturbi pervasivi dello sviluppo dell'Ospedale Brotzu di Cagliari, che assieme ai suoi collaboratori utilizza da anni il sistema di comunicazione per immagini e oggi può disporre di uno strumento elettronico in più che i bambini usano per imparare a parlare associando nomi a oggetti oppure come strumento per la segnalazione di bisogni, grazie al touchscreen che permette di toccare una mela o un bicchiere d'acqua sullo schermo per esprimere fame o sete. Purtroppo in Italia se vuoi fare ricerca scientifica devi farti un Telethon su misura, e per questa ragione il centro del Dott. Doneddu ha organizzato una festa a sostegno di questa iniziativa. Chissà se hanno invitato anche Steve Jobs. Info: www.sardiniaweb.it

Militari Angelo Garro è un combattente nonviolento. Da quando suo figlio Roberto è morto in caserma in circostanze misteriose, Angelo e sua moglie Anna hanno focalizzato le loro energie vitali su un unico obiettivo: ottenere giustizia dalle istituzioni e impedire che altri genitori debbano piangere in tempo di pace la morte di un figlio in divisa. Le indagini hanno rivelato che Roberto è stato chiuso nella bara nudo, con il cadavere scomposto, disarticolato e ancora sporco di fango, ma per i tribunali dello stato italiano tutto questo è stato perfettamente regolare: non c'è stato nessun vilipendio di cadavere, né è opportuno indagare ancora sulla morte di Roberto. Se davvero esistesse una "par condicio" sui media allora il dibattito sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero avrebbe dovuto includere anche Angelo

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Garro e i suoi "messaggi in bottiglia" telematici. "Oltre 10.000 morti in tempo di pace in Italia - scrive Angelo - aspettano ancora l'esito di una battaglia che solo noi genitori di militari caduti in servizio portiamo avanti da soli, per far approvare ad un Parlamento sordo e insensibile una proposta di legge che ne riconosca la dignità umana. Non serve essere legato ideologicamente o sentimentalmente ad alcuna forza politica per approvare o disapprovare questa linea di condotta del nostro Parlamento; noi da sempre siamo contrari a questo tipo di missioni che restituiscono alle nostre famiglie soldati ammalati se non addirittura morti a causa degli effetti dell'uranio impoverito o a causa di altre mai chiarite cause". Bookmark: www.alpinorobertogarro.it Info: cogemil.caduti@tiscali.it


Tecnologie

Copyright "Il tuo indirizzo internet non appartiene agli Stati Uniti. A causa di restrizioni dovute al diritto d'autore siamo spiacenti di doverti negare l'accesso, ma non abbiamo altre alternative". Così muore Pandora, un affascinante esperimento musicale basato sui dati del progetto "Music Genome". Si tratta della ricerca lanciata da un gruppo di musicisti professionisti che hanno provato a classificare gli elementi fondamentali dei brani musicali, la melodia, l'armonia e il ritmo, proprio come fanno i biotecnologi col Dna per individuare somiglianze e affinità tra diversi soggetti della stessa specie. L'obiettivo è di suggerire ad un ascoltatore musica simile a quella che già conosce e gradisce, e che magari non ha mai ascoltato prima. Un fan degli U2 così può scoprire la musica dei meno noti Matchbox Twenty, dotata di un "corredo genetico" musicale con molti tratti in comune con quello della band di Bono Vox. Ho utilizzato Pandora con grande soddisfazione fino a quando una mail di Tim Westergren, uno dei fondatori del progetto, mi ha annunciato la sospensione dal servi-

zio per tutti gli utenti che si collegano al di fuori degli Stati Uniti. Questa mossa danneggerà l'immagine già traballante delle case discografiche in un settore delicato come il pubblico giovanile, e anche gli autori meno famosi e le band indipendenti, che grazie a Pandora riuscivano a farsi scoprire da un pubblico selezionato già ben disposto verso i tratti somatici della loro musica. Gli utenti della rete potranno cercare solo quello che già conoscono rinunciando alla magnifica esperienza di scoprire musica nuova in una radio online che conosce i tuoi gusti e sa cosa farti ascoltare. Alcune industrie stavano già cominciando ad affacciarsi al progetto con l'intenzione di produrre dispositivi domestici da collegare ad internet per diffondere musica d'ambiente sempre in sintonia con i gusti dei padroni di casa. L'ottusa caccia al profitto dei signorotti del copyright, che ricorda molto da vicino le crociate e l'inquisizione, non e' solo fastidiosa per gli utenti, ma sta iniziando anche a diventare un pericolo per la cultura e lo sviluppo della tecnologia.

Per il bambino autistico ci sarà un software che gli permette di comunicare (e lo fanno in Sardegna, mica chissà dove). Il padre del soldato avrà dove chiedere giustizia, e prima o poi - forse l'avrà

Libri ribelli Napoli è la città ricordata per i videoregistratori di legno venduti ai semafori, per il gioco delle tre carte, il sudore di Maradona venduto in bottiglia e le magliette con le cinture di sicurezza disegnate sopra per confondere i vigili, e proprio da Napoli arriva un'altra grande dimostrazione di genio e fantasia. Stavolta però a vincere non sono i truffatori, ma gli studenti truffati dal caro libri che rende il diritto allo studio una pia illusione. L'idea è semplice e brillante al tempo stesso: usare le reti di condivisione peer-to-peer per condividere libri e testi universitari anziché musica e video. Per scoprire come fare basta consultare le pagine di libreremo.org, un portale che cataloga più di 1500 testi PDF messi a disposizione da studenti e lettori che praticano l'equivalente digitale del "book-crossing". L'iniziativa è stata realizzata da varie realtà napoletane di movimento, tra cui i centri sociali Terra Terra e Officina 99 il collettivo musicale Get Up Kids e il Neapolis Hacklab. "Negli ultimi anni raccontano i promotori del sito - la repressione e la propaganda tentano di condurci

sempre di più in un mondo dove i saperi costano cari, la cultura è appannaggio dei pochi che se la possono permettere, l'università è d'elite. Noi siamo invece fortemente convinti che la cultura sia uno stimolo al pensiero critico ed un elemento di emancipazione, e che la sua libera circolazione debba essere sostenuta il più possibile". I testi di libreremo.org sono manuali universitari, libri delle materie più varie, materiali utili per una cultura critica, per la ricerca scientifica o per semplice curiosità, testi in lingua originale, testi rari o fuori catalogo da anni perchè non adatti alle leggi di mercato. Ma quest'iniziativa non si tiene in piedi da sola, e ha bisogno di mani che possano scansionare e condividere un numero di testi sempre maggiore: è per questo che dalle pagine del sito fa capolino un invito a collaborare rivolto a "studenti, precari, lavoratori, collettivi, associazioni, realtà autorganizzate e chiunque abbia a cuore la conoscenza come bene collettivo". Io la mia parte l'ho fatta, e da oggi su Emule c'è qualche libro in più a disposizione di tutti. Bookmark: www.liberemo.org

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I libri, gli studenti cominceranno a scambiarseli in rete: ti dò quello che ho e mi dai quello che cercavo. E gli appassionati di musica? Beh, per loro è un guaio perché la tassa sulla musica è ancora in mano a pochi grossi appaltatori. Ma l'internet cambierà anche questo


i lettori

Scrivere a: Casablanca, via Caronda 412, Catania

Le tasse e la casa all'asta

Un ragazzo picchiato

In Italia esiste un fenomeno di cui la stampa non parla molto che riguarda le espropriazioni immobiliari per debiti tributari. Il fenomeno, coinvolge centinaia di migliaia di contribuenti che per debiti tributari si vedono vendere all’asta l’immobile da parte dei concessionari della riscossione. Calcoliamo che in tutta Italia si tratta di oltre 500.000 immobili. Il fenomeno è drammaticamente in notevole aumento. I Concessionari della Riscossione mettono all’asta l’immobile senza procedere ad effettuare alcuna perizia che porterebbe invece a determinare il valore reale dell’immobile. La base d’asta viene determinata sul solo valore catastale; valore che nella maggior parte dei casi risulta assolutamente inferiore a quello reale. Una procedura che danneggia il contribuente moroso e che rischia di facilitare i poteri illegali nella partecipazioni alle aste consentendogli di fare buoni affari attraverso l’utilizzo di prestanomi e di riciclare denaro sporco. Le Aste vengono effettuate senza una preventiva e adeguata pubblicità, perché nella maggior parte dei casi la data di svolgimento dell’asta avviene solo con la pubblicazione nella bacheca della sede dei concessionari e in quotidiani a diffusione limitata. Temiamo e denunciamo che il dramma di molticontribuenti, spesso realmente impossibilitati ad adempiere al pagamento, può favorire le mafie (siciliana , ndrangheta, camorra, sacra corona unita, mafia finanziaria). Tutto ciò consente alle MAFIE di fare ottimi affari a prezzi di assoluto favore. La Federcontribuenti chiede che la Direzione Investigativa Antimafia verifichi e monitori questo nuovo potenziale business per le cosche e che la Magistratura accerti le responsabilità dei concessionari sulle valutazioni oggettive degli immobili stessi messi all’asta in maniera da determinare il giusto rapporto fra debito tributario e valore degli immobili messi all’asta. Inoltre chiediamo la verifica degli atti di pubblicizzazione delle aste stesse. L’allarme lanciato va colto con immediatezza dalle autorità competenti per evitare un nuovo business per i poteri illegali ma anche per usurai e speculatori senza scrupoli. Carmelo Finocchiaro, Federcontribuenti

Agli amici e poi a quelli che scrivo di solito, fra cui giornalisti. Oggi ho pianto oggi ho filmato e registrato un ragazzo picchiato dalla polizia, un ragazzino, un tossico, ferite, costola incrinata, ematomi e la faccia (siamo a Brescia eh ragazzi, la società civile). Vorrei dire: giornalisti esseri meschini, ma lo so, la paura sottomette. Non so cosa sarei io se la polizia venisse a minacciarmi, a picchiarmi. Gualtiero Michelucci

Una giornalista di Amburgo Gentile Signora Rapisarda, sono una giornalista tedesca di Amburgo. L’anno scorso, quando stavo a Palermo per una ricerca, ho conosciuto la Sua rivista Casablanca che mi ha piaciuta molto. Siccome sono molto interessata nella Sicilia e le sue vicende vorrei chiedere se sia possibile di abbonare Casablanca anche vivendo in Germania. Maren Preiss, Amburgo

Più guardie mediche meno indennità Vogliono chiudere 175 guardie mediche nei piccoli comuni perchè bisogna risparmiare e oggi l'unico modo per risparmiare è: tagliare sulla sanità, sulla cultura, sui servizi sociali. A guardare in internet la busta paga dei deputati regionali, colpiscono le due cifre nei tondini della parte inferiore, dove si evidenzia lo stipendio del Presidente della Giunta Regionale e quello dell'assemblea. Voglio dire, 10.000 euri per un deputato non sarebbero nemmeno tanti, ma poi ci sono le varie indennità di commissione e via discorrendo. Mi chiedo: ma perchè dobbiamo pagare sempre e solo noi cittadini? Vi prego: indignatevi! Carlo Barbera

Con i lavoratori della Conad Siamo accanto ai lavoratori delle ex Conad e Coem, come lo siamo stati in queste difficili settimane, con l'augurio che l'impegno assunto da Provincia e Comune si traduca in tempi strettissimi nella loro effettiva ricollocazione. Un ringraziamento ed un apprezzamento particolare vanno al sindacato per l'azione di sollecitazione che ha svolto fino ad oggi e al prefetto per aver sempre offerto la sua disponibilitá e la sua autorevolezza alla ricerca di una dignitosa soluzione di questa lunga vertenza. Sinistra Democratica Catania

Un appello al Csm Catania vive una condizione di degrado civile e sociale: i fatti accaduti davanti allo stadio, e la conseguente drammatica morte dell’ispettore Raciti, nell’esplosione di tanta violenza, testimoniano gli effetti di un disagio che va addebitato anche alle carenze istituzionali e amministrative che si sono accumulate nel tempo. In tale contesto, sono stati avanzati seri dubbi sull’operato della Procura della Repubblica di Catania, in merito alla conduzione di vicende giudiziarie concernenti il fenomeno mafioso e l’attività della pubblica amministrazione.

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Perplessità da cogliere, al fine di ripristinare nella città il pieno rispetto della legalità. In attesa che gli organi competenti procedano agli accertamenti richiesti da tale situazione, i sottoscritti cittadini auspicano che la nomina del nuovo Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania ricada su una figura che sia garante dell’autonomia della magistratura rispetto al potere politico, nonché di totale impermeabilità e indipendenza nei confronti dei potentati economici, e pertanto estranea agli ambienti cittadini. Salvatore Resca (Cittàinsieme), Claudio Fava (europarlamentare Sd), Goffredo D’Antona (pres. avvocati Foro democratico), Santo Liotta (senatore Prc), Giusi Milazzo (segr.prov.Cgil), Centineo Gabriele, (segr.Prov.Cgil), Elena Fava (Fondazione G.Fava), Dario Montana (impiegato), Riccardo Orioles (giornalista Casablanca), Renato Camarda (Isola possibile), Graziella Proto (Casablanca), Giovanni Caruso (Gapa), Maria Giovanna Italia (Arci), Pietro Mancuso (Iqbal Masiq), Francesco Manna (Prc Ct), Cannata Salvo (Pdci), Domenico Cosentino (insegnante), Cinzia Dato (parlamentare Unione), Bellante Bruna (insegnante), Domenico Stimolo (comitato partecipazione e democrazia), Barbara Crivelli (Flc Cgil), Mario Mario (funzionario Inail), Merlini Maria (Lab.Pasolini), Manlio Di Mauro (operatore turistico), Antonella Inserra (insegnante), Gaetano Torrisi (funzionario prov.Ct), Manuele Bonaccorsi (giornalista), Titta Prato (giornalista), Gianfranco Faillaci (insegnante), Nino De Cristofaro (insegnante), Santina Sconza (Isola possibile), Salvo (Cgil), Marcello Failla (impiegato), Vittorio Turco (insegnante), Luca Cangemi (insegnante), Dario Stazzone (Univ. Ct), M.oncetta Pagana (ostetrica), Celestina Costanzo (Cgil), Giancarlo Consoli (Comitato acqua), Laura Galesi (giornalista), Elena Brancati (insegnante), Rosario Lanza (giornalista), Pierpaolo Montalto (avvocato), Giuseppe Strazzulla (insegnante), Antonio Signorelli (Isola possibile), Giuseppe Giustolisi (giornalista), Giuseppe Carbonaro (impiegato), Elio Impellizzeri (insegnante), Failla Celestina (impiegata), Sergio Fisicaro (sociologo), Francesca Castelli (ass.sociale), Marco Benanti(giornalista), Mario Mario (docente univ.), Giusi D’Angelo (inf.scientifica), Annamaria Galvagna (insegnante), Giusi Messineo (impiegata), Lisa Bertini (Cittàlibera), Nino Marcantonio (pensionato), Rosario Accardi (psicologa), M.Rosaria Boscotrecase (impiegata), Filippa Lavore (pensionata), Maria Rosa D’angelo (psicologa), Domenico Scuderi (medico), Alfio Lombardo docente univ.), Grazia Giurato (Cittàinsieme), Pia Giulia Nucci (Asaec), Fabio Viola (Cittàinsieme), e altre firme. Info: P.Resca, Cittàinsieme, 368.3387539


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Satira/ Il Pizzino

Due anni di antimafia, allegramente GIAMPIERO CALDARELLA Il primo numero di Pizzino, fogliaccio di satira infame e indipendente, è uscito dalla tipografia il 23 maggio 2005, una data simbolica e tragica per la Sicilia e per l’Italia. Pizzino però è tutt’altro che un simbolo, è il frutto del lavoro di decine persone che ormai da due anni lavorano ad un progetto di superamento e travisamento della realtà e del modo di fare informazione. Un lavoro fatto di idee, incontri, nottate davanti al computer, viaggi e testimonianze in Italia e silenzi dalla Sicilia le cui istituzioni sono sempre più “pacifiste” di fronte ad una mafia sempre più affarista e sotterranea. In altro modo ha risposto la gente, quella che vuole vederci chiaro, che cerca di resistere restando a

sud o che, pur essendo emigrata, non ha perso la speranza di lottare. Pizzino, pur essendo nato con scarsissimi mezzi e tanta buona volontà da parte del gruppo dei tre trentenni fondatori (Gianpiero Caldarella, Francesco Di Pasquale e Leonardo Vaccaro) ha resistito all’assordante volontà di silenzio dei nostri politici e degli organi di informazione “seri” e ultrasecolari. Un risultato possibile grazie alle centinaia di abbonati che ci hanno sostenuto, in Italia e all’estero. Nessuno ha mai guadagnato nulla per quello che ha fatto, né la redazione, né i collaboratori, i soldi sono sempre e solo serviti a pagare il numero successivo. Nessuno di noi ha mai bussato alla porta di una qua-

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lunque istituzione o di privati per chiedere una lira per il progetto. Abbiamo cercato di fare quello che volevamo, opponendoci a quanti pensano che tutte le porcherie che ci sovrastano possano essere favorite dal silenzio di quanti assistono. Risate amare quelle di Pizzino, ogni numero un affare diverso. E così dopo i tanti già sfornati sul pizzo, sulla sanità, immondizia, immigrazione, ecc.. adesso stiamo mettendo giù il 16° numero. Nel nostro piccolo abbiamo cercato di riportare su carta un genere che in Italia era quasi scomparso da una decina di anni: la satira, quella senza compromessi, di pancia e di cuore. Abbiamo avuto, in questi anni, il piacere e la fortuna di confrontarci con autori d'indubbio


Satira/ Il Pizzino

Il logo del Pizzino: i nostri lettori lo conoscono bene perché fin dall'inizio sigla l'ultima pagina di Casablanca. In questa pagina e in quella accanto alcune opere degli artisti che collaborano al Pizzino.

valore che hanno dato il loro contributo per questo piccolo giornale come segno della loro stima per il lavoro fatto, ma anche come volontà di partecipare, di esserci. Sarebbero tantissimi i nomi che mi vengono in mente e che vorrei ringraziare: da Mauro Biani a Sergio Staino, da Massimo Bucchi a Giorgio Franzaroli, da Valeria Fici ad Antonio Norato, da Camilleri a Jonny Palomba, da Kanjano e Ferro a Sergio Nazzaro, da Gramshish a Molly Bezz a tanti altri a cui va tutto il nostro affetto. Facciamo minchiate, lo sappiamo, ma cerchiamo di farle bene, puntando sulla tutto qualità. Nel 2006 la giuria del 34° premio internazionale di satira politica di Forte dei Marmi ha assegnato a Pizzino il premio come rivista

dell’anno e questo ci ha permesso di allargare i nostri orizzonti, il che significa continuare a rompere i coglioni con più forza. Ad esempio con radio24, dove ogni settimana, ormai da più di tre mesi, va in onda una rubrica di satira settimanale chiamata “u pizzinu”. E poi con “M” un periodico di satira allegato al quotidiano l’Unità che si avvia ora al quarto numero e che da settembre dovrebbe diventare settimanale. Su “M”, che è poi un’idea di Sergio Staino, lavora tutta la redazione di Pizzino, e la base è proprio a Palermo, quella città dove tanti pensano che difetti la voglia di fare e la professionalità. Non è così. Tra poco, il 19 giugno, arriverà a Palermo anche la mostra “Mafia Cartoon”, organizzata da Libera, presso la

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biblioteca di Casa Professa e sarà un’altra occasione per confrontarsi in questa terra dove spesso il sonno della ragione genera mostri (mafiosi). Noi abbiamo un sogno: che Pizzino non sia più il nostro fogliaccio di satira, ma il vostro. E lo stesso vale anche per le validissime esperienze di editoria indipendente che stanno nascendo in questi anni e di cui siamo fieri come siciliani. Parliamo di Casablanca. Non ci interessa fare marchette, ma piuttosto fare network, fare un’altra Sicilia, prima che i soliti ignoti si facciano tutti i siciliani. Verrà un giorno in cui potremo finalmente toglierci le mutande di ferro e sbatterle in faccia a chi ci vorrebbe consenzienti e a 90° gradi. Ci vadano loro in


Satira/ Mauro Biani

"Ok, il mondo è questo ma non starò seduto ad aspettare che si freghi da solo" Mauro Biani fa: il disegnatore per Casablanca; il disegnatore per altri giornali d'importanza (in paragone) trascurabile come Unità, Liberazione, Diario, ecc.; tiene uno dei migliori blog di satira [maurobiani.splinder.com]; scrive libri (l'ultimo è "Mafia Cartoon, satira contro la mafia"); fa fumetti; è boyscout (lo è stato ma una volta scout sempre scout); ecc. ecc. e poi ancora ecc. Fortunata chi se lo sposa (ma è già sposato), fortunato chi lo pubblica e fortunati anche voi che lo leggete.

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Satira/ Mauro Biani

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Satira/ Francesco Feola

Il taccuino metropolitano del signor F. Fantozzi, Monssù Travet, Akadijevic, Marcovaldo... Non è mai stato facile il rapporto fra l'omino narrante e la Grande Città. Adesso, la metropoli può chiamarsi indifferentemente Torpignattara o New York, cambia poco. I disegni di Feola sono ambientati qua o là, secondo dove si trova in quel momento. Adesso (vedi a destra) siamo alla periferia di Roma.

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Satira/ Kanjano & Ferro

Un arancino vi seppellirĂ Da Palermo con furore

L'ultimo personaggio di Kanjano e Ferro è... un arancino siciliano, di nome Coragu. Va in giro per il vasto mopndo e dice la sua, filtrandola ovviamente atttraverso il particolare punto di vista di un arancino (e per di piÚ siciliano). Ma non lasciatevi ingannare dall'apparente bonomia gastronomica di Coragu. K. & F. sono i piÚ cattivi fra tutti gli autori di satira di questi anni. Forse gli unici che meriterebbero di stare sul vecchio "Male"

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up&down Teresa Salgueiro e Lusitania Ensemble 16 giugno ore 21.00 Parco Trinità Vanenti Mascalucia CT Peter Gabriel 5 luglio ore 21.00 Piazza Grande Arezzo Biagio Antonacci 6 luglio ore 21.00 Velodromo Borsellino Palermo Vasco Rossi 7 luglio ore 21.00 Stadio Messina Noa 8 luglio ore 21.00 Teatro di Verdura Palermo

Etna Blues festival 15 luglio/ 21.00/ Sandra Hall 16 luglio/ 21.00/ Joe Bonamassa 17 luglio/ 21.00/ John Mayall Area concerti p. Falcone-Borsellino Mascalucia CT

Lou Reed 8 luglio ore 21.00 Piazza Grande Arezzo Negramaro (La finestra Tour 007) 8 luglio ore 21.00 Teatro Antico Taormina Zucchero 11 luglio ore 21.00 Teatro Antico Taormina Gilberto Gil 12 luglio ore 21.00 Teatro di Verdura Palermo Zucchero 13/14 luglio ore 21.00 Teatro della Valle Agrigento

Tomatito 19 luglio ore 21.00 Teatro di Verdura Palermo Ennio Morricone 20 luglio ore 21.00 Velodromo Borsellino Palermo RickyMartin 20 luglio ore 21.00 Porto/ Molo di Mezzogiorno Catania Pat Metheny 21 luglio ore 21.00 Teatro di Verdura Palermo TOSCA di Lucio Dalla 25 luglio ore 21.00 Teatro di Verdura Palermo Pino Daniele 27 luglio ore 21.00 Teatro di Verdura Palermo

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by Lillo Venezia Cult & Cool

Paolo Conte 28 luglio ore 21.00 Teatro di Verdura Palermo Fiorella Mannoia 29 luglio ore 21.00 Teatro di Verdura Palermo RAF 25 agosto ore 21.00 Teatro Antico Taormina Fiorella Mannoia 26 agosto ore 21.00 Teatro Antico Taormina

Fino al 1 luglio MOSTRA/ IMMAGINARIO BAROCCO Foto Giuseppe Leone Centro Culturale Le Ciminiere/ “Galleria d’Arte Moderna”/ Piazzale Asia/ Catania Fino al 1 luglio MOSTRA/ DUCEZIO Testi di Angelo Scandurra/ Disegni di Totò Calì Centro Culturale Le Ciminiere/ Galleria d’Arte Moderna/ Piazzale Asia/ Catania


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E chiudiamola qui

Caro lider ti scrivo in libreria www.scomunicazione.it

Il nostro caro Lider della sinistra Fassino a ruota libera su Partito Democratico e dichiarazioni dei suoi partners naturali. Lo conosciamo in veste di segretario, per la sua forma fisica e il tono dei suoi muscoli, nerboruto e deciso almeno quanto la radicalità del suo cuoio capelluto (si dice che garrotasse i suoi avversari quando era compagno) e il suo “piglio Fassino” - frase fatta entrata nel gergo politichese da qualche secondo - ma poco sappiamo della sua storia personale. E meglio così. A differenza della matrioska Mussi, al nostro Pierino gli fu infuso spirito politico quando era ancora giovane pertica di prato: solo allora prese vita e balzò fuori da un volgare mattarellum. Ancora non si capisce se sia stata una torta in pieno teschio o la mattina un’abbondante sciacquatina allo zigomo, che il Piero - nostro caro segretario spaventapasseri - si sia incaponito a fondare un nuovo partitino degno degno di lui e dei suoi amichetti di giochi. Il nostro liderino ha chiarito: “Quel che più mi ha convinto è stato il superamento a pieni voti delle primarie, anche se i guai verranno adesso che entrerò al primo anno delle secondarie di 1°grado...” Vi chiedete del perchè democratico? Tant’è vero che mi chiamo Piero, devo mettere su questo nuovo soggetto che mi piace chiamarlo Partito Democratico mi sono detto tra me e me - che poi è stato il Congresso di Firenze - intanto è un demo, il gioco completo si vedrà più avanti quando impareremo a divertirci pure noialtri: intanto aderite! Le credenziali, mister anatroccolo... Prima di tutto, siamo gente onesta e perbene, ecco perchè in questo nuovo giochino saranno montate tutte le anime dei vecchi partiti bacchetton-rifomisti e della simpatiche canaglie del vecchio centro e poi sinistra, veltronini e montezemolini per stimolare la crescita, parisiani e margherite verdi per attennuare l’emicrania. Ma sopratutto, nel parto del mio partito avrà una parte chi è a parte della mie carte e della mia arte! Al paese dovremo rispondere di alcune domande capitali: cosa ne è stato della politica italiana dal ’48 in poi, dopo che, con la prima sconfitta del partito comunista, ci fu la fecondazione della mia mamma? E se mettiamo fosse stato un cesario senza complicanze ? Cosa sarebbe, quindi, dell’Italia se non si fondasse il P.D., il partito della mitezza, dell’incoscienza di classe? Ma il mio occhio di vetro e la mia palla sinistra di cristallo mi aiutano a vedere il prossimo possibile sviluppo: una formazione che condisce il tutto con un po’ di sano ideologismo di fede: il Partito Democratico e Cristiano. Tenendo a mente le parole del maestro regista Roman Prodasky: una festa, un voto: ecco alcune delle dichiarazioni a caldo dei partners politici di spicco. Demente Mastella: Il Partito mi avrà fra i suoi soltanto se pone al suo centro la famiglia naturale di Ceppaloni: ministro, presidentessa regionale e pargoletti comparielli. Fabio matriosky Mussi: non sarà facile convincermi sono una botte di ferro. Franchino Rutelli, il galletto dell’aia politica: è un bel disegno degno di questo grande paese, a patto però che mi passino la brillantina gratis. Richetto Boselli: sono magro magro: entro dappertutto! Luca Cordero di Montezemolo: la sinistra io c’è nel sangue! Alfonsino Pecor Bill Scan: sono ancora indeciso, molto dipenderà se riuscirò ad abbinare la mìse di domani con la culotte che ho appena acquistato. Craxi (il Bettino) ne hic quidem in pace requiescere licet Toni Di Pietro: le nostre decine di elettori hanno le idee chiare: non vorrebbero prevalere sul resto del paese. Walter Cialtroni: augh! Anna La Rosa: con me, Chigi e Madama si darebbero un nuovo look che farebbe invidia a mezza l’Europa. Angelo Bagnasco: so che mi vorranno infilare ma io, fino a prova contraria, non ne posso fare parte: sono una di quelle eminenze di pelo corto e tombinale. Totò e Peppino: a muorte nonn’è ‘cchiù ‘na livella, già pecchè, come faceva a D.c, i tesserati, anche da muorti, ponno sempe votà, ma a noi chi c’ho ‘ffa fa? Un momento… ma ci sono i babbà? Francesco Di Pasquale GFL

ESPATRIO Sapere qual'è la stella che si vedrà anche da lì. Rifarsi l'identità, lavarsi i denti; masticare a lungo la storia degli Dei e degli Ehi!. Sfamare la gatta e le anatre che non sanno volare. Ah, dimenticavo: cantare, cantare, cantare. Antonella Consoli

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Un tempo gli imprenditori siciliani non facevano pubblicità sui giornali antimafiosi. Nè la facevano le pubbliche istituzioni. Nè i vari soggetti economici e istituzionali della sinistra. Per questo motivo i giornali come I Siciliani (che pure vendevano le loro copie, e non erano qualitativamente inferiori alle testate "ufficiali") alla fine dovevano chiudere e aspettare tempi migliori: nessun giornale può sopravvivere a lungo senza pubblicità, neanche se i giornalisti lavorano gratis in nome della libera informazione. La carta e la stampa costano, e senza pubblicità non le si può pagare.

Questo, se volete, è un appello. Oppure semplicemente un promemoria per noi stessi e per i nostri lettori.

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