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Dr. Sanjiv Chopra, Dr. Alan Lotvin con la collaborazione di David Fisher
CHIEDI AL DOTTor CHOPRA traduzione di marella imparato e pia ferrara
Casini Editore
Titolo originale dell’opera: Doctor Chopra Says Copyright © 2010 by Drs. Sanjiv Chopra and Alan Lotvin with David Fisher St. Martin’s Press, LLC as the original publisher of the work © 2011 Valter Casini Edizioni www.casinieditore.com ISBN: 978-88-7905-208-5
MANGIA, BEVI E MANTIENITI SANO
Gli alimenti nella loro forma naturale sono una fabbrica di sostanze chimiche e nutritive che aiutano la salute, la crescita e i processi di guarigione. Il nostro organismo li elabora e li trasforma in materia vivente. Per secoli le civiltà si sono adattate all’habitat circostante, facendo affidamento sulle piante coltivate e gli animali catturati, e sui liquidi lì reperibili, per garantirsi il sostentamento necessario a sopravvivere. Ma, oltre all’uso del cibo come base per la sopravvivenza, attraverso vari tentativi che a volte potevano condurre alla morte, questi individui scoprirono molti altri usi per le materie prime. Cibi e bevande furono impiegati come trattamenti per ogni tipo di disturbo, dai forti mal di testa agli avvelenamenti. Quando le rotte dei commerci si svilupparono rendendo possibile l’incontro tra civiltà,
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nuovi gusti e nuove strabilianti qualità vennero introdotti in varie e distanti regioni del globo. Le spezie rare erano più preziose dell’oro. Il caffè, con i suoi magici effetti, stregò l’Europa. Ma, fino al Ventesimo secolo, prima che venissero introdotti inizialmente il trasporto rapido e successivamente la refrigerazione, molti alimenti potevano essere fruibili solo sul posto. In realtà fu solo dopo la Seconda guerra mondiale che la distribuzione degli alimenti poté praticamente raggiungere ogni parte del mondo. L’idea che mangiare o bere certi cibi e certi liquidi potesse prevenire o curare specifici disturbi prese piede molto prima che qualcuno ne scoprisse la composizione. Non era importante la causa, ma l’efficacia. Mossi dalla curiosità, alcuni scienziati che avevano notato come malattie di tipo diverso fossero presenti in zone diverse del mondo cominciarono a interrogarsi sul legame tra salute e dieta locale. E gradualmente scoprimmo che il cibo può realmente provocare, prevenire o essere usato per la cura delle malattie. Cercare di scoprire l’impatto terapeutico del cibo e delle bevande è divenuto un cardine della scienza. Alcune teorie sono state diffusamente accettate. L’eccessivo consumo di carne rossa può provocare il cancro e il vino rosso può costituire una barriera protettiva contro gli attac62
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chi di cuore, per fare qualche esempio. Ma la realtà è che siamo talmente invasi da proclami che illustrano i poteri terapeutici del cibo e delle bevande che non sappiamo più cos’è che ci fa realmente bene. Forse sarete già al corrente di alcune delle informazioni contenute in questa sezione del libro, ma la maggior parte di esse vi sorprenderà.
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1. Il caffè è davvero un salvavita?
Spesso inizio le mie lezioni chiedendo di alzare la mano a chi, fra tutti i presenti, beve normalmente almeno due tazze di tè o di caffè al giorno. Solitamente la maggior parte alza la mano. Poi mi rivolgo a chi ne beve quattro e le mani che si alzano diminuiscono notevolmente. Infine chiedo quanti ne consumano mediamente sei o più tazze al giorno. La risposta è sempre qualche risata nervosa e, raramente, poche mani alzate. È allora che li prendo di sorpresa: «Buon per voi» dico rivolgendomi a quei pochi. «State facendo un gran favore al vostro fegato». Detto da me, che sono uno specialista delle malattie del fegato, è un gran bell’incoraggiamento. In passato, si pensava che l’eccessivo consumo di caffè fosse connesso a una serie di 65
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problemi di salute tra i quali l’infarto, i difetti congeniti, il tumore al pancreas, l’osteoporosi e gli aborti. Sappiamo con certezza che il caffè può provocare insonnia, tremori, palpitazioni cardiache e aumento della diuresi. Testimonianze più recenti rivelano, però, che invece di provocare danni, il caffè procura sostanziali benefici, proteggendo l’organismo dalle malattie cardiache, dal diabete di tipo II, dalle cirrosi epatiche, dal morbo di Parkinson, dalle carie, dal tumore al colon e alla prostata, riuscendo persino a prevenire il suicidio. È noto che dà sollievo contro l’asma, aumenta la resistenza e la concentrazione — alcuni giocatori di baseball della Major League bevono notoriamente non meno di sei tazze di caffè nell’arco di un’unica partita — e favorisce l’assorbimento di altre sostanze dagli effetti positivi sull’organismo. Lo si può usare nella cura del mal di testa — una singola compressa di alcune comuni medicine da banco contiene la stessa quantità di caffeina di una tazza grande di caffè. Quel che è più sorprendente è che pochissimi si rendono conto delle proprietà contenute in una tazza di caffè. Secondo la leggenda, intorno all’anno 1000 d.C., Kaldi, un pastore della provincia di Kaffa, in Etiopia, notò che in un gregge le pecore erano molto più dinamiche di quelle che pascolavano 66
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nel gregge accanto. La causa di quel fenomeno — comprese il pastore — erano le strane “ciliegie” che le pecore mangiavano. Lui stesso ne assaggiò una e poté constatarne l’effetto energizzante. In breve tempo i monaci della zona iniziarono a fare regolare consumo di questi frutti per poter restare più facilmente svegli durante la notte. Il caffè venne poi esportato nello Yemen e la prima caffetteria di cui ci sia giunta notizia aprì a Istanbul nel 1471. Inizialmente le autorità religiose conservatrici del Medio Oriente misero al bando il caffè per le sue proprietà stimolanti, ma alla fine i semi di questa pianta si diffusero in tutta Europa divenendo una bevanda utile e molto popolare. Nel 1675 in Inghilterra si contavano più di 3000 caffetterie. Dei benefici per la salute derivanti dal consumo di caffè si è dibattuto per secoli. Il caffè è stato accusato di provocare di tutto, dalla sterilità allo scoppio delle rivolte. Nel 1674, ad esempio, le donne inglesi lamentavano che questa «nauseabonda acqua sporca […] ha fatto diventare i nostri mariti degli eunuchi […] li ha resi impotenti come vecchi». Ma, mentre alcuni ancora credono che il caffè sia pericoloso, numerosi e ampi studi indicano che bere caffè in realtà costituisce un fattore di protezione notevole contro diverse patologie gravi e — cosa ancor più degna di nota — mol67
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te persone dovrebbero, semmai, berne quantità maggiori. Se da un lato molte ricerche effettuate nel campo della medicina prendono le mosse da uno specifico assunto da testare, informazioni di rilievo possono essere desunte da analisi statistiche compiute su dati raccolti senza un obiettivo specifico. Una delle più vaste raccolte di statistiche del genere fu compilata dal Kaiser–Permanente Medical Care Program. Il K–P era stato istituito durante la Seconda guerra mondiale come piano sanitario di preammortamento per i dipendenti della Kaiser Shipyards e dopo la guerra la sua copertura si espanse. Negli anni Sessanta, secondo il cardiologo Arthur Klatsky, ricercatore presso la divisione di ricerca di quel gruppo, «la compagnia diede il via a un programma per stabilire quali test (medici) valeva la pena effettuare e quali no». Si trattava essenzialmente di una ricerca focalizzata sui nuovi metodi di diagnostica preventiva, uno strumento affidabile per prevedere le future condizioni di salute basandosi sui comportamenti del passato. I ricercatori crearono un data–base computerizzato e poi praticarono quello che chiamarono check–up medico multifasico. Il fatto che lo studio si fosse avvalso di computer rudimentali ne rese possibile l’applicazione a un’ampia gamma di fattori di rischio. 68
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«Dal conteggio complessivo dei rilevamenti eseguiti emersero circa 500 dati tra i quali alcuni rivelatisi fattori predisponenti l’insorgenza dell’infarto. Quello che scoprimmo fu che l’astinenza da alcol era un fattore di rischio d’infarto più elevato rispetto al consumo di alcolici in forma leggera o moderata. Questa ipotesi non precedeva lo studio e portò a ulteriori esplorazioni sull’alcol e la salute, soprattutto da parte mia. Ricevetti una somma di denaro per creare un nuovo data–base che abbracciasse un arco di tempo che va dal 1978 al 1985. Questo data–base conteneva informazioni su circa 125.000 persone appartenenti a gruppi etnici diversi. Ce ne servimmo per osservare alcuni eventi legati alla salute successivi a determinati fattori, ad esempio i decessi dovuti a cause specifiche, come malattie cardiache e tumori». Lo studio condotto dal dottor Klatsky, pubblicato per la prima volta nel 1992 e aggiornato nel 2006, mostrava anche un rapporto inverso tra caffè e cirrosi epatica. Il caffè abbassava il livello di enzimi del fegato nel sangue; sorprendentemente, Klatsky scoprì che più caffè si beveva, minori erano i rischi di sviluppare cirrosi epatiche. Una tazza al giorno riduceva del 20 per cento la percentuale di rischio. Ad esempio, i consumatori di alcolici potrebbero ridurre il ri69
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schio di cirrosi dell’80 per cento bevendo quattro tazze di caffè al giorno. Le ragioni sono ignote. Come spiegava il dottor Klatsky, «l’epidemiologia non determina i meccanismi». «Solo associazioni. Ero sorpreso dalla forza protettrice del caffè. Quando qualcosa si riduce del 60, 70, 80 per cento si è decisamente di fronte a una riduzione importante del rischio. E questo è quanto scoprimmo studiando la relazione tra l’alto consumo di caffè e le probabilità di sviluppare una cirrosi. È importantissimo precisare che, in questo caso, si tratta di protezione da cirrosi unicamente provocate dall’alcol, non di quelle originate da infezioni virali. Mi piacerebbe saperne molto di più. Quello che vorremmo sapere è che tipo di caffè bevono i consumatori, se vi aggiungono latte e se lo zuccherano, se lo filtrano, se lo bevono con o senza caffeina, ma tutto ciò che sappiamo si limita al numero di tazze che vengono consumate quotidianamente. Creammo un sotto–campione composto da circa 10.000 persone e notammo che chi beveva gran quantità di caffè, generalmente dalle quattro tazze in su al giorno, consumava quasi sempre caffè con caffeina». Il dottor Klatsky ammette di bere, personalmente, «due tazze di caffè al mattino e qualche volta una a mezzogiorno, facendo diversamente 70
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rischierei di non dormire. Tre caffè sono il mio massimo». I singolari benefici del caffè riportati da questo studio si potrebbero estendere ad altre patologie epatiche. Nell’agosto del 2007, la rivista specializzata Hepatology riferì che dieci diverse ricerche, condotte in Europa e in Giappone, dimostravano che le persone che bevevano caffè presentavano rischi significativamente minori di sviluppare tumori al fegato. Le ricerche coinvolgevano circa 240.000 soggetti, tra i quali 2260 affetti da cancro al fegato, e dimostravano che gli individui che bevevano diverse tazze di caffè al giorno presentavano meno della metà delle possibilità che venisse diagnosticato loro un cancro al fegato rispetto ai partecipanti alla ricerca che non bevevano caffè — i rischi diminuivano del 23 per cento con ogni tazza giornaliera. Come nello studio condotto dal dottor Klatsky, non furono effettuati tentativi per stabilire le ragioni di questo declino del tumore al fegato — quello è il tipo di lavoro che viene effettuato dagli scienziati in laboratorio — sebbene siano state avanzate ipotesi che affermano che il caffè rafforzerebbe eccessivamente gli enzimi epatici. Per quanto concerne la mia esperienza — e si tratta di una prova aneddotica — il caffè abbassa il livello di enzimi del fegato, il che è decisa71
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mente auspicabile, previene le fibrosi epatiche, riduce il tasso di ospedalizzazione causato da patologie epatiche croniche e abbassa il rischio di sviluppare tumori del fegato. Sappiamo che il caffè è insulino–sensibile: in alcuni individui il pancreas produce quantità sufficienti di insulina, ma per qualche ragione questa non determina gli effetti specifici sperati. Il caffè rende le cellule sensibili all’insulina in modo che essa funzioni correttamente. Un altro recente studio condotto dalla Harvard School of Public Health, nel Beth Israel Medical Center, mostra che i bevitori di caffè presentano alti livelli di adiponectina nel plasma — questo è importante perché bassi livelli di adiponectina nel plasma sono stati associati a patologie aggressive a carico del fegato. E infine, è stato dimostrato che quattro tazze di caffè al giorno riducono della metà l’incidenza di dolorosissime forme di gotta. L’impatto sull’insulina potrebbe avere in sé un altro beneficio di importanza vitale. Laddove precedenti studi non erano riusciti a individuare il legame tra consumo giornaliero di caffè e cancro alla prostata, uno studio dei National Institutes of Health pubblicato nel 2009 ha osservato 50.000 uomini per vent’anni e scoperto che i soggetti che bevevano sei tazze o più di caffè al giorno riducevano le possibilità di sviluppare il cancro alla prostata in fase avanzata 72
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del 60 per cento, quelli che ne bevevano quattro o cinque registravano una diminuzione del 25 per cento e bere fino a tre tazze al giorno abbassava i rischi del 20 per cento. Mentre le ragioni che determinano questo impatto rimangono ignote, uno degli autori della ricerca, Kathryn Wilson, di Harvard, rifletteva: «Il caffè produce effetti sull’insulina e sul metabolismo del glucosio come pure sui livelli di ormoni sessuali, tutti fattori che giocano un ruolo nel cancro della prostata». Se gli effetti provocati dal caffè fossero complessivamente questi, la cosa sarebbe già di per sé notevole, ma sta rapidamente prendendo corpo la prova evidente del fatto che questa bevanda produce ulteriori benefici concreti. Non è possibile brevettare il caffè, neppure Starbucks potrebbe farlo, perciò le ricerche sugli effetti da esso prodotti devono essere condotte da gruppi ampi e orientati al pubblico. I ricercatori della Harvard School of Public Health e il Brigham and Woman’s Hospital dal 1980 al 1998 condussero un loro studio su 125.000 persone che ha rivelato un altro impressionante beneficio derivante dal caffè: le persone che lo bevono regolarmente possono ridurre in misura significativa il rischio di insorgenza del diabete di tipo II o diabete dell’adulto. I risultati furono straordinari: gli uomini che bevevano sei o più 73
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tazze di caffè decaffeinato al giorno riducevano il rischio di contrarre questa terribile malattia del 50 per cento; le donne che ne assumevano la stessa quantità lo riducevano del 30 per cento. Queste scoperte furono confermate da una meta–analisi presso l’Australia’s University di Sidney. Un team internazionale di ricercatori esaminò 18 studi condotti su oltre 450.000 partecipanti e scoprì che «ogni tazza di caffè in più consumata al giorno era associata a una riduzione del 7 per cento del rischio di diabete». In entrambi gli studi era indubbiamente la quantità il dato importante. Nell’universo del caffè, la qualità è nella tazza di chi beve… Il filosofo Voltaire aveva la pretesa di bere qualcosa come 50 tazzine di caffè al giorno — e morì nel 1778 all’età di 83 anni. Se questo atteggiamento può sembrare indubbiamente estremo, è anche vero che nella ricerca condotta a Harvard le persone che consumavano meno di quattro normali tazze di caffè al giorno riducevano il rischio di contrarre il diabete di tipo II con una percentuale oscillante solo tra il 2 e il 7 per cento. Gli adulti che invece consumavano abitualmente quattro o cinque tazze al giorno riducevano i rischi del 30 per cento. E dalle sei tazze in su cosa succedeva? Il rischio si riduceva di uno straordinario 50 per cento. Stranamente quella ricerca rivelava che, nelle donne, 74
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bere dalle cinque tazze in su di caffè al giorno non procurava alcun beneficio. Analogamente alla ricerca condotta dagli australiani, lo studio condotto a Harvard esaminava la differenza tra caffè decaffeinato e caffè non decaffeinato scoprendo che, negli uomini, bere quattro o più tazze al giorno di caffè decaffeinato riduceva il rischio di sviluppare varie forme di diabete del 25 per cento e nelle donne del 15 per cento, dimostrando chiaramente che i benefici sono presenti indipendentemente dal tipo di caffè che si beve — a patto che se ne consumi in gran quantità. Un’ulteriore conferma fu uno studio durato undici anni e avviato nel 1986 dall’Università del Minnesota in cui veniva esaminato il legame tra caffè e diabete nelle donne in menopausa. Le donne che bevevano dalle sei tazze in su di caffè di qualunque tipo fecero registrare meno del 22 per cento di probabilità che venisse loro diagnosticato un diabete rispetto a quelle che non ne bevevano del tutto. Sorprendentemente, in particolare per quanti credono che il valore curativo del caffè derivi dal contenuto di caffeina, le donne che bevevano sei o più tazze al giorno di miscela decaffeinata riducevano il loro rischio di contrarre il diabete del 33 per cento. L’attuale teoria che indaga sul perché siano state rilevate delle consistenti differenze nei 75
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benefici procurati dall’assunzione di caffè negli uomini e nelle donne sostiene che gli ormoni delle donne in post–menopausa o, più sovente, le sostanze sostitutive degli ormoni assunti dalle donne durante questo periodo mitighino gli effetti del caffè. Un’altra analisi, condotta dai ricercatori di Harvard in collaborazione con i loro colleghi della Universidad Autonoma de Madrid, ha indagato sui collegamenti tra caffè e infarto nelle donne. Essendo il caffè uno stimolatore cardiaco, si è sempre avuto il sospetto che troppo caffè potesse provocare problemi al cuore. In realtà, questa ricerca mostrava esattamente gli effetti opposti. Servendosi dei dati raccolti dal Nurses’ Health Study, presso il quale a 83.000 soggetti di sesso femminile era stato dato un questionario sulla frequenza dei consumi alimentari — incluso quello di caffè — da completare coprendo l’intero arco delle 24 ore, i ricercatori scoprirono che le donne che bevevano due o tre tazze di caffè al giorno riducevano la percentuale di rischio di un sorprendente 43 per cento! Tale grado di riduzione delle percentuali di rischio è equiparabile all’impatto di alcuni dei farmaci più venduti nel mondo. Sebbene s’ignorino le ragioni di quanto osservato, si possono notare alcune interessantissime connessioni. Si scopre che questi benefi76
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ci non sono riscontrabili con il consumo di tè contenente caffeina o di bevande analcoliche (alcune delle quali ricche di caffeina) — e i soggetti che bevevano almeno due tazze di caffè decaffeinato al giorno presentavano decisamente una riduzione dei rischi d’infarto. Secondo l’epidemiologa Esther Lopez–Garcia, una delle persone che diressero la ricerca, «i dati rilevati supportano l’ipotesi che i componenti del caffè al di là della caffeina possano essere considerati i responsabili dei potenziali effetti benefici del caffè contro i rischi d’infarto». Questo è un punto importante: il caffè, come il vino, contiene centinaia di elementi chimici, è ingenuo pensare che uno solo di questi rappresenti una sorta di bacchetta magica. I ricercatori dello studio sui diabeti dell’Università di Sydney sono giunti alla medesima conclusione, facendo notare che «le nostre scoperte suggerirebbero l’ipotesi probabile che non tutti gli effetti protettivi del caffè… sono attribuibili alla sola caffeina, ma piuttosto, come si era pensato in precedenza, sono presumibilmente riconducibili a una più ampia gamma di sostanze chimiche presenti nelle bevande, come il magnesio, il lignan e gli acidi clorogenici». Uno studio analogo al Nurses’ Health Study, pubblicato sul Journal of Internal Medicine nel 2008, ha seguito per 18 anni oltre 40.000 pro77
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fessionisti della salute di sesso maschile traendo la conclusione che gli individui di sesso maschile che consumavano cinque tazze di caffè al giorno presentavano una percentuale di riduzione del rischio di decesso per malattie cardiache del 44 per cento. Di fatto, gli uomini che bevevano più di cinque tazze di caffè di qualità java al giorno avevano il 35 per cento in meno di probabilità di morire per una qualunque causa, mentre le donne che bevevano tra le quattro e le cinque tazze diminuivano il loro rischio di mortalità del 26 per cento. Secondo uno studio condotto in Svizzera, questo tipo di riduzione del rischio è riscontrabile in tutti coloro che hanno avuto attacchi di cuore. Il Programma epidemiologico svedese sul cuore impegnò più di 1300 persone di sesso maschile e femminile che avevano avuto un infarto conclamato tra il 1992 e il 1994. Otto anni più tardi, i pazienti che normalmente bevevano da una a tre tazze di caffè al giorno presentavano una percentuale di rischio di morte di un terzo inferiore rispetto ai soggetti che in media consumavano meno di una tazza al giorno. Mentre i partecipanti che consumavano quotidianamente quattro o cinque tazze abbassavano la percentuale di rischio di infarto di quasi la metà. Potrebbero essere benissimo individuati ancora più vantaggi nel consumo massiccio di 78
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caffè. Sia lo studio del Kaiser–Permanente sia il Nurses’ indicavano che i forti bevitori di caffè avevano minori probabilità di suicidio e gli uomini, ma non le donne, riducevano la percentuale di rischio di ammalarsi di morbo di Parkinson. Nel 2000 il Journal of the American Medical Association scrisse che uno studio finanziato con fondi federali, condotto su 8000 uomini hawaiani, aveva rivelato che chi non beveva caffè correva il doppio dei rischi di ammalarsi di morbo di Parkinson rispetto a soggetti di sesso maschile che assumevano da un minimo di 115 grammi fino a quattro tazze di caffè al giorno. Se pure questi collegamenti non sono statisticamente categorici come quelli sulla riduzione delle cirrosi o del diabete, di sicuro meritano di essere presi in considerazione. Inoltre, nessuno sa con precisione cosa è vero e cosa non lo è, ma è risaputo che nei pazienti con morbo di Parkinson le cellule che producono dopamina chimica cessano di agire e che la caffeina aumenta la produzione di dopamina nel cervello. Ogni anno trascorro quattro settimane nel reparto di epatologia del Beth Israel/Deaconess Medical Center, un’importante scuola di formazione affiliata alla Medical School di Harvard. Negli ultimi anni chiesi sempre a tutti gli studenti, gli interni e i colleghi del reparto di domandare ai pazienti quanto caffè bevesse79
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ro. E quello che sentii, ripetutamente, era che nessuno dei pazienti affetti da gravi patologie del fegato beveva caffè. Un fenomeno di non poco conto. Un anno, però, durante il mio ultimo giorno, un interno si avvicinò con un grande sorriso e mi disse: «Dottor Chopra, finalmente ho un paziente che beve caffè». «Raccontami di questo paziente» gli dissi. «Si tratta di un paziente ricoverato per cellulite. Questo paziente beve quattro tazze di caffè al giorno». Quando mi interessai a questa storia, gli chiesi: «Ti va di dirmi qualcosa a proposito del tuo consumo di tè e di caffè?». «Non bevo tè» mi disse. «Ma amo il caffè». Gli domandai se beveva caffè normale o decaffeinato. «Normale». Gli posi quindi un’altra domanda: «Da quanto tempo bevi caffè?». E mi rispose proprio così: «Fin dai tempi del mio trapianto di fegato». Bene. Non c’era da meravigliarsi se il caffè non aveva prevenuto la sua malattia. Dopodiché chiesi: «Qualcuno ti ha detto di bere caffè dopo il trapianto?». Fece di no con la testa. «No, ma dopo il trapianto mi venne un improvviso bisogno di caffè». Personalmente, amo il caffè e ne bevo circa quattro o cinque tazze al giorno, di solito con 80
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latte scremato o nero, ma senza edulcoranti. Una volta mi fu chiesto di paragonare i benefici del consumo di caffè a quelli dell’esercizio fisico nei pazienti con diabete di tipo II. Dopo averci riflettuto un momento dissi: «Sono entrambi salutari. Mi sembra che la cosa migliore sia correre da Starbucks!». Ma prima di correre a riempire la caffettiera ricordatevi che il caffè ha effetti negativi su tante persone. Fa stare svegli di notte. Può essere dannoso per le persone affette da serie aritmie cardiache. Può aumentare il bruciore di stomaco e aggravare la sindrome da colon irritabile. Inoltre alcuni studi hanno evidenziato che la caffeina aumenta i rischi di aborto. Ma, se riuscite a bere quantità consistenti di caffè senza avere ripercussioni, alcune ricerche molto valide indicano che vi siete di sicuro procurati una barriera protettiva contro alcune patologie molto complesse. Se avete intenzione di iniziare a bere caffè, cominciate lentamente, prendetene mezza tazza al giorno. Se non avete problemi, prendetene una tazza intera. Provate a vedere come vi sentite. E, se questa dose non ha effetti su di voi, andate avanti, prendetene un’altra tazza. Dice il dottor Chopra: se siete come la maggior parte delle persone, il caffè può farvi molto 81
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bene. E, addirittura, più caffè bevete, meglio è per la vostra salute. È stato dimostrato che riduce l’incidenza di molte patologie gravi. Quindi, se il vostro organismo non è intollerante a questa bevanda, gustatevene una tazza in più.
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Casini Editore Via del Porto fluviale, 9/A – 00154 Roma www.casinieditore.com info@casinieditore.com Finito di stampare nel mese di giugno 2011 Stampato per Casini Editore dalla Arti Grafiche la Moderna – Roma
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Il dottor Sanjiv Chopra è preside di facoltà presso la Medical School di Harvard e direttore di epatologia clinica al Beth Israel Deaconess Medical Center, a Boston.
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