L'infanzia di Gaël 2/3

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Paola Boni

Casini Editore



Crescendo e ampliando i suoi studi, Gaël si rese conto di quanto il suo mondo fosse in realtà pericoloso e il compito della sua famiglia delicato e importante. Quando era venuto a conoscenza della guerra in corso tra i druidi e la confraternita dei Figli della Notte, aveva iniziato a comprendere il significato della scelta neutrale della sua famiglia. Eppure, non poteva fare a meno di nutrire per il culto druidico della Dea un grande interesse e una profonda ammirazione, dedicandosi con ancora maggior impegno ai suoi studi. Col tempo, però, crebbe anche la consapevolezza di essere prigioniero di un ruolo che gli era stato imposto nel momento stesso della sua nascita. Per quanto si dedicasse agli studi, per quanto cercasse di apprendere sempre di più aveva l’impressione che non sarebbe mai stato all’altezza di ciò che la sua famiglia si aspettava da lui. Erano trascorsi nove anni dall’inizio del suo addestramento, eppure, nonostante tutta la sua dedizione, Gaël si trovava spesso a pensare di non aver mai fatto abbastanza per soddisfare le aspettative di suo padre, che con il tempo era diventato sempre più freddo e distaccato nei suoi confronti. Nonostante le amarezze e la frustrazione, era rimasto sempre e comunque fedele alla sua promessa e non si era mai chiesto


se fosse davvero quello ciò che desiderava dalla vita. Non aveva mai avuto dubbi in proposito: spesso si perdeva con lo sguardo fuori dalla vetrina della libreria antiquaria, con la mente lontana, sognando viaggi che lo avrebbero portato in giro per il mondo alla ricerca dei testi più rari e preziosi da aggiungere alla Biblioteca dei Real. Era quello ciò che voleva e la consapevolezza di non essere all’altezza gli faceva provare una grande rabbia. Lui rientrava appena nella media. Non era né un abile mago né un guerriero, e in quanto a studi… beh, più si impegnava più sembrava non essere mai abbastanza quel che riusciva ad apprendere. Non era il primogenito, il suo ruolo sarebbe stato sempre marginale, però, voleva dimostrato a tutti di essere degno del sangue che gli scorreva nelle vene, degno di far parte della famiglia Real e allora anche suo padre avrebbe dovuto cambiare atteggiamento nei suoi confronti e riconoscere il suo valore. Erano i primi giorni di luglio del 1988 e Gaël si trovava con la madre nella libreria antiquaria. In trepidante attesa, il ragazzo non faceva che camminare avanti e indietro per il negozio con l’aria di chi stava per perdere la pazienza. — Ah! Insomma si può sapere quando arrivano? La donna, seduta dietro al bancone, lo guardava ridendo sebbene il tamburellare delle dita sul legno tradisse il suo nervosismo. — Vedrai che arriveranno presto. Ci vuole tempo per queste cose, non possiamo aspettarci che finiscano in un giorno. In realtà, Hèlén era in apprensione: suo marito e il suo primogenito ci stavano mettendo troppo tempo a tornare. Non era normale e, forse, non era nemmeno un buon segno. Gaël aumentò la sua andatura, agitandosi tanto da urtare una libreria e far cadere alcuni volumi esposti. Si chinò a raccoglierli imbarazzato, ma quando si rialzò la madre era già alle sue spalle. Con un gesto deciso, la donna gli diede uno scappellotto dietro la nuca per poi incrociare le braccia sul petto. — Non credo


che tuo padre sarebbe molto contento di vedere che stai cercando di distruggergli il negozio. — Non credo che mio padre sarà mai contento di me, anche se gliene costruissi un’altra di libreria — la corresse sentendo un nodo alla gola. La donna sospirò alzando gli occhi. — Non essere sempre così melodrammatico. Lo sai che tuo padre ha molte responsabilità, soprattutto adesso che tuo fratello è arrivato a questo punto del suo addestramento. Lui sa bene quanto vali e quanto ti stai impegnando per essere degno delle sue aspettative. Se si comporta in maniera severa è solo perché vuole che i suoi figli crescano al meglio delle loro possibilità. Tu e Vincent non siete più dei bambini e vostro padre vuole prepararvi a ciò che vi aspetta in futuro. “Peccato che con Vincent il suo comportamento sia del tutto diverso” pensò Gaël. Strinse i pugni e si rimise a camminare nervosamente. — A proposito di Vincent, dove diavolo sono finiti? Un altro scappellotto lo centrò in pieno, questa volta con molta più forza. — Ahi! Mamma, mi hai fatto male! — si lamentò il ragazzo massaggiandosi la testa. La bocca della donna si piegò in un sorrisetto ironico. — Beh se volevo farti bene di certo non ti colpivo. Alzando gli occhi al cielo, Gaël si avviò dietro al bancone iniziando a sfogliare un grosso volume in pelle nera. — Messaggio arrivato: mi calmo — i suoi occhi fissarono quelli della madre. — Però cerca di star tranquilla anche tu, ok? Hèlén si immobilizzò, guardando a sua volta il figlio, stupita. Un attimo dopo, però, il suo volto si distese, rilassandosi e assumendo la solita espressione dolce e amorevole. Si avvicinò al ragazzo e gli diede un piccolo bacio sulla fronte. — Sei un tesoro, Gaël... il mio tesoro. Sono molto orgogliosa di te e dell’uomo che stai diventando, ricordatelo sempre.


Il ragazzo distolse lo sguardo imbarazzato, strappando alla donna una risata. — Beh, visto che a quanto pare ci sarà ancora da avere pazienza, che ne diresti se ci rimettiamo al lavoro? — disse Hèlén legandosi in una coda i lunghi capelli neri. — Non credo che riuscirei a concentrarmi in questo momento — ribatté lui chiudendo il libro che aveva davanti. Hèlén però lo riaprì un secondo dopo. — Bella scusa, Gaël. Peccato che sia del tutto inefficace. Con uno sbuffo, il giovane abbassò gli occhi sul libro. In quel momento, il rumore di un auto che si fermava davanti al negozio lo fece sussultare. — Sono tornati! — esclamò sua madre con gli occhi che si illuminarono dalla gioia nel vedere attraverso la vetrina della libreria le due figure che stavano rapidamente uscendo dalla macchina parcheggiata sull’altro lato della strada. Gaël scattò a sua volta verso la porta, ma si bloccò nel vedere una cosa che non si sarebbe mai aspettato. Uscendo dalla macchina, Vincent aveva assunto per un attimo un’espressione irritata, subito sostituita dalla sua solita compostezza. Lo vide parlare con il padre per poi avviarsi verso il negozio, mentre Antoine si fermava a parlare con qualcuno seduto sul sedile posteriore della vettura. Appena lo vide aprire la porta, Gaël cercò di assumere un atteggiamento tranquillo e distaccato. — Allora fratellone? I vecchiardi hanno deciso il tuo futuro? — Sei sempre il solito insolente Gaël — lo salutò Vincent con un sorriso. — Quante volte ti devo ripetere che detesto essere chiamato fratellone? Il ragazzo sbuffò alzando gli occhi al cielo in una finta espressione esasperata. Nel guardare Vincent, però, Gaël non poté fare a meno di ammirarlo. A soli ventidue anni, suo fratello sembrava essere l’incarnazione stessa della fierezza dei Real. Non ricordava un giorno in


cui non lo avesse visto camminare a testa alta, la schiena dritta e il fisico possente del guerriero che con il tempo e l’addestramento era diventato. I suoi occhi poi sembravano gli specchi della magia che vibrava dentro di lui, potente come in nessun altro della loro famiglia da secoli. Gaël sapeva che si parlava di lui come colui che avrebbe portato i Real al massimo della loro sapienza, allontanando ogni possibile minaccia da parte della confraternita dei Figli della Notte. Sapeva bene che non sarebbe mai stato alla sua altezza, e questo, doveva ammetterlo, a volte gli faceva provare una profonda invidia nei suoi confronti: per quanto si sforzasse non avrebbe mai eguagliato le sue capacita, e anche se un giorno ci fosse riuscito, era e sarebbe comunque rimasto il secondogenito. Vincent era il futuro, lui avrebbe ereditato da Antoine il compito di custode dei preziosi testi della Sacra Biblioteca. A Gaël sarebbe spettato solo il compito di fare da tramite tra lui e gli anziani e di gestire le trattative per l’acquisto di qualche testo di ben poco valore rispetto a quelli già in loro possesso. A volte si rendeva conto di essere meschino nel provare tanta invidia, perché in fondo lui aveva sempre voluto bene a suo fratello e sapeva che per lui non era facile dimostrarsi all’altezza delle aspettative. Vincent non lo sapeva, ma Gaël lo aveva visto tante volte uscire di nascosto per andare a studiare ed esercitarsi per sviluppare al massimo le proprie capacità. Non doveva essere facile essere il primogenito dei custodi. Sospirò con un’espressione di cupa rassegnazione. Era giusto così: Vincent era il migliore e come tale avrebbe potuto proteggere i tesori della famiglia al meglio. Si meritava quell’onore molto più di chiunque altro. — Io vado a parlare con vostro padre. Torno subito — disse Hèlén passando lo sguardo da Vincent alla macchina davanti a cui si trovava suo marito. Quando uscì, Vincent si appoggiò al bancone passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri già striati di grigio. — È stato


snervante! — esclamò. — Quei vecchi mi hanno osservato e studiato come se fossi una cavia da laboratorio. Ci mancava poco che decidessero di vivisezionarmi per vedere cosa avevo dentro. A Gaël quasi venne da ridere. Vincent di solito era una persona composta e dai modi impeccabili o almeno lo era di fronte agli altri. A lui, però, non era mai riuscito a nascondere il fatto di non essere poi così perfetto come voleva sembrare. In quel momento un’altra auto si fermò davanti al negozio. David ne uscì di corsa, seguito da un ragazzo di un paio di anni più giovane di Gaël. I due fecero irruzione nel negozio come un branco di elefanti in una cristalleria. — Allora cugino, raccontaci per filo e per segno tutto quello che ti hanno fatto passare quelle vecchie mummie — esclamò David entusiasta, avvicinandosi. Il ragazzo alle sue spalle guardava Vincent con la stessa espressione. Era meno robusto del fratello, ma aveva la corporatura massiccia e ben scolpita di chi era stato addestrato a combattere fin dalla tenera età. — David, Ian, è anche per me un piacere vedervi — disse Vincent con un sorrisetto sfacciato sul viso. David sbuffò come un mantice e incrociò le braccia muscolose sul petto. — Sì, sì... ciao Vincent, ciao Gaël... allora racconta! Gaël riuscì a stento a trattenersi dallo scoppiare a ridere. Si schiarì la gola, cercando di mantenersi serio senza riuscirci troppo bene: — Credo che se non inizi a parlare corriamo il rischio di vederli piantare le tende qui. Vincent si sedette sullo sgabello dietro al bancone, seguito dagli sguardi di tutti. — Quando ieri sono arrivato nella sede in cui si erano riuniti gli anziani, mio padre mi ha scortato fino alla porta di un’ampia sala. Gli anziani erano già là dentro, seduti a semicerchio attorno a un tavolo. Non hanno detto una sola parola. Sono rimasti a fissarmi come se fossi un oggetto di studio per quasi un’ora.


Ian sghignazzò. — Mi immagino la scena: tu impalato come un soldatino mentre quei vecchiardi ti osservavano come un animale raro. Il pugno di David si abbatté sulla spalla del fratello. — Non chiamarli vecchiardi. Ian si massaggiò il braccio. — Come se tu non lo facessi sempre. — Taci! — lo ammonì David per poi tornare a guardare il cugino. — Vai avanti, Vincent. — Dopo un po’ hanno iniziato a farmi numerose domande sulla storia della nostra famiglia e della magia. Vi giuro che mi sembrava di essere a scuola! Mi stavano interrogando! Comunque ho risposto senza problemi a tutto quello che volevano sapere finché non mi hanno chiesto di uscire dalla sala e sono rimasto ad aspettare per un’altra ora lì fuori. Gaël sgranò gli occhi incredulo. — Per la Dea, deve essere stato snervante! — Mi sono addestrato a essere paziente — rispose Vincent, — so bene come dimostrare la dovuta calma in certe occasioni. Nel sentire quelle parole, Gaël non poté fare a meno di chiedersi quanto suo fratello fosse effettivamente abile a mentire. Scacciò subito quel pensiero tornando a concentrarsi sul racconto di Vincent. — Subito dopo sono stato portato in un’altra sala, una sorta di palestra. Lì oltre agli anziani c’era anche il maestro d’armi. — Perché nostro padre era lì? — chiese Ian sgranando gli occhi. — È ovvio: per combattere. Vincent iniziò a raccontare di come Jean gli avesse lanciato una lunga spada a due mani rimanendo sempre in silenzio. Senza dargli quasi il tempo di afferrarla, lo zio lo aveva attaccato aprendogli un profondo taglio sul braccio. Il dolore lo aveva stordito per un secondo, ma subito Vincent si era ripreso contrattaccando con rapidità e precisione.


Avevano poi iniziato a scambiarsi una lunga serie di attacchi, parate e fendenti, ogni colpo sempre a pochi millimetri dall’andare a segno. Vincent si era immerso totalmente nello scontro. Si era mosso con sicurezza, schivando e attaccando, concentrato solo sui movimenti dell’avversario e sul tentativo di trovare una falla nella sua difesa. Era stato lo scontro più lungo e stremante di tutta la sua vita. Il maestro d’armi dei Real era senza dubbio uno dei guerrieri più abili al mondo e trovarsi a duellare seriamente con lui, aveva portato Vincent a scontrarsi con i suoi stessi limiti. Ma era uno scontro che il ragazzo non poteva in alcun modo permettersi di perdere: doveva vincere, doveva riuscirci a ogni costo. — All’improvviso, però — terminò Vincent, — uno degli anziani ha interrotto lo scontro. Ci siamo bloccati entrambi con le spade incrociate. Abbiamo subito abbassato le armi e salutato gli anziani con un inchino. Solo quando mi hanno fatto nuovamente attendere fuori dalla porta e ho visto un orologio appeso sulla parete mi sono reso contro che erano passate ben cinque ore dall’inizio dello scontro. David fece scrocchiare le nocche. — Sei stato grande! Ci vuole davvero una forza straordinaria per resistere a un combattimento con mio padre per sei ore di fila! Lo sguardo di Vincent si fece serio e tagliente. Le labbra erano appena contratte in un ghigno — Smettila di fare il falso modesto. Sappiamo entrambi benissimo che tu hai raggiunto il livello di tuo padre ormai da tempo. Le labbra di David si piegarono nello stesso ghigno di sfida. — Così l’hai capito... — Sei così insicuro sulle tue abilità da doverlo tenere nascosto? Gaël guardò perplesso i due osservarsi di sottecchi. Erano occhiate cariche di tensione e ansia, gli sguardi di chi aveva trovato per la prima un rivale con cui valesse la pena battersi.


— E poi? — disse Ian interrompendo quello strano momento di tensione. — Cos’è successo dopo? L’espressione di Vincent si rilassò. — Mi hanno portato in una stanza dove ho potuto riposarmi per la notte. Ovviamente del tutto isolato dagli altri Real. La mattina dopo venni condotto in un’altra sala dove ho trovato il primo alchimista. — Lo zio Liam? Cavolo te la devi essere vista brutta! — domandò Ian intimorito. Liam era il fratello minore di suo padre. Più grande del fratello Jean, era sempre stato un uomo duro e molto severo, rispettoso delle regole e delle tradizioni in maniera anche eccessiva, quasi maniacale, capace di intimorire chiunque con un solo sguardo. — Sì... confesso che non è stata una sorpresa piacevole — ammise Vincent con lo sguardo perso in un punto lontano. Rimase per un po’ a fissare il vuoto ricordando il momento in cui si era fatto avanti. Si era sentito straziare l’essenza dal potere che lo aveva investito come una lama invisibile. — Cos’è successo? — gli chiese Gaël incuriosito. Non aveva mai visto suo fratello così assorto e pensieroso. Sembrava quasi turbato. Vincent si scosse come da un sogno. — Niente di che. Si trattava solo di un test per mettere alla prova le mie abilità di difesa contro incantesimi offensivi. Non è durato molto a dire il vero. Questa volta Gaël capì subito che lui stava mentendo. Qualsiasi cosa fosse successa in quella sala di sicuro non doveva essere stata un’impresa semplice per lui. — Beh, se andato tutto bene allora credo di doverti fare le mie congratulazioni, cugino — esclamò David dandogli una pacca dietro la schiena. Vincent, però, assunse un’espressione irata che lo fece bloccare un attimo prima di colpirlo. — Non c’è niente di cui congratularsi! — esclamò il giovane Real mettendosi a camminare nervosamente per la libreria. — Non mi hanno detto niente! Niente!


— Vuoi dire che è da ieri che non hanno fatto altro che esaminarti senza darti una risposta? — chiese con un sorrisetto divertito Gaël. Era bello vedere che anche Vincent poteva essere messo alle strette ogni tanto. Intuendo il motivo del suo divertimento, Vincent gli scoccò uno sguardo furioso. — Lo trovi tanto divertente? Gaël a quel punto scoppiò a ridere. —Tremendamente! È bello vedere che anche tu in fondo sei un essere umano! Se Gaël fosse stato più attento forse avrebbe percepito la tensione che emanava dal corpo di Vincent e l’ombra che gli aveva offuscato per un attimo il volto già irato. — Oh, insomma racconta! — li interruppe Ian. — Non c’è niente da dire. Una volta finita l’ultima prova mi hanno fatto attendere per un’altra ora per poi riaccompagnarmi nella prima sala. Mi hanno osservato ancora a lungo in silenzio, poi uno di loro mi ha detto solo che la decisione non era ancora stata presa e che non era ancora arrivato il momento di nominarmi legittimo erede del custode. Ho superato le loro prove, mi sono sempre dimostrato degno eppure... Strinse i pugni, riuscendo però con un respiro profondo a riacquistare la sua solita, calma freddezza. In quel momento, la porta della libreria si spalancò. Hèlén e Antoine entrarono, osservando i quattro giovani. — Insomma voi — disse la donna con un sorriso affettuoso. — Smettetela di perdere tempo a chiacchierare. — David, Ian se non sbaglio avete un addestramento da portare avanti voi due — li ammonì Antoine. I due fratelli si lanciarono uno sguardo preoccupato. — Va bene... credo sia meglio andare. La mia spada mi reclama! — disse David con un sorriso smagliante. Se ne andarono subito lasciando Gaël e Vincent soli con i loro genitori. Lo sguardo severo di Antoine si fermò sul figlio minore. — Gaël anche tu hai dei testi da studiare o sbaglio? — Ma padre io...


— Va’ di sotto Gaël — gli disse Hèlén facendogli un piccolo cenno col capo. Il ragazzo allora prese uno dei libri appoggiati sul bancone e si diresse verso l’ingresso della biblioteca. Invece di entrare, però, si fermò nella saletta interna tendendo l’orecchio verso quella principale. — Tuo padre mi ha spiegato quello che è successo — disse Hèlén con un tono triste e preoccupato. — So che ti aspettavi molto di più dall’incontro, ma devi avere pazienza. Verrà il tuo momento, ne sono certa. Gaël riuscì a scorgere con la coda dell’occhio il fratello ormai sempre più agitato. — Quando, madre? Quando? Sono pronto a essere riconosciuto ormai e ho superato tutte le prove a cui mi hanno sottoposto quindi perché aspettare ancora? — Forse è proprio questa tua impazienza il tuo punto debole — disse Antoine, chiudendo la porta d’ingresso. — Tu hai un talento eccezionale e capisco che tu abbia faticato tanto per arrivare fino a questo punto, ma non è facile per gli anziani stabilire quando un primogenito è pronto o meno a succedere al suo predecessore. Sei ancora molto giovane e riconoscerti come degno erede ti esporrebbe a un pericolo costante da parte dei Figli della Notte. Loro attaccherebbero te perché saresti privo delle difese che a me furono imposte quando divenni custode della biblioteca. Per questo gli anziani preferiscono prendere la loro decisione con calma. Il ragazzo contrasse ancora di più i pugni tanto da farsi sbiancare le dita. — Tu pensi che io non sia pronto padre? L’uomo sospirò, gli occhi chiari che esprimevano un’autentica preoccupazione per il figlio. — Vincent, non penso ci sia nessuno più preparato di te ma… — Ma cosa? — disse il ragazzo. — Perché quei vecchi non vogliono riconoscermi ciò che mi appartiene di diritto? — urlò colpendo con un violento pugno il bancone della libreria. Gaël spalancò gli occhi per la sorpresa. Che cosa gli era preso? Non era da lui reagire a quel modo davanti ai loro genitori.


L’uomo si limitò ad aggrottare la fronte mascherando il suo disappunto verso quel gesto aggressivo. — Loro potranno pure farti aspettare adesso, ma alla mia morte sarai tu il mio successore come Custode della Biblioteca e questa è una cosa che nemmeno gli anziani potranno cambiare quindi calmati. Smettila di pensare a quello che è accaduto in questi giorni e prosegui nel tuo addestramento. Gaël sentì il fratello trarre dei respiri lunghi e profondi. Se in quel momento avesse potuto vedere lo sguardo di Vincent, sarebbe riuscito a notare il piccolo sorriso che gli increspava le labbra. Ma tutto quel che riusciva a scorgere dal suo nascondiglio erano le spalle del fratello. Vincent fece un cenno di assenso col capo. — Hai ragione — sussurrò, lentamente. — Alla tua morte sarò io il successore. — Con la speranza che ciò avvenga il più tardi possibile — aggiunse Hèlén. — Ovvio — disse il ragazzo sfoggiando un sorriso gentile. — Sentite ho bisogno di allontanarmi un attimo. Le prove a cui sono stato sottoposto erano difficili e sono a dir poco stufo di tutto questo. — Che cosa vorresti fare? — chiese Antoine seccato. — Non puoi sottrarti ai tuoi doveri lo sai. Il ragazzo s’irrigidì per la tensione. — Ho dedicato al mio compito e alle mie responsabilità tutti i giorni della mia vita da quando avevo dieci anni. Adesso ho solo bisogno di riprendermi da una profonda delusione. Ho l’impressione di aver fatto tutto per niente e questo non va bene, non se voglio continuare a svolgere al meglio il mio compito. Hèlén gli si avvicinò, poggiandogli una mano sul braccio. — Dove andrai? — Tranquilla, ho bisogno di calmarmi e starmene un po’ da solo. Tornerò presto — così dicendo si avviò verso l’uscita del negozio e se ne andò chiudendosi la porta alle spalle.


Antoine sospirò con aria stanca. — Stanno arrivando Jean e Liam. Dobbiamo parlare dell’organizzazione di alcune consegne. Gaël vieni fuori! Il giovane sentì il cuore perdere alcuni battiti. Tornò nella sala principale con ancora il volume stretto in mano e l’aria mortificata. — Non ti azzardare mai più a disobbedirmi è chiaro? — lo rimproverò l’uomo con uno sguardo di ghiaccio. — Credevi davvero che non mi fossi accorto che stavi origliando? Adesso va’ a casa con tua madre e dedicati seriamente ai tuoi studi invece di origliare le conversazioni altrui. Gaël chinò il capo mordendosi il labbro, mentre un senso di rabbia e frustrazione si impadroniva di lui. — Sì, padre. Chiedo scusa. Il ragazzo seguì la madre per il breve tragitto fino a casa senza dire una parola. — Non devi prendertela per quello che ha detto — cercò di rassicurarlo Hèlén quando si furono entrambi seduti sul divano dell’ampio soggiorno dell’appartamento. — Non me la sono presa. Aveva ragione a rimproverarmi, il resto non importa — disse il giovane con aria seccata. Quando però si accorse dell’aria triste e preoccupata della madre, fece un respiro profondo e cercò di abbozzare un sorriso. — Davvero, non ha importanza. Tu però sta’ tranquilla, ok? La donna sospirò con aria stanca. — So bene che sai resistere ai duri colpi. — Parlavo di Vincent, mamma. È adulto ormai e sa cavarsela da solo. Starà bene e tornerà presto, vedrai. La donna si mise la testa tra le mani. Aveva gli occhi umidi e non riusciva a guardare il figlio. — Sei sempre stato il più acuto e sensibile della famiglia. Sono preoccupata, lo ammetto e... ho paura di quello che potrà accadere in futuro a te e a tuo fratello. Gaël le scoccò un bacio sulla guancia. — Tu e papà ci avete cresciuto bene. Ce la caveremo — si alzò dal divano e si diresse


verso la sua stanza — Ora vado a studiare prima che mio padre con le sue antenne capti dalla biblioteca che non mi sto dando da fare e mi rimproveri ancora. Hèlén si mise a ridere di gusto. — Vai, è meglio!






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