London Boulevard - Ken Bruen

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Š 2010 Valter Casini Edizioni www.casinieditore.com


London Boulevard Ken Bruen


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4.

Mentre camminavo lungo Clapham Common, una donna mi sorrise. Sapevo che era per la giacca di pelle. C’era un bar per camionisti a Old Town, un buon posto per gli affari. Era ancora lì. Il tipo di posto in cui, se il cibo non è in tavola, non è neanche nel menu. Per un ex detenuto pochi altri piaceri sono più grandi che mangiare da solo. Mentre prendevo posto, mi gustai il lusso di potermi godere il cibo tutto da solo. Sapevo esattamente cosa ordinare: due salsicce una marea di pancetta pomodori fritti uova black pudding una tazza di tè bollente. Oh, sì. Nel tavolo accanto c’era un vecchio burbero. Mi teneva d’occhio. Aveva un volto e una gestualità da “personaggio”. Sarebbe stato un Alfred perfetto. Ovviamente sarebbe stato amato da tutti. Alfred aveva il suo angolino nel pub e un boccale di peltro tutto suo. Sarebbe stato l’incubo peggiore di qualsiasi giovane barista. Il mio pasto fu servito e l’uomo disse: — Sai da dove proviene quel cibo… ragazzo? Senza alzare la testa risposi:


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— Ho la sensazione che potrà illuminarmi. Rimase sbigottito ma non bastò a farlo smettere. Continuò: — Un uomo della tua stazza dovrebbe nutrirsi di patate. Alzai la testa, lo guardai e dissi: — Un vecchio come lei dovrebbe farsi i cazzi suoi. Lo ammutolii. Cercai di non divorare il cibo. Adesso che ero fuori, avrei dovuto riabituarmi. Dopo aver finito di mangiare mi alzai e andai a pagare. Mentre stavo uscendo, mi fermai accanto ad Alfred e dissi: — È stato un piacere parlare con lei. Camminai in direzione di Streatham ed entrai in banca. Non mi ricordavo esattamente quanti soldi avessi, perché gli estratti conto non vengono mandati in prigione. Dovrebbero mandarci i banchieri. Riempii un modulo per il prelievo e mi misi in fila. Procedeva lentamente ma sapevo come ammazzare il tempo. La cassiera era amichevole in quel modo vacuo tipico di chi tratta il denaro. Le passai il modulo, lo esaminò al computer e disse: — Oh. Rimasi in silenzio. Lei continuò: — Il suo conto è dormiente. — Non più. Mi lanciò un’occhiata. La giacca di pelle non era sufficiente a rompere il ghiaccio. Proseguì: — Devo controllare. — Faccia pure. Un uomo in fila dietro di me sospirò e mi chiese: — Ci vorrà molto? Gli sorrisi come fanno gli impiegati di banca e risposi: — Non ne ho la più pallida idea. La cassiera riapparve in giacca e cravatta stavolta. Era il Signor Efficienza, che disse: — Signor Mitchell, le sarei grato se potesse seguirmi nel mio ufficio. Potevo. Mi misi a sedere e osservai la sua scrivania. Un cartello annunciava:


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Per qualche minuto si occupò di roba della banca, poi disse: — Signor Mitchell, il suo conto è dormiente da tre anni. — È forse contro la legge? Lo turbai. Si riprese: — Oh no… ehm… vediamo… con gli interessi, lei possiede mille e duecento sterline. Aspettai. Mi chiese: — Mi sembra di capire che desidera riattivare il conto? — No. — Signor Mitchell, posso suggerirle un fondo di riserva oculato? Abbiamo alcune offerte molto interessanti per i piccoli risparmiatori. — Mi dia i soldi. — Ehm… certo… desidera chiudere il conto? — Ci lasci una sterlina… visto che ci tenete così tanto. Mi dette i contanti senza una calorosa stretta di mano o un gioioso arrivederci. Bisogna domandarsi quanto ci tengano davvero. Party time. Feci un pisolino e mi svegliai di soprassalto. Il cuore martellava e una cascata di sudore mi rigava la schiena. Non perché credessi di essere ancora in prigione ma perché sapevo di essere fuori. I ragazzi mi avevano avvertito, quando ero dentro: — Non c’è niente di più terrificante che essere fuori. Che, a quanto mi pare di capire, è la ragione per cui così tanti tornano indietro. A voce alta gridai: — Col cazzo che torno indietro. Dopo cento addominali e cento flessioni, il panico iniziò a diminuire. La cucina straripava di provviste. Grazie a Dio non era la prigione. Mangiai un po’ di cereali OJ e un toast carbonizzato. C’era un microonde e ci sparai dentro un po’ di caffè, che era una merda, proprio come quello cui ero abituato. Feci la


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doccia ma evitai di radermi. Volevo che la barbetta di tre giorni continuasse a crescere. Cosa mi sarebbe accaduto nel peggiore dei casi? Sarei sembrato il padre di George Michael. Mi sparai un deodorante Calvin Klein. Sull’etichetta diceva: non contiene alcol. Beh, allora non ha senso assaggiarne un sorso. Rimasi a sedere per qualche istante e mi rollai una sigaretta. Ne padroneggiavo l’arte. Lo facevo con una mano sola. Ora, se fossi riuscito ad accendere un fiammifero con i denti, sarebbe stato un successo assoluto. Ispezionai l’assortimento di musica. Stranamente, per un posto così à–la–page, quel tipo non aveva aderito alla rivoluzione del CD. Erano tutti vinili o musicassette. Mi andava bene. Misi Trisha Yearwood. Un brano intitolato Love Wouldn’t Lie to Me. La ascoltai per due volte. Io vengo dal sud–est di Londra, dove una parola come “bellezza” viene usata soltanto per descrivere una macchina o per il calcio. E, anche in questi casi, è meglio conoscere davvero bene i tuoi compagni. Quella era una bella canzone. Suscitava in me un sentimento simile a struggimento perdita rimpianto. Merda, al giro successivo avrei sentito la mancanza della donna che non ho mai incontrato. Forse era una di quelle cose tipo “sei nel bel mezzo dei tuoi quarant’anni”. Mi detti una mossa, era arrivato il momento di scendere in campo. Indossai i pantaloni kaki Gap, molto stretti in vita ma, hey, senza respirare, sarebbe andato tutto bene. Una t–shirt bianca. Ero in tiro. Una calamita per i borseggiatori adolescenti. Il disco stava ancora suonando e Trisha stava duettando magicamente con Garth Brooks. Dovetti spegnere. Non c’erano alternative, la musica finisce inevitabilmente per fotterti il cervello.


5.

Una circostanza apparentemente isolata e di poco conto spesso scatena una serie di eventi che non saremmo mai stati in grado di prevedere. Siamo convinti di fare delle scelte ma, in realtà, stiamo soltanto mettendo in ordine i pezzi di una conclusione già scritta. Profondo, eh? Presi la metropolitana, direzione Oval. La Northern Line funzionava, come di consueto, con ottimale, irritante efficienza. Due artisti di strada inzaccherati massacravano The Streets of London. Gettai loro una monetina nella speranza che la piantassero. Non fu così. Non appena terminarono il pezzo, lo iniziarono di nuovo da capo. Fuori dalla fermata Oval, c’era Joe con il “Big Issue”. Dissi: — Ti va di venire a una festa, Joe? — Questa è la mia festa, Mitch. — Come dargli torto. Dall’altro lato della strada, una Aston Martin accostò vicino alla Cattedrale di St. Mark. Una giovane donna scese dall’auto. Dagli alberi che circondavano la chiesa si materializzarono due parassiti. Non erano dei senzatetto, erano quelli che Andrew Vachss definisce “la feccia”, marmaglia di infimo rango. Iniziarono a tormentarla. Ero combattuto: non sapevo se fosse il caso di intromettermi. Non volevo rovinarmi la maglietta. Joe disse: — Vai, Mitch. Attraversai la strada. L’agguato metropolitano era iniziato.


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Di fronte, uno l’aggrediva verbalmente, da dietro l’altro era pronto a colpire. Gridai: — Ciao ragazzi. Si voltarono tutti e tre. I parassiti avevano poco più di vent’anni, erano bianchi e cattivi. Il primo disse: — Che cazzo vuoi, figlio di puttana? L’altro: — Vaffanculo, testa di cazzo. Da vicino, notai che uno dei due era una ragazza. Dissi: — Lasciate in pace la signora. Il primo osservò il cardigan, ma lo interpretò male, si avvicinò dicendo: — E cosa pensi di fare, stronzo? Risposi: — Questo. Ficcai il dito indice nel suo occhio destro. È una mossa che si fa spesso in galera. Se è una cosa seria, il bulbo oculare salta fuori. Questa volta non lo era. Però fa un cazzo di male. Poi, rivolgendomi al secondo parassita, dissi: — A te romperò il naso. Si mise a correre. La donna, la potenziale vittima, rimase a fissarmi. Dissi: — Non è il posto più indicato per parcheggiare. Attraversai di nuovo la strada. Riuscivo a sentire la musica che proveniva dal Greyhound. Speravo che non fosse The Streets of London. Il pub era pieno di gente. Sul bancone uno striscione annunciava: bentornato a casa mitch

Norton, con un completo di Armani, mi salutò calorosamente e disse: — Ti ho portato un Revolver. — Cosa?


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— È un cocktail. — Cosa c’è dentro? — Cosa vuoi che ci sia se non Black Bush, due shot di Cointreau e un po’ di ginger? — Grazie Billy, ma preferisco prendere una pinta di birra. Vari delinquenti di serie B si avvicinarono per stringermi la mano. Quelli di serie A rimasero a sedere aspettandosi che fossi io ad avvicinarmi. Lo feci. Dominick Dunne avrebbe definito la festa un “covo di delinquenti”. C’era troppa gente. Si promettevano lavori di ogni tipo e potevano essere ascoltati inviti del genere: “Chiamami”. Vidi Tommy Logan, un giovane e promettente signore della droga, gli chiesi: — Tommy, posso parlarti? — Certo, figliolo. Aveva la metà dei miei anni. Disse: — Ti trovo in forma. — In forma per cosa, eh? Ridemmo, composti, alla battuta. Gli chiesi: — Ho bisogno di un favore, Tommy. Ci spostammo all’estremità del bancone. Dove nessuno ci poteva sentire, né raggiungere. Feci un respiro profondo e dissi: — Ho bisogno di un po’ di roba. Il lavoro di Tommy consisteva nel non mostrare quello che pensava o provava. Esibì una sensazione vicina allo stupore. Rispose: — Non avrei mai detto che usavi l’ago. — Una botta e via, per un amico. — Cazzo, Mitch, la trappola è proprio questa… basta una volta. Tra poco avrebbe iniziato a farmi la predica. Tagliai corto e domandai: — Puoi procurarmela? Ho anche bisogno degli strumenti. Una siringa… ecco. — Certo, te la procuro entro la chiusura. Scosse la testa e concluse:


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— Mi sei simpatico, Mitch, quindi l’unica cosa che ti dirò è: take it easy. — Una canzone di Iris DeMent si intitola Easy. — Di chi?


6.

Quando briony arrivò aveva l’aria di una raggiante signora con la borsa. Ne indossava una piuttosto pacchiana di non so quale stilista. Mi strinse in un abbraccio fortissimo e mi chiese: — Ti piace il mio vestito? — Ahm… — L’ho rubato dal negozio di Vivienne Westwood. Prima che riuscissi a rispondere, disse: — Mitch, ti andrebbe di prendere una Glock? — Ho già rifiutato un Revolver. Sembrava delusa, disse: — È una 9 mm. — Accidenti, Bri, ma allora fai sul serio. Iniziò a frugare nella borsa, dicendo: — Te la faccio vedere. Le afferrai la mano e la pregai: — Per favore, non tirare fuori una pistola in mezzo a questa folla… La prenderò dopo, ok? — Ok, Mitch. Norton gridò: — Che cosa bevi, Bri? — Un Harvey Wallbanger. Una donna entrò nel pub. Quella dell’Aston Martin. Dissi a Bri: — Scusami un attimo.


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— Frank arriverà più tardi, Mitch. Frank il ritardatario. Mi avvicinai e dissi: — Buonasera di nuovo. — Fece quasi un salto, poi si ricompose e disse: — Non so come ringraziarla. — Mi ha fatto piacere aiutarla… mi ha seguito fin qui? — Cosa? Oh signore, no… Sono in cerca di notizie. Mi mancò il fiato. — Fa la giornalista? — Sì, e una qualsiasi riunione tra criminali nel sud–est di Londra fa notizia. Rivolse lo sguardo verso il bar. Un gruppetto di uomini sinistri era impegnato in una fitta conversazione. Avevano l’aria minacciosa. Riprese: — Sembrano piuttosto cattivi. — Ha ragione. Sono poliziotti. Rise e disse: — Dice sul serio? — Vuole qualcosa da bere? — Acqua minerale… mi chiamo Sarah. — Mitch. Mi chiesi se fosse il caso di correggere di nascosto la sua acqua minerale, per farla sciogliere un po’. Poi decisi di vedere come sarebbe andata. Dopo aver bevuto un sorso, disse: — Immagino che sia la festa per un delinquente che è appena uscito di prigione. — Che sarei io. — Oh. Bevvi un po’ di birra e dissi: — Non sono un delinquente, sono semplicemente disoccupato. Incassò e disse: — Di che cosa si occupa, oltre a salvare le signore? — So fare qualsiasi cosa, provi a dirne una. — L’operaio? Si soffermò un attimo, poi riprese:


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— Mi faccia controllare. Ha un telefono? Le detti il mio numero e le domandai: — Non è preoccupata al pensiero di raccomandare un ex detenuto? — Se ottiene il lavoro, sarà lei a doversi preoccupare. Sorrisi, ma non la presi sul serio. La prima di una serie di valutazioni decisamente errate. Sarah si allontanò, immagino per fare le sue ricerche. Più tardi, Tommy Logan mi venne incontro e mi allungò un pacchetto. Dissi: — Ti devo un favore, Tommy. Bri mi afferrò e disse: — Mitch, ho appena incontrato un ragazzo divino. — Uh–uh. Era mano nella mano con un punk. Avrà avuto diciannove o vent’anni. Sembrava un David Beckam malandato ma aveva il ghigno tipico del gangster che sarebbe diventato. Disse: — Ciao, fratello. O sei un nero, o non esiste una risposta adatta a questo. A parte una pacca sulla testa, ma non ero dell’umore giusto. Bri era entusiasta: — Mitch, gli ho detto che lo prenderai sotto la tua ala. — Non penso proprio. Sembrava sinceramente sorpresa. — Non ti piace? — Bri, non lo conosco e non voglio conoscerlo, adesso lasciami in pace. Sparì nella folla. Continuai a socializzare ancora un po’, poi decisi che ne avevo abbastanza. Vidi Norton e gli dissi: — Billy, ti lascio. — Come… già? — Sono abituato ad andare a letto presto. — Va bene… senti, per il lavoro… — Quale? Quello di usuraio? — Non è come credi. Dovresti accompagnarmi soltanto una o due volte alla settimana. — Billy…


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— No, ascolta… la casa in cui abiti, i vestiti... non c’è bisogno che ti dica che non esistono pasti gratuiti. Questo a dimostrazione di quanto possa essere debole un principio. Volevo l’appartamento, i vestiti, la vita. Gli chiesi: — Quando? — Va bene mercoledì? Ti passo a prendere verso mezzogiorno. — Mezzogiorno? — Sì, i nostri clienti non si alzano presto. È per questo che quei deficienti sono sempre al verde. Come diceva Jack Nicholson in Voglia di tenerezza: «E io che credevo di essere riuscito a scamparla». Ero già sulla porta quando Tommy Logan mi chiamò e disse: — C’è una rissa fuori, sul retro. — Come se me ne fregasse qualcosa. — Beh, ti dovrebbe fregare invece, si tratta di tua sorella. Per un attimo pensai di lasciarla lì a sbrigarsela da sola, poi sbottai: — Cazzo. Tornai indietro. Superai casse di birra accatastate, fusti vuoti, diretto verso il cortile. Il punk stava appoggiato al muro, con un profondo squarcio nella guancia. Bri gli puntava la Glock al volto. Dissi: — Bri… Bri, sono Mitch. Senza muoversi, rispose: — Voleva ficcarmela in bocca. Mi avvicinai e le dissi: — Pensavo che la pistola fosse un regalo per me. — Sì, è vero. — Beh, allora dammela, che ne dici? Fissò il punk intensamente, poi rispose: — OK. — E me la passò. Sembrava che il ragazzo fosse sul punto di svenire. Si accasciò, il sangue sgorgava dalla ferita. Mi piegai su di lui e iniziai a rovistare nelle sue tasche. Bri mi chiese: — Lo stai derubando? Non che le interessasse qualcosa, era soltanto curiosa.


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— Sto cercando la droga, è cocainomane, prima l’ho visto sniffare. — Vuoi farti una pista? Trovai un pacchetto, lo strappai. Sparsi la cocaina sulla ferita per arginare il sangue. Bri chiese: — Cosa stai facendo? — È un anestetico. — Come fai a saperlo? — Il mio compagno di cella era un tossico. Mi alzai, la presi per un braccio e dissi: — Andiamo. Fuori, mi chiese: — Ti va di andare a ballare? Fermai un taxi, la feci salire e la salutai dicendo: — Ti chiamo domani. — Mitch, spero che non ti sia dispiaciuto se Frank non ce l’ha fatta a venire. — No, no, non fa niente. Camminando verso la metropolitana, avevo addosso dell’eroina, una pistola e mezza busta di cocaina. Gesù, cos’altro potevo desiderare da una serata in centro a Londra? Di ritorno all’appartamento, mi tolsi le scarpe, aprii una birra e collassai sul divano. Dopo qualche istante, mi tirai su, preparai una striscia di coca e la tirai velocemente. In meno di un secondo ero già stordito. Cazzo, roba di prima qualità. Avevo detto la verità a Bri, raccontandole di aver condiviso la cella con un tossico. Lui mi aveva spiegato tutto della roba, di come baciava dio. Diceva di toccare le stelle. Avevo deciso che avrei provato, una volta sola, in occasione della mia prima sera di libertà. Notte dopo notte aveva rivissuto il suo primo buco. Era come trascorrere tutta la vita nelle tenebre e poi, improvvisamente, uscire alla luce. E ridere di gusto. I nervi come velluto, la pelle lucente. Percepisci una tale energia da sentirti bionico, dannazione.


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Naturalmente, mi parlava anche degli svantaggi. Immaginavo che li avrei potuti sopportare. Ma non quella sera. Non ero dell’umore giusto. Andai in camera da letto e nascosi la roba sotto una pila di felpe. Misi la Glock sotto il materasso. La cocaina mi teneva sveglio, camminavo avanti e indietro. Andai alla libreria e scelsi un libro di James Sallis. Poesia. Smarrimento. Dipendenza. Perfetto. Circa a metà del mio periodo di detenzione, ricevetti una visita dal cappellano. Ero sulla branda a leggere. Il mio compagno di cella era andato a un incontro dell’Anonima Alcolisti. Il cappellano era educato e mi chiese: — Posso entrare? — Certo! Qualsiasi diversivo andava bene. Si mise a sedere sulla branda di fronte studiando i libri allineati sulla mensola: filosofia letteratura thriller poesia. Disse: — Hai dei gusti letterari eclettici. Pensai che avesse detto elettrici, risposi: — Leggo qualsiasi cosa mi dia una scossa. Sorrise come fanno i religiosi, tutta apparenza, niente calore, disse: — No... «eclettici», significa variegati. Mi piaceva, dissi: — Mi piace. Prese un libro di poesia, disse: — Rilke, mi sorprendi. Provai a ricordarmi quel verso, mi buttai: — Tutte le cose terribili abbisognano del nostro amore. — Funzionò, rimase esterrefatto. Andai oltre, gli chiesi:


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— Pensa che i detenuti qui abbiano bisogno d’amore? Assunse un tono evangelico e disse: — La maggior parte degli uomini che stanno qui dentro non è cattiva, è soltanto… Ma non riusciva a trovare un aggettivo calzante. Dissi: — Evidentemente lei non ha mai mangiato un boccone con noi. Ieri un ragazzo è stato accoltellato in pieno viso per una crème caramel. — Oh povero sventurato. — Questo è un modo di vedere la cosa. Mi alzai in piedi, rollai una sigaretta, la offrii al cappellano. — No, ma ti ringrazio. Nutrivo una sorta di interesse nei suoi confronti. Gli chiesi: — Lei guida? — Prego? — Ha una macchina. Mi piace parlare di motori. — No, vado in bicicletta. Ovvio. Adagiò le mani sulle ginocchia, l’espressione del suo volto passò in modalità “empatia” e disse: — C’è qualcosa che ti tormenta? Proruppi in una risata chiassosa, indicai il mondo fuori dalla cella e risposi: — Tiri a indovinare. — Condividere fa bene. — Parli a voce bassa, Padre, le sue parole potrebbero scatenare una rivolta. Si alzò in piedi, aveva svolto il suo dovere, disse: — Sei una persona interessante. Posso ritornare un altro giorno? Ero di nuovo sulla branda, risposi: — La mia porta è sempre aperta. Naturalmente, non venne mai più a trovarmi.




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I libri cambiano il mondo.

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