Luigi Milani Nessun futuro
Casini Editore
Š 2011 Valter Casini Edizioni www.casinieditore.com ISBN: 978-88-7905-164-4
Prefazione: Il regno del caos
Se fosse un film, sarebbe La banda di Eddie. Se fosse un gruppo, nessun dubbio: Nirvana. Se fosse una canzone, A Day in the Life, ma non chiedetemene il perché (è stata la colonna sonora mentale, mentre m’immergevo nelle pagine di Nessun futuro… ah, non la versione originale dei Beatles, ma la cover di Brian Auger). Se fosse, ma non è. Perché Nessun futuro è un romanzo di Luigi Milani: già di per sé sfuggente, straordinariamente inclassificabile e non ingabbiabile nella trita ripartizione dei generi di supposta pertinenza. Forse la definitiva dimostrazione che il Rock — con la erre maiuscola — è un universo alternativo, una categoria a sé che viaggia carsicamente tra i generi più popolari e il mainstream. Luigi, amico scrittore e giornalista di recente acquisizione (il cinquanta per cento di una
coppia bellissima e affiatata di cui l’altra metà risponde al nome di Chiara Perseghin, blogger instancabile e di rara intelligenza), ma di quelli che in realtà si conoscono da sempre, ci fa partecipare con questo suo lavoro a una serie di miracoli. Vado a elencarli, tentando di produrne uno anch’io, quello di non guastarvi la lettura svelando i giochi più importanti. Il primo: dall’inizio fino — quasi — alla fine, Luigi costruisce un romanzo in levare. A dirlo, sembra di pontificare teorie; ma, a riuscirci (senza essere sleali), ecco che ci si ritrova a maneggiare un prodotto nel quale, tra le pieghe della storia, aleggia costantemente l’epifania di qualcosa di terribile e meraviglioso sempre in procinto di svelarsi. Una sorta di genius temporis che guida le vite dei due protagonisti sino a un finale svelamento che potrebbe suonare come augurio planetario per chiunque. Secondo: Nessun futuro è un romanzo– backstage, ma autentico. Nessuna pappetta preconfezionata. E, ambientandosi nel mondo del rock (pardon, del Rock), si trasforma in un cosciente manifesto, satirico e di denuncia, dei meccanismi — quelli reali e non retorici — dello star system. Terzo, forse il più importante a livello autoriale: Milani gestisce la storia attraverso l’io narrante di una donna, Kathy Lexmark, giorna-
lista televisiva trentenne, con un divorzio alle spalle e un futuro professionale quanto mai problematico. Un progetto ambizioso che sovente si rivela una trappola anche per i professionisti più scafati: lo scrittore maschio che entra nel corpo e nella mente di una donna (in più di un caso, ci s’imbatte nell’operazione opposta) può divenire una quest ricca d’insidie, ma Luigi attraversa il campo minato con una coscienza “fisica” di cui molte scrittrici potrebbero dichiararsi invidiose. E poi, la sintesi, un gioco raffinato e leggero che fa sì che in un romanzo temporalmente strutturato e circoscritto negli ultimi mesi del 2001 transiti mezza storia del rock contemporaneo: dai Beatles al “virus Yoko Ono”, dal fantasma di Jim Morrison alla urban legend della “finta morte” di certe rock star, dai Police — sarà un caso che il “protagonista” sempre fuori campo si chiama Summers? — agli stessi Rolling Stones, fisicamente presenti nel plot e inseriti in un contesto apocalittico e spettrale come quello di una dismessa installazione nucleare nel New Mexico, giusto per non lesinare sulla metafora. E David Lynch, affiorante qua e là in piacevoli ammiccamenti metatestuali. Però, se mi fermassi qui, mi ritroverei ancora fermo a ragionare sulla buccia. Perché, come in un romanzo di Don DeLillo — forse il modello
più inconsciamente richiamato, ammesso che esista un modello — quel che c’è sotto la storia è che non c’è alcuna vera storia, ma frammenti di un Caos, impossibili da ricombinare temporalmente, unici agganci “irreali” con la strana vita che ci corre attorno e attraverso. “Caos” è un termine che ricorre spesso nel lavoro di Milani: nel nome del gruppo di Summers (Chaos Manor), in tre dei suoi dischi fittizi (Welcome to the Chaos, From the Beginning: Primordial Chaos, A Guide to the Chaos) e negli snodi essenziali del romanzo, quasi che Milani e Summers fossero in qualche modo sovrapponibili. Soprattutto quando, a un passo dall’epilogo, l’autore ci rassicura che «c’è vita oltre il caos», cosa di cui non avevamo dubbi dopo avere constatato quanta ce n’è “dentro” il caos. E la vera scoperta di questo libro diventa allora la forza invisibile di una presenza ctonia che preme verso l’alto, occultata dalla forma iper–realistica dei media contemporanei, in primis la TV e la fotografia: la presenza–assenza dell’horror come sola e possibile chiave d’accesso al mistero di queste pagine. A partire da quel Chaos Manor, immaginario titolo di un altrettanto inesistente film di Roger Corman, interpretato da un trittico a dir poco delizioso (Karloff, Price e Raquel Welch!) nonché tratto
da un racconto mai scritto di Lovecraft, transitando attraverso vari riferimenti kinghiani, per arrivare al tema principe del libro, la zona borderline tra la vita e la musica laddove i fantasmi del Rock esistono sul serio e possono manifestarsi ai nostri sensi… Mi rendo conto che sto travalicando gli etici limiti di una prefazione, e qui mi fermo. Non prima di condividere con il fortunato lettore il mio più sincero stupore per l’approccio assolutamente yankee di Milani al set e alle tematiche di Nessun futuro: nulla risulta posticcio o artificioso e non c’è una riga che non paia realmente scritta e vissuta da una vee–jay americana in precario equilibrio sull’ondeggiante corda tesa della vita o da una rock star inglese, ripresa nel pieno della sua decadenza o della sua quasi morte. Lo sapevamo già, e non solo per gli esempi da alta classifica. Gli autori italiani sono in grado di vincere la sfida internazionale. Luigi Milani è tra questi. C’è sul serio un altro futuro nel suo Caos. Danilo Arona
Una cosa ho capito della celebritĂ , la sua irrealtĂ . Norman Mailer
Prologo
NESSUN FUTURO
Grunge, v. anche punk rock, beat.
1989/90 — Il termine “grunge” originariamente è utilizzato in riferimento al suono pungente della chitarra nei gruppi che incidono per l’etichetta indipendente Sub Pop. Quando il gruppo dei Chaos Manor, già sotto contratto con la S.P., si aggiudica il suo primo platino, dopo aver firmato un contratto con la Geffen Records, il grunge è ormai un fiume in piena su MTV. 1993 — Le liriche desolate di Phil Summers e le immagini crepuscolari dei video della band rimpiazzano l’estetica fino ad allora dominante di gruppi come Warrant, Poison e Slaughter. Non c’è più spazio per cori tumescenti e colori sgargianti, residuo avvizzito della fine degli anni Ottanta. La musica del gruppo è una miscela esplosiva di energia punk e romanticismo pop. Rabbia indistinta e alienazione i temi più diffusi. Enciclopedia del rock, Seattle Editions, 2002
1. Il luogo
Il luogo, la stretta strada del lungolago di Oakville, Canada. L’ora, le tre del mattino. Protagonisti della scena, una coppia di giovani. Unica spettatrice, almeno fino a un attimo fa, la luna. Ora anche lei preferisce celare il pallido volto dietro una coltre di nubi densa come bitume. I fari della tua Porsche rischiarano a tratti l’asfalto viscido. Non dovresti stare al volante, non nelle tue condizioni. E neanche potresti, se ricordi bene: ti è stata ritirata la patente per guida in stato di qualcosa. Dai finestrini filtra nell’abitacolo l’odore acre della terra bagnata. È piovuto da poco, e
Nessun futuro
il fondo stradale è sfuggente come le mani di quei politicanti da quattro soldi che sono venuti a trovarti in camerino al termine del concerto. Pacche sulle spalle, sorrisi ammiccanti, si sono fatti riprendere in pose amichevoli con te e la tua donna. Manovre strategiche per accattivarsi le simpatie dell’elettorato giovanile. Te ne sei liberato in fretta, e non posso certo biasimarti per questo. Poi però non hai voluto sentir ragioni. Scaricato l’autista, non hai seguito il resto della band a cena. Hai convinto Marie a salire in macchina con te e, nonostante la stanchezza mortale, siete partiti. Non è stata una buona idea, ammettilo. Accade tutto in una manciata di secondi. Marie dorme, o meglio dormiva fino a poco fa, quando hai cominciato a schiacciare l’acceleratore. Ora ha paura, ma non dice una parola, il viso rivolto al finestrino. Le gomme grattano l’asfalto con uno stridio da animale ferito. La sciabolata improvvisa di un faro illumina il brusco strapiombo che precipita nel lago, oscura massa d’acqua gelata che riposa un centinaio di metri più in basso (riposa, o forse è solo in attesa). In nome di cosa hai aumentato l’andatura? Per sentirti vivo sfidando la morte, per assaporare le scariche di adrenalina?
Prologo
Acceleri ancora. L’auto ormai è solo una scia crepitante nella notte. T’inebria affrontare le curve più difficili senza rallentare. Provi un piacere quasi fisico, non è vero? Ma poi accade, e non puoi dire che sia stata una fatalità. Avverti un colpo sordo nel retro della macchina. In una frazione di secondo vagli più di un’ipotesi: una gomma esplosa, o l’urto con un ostacolo non visto. Preghi non sia accaduto niente di serio. E, in effetti, per lunghi impossibili attimi d’irreale sospensione la situazione sembra non mutare. Mantieni il controllo, vero? No che non è vero. Magari potessi mantenere il controllo della situazione. L’auto sbanda violentemente, serpeggiando sui tornanti bui come un rettile affamato a caccia di una preda sfuggente. Non c’è più molto da fare, amico mio, mentre sfiori la spalla della tua donna. È terrore misto a incredulità l’espressione che cogli nei suoi occhi sbarrati. Il tocco della morte che ti sveglia un attimo prima di accoglierti nel suo abbraccio, ecco cos’è. Il gioco sadico di un’entità maligna, pensi. Superare il ridicolo riparo offerto dal guardrail è questione di un attimo. L’auto è pronta a spiccare il volo, e per un attimo tu e
Nessun futuro
Marie avete davvero l’illusione di volare, nella costosa bara di vernice metallizzata. Puntate diritti verso il cuore del lago. L’aria che fugge via al vostro passaggio fischia un motivo di protesta. Sensazione d’irrealtà, e follia, e incredulità. “Tutto questo non sta accadendo sul serio”. Speri in un miracolo. Ti auguri che il guardrail abbia tenuto, che l’incidente non sia mai accaduto. Non è la prima volta, del resto, che un’allucinazione ti cattura con maggiore evidenza della realtà. Dio solo sa quali possano essere gli effetti combinati delle sostanze psicotrope e dell’alcool. False percezioni più reali di un quadro di Max Ernst, delirio di onnipotenza, allucinazioni più vive di quanto non lo sia tu, Philippe Summers. “Non è successo nulla”. “Appena mi si schiarirà la testa, riderò di questo brutto viaggio”. La caduta è interminabile. Non date retta a chi racconta che negli ultimi istanti si srotola davanti a voi il film di una vita intera. Stronzate da film hollywoodiano. Oppure, più semplicemente, se manchi lo spettacolo è solo perché non è ancora giunto il tuo momento. L’auto che morde i fianchi rocciosi della collina, saltando in aria, con un boato che
Prologo
squassa il petto e sospinge lontano stormi di uccelli impazziti, è solo una sensazione periferica, ben oltre la soglia della coscienza.
2.
Un fitto reticolo di tubi incolori tesse contorte geometrie sul soffitto opalino, condotti d’aerazione che soffocano solo a guardarli. Sei in uno stanzone illuminato a giorno, vetrate azzurrine per pareti. Sul torace, ghirlande di cavi collegano minuscoli sensori a complessi sistemi di monitoraggio. Le braccia hanno fatto da bersaglio a un fitto lancio di aghi di vario calibro. Contempli la tua umanità fluire nei sacchetti di plastica traslucidi appesi alla sponda del letto. Vorresti piangere, ma sei stremato, e sprofondi di nuovo nel sonno. Meglio così, lasciati andare. Hai bisogno di riposo dopo quello che è accaduto.
Prologo
Qualcuno ti sta prendendo a schiaffi. È un’infermiera, che apre la bocca e muove le labbra, ma non riesci a sentire le sue parole. “La pista della voce è da tirare su, dov’è il tecnico del suono?”. — Signor Summers! Signor Summers! So che è sveglio e che è in grado di sentirmi. Apra gli occhi, da bravo! “Apro gli occhi, sì, ma: 1. perché urla tanto questa donna? 2. questo cazzo di neon mi sta bruciando gli occhi e mi sento come se mi avessero buttato dentro un tritacarne”. Hai una sete infernale. Chiedi dell’acqua, ma la tua richiesta cade nel nulla. Sollevi la schiena dal letto, spalanchi gli occhi, gridi con un filo di voce che hai sete. Ti rispondono di stare calmo: non puoi assumere liquidi al momento. Qualcuno soggiunge in tono vagamente canzonatorio di non preoccuparti, che non morrai di sete. Ti lasci ricadere sul letto. Attraverso gli occhi socchiusi intravedi Marie, in piedi accanto a te. Ma non ti tranquillizza neanche un po’ vederla con i vestiti laceri e ricoperta di sangue. Protendi il braccio verso di lei, le sussurri di avvicinarsi. Lei ubbidisce, e finalmente riesci a vederle il viso. È allora che riesci di nuovo a sentire il suono della tua voce, perché stai urlando a pieni polmoni.
Nessun futuro
Sono orbite vuote quelle che ti fissano, e solo il sonno indotto artificialmente ti salva la ragione. Trascorri una settimana in questo reparto triste come solo un ambiente perfettamente sterile può essere. Il silenzio è opprimente, facile da saturare di pensieri. “Ora so”. Cosa sai? “So di lei”. Davvero? E cosa sai? “Che lei non c’è più”. Chi te l’ha detto? “Nessuno. Lo senti, quando rimani solo”. Phil, Phil, non cambierai davvero mai! E tuttavia hai ragione, anche se speri ancora in un miracolo, come quello che ti ha tenuto in vita nonostante lo schianto. Tra qualche giorno uno psicologo ti rivelerà che Marie, la tua compagna, è morta. “Non ha sofferto” si premurerà di specificare, come se la puntualizzazione possa alleviarti il dolore. Il funerale, che si terrà in forma strettamente privata, sarà celebrato alla presenza dei soli familiari. Ci sarà anche il tuo amico Adam. “Adam! Lui sì che potrebbe aiutarmi! Perché non è qui?”. Di lì a poco ti trasferiscono in una stanza extralusso, con terrazza panoramica sul grande lago
Prologo
ghiacciato e impianto di climatizzazione degno dell’hotel Hilton. Hai diverse costole incrinate, il viso gonfio e rattoppato e, per scimmiottare l’arido linguaggio medico, ferite lacero–contuse disseminate un po’ ovunque sul corpo. Eppure le infermiere che, incredule, scuotono la testa davanti al tuo letto, usano queste parole quando parlano tra loro: — E ti pare un miracolo, questo? Sei vivo, anche se nessuno riesce a capire come mai. Tu per primo ti domandi perché e in nome di quale beffardo scherzo del destino tu abbia avuto salva la vita, e lei no. — Da un incidente come quello non si esce vivi, ragazzo — ha commentato stupito, perfino sospettoso giureresti, il tenente incaricato di stilare un rapporto per la polizia. Una perizia giurata stabilirà che sei stato sbalzato fuori dall’auto subito prima dell’urto contro la parete di terra e roccia. Come in un inverosimile film d’azione, la vegetazione, che in quel punto ricopre fittamente il declivio, ti ha intrappolato, ed è stata la tua salvezza. Ora sei libero di alzarti. Potresti perfino raderti, se ne avessi voglia. Ma non ne hai, vero? Non trovi neanche la forza di mandare giù un boccone, dunque perché stupirsi se hai deciso di non curarti del tuo aspetto? Non impiegherai molto per sprofondare nell’apatia, e più d’uno ti accuserà, anche dalle
Nessun futuro
pagine dei soliti giornali scandalistici, d’insensibilità. Se guardassero bene, si accorgerebbero di quanto tu sia poco, per non dire affatto, reattivo agli stimoli. Sei bolso di sedativi, e negli intervalli di lucidità ti colgono crisi di pianto miste ad accessi di violenza. Ti assiste uno psicologo, ma quando viene a trovarti ti limiti ad annuire con aria assente. Che stupido, pensa davvero di poterti consolare, quello strizzacervelli? Nei giorni che precedono le tue dimissioni, cerchi a fatica di recuperare uno straccio di equilibrio mentale. Il fisico reagisce bene, ti sei quasi completamente ristabilito. “Ho bisogno di grucce per camminare”. Non importa. Il naso è sistemato, i tagli su quel bel visetto rammendati. Ma soprattutto… “…Mi hanno rasato i capelli”. Ricresceranno, sta’ tranquillo. Li porterai più lunghi di prima. Soprattutto, dicevo, non c’è più traccia di stupefacenti nel tuo organismo. “Cosa?”. Ti è stato praticato il lavaggio del sangue. Non lo sapevi, vero? L’ha richiesto Karen, la tua agente, e credo sia stata un’ottima idea. “Non aveva alcun diritto di farlo!”. Amico mio, non eri in grado di assumere alcuna decisione. L’ha fatto lei per te, nel tuo interesse. Dovresti esserle riconoscente, invece.
Prologo
Ma molto spesso le cose non sono così facili, certi problemi non si risolvono con una centrifuga. — Comunque vogliamo chiamarli, i problemi di Philippe Summers sono di natura essenzialmente psicologica — ripete il primario al dittafono, seduto nel lussuoso studio della casa di cura in Svizzera. Dopo una settimana di terapia di sostegno, ti è stato concesso di passeggiare senza essere sorvegliato: non rappresenti più un pericolo per te stesso e per gli altri ricoverati, i quali però ti evitano, e non per una forma di rispetto (al contrario, sappiamo tutti che le disgrazie che colpiscono le persone famose esercitano da sempre un richiamo irresistibile per la gente comune). Il motivo è un altro. Ti sfuggono perché incuti timore: parli da solo, o meglio, dialoghi con qualcuno che esiste solo nella tua immaginazione, mentre ti aggiri nella vestaglia di raso blu per i corridoi surriscaldati dell’ospedale, o lungo i viali del parco innevato. “Non sono pazzo, parlo con lei”. Nel tuo stato da morto vivente neanche ti accorgi dell’assenza di visite. La casa discografica ha innalzato una cortina di riservatezza attorno alla tua vicenda, e benché la notizia del tuo incidente abbia fatto il giro del mondo, trascorreranno diverse settimane prima che qual-
Nessun futuro
cuno riesca a scoprire dove sei ricoverato. E a quel punto sarà troppo tardi. Del resto, se tu fossi appena più presente a te stesso, ti saresti già reso conto che tagliare i ponti con tutti, come hai fatto sistematicamente da quando è iniziata la storia con Marie, non è stata un’idea felice. “Ho sempre amato la solitudine. Non sai quanto mi costi esibirmi su un palco davanti a migliaia di persone”. È vero. Amici veri ne hai sempre avuti pochi, perlopiù persone fuori dello showbiz. È uno dei prezzi che esige la fama, la solitudine. La musica compensa ogni carenza, hai detto una volta in un’intervista. Ma eri poi così solo? E Adam? Il pubblico adorante? Che avessero ragione i tuoi fan, quando hanno visto un pericolo nell’arrivo sulla scena di Marie? “Non mi interessa ciò che dicono di lei. Sono solo invidiosi”. Davvero erano inconciliabili l’amore di una donna e gli altri due lati del triangolo? “Quali lati? Di cosa parli?”. Tu, Adam, e la musica che suonavate. “Sono solo stupide cattiverie messe in giro da gente che odia il gruppo. Non siamo mai stati simpatici a certa gente”. Questo è vero. E non mi stupirei se una zelante agenzia governativa avesse aperto un cor-
Prologo
poso fascicolo sull’incidente del Lago Ontario, amico mio. La giornata si trascina a fatica nella tua stanza d’ospedale, e ti sorprendi a rincorrere, ora che la nebbia che opprimeva la tua mente si sta finalmente diradando, sempre gli stessi pensieri. Morte, solitudine, fallimento: sono queste le parole che ripeti di continuo, sussurrandole, più spesso gridandole. Chiami un infermiere col pulsante sopra al letto, lamenti forti dolori al torace. Il paramedico ti prende il polso, chiama il medico di guardia. Non ha alcuna intenzione di macchiarsi il curriculum con la morte di una celebrità. — Summers, non c’è nessun problema. Domani, dopodomani al massimo la dimetteremo — dichiara rassicurante il giovane medico dalla faccia pulita. “Avrà la mia età. Sembra soddisfatto di ciò che fa. Non come me, che gioco a fare il pagliaccio su un palco illuminato”. Lo guardi spegnere la luce e uscire dalla stanza. Ti addormenti al chiarore artificiale dell’illuminazione notturna, un bagliore azzurrino che ti fa ripensare alla luna, quella maledetta! Non c’era, la notte che la strada è impazzita sotto le ruote.
I libri cambiano il mondo
Casini Editore
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Casini Editore Via del Porto fluviale, 9/A – 00154 Roma www.casinieditore.com info@casinieditore.com Finito di stampare nel mese di gennaio 2011 Stampato per Casini Editore dalla Arti Grafiche la Moderna – Roma
Luigi Milani
NESSUN FUTURO Nessun futuro è un romanzo a cui la categoria di romanzo va stretta. Potremmo chiamarlo romanzo/backstage, visto che descrive una vicenda che si svolge negli ultimi mesi del 2001 ma in cui magicamente si affaccia mezza storia del rock, dai Beatles al fantasma di Jim Morrison, dalle morti “messe in scena” di certe rock star ai quanto mai vivi Rolling Stones. Ma in realtà Nessun futuro sfugge a qualsiasi classificazione: come il vero rock, in fondo. E come il vero rock, ci trascina con sé e ci imprigiona nel suo mondo con la sensazione che stia per accadere qualcosa, e poi qualcos’altro, e poi ancora qualcos’altro, in un crescendo vorticoso di suspense e adrenalina.
Lo show business è spietato, e non guarda in faccia a nessuno, non importa quante copertine ti abbiano dedicato quando eri famoso. Se abbandoni il palco prima che le luci si spengano, difficilmente riuscirai a risalirvi. Non c’è mai stato un futuro per gente come te, Phillippe Summers. Avresti dovuto saperlo.
Immagine in copertina © 2011 iStockphoto LP
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