Arthur Nersesian STATEN ISLAND
traduzione di valentina volpi
Casini Editore
Titolo originale dell’opera: The Swing Voter of Staten Island Copyright © 2007 by Arthur Nersesian Originally published by Akashic Books www.akashicbooks.com © 2011 Valter Casini Edizioni www.casinieditore.com ISBN: 978-88-7905-192-7
A Margarita Shalina
Salite attraverso il Negheb; poi salirete alla regione montana e osserverete che paese sia, che popolo l’abiti, se forte o debole, se poco o molto numeroso; come sia la regione che esso abita, se buona o cattiva, e come siano le città dove abita, se siano accampamenti o luoghi fortificati; come sia il terreno, se fertile o sterile, se vi siano alberi o no. Siate coraggiosi e portate frutti del paese. — Numeri, 13:17–20
— Cammina verso Sutphin Boulevard… — Sole di mezzogiorno. — Sali sul Q28 per Fulton Street… — Piccoli magazzini. — Cambia col B17 e arriva all’East Village a Manhattan… — Parcheggi vuoti per camion. — Aspetta fuori dalla Cooper Union… — Nulla. — Finché non arriva Dropt… — Nessuno in giro. — Sparagli un colpo alla testa… — “A chi? Dove sono?”. — Poi prendi un taxi per ritornare all’aeroporto e sali sul primo volo in partenza… I suoi pensieri iniziavano a interrompere quell’infinita cantilena. — Cammina verso Sutphin, sali sul Q28 per Fulton Street, cambia col B17 e arriva all’East Village a Manhattan, aspetta fuori dalla Cooper Union finché non arriva Dropt, sparagli un colpo alla testa, poi prendi un taxi per ritornare all’aeroporto… Non riusciva a smettere. In realtà, Uli neanche si rendeva conto di stare ripetendo qualcosa ad alta voce. Era appena uscito dall’aeroporto JFK e si trascinava come un sonnambulo su Rockaway Boulevard nel Queens. Un dolore pungente lo costrinse a guardare in basso. Un grosso ratto peloso lo stava mordendo. No, era un cagnetto con le costole e le ossa dei fianchi in evidenza che tentava di inclinare
le piccole fauci per stringerle attorno alla sua caviglia destra. Uli scacciò il bastardino e considerò l’idea di prendere un taxi, ma i suoi pensieri gli ordinarono diversamente: “Cammina verso Sutphin, sali sul Q28 per Fulton Street, cambia col B17 e arriva all’East Village… finché non arriva Dropt… un colpo alla testa, poi prendi un taxi per ritornare… Cammina verso la Sutphin, sali sul Q28 per…” Mentre camminava lungo il viale desolato, lo sentì di nuovo. Il cagnolino stava tranquillamente tentando di mangiare la gamba di Uli. Calciò via la bestiola, che scappò tra i guaiti. Guardando in su, Uli andò quasi a sbattere contro un cartello di legno con tre simboli a forma di freccia. Ognuno puntava in una direzione diversa: «Woodhaven Boulevard», «Atlantic Avenue» e «Sutphin Boulevard». “Cammina verso Sutphin, sali sul Q28 per Fulton Street…” Adesso si ricordava che un uomo coi capelli bianchi e con un cane di piccola taglia gli aveva velocemente impartito le cruciali istruzioni — la cantilena. Svoltando a sinistra all’angolo successivo Uli notò qualcosa di strano, mezzo isolato più in là, sulla lunga strada sabbiosa. Innalzata a più di un metro da terra, con una scaletta attaccata, c’era una piattaforma di legno simile a un molo, solo che questa era sulla terraferma. E alla base, si vedeva una bella donna con corti capelli castani e grandi occhiali da sole arancioni. Era stancamente appoggiata a un cartello, intenta a scrivere su un registro delle dimensioni di un elenco del telefono. Non appena le si avvicinò, vide un cane dalle orecchie pendule e zampe posteriori stranamente grandi premuto contro di lei. “Scappa!” urlò dal nulla e con forza una voce. C’era qualcosa che non andava. Uli aveva la gola secca eppure la maglia era fradicia di sudore. Avvertiva una qualche specie di droga in circolo nel suo sistema, gli intorpidiva la mente e inibiva l’istinto di darsi alla fuga. All’improvviso un branco di cani feroci sbucò
da dietro un magazzino a poco più di cinquanta metri e iniziò a correre verso di lui. Le scarpe di Uli affondavano e scivolavano lungo la strada sabbiosa, e alla fine capì che la piattaforma di legno rialzata era la fermata del Q28. La donna lo vide scattare nella propria direzione col branco alle calcagna. Appoggiò il voluminoso registro sulla piattaforma e poi infilò il suo strano cane in una borsa a tracolla. Salì la scala per raggiungere la piattaforma, bloccando la fuga frenetica di Uli col suo fondoschiena. Uli saltò sul lato della struttura aggrappandosi a uno striscione che recitava «MOBILITATI X SHUB» proprio quando un dobermann balzò verso di lui. Rotolò ansimante sull’impalcatura di legno. Un grosso pit bull si lanciò sui primi gradini della scala, ma non riuscì ad andare oltre quelli. — Sono molto… più veloci… di quel che sembra… — disse Uli, cercando di riprendere fiato. I cani abbaiavano e caricavano verso di loro da ogni direzione. La donna lo ignorò e continuò a compilare il registro. Uli vide che il suo animale non era affatto un cane. — Dove hai trovato quel wallaby? — chiese, fissando i grandi occhi del marsupiale che spuntavano dalla borsa a tracolla. — Era sulla strada, a fianco al corpo della madre, che era stata investita da una macchina — rispose alla fine, sempre continuando a scrivere. — Scusa, non credo di aver capito come ti chiami. — Non voglio essere scortese — disse, — e sono sicura che non vuoi esserlo neanche tu. È solo che ho molto lavoro da sbrigare entro oggi. Mezz’ora dopo, Uli iniziò a chiedersi quanto a lungo poteva resistere, seduto su quella piattaforma di legno poco più grande di un tavolo da cucina, con una stronza sociopatica e il suo orfano di canguro.
— Rispetto il tuo desiderio di tranquillità, ma vorrei essere sicuro che il Q28 si fermi qui. — Circa una dozzina di autobus si ferma qui, prima o poi. Il problema è che ci mettono una vita e, come immagino tu sappia, questo è uno dei punti più pericolosi della città. Perciò, se fossi in te, salirei sul primo autobus che passa e arriverei a un punto di trasferimento più sicuro. — Ritornò immediatamente al suo registro. Nell’ora successiva, ogni volta che Uli gettava lo sguardo verso di lei, la vedeva sfogliare il suo mastodontico fascicolo, leggere, controllare e annotare. La parte peggiore di quel silenzio era la cantilena “Cammina verso Sutphin” che continuava a ripetersi nella testa. — Posso chiederti cosa stai facendo esattamente? — domandò alla fine. — Compilo moduli. — Sono appena arrivato qui, perciò non riesco a capire quello che succede. — Sei appena arrivato? — Così pare, ma non ne sono proprio sicuro. — Va bene, allora, ci sono due principali partiti politici, o bande: i Porci controllano il Bronx, e gli Escrementi le zone di Manhattan e Brooklyn. Governano questo posto. — Perché mai un gruppo si sceglierebbe come nome «Porci» o «Escrementi»? — I Porci all’inizio si chiamavano Noi siamo il Popolo e gli Escrementi Creati tutti eguali. Nel corso degli anni in qualche modo quegli appellativi sono mutati. Comunque — ritornò al suo fascicolo gigante, — svolgo del lavoro amministrativo per loro. — Che genere di lavoro? Dopo un lungo sospiro, rispose: — Ebbene, ho prestato servizio nella Commissione del nove novembre per la lotta alla frode
elettorale cittadina. Devo uniformare i dati registrati qui a quelli relativi al numero, modello, accesso, qualità delle attrezzature e delle cabine elettorali nelle circa due dozzine di distretti che compongono il Queens est — che ho appena ispezionato — per le elezioni del sindaco e le Presidenziali che si terranno la prossima settimana. E se non è tutto pronto domani entro le tre in punto, il partito degli Escrementi perde ogni diritto di presentare ricorso. Altre domande? Anche se per lui nulla di quello che aveva udito aveva senso, annuì nervosamente. — Se sembro un po’ brusca — aggiunse, — è perché fino a novanta minuti fa avevo una guardia del corpo privata e una bella macchina nuova. — Che è successo? — E chi può saperlo? Sono entrata al seggio elettorale Howard Beach, cinque minuti in tutto, sono uscita ed erano spariti entrambi. Quindi non sono dell’umore migliore. Il cucciolo di canguro improvvisamente si mosse saltando fuori dalla sua borsa e atterrando sulla strada, un metro e mezzo sotto. — Merda! — gridò lei nell’attimo in cui il dobermann afferrò il cucciolo con le sue fauci. Senza pensarci, saltò giù dalla piattaforma. — Ridammelo, stronzo! — urlò, tirando il canguro per le zampe che si agitavano. Un incrocio di rottweiler stava per balzarle addosso, quando Uli si buttò dalla piattaforma dritto sull’ampia schiena del cane, stordendolo. Tirò fuori la piccola pistola col calcio rosso che gli aveva dato l’uomo all’aeroporto e piazzò un proiettile nel grosso cranio del dobermann rabbioso. La donna indietreggiò per lo sparo, poi raccolse il marsupiale traumatizzato e si precipitò su per la scala fino alla piattaforma. Quando un pastore tedesco scattò verso di lui, Uli provò ancora a sparargli per scoprire che la pistola era scarica. Afferrò l’animale per il lungo muso e, approfittando del suo stesso slancio, lo fece volare dall’altra parte
della strada sabbiosa. Alcuni cani più piccoli abbaiarono furiosamente contro di lui, arretrando. — Dove diavolo hai imparato a farlo? — gli chiese la donna mentre Uli risaliva sulla piattaforma. — Non ne ho idea. — Hai un’aria familiare — disse, guardandolo attentamente da vicino per la prima volta. — Da dove vieni? — Dall’aeroporto — rispose. Poi spiegò distrattamente: — Mi hanno detto: cammina verso Sutphin, cambia col B17, arriva all’East Village a Manhattan, aspetta fuori dalla Cooper Union finché non arriva Dropt, sparagli un colpo alla testa, poi prendi un taxi per ritornare all’aeroporto e sali sul primo volo in partenza… — Cos’è, uno scherzo? — esclamò. — Un assassino ha sparato a mio marito. È rimasto paralizzato dal collo in giù. — Non ho idea di chi sono o di cosa ci faccio qui — rispose Uli, esasperato. — Hai davvero un’aria familiare — disse lei. — Hai una sorella, vero? — A parte la cantilena, tutto quello che ricordo è che ero su un aereo cargo… o forse era un sogno… — No, probabilmente sei arrivato su un drone. Li fanno volare diverse volte al giorno. Scaricano rifornimenti e ripartono, vedi? — Ne indicò uno che volteggiava sopra le loro teste. — Mi ricordo vagamente un tipo un po’ grasso coi capelli bianchi e una voce acuta. — Sembra Underwood. È il Commissario agli approvvigionamenti che lavora per Shub. Probabilmente Underwood ti ha trovato in uno dei droni e ti ha trasformato in un assassino, addestrandoti come una cavia. Ancora leggermente scosso, Uli osservò la donna riprendere a compilare uno dei suoi moduli.
SEGGIO ELETTORALE DI KEW GARDENS 23.631 votanti iscritti Attrezzature Elettorali Inchiostro: Sì o No? Se sì, quanto? _____ Schede elettorali: Sì o No? Se sì, quante? _____ Macchine perfora–schede: Sì o No? Se sì, quante? _____ __________________ Firma dell’Ispettore –982– Dopo aver riempito il modulo di numeri e spunte, firmò col suo nome: «Mallory». Guardando sfinito le distanti alture, Uli disse: — Non mi sembra proprio di ricordare che il JFK fosse situato nei pressi di una catena montuosa. — Queste sono le montagne di Nogales. Sei in Nevada ora, nella prima Città Ricovero che è stata istituita. Questo è tutto territorio federale. — Pensavo fosse il Queens. — Queens, Nevada. In realtà, siamo quasi a Brooklyn. — Si tolse gli occhiali da sole arancioni. — Che intendi con «Nevada»? — L’esercito ha suddiviso in una griglia il deserto del Nevada e ha dato a ogni enorme quadrante un numero. Mi hanno detto che questo settore va dall’Area 41 fino alla 51. — Afferrò la sua capigliatura castana. Si rivelò essere una parrucca, che ripose nella borsa lasciando scoperti i suoi veri capelli. Poi si asciugò il
sudore dalla fronte e dal collo. — Hanno iniziato a costruire questo posto durante l’ultima guerra mondiale. L’hanno completato durante la Guerra fredda. C’erano sette o otto aree strategiche principali, sparse per la città. Non è stata progettata per le persone, originariamente, ma per il trasporto aereo e l’addestramento delle truppe. Vedrai segni di combattimenti ovunque. Guardando oltre le spalle della donna, Uli individuò una piccola nuvola di polvere che si alzava in lontananza nell’aria calda e tremolante. — Mallory, è un autobus quello? — Come fai a sapere il mio nome? — gli chiese seccata. — Ti ho visto scriverlo sul registro. — Fammi il gran piacere di non pronunciare mai più il mio nome. Non sono molto popolare da queste parti. — Perché? — È una lunga storia. Facevo parte del Consiglio Cittadino, una volta. Mentre il piccolo autobus si avvicinava, Uli riuscì a vedere che davanti a tutti i finestrini, incluso il parabrezza, era stata attaccata una spessa rete di metallo. Sembrava una gabbia con le ruote. Alcune braccia uscivano dai finestrini e raggiungevano il tettuccio. — Merda! — mugugnò Mallory. — Che c’è? — Di tutti gli autobus che potevano arrivare, questo è quello che mi porta più lontano dal posto dove devo andare. — E allora perché lo prendi? — Perché non so quanto dovrò aspettare per il prossimo. Uli fece nervosamente cenno al veicolo e i cani sotto di loro ripresero con rinnovato vigore ad agitarsi e ringhiare. Il branco fu colto di sorpresa dall’autobus che arrivava a gran velocità, e uno degli esemplari più grandi fu quasi schiacciato dalle ruote.
I cani scapparono, abbaiando furiosamente. Il piccolo autobus aprì le porte. — State bene? — chiese il conducente, un robusto uomo nero con la pelle chiara e un braccio solo. — Adesso sì — sospirò Mallory. 10:52 a.m. — Dove vai? — chiese il conducente a Uli, dopo che Mallory ebbe pagato e preso posto. — Cammina verso Sutphin — disse calmo Uli. — Sali sul Q28 per Fulton Street. — È questo. — Cambia col B17, arriva all’East Village a Manhattan, aspetta fuori dalla Cooper Union finché non arriva Dropt, sparagli un colpo alla testa. — Non ti ho chiesto di raccontarmi la tua dannata vita — rispose il conducente continuando a spingere sull’acceleratore. C’era un grande cartello con scritto a penna «1/16». In tasca, Uli trovò un pezzo di carta rettangolare che non aveva né numeri né il volto di un Presidente, stampati sopra. Semplicemente diceva: «BUONO PASTO». Uli lo consegnò al conducente, che contò il resto: quindici parti di un altro buono pasto, ritagliate con cura. Due uomini — uno calvo e magro, l’altro con una folta e lunga capigliatura riccia — e una donna erano gli unici altri passeggeri. Avevano tutti un braccio allungato fuori dal finestrino protetto dalle sbarre. — Che fanno? — chiese Uli al conducente. — Il pannello solare sul tettuccio si è staccato. — L’autobus è alimentato da cellule fotovoltaiche? — Forniscono energia a tutti i veicoli, qui, e se questo scivola giù, non abbiamo nessuna batteria. Fine della corsa. Seduta dietro al conducente, Mallory tornò a occuparsi del suo mega–modulo.
Non appena si sistemò in uno dei posti sul retro, Uli sporse il braccio dal finestrino come tutti gli altri. Sentì il pannello traballante sul tettuccio e lo schiacciò con la mano. — Salve — gli si rivolse il passeggero magro e calvo. Era strabico. — Sono Jim Carnival. Nella mano libera stringeva quello che sembrava essere un cercamine della Seconda guerra mondiale. Tra le ginocchia, teneva stretto un secchio malandato. — Lei è mia moglie Mary, e lui nostro figlio Oric. La donna sembrava leggermente più giovane, ma il paffuto “figlio” pareva avesse la stessa età del padre. Tra le trasandate ciocche dei capelli di Oric, Uli vide una piccola croce di metallo sporgere dalla nuca e cercò di non fissarci lo sguardo su. — Lei non è l’ex First Lady? — urlò Carnival verso Mallory, che si rannicchiò in avanti, infastidita. — Non si preoccupi, non diremo nulla, signora. Ho lavorato per suo marito, per breve tempo. Mallory annuì senza smettere di scrivere nervosamente. — Allora amico, da dove vieni? — chiese Carnival a Uli. — New York, credo. Sono appena arrivato. Ogni volta che si sforzava di ricordare qualcosa, tutto quello che gli veniva in mente era: “Cammina verso Sutphin, sali sul Q28 per Fulton Street, cambia col B17…” — Aspetta — disse il tipo. — Sei appena arrivato da New York? — Credo di sì. Sono davvero confuso. — Hai una faccia familiare — intervenne la moglie. Uli fece spallucce. — Howard Beach 9! — esclamò il presunto figlio, Oric, apparentemente senza motivo. In mezzo all’immondizia che tappezzava il pavimento dell’autobus, Uli vide un giornale intitolato “The Daily Posted New York Times”. Lo raccolse e scorrendo fra gli articoli si fermò a leggere l’ultima pagina: «Rapporto settimanale della polizia». Un articolo
riportava: «Numero di auto esplose 4». Nessun elenco di vittime o dettagli interessanti, l’articolo forniva solo un crudo resoconto delle quattro tremende esplosioni. Una macchina era stata fatta saltare in aria sul Little Concourse nel Bronx, uccidendo ventuno persone e ferendone quarantaquattro. Dell’accaduto era sospettato un presunto ex membro di un gruppo chiamato S.N.C.C. Una seconda auto–bomba era esplosa nell’Upper West Side, trentaquattro morti e dodici feriti. La terza detonazione a Brighton Beach aveva provocato diciotto morti e quattro feriti. L’ultima bomba di quella settimana era esplosa a Long Island City, nel Queens, vicino al Chrystler Building, sei morti e tredici feriti. Nella sezione «Cronaca nera» erano forniti alcuni dettagli: cinque ex presunti F.A.L.N. erano morti mentre erano sotto custodia, nel distretto di polizia di Morrisania, nel Bronx. Una famiglia di sette persone era stata assassinata in un’irruzione ad Astoria, nel Queens. Uno di loro era stato associato ai Cuccioli Neri, scissionisti degli Orsi Neri, che a loro volta si erano separati dalle Pantere Nere. Un’auto a energia solare era stata rubata a Staten Island e il guidatore, un noto agente B.M.T., era stato ucciso. A Sheephead Bay, Brooklyn, dieci anziani, probabili finanziatori dell’Esercito del 29 marzo, erano morti durante un incendio sospetto scoppiato nella loro casa di riposo. Dei colpi di pistola avevano freddato sei presunti ex S.L.S. durante un concerto a Bed–Study, Brooklyn. Un massacro era avvenuto al club degli Escrementi di Boerum Hill, Brooklyn, in cui avevano perso la vita venticinque persone. Sotto, Uli lesse: RISULTATI DELLE ELEZIONI SETTIMANALI CITTADINE
MANHATTAN: Totale distretti Porci: 1 Totale distretti Escrementi: 9 Nessun cambiamento dalle scorse elezioni
STATEN ISLAND: Totale distretti Porci: 0 Totale distretti Escrementi: 0 Totale distretti Indipendenti (Lega Verde): 10 Nessun cambiamento dalle scorse elezioni BRONX: Totale distretti Porci: 9 Totale distretti Escrementi: 1 Nessun cambiamento dalle scorse elezioni BROOKLYN: Totale distretti Porci: 3 Totale distretti Escrementi: 17 Nessun cambiamento dalle scorse elezioni QUEENS: Fresh Meadows (Escrementi) invaso 2345 Escrementi, 3392 Porci Esito: Porci Consigliere Diana McNair (E) rimosso Consigliere Hodges (P) eletto Hillcrest (Porci) invaso 6331 Escrementi, 6323 Porci Esito: Escrementi Consigliere Larry Mahonney (P) rimosso Consigliere Earl Grims (E) eletto Totale distretti Porci: 18 Totale distretti Escrementi: 2 Due cambiamenti dalle scorse elezioni
— È bello vedere che ogni tanto le comunità si ribellano alle invasioni delle bande — commentò Carnival, fissando il giornale da sopra la spalla di Uli. — Queste invasioni si ripetono tutte le settimane, vero? — chiese Uli. — Proprio come le auto–bomba. Ogni volta che loro ne fanno saltare una, noi rispondiamo. — E noi saremmo? — indagò Uli. — Questo è territorio degli Escrementi, e noi siamo Escrementi — rispose fiero Carnival. — Parla per te — mormorò sua moglie. — Ehi! Stiamo perdendo il pannello! — gridò il conducente ai passeggeri. Uli premette con più forza il pannello solare sul tettuccio. Sbirciò fuori dal finestrino il brullo paesaggio. In lontananza, sul lato opposto di un grande lago, vide un agglomerato di alti palazzi color fegato. Riusciva a distinguere file di persone in abito scuro salire su diversi autobus. — Quella è Pud Pullers, su a Howard Beach — disse Carnival. — Lì non ci vuoi andare di sicuro. — Pud Pullers? — Il vero nome è Pure–ile Plurality. È l’unica cosa bella di questo posto schifoso — ribatté la moglie. — È un’oasi di pace per famiglie unite. Carnival annuì con aria disgustata. La coppia evidentemente non la pensava allo stesso modo. L’autobus svoltò e oltrepassò una serie di edifici da cui pendevano sacchi di plastica per la spazzatura. Si sorprese nel vedere, in una stradina secondaria, un dromedario che rovistava alla ricerca di cibo col collo infilato in uno dei sacchetti appesi. — Pensavano che, lasciando liberi tutti questi animali del deserto, il posto sarebbe diventato più gradevole — disse Carnival. — Invece, abbiamo solo montagne di strani rifiuti.
Alcuni edifici erano palesemente abbandonati e coperti di immagini di volti maschili, dipinte grossolanamente. Sotto ciascuna erano riportate date di nascita e morte accompagnate da un breve epitaffio, come «Eroe degli Escrementi. Uccise 8 Porci». Facendo un paio di calcoli, Uli concluse che pochi di loro avevano raggiunto i vent’anni. Il quartiere quasi del tutto disabitato era come un enorme cimitero dove i ritratti amatoriali sulle strutture collassate somigliavano a grandi lapidi. — Flatlands — annunciò il conducente mentre entravano in quello che sembrava un nuovo quartiere. La zona era circondata da una schiera di palazzi a quattro piani con magazzini al pianoterra che erano stati convertiti in fragili rifugi dotati di fortificazioni improvvisate. Intervallati alle costruzioni principali c’erano dei garage mal costruiti, di solito lamiere ondulate tra muri di mattoni non cementati. — Correzione! Howard Beach 9! — urlò Oric, il bambino che sembrava un uomo, dondolando avanti e indietro. In quell’istante l’autobus passò su un dosso e il vecchio cercamine di Carnival volò verso Uli, che ne afferrò l’ampia base a padella prima che potesse spaccargli la testa. Si sentì un lungo beep. Quando gli restituì l’aggeggio, l’uomo lo squadrò in modo strano, poi si chinò sulla testa di Uli. La macchina emise un secondo beep. — Sei implicato in qualche faccenda con i cervelloni della CIA? — Qualche faccenda? — Hai una cimice nel cranio. — L’avrà impiantata Underwood — intervenne Mallory. — Che vuol dire esattamente? — Greenpoint 22! — gridò Oric. — Significa che qualcuno sta seguendo i tuoi movimenti — rispose Carnival. —Vai al quartier generale degli Escrementi a
Manhattan. Se c’è qualcuno che può cavarti quell’affare dalla testa, sono loro. Uli ringraziò Carnival per il consiglio e gli chiese da dove proveniva la sua famiglia. — Rockaway Beach — disse Carnival. — Mia moglie e io ci siamo conosciuti nella vecchia New York Rockaway quando eravamo bambini. — Correzione! Rockaway 6, Greenpoint 22. Correzione! — Ma che diavolo sta dicendo? — chiese Uli. — Non farci caso — rispose Carnival, — è un po’ fuori di testa, però io e mia moglie lo amiamo tantissimo anche per questo. — Allora, cosa facevate a Rockaway? — domandò Uli. — Pescavamo frutti di mare — l’uomo alzò il secchio che teneva fra le gambe e mostrò una raccolta di vecchi proiettili incrostati di sabbia. — Questi frutti valgono oro. Ne sono rimasti sepolti parecchi, anni fa, durante i lanci coi paracadute. — Avete le armi per i proiettili? — Tutti ce l’hanno, ma nessuno ha le munizioni. Quindi, i proiettili sono costosi. Posso guadagnare da cinque a dieci buoni a pezzo. La conversazione fu interrotta dal conducente che sbraitava sporgendosi dal finestrino: — Levati dalle palle! Un veicolo stava rallentando davanti a loro. L’uomo con un braccio solo sterzò sul margine sgombro della strada e lo sorpassò. Mentre acceleravano passandogli a fianco, Uli vide nel veicolo un tizio dall’aspetto strano, che urlava all’indirizzo del conducente dell’autobus. — Vaffanculo! — gli gridò contro. — Che succede? — indagò agitata Mallory mentre sfrecciavano sulla strada sabbiosa. — Un maledetto figlio di puttana delle Flatlands sta cercando di dirottarci.
Uli poté sentire l’uomo in macchina dietro di loro che urlava: — Restituitelo! — A che punto siamo della pulizia? — chiese Carnival. — Pulizia? — domandò Uli, in preda allo smarrimento che iniziava a montare di nuovo. Mentre Carnival borbottava una risposta, Uli riuscì a vedere chiaramente il tipo nella macchina. A parte il pizzetto alla moda e l’attaccatura dei capelli a V, l’uomo somigliava a Oric in maniera impressionante. — In un modo o nell’altro — disse Carnival, — tornerò alla vecchia New York. All’improvviso la macchina speronò il paraurti posteriore dell’autobus, spedendo per terra Mallory e i suoi documenti. — Oh merda, ha una pistola! — strillò la moglie di Carnival guardando l’uomo che faceva sporgere qualcosa fuori dal finestrino. Un colpo esplose attraverso il vetro posteriore perforando il tettuccio dell’autobus. — Questo ci ammazza tutti! — gridò Carnival, stringendo il suo cercamine con entrambe le mani come fosse un fucile. — Andiamo ragazzi, reggete quel dannato pannello! — sbraitò il conducente. Obbedirono tutti. Senza rallentare, l’autobus eseguì una stretta curva a sinistra scivolando sulla sabbia che ricopriva King’s Highway. Tutti i palazzi sul lato nord della strada erano sbiancati dal sole del Nevada, mentre gli edifici a sud erano neri, carbonizzati da un vecchio incendio. — Merda! — urlò il conducente, lanciando un’occhiata allo specchietto retrovisore. — Questo delle Flatlands fa sul serio. Non molla. Uli si accorse che Oric stava iniziando a piangere e cercò di spezzare la tensione chiedendo a Carnival: — Come pensi di andartene da questo posto?
— Sono bloccato qui come te — gli rispose guardando fuori dal finestrino. — Hai detto che in un modo o nell’altro saresti tornato a New York. Come pensi di riuscirci? — L’ho detto? Mary fulminò il marito con lo sguardo. — Volevo solo dire che sta per finire il mio processo d’appello, o come si chiama, il Programma di rilascio. Alla fine, quando capiranno che non mi avrebbero dovuto mandare qui fin dall’inizio, ci faranno imbarcare su un aereo e ce ne andremo. — C’è un processo d’appello? — Uli ricordò vagamente di aver riempito alcuni moduli quando era insieme al tipo coi capelli bianchi all’aeroporto. La macchina, che li stava inseguendo e che ormai si era affiancata, urtò lateralmente l’autobus. I due veicoli proseguirono fianco a fianco, scontrandosi e ostacolandosi a vicenda. La moglie di Carnival si alzò in fretta dal suo posto e si avvicinò al conducente, cercando di aiutarlo a controllare il volante per sterzare contro la macchina, ma senza successo. L’autobus stava rallentando. Presto sarebbero stati costretti a fermarsi. Mallory risistemò nervosamente sulla testa la parrucca castana, poi prese una pesante camicia di flanella dalla borsa e se la infilò. Mentre la moglie di Carnival continuava a urlare e a tenere il volante girato verso il folle guidatore delle Flatlands, Uli vide il conducente prendere da sotto il sedile una bottiglia di vino e stapparla coi denti. Con la sua unica mano, infilò con calma un fazzoletto nel collo della bottiglia. Aprendo un accendino diede fuoco al fazzoletto e lanciò la bottiglia fuori dal finestrino. Esplose sopra la macchina. — Reggetevi forte! — urlò, strappando il volante dalle mani di Mary e inchiodando, lasciando così che l’altro veicolo andasse a sbattere contro la facciata in cemento di un edificio abbandonato. — C’è mancato dannatamente poco — mormorò Mallory.
— Chissà che voleva — disse Uli. Quando l’autobus girò su Flatbush Avenue, la sabbia che copriva le strade iniziò a diradarsi. La qualità dell’asfalto era ancora pessima, ma il conducente con una mano sola schivava elegantemente le buche senza sentire il bisogno di rallentare. Alla fine svoltarono a sinistra su Church Avenue, dove tornarono a farsi vedere segni di vita. — Benvenuti a Japtown — sospirò Carnival. Il quartiere era disseminato di delicati edifici in legno su più piani, con tetti in bambù circolari come quelli delle pagode. — Questa zona è stata progettata per assomigliare al Giappone, in modo da facilitare l’addestramento aereo e terrestre — spiegò Carnival. L’area era caratterizzata da botteghe con tetti simili a vortici: una chiromante, un barbiere, un venditore di biglietti gratta–e– vinci, un banchetto per il sushi e uno per i sigari Optima. Quando l’autobus imboccò una strada laterale Uli vide una serie di piccoli ristoranti — un gruppo di cuochi che lavorava su barbecue fumanti e hibachi. Proprio di fronte a loro, una fila di persone si riuniva fuori da un cinema che in origine doveva essere stato un tempio buddista. Con un assortimento apparentemente limitato di lettere di plastica rosse, gli organizzatori avevano improvvisato l’insegna: «W3zT S1De StoR3». 11:12 a.m. Attraversati altri dieci isolati, la graziosa architettura nipponica svanì, assieme a ogni altro segno di civilizzazione. Le strade erano di nuovo desolate e i fabbricati assumevano uno stile più duro e freddo. Presto giunsero a un complesso di edifici più grandi che sembravano gli scheletri delle palazzine sovietiche rese famose da Kruscev. Queste strutture apparivano vuote e la maggior parte era andata completamente bruciata.
I sei passeggeri che erano saliti sull’autobus a Church Avenue erano già scesi, lasciando di nuovo soli i cinque passeggeri iniziali. — Benvenuti a Borough Park — disse Mallory, — un tempo ridente comunità chassidica. — Che è successo? — Fino a otto anni fa era un dignitoso quartiere dei Porci, prima che gli Escrementi conquistassero Brooklyn. Gli abitanti della zona hanno continuato a supportare il leader locale dei Porci, Moss Leere, finché gli Escrementi non hanno iniziato a perseguitarli e così, non potendo sopportare oltre, si sono trasferiti nel Queens. L’autobus passò di fianco a una cupola parzialmente crollata con una grande stella di David sulla facciata. Sembrava uscita dalla Russia zarista. Secondo Mallory, la sinagoga distrutta era stata il centro spirituale dell’area un tempo. — Merda! — esclamò il conducente. — È tornato. Si girarono tutti e lo videro. Dalla vernice bruciata sul tettuccio proveniva del fumo. La macchina dalle Flatlands stava guadagnando terreno. In un disperato tentativo di seminarla, il conducente cambiò direzione e accelerò inoltrandosi nella desolazione di Borough Park. Tuttavia, dopo poco la macchina urtò di nuovo il loro paraurti posteriore. — Non posso batterla in velocità — dichiarò sconfitto il conducente, cercando di non farsi superare. — Magari dovremmo fermarci e dargli i nostri soldi, o rallentare e vedere cosa vuole — suggerì Uli. Carnival scorse un mattone di cemento che spuntava da sotto un sedile rotto davanti a lui. Aprì un buco nella rete metallica che proteggeva il finestrino e lo lanciò verso la macchina. Il mattone distrusse il pannello solare attaccato al tettuccio del veicolo, costringendolo a rallentare e fermarsi mestamente. — Bel lavoro! — si congratulò con Carnival il conducente, poi girò all’angolo successivo per tentare di riprendere il suo
percorso. Avevano difficoltà a ritrovare la strada in quel labirinto sabbioso disseminato di detriti. Il conducente trovò una strada stretta ma pulita che scorreva più o meno parallelamente al suo percorso. Dopo averla seguita il più a lungo possibile, alla fine svoltò, ma si trovò davanti una macchina nuova fiammante che gli bloccava la strada. Intorno a essa stazionava un gruppo di ragazzi nerboruti. Il conducente inchiodò e provò a invertire la marcia. — Siamo in trappola! — disse. — Questi saranno in combutta col tizio delle Flatlands! — Non credo — replicò Uli. Aveva notato che Mallory stava disperatamente cercando di alzare il voluminoso registro e il tesserino di identificazione per nasconderli sotto il pannello solare. Ancora travestita con la parrucca, ora stava facendo aderire delle lenti a contatto sulle pupille. Il conducente aveva completato solo la seconda manovra dell’inversione a U, quando un ragazzo iniziò a correre dalla macchina fiammante trascinando una striscia chiodata davanti alle ruote anteriori dell’autobus. Allora schiacciò i freni facendo scivolare in avanti il pannello solare, che si fracassò sull’asfalto. — Cazzo! — strillò Mallory vedendo l’enorme registro elettorale cadere a terra. Il conducente mugugnò qualcosa e inserì la retromarcia, facendo schiantare l’autobus contro un idrante fuori uso. Gli altri ragazzi corsero verso di loro. Si sentirono quattro scoppi asincroni e l’autobus si abbassò di diversi centimetri — avevano bucato le gomme. — Sono l’agente Chain! Aprite questa maledetta porta, siamo della banda della polizia dei Porci! — gridò il più vecchio e grasso del gruppo, mostrando un distintivo dorato. Era tozzo e pelato, portava degli occhiali con la montatura in metallo e una catena di anelli quadrati attorno al grosso collo, come una lunga sciarpa luccicante non annodata. Attaccato alla fronte aveva uno strano oggetto meccanico, ma Uli non capiva cosa fosse. Mentre
l’uomo si avvicinava, vide che somigliava a un mirino curvo da fucile di precisione. Il conducente scese dall’autobus, seguito da Mallory, Uli e la famiglia di Carnival. Cinque robusti uomini armati di machete li circondarono. Un sesto si affrettò a salire sull’autobus per portare fuori gli oggetti che vi erano stati lasciati. — Potrei sapere perché, se lei è un ufficiale dei Porci e questa è una zona degli Escrementi… — iniziò a chiedere Uli. — Potrei sapere? — tagliò corto l’agente Chain. — Chi cazzo sei, il re del Siam? — È appena arrivato — spiegò Mary. Due energumeni li spinsero tutti in silenzio con la faccia contro la fiancata dell’autobus, mentre Oric sussurrava nervosamente: — Rockaway 6, Greenpoint 9, Howard Beach 22. Uno della banda mentre perquisiva Mallory alla ricerca di armi ne approfittò per toccarla lascivamente in mezzo alle gambe risalendo poi fino al seno. — Dove hai preso il canguro? — le chiese Chain. Sia Carnival che Uli si girarono verso di lei con atteggiamento protettivo. — L’ho trovato sul ciglio della strada. — Hai una cazzo di faccia familiare — riprese Chain, la croce appesa alla catena gli dondolava sul braccio. — Mai avuto il piacere — rispose gelida. — Nome? — Frances — intervenne Carnival prima che lei potesse dire alcunché. — È mia figlia. — Per chi lavori? — le chiese uno degli uomini. — Nessuno di noi indossa un colore — rispose Mallory, come se stesse citando una legge fondamentale. — È vero. Non avete il diritto di chiederci niente! — dichiarò il conducente. — E che mi dici tu? — Lo sbirro si rivolse a Uli, analizzando i suoi occhi attraverso la protuberanza meccanica munita
di mirino. Un raggio rosso scaturì dalla punta e Uli pensò che fosse una sorta di macchina della verità. — Sei pro–vita o pro– scelta? — Non sa di che parli — rispose al posto suo Mallory. Un tirapiedi si avvicinò di nuovo a Mallory e quando Uli fece un passo avanti alzò la sua lama. Mallory gli fece segno con la mano di stare fermo. Il capo dei poliziotti orientò il suo corno cibernetico verso gli occhi di Mallory ma, prima che potesse fare domande, Carnival diede un pugno al dispositivo. — Figlio di puttana! — grugnì Chain, tenendosi la fronte. Un altro della banda portò immediatamente il suo affilato machete sul sottile collo di Carnival. Chain continuò a dare colpetti al corno finché la luce rossa non si riaccese, poi si inclinò in modo che lo scanner puntasse direttamente sul viso di Carnival. — Come ti chiami, stronzo? — Chad. — Sono tuoi questi, Chad? — Chain indicò il secchio malconcio e il cercamine sgangherato. — Li ho trovati. — Di che banda fate parte? — Siamo di partiti diversi — rispose la moglie di Carnival. — Non più — disse Chain. Fece cenno a uno dei suoi, che strinse le braccia di Carnival dietro la schiena. — Non ti azzardare a toccare mio marito! — urlò Mary. — Altrimenti che fai? — Ero un membro del Consiglio dei Porci, stronzo — gli ringhiò, — prima che la tua banda diventasse il dipartimento pubblicitario della Feedmore Corporation. Chain scansionò col suo strumento uno degli occhi di Mary. — Ma guarda un po’? Non spara cazzate. Be’, sei fortunata, tesoro, perché come sai il nostro partito non ci permetterebbe mai di rendere vedova una donna o orfano un bambino.
— La famiglia va preservata a ogni costo — aggiunse un altro degli altri, come se stesse ripetendo un assioma. Chain scoppiò a ridere e due tirapiedi afferrarono la moglie di Carnival e Mallory, davvero convinti che fosse loro figlia. — Fermi! — gridò Mallory. Il piccolo canguro stava combattendo per uscire dalla borsa a tracolla. Lei lo prese per la zampetta pelosa e affermò: — Non siamo parenti! Con la mano libera rovistò nella borsa e tirò fuori una carta d’identità. Posizionando l’occhio cibernetico sulla pupilla destra di Mallory, Chain concluse: — Non sembri ebrea. Quando i poliziotti le restituirono il documento, Uli sbirciò e lesse il nome che c’era scritto sopra: «Alison Lowenstein — INDIPENDENTE». — Chad e la sua mogliettina dei Porci sono in arresto — dichiarò Chain. — Voialtri, sparite! — Aspetta! — urlò Mary. — Sono miei passeggeri — obiettò il conducente. — Ho il diritto di sapere per quale motivo li state arrestando. — Il metal detector è un fucile. — Chain calciò la base circolare dello strumento, rivelando che in realtà nascondeva la canna di un’arma. Alzando il coperchio di plastica, aggiunse: — E qui ci sono le munizioni. — Che cosa? — strillò Mary al marito. — Pa! — urlò spaventato loro figlio. — Howard Beach! Correzione! — Mi dispiace, piccola — mormorò Carnival a sua moglie. — Questo lo ha chiamato “papà” — disse uno dei poliziotti, tirando per il braccio destro Oric. — È della famiglia. Uli strinse l’altro braccio di Oric. — Oh andiamo, è mentalmente ritardato e si vede che è più vecchio di quell’altro. Come diavolo fa a essere suo figlio? Un uomo premette la lama del machete sulla gola di Uli mentre l’altro spingeva Oric contro l’autobus. Un poliziotto prese le
sue impronte digitali e le passò sotto uno scanner nel cruscotto della macchina. Ritornò qualche istante dopo col risultato, dichiarando «È pulito» e spintonò il figlio di Carnival verso Uli. Il conducente si stava avviando verso l’autobus, ma fu bloccato da Chain. — Confischiamo il veicolo. — Ufficiale, dove possiamo pagare la loro cauzione? — chiese Mallory prima ancora che il conducente potesse protestare. Per tutta risposta, uno dei poliziotti prese il cucciolo dalla borsa e lo lanciò sul marciapiede sabbioso, poi la schiacciò contro l’autobus. — State interferendo con una vitale operazione dei Porci — disse Uli mentre gli bloccavano di nuovo le braccia. — Lavoro per il presidente del Consiglio Underwood. — Sì, certo — sbuffò Chain, facendo brillare il mirino negli occhi di Uli. — Ci credo proprio che questo tizio di New York è uno di noi. — Chiama Underwood. Digli che stai trattenendo la persona che avrebbe dovuto camminare verso Sutphin, salire sul Q28 per Fulton Street, cambiare col B17, arrivare all’East Village e sparare a Dropt. Chain non rilevò alcuna menzogna e si diresse verso la macchina fiammante. Staccò la ricetrasmittente dal pannello e fece una chiamata. Dopo un minuto ritornò da Uli e gli passò il ricevitore nero. Uli sentì una voce acuta e stranamente familiare. — Sei tu? — Sì, signore. — Ripetimi la tua missione. — Cammina verso Sutphin, sali sul Q28 per Fulton Street, cambia col B17 e arriva all’East Village a Manhattan, aspetta fuori dalla Cooper Union finché non arriva Dropt, sparagli un colpo alla testa, poi prendi un taxi per ritornare all’aeroporto e sali sul primo volo in partenza… — E perché non la stai eseguendo, soldato?
— Questi tizi hanno dirottato il mio autobus e accusato ingiustamente due persone. — Non me ne frega un cazzo di questo, dimmi solo che hai ancora la pistola che ti ho dato. — Sì signore, ero diretto a Manhattan quando questi hanno dirottato l’autobus… — Va bene, ascolta, ho appena ricevuto una chiamata dall’agente bionda. — Uli non aveva la più pallida idea di cosa stesse dicendo. — Sta perdendo la pazienza, quindi ti darà una mano. Procedi verso Jay Street a Downtown Brooklyn e incontrala alla fermata dell’autobus. — Ricevuto, ma c’è questo grasso pelato che ha illegalmente arrestato due miei amici… Chain strappò la ricetrasmittente dalla mano di Uli e attaccò. — Muoviti prima che cambi idea. Uli, il conducente, Mallory e Oric si incamminarono per la strada. Senza fermarsi, quando vide il voluminoso registro elettorale tra le schegge del pannello solare, Mallory si chinò a raccoglierlo. — Se sono dei Porci — bisbigliò Uli, — perché hanno giurisdizione in un distretto degli Escrementi? — Lavorano come polizia del Consiglio, perciò hanno giurisdizione su tutta la città — spiegò Mallory. Dopo aver camminato sulla strada sabbiosa per diversi isolati, il conducente si fermò, si voltò a guardare l’autobus e mugugnò. Impiccati a un lampione, dondolavano due cadaveri. Oric scattò indietro, verso i suoi genitori uccisi, per una decina di metri, prima che Uli riuscisse a bloccarlo. L’handicappato crollò a terra nella sabbia e pianse. Mentre Uli guardava in lontananza la coppia assassinata, all’improvviso disse: — Aspetta un attimo, non credo siano loro. Il conducente si portò l’indice alle labbra, segnalandogli di fare silenzio.
— Ma chiunque sia impiccato lì, sembra nero — protestò Uli. — I Carnival erano bianchi. — È solo la luce che gioca brutti scherzi — gli assicurò Mallory facendosi il segno della croce. — Sono tornati alla vecchia New York, ora. — Diede a Uli il registro, poi si sfilò l’ampia camicia e la parrucca che aveva usato come travestimento. Si fermò un istante, fece rapidamente saltare fuori dagli occhi le lenti e le ripose in una piccola custodia di plastica. Prese con gentilezza Oric tra le braccia e lo aiutò ad alzarsi. I quattro avanzarono tra le strade deserte, lontani dai corpi appesi. Poco dopo si sedettero ai bordi di una piazzetta vuota, sotto la lunga ombra di una statua che sembrava di Lenin. Oric iniziò a mormorare: — Non me l’aspettavo, non me l’aspettavo, non me… — Non è colpa tua! — Erano miei fratelli! — ribatté Oric inspiegabilmente. Mallory lo tenne per mano tutta la mezz’ora seguente, mentre lui continuava a piagnucolare sommessamente. — Se tutto il Queens vota per i Porci — chiese Uli, portando stancamente in braccio il registro gigante di Mallory, — chi stai proteggendo esattamente con questo fascicolo? — Dopo otto anni in carica, Shub ha deluso persino la maggior parte dei Porci più convinti. Cavolo, era così potente che nessun altro dei Porci poteva sperare di concorrere contro di lui alle primarie. — Che pensi di ottenere allora? — Lavoro in una commissione bipartisan che manda ufficiali a monitorare le elezioni nei diversi seggi. Sono loro che si occupano di controllare attrezzature e materiali e il loro funzionamento. Se solo potessimo assicurarci che sia tutto a posto, potremmo avere delle elezioni regolari con un’ampia partecipazione, e avere, forse, la possibilità di liberarci di quel figlio di puttana.
— Conosci quel coglione di Chain? — le chiese il conducente. — Sì. Mi avrebbe riconosciuta, con quell’aggeggio, se non avessi portato le lenti finte. Nove anni fa, quando mio marito era sindaco e Horace Shub era il capo del Consiglio cittadino, quel bastardo era il capo della sicurezza — spiegò Mallory. — Hor alla fine ha licenziato Chain per compiacere i moderati degli Escrementi. Quello era un sadico, lo sapevano tutti. Circa cinque anni fa, a Slope organizzarono delle sommosse contro la politica di Shub. Chain ha così ottenuto la carica di capo della sicurezza del Consiglio di Central Brooklyn. Passarono diversi minuti, finché Uli chiese al conducente: — Di che colore ti sembravano Carnival e sua moglie? — C’è un detto da queste parti — rispose, — non conosci mai veramente una persona finché non è morta… — E a quel punto che importanza ha? — aggiunse Mallory, che ancora stringeva la mano di Oric. 4:02 p.m. Il ritardo mentale di Oric non influiva in alcun modo sulla sua capacità di provare amore o dolore. Il figlio adottivo dei Carnival continuava a piangere per i suoi “fratelli morti” mentre camminavano in mezzo a strade vuote, superando edifici abbandonati e distrutti. Nel tardo pomeriggio, dopo aver attraversato un incrocio deserto chiamato “Ditmas Avenue”, arrivarono ai confini di un quartiere indicato in un cartello come «BEN HUR». Continuando a nord sulla Bensohurst, si avvicinarono a un gruppo di circa dodici donne anziane dai capelli blu e sei uomini con varie amputazioni che lavoravano sulla strada. Alcuni del gruppo erano in piedi e usavano delle pale. Altri erano chinati in ginocchio su quadrati di cartone. Ognuno era alla distanza di un braccio dall’altro. Si muovevano in linea retta con un ritmo lento, raccogliendo la sabbia in delle carriole. — Che diavolo significa? — chiese Uli.
— Tempeste di sabbia — rispose Mallory. — Colpiscono circa due volte al mese in questa stagione dell’anno. La gente del posto raccoglie la sabbia, è rimborsabile. I quattro profughi dell’autobus arrancarono scavalcando i raccoglitori della sottile sabbia marrone caduta durante l’ultima tempesta. — Dovreste farvi aiutare dai vostri figli — suggerì Uli a una vecchia che sembrava essere il capo del gruppo. — Vaffanculo! — ringhiò lei. — Nessuno ti ha detto dell’epidemia? — gli chiese il conducente non appena furono abbastanza lontani da non essere sentiti. — Che epidemia? — L’epidemia di EGGS — disse il conducente, — qualcosa nell’acqua ha rovinato le tubature. — Circa un terzo delle donne in età fertile sono morte entro cinque anni dopo essere arrivate qui — intervenne Mallory mentre si affannavano per proseguire. «LA MIA BOCCA È ASCIUTTA», dichiarava la maglietta giallo canarino di una donna con un rossetto appariscente che sembrava una prostituta malnutrita. Era affacciata in maniera invitante alla finestra di una casa popolare su New Utrecht Avenue, anche se non era un granché da vedere. Uli sentì un uomo emaciato in un angolo cantilenare in quello che sembrava spagnolo: — Es… Es… — Poi capì che la spaventosa creatura stava in realtà facendosi di qualcosa. — Che roba è esse–esse — chiese al conducente. — Ci sono due droghe principali qui: shock, che si fuma, e strike, che inietti o ingerisci. Le bande dei Porci controllano il traffico di strike perché Underwood la fa passare dal JFK. — Che altre droghe girano? — A parte antidolorifici e sonniferi, una delle droghe più di moda è il metadone. Ne arriva parecchio. — La shock è importata?
— No, è ricavata da piante del posto: marijuana, peyote, altra erba. Gli Escrementi gestiscono la produzione di shock a Hoboken. Coltivano i loro campi oltre Manhattan usando il fiume per l’irrigazione. Calò il silenzio, Uli avvertì un odore tremendo e si accorse che proveniva da Oric. Accelerò il passo e affiancò Mallory, lasciando dietro gli altri due. — Hai presente il tipo che ci ha seguito dalle Flatlands? — disse Mallory dopo un po’. — Sì, e allora? — Ti è sembrato familiare? — Sì, somigliava a lui — rispose Uli, inclinando la testa verso Oric. — E quella coppia, i Carnival, erano strani secondo te? — Tutto mi sembra strano qui. Pensi che avessero rapito Oric? — Perché qualcuno dovrebbe rapire un ritardato mentale? — chiese. Uli fece spallucce. — In ogni caso, c’è un ricovero per malati mentali a Willowbrook, Staten Island. — Possiamo lasciarlo lì, magari — suggerì Uli. Iniziarono a sentire una vivace baldoria in lontananza. Un gruppo di persone era radunato attorno a una band formata da due ragazzi che usavano come batteria dei secchi di plastica, e si accompagnavano con diversi strumenti a fiato e a corda artigianali. Ragazze bellissime volteggiavano danzando insieme a ragazzi altrettanto affascinanti. Mezzo isolato più avanti un gruppo di vecchi, seduti attorno a un barile da cui fuoriuscivano fiamme verdi, fumava sigari puzzolenti. Un venditore stava rigirando pezzi di carne allo spiedo su un piccolo fuoco. Un cartello diceva: «All’inglese!». Fumo carico d’olio colava dalla bancarella. Oric si fermò davanti al cibo. — Forza — disse il conducente, e condusse tutti dentro un piccolo locale vuoto al cui interno spiccava una rozza tavolata
con al centro una fila di griglie. Contro il muro erano ammassate vecchie scatole per il latte. Si diresse alla cassa, un banco in legno consumato, dove c’erano un grosso barattolo di vecchi cucchiai, insieme a tovaglioli e quattro bottiglie di plastica, ognuna con un condimento di colore diverso. Lo seguirono tutti, prendendo tovaglioli e cucchiai. Il conducente prese una scatola e la buttò sul pavimento vicino al bordo della tavolata. Gli altri lo imitarono. Una minuta donna asiatica con la faccia da pipistrello spuntò dal retro fumando una pipa di pannocchia. — Porzione da un buono — le disse il conducente, alzando l’indice per enfatizzare. Uli notò che c’era un solo piatto nel menu; il prezzo variava in base alle dimensioni. La donna sparì nel retro, probabilmente la cucina. Diversi minuti più tardi, riapparì indossando guanti da forno e reggendo una vecchia pentola riempita di spaghetti in acqua bollente, che posò con attenzione sulla griglia. Sotto infilò un barattolo con una sorta di gel. Diede fuoco al barattolo con un fiammifero, creando una piccola ma stabile fiamma blu. Dopo di lei venne un ragazzo che sembrava essere suo figlio, con una cassetta di verdure crude e diversi coltelli male affilati. Andò nella stanza sul retro e tornò con un vassoio di pezzi di carne sfrigolanti, che buttò nella pentola bollente. — Il cibo qui non ti fa male — commentò il conducente, — ma devi lavorarci un po’. — Visto che aveva un solo braccio, affidò a Uli il compito di tagliare il sedano e le carote, entrambi non freschi, a giudicare dall’aspetto. Mallory fu incaricata di tagliare a dadini una cipolla grande quanto un melone e Oric di sminuzzare la lattuga, il cavolo e le foglie di basilico. Ognuno gettò le proprie verdure nella pentola. Il conducente prese una bottiglia rossa e stava per versarne il contenuto nella pentola quando Mallory disse che non le piaceva
il piccante e che ognuno doveva poter condire come preferiva il proprio piatto. — Va bene — concesse il conducente mettendo giù la salsa piccante. Quando la fiamma nel barattolo si estinse, Mallory iniziò a preparare e distribuire abbondanti ciotole di zuppa. Mangiarono tutti in silenzio. Oric prese altre due porzioni, come il conducente, che con Mallory fece il punto sui soldi. Ognuno perciò tagliò un quarto di buono. Uli mise il resto con un altro mezzo buono, così pagarono la donna. Poi, stancamente, ripresero a camminare. Circa dieci minuti dopo, quando il sole iniziava a tramontare, Mallory individuò la figura di un uomo alto dai fianchi esageratamente larghi con un cappello da capitano — un controllore di autobus. L’ufficiale stava in piedi come una statua davanti all’unico edificio illuminato della zona. Quando Mallory gli chiese se sapeva l’orario di arrivo dell’autobus successivo, le rispose che un conducente era stato appena dirottato e derubato del suo mezzo. — I suoi passeggeri sono stati impiccati — disse il controllore, — perciò tutto il servizio autobus è sospeso nel sud di Brooklyn fino a domattina. — Sono due le persone impiccate a Borough Park — chiarì il conducente avvicinandosi con calma. — E quello era il mio autobus. — Mi spiace. Nessun autobus o taxi stanotte — ripeté con voce piatta il controllore. — Il massimo che potete fare è dormire lì. — Indicò col pollice un palazzo decrepito con un’insegna che recitava «HOTEL BEDMILL» dietro le proprie spalle. — Ha parecchie stanze libere e probabilmente vi dimezzerà il prezzo, considerata la tragedia che vi è capitata. Mallory guidò il gruppo in un ingresso poco illuminato e con la vernice scrostata, in cui c’erano degli individui dall’aspetto
poco raccomandabile seduti su delle casse in un angolo, come funghi umani. Un grosso uomo con gli occhi da insetto e una vecchia bombetta era seduto al banco della reception, vicino a una stufa a legna, ad ascoltare la radio. — Mezzo buono a notte. Potete stare in due in ogni stanza — disse l’impiegato. Iniziarono tutti a scavare nelle tasche. — Dammi un posto tranquillo — disse il conducente, sbattendo il suo mezzo buono sul banco rovinato. L’impiegato gli consegnò un asciugamano e gli spiegò che il bagno era nel corridoio. — Il checkout è alle 9 in punto domattina. — Russi, ragazzo? — chiese a Oric il conducente, che stava appoggiato al bancone vicino a lui. L’uomo scosse la testa e scoreggiò. Il conducente chiese un altro asciugamano. Mallory chiese a Uli se gentilmente poteva prestarle dei soldi. — Con questi sono finiti. — Le porse il suo ultimo mezzo buono. — Pensavo che sarei tornata a casa oggi nel tardo pomeriggio, altrimenti avrei… Mi è rimasto solo questo quarto — disse. — Dividiamo? — Non è che russi o scoreggi? — le rispose scherzando. — Anche fosse, mio marito non me l’ha mai fatto notare — replicò. — Ma d’altronde, di solito dormiva con qualche segretaria minorenne e sovrappeso. Uli poggiò il suo mezzo buono e le disse: — Tieniti i soldi e offrimi un caffè domani. L’impiegato gli porse una chiave e due asciugamani. Salirono due rampe di scale e attraversarono un corridoio pieno di scricchiolii e tonfi provenienti dalle stanze, finché non individuarono la loro porta. All’interno trovarono un letto stretto e antico, con un materasso dalle molle ridicole. Uli si sentiva dolorante ovunque e non voleva dormire sul pavimento sporco, soprattutto considerato il fatto che aveva pa-
gato lui la stanza. Prima che potesse proporre un compromesso accettabile, Mallory si tolse le scarpe, si sbottonò la camicia, e disse: — Preferisci dalla parte del muro o verso l’esterno? — È uguale — rispose grato Uli. Rimase in reggiseno e slip, poi pulì il letto dalla sabbia. Salì sul materasso coprendosi col lenzuolo logoro. Regnò un silenzio imbarazzato per un attimo, mentre entrambi ascoltavano il respiro lento dell’altro. Uli tentò di nuovo di ricordare qualcosa del suo passato, ma tutto quello che gli veniva in mente era il mantra dell’assassino: “Cammina verso Sutphin, prendi il Q28…” Lo stava facendo impazzire. — Allora, come ti è sembrato il tuo primo giorno in Nevada? — mormorò lei alla fine dandogli la schiena. — Carnival e sua moglie, o chiunque fosse quella coppia, non ti sono sembrati neri? — No, era solo un gioco di luce a ingannarti — rispose sbadigliando. — Come ha fatto un campo profughi nazionale a diventare il cortile di una prigione? — Durante il primo anno parlavano di costruire una ferrovia che ci collegasse a Vegas. Cavolo, potevamo persino iniziare a prenotare i posti. Poi, intercettando delle telefonate, si accorsero che avevano mandato qui per sbaglio circa una dozzina di diverse cellule terroristiche, ma non sapevano esattamente chi o dove fossero. La spiegazione degli avvocati fu che il bambino era l’acqua sporca. Alla fine divenne la giustificazione per tagliarci fuori dal mondo finché non si fosse stabilito chi erano i delinquenti. — Come trovano dei professionisti qui? Dottori, avvocati, e così via? — S.A., Servizio Alternativo volontario. — Servizio Alternativo? — Il governo consente agli obiettori di coscienza di prestare servizio qui piuttosto che in Vietnam.
Qualche istante dopo, molto più rilassato, Uli sbadigliò. Dopo dieci minuti entrambi avevano ceduto al sonno. La strana donna nuda stringeva il suo corpo con tanta forza che aveva smesso di tremare e stava iniziando a sudare. Anche se era bellissima e sentiva di piacerle, lei era riluttante a entrare in intimità con lui. Giacendo tra le sue braccia, si sentiva follemente attratto da lei. Stavano guardando degli strani animali selvaggi nell’oscurità. Non sapeva bene cosa stessero facendo quelle creature, però mentre le guardava, riuscì a scivolare e a insinuarsi dentro questa donna alta e bellissima. Svegliandosi, Uli scoprì di essere entrato in intimità con Mallory — anche se lei non era la donna del suo sogno. Mentre dormiva, le aveva afferrato le cosce spingendo verso di lei. — Oddio — esclamò la donna. Prima che potesse scusarsi, lei gli artigliò i fianchi, i glutei, e lo tirò a sè. Girò la testa e le loro labbra si sigillarono. Lei infilò la lingua nella sua bocca. Lui le slacciò il reggiseno mentre lei gli toglieva i boxer, poi si occupò dei suoi slip e continuò a spingere febbrilmente. — No… non voglio metterti incinta — mormorò, ricordandosi che in quello strano posto poteva equivalere a una condanna a morte. — Le mie tube sono state chiuse da tempo. Passarono l’ora successiva a scopare. Quella donna aveva qualcosa di incredibile, anche se non ricordava di aver mai fatto sesso prima. Alla fine, insieme, tremarono in preda all’orgasmo. Uli sapeva che probabilmente non era vergine, eppure non riusciva a immaginare un’esperienza più intensa e meravigliosa di quella. Stretti in un abbraccio, si addormentarono di nuovo.
I libri cambiano il mondo
Casini Editore
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Casini Editore Via del Porto fluviale, 9/A – 00154 Roma www.casinieditore.com info@casinieditore.com Finito di stampare nel mese di luglio 2011 Stampato per Casini Editore dalla Arti Grafiche La Moderna — Roma
Cammina verso Sutphin, sali sul Q28 per Fulton Street, cambia col B17 e arriva all’East Village a Manhattan, aspetta fuori dalla Cooper Union finché non arriva Dropt, sparagli un colpo alla testa, poi prendi un taxi per ritornare all’aeroporto… Una lettura allo stesso tempo lucida e allucinata: immaginate William Burroughs e Philip K. Dick che si passano la penna.
«Il romanzo di Nersesian è desolante e sconcertante, e i suoi fan non si aspettano niente di meno.»
www. Casini Editore .com