Muschio, cane nero dal pelo riccio e dal buon fiuto, non capisce la guerra. Non sa chi la sta combattendo né perché. Sa solo che un giorno la sua casa e i suoi bambini non ci sono più. Una bomba ha distrutto tutto in un secondo. Eppure l’odore dei bambini, quell’odore inconfondibile di solletico, di pozzanghere e di scintille, ogni tanto ricompare. E fra le mille avventure che si trova ad affrontare – prigioni, fughe, belve feroci e uomini ancora più feroci – non si dà mai per vinto, certo che riuscirà a ritrovarli. I cani possono essere eroi, e non tutti gli uomini sono malvagi. Muschio è un cane semplice, ma conosce la speranza. Questa è la sua storia.
Illustrazioni di Federico Appel
€ 13,50 ISBN 978-88-8033-969-4
www.castoro-on-line.it
9 788880 339694
Muschio di David Cirici illustrazioni di Federico Appel Traduzione dal catalano di Francesco Ferrucci © 2015 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Pubblicato per la prima volta in Spagna nel 2013 da edebé con il titolo Molsa Copyright © 2013 David Cirici Libro vincitore del premio EDEBé di letteratura per ragazzi 2013 ISBN 978-88-8033-969-4
David Cirici
Illustrazioni di Federico Appel
Traduzione di Francesco Ferrucci
Ai miei quattro cuccioli: Hug, Joana, Violeta e Alexandre.
Capitolo 1 Un odore galleggia nel vento e l’emozione dura un momento
Una mattina fredda, mentre camminavo accanto al fiume per approfittare del calore del sole, sentii un po’, un briciolo, un nonnulla dell’odore di Janinka. Mi fermai e annusai per bene; non volevo perderlo. Era un odore molto tenue che fluttuava e si muoveva come un seme di dente di leone o un ciuffo di peli di gatto spinti dal vento. Era un odore passeggero. Aprii bene gli occhi e drizzai le orecchie, ma l’odore era svanito. Corsi a vedere se scorgevo Janinka, se la sentivo. Annusai nei dintorni per ritrovare il suo odore. A volte mi sembrava di sentirlo, di averne trovato un pochino e che sarebbe bastato seguirne il filo per arrivare fino alla bambina. Ma il filo si spezzava, e restava agganciato a un lampione o al tronco di un albero e dovevo fare giri e piroette per ritrovarlo. E così, mezzo disorientato, arrivai fino al viale. Alcuni uomini stavano aggiustando la base di un 1
monumento dedicato a un signore con i baffi e la barba appuntita, che indossava un impermeabile e indicava qualcosa in alto, non si sa cosa… Confuso com’ero per aver appena perso quel pizzico di odore, non me ne accorsi e calpestai il cemento fresco. Ci misi solo le zampe anteriori, ma uno di quegli uomini mi urlò subito contro, bestemmiò e mi assestò un calcio nella pancia. Quell’uomo indossava degli enormi stivali con le punte di ferro, e mi fece così male che mi cedettero le zampe e caddi. Mi rialzai subito, e allora sì che passai correndo sul cemento fresco e lasciai le impronte delle mie zampe ben marcate. Non dovevano aver voglia di spianare di nuovo il cemento, perché lo lasciarono così com’era: il cemento si seccò e le mie impronte ci sono ancora. Adesso anch’io faccio parte del monumento, come se fossi importante quanto l’uomo con i baffi e la barba appuntita che indossa un impermeabile e indica verso l’alto. Attraversai il viale zoppicando, ancora dolorante per il calcio, e appena arrivai dall’altra parte, dietro al sentore di muschio e di umidità delle spallette del fiume, mi sembrò di ritrovare un po’ dell’odore di Janinka. Abbaiai. Cercai. E pensai che forse era solo il ricordo. A volte, se cerco di ricordare un odore, riesco a sentirlo davvero. Questo è ciò che dovette succedermi, perché mi accorsi subito di averlo perso. Sentivo solo odore di muschio, di terra umida e 2
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di fumo di camion, e ogni tanto quello della pipì di un altro cane e qualche mio odore dei giorni precedenti. Stavo ormai per rinunciare a cercare quella traccia minuscola quando, all’improvviso, la trovai ancora alla staccionata di un giardino. Sì! Era l’odore di Janinka, come se lei avesse passato le mani sulle assi verticali della staccionata. L’odore di Janinka fluttuava tra l’odore di legno e di vernice, di muschio e d’erba, e l’odore di domenica pomeriggio e di lavatrice. Dopo, in fondo al mio paesaggio di odori, percepii il sentore vecchio e rancido proveniente dall’interno di una casa, e ancora più indietro, molto lontano, un profumo di dolci appena sfornati. C’era anche un puzzo acuto che investiva e sporcava tutto: il puzzo di un topo che doveva essere passato di lì pochissimo tempo prima. Quando finì la staccionata, finì l’odore. Il marciapiede sapeva solo di scarpe e di piedi, di cacca e di chewinggum calpestati. Andai avanti eccitato, annusando con il muso vicino a terra alla ricerca 4
dei passi di Janinka, dell’odore fresco dei suoi piedi. Annusai tronchi d’albero, basi di lampioni, l’asfalto, i sampietrini e persino i binari del tram, che sapevano di ferro e cigolii ed erano molto pericolosi. Trovai odori tristi, puzzi vecchi, tracce svanite di gente sudata e di libri scolastici, però non trovai altri indizi di Janinka. Sentire l’odore di Janinka e non trovarla mi rattristò. Cercai un bel posto per sdraiarmi al sole e chiusi gli occhi. Ero sconcertato. Com’era possibile che quell’odore si propagasse per strada, si muovesse con il vento o fosse rimasto appiccicato a delle assi di legno, e che Janinka non ci fosse? Era il suo odore o era l’odore di qualche altra cosa che gli assomigliava? Janinka era una bambina che aveva giocato con me. La bambina che aveva vissuto a casa mia. A casa c’erano anche un bambino, un uomo che sapeva di tabacco e di inchiostro, e una donna che a volte sapeva di mazzo di fiori e a volte di dolce al limone. Era così quando io avevo una casa. E ormai non sapevo quanto tempo era passato da allora. Erano passati molti giorni e molte notti dall’ultima 5
volta che avevo dormito ai piedi del letto di Janinka, sul mio tappeto grigio, dello stesso grigio degli alberi e dei prati. Era venuto il caldo e aveva nevicato ed era venuto il ghiaccio ed era tornato il caldo per tre volte, e anche i tigli avevano messo le foglie ed erano fioriti e avevano profumato tre volte. A quei tempi ci vedevo meglio, ci sentivo meglio e forse sapevo anche distinguere meglio gli odori più tenui. Non lo so. Se ci penso, mi sembra molto tempo fa. Però gli odori non si dimenticano facilmente. Di fatto, direi che non si dimenticano mai. Ognuno ha un odore diverso, quindi Janinka sapeva di Janinka. Se non sapete com’è l’odore di Janinka, sarà difficile che ci si capisca. Potrei dire che Janinka sapeva di mattino, di asciugamano pulito e di allegria. Aveva l’odore pungente dei capelli neri e delle labbra di colore grigio labbra, e aveva l’odore divertente del solletico e delle domeniche mattina, quando mi si buttava addosso e mi faceva il solletico alla pancia e io le mordevo le mani, le caviglie, niente di che, dei morsettini che erano come il suo solletico, e lei moriva dal ridere e strillava come una pazza. Sapeva di tutto questo, e i giorni normali, quando tornava da scuola, l’odore di Janinka si mescolava con l’odore di tutti i bambini: l’odore secco del gesso mescolato con quello delle matite e delle gomme da cancellare, 6
e con i grembiuli sudati e macchiati di latte e d’olio, di salsa di pomodoro e di tuorlo d’uovo. Sapeva di Janinka, e basta. Mirek sapeva di scintilla. Potrei dire che sapeva di ghianda, perché le usava per fare dei fischietti e ne teneva sempre qualcuna in tasca. Potrei anche dire che sapeva di fango, perché gli piaceva sguazzare nelle pozzanghere dopo che aveva piovuto. Ma forse il suo odore più peculiare era l’odore di scintilla, perché giocava con un trenino elettrico che emetteva delle piccole scintille azzurrognole e Mirek aveva un po’ di quell’odore tra i capelli. Io avevo una casa in una strada con i tigli. Una casa con un po’ d’erba e diverse piante davanti. La sera sapevo che Janinka e Mirek, suo fratello, tornavano da scuola perché i loro passi, non appena svoltavano l’angolo e imboccavano la nostra via, erano inconfondibili. Facevano un rumorino da niente, che però mi faceva saltare di allegria, perché significava l’inizio dei momenti del solletico e delle corse tra la cucina e la sala da pranzo, e dei giochi con i biscotti. Quando li sentivo scendere di corsa le scale, li aspettavo alla porta per saltargli addosso e leccargli il viso per bene. E loro mi mettevano le labbra sul naso, e ci lasciavano tutto il loro odore di bambini e di scuola. Poi i bambini si sedevano al tavolo della cucina e aprivano 7
delle cartelle e tiravano fuori fogli e matite, e per un bel po’ non mi prestavano attenzione, e io sapevo di dover aspettare. E alla fine mi portavano a passeggio, che era il miglior momento del giorno. Allora c’erano molte cose che mi piacevano. Quando dovetti vivere da solo, ce ne furono molto poche. Cose che mi piacevano • Stare
nel cestino della bicicletta e veder passare gli alberi e le nuvole. • Rincorrere la mia ombra tra le lenzuola stese in giardino. • Essere inseguito per tutta la casa dai bambini. • Inseguirli per tutta la casa. • Masticare il pedale della bicicletta di Janinka. • Scendere di fretta le scale di casa e scivolare sul pianerottolo mentre facevo la curva. • Mettermi a pancia all’insù e farmi fare il solletico con i piedi scalzi. • Inseguire l’acqua che usciva dal tubo di gomma in giardino. • Correre nei prati e passare sotto le mucche. • Nei giorni di pioggia, alzarmi su due zampe e ap8
poggiare quelle anteriori, ben infangate, sulla pancia dell’uomo che sapeva di tabacco e di inchiostro. • Avere il mio piatto per mangiare. • Non avere pulci né zecche. • Essere chiamato per nome. Tutte queste cose finirono, perché all’improvviso smisi di avere i bambini e la casa, e quindi nessuno mi portava più in bicicletta, nessuno giocava con me e nessuno mi chiamava per nome. E passavo le giornate a grattarmi per le pulci e le zecche.
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Capitolo 2 Non mi piacciono i rumori, mi ricordano i dolori
Odio i petardi. A noi cani i petardi non piacciono per niente. Nemmeno ai gatti. Nemmeno ai cavalli. Nemmeno a molti altri animali. Le persone sono un po’ sorde. Per questo si divertono accendendo petardi e lanciando razzi. Gli piace il loro rumore, quel rumore spaventoso che ci rimbomba in testa e ci lascia le orecchie intorpidite e doloranti, con un fischio che scompare dopo un bel po’. Però una cosa è quando non ti piacciono un’altra è odiarli dal profondo. E io li odio. Li odio perché mi ricordano le bombe. Mi ricordano quello che successe. Prima che cominciassero a cadere le bombe si sentiva l’allarme. L’allarme era quel rumore che avvisava della caduta delle bombe. Lo so perché, appena cominciava a suonare, correvano tutti. Tutti gridavano e correvano. Però non lo facevano contemporaneamente. Quando cominciava a suonare l’allarme, la gente smetteva di fare ciò che stava facendo, poi gridava, e poi correva. La gente smetteva di fare una frittata, gridava, e correva. La gente 10
smetteva di leggere, gridava, e correva. La gente smetteva di comprare fagioli, gridava, e correva. All’inizio l’allarme suonava come una specie di muggito simile a quello delle mucche quando gli passavo sotto. Perché le mucche non amano che i cani gli passino sotto la pancia. Ma se era un muggito di mucca, doveva trattarsi di una mucca bella grande, perché era un rumore molto forte, più forte di quello di una tempesta. Io guardavo da tutte le parti, ma non vidi mai nessuna mucca gigante. Per questo dico che era un muggito come quello di una mucca, ma non era di mucca. Oltretutto si sentiva solo all’inizio. Pian piano quel muggito diventava sempre più acuto finché non assomigliava al clacson dello scuolabus. Anche in quel caso guardavo e annusavo, ma non passava nessuno scuolabus. Tutta quella situazione mi rendeva
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molto nervoso. E mi faceva innervosire parecchio che tutti iniziassero a correre. Volevo mettermi a correre anch’io, ma non sapevo da che parte dovevo andare. L’uomo che sapeva di tabacco e di inchiostro e la donna che sapeva di fiori e di pulito prendevano Janinka e Mirek per scendere nel rifugio, e la bambina protestava sempre perché mi voleva con sé, perché senza di me non ci voleva andare, assolutamente no. E così ci andavo anch’io. Non so perché lo chiamavano il rifugio, perché lì dentro mi sentivo completamente indifeso. In un rifugio devi sentirti protetto, e io lì morivo di paura. Quel posto non mi proteggeva da niente. Vi si scendeva attraverso una scala, ed era come un tunnel buio e umido, con le chiocciole attaccate alle pareti. Le persone sedevano per terra, in silenzio, con la schiena appoggiata al muro. C’erano bambini che non smettevano di piangere. Forse non si sentivano molto protetti nemmeno loro. Noi cani eravamo tenuti legati e con la museruola. La museruola è una cosa terribile che non ti permette di mordere, di abbaiare, di sbadigliare e nemmeno di tirar fuori la lingua. Non so come mai non ci facevano tirare fuori la lingua. Dovevamo stare in quel tunnel umido finché non smettevano di cadere le bombe. Una notte sentimmo quella specie di muggito triste 12
da mucca gigante e subito dopo iniziarono a cadere le bombe. Non facemmo in tempo a uscire di casa. Cadevano vicinissime. Dalla finestra si vedevano le esplosioni, il fuoco, gli incendi. Nel cielo c’era una luce di un colore che non saprei definire; il fatto è che noi cani non vediamo molto bene i colori. Direi che era una luce rossa, perché assomigliava al colore del sangue. So che è rosso perché Janinka me lo aveva detto un giorno che le usciva sangue dal naso. Ma forse era verde, chi può dirlo. E il verde io non lo conosco. Tutta la casa tremava. Mi caddero in testa dei pezzi di soffitto. Mi spaventai talmente tanto che mi nascosi sotto il letto di Janinka. Quello sì che era un buon rifugio. Quello era il mio rifugio ogni volta che avevo paura. Lì sotto non poteva succedermi niente. A volte, quando sentivo muggire la mucca, mi nascondevo lì, ma venivano a cercarmi per scendere nel rifugio umido con le chiocciole alle pareti e le tracce scintillanti della loro bava. Le esplosioni si sentivano sempre più vicine. Sentivo anche urlare Janinka e Mirek. All’improvviso fu come se mi avesse colpito un fulmine. E non ricordo nient’altro. Credo che mi crollò addosso la casa, ma dovette proteggermi il letto. Quando aprii gli occhi, c’erano polvere e buio ovunque. Il letto doveva avere le gambe rotte, o gli era caduto 13
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sopra qualcosa di molto pesante che mi schiacciava. Mi trascinai e uscii da lì sotto in qualche modo. C’erano vetri, ferri ritorti, mattoni rotti. Mi feci un taglio a un orecchio. E mi faceva male una zampa. Me la leccai. Sapeva di sangue e di polvere. Quando arrivai in strada, vidi che la casa non c’era più. C’erano solo la facciata e la porta d’ingresso, un mucchio di macerie e tegole sparse. Un’altra bomba cadde molto vicino. Scappai. Corsi a più non posso con una zampa dolorante. Iniziò a piovere. Mi bruciavano gli occhi. Non riuscivo quasi ad aprirli. Dovevo andare avanti con gli occhi praticamente chiusi, annusando la terra fradicia per trovare il sentiero che si inerpicava verso la montagna. Avevo anche il naso dolorante e facevo fatica a distinguere bene gli odori. Per fortuna era facile riconoscere l’odore un po’ pungente dell’erba ai lati e, in mezzo, quello del sentiero: odore d’argilla e di ardesia, odore di ruote e di scarpe, di zampe di cavallo, di vermi, di lucertole e di rospi. Mi girai solo dopo essere salito parecchio e le esplosioni si sentivano lontane, a valle. Nella pianura si vedeva il bagliore degli incendi, e le nuvole scintillavano come le braci di un falò.
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Muschio, cane nero dal pelo riccio e dal buon fiuto, non capisce la guerra. Non sa chi la sta combattendo né perché. Sa solo che un giorno la sua casa e i suoi bambini non ci sono più. Una bomba ha distrutto tutto in un secondo. Eppure l’odore dei bambini, quell’odore inconfondibile di solletico, di pozzanghere e di scintille, ogni tanto ricompare. E fra le mille avventure che si trova ad affrontare – prigioni, fughe, belve feroci e uomini ancora più feroci – non si dà mai per vinto, certo che riuscirà a ritrovarli. I cani possono essere eroi, e non tutti gli uomini sono malvagi. Muschio è un cane semplice, ma conosce la speranza. Questa è la sua storia.
Illustrazioni di Federico Appel
€ 13,50 ISBN 978-88-8033-969-4
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