LODOVICA CIMA - ANNALISA STRADA
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Questa sono io di Lodovica Cima e Annalisa Strada
Š 2017 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Grafica di copertina PEPE nymi Prima edizione Š 2014 Editrice Il Castoro Srl ISBN: 978-88-6966-256-0
LODOVICA CIMA - ANNALISA STRADA
QUESTA SONO IO
1 E VINCENZO DOV’È?
Viola saliva al rallentatore le scale di marmo lucido. Si concentrava per mettere un piede davanti all’altro, come se si stesse avvicinando alla cattedra per l’ennesima interrogazione della giornata. Sulla soglia si fermò per un istante perché aveva notato qualcosa: il silenzio. Quella casa era maledettamente silenziosa, come se dentro non ci fosse vita. Inserì le chiavi nella serratura di ottone della porta e girò, sempre al rallentatore. Perfino la serratura era silenziosa. E lucidissima. Si infilò nello spiraglio appena aperto, facendo passare a fatica lo zaino che teneva appeso alla spalla per una sola bretella. Finalmente sentì un rumore. Non un rumore vero e proprio, ma almeno un suono: un leggero brusio che arrivava dalla cucina. Tese l’orecchio e riconobbe la voce della nonna che stava parlando al telefono. Sembrava una conversazione senza fretta. Strano, alla nonna non piaceva dilungarsi al telefono. Era una donna pratica, a volte sbrigativa, di molti fatti e di poche parole. Per non farsi sentire, Viola avanzò in punta di piedi sul 1
pavimento di graniglia che sembrava ancora nuovo, anche se doveva essere vecchio quanto la casa e cioè avere almeno un centinaio di anni. La vide con le spalle esili e un po’ più curve del solito, appoggiata al lavello. Stava pelando le patate e teneva il ricevitore tra l’orecchio e la spalla. “La nonna non perde tempo a parlare e basta…”, considerò Viola, poi però la vide bloccarsi nel movimento e scandire delle parole più chiare: «Non mi sembra giusto». La sua voce era insolitamente decisa. «Così non va bene… non sta mai con voi.» Seguì una scarica di “no-no-no” e alla fine un “ciao” asciutto. Clic. Viola aveva percepito subito che nell’aria aleggiava un’energia negativa e, istintivamente, arretrò fino all’entrata. La nonna non si era ancora accorta di lei. Si girò nel momento in cui la ragazza faceva sbattere la porta d’ingresso e buttava malamente lo zaino di scuola sul pavimento. «Ciao cara, bentornata. Avrai fame... Com’è andato il compito di storia?» «Benino, almeno credo.» Viola abbozzò un sorriso. «Ho confrontato le risposte con quelle di Arianna e, tutto sommato, direi che me la sono cavata.» «Be’, se lo dice Arianna, stiamo tranquille», scherzò la nonna. «Vieni qui adesso: ti ho fatto le lasagne.» Viola fece tutto quello che ci si aspettava da lei: mangiò apprezzando il pranzo, sparecchiò, diede una pulita al tavolo e preparò il caffè che, di solito, beveva in salotto insieme alla nonna. Ma quel giorno niente era come al 2
solito: quella telefonata, le parole sussurrate e quell’aria tesa si erano parcheggiate dentro di lei. Erano ingombranti, quasi come un fastidio fisico: si sentiva all’erta senza sapere perché. Appena ne ebbe l’occasione si ritirò in camera, sfoderò il pretesto di un compito noiosissimo di algebra e riuscì a sottrarsi allo sguardo della nonna. Si lasciò cadere sul letto perfettamente rifatto, chiuse gli occhi e scalciò le scarpe di tela, che caddero sul tappeto con un rumore attutito e quasi rassicurante. Provò a svuotare la testa, ma non ci riuscì. Provò a prendere le idee a una a una e a incasellarle in uno schema chiaro, qualcosa di ordinato e comprensibile come una tavola pitagorica. Niente da fare. Cercò con la mano il telefonino che teneva in tasca. Doveva chiamare Arianna. Si sforzò di riaprire gli occhi e fissò il display, allungò il dito sul tasto della chiamata rapida, ma poi si ricordò che Arianna non avrebbe risposto: aveva detto che sarebbe andata con suo padre fuori città a comprare una nuova mensola per la sua stanza. Lasciò cadere la mano sul petto, con un sospiro di frustrazione. Arianna era la sua migliore amica, oltre che la sua compagna di banco e la più brava della classe. Eccellere a scuola per lei non era una fatica. Quella mattina le aveva raccontato della mensola per filo e per segno, neanche ne andasse della sua stessa vita: Arianna, la perfezionista, doveva avere una camera sempre 3
in ordine. Una vera ossessione che Viola proprio non capiva. Girando gli occhi attorno, nella sua stanza, vide i libri ammonticchiati sulla scrivania e gli abiti sulla poltroncina, che la nonna aveva districato e ripiegato, ma che mantenevano un’aria abbandonata. Intanto, Arianna avrebbe passato il pomeriggio con suo padre. Che fortuna. Il padre di Viola non si faceva vedere da sette settimane e cinque giorni. Aveva segnato la data del loro ultimo incontro sul diario e ogni tanto contava i giorni, giusto per mantenere il senso del tempo e della sua profondità, che continuava ad avere in mente come una voragine buia. Le aveva concesso solo qualche telefonata sbrigativa, quasi furtiva, che era arrivata sempre di sera, dopo cena, quando i pensieri sono già alla mattina dopo e nient’altro. E non aveva mai capito se sua madre fosse con lui. Di sicuro non era con lei e la nonna. Quel giorno aveva fatto la strada di ritorno da scuola da sola, ed era pure incappata nel gruppo delle solite galline che le erano saltate di fronte all’improvviso. Cecilia, capogallina, aveva camminato davanti a lei strisciando i piedi e sollevando polvere. Viola era sicura che lo avesse fatto apposta per darle fastidio. Una vera carogna, Cecilia: tutta impegnata a non farne passare una liscia a nessuno. E poi aveva quel codazzo starnazzante, buono solo a ripetere quello che diceva lei. Una specie di montagna che si porta dietro l’eco. Una montagna che riscuoteva gran successo, però. 4
Viola non andava bene per il club delle galline: troppo poco fashion, troppo poco allegra, troppo poco spiumazzata e spensierata. Insomma, del tutto inadeguata allo standard del pollaio. Ma, sotto sotto, a volte le sarebbe piaciuto assomigliare a Cecilia. Sempre perfetta e sicura, con l’aria di chi non si lascia scuotere da niente. E a trasformare la situazione in un chiodo nel cuore era il fatto che Cecilia aveva messo gli occhi su Michele. Già, proprio lui. Michele era uno che si faceva notare: con quella carnagione sempre levigata da una leggera abbronzatura, lo sguardo di un azzurro trasparente, il sorriso abbozzato che gli dava l’aria di giusta sufficienza e le mani sprofondate in tasca. A tutto questo, come se non bastasse, aggiungeva l’andatura elastica e composta di chi si allena a basket tre volte la settimana e riesce a trovare il tempo anche per stare con gli amici. Non c’era da stupirsi che le ragazze del pollaio gli sciamassero dietro. Anche Michele aveva un compagno che gli faceva eco: Francesco, un ragazzo tranquillo, con gli occhi profondi. Michele e Francesco stavano insieme praticamente sempre e Cecilia non perdeva l’occasione per incollarglisi alle calcagna e imbastire discorsi. Sembrava avesse spunti di conversazione a non finire. Per di più (inspiegabilmente, almeno alle orecchie di Viola) era la sola che riusciva a farsi rispondere da quei due qualcosa di più di tre monosillabi. Viola avrebbe regalato volentieri il suo preziosissimo zaino autografato dalle Daisy Sisters pur di riuscire anche una sola volta nella stessa impresa! 5
Quel giorno però era successo qualcosa, un cambiamento impercettibile. Michele aveva raccolto la sua gomma passando tra i banchi e gliela aveva appoggiata delicatamente nel palmo della mano. Un contatto inaspettato. Poi si era subito voltato dalla parte di Cecilia, quasi a controllare che non l’avesse notato. O almeno così era sembrato a lei. Sdraiata sul letto, Viola ripensò a lungo a quel momento, ma proprio non si ricordava se Cecilia li stesse guardando. Solo l’indomani avrebbe scoperto se li aveva notati e quale punizione le sarebbe toccata per quel gesto che non era stata lei a cercare. Mentre aveva ancora negli occhi Michele, il silenzio del suo pomeriggio venne di nuovo interrotto da una telefonata, decisamente rumorosa. Questa volta la nonna era davvero arrabbiata. Viola si alzò di scatto dal letto e si avvicinò alla porta per sentire meglio. I suoi piedi nudi lasciarono una serie di impronte sulle mattonelle lustre del pavimento. «Siete due ipocriti! Non avrei un’altra maniera per descrivervi, cari miei! Così non può continuare: ma state sicuri che a una decisione dovete arrivare. I ragazzi crescono e non si recupera il tempo perduto…» Viola si mordicchiò il labbro, i pensieri che le facevano ressa nella testa. “Che strana frase. Forse stanno decidendo qualcosa di grosso. Forse è per questo che Vincenzo non si fa vedere.” Vincenzo era il nome di suo padre, che non aveva mai 6
voluto farsi chiamare papà: un vezzo da genitore moderno. Viola si sforzava, ma non le era mai piaciuto chiamarlo per nome. Un papà deve essere un papà e basta. L’onda di energia negativa che aveva già percepito prima e che si era sforzata di ricacciare indietro la invase di nuovo, e si mise a camminare inquieta nella sua piccola stanza, guardando nel vuoto. Voleva togliersi quel pensiero dalla mente, ma non bastava mettersi a cantare una canzoncina come faceva da piccola, bisognava sforzarsi molto di più, concentrarsi su qualche altra cosa. Tornò a gingillarsi al ricordo di Michele che le ridava la gomma con quel tocco magico. Era sicura che avesse intenzionalmente trattenuto la mano nella sua. Non fu un appiglio cui riuscì a stare aggrappata a lungo. All’improvviso, tutti i suoi pensieri di scuola e i sogni si volatilizzarono lasciando solo un enorme senso di vuoto, come un presentimento che qualche cosa stesse per accadere a sua insaputa. C’entravano i suoi genitori, ne era certa, e doveva scoprire di che si trattava al più presto. Forse aveva rimandato troppo. Forse troppe domande le erano rimaste chiuse dentro. Decise che era tempo di agire.
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2 LA SCATOLA DI LATTA
Fu costretta ad aspettare il giovedì mattina. Era giorno di mercato e la nonna non se lo sarebbe perso per niente al mondo. Per la nonna il mercato era una specie di avvenimento imperdibile e pure l’apice della sua vita sociale. Usciva con la sporta della spesa e tornava carica e contenta, ma non prima di due ore e di una lunga sosta con le amiche al bar all’angolo della piazza che, per la generazione della nonna, era l’equivalente del bar gelateria di Rollo per Viola. La scuola, il giovedì, finiva a mezzogiorno e la nonna rientrava per le dodici e mezzo. Viola teneva nel diario un permesso firmato per l’uscita anticipata perché la nonna si fidava di lei e ripeteva: «Non si sa mai, se capita qualcosa puoi arrivare prima anche se io non riesco a chiamare la segreteria». Succedeva così dalle elementari e Viola non aveva mai usato il bonus del permesso. Quel giovedì, però, aveva un’ottima ragione per approfittarne. Se fosse uscita alle undici, avrebbe avuto almeno un’ora e mezza per mettere a punto il suo piano. 8
Uscì dal cancello della scuola soffocando il senso di colpa e corse a casa più in fretta che poteva. Si chiuse la porta alle spalle e, appena fu sicura di essere sola, avviò la propria indagine. Entrò nella camera di sua madre. In realtà era la camera degli ospiti, perché sua madre la occupava ben poco, mentre spesso la nonna riceveva degli amici che venivano a fare turismo da quelle parti: la regione dei laghi attira sempre tanta gente. Viola sapeva che in fondo all’armadio, dietro alle coperte ripiegate, era nascosta una vecchia scatola di latta. Era la scatola dei tesori di sua madre, un oggetto segretissimo e proibito. L’aveva scoperta per caso anni prima, da bambina, quando le era capitato di vedere la mamma che la nascondeva con cura e poi si guardava attorno, come per controllare che nessuno avesse notato il suo gesto. Poi, negli anni, Viola se ne era dimenticata, ma la notte prima le era tornata alla mente come per incanto. Sapeva che sarebbe stato il primo posto dove guardare. Fu questione di un secondo e si ritrovò seduta sul letto con la scatola sulle ginocchia. Il cuore le batteva forte e aveva le mani sudate. Per la seconda volta in mezz’ora stava violando il patto silenzioso di fiducia e rispetto sigillato con la propria famiglia. Anzi, con la nonna, visto che era lei la sua famiglia. Quella considerazione la punse per un attimo: non era mai stata tanto consapevole che le cose stessero a quel modo. Scacciò ogni pensiero e si mise all’opera. 9
Sollevò solennemente il coperchio e, a una prima occhiata, le si presentarono davanti soltanto scartoffie. Fece un lungo respiro, come per fare un gran rifornimento di energia, e prese a passare ogni elemento con attenzione. Trovò biglietti d’auguri, cartoline, una lettera del nonno, biglietti del treno e molte foto di teatri, attori, abiti, mostre, inaugurazioni... insomma, tutte cose che avevano a che fare con il lavoro di sua madre, che faceva la costumista e – a tempo perso – la stilista. Niente di stupefacente, dunque. Iniziava a sentirsi un po’ delusa, o forse sollevata, quando la sua attenzione fu attratta da una serie di foto tenute insieme da un nastrino blu e appoggiate sul fondo della scatola. Strano che una persona frettolosa come sua madre avesse riposto con tanta cura il pacchetto di foto: dovevano essere importanti. Sciolse il nastro e iniziò a guardare gli scatti. In tutti appariva suo padre. Iniziarono a scorrerle davanti agli occhi come i fotogrammi di un film. Il tic tac della sveglia a far da colonna sonora e a scandire le sequenze. Antonella e Vincenzo in moto, in montagna, su una spiaggia in costume da bagno, al tavolo di un ristorante elegante, poi appena svegli la mattina in una camera disordinata. “Sono tutte foto di vacanze”, pensò sulle prime. “E qui doveva essere qualche anno fa.” Girò la foto per vedere se la stampa riportava una data. Luglio 2006. “Io ero già nata…” Girò tutte le fotografie con mano tremante e constatò che erano state scattate dopo la sua nascita, tutte tranne due. 10
«E perché mai i miei genitori se ne vanno in vacanza senza di me?» Frugò nervosamente fino in fondo alla scatola sperando di trovare delle foto di lei da neonata, in braccio a papà, quelle classiche pose goffe e ridicole che tutti hanno… I primi passi, le torte di compleanno, il primo giorno di scuola, ma nulla di tutto quello che aveva immaginato stava là dentro. Le sue poche foto erano tutte sullo scrittoio in salotto, in pesanti cornici d’argento un po’ funeree. Non c’era spazio per lei nella scatola di sua madre. Il suo posto era nella vecchia casa sul lago con la vecchia nonna. Quell’enorme senso di vuoto e di inquietudine che l’aveva contagiata qualche giorno prima ritornò con violenza a navigare dentro di lei. Dovette sdraiarsi un momento sul letto perché le mancava il respiro. Poi sentì suonare il campanello. La nonna! Il giovedì, sapendola a casa prima di lei, la nonna suonava sempre il campanello, perché lei uscisse e l’aiutasse a portare dentro le borse. Tempo scaduto. Si alzò di scatto, ficcò la scatola sotto le coperte e sbatté con violenza la porta dell’armadio. In un soffio aprì alla nonna e le prese le borse di verdura. Si diresse in cucina e con gesti meccanici cominciò a stipare tutto nel frigorifero. Non vedeva nulla, agiva come un automa e, a guardarla bene, stava perfino trattenendo il fiato. La nonna si accorse subito che la porta della camera degli ospiti era socchiusa. «Come mai c’è la porta aperta là?» 11
«Ho sentito un rumore strano giù in strada e mi sono affacciata da lì per vedere meglio. Era una jeep che ha frenato… per un cane, credo.» Viola aveva trovato una scusa perfetta, una prova da manuale. Sorrise tra sé per la sua prontezza e la nonna si concentrò sulle cime di rapa. Tutto liscio. Mangiò senza nemmeno accorgersi dei sapori e dopo pranzo annunciò che sarebbe andata a trovare Arianna. Non si erano sentite al telefono e Viola, uscendo di casa, non era sicura di voler andare da lei come aveva sostenuto. Finì per passare dal centro affollato. Aveva bisogno di sole, per scaldarsi dentro, e di gente, per illudersi di essere meno sola. I primi turisti si aggiravano naso all’aria, con grossi gelati che sgocciolavano sulle mani, la macchina fotografica a tracolla e i sandali e le magliette senza maniche come se fosse già luglio. Si fermò a guardare la vetrina del negozio di scarpe di Grazia, che la salutò dall’interno con un sorriso. Era intenta a servire una grassona tedesca e le fece una smorfia. “Grazia è sempre allegra, che fortuna avere un carattere così”, pensò Viola ricambiando il saluto, ma appena distolto lo sguardo ecco che il vuoto inquieto che si aggirava nel suo stomaco si rifece sentire con uno dei suoi morsi. Viola guardava lontano, non sapeva dove andare, e si fermò a osservarsi i piedi. Poi una pacca sulla spalla la fece sobbalzare. «Che ci fai qui tutta sola e pensierosa?». Era Arianna, per fortuna. Viola non avrebbe potuto desiderare di meglio. 12
«Ah, sei tu. Stavo venendo da te», bofonchiò. «Non credo proprio, stai andando nella direzione opposta… Ma stai bene?» Era difficile nascondere qualcosa ad Arianna, che la prese per mano e la tirò verso casa sua. Abitava in una villetta con un bel giardino e in un angolo riparato c’era un dondolo, una specie di cimelio di famiglia che le aveva accolte per anni nei loro giochi di bambine. Quando furono sedute lì, fianco a fianco, Arianna le diede un pizzicotto sulla coscia. «Allora, si può sapere che ti prende?» Viola non riuscì a guardarla negli occhi. Non sapeva da dove cominciare e, soprattutto, non sapeva se cominciare. Si sentiva come un tuffatore che è già in punta di piedi sul bordo del trampolino, guarda giù verso l’acqua e non ha più la forza di lanciarsi. Buttarsi o fare un passo indietro? In fondo Viola era bravissima a trovare scuse plausibili, sua nonna non aveva mai avuto sospetti. Certo erano sempre state piccole questioni, ma fare un passo indietro e non raccontare nulla sarebbe stato semplicissimo.
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n
ella vita di Viola, tredici anni, tutto sembra tranquillo: la scuola, gli amici, una nonna che pensa a tutto, i progetti e le risate con la migliore amica Arianna. C’è anche Michele, bello e un po’ scontroso, che forse si è perfino accorto di lei. Ma allora da dove viene la brutta sensazione di essere invisibile? Di non contare mai abbastanza? Viola capisce che se vuole scrollarsela di dosso, deve affrontare la realtà: sua madre non c’è quasi mai, suo padre è ancora più assente. Non hanno mai vissuto come una vera famiglia, perché? Con l’aiuto di Arianna, Viola si mette sulle tracce della verità. Quando scoprirà il segreto dei suoi genitori – un segreto molto difficile da accettare – saprà scegliere che cosa fare?
A VOLTE I GENITORI NON SONO COME LI VORREMMO. VIOLA LO SA. E FORSE È ARRIVATO IL MOMENTO DI SPICCARE IL VOLO SENZA DI LORO. LODOVICA CIMA è autrice di libri per bambini e ragazzi e consulente edi-
toriale di grande esperienza. Per Il Castoro ha contribuito alla raccolta di racconti Parole fuori. Ha ideato e cura la collana Tandem.
ANNALISA STRADA si occupa da anni di promozione alla lettura, è insegnan-
te e autrice per bambini e ragazzi. Fra i suoi numerosi libri, il romanzo Una sottile linea rosa, Premio Andersen 2014 e Io, Emanuela. Agente della scorta di Paolo Borsellino, finalista Premio Bancarellino 2017.
€ 8,90 ISBN 978-88-6966-256-0
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