Siamo tutti fatti di molecole

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Susin Nielsen vive a Vancouver con un

Ashley: A essere del tutto sincera al cen-

marito, un figlio e due gatti. Sceneggiatrice di popolari serie televisive, ha vinto per due volte il Canadian Screenwriter Award prima di lanciarsi nel mondo dei libri per ragazzi.

to per cento, io proprio non lo capisco come abbia fatto la mamma a innamorarsi di Leonard. Ma dato che non si era mai accorta che mio padre è gay, forse non dovrei stupirmi tanto. Solo che ora tocca a me subirne le conseguenze: Leonard e quel nanerottolo di suo figlio Stewpidart si sono trasferiti a casa nostra! AIUTO! I miei genitori vogliono rovinarmi la vita!

La ragazza più bella e superficiale della scuola. Un piccolo genio con la passione della matematica.

Ashley e Stewart non potrebbero essere più diversi.

Siamo tutti fatti di molecole

ma in fondo, non SIAMO TUTTI FATTI DI MOLECOLE?

Stewart: Al mondo ci sono molti misteri che la scienza ancora non ha spiegato. Per esempio: la mia quasi-sorella Ashley è sorda, o finge di non sentirmi? Perché sbaglia sempre il mio nome e quello del mio gatto Schrödinger? Ma soprattutto: perché mi odia? Ora che io e papà ci siamo trasferiti a casa sua, andiamo anche alla stessa scuola. Speriamo bene… Ashley e Stewart si ritrovano a far parte della stessa famiglia. Cosa può succedere quando due mondi così lontani entrano in rotta di collisione?

€ 15,50 ISBN 978-88-8033-971-7

9 788880 339717

www.castoro-on-line.it

Copertina di Rita Petruccioli



Susin Nielsen Siamo tutti fatti di molecole Traduzione di Claudia Valentini Š 2015 Editrice Il Castoro Srl viale Andrea Doria 7, 20124 Milano www.castoro-on-line.it info@castoro-on-line.it Copertina di Rita Petruccioli Pubblicato per la prima volta con il titolo We Are All Made of Molecules Copyright testo Š 2015 Susin Nielsen Edizione pubblicata in accordo con Tundra una divisione di Random House of Canada Limited ISBN 978-88-8033-971-7

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susin nielsen

siamo tutti fatti di molecole

traduzione di claudia valentini

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A Oskar - Con te, io e tuo padre abbiamo vinto alla lotteria.



STEWART

H

o sempre desiderato una sorella. Un fratello no, non così tanto. Mi piace la simmetria e sono sempre stato convinto che una sorella avrebbe creato il quadrilatero perfetto, il “quadrato della famiglia”, con i cromosomi X a formare due lati e quelli Y a completare il resto. Ogni volta che rompevo le scatole ai miei, loro mi rispondevano: «Stewart, ma noi abbiamo già il figlio perfetto! Sarebbe impossibile fare di meglio!». Il ragionamento non faceva una piega, bisogna ammetterlo. Poi un bel giorno – io avevo da poco compiuto dieci anni – mi è capitato di origliare una conversazione tra loro due. Ero in camera a costruire il mio regalo di compleanno, un’astronave enorme della Lego, senza istruzioni, perché le mie abilità spaziali sono molto sviluppate. Mamma e papà stavano di sotto, ma le loro voci mi arrivavano attraverso la bocchetta dell’impianto di riscaldamento. «Leonard», aveva detto la mamma, «il desiderio di Stewart potrebbe finalmente avverarsi». Io ho abbandonato 1


i Lego e sono corso alla bocchetta. «Sono due mesi che non ho il ciclo, sto mettendo su un po’ di pancia e sono sempre stanca...» «Pensi di essere incinta?», le ha chiesto mio padre. «Sì.» Impossibile trattenersi. «ERA ORA!», ho urlato nella bocchetta. «IL MIGLIOR REGALO DI COMPLEANNO DI SEMPRE!» Il giorno dopo, la mamma aveva preso un appuntamento dal medico. Ma dentro di lei non stava crescendo nessun bambino. Bensì un cancro. Era partito dalle ovaie e, quando l’hanno scoperto, si era ormai diffuso ovunque. È morta un anno e tre mesi dopo. Ora ho tredici anni, ma mi manca ancora da morire, perché lei era davvero una persona di valore. Quando avevo sette anni, per il suo compleanno io e mio padre le abbiamo regalato una tazza con su scritto: la mamma migliore del mondo, e io ero fermamente convinto che ci fosse una sola tazza come quella in tutto il pianeta e che fosse stata fatta apposta per lei. Non parlo volentieri dell’anno in cui è stata male. O dell’anno che è seguito alla sua morte. Anche mio padre è una persona di valore e ha fatto del suo meglio, e mi piace pensare che anch’io sono una persona di valore e quindi anch’io ho fatto del mio meglio. Ma è stata davvero dura, perché ci è venuto a mancare un terzo della famiglia. Prima eravamo un triangolo equilatero. La mamma era la base che reggeva l’intera struttura. 2


ST

EW

PA

AR

T

Venuta a mancare lei, gli altri due lati sono crollati l’uno sull’altro.

MAMMA

Eravamo tanto, tanto tristi. In una delle prime sedute, la mia terapeuta, la dottoressa Elizabeth Moscovich, mi ha detto che una parte di noi sarebbe rimasta triste per sempre e che avremmo dovuto imparare a convivere con questa cosa. All’inizio confesso di aver pensato che non fosse granché come terapeuta, perché se fosse stata brava sarebbe stata in grado di curarmi. Ma dopo un po’, ho capito che era esattamente il contrario: è una terapeuta eccezionale, perché ti dice le cose come stanno. La dottoressa Elizabeth Moscovich sostiene pure che se a volte uno si sente triste, non vuol dire che non può anche essere felice, cosa che all’inizio potrebbe suonare come una grossa contraddizione. E invece è vero. Per esempio, sono ancora felice quando vado con papà a vedere una partita di baseball al Nat Bailey Stadium. Sono felice quando straccio il mio amico Alistair a Stratego. E quando l’anno scorso io e papà abbiamo adottato il gatto Schrödinger al Centro 3


Protezione Animali, non ero soltanto felice, ero al settimo cielo. Non è neanche lontanamente pensabile che Schrödinger possa sostituire la mamma, questo è ovvio. Non è in grado di sostenere una buona conversazione; non sa preparare i miei bocconcini di pollo preferiti; non può farmi il solletico sulla schiena o darmi un bacio sulla fronte prima di dormire. Ma lui ha bisogno di me e io di lui. Lui ha bisogno di me perché gli do da mangiare, lo coccolo e gli pulisco la cacca. E io ho bisogno di lui per parlare, anche se so che non mi risponderà mai. E poi ho bisogno che di notte mi si addormenti vicino alla testa, perché così non mi sento solo. Perciò, quando a un anno dalla morte della mamma, papà ha iniziato a uscire con Caroline Anderson, non mi è sembrato poi molto strano. Caroline è il gatto Schrödinger di papà. Lui ha bisogno di lei e lei di lui. Questo non significa che ha smesso di essere triste, perché a volte ancora lo è. Significa, però, che riesce a mettere in pausa la tristezza per periodi sempre più lunghi, e questa è una cosa buona. Per tanto tempo siamo stati Papà Triste e Stewart Triste, ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette, e insieme eravamo tristi al quadrato e tutto era un gigantesco buco nero di tristezza. Papà e Caroline lavorano nella stessa redazione da quasi dieci anni. Sono sempre andati d’accordo, ma è solo da quando sono rimasti entrambi single che hanno iniziato a guardarsi in quel modo. Il marito di Caroline se n’è andato più o meno nello stesso periodo in cui mamma è morta. Caroline è divorziata. L’avevo vista qualche volta quando 4


mamma era ancora viva, alle varie cene di lavoro di papà. E poi, ovviamente, la vedo sempre in Tv. Mi piace e anch’io piaccio a lei. E, soprattutto, anche mia mamma le piaceva e so che il sentimento era reciproco. Ma la cosa più importante di tutte è che è innamorata di mio padre. Lo vedo da come lo guarda con quegli occhioni dolci, e anche lui la guarda allo stesso modo. A volte, sento quasi una fitta allo stomaco quando penso alla mamma e al fatto che, se le cose fossero andate diversamente, ora sarebbe lei a prendersi gli occhioni dolci di papà, ma, come mi ha fatto notare la dottoressa Elizabeth Moscovich, non posso vivere nel passato. Caroline rende felice mio padre, e questa è una cosa buona. E poi, ha una figlia! Si chiama Ashley e ha un anno più di me. L’ho vista solo poche volte. È molto carina, ma temo possa avere problemi di udito, perché ogni volta che provo a parlarci, o se ne va, o alza il volume della Tv al massimo. Magari è solo timida. Ci stiamo per trasferire da loro. Caroline e papà ce l’hanno annunciato il mese scorso. Io, papà e Schrödinger lasceremo la nostra casa di North Vancouver per andare a vivere in quella di Caroline e Ashley a Vancouver, sulla Ventiduesima Avenue, tra la Cambie e la Main Street. A me e a Ashley hanno dato la notizia separatamente, così non so qual è stata la sua reazione, ma, per quanto riguarda me, la cosa mi ha reso felice all’89,9 per cento. «89,9?», mi ha chiesto la dottoressa Elizabeth Moscovich la settimana scorsa, durante la nostra ultima seduta. «E il restante 10,1?» 5


Le ho confessato che quella parte è composta di emozioni un po’ meno positive. E così abbiamo fatto una lista e in quella lista sono finite parole come ansia e senso di colpa. La dottoressa Elizabeth Moscovich mi ha detto che è perfettamente normale. In fin dei conti, stiamo lasciando la casa in cui ho trascorso tutta la mia vita, quella che mamma e papà hanno comprato insieme l’anno prima che nascessi. Ormai papà l’ha venduta a una giovane coppia con un bambino piccolo, e questo vuol dire che non si torna indietro. Porteremo con noi un sacco di cose, ma non possiamo portarci via il mosaico di pietre con cui la mamma ha decorato il vialetto del giardino, o i fiori che ha piantato, o le sue molecole, che so per certo fluttuano ancora nell’aria, altrimenti perché riuscirei a sentire la sua presenza in ogni singolo istante? Si tratta di quello che le persone con una mente meno scientifica della mia chiamerebbero “aura”, e casa nostra, anche se è passato molto tempo dalla sua morte, è ancora piena zeppa dell’aura di mia madre. Questo mi preoccupa un po’. Dove andrà la sua aura quando noi non ci saremo più? Troverà la strada per raggiungerci nella nuova casa, come quei cani eroici di certi vecchi film, che fanno centinaia di chilometri per ritrovare il padrone? O si perderà? Sto anche un po’ in pensiero perché non so cosa ne pensi Ashley della fusione delle nostre famiglie. Non mi aspetto che sia entusiasta all’89,9 per cento. Ma spero che lo sia almeno per il 65. Con un 65 per cento ci si può lavorare. Non era questo il modo in cui speravo che si avverasse il mio desiderio. Non era questo il modo che avrei scelto 6


per diventare un quadrilatero. Preferirei di gran lunga essere ancora un triangolo, se questo volesse dire che la mamma è ancora viva. Ma dal momento che si tratta di un’impossibilitĂ scientifica, mi sforzo di guardare il lato positivo. Ho sempre desiderato una sorella. E ora sto per averne una.

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ASHLEY

L

a mia famiglia è fubar. È la parola che ieri, a scuola, ha usato la mia amica part-time Claudia per descrivere la sua famiglia. Io le ho detto che non avevo idea di cosa volesse dire e lei mi ha risposto: «Sai che novità». Poi però mi ha spiegato che è un termine che usano i soldati americani. Vuol dire «F... Up Beyond All Recognition», e cioè più o meno «Andata Irrimediabilmente A Pu...ntini», solo che i soldati non dicono “Puntini”. Claudia vive in una di quelle famose famiglie allargate ormai da anni. Ha un patrigno cattivo e due sorellastre insulse. Quindi capisce bene che follia mi sta per capitare. Ho compiuto da poco quattordici anni e lei dice che ne devo aspettare altri due prima di poter ingaggiare un avvocato e decostiparmi. No. Un attimo. Non è la parola giusta. Ancora non mi è entrata in testa. Volevo dire emanciparmi. A quanto dice Claudia, significa che puoi divorziare dai tuoi genitori e liberarti di loro una volta per tutte. Pure lei 8


vuole divorziare dalla sua famiglia. E così, anche se ha un po’ di pancetta e non si lava mai i capelli e non si avvicina nemmeno lontanamente al mio livello, riesce più o meno a capire che cosa sto passando. Quello che mi scoccia di più, però, è il fatto che la mia famiglia non è sempre stata fubar. Per dodici anni e mezzo è stata perfetta. Mio padre lavora in un’agenzia pubblicitaria e mia madre presenta l’edizione della sera del Tg locale. Per essere vecchi, sono bellissimi, e se dico che ho ereditato il meglio da tutti e due non è per fare la presuntuosa, ma perché è la verità. Abbiamo una Volvo station wagon grigio metallizzato quasi nuova e fino a un anno e mezzo fa ogni vacanza di primavera andavamo sull’isola di Maui, alle Hawaii. Abbiamo una grande casa moderna, con un’altra mini casetta sul retro. Vancouver è piena di casette così. Si costruiscono dietro la casa principale, accanto al vialetto, nel punto in cui di solito c’è il garage. Noi avevamo appena finito la nostra quando mi è crollato il mondo addosso. I miei avevano pensato di affittarla per qualche anno, e poi l’avrei usata io se restavo a Vancouver per l’università, anche se a scuola il mio tutor dice che devo “fare i conti con la realtà”, perché con la media del sei non sarò mai ammessa da nessuna parte. Di nuovo, non esagero se dico che i miei amici erano invidiosi di me e della mia vita. E come dargli torto? Anch’io sarei stata invidiosa della mia vita, se non fosse già stata mia. E poi, un anno e mezzo fa, mio padre ha detto a mia madre di sedersi e ha pronunciato le due paroline magiche che hanno mandato in pezzi la nostra famiglia. 9


«Sono gay.» Nessuno dei miei amici sa di questa storia. Nemmeno la mia migliore amica, Lauren. Le ho raccontato soltanto che i miei si sono lasciati perché litigavano sempre. Perché, sì insomma, Certe Persone si sono fatte questa idea che io non sia una tipa simpatica. Questo è assolutamente falso, falsissimo, una bugia. Eppure, Certe Persone pensano che io sia una snob (almeno così ha scritto qualche idiota sul mio armadietto l’anno scorso). Claudia mi ha detto che queste Certe Persone sono addirittura contente che i miei si siano lasciati, come se mi meritassi di soffrire un po’. Per carità, magari potrebbe anche essere in parte vero che nel corso degli anni mi è scappato qualche commento sulle famiglie degli altri (cioè, sì, okay, ho detto a Violet Gustafson che sua madre era una sciattona prima che lei mi rompesse il naso, che per fortuna si è rimesso a posto così bene che quasi non si nota più), però sono stata fraintesa. Quando ho detto quella cosa a Violet, io la intendevo più come un’osservazione che come un insulto. Ma Violet e la sua amica Phoebe non l’hanno capito, tanto che ora di nascosto le chiamo Violent e Flebile, cosa che, devo dire, trovo piuttosto geniale. E così, quando i miei si sono lasciati non ho avuto un briciolo di compassione da parte di nessuno. Anzi, quando Certe Persone l’hanno scoperto, mi sono arrivati un sacco di sorrisetti a mezza bocca. Pure la vicinanza di Lauren mi è sembrata terribilmente falsa, cosa che, devo ammettere, mi ha fatto parecchio male. Ecco perché non racconterò mai e poi mai a nessuno la parte del padre gay. Ma non perché 10


queste Certe Persone odiano i gay (anche se tra di loro qualcuno che odia i gay c’è di sicuro), ma perché ci godrebbero troppo nel vedere che la mia fantomatica vita perfetta, in realtà, era costruita su una gigantesca bugia. A essere del tutto sincera al cento per cento, mi sa tanto che anch’io, un pochino, i gay li odio. Non pensavo di essere così. Voglio dire, adoro Geoffrey, il parrucchiere e truccatore di mamma alla redazione, e lui è gay. E i miei programmi Tv preferiti sono pieni di gay, e sembrano sempre allegri e sfacciati e fantastici da avere intorno. Ma quando tuo padre di punto in bianco ti annuncia di essere uno di loro, allora è tutta un’altra storia. Non c’è niente di allegro o di fantastico. Ti vengono in mente un sacco di domande. Domande di cui non voglio conoscere la risposta. Domande del tipo: ma ci hai mai voluto davvero bene? O anche questa era una bugia? Mio padre ha detto a mia madre di essere gay un martedì. Il sabato dopo se n’era già andato. Ma non in un appartamento in centro. Non in Siberia, come avevo suggerito io. No. Si è spostato di neanche due metri, nella nostra casetta sul retro. !!!!!!!!!!!!!!!!!!! Il mio papà neo gay non poteva permettersi un posto per conto suo a meno che lui e mia madre non avessero venduto la casa, e questo, secondo entrambi, sarebbe stato un colpo troppo duro per me. Da qui, la loro soluzione geniale: farlo abitare sul retro. Tipo che se io guardo fuori 11


della finestra della nostra cucina, mi trovo davanti la finestra della sua cucina. All’inizio pensavo che fosse soltanto una cosa temporanea. Mi immaginavo che l’odio per papà ci avrebbe unite tanto, a me e la mamma, e che nel giro di poco tempo la mia rabbia sommata alla sua lo avrebbe spinto ad andarsene, e noi non saremmo mai più state costrette a trovarcelo davanti. Ma nossignore. Non solo papà vive ancora lì, ma la mamma mi ha tradito su tutti i fronti. Primo, perché non è riuscita a restare arrabbiata con lui. Adesso stanno addirittura “lavorando per diventare amici”! Secondo, ha iniziato a uscire con il suo produttore, Leonard Inkster, un anno fa, e sono piuttosto sicura che questo va contro qualsiasi regolamento di qualsiasi posto di lavoro. E terzo – come se strapparmi via il cuore e sbatterlo più e più volte per terra non fosse già abbastanza – ha chiesto a Leonard di trasferirsi da noi. E Leonard non viene da solo. Si porta dietro quel nanerottolo saputello e stramboide di figlio che si ritrova. Oh mio Dio. È appena arrivato il loro furgone. Odio mia madre. Odio mio padre. Odio Leonard. Odio suo figlio. Odio la mia vita. Ancora due anni prima di potermi decostipare.

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STEWART

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o e papà abbiamo portato dentro tutte le nostre cose in meno di due ore. Siamo stati veloci, perché avevamo già sistemato un sacco di roba in un deposito la settimana scorsa. Non ero molto contento di questa soluzione, ma papà mi ha fatto notare che Caroline ha già una casa piena di mobili e non ha senso avere il doppio di tutto. Da un punto di vista pratico, non fa una piega, e io e papà siamo entrambi molto pratici. Ma quando un organo – in questo caso, il mio cervello – mi dice una cosa, e un altro organo – in questo caso, il mio cuore – me ne dice un’altra, si scatena un bel dilemma biologico. E quindi non posso negarlo: non mi è sembrato giusto chiudere in quel deposito tutte le cose che rappresentano la vita passata con la mamma. Come il tavolo della cucina in formica con i riflessi dorati dove abbiamo mangiato quasi tutti i nostri pasti. O il divano a fiori gialli e rossi, dove la mamma si stendeva nei giorni peggiori, cercando di lavorare un po’ a maglia se ne aveva le forze. O il tavolinetto basso pieno di macchie circolari, perché per la mamma i sotto13


Susin Nielsen vive a Vancouver con un

Ashley: A essere del tutto sincera al cen-

marito, un figlio e due gatti. Sceneggiatrice di popolari serie televisive, ha vinto per due volte il Canadian Screenwriter Award prima di lanciarsi nel mondo dei libri per ragazzi.

to per cento, io proprio non lo capisco come abbia fatto la mamma a innamorarsi di Leonard. Ma dato che non si era mai accorta che mio padre è gay, forse non dovrei stupirmi tanto. Solo che ora tocca a me subirne le conseguenze: Leonard e quel nanerottolo di suo figlio Stewpidart si sono trasferiti a casa nostra! AIUTO! I miei genitori vogliono rovinarmi la vita!

La ragazza più bella e superficiale della scuola. Un piccolo genio con la passione della matematica.

Ashley e Stewart non potrebbero essere più diversi.

Siamo tutti fatti di molecole

ma in fondo, non SIAMO TUTTI FATTI DI MOLECOLE?

Stewart: Al mondo ci sono molti misteri che la scienza ancora non ha spiegato. Per esempio: la mia quasi-sorella Ashley è sorda, o finge di non sentirmi? Perché sbaglia sempre il mio nome e quello del mio gatto Schrödinger? Ma soprattutto: perché mi odia? Ora che io e papà ci siamo trasferiti a casa sua, andiamo anche alla stessa scuola. Speriamo bene… Ashley e Stewart si ritrovano a far parte della stessa famiglia. Cosa può succedere quando due mondi così lontani entrano in rotta di collisione?

€ 15,50 ISBN 978-88-8033-971-7

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