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Stabilità, parola del 2023
L’anno 2022 sarà ricordato come l’anno del caos politico ed economico per la guerra in Ucraina e una serie di concause nazionali, tutte tipicamente italiane.
Si tratta di un evento epocale per gli effetti negativi che sta producendo: prima di tutto, in termini di vite umane e in secondo luogo, per il devastante impatto avuto sulle economie e sui tessuti sociali di gran parte dei paesi del Pianeta.
La crisi economica venutasi a determinare, si inserisce in vero in un quadro economico e politico internazionale ancora fortemente scosso dagli effetti derivanti dalla crisi del 2008, e dalla Pandemia, fenomeni che hanno determinato una vera e propria ondata di instabilità a livello globale a carattere inizialmente finanziario (vedi il default di Lehman Brothers) per poi evolversi rapidamente in instabili- tà fiscale da cui è dipesa la nota crisi dei debiti sovrani (soprattutto in alcuni paesi europei, Italia compresa) provocando, a sua volta, una profonda instabilità politica e sociale.
Diviene così centrale nell’agenda politica, tanto dei singoli governi nazionali, quanto delle organizzazioni sovranazionali, la definizione di nuovi meccanismi idonei a garantire la stabilità economica che, giova ricordare, lo United Nations Development Programme, ancora nel 1999, con il proprio Human development report ha inserito entro la categoria dei beni pubblici globali.
Il mio auspicio è che il 2023 sia ricordato per la stabilità.
Stabilità istituzionale, come Sistema Paese, prima di tutto. Tralascio il commento delle convulse fasi che hanno caratterizzato la crisi del Governo Draghi, avvenuta in piena congiuntura di guerra. Ora, l’Italia può contare su un Governo con una maggioranza che gli consenta di governare a pieno titolo.
Le quotazioni del gas naturale sono rientrate ai livelli pre-bellici e l’inflazione sembra dare segnali incoraggianti.
Le stime per la crescita del Pil a livello nazionale, europeo e mondiale, Cina a parte, non sono entusiasmanti. Se, però, possiamo contare su una congiuntura economica stabile, per quanto recessiva o di crescita minima, le imprese possono pianificare e programmare la ripresa delle attività ai ritmi consueti.