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L’Antichità di Halloween: E a Roma?
from Odisseo n. 13
per dimostrare qualunque forma di continuità, anche parziale. L'unico elemento in comune è la credenza secondo cui le ombre dei defunti percorressero le strade della città durante gli infausti 12 e 13 di Antesterione. Ma non è un elemento caratterizzante della festa né tanto meno unico. Nello specifico, infatti, gli Ateniesi credevano che le anime defunte uscissero dalle loro tombe perché attirate dal profumo intenso del vino spillato durante la Pithoigìa.
L’Antichità di Halloween: E a Roma?
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A Roma ci sono diverse festività in odore di Halloween. fra queste, la più citata è la festa dei Parentalia, ma si svolgevano anche altre feste simili, come i Caristia, i Rosalia e i Lemuria.
I Parentalia
I Parentalia erano feste di ambito familiare, come si intuisce dal nome stesso (parens erano, innanzitutto, i genitori e, per estensione, gli avi della familia e della gens), iniziavano i 13 e si concludevano il 21 febbraio con la cerimonia dei Feralia. Nove giorni, proprio come quelli intercorsi fra morte e festa del funerale . Secondo 10 la leggenda, sarebbe stato addirittura il capostipite dei romani, Enea, a fondarli, per onorare il defunto padre Anchise. Vi è anche una componente pubblica, in quanto
10 Petronio, Satyricon, 65: “Scissa lautum novendialem servo suo misello faciebat, quem mortuum manu miserat”, “Scissa ha offerto un ricco novendiale in onore di un suo chiavo liberato in punto di morte”. Cfr. Anche Tacito, Annales, 6, 5, 1. 10
le Vestali erano chiamate a sacrificare in nome di tutta la comunità. Anche a Roma, come ad Atene, i templi vengono chiusi, spenti i fuochi sacri, non si potevano celebrare matrimoni e tutti erano chiamati al culto dei propri morti. Ai defunti venivano offerte ciotole, lasciate ai bordi delle strade, piene di cereali (soprattutto farro), sale, pane bagnato nel vino e fiori di viola. Durante questa festa, venivano onorati i Lares, gli spiriti degli antenati. E' infatti noto che, inizialmente, essi erano le anime dei defunti di famiglia, i cosiddetti Lares Familiares, protettori della loro casa natale e della terra, e successivamente considerati come vere e proprie divinità, ma comunque sempre collegate al focolare domestico. In seguito, la festa ha subito profonde trasformazioni per adeguarsi al mutato andamento sociale e politico della Roma repubblicana prima, imperiale poi. Ed infatti ai Lares familiares, che erano quelli legati al focolare domestico, si unirono presto i Lares compitales (che vegliavano sugli incroci delle vie e di cui parleremo in un prossimo appuntamento), poi, in età augustea, anche i Lares Augusti (cioè gli antenati della famiglia imperiale che dovevano essere oggetto di venerazione pubblica). Sulle origini della festa già nell'antichità circolavano diverse interpretazioni. Ovidio , in particolare, nella sua 11 opera dedicata al calendario, i Fasti, ricorda un particolare rito dedicato alla Dea Tacita o Muta, chiamata anche Lara.
11 Ovid., Fas. II, 571-615
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Durante la cerimonia, una vecchia, attorniata da fanciulle, poneva tre grani d'incenso sotto la porta, legava fili ad un fuso scuro e si metteva in bocca sette fave nere. Doveva quindi bruciare su un fuoco una testa di pesce impeciato e cucito con amo di rame e spargervi sopra vino, bevendone poi il residuo con le fanciulle. Le fave nere sono sette come quelle che, nel mese di maggio, il pater familias, sacerdote all'interno della propria casa per quanto riguarda i riti familiari, si alza nel cuore della notte per gettarsele alle spalle senza guardare nelle feste Lemuria per scacciare gli spiriti malefici. Terminato il rito, la matrona e le fanciulle si recavano ad una fonte dove si svolgeva un banchetto allietato da vino, musiche e danze che durava fino a sera. La notte, poi, le donne andavano nei crocicchi e vi ponevano rami di rosmarino e dolci per avere responsi sul futuro dai defunti. La vecchia rappresenterebbe la ninfa Lala o Lara, sorella di Giuturna. Quest'ultima era una ninfa delle fonti che, in origine, era una donna mortale, amata da Giove che le offrì, in cambio dei suoi favori, l'immortalità ed il dominio sui corsi d'acqua dolce del Lazio. Secondo un'altra versione, sempre riportata dal dotto poeta marsico, Giuturna era la moglie di Giano, dal quale ebbe Fons. Comunque, Lara sarebbe stata punita da Giove col taglio della lingua e la morte per aver rivelato a Giunone i suoi amori con Giuturna. Secondo questo mito i Lares compitales sarebbero due gemelli da lei partoriti a seguito della violenza subita da Mercurio, incaricato, come il suo alter ego greco Hermes (non a caso chiamato Ctonio), di condurla nell'Ade per ordine di Giove stesso. La vecchia, secondo questa spiegazione eziologica, berrebbe vino fino ad ubriacarsi per poi 12
pronunciare la frase magica "Abbiamo legato le lingue ostili e le bocche nemiche", di fatto trasformando il rito in una sorta di legatura magica sullo stile delle defixiones. L’ultimo giorno dei Parentalia si celebravano i Feralia . 12 Il termine deriva, secondo Varrone , dal verbo latino 13 fero, che vuol dire “portare”, per indicare che, dopo i festeggiamenti, in quel preciso giorno (il 21 febbraio) si portavano doni sulla tomba dei propri defunti: non solo fiori (usanza che si è tramandata fino a noi) ma anche cibo, grano e specialmente vino per le libagioni. secondo Festo14, invece, la parola significherebbe "ferire le vittime”, forse con riferimento a immolazioni di vittime sacrificali sulle tombe o qualcosa di simile, anche se in questa festa non sembra fossero previsti sacrifici. L’usanza era stata portata nel Lazio, secondo limito fondante, da Enea, che avrebbe posto sulla tomba del padre Anchise vino e viole. Ovidio racconta che i Romani, nel bel mezzo della guerra, trascurate le Feralia, avrebbero udito gli spiriti dei defunti salire dalle tombe con rabbia, urlando e vagabondando per le strade e, terrorizzati, a avrebbero resero da allora omaggio alle tombe per far cessare l’infestazione. Anche qui, però, a parte le donazioni ai morti di natura gastronomica, ben poco c’è del nostro Halloween. Occorre inoltre ricordare che il rapporto con i morti dei romani era più complesso e che le offerte ai morti della famiglia venivano compiute in diversi momenti dell’anno. Inoltre, si parla di offerte in senso lato, perché una parte delle cibarie veniva, ad esempio, consumata dai vivi, e il
12 Marquardt e Mommsen 1889, pag. 372 e seg.
13 Varr. Lat. VI, 34
14 Festo (De Verborum Significatu, Feralia), 13
resto inserita nella tomba attraverso un’apposita fessura, in modo che, più che di offerta, si dovrebbe parlare di pranzo/cena in comune. Infine, il periodo scelto non è casuale. Febbraio è il mese dedicato al culto dei morti, in quanto mese che precede l’inizio dell’anno, che era marzo, il mese dedicato a Mars, divinità agricola prima, guerrafondaia dopo, che segnava anche l’inizio delle attività agricole e militari dell’anno. Dunque, da un punto di vista temporale, non vi era alcun legame con il solstizio e con il giorno dei morti, né con Samhain.
I Lemuralia
I Lemuria o Lemuralia erano delle feste dell'antica Roma celebrate nel mese di maggio, in particolare il 9, l'11 e il 13 maggio, per esorcizzare gli spiriti dei morti, i lemuri. Il nome originale della festività era, secondo Ovidio , 15 Remuria, perché la tradizione voleva che ad istituire queste festività fosse stato Romolo per placare lo spirito del fratello Remo, da lui ucciso16, mettendo in commissione, dunque, più o meno esplicitamente, questa festa, con i morti di morte violenta. Infatti, secondo il poeta delle Metamorfosi, Faustolo ed Acca Larenzia, dopo i funerali di Remo, ne avrebbero visto l'ombra che si lamentava per la sua fine e chiedeva a Romolo di dedicare un giorno alla sua memoria:
Romulus ut tumulo fraternas condidit umbras, et male veloci iusta soluta Remo,
Faustulus infelix et passis Acca capillis
15 Ovid., Fasti, V, 419-ss. 16 Ovid., Fasti V, 450 ss.
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spargebant lacrimis ossa perusta suis inde domum redeunt sub prima crepuscula maesti, utque erta, in duro procubuere toro. umbra cruenta Remi visa est adsistere lecto, atque haec exiguo murmure verba loqui 'en ego dimidium vestri parsque altera voti, cernite sim qualis, qui modo qualis eram! (…) ut secum fugiens somnos abduxit imago, ad regem voces fratris uterque ferunt.
Romulus obsequitur, lucemque Remuria dicit illam, qua positis iusta feruntur avis . 17
Romolo, informato della richiesta, avrebbe quindi acconsentito, dando alla ricorrenza il nome di Remuria che col tempo mutò in Lemuria. Ma, secondo un’altra versione, la festa sarebbe invece dedicata ai morti insepolti dimenticati, chiamati larvae o lemurae. Anche
17 “Appena Romolo ebbe tumulato i resti fraterni nella tomba, e sciolti i giusti (riti) al non abbastanza veloce Remo, Faustolo dolente e Acca dai capelli sciolti bagnavano con le loro lacrime le ossa bruciate. Poi tornano a casa verso il primo crepuscolo, mesti, e, così come era, si gettano nel duro letto. L’ombra cruenta di Remo sembrò apparire accanto al letto e dice con voce fioca queste parole: ecco la metà e l’altra parte del vostro voto, guardate quale sia e chi fossi prima (…) non appena, fuggendo, l’apparizione, il sonno portò con sé, il discorso del fratello entrambi riportarono al re. Romolo acconsentì e chiamò quella luce Remuria, durante la quale agli avi deposti (nella tomba) si portano i giusti onori”, Ovid., Fasti V, 450-60, 477-80, trad. dell’autore. in Plutarco (Plutarco, Vita di Romolo, 10, 1-2), invece, Faustolo muore nella stessa rissa in cui muore Remo e viene sepolto nel Foro, dove più tardi fu posto, ad indicare la sua tomba, un leone di pietra. In un’altra tradizione, invece, viene sepolto nel Comitium, sotto il lapis niger. 15
questa versione, però, fa riferimento al fantasma di Remo e sul suo lamento. Detto questo, cosa si faceva in questa festa? I pochi accenni ci fanno pensare ad un’altra festa “parentale”: si balzava dal letto di notte facendo schioccare le dita per allontanare le ombre dei morti, si offrivano fagioli ai morti e le vestali preparavano nella loro Casa la mola sansa, una salsa fatta con il primo grano della stagione, con cui i pater familias aspergevano le immagini dei Penates. Ovidio rileva che, in questa festa, esisteva l’usanza di allontanare entità maligne dalla casa lanciando fagioli neri sopra la spalla. Era anche questa una festa “familiare”: il pater familias celebrava la ricorrenza alzandosi a mezzanotte, girando per l’abitazione a piedi nudi, buttandosi alle spalle i suddetti fagioli neri e ripetendo la formula: “Invio questi fagioli e con questi redimo ciò che è mio” Tutto questo viene ripetuto nove volte. La famiglia poi doveva percuotere dei vasi di bronzo ripetendo, sempre per nove volte: “fantasmi dei miei padri e antenati se ne sono andati”. Anche qui, dunque, i morti che ritornano sono i morti di famiglia, convinti con donazioni (i fagioli) a lasciare la casa e ritornare nella dimora dei morti.
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I Rosalia
I Rosalia o Rosaria sono delle feste stagionali di origine italica, diffuse anche nella penisola balcanica e in Asia Minore I Rosalia non sono feste antiche, relativamente al mondo romano, si intende. La maggior parte delle iscrizioni, infatti, risale al periodo tardo-imperiale. L' iscrizione più tarda tra quelle rinvenute documenta l' esistenza di questa festa in Lucania, nell'Alta Valle del Sele, sotto Domiziano18. Tra tutte le iscrizioni pervenute che attestano l’esistenza delle Rosalia, ben ventisei provengono dall'Italia settentrionale, la cosiddetta Gallia Cisalpina. Sono inoltre menzionate nel Calendario di Filocalo (anno 354) e nel Feriale Capuanum (anno 387). E
18 CIL X, 444, 1883, Berolini apud Georgium Reimerum, Academiae literarum Regiae Borussicae, T. Mommsen. 17
proprio il Feriale Capuanum riporta come data il terzo giorno delle Idi di Maggio, ma la data doveva essere molto “instabile”, legata probabilmente al periodo di fioritura locale: un’iscrizione attesta questa festa a Roma nel quinto giorno delle Idi di Maggio , il Calendario di 19 Filocalo, invece, riporta il decimo giorno delle Calende di Giugno , un'altra iscrizione testimonia il dodicesimo 20 giorno delle Calende di Giugno e così via, fino alla data citata per Como, nel mese di Luglio21. Vista la distribuzione irregolare delle iscrizioni e delle citazioni, Lattimore ha suggerito che le Rosalia potessero essere feste nate in seno alle comunità della Gallia Cisalpina . 22 Anche in questo caso si facevano ai defunti delle offerte, chiamate inferiae; libagioni sulle tombe stesse di acqua, vino, latte caldo, miele, olio, sangue delle vittime sacrificali, che erano tutte, rigorosamente, di colore nero: maiali, buoi e pecore. Si versavano anche unguenti, si bruciavano incensi e le tombe e i monumenti funebri venivano ornati di fiori, tra cui, come si intuisce, rose, e di corone, per lo più interpretati come simbolo di vita . 23
19 CIL VI, 10234, anno 1882 20 CIL VI, 10239, anno 1882 21 CIL V, 5272, anno 1887. Marjeta Sasel Kos sostiene, ad esempio, che “The date of the festival of Rosalia varied in different regions and differing seasons in accordance with the blossoming of roses, ranging from May to the first week of July” (Marjeta Sasel Kos 2002, p. 134) 22 Lattimore 1942, p. 140 23 Lattimore 1942, pag. 138
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I Caristia
Altra festa che ha a che fare con i morti sono i Caristia. Anche qui, però, occorre pensare soprattutto a feste di famiglia, anzi, il valore “domestico” di questa festa è sottolineato dalle fonti in maniera equanime. Durante i Caristia, i parenti riuniti per ricordare i morti di famiglia rinsaldavano i legami di parentela: mangiavano tutti insieme e facevano offerte di grano, uva, favi, focacce, vino e incenso; sanavano eventuali discordie e facevano una sorta di censimento dei familiari ancora in vita. In questo giorno non erano ammessi estranei, ci ricorda Ovidio: Proxima cognati dixere Karistia kari, et venit ad socios turba propinqua deos. scilicet a tumulis et qui periere propinquis protinus ad vivos ora referre iuvat, 620 postque tot amissos quicquid de sanguine restat aspicere et generis dinumerare gradus. innocui veniant: procul hinc, procul impius esto frater et in partus mater acerba suos, cui pater est vivax, qui matris digerit annos, 625 quae premit invisam socrus iniqua nurum.24
Il mundus
Festo, in accordo con Catone (l’Uticense), a proposito del lemma “mundis”, afferma che: "Mundo nomen impositum est ab eo mundo qui supra nos est" , cioè "il 25 nome Mundus proviene dal mondo che sta sopra di noi”,
24 Ovidio, Fasti II, 617–626 25 Festo, De verborum significatu, p. 273 Lindsay 19
oppure “Mundus è il nome imposto da quel mondo che sta sopra di noi”. In molti commenti è collegato al culto della dea Cerere, tanto che è anche denominato mundus Cereris. Questa particolare tradizione appartiene alla religione romana arcaica, ed è ritenuta, nel bene o nel male, di origine etrusca. Keller ricorda infatti che “nessuna città etrusca crebbe mai a casaccio, come accozzaglia progressivamente crescente di abitazioni umane (…) la città fondata secondo le leggi sacrali costituiva […] una minuscola cellula del Tutto, armonicamente inserita in un ordine governato e determinato dagli Dei” . 26 Il tutto era strettamente connesso alla fondazione della città. Anzi, la costituzione del mundus è conditio sine qua non per la corretta (dal punto di vista religioso) realizzazione della fondazione della città stessa. Sempre secondo Weller, “dopo aver delimitato uno spazio sacro a mezzo di due assi ortogonali (quindi disposti a croce) che I Romani avrebbero in seguito denominato Cardo (asse Nord-Sud) e Decumanus (asse Est-Ovest), nel punto centrale si procedeva a scavare una fossa che fungeva da legame tra il mondo dei vivi e quello dei morti; questa veniva poi ricoperta da grandi lastre di pietra e insieme alla ‘volta celeste di cui sembrava costituire la controparte, fu chiamata mundus’” . 27 Varrone (citato da Macrobio) dice: “Mundus cum patet, deorum tristium (gli dèi tristi di marrone sono gli dei dell’Oltretomba) et inferum quasi ianua patet”, ovvero “quando il Mundus si apre, quasi si apre la porta degli
26 Keller 1981, p. 85 27 Ibidem
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dei tristi ed inferi”. Ma l’erudito sabino afferma anche che “mundus muliebris dictus a mundizia”, cioè l’oggetto della toilette femminile denominato mundus deriva il suo nome da un lemma (mundizia) che si rifa ai concetti di lindore, pulizia. Si intende, quindi, come il rito appaia connesso ad un atto di rinnovamento / ripulitura esistenziale ma, attenzione, non dei singoli individui, come potrebbe essere il Giorno dei Morti attuale, ma dell’Urbe, a cui la cerimonia, a differenza di Feralia, Lemuria ecc.., fa riferimento . 28 Il Mundus, differenza delle altre feste, è anche e soprattutto un luogo fisico: era infatti un edificio sotterraneo con un pavimento semicircolare, una arcaica fossa praticata nel terreno, prima nuda poi lastricata, e aveva il compito di mettere in contatto i tre livelli, ovvero Cielo, Terra e Oltretomba. Alle divinità del mondo sotterraneo si offrivano sacrifici e doni. Anche in questo caso, fra i sacrifici comparivano frutti della terra e resti sacrificali, ma negli elenchi risultano anche soluzioni più “strane” e originali come formule tracciate su tavolette di argilla, in modo non dissimile dalle defixiones di cui si è già discusso altrove. La fossa, chiusa per tutto l’anno, veniva aperta in tre giorni precisi: il 24 Agosto, il 5 Ottobre e l’8 Novembre con la formula “mundus patet” ossia “il mundus è aperto”. In questi tempi sacri, i due universi dei vivi e dei morti venivano in contatto e in quei giorni, alle anime dei defunti era concesso, almeno in teoria, aggirarsi per le strade della città indisturbati. L'apertura del mundus era
28 Gli studiosi oggi riconducono il lemma Mundus al tema aryo mand con il significato di “ornare” ovvero “ordinare” in forma circolare. 21
un momento pericoloso perché, sostiene Macrobio, il mundus avrebbe attratto i vivi nel mondo dei morti, specialmente in occasione di scontri e battaglie. Era anche e soprattutto la festa dei Dei Mani, i quali, secondo Ovidio, erano Spirit dei riti né buoni né cattivi . 29 Assomiglia ad Halloween? Poco e niente, in effetti, anche se Plutarco utilizza per il rito il termine Telete, 30 termine greco riservato ai Sacri Misteri. Come si può vedere, il rito è connesso piuttosto alla fondazione “urbanistica” della città, per cui è probabilmente una forma di “renovatio” dell’Urbe, e i revenant sono una caratteristica “di contorno”, tra l’altro non compare nella ritualità connessa alcuno strumento apotropaico, per quanto poco ne sappiamo, nessun meccanismo rituale di difesa dal ritorno dei morti, e lo stesso Macrobio ci fa intuire che il pericolo, piuttosto, era che i vivi penetrassero il segreto del mondo dei morti che non viceversa.
29 Apul.., Il demone di Socrate, XV 30 Plut., Vita di Romolo, XI, 1-4 22