LUMH LIBERA UNIVERSITÀ DI STUDI PSICOLOGICI EMPIRICI MICHEL HARDY F.A.I.P. FEDERAZIONE delle ASSOCIAZIONI ITALIANE di PSICOTERAPIA
La natura del femminile analisi empirica di miti greci
di
Isabella Benzoni TESI D’ESAME Titolo professionale: Counselor in Discipline Psicologiche Empiriche
BOLOGNA, 10 - 06 - 2009
LA NATURA DEL FEMMINILE Analisi empirica di miti greci
Se il maschile può essere rappresentato con una linea diritta, il femminile è sicuramente una linea concava. Questa concavità è tutto ciò che il femminile racconta: è il nido, la culla, le braccia materne, la luna. E' il seno, l'utero, il grembo, la mano. E' il bacino dei mari, dei laghi, dei fiumi, l'incavo del cuore e la volta del cielo. E' il vaso, la coppa, il contenitore universale, il calderone della Dea. Ed è molto, molto altro ancora." Lorella Martello
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INDICE PREMESSA
pag. 5
CAP. 1 LA DISCIPLINA PSICOLOGICA E EMPIRICA
pag. 9
1.1 Alcuni elementi fondanti
CAP. 2 MITI E ARCHETIPI 2.1. Il rapporto fra mito e archetipo
pag. 16
2.2. Miti, archetipi e femminile
pag. 21
2.3. Gli dei greci
pag. 22
CAP. 3 AMORE E PSICHE 3.1. La dea
pag, 23
3.2. La donna Psiche nella società attuale
pag. 34
3.3. Psiche nell’analisi empirica
pag. 41
CAP. 4 DEMETRA 4.1. La dea
pag, 46
4.2. La donna Demetra nella società attuale
pag. 50
4.3.Demetra nell’analisi empirica
pag. 54
CAP. 5 PERSEFONE 5.1. La dea
pag, 58
5.2. La donna Persefone nella società attuale
pag. 62
5.3. Persefone nell’analisi empirica
pag. 71
CAP. 6 ATENA 6.1. La dea
pag, 78
6.2. La donna Atena nella società attuale
pag. 85
6.3. Atena nell’analisi empirica
pag. 93
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CAP. 7 ARTEMIDE
7.1. La dea
pag, 100
7.2. La donna Artemide nella società attuale
pag. 105
7.3. Artemide nell’analisi empirica
pag. 109
CONCLUSIONI
pag. 117
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PREMESSA
Perché una tesi sul femminile?
…perché sono una donna…da sempre alla ricerca di qualcosa che sentivo esserci dentro di me, ma che non riuscivo a trovare…forse un gesto…un abbraccio….forse uno sguardo da regalare a lungo a qualcuno, senza provare vergogna, … forse un sorriso autentico, vero che riuscisse a riscaldare, forse una parola gentile che sgorgasse dalla mia anima…forse il mio cuore che ormai da tempo si era rinchiuso nel silenzio…
…perché sono stata una bambina, che tanto ha avuto dalla vita…giochi, vestiti, gioielli, ma che ancora oggi, a volte, si ritrova ad attendere una carezza amorevole, un bacio vero, un caldo abbraccio, un luogo sicuro dove rifugiarsi….
…perché sono una madre…che vede crescere sotto ai suoi occhi, giorno dopo giorno, gli effetti di ciò che fa e ha fatto…
…perché sono una compagna …che si adopera per non mettere in scena copioni già vissuti, ambientazioni tristemente opprimenti e ben conosciute
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Cosa vuol dire essere donna?
Questa domanda vive nel cuore femminile dagli antichi tempi in cui per la donna era semplice operare all'interno della propria tribù, del gruppo sociale o della famiglia, dai tempi in cui il legame con la Terra, l'Acqua e la Luna pulsava in armonia con la vita e con lo spirito che la pervadeva. Allora la donna trovava in sé le risposte, poiché queste le erano fornite dalla vita stessa e dall'esempio delle altre donne . La donna viveva la sua stessa vita fidandosi della propria intuizione, della propria sensorialità, dell'innata saggezza, percorrendo il sentiero interiore già tracciato dalla madre e da tutte le madri che erano venute prima di lei. Conosceva i ritmi della terra, l'insegnamento degli animali, i poteri curativi di piante ed erbe, la ciclicità della vita, accettava le tappe del cammino iniziatico femminile con sincerità e devozione. Così il menarca, la maternità, e la menopausa erano sempre vissuti come momenti sacri, momenti in cui la Divinità entrava più profondamente nel corpo e attraverso il corpo manifestava il suo potere creativo, il potere di dare la vita e con esso la magia della Creazione. Ma cosa accade oggi quando una donna si chiede cos'è una donna? Di fronte a questa domanda un‟amica a me cara mi rispose “ho avvertito all‟inizio una voce lontana, come un‟eco risuonare nella mente, per sentirla poi scendere lentamente verso il cuore e poi al ventre, per poi risalire a spirale , come un formicolio, lungo la colonna vertebrale. E mentre l'energia risaliva, l'eco si trasformava in migliaia di voci pulsanti (alle orecchie) che mi chiamavano per nome”. Ma al momento di dare la risposta non le uscivano più le parole, e il battito dell'universo appena percepito sembrava svanito. Eppure quel battito esiste, laggiù, nello strato profondo della Psiche, sepolto da secoli e secoli di regole, impedimenti, convenzioni, pregiudizi, "buona educazione". Non è stato solo il mondo maschile a recludere il femminile laggiù, ma le donne stesse, ormai sradicate dal loro Sé, al punto da non riconoscere più le forze che le animavano, mentre si conformavano ad un modello sociale e culturale, per loro, piatto e repressivo.
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I movimenti femministi hanno aperto alcune strade, hanno scardinato con rabbia i cancelli della libertà sociale e della parità dei diritti, ma è arrivato il tempo di tentare di recuperare il seme antico, la luce antica, la verità antica, l'antica bellezza che ogni donna porta con sé...
La natura femminile non è quella dell'obbedienza nel silenzio, nè quella di procurarsi una parità che strozza l'anima con veemenza, ma quella di vivere in sé il proprio mistero, impregnarsi della propria Luce, godere della propria musicalità, essere nel cuore e farlo vibrare. Il femminile è attirato dal maschile perché ne è complementare. La donna che è donna desidera l'uomo, ama, gode, partorisce, soffre, cura, difende, sorride, condivide, crea, dona. Non separa, non allontana, non dice al maschile: io sono meglio di te, o sono più di te, o sto bene anche senza di te. La donna unisce, crede, persevera, aspetta, trasforma. La donna ha pazienza e sa aspettare perché grande è il suo amore... E ciò può accadere senza grida, senza collera, può avvenire con gentilezza e amore, con libertà e rispetto, poiché è attraverso l'abbandono a se stessa che la donna può sentire quanto è grande il potere che porta in sé... Ricordo di aver letto tempo fa un articolo in cui era scritto che alle donne non occorre più parlare, hanno parlato abbastanza, non occorre più fare, hanno fatto abbastanza. Occorre Essere, essere Donna, essere Dono. I termini "donna" e "dono" sono così simili nel suono da evocare il medesimo simbolo del dare. Un dare libero, gratuito e non come conseguenza di quell'obbligatorietà a cui si è state educate, quel cercare un perfezionismo che soddisfi l'idea di noi che altri hanno contribuito a costruire, per sentir dire che "così va bene", "così sei brava", in altre parole per poter meritare un pò di amore. Essere dono non vuol dire solo donare, ma fare della propria natura femminile un dono, al punto da essere luce per gli altri in modo assolutamente naturale, senza ostentazione, senza sforzo. Luce che arriva dal profondo per il semplice fatto che arriva, per il semplice fatto che c'è e che può manifestarsi così com'è... Durante il percorso nella LUMH il mio corpo, il mio cuore hanno sentito risuonare dentro parole come queste, dal significato profondo, hanno vissuto esperienze pensate
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per ricreare lo spazio adatto a contattare l‟antica anima emotiva, a far prendere vita, dentro di me, la madre, la saggia, la strega, la dea, la bambina… che, dopo anni di soffocamento, si erano nascoste in angoli bui, e che ora sono mie compagne di vita, a volte un po‟ impaurite, a volte più “coraggiose” , altre ancora un po‟ nascoste…. ma quel che conta di più è che… oggi so ci sono e le posso sentire.
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CAP. 1 LA DISCIPLINA PSICOLOGICA EMPIRICA 1.1 Alcuni elementi fondanti
Questo capitolo è dedicato alla illustrazione di alcuni elementi fondanti l‟approccio empirico, che costituiscono la chiave di lettura dell‟analisi effettuata dei miti presi in considerazione. Queste definizioni sono tratte dalle dispense “La grammatica dell‟essere” del Magister Michel Hardy.
Ordine empirico L‟ordine empirico è originato da un sistema (che sfugge alla comprensione a prima vista), che riconosce come unico criterio per determinare l‟evoluzione delle cose la funzionalità, il cui meccanismo legittimo è quello di causa-effetto. Si tratta di un ordine armonico, il cui andamento regola il libero fluire dei processi fisici e metafisici, applicando le sue dinamiche nascoste anche al mondo più recondito e interiore. Determina tutto ciò che è e riserva all‟uomo appositi ruoli empirici, a cui sono correlate precise responsabilità. L‟ordine non dipende da convinzioni personali, non si configura infatti come soggettivo, poiché segue parametri senza tempo che nascono dal sistema stesso. L‟ordine e il sistema sono interdipendenti, dal momento che l‟uno è contenuto nell‟altro, essendo la sua manifestazione visibile e la sua espressione di fatto. Non è possibile distinguerli nettamente poiché interagiscono continuamente considerato che fare ed essere discendono l‟uno dall‟altro. L‟ordine non procede con parametri di valore o di giudizio, né riconosce definizioni rigide o principi inflessibili. Alla base del funzionamento dell‟ordine c‟è l‟amore yang, connotato da principi quali struttura, forza, autorevolezza, da ciò si deduce che ordine è uguale ad amore. L‟assenza
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di ordine, non è amore, bensì anarchia e debolezza. L‟amore yang coincide col principio della forza ed e‟ l‟artefice di ogni moto vitale.
Libero fluire delle cose Il libero fluire è il flusso generato dall‟ordine, che procede senza confini, né meta; non può essere controllato o forzato. L‟immagine a cui viene associato è quella del “fiume in piena”. Solo nel momento in cui una persona è in grado di lasciarsi trasportare dalla sua corrente è in pace con se stessa, perché è nel sistema. Chi è infatti collegato al libero fluire può sentire uno stato interiore armonico, non vivendo eccessi di paura, di rabbia o di sensi di colpa. Quindi solo quando un individuo è allineato all‟ordine può sperimentare la felicità, ovvero l‟Amore.
Ruolo empirico
Il ruolo empirico viene definito come un codice preciso che contiene i diritti e doveri che una persona è chiamata ad assolvere in una determinata situazione. I ruoli empirici variano a seconda del periodo biologico di vita. Ogni ruolo dispone di una matrice d‟eccellenza. La matrice d‟eccellenza. La matrice d‟eccellenza è il copione ideale per ciascun ruolo, tenuto conto della situazione, contiene tutti i diritti e gli obblighi empirici a carico del singolo, definendo le azioni da compiere e quelle da evitare.
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Responsabilità empirica
La responsabilità empirica è la diretta conseguenza (con risvolti concreti) di un atto compiuto o non compiuto, tenuto conto dei valori empirici di una situazione, del ruolo empirico della persona. Lo scostamento da tali valori, viene segnalato dal sistema in tempo reale, riportandolo come infrazione alle sue leggi, riflettendo così uno stato di debito. Ogni situazione comporta per l‟uomo responsabilità empiriche precise, indipendentemente dal suo volere e dalla sua percezione. Non coincide con la colpa, che non è riconosciuta dall‟ordine, in quanto non costituisce un parametro empirico, ma soltanto una percezione individuale.
Carica empirica La carica empirica è l‟insieme dei valori certi che costituiscono le coordinate nascoste di ogni situazione, definendo così la gamma delle possibili reazioni per l‟individuo. Tale carica è percepibile nella sua autenticità e fedeltà solo attraverso il sentire di chi si muove nel libero fluire. La carica empirica si manifesta indipendentemente dal fatto che la persona possa accedervi o meno, segnalando emozioni “obbligate” e “oggettive”, che si rivelano soltanto sul piano del sentire, se autentico.
Sistema empirico
Il sistema empirico è costituito dal tutto ciò che è e si realizza attraverso le sue dinamiche nascoste e omnicomprensive.
Sistema individuale Il sistema individuale è circoscritto perché compete solo al mondo interiore dell‟uomo, ed è costituito dall‟insieme dei “valori” e parametri che una persona ha acquisito nel corso della vita.
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Se l‟uomo ha vissuto situazioni che lo hanno messo nella condizione di conoscere i valori con un significato diverso da quello della loro carica naturale, allora si sarà costruito una gamma di valori disarmonici, che lo allontaneranno dal libero fluire, inducendolo a valutazione errate, conseguenti ad un sentire alterato. Il sistema genera con l‟andar del tempo dei meccanismi atti a conservare e proteggere ciò che contiene; si “autodifende” rafforzando le strategie vitali della persona anche quando queste fossero disarmoniche. E‟ composto dunque anche dalle strategie vitali che l‟uomo ha messo a punto, ossia dai moti di base che ha decifrato nel suo cammino, che diventano funzionali a compensare il proprio stato di debito. Quindi questo tipo di sistema, in quanto individuale, è diverso da persona a persona.
Debito empirico Il debito empirico è una lesione del principio universale generata da un‟infrazione delle leggi armoniche. È un “vortice autorigenerante” che contiene tutte le informazioni empiriche inerenti alla violazione avvenuta.1 Spesso tale violazione non deriva da un atto increscioso o peccaminoso, ma indica semplicemente reazioni empiricamente scorrette, cioè al di fuori dei parametri armonici dell‟ordine. Ogni debito influisce sulla qualità generale della vita, rivelandosi in ogni suo ambito, e questo accade perché l‟anima si ritira dai moti d‟amore, chiudendosi in se stessa, ovvero la persona non è più in grado di accedere al sentimento d‟amore e quindi al libero fluire. La presenza di un debito si manifesta attraverso la comparsa di indicatori empirici, comunemente avvertiti come moti interiori autonomi, che costituiranno, fino all‟estinzione del debito, i “binari” del proprio sentire. La natura dell‟indicatore dipende dalla qualità dell‟infrazione. Gli indicatori possono essere attivi e passivi, i primi sono i moti predominanti del proprio carattere, quelli passivi sono moti segreti e poco ambiti, che costituiscono la parte più repressa o mancante del proprio assetto emotivo e sono destinati a crescere con il passare degli anni, infatti più vengono repressi più si manifestano in modo predominante. 1
Michel Hardy, La grammatica dell‟essere” vol. 2 pag.11
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La compensazione empirica La compensazione empirica è il processo di autoregolazione dell‟ordine, relativo al bilanciamento dei moti disarmonici e si verifica indipendentemente dall‟individuo. L‟obiettivo principale è ristabilire una condizione di equilibrio, per quanto apparente e ingannevole, concependo così tutto ciò di cui è composto (l‟ordine) attraverso il principio di interezza. Tale principio è una forma di difesa per l‟individuo, atta a nascondere tutto ciò che quest‟ultimo non riuscirebbe a sopportare, in quanto troppo doloroso. In questo modo però “l‟ordine da un lato rafforza le sue strategie vitali, evitandogli il confronto diretto con ciò che gli procurerebbe dolore, e dall‟altro, però, gli toglie la facoltà di poter risalire ai propri buchi emotivi e alle ferite acquisite limitandogli anche la possibilità di risanamento”.2 Più la ferita è profonda, più è alta la necessità di compensare.
Coscienza personale
La coscienza personale è un meccanismo nascosto della legge di compensazione empirica, è funzionale ad equilibrare i traumi emotivi accumulati durante l‟arco della vita, rimuovendoli e sottraendoli allo sguardo dell‟individuo. Traumi originati perlopiù da una condizione di carenza d‟amore. Quindi attraverso la coscienza personale si aggira lo stato di sofferenza con meccanismi di “autoinganno”, che contribuiscono al distaccamento dal proprio sentire e quindi dal libero fluire.
Codice yin e yang Il codice yang contiene l‟interezza dei principi attivi maschili. Detiene il diritto e l‟obbligo della forza rabbiosa, coadiuvata dalla sua spinta naturale alla protezione, 2
Michel Hardy, La grammatica dell‟essere” vol. 1, pag. 91
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dall‟elemento della concretezza, della concettualità, dell‟autorità…che costituiscono i suoi principi primari, derivanti dal proprio sesso biologico (padre), integrati dai principi secondari costituiti dalle qualità del sesso opposto (madre). Il codice yin contiene i principi attivi femminili, riconducibili alla “forza incondizionata” femminile che si manifesta attraverso l‟accoglienza, la morbidezza, la cura, l‟arrendevolezza…. Come per il codice yang i principi primari, vengono attivati dalla figura genitoriale appartenente al proprio sesso biologico, e quelli secondari dal genitore del sesso opposto. Entrambi i sessi, hanno bisogno di avvicinarsi ad entrambi i principi per potersi sviluppare pienamente. I due codici contengono in egual misura una parte luce, che comprende le qualità più dignitose, che maggiormente si avvicinano ai principi più genuini del proprio essere e una parte ombra, percepita dal singolo come disagevole e non accettabile. L‟ordine riconosce la condizione integrata come unica forma genuina, riconoscendola come perfetta sinergia fra la forza yin e quella yang, sia nel mondo interiore che esteriore. Quando un principio attivo yin o yang non viene “acquisito” si trasforma in un debito empirico, dando origine ai ruoli alterati, che secondo il tipo di deviazione, evidenziano un‟esuberanza dell‟una o dell‟altra parte.
Metamorfosi empirica La metamorfosi empirica è il “degrado progressivo e automatico del profilo empirico, che compete ad ogni persona alterata. Esso segue un andamento sistemico prestabilito, costituito da passaggi consecutivi che ogni portatore di debito ha bisogno di attraversare. A tale scopo incarna ruoli empirici predeterminati, tutti atti a interpretare i diversi livelli di degrado.”3 Più ingente è il debito di una persona, più velocemente quest‟ultima degenera all‟interno della propria metamorfosi, attraverso dinamiche invisibili di deterioramento, indotte dal catalizzatore della rabbia. 3
Michel Hardy, La grammatica dell‟essere” vol. 4, pag. 65
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STADI DELLA METAMORFOSI EMPIRICA donna yin integrata/ uomo yang integrato (nel libero fluire) VITTIMA RABBIOSA d. yin alterata
d. finta yin
d. finta yang
d. yang autentica
u. yin
u. finto yang
u finto yang
u yang alterato
malattia (estromissione dal libero fluire)
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CAP. 2 MITI E ARCHETIPI
2.1. Il rapporto mito-archetipo
La parola mito deriva dal greco “mythos” che significa parola, discorso, racconto, mentre la parola mitologia designa l'insieme dei miti tramandati da un popolo ma anche gli studi scientifici sul mito stesso. Il mito, propriamente parlando, non è altro che la parola, la più ricca fonte di informazioni della storia umana, esso può essere considerato un racconto sacro che svela dei misteri e che dà la risposta a molti interrogativi degli uomini, come sono nati l'universo e l'uomo, come hanno avuto origine gli astri e la terra, le piante e gli animali e spiega come si sono formate le società civili con l'aiuto degli eroi. Addirittura un filosofo neoplatonico scriveva nel IV secolo: “Poiché il mondo stesso lo si può chiamare mito, in quanto corpi e cose vi appaiono, mentre le anime e gli spiriti vi si nascondono.”4 Spesso le vicende narrate nel mito hanno luogo in un'epoca che precede la storia scritta. Nel dire che il mito è una narrazione sacra s'intende che esso viene considerato verità di fede e che gli viene attribuito un significato religioso o spirituale. Ciò naturalmente non implica né che la narrazione sia vera, né che sia falsa. “Studiato dal vivo, il mito non è una spiegazione che soddisfi un interesse scientifico, ma la resurrezione in forma di narrazione di una realtà primigenia, che viene raccontata per soddisfare profondi bisogni religiosi, esigenze morali, esso esprime, stimola e codifica la credenza; salvaguarda e rafforza la moralità; garantisce l'efficienza del rito e
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Saturnino Secondo Salustio, “Gli dei e il mondo”, a cura di V. Vacanti, Il Leone Verde, To, 1998
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contiene regole pratiche per la condotta dell'uomo. Il mito è dunque un ingrediente vitale della civiltà umana; non favola inutile, ma forza attiva costruita nel tempo” 5 Il mito è dunque la storia che si è narrata sull'esistenza di esseri antropomorfi, spesso immortali ed onnipotenti, che vissero avventure e compirono azioni fantastiche, interessandosi a ciò che avveniva tra i mortali e modificando il mondo con il loro intervento. Il mito nasce dal bisogno di spiegare la realtà. I miti appartengono alla tradizione orale di un popolo e nell'antichità venivano raccontati presso gruppi umani che non conoscevano la scrittura e solo in seguito raccolti e trascritti. Nei tempi antichi l‟umanità aveva una razionalità più limitata (il pensiero razionale è nato pochi secoli or sono) e non recepiva alcun tipo di pensiero scientifico come invece avviene nell‟epoca attuale. La spiegazione di determinati fenomeni quindi non poteva avvenire in forma razionale come ora, ma in forma di parabola e di racconto. L‟uomo infatti non conoscendo le leggi che governavano la natura, le cause della vita e della morte, del bene e del male, rischiava di perdersi, di cadere preda dell'ansia e della paura e, solo attraverso i miti, egli trova il senso della realtà, costruisce l'ordine di quelle immagini, altrimenti incomprensibili. I miti rivelano l'ordine profondo che regola la vita e la morte, i successi e le sconfitte, l'estate e l'inverno, tutto ciò che è accaduto e che accadrà.
Jung scrisse che:” Lo spirito primitivo non inventa i miti: li vive. I miti sono, originariamente, rivelazioni dell‟anima pre-cosciente, involontarie testimonianze di processi psichici inconsci e tutt‟altro che allegorie di processi fisici. Allegorie di questo genere non sarebbero che giuochi oziosi di un intelletto non scientifico. I miti, invece, hanno un significato vitale. Essi non esprimono soltanto, ma sono essi stessi a costituire la vita psichica della tribù primitiva che si disgrega e tramonta, non appena viene a perdere la sua eredità mitica, come un uomo che perda la propria anima. La mitologia di una tribù è la sua religione viva e la perdita di questa è sempre e dovunque, anche 5
. K. Malinowski, Il mito e il padre nella psicologia primitiva, Newton Compton, Roma, 1976
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presso l‟uomo incivilito, una catastrofe morale. La religione però è un rapporto vivo con processi psichici che non dipendono dalla coscienza, ma si svolgono, di là di questa, nell‟oscurità dello sfondo psichico. Molti di questi processi sorgono, è vero, dietro a una occasione data dalla coscienza, ma nessuno per un arbitrio cosciente. Altri sembrano nascere spontaneamente, vale a dire senza cause che si possano riconoscere e dimostrare nella coscienza. La psicologia moderna considera i prodotti dell‟attività fantastica inconscia come autoraffigurazioni di processi dell‟inconscio o testimonianze della Psiche inconscia su di se stessa. Si distinguono due categorie di simili prodotti. Primo: fantasie (inclusi in esse i sogni) di carattere personale che risalgono indubbiamente ad esperienze, dimenticanze, rimozioni personali e perciò si possono spiegare interamente in base all‟anamnesi individuale. Secondo: fantasie (inclusi in esse i sogni) di carattere non personale che quindi non si possono far risalire alla “preistoria” individuale, né spiegare con acquisizioni individuali. L‟analogia più stretta per questa seconda categoria di formazioni fantastiche si trova nei tipi mitologici. È perciò da supporre che esse corrispondano a certi elementi strutturali collettivi (e non personali) dell‟anima umana in generale e, come gli elementi morfologici del corpo umano, si trasmettano in via ereditaria. Benché la tradizione e la diffusione per migrazione abbiano la loro parte, vi sono tuttavia, come si è detto sopra, casi molto numErosi che non si possono spiegare con una derivazione di questo genere, ma ci costringono ad ammettere un rivivere “autoctono”. Tali casi sono così frequenti che non si può fare a meno di ammettere l‟esistenza di uno strato-base psichico-collettivo. Io ho denominato questo strato l‟inconscio collettivo. I prodotti di questa seconda categoria somigliano talmente ai tipi strutturali dei miti e delle favole, che si deve considerarli affini ad essi. È dunque assolutamente possibile che ambedue, tipi mitologici e tipi individuali, nascano da condizioni molto simili. Come si è detto, i prodotti di fantasia della seconda categoria (come del resto anche quelli della prima) sorgono in uno stato di degradata intensità di coscienza (in sogni, deliri, allucinazioni, visioni ecc.). In simili stati cessa quell‟inibizione che la concentrazione di coscienza esercita sui fatti inconsci, e, di conseguenza, il materiale fino allora inconscio, precipita, come attraverso porte laterali, nello spazio della
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coscienza. Questa maniera di prodursi costituisce la regola. Il principio metodologico da cui parte la psicologia per trattare i prodotti dell‟inconscio, va formulato in questi termini: fatti di natura archetipica rivelano processi nell‟inconscio collettivo. Essi non si riferiscono quindi a qualcosa di cosciente o a qualcosa che una volta è stato cosciente, bensì all‟essenzialmente inconscio. […] Ora, se si procede secondo il principio sopra formulato, non si presenta più la questione, se un mito riguardi il sole o la luna, il padre o la madre, la sessualità o il fuoco o l‟acqua, ma si tratta sempre di circoscrivere e caratterizzare approssimativamente un nucleo di significato pre-cosciente. Il senso di questo nucleo non è mai stato, né sarà mai cosciente. Esso fu sempre e sarà sempre soltanto interpretato ed ogni interpretazione che si avvicini alquanto al senso recondito (o, parlando dal punto di vista dell‟intelletto scientifico, al non-senso, il che, in fondo, non fa differenza), non solo pretende per sé un‟assoluta verità e validità, ma nello stesso tempo anche rispetto e devozione religiosa. Gli archetipi furono e sono forze vitali psichiche che pretendono di venir prese sui serio e anzi, nella maniera più singolare, provvedono anche a farsi valere. Essi erano sempre garanti di protezione e salvezza e l‟offesa recata ad essi porta la conseguenza ben nota dalla psicologia dei primitivi, dei perils of the soul. Essi sono, infatti, moventi infallibili dei disturbi nevrotici e anche psicotici, dato che essi si comportano esattamente come gli organi del corpo o i sistemi funzionali organici trascurati o lesi.6 Dal testo di Jung emerge come lo studioso definì archetipi i contenuti dell'inconscio collettivo. L'archetipo in sé non è definibile a priori: è una “facultas preformandi”, cioè una possibilità di rappresentazione; i modi ed i contenuti con cui questa possibilità si manifesta alla coscienza vengono definiti immagini archetipiche. I miti, le fiabe e le immagini che con essi sono state tramandate, vengono considerate dalla psicologia junghiana tra le espressioni più autentiche degli archetipi dell'inconscio collettivo, delle vere e enunciazioni della Psiche su se stessa. A queste manifestazioni collettive degli archetipi si aggiungono sul piano individuale sogni, fantasie, deliri, allucinazioni.
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C.G. Jung e K. Kerényi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri 1972
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Qualsiasi origine si voglia attribuire al mito, esso é fondamentalmente la narrazione di qualcosa che trascende l'esperienza umana. Il mito va oltre il personale, fornisce l‟aspetto oggettivo presente nell‟evento psichico e contiene una valenza fortemente energetica che attira l‟attenzione degli uomini riunendoli sotto valori universali e validi per l‟intera umanità, ma soprattutto ne favorisce le evoluzioni spirituali. Jung, allievo e contemporaneo di Freud, parte dall‟assunto che la vita psichica consti di un lato cosiddetto conscio e di un lato cosiddetto inconscio. La psicanalisi freudiana e quella junghiana si differenziano da ogni altra psicologia per la priorità che esse riconoscono all‟inconscio quale fattore determinante la vita psichica. Mentre Freud si terrà saldo alla descrizione dell‟inconscio unicamente come inconscio personale, che contiene spiacevoli o traumatiche esperienze rimosse dalla mente cosciente, Jung individua, "sotto", per così dire, lo strato inconscio più superficiale che in sè contempla il patrimonio di esperienze e acquisizioni personali del soggetto lungo la sua storia, nonché i "complessi a tonalità affettiva", uno strato più profondo ed arcaico che egli chiama inconscio collettivo, strato questo che apparterrebbe a tutta la specie umana, indipendentemente da razze, latitudini, luoghi; esso sarebbe patrimonio comune e custodirebbe in sè appunto gli archetipi. Un‟eredità psichica dell'evoluzione umana, che rinasce nella struttura di ogni individuo. Legittimo erede della psicologia romantica, Jung ha dunque contribuito a correggere in senso finalistico l‟impostazione unilateralmente meccanicistica della psicoanalisi freudiana, facendo della psicologia del profondo uno studio del divenire psichico prima che un‟analisi delle sue deviazioni patologiche. Ritrovando le radici dello psichismo negli archetipi dell‟inconscio collettivo, Jung ha riportato in auge il carattere salvifico e normativo delle rappresentazioni mitologiche e religiose, che l‟illuminismo aveva liquidato come aborti del pensiero razionale. Con Jung l‟immaginazione simbolica torna ad essere la base fondamentale del linguaggio e della conoscenza di sé e del mondo.
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2.2. Miti, archetipi e femminile Carl Gustav Jung e Jean S. Bolen,7 insieme ad altri studiosi, hanno notevolmente contribuito,nello specifico, ad una psicologia diversa del maschile e del femminile, prendendo come esempi le divinità greche. A dire il vero, la mitopsicologia riguarda i miti di ogni era e di ogni civiltà; tuttavia, le divinità dell'antica Grecia sono stati usati molto di più per le numErose testimonianze scritte che sono pervenute sui miti e sulle leggende delle divinità dell'Olimpo. J. Bolen ha tracciato le figure archetipiche delle dee e degli dei nelle persone; tali archetipi sono dei modelli innati, che plasmano gran parte del carattere di una persona. Conoscerli significa conoscere la propria persona e le altre, permette di intuire i modelli comportamentali che un individuo realizza, consapevolmente o meno. Nelle opere della Bolen, possiamo vedere i modelli archetipici femminili di Era, Demetra e Persefone (dee vulnerabili, che trovano cioè piena realizzazione con altre persone), Artemide, Estia e Atena (dee invulnerabili, che si realizzano pienamente senza l'appoggio di altri individui) e Venere (dea che non rientra nelle due tipologie sopra dette, incarnandole entrambi) Circa gli uomini, la mitopsicologia distingue tre figure principali, gli dei padri (Zeus, Poseidone e Ade) e un uomo incarnerebbe uno di essi, mentre gli dei figli (Ares, Dioniso, Mercurio, Apollo, Efesto) corrispondono agli archetipi presenti in modo minore in un individuo. Per la mitopsicologia, in un uomo possono essere presenti vari archetipi, in modo ora maggiore ora minore, sia maschili sia femminili. L'analisi non deve però concludersi nella presa visione del proprio archetipo poiché la vita è varia, mutevole, e attaccarsi solo al proprio archetipo condanna l'individuo alla staticità. È bene sviluppare altri archetipi, a seconda delle situazioni che la vita offre.
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J.S. Bolen, Le dee dentro la donna, Astrolabio, - Ubaldini editore, Roma, 1991
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2.3. Gli dei greci Dopo la cacciata dei Titani, emerse un nuovo Pantheon composto da Dei e Dee. Tra le principali divinità greche spiccano gli Olimpi che risiedevano sulla cima del Monte Olimpo sotto la guida di Zeus. Nei moltissimi miti e leggende di cui si compone la mitologia greca, le divinità sono descritte come esseri dotati di un corpo idealizzato ma assolutamente reale. Secondo Walter Burker la caratteristica qualificante dell'antropomorfismo greco è che "gli dei greci sono persone, non astrazioni, idee o concetti". In età classica la fiducia dei Greci nei confronti degli dei era sensibilmente in calo. Si cominciò con il mettere in dubbio la loro assoluta superiorità e il loro distacco nei confronti degli uomini. Il primo a operare lungo questa direttiva fu Erodoto che immaginò gli dei come degli essere percorsi dall‟invidia nei confronti degli uomini. Ogni uomo felice doveva temere dunque la collera degli dei e in particolare quella di Apollo, che scoccando un freccia poteva arrecare le malattie. “Se gli dei commettono atti disdicevoli, allora non sono più dei" commentava il noto tragediografo greco Euripide. In realtà come ebbe modo di affermare il filosofo Evemero di Messene, gli dei non sarebbero stati altro che persone veramente esistite, a cui gli uomini per così dire normali, affascinati dalle loro gesta, avrebbero conferito un‟aurea soprannaturale. Gli dei non sarebbero, dunque, nient‟ altro che creazioni umane, destinate a soggiacere a tutte le tentazioni a cui sono sottoposti gli uomini.. Dipingere gli dei alla stessa stregua degli uomini è una caratteristica del paganesimo antico e soprattutto di quello Greco. Il filosofo Senofane si rammaricava di questo costume, rilevando come la rappresentazione degli dei in tutto simili agli uomini non fosse altro che un modo efficace che avevano questi ultimi per autocompiacersi. Ogni popolo immaginava dunque gli dei a sua immagine e somiglianza. Da queste riflessioni emerge dunque che gli dei, in quanto immortali, ma con pregi e vizi umani, in taluni casi rappresentati con eccesso, erano personaggi, che l‟approccio empirico includerebbe in ruoli “alterati”.
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CAP. 3
EROS E PSICHE
3.1. La dea
Amore e Psiche gruppo scultoreo del Canova
Presentazione L'unico romanzo latino a noi giunto e‟ “la Metamorfosi”, opera parzialmente autobiografica di Apuleio in undici libri, nella quale il protagonista narra la sua trasformazione in asino. Nel testo Apuleio aggiunge molte sottotrame nate da leggende popolari. Tra le più belle troviamo senza dubbio "Amore e Psiche". Una favola che occupa addirittura due libri, e, come il resto delle Metamorfosi, ha un significato allegorico: Cupido (identificato con il greco Eros, signore dell'amore e del desiderio), unendosi a Psiche (cioè l'anima), le dona l'immortalità, ma Psiche per giungervi è costretta ad affrontare innumerevoli prove.
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Il mito
Un re ed una regina avevano tre figlie. Le maggiori erano andate in spose a pretendenti di sangue reale, ma la più piccola, di nome Psiche, era talmente bella che nessun uomo osava corteggiarla, tutti l‟adoravano come fosse una dea. Alcuni credevano che si trattasse dell‟incarnazione di Afrodite sulla terra. Tutti adoravano e rendevano omaggio a Psiche trascurando però gli altari della vera dea: perfino i templi di Cnido, Pafo e Citera erano disertati per una mortale. Afrodite sentendosi trascurata ed offesa, a causa di una mortale, pensò di vendicarsi con l‟aiuto di suo figlio Eros e delle frecce amorose. La vendetta d‟Afrodite consisteva nel far innamorare Psiche dell‟uomo più sfortunato della terra, con il quale doveva condurre una vita di povertà e di dolore. Eros accettò subito la proposta della madre ma, appena vide Psiche rimase incantato della sua bellezza. Confuso dalla splendida visione, fece cadere sul suo stesso piede la freccia preparata per Psiche cadendo cosi, vittima del suo stesso inganno. Egli iniziò cosi ad amare la ragazza e non pensò neanche per un attimo di farle del male. Nel frattempo i genitori di Psiche si preoccupavano perché un gran numero di pretendenti veniva ad ammirare la figlia, ma nessuno aveva il coraggio di sposarla. Il padre, preoccupato, decise di consultare un oracolo d‟Apollo per sapere se la figlia avrebbe trovato un marito, l‟oracolo però gli comunicò una brutta notizia. Egli avrebbe dovuto lasciare la figlia sulla sommità di una montagna, vestita con abito nuziale. Qui essa sarebbe stata corteggiata da un personaggio temuto dagli stessi dei. Malgrado questo, i genitori non volendo disubbidire alle predizioni dell‟oracolo, portarono, al calar del sole, Psiche sulla montagna prescelta, vestita di nozze, e la lasciarono lì sola al buio. Solo quando lei restò da sola venne uno Zefiro che la sollevò e la trasportò in volo su un letto di fiori profumati.
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Psiche si svegliò quando sorse il sole e guardandosi attorno vide un torrente che scorreva all‟interno di un boschetto. Sulle rive di questo torrente s‟innalzava un palazzo d‟aspetto così nobile da sembrare quello di un dio. Psiche, quando trovò il coraggio di entrare, scoprì che le sale interne erano splendide, tutte ricolme di tesori provenienti da ogni parte del mondo, ma la cosa più strana era che tutte quelle ricchezze sembravano abbandonate. Lei di tanto in tanto si domandava di chi fossero tutti quei beni preziosi, e delle voci le rispondevano che era tutto suo e che loro erano dei servitori ai suoi ordini. Giunta la sera lei si coricò su un giaciglio e sentì un‟ombra che riposava al suo fianco, si spaventò, ma subito dopo, un caldo abbraccio la avvolse e sentì una voce mormorarle che lui era il suo sposo, e che non doveva chiedere chi fosse ma soprattutto non cercare di guardarlo, ma accontentarsi del suo amore. La soffice voce e le morbide carezze vinsero il cuore di Psiche e lei non fece più domande. Per tutta la notte si scambiarono parole d‟amore, ma prima che l‟alba arrivasse, il misterioso marito sparì, promettendole che sarebbe tornato appena la notte fosse nuovamente calata. Psiche attendeva con ansia la notte, e con questo l‟arrivo del suo invisibile marito, ma i giorni erano lunghi e solitari, quindi decise, con l‟assenso del marito, di fare venire le sue sorelle, anche se Amore l‟avvertì che sarebbero state causa di dolore e d‟infelicità. Il giorno seguente, uno Zefiro portò le due sorelle da Psiche, lei fu felice di rivederle, e le due non furono da meno vedendo le ricchezze che possedeva. Ogni volta che le due facevano domande sul marito, Psiche evitava la risposta o rispondeva che era un ricco re che per tutto il giorno andava a caccia. Le sorelle s‟insospettirono delle strane risposte che dava Psiche,credendo che stesse nascondendo il marito perché era un mostro. Psiche smentì tutte queste illazioni, fino a quando non cedette e raccontò di non avere mai visto il marito e di non conoscerne nemmeno il nome. Allora le sorelle, maligne, accecate dalla gelosia, insinuarono nella mente della povera ragazza che suo marito doveva essere un mostro il quale, nonostante le sue belle parole non avrebbe tardato a divorarla nel sonno. Quella notte come sempre Eros raggiunse Psiche e dopo averla abbracciata si addormentò. Quando fu sicura che egli dormisse, si alzò e prese una lampada per vederlo e un coltello nel caso in cui le avesse fatto del male.
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Avvicinandosi al marito la luce della lampada le rivelò il più magnifico dei mostri, Eros era disteso, coi riccioli sparsi sulle guance rosate e le sue ali stavano dolcemente ripiegate sopra le spalle. Accanto a lui c‟erano il suo arco e la sua faretra. La ragazza prese fra le mani una delle frecce dalla punta dorata, e subito fu infiammata di rinnovato amore per suo marito. Psiche moriva dalla voglia di baciarlo e, sporgendosi su di lui, fece cadere sulla sua spalla una goccia d‟olio bollente dalla lampada. Svegliato di soprassalto, Amore balzò in piedi , capì quello che era successo e disse che lei aveva rovinato il loro amore e che ora erano costretti a separarsi per sempre. Lei si gettò ai suoi piedi ma Amore dispiegò le ali e scomparve nell‟aria e con lui anche il castello. La povera Psiche si ritrovò da sola nel buio, chiamando invano l‟amore che lei stessa aveva fatto svanire. Il primo pensiero di Psiche fu quello della morte, correndo verso la riva di un fiume lei vi si gettò dentro ma la corrente pietosa la riportò sull‟altra riva. Cosi iniziò a vagare per il mondo a cercare il suo amore. Amore, invece, tormentato dalla febbre per la spalla bruciata, o forse dallo stesso dolore di Psiche, trovò rifugio presso la dimora materna. Afrodite, quando venne a sapere che suo figlio aveva osato amare una mortale, che tra l‟altro era sua rivale, lo aggredì ma ,non potendo fare niente di male al figlio, pensò di vendicarsi su Psiche, e ,con il permesso di Zeus, mandò Ermes in giro per il mondo a divulgare la notizia che Psiche doveva essere punita come nemica degli dei, e che il premio per la sua cattura sarebbero stati sette baci che la stessa dea avrebbe donato. La notizia giunse fino alle orecchie di Psiche, che decise di sua volontà di andare sull‟Olimpo a chiedere perdono. Appena arrivata sull‟Olimpo, Afrodite, le strappò i vestiti e la fece flagellare, affermandole che questa era la punizione di una suocera addolorata per il figlio malato. Psiche accettò la vendetta della dea, e si rese conto che se avesse voluto riconciliarsi con Eros, avrebbe dovuto sottomettersi a una Afrodite rivale e adirata. Afrodite infatti per metterla alla prova, le assegnò quattro compiti:
Prima prova: dividere i semi Afrodite “ si fece portare dei chicchi di frumento, d‟orzo, di miglio, semi di papavero, ceci, lenticchie e fave, le mescolò, ne fece un gran mucchio e le disse: „Sei una schiava
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così brutta che a me pare tu non possa farti in alcun modo degli amanti, se non a prezzo di un diligente servizio. Perciò voglio mettere alla prova la tua abilità: dividi tutti questi semi, sceglili ad uno ad uno e fanne tanti mucchietti, in bell‟ordine. Prima dì sera verrò a controllare che il lavoro sia stato eseguito.‟ E lasciatala davanti a quel gran mucchio di semi se ne andò a un pranzo di nozze. "Psiche non ci provò nemmeno a metter mano in quel confuso, inestricabile cumulo ma costernata dall‟enormità di quell‟ordine se ne rimase in silenzio come imbambolata. Allora quel piccolo animaluccio dei campi, la formicuccia, che ben sapeva quanto difficile fosse un lavoro del genere, provò compassione per la compagna del grande Cupido e condannò la crudeltà della suocera. Cosi cominciò a darsi da fare, su e giù, chiamando a raccolta, dai dintorni, tutto il popolo delle formiche: „Correte, agili figlie della terra feconda correte e date una mano, presto, a una leggiadra fanciulla in pericolo, la sposa di more!‟ E quelle accorsero tutte, a ondate, minuscolo popolo a sei piedi, e lavorando con uno zelo mai visto, chicco dopo chicco, disfecero tutto il cumulo, separarono i semi, li distribuirono in mucchi secondo la qualità e poi, in un batter d‟occhio, disparvero”18 XI "Sul far della notte Venere tornò dal banchetto un po‟ brilla ma odorosa di balsami e con il corpo tutto inghirlandato di rose meravigliose. Vide il lavoro compiuto a puntino e: „Questo lavoro non l‟hai fatto tu‟ cominciò a gridare „furfante che non sei altro, ma è opera di colui al quale per tua e soprattutto per sua disgrazia tu sei piaciuta‟ e gettatole un tozzo di pane perché non morisse di fame se ne andò a dormire. "Cupido, intanto, era stato isolato in una stanza tutta d‟oro, la più interna del palazzo e tenuto sotto chiave, sia perché, con la sua sfrenata libidine non aggravasse la ferita, sia perché non si incontrasse con la sua amata. E così, i due amanti, passarono una notte triste, divisi e separati l‟uno dall‟altro sotto lo stesso tetto. Seconda prova: prendere un fiocco di lana dal Vello d‟Oro Afrodite ordinò a Psiche di prendere dei bioccoli del vello d‟oro dei terribili arieti del sole, bestie immense, aggressive, e con le corna, che si trovavano in un campo e lottavano fra loro. 8
L. Apuleio, Le metamorfosi o L'asino d'oro, Introduzione di R. Merkelbach, Bur, Milano 1977
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XII"S‟avviò di buon grado Psiche non già per eseguire quell‟ordine ma per trovare rimedio ai suoi triboli precipitandosi da una rupe giù nel fiume; ma dalla sponda una verde canna, di quelle da cui si posson trarre le melodie più soavi, quasi fosse ispirata da un dio, così le parlò nel lieve murmure della brezza leggera: "‟Oh, Psiche, afflitta da tante pene, non profanare le mie acque sacre con la tua morte miseranda e non avvicinarti, ora, a quelle terribili e selvagge pecore, perché la vampa ardente del sole le rende ferocissime e con le loro corna aguzze e con le loro fronti dure come il macigno, talvolta addirittura con morsi velenosi, esse s‟avventano sugli uomini per ucciderli. Intanto fin ché il sole del meriggio non avrà mitigato il suo ardore e le pecore non si saranno ammansite alla fresca brezza che sale dal fiume, tu puoi nasconderti a bell‟agio sotto quel grande platano che, insieme con me beve alla stessa corrente. Quando le pecore si saranno quietate, allora recati nel bosco vicino e scuoti le fronde e troverai la lana d‟oro rimasta attaccata qua e là nell‟intrico dei rami.‟ XIII"Così quell‟umile canna umanamente indicava alla povera Psiche la via della salvezza e questa non si pentì di averle dato ascolto né indugiò a seguire a puntino ogni istruzione, tanto che le fu facile compiere il furto e tornare da Venere addirittura con il grembo colmo di soffice lana d‟oro.” Terza prova: riempire l‟ampolla di cristallo
Afrodite mette far le mani di Psiche una piccola ampolla di cristallo e le dice di riempirla con l‟acqua di un torrente inaccessibile. Viene aiutata da un‟aquila. "Ma nemmeno questa seconda prova, così rischiosa per giunta, le valse a cattivarsi il favore della sua padrona la quale, aggrottando la fronte e sorridendo amaro così le disse: „Non è che io non sappia chi sia stato l‟autore furfantesco anche di questa impresa, ma voglio metterti ancora alla prova, proprio per vedere se hai veramente tanta forza d‟animo e tanta saggezza. Vedi lassù la cima a strapiombo di quell‟altissimo monte? Là c‟è una sorgente le cui acque cupe scorrendo giù nel fondo di una valle vicina vanno a finire nella palude Stigia e alimentano le vorticose correnti di Cocito. Voglio che tu vada là in cima, proprio dov‟è la sorgente, e che mi rechi
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all‟istante, in questa piccola anfora, un po‟ di quell‟acqua gelida‟ e così dicendo non senza minacciarla di pene ancora più gravi, le consegnò un‟ampolla di levigato cristallo. XIV "E Psiche a rapidi passi e tutta in ansia si diresse alla cima del monte sicura che lassù almeno avesse termine la sua infelicissima vita. Ma appena giunse nei pressi della vetta indicatale, ella si rese conto del rischio mortale che comportava quell‟impresa smisurata. Quella cima, infatti, enorme e altissima, liscia e a strapiombo, inaccessibile, vomitava dalle sue viscere un orrido fiotto che irrompendo dai crepacci e scorrendo poi giù per il pendio, s‟ingolfava in un angusto canale sotterraneo per poi scrosciare invisibile nella valle sotto stante. "A destra e a sinistra, tra gli anfratti rocciosi, orribili draghi strisciavano e rizzavano i lunghi colli, sentinelle vigilanti dagli occhi sempre aperti, dalle pupille eternamente spalancate alla luce. "Del resto quelle acque che erano parlanti, da se stesse provvedevano alla loro difesa: „Vattene!‟ gridavano incessantemente. „Che fai qui? Bada a te! Che vuoi? Guardati! Fuggi via! Sei perduta!‟ "Così Psiche rimase come impietrita nella sua impotenza, presente col corpo ma lontana coi sensi, schiacciata dall‟enormità di un pericolo senza via d‟uscita; e non le restava nemmeno l‟estremo conforto del pianto. XV "Ma le tribolazioni di quell‟anima innocente non sfuggirono all‟occhio attento della buona provvidenza. E così l‟uccello regale del sommo Giove, l‟aquila rapace, spiegò le ali e in un attimo le venne in soccorso, memore dell‟antica obbedienza, quando sotto la guida di Amore, rapì per Giove il coppiere frigio. Ora, volendo ancora una volta offrire i suoi servigi a questo potente dio e cattivarsene il favore col soccorrere la sua sposa in pericolo, lasciò le eteree cime dell‟eccelso Olimpo e cominciò a ruotare intorno alla fanciulla: „O tu, ingenua e inesperta come sei di tali cose,‟ intanto le diceva, „speri, proprio tu, di poter portar via o soltanto toccare una sola goccia di quest‟acqua sacra e tremenda insieme? Non sai, almeno per sentito dire, che queste acque infernali fanno paura anche agli dei, perfino allo stesso Giove, e che se voi di solito giurate sulla potenza degli dei questi sogliono giurare sulla maestà dello Stige? Ma dammi quest‟anforetta‟ e là per là gliela prese e tenendola stretta si librò sulle grandi ali remiganti e volteggiò a destra e a sinistra fra le mascelle irte di denti aguzzi e le lingue triforcute dei draghi riuscendo ad attingere di quell‟acqua riluttante che gridava anche
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a lei di fuggir via finché era incolume e alla quale però ella rispondeva che per ordine di Venere sua padrona era venuta ad attingere; per questo le fu più facile avvicinarsi.” Quarta prova: imparare a dire di no Come quarta e ultima prova, Afrodite ordinò a Psiche di scendere nel mondo degli inferi, con un piccolo scrigno che Persefone avrebbe dovuto riempire dell‟unguento dell‟eterna giovinezza. Psiche equiparò questo compito alla morte. In questo caso arrivò una torre a consigliarla. XVI "Psiche con gioia prese l‟anforetta colma d‟acqua e di corsa la porta a Venere. Ma neppure questa volta ella riuscì a placare la collera della dea crudele che, infatti, minacciando tormenti ancora più terribili, con un sorrisetto velenoso le fece: „Credo proprio che tu sia una gran maga, una di quelle stregacce malefiche dal momento che hai eseguito come niente i miei ordini; ora però, carina mia, dovrai farmi anche questo: prendi questa scatola‟ e gliela diede „e di corsa arriva fino agli Inferi, fino al lugubre palazzo dello stesso Orco e consegna a Proserpina (Persefone) questo cofanetto dicendole che Venere la prega di mandarle un poco della sua bellezza, almeno quanto basti per un sol giorno perché quella che aveva l‟ha consumata e sciupata tutta per curare il figlio malato. Però cerca di tornare alla svelta perché io devo proprio farmi una ripassatina prima di andare a una rappresentazione teatrale degli dei. XVII "Allora Psiche comprese che per lei era davvero finita e si rese chiaramente conto che ormai la si voleva mandare a morte sicura. C‟era, infatti, da dubitarne dal momento che la si costringeva a recarsi con i suoi piedi al Tartaro, nel mondo dei morti? Senza indugiare oltre salì allora su una altissima torre per gettarsi di lassù a capofitto pensando che questo fosse il modo migliore e più spedito per giungere agli Inferi. Ma la torre improvvisamente parlò: „Perché, disgraziata, vuoi ucciderti, buttandoti giù? Perché dinnanzi a quest‟ultimo rischio, a quest‟ultima prova vuoi darti subito per vinta? Una volta che il tuo spirito sarà separato dal corpo andrai, sì, in fondo al Tartaro, certamente, ma di laggiù in alcun modo potrai tornare. XVIII "‟Ascoltami: poco lontano di qui c‟è Sparta, la celebre città della Acaia; cerca il promontorio del Tenaro che non le è distante anche se situato un po‟ fuori mano. Lì c‟è
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l‟imboccatura che porta all‟inferno e attraverso le sue porte spalancate si vede l‟inaccessibile strada. Tu varca la soglia e mettiti in cammino seguendo quella burella e arriverai diritto alla reggia di Plutone. Non dovrai tuttavia inoltrarti in quelle tenebre a mani vuote ma recherai due ciambelle d‟orzo impastate con vino e miele, una per mano, e due monete in bocca. Percorrerai un buon tratto di quella strada che porta alla morte e incontrerai un asino zoppo carico di legna e un asinaio zoppo anche lui che ti pregherà di raccattargli alcuni rami caduti dal suo fascio; ma tu non ascoltarlo, passa oltre in silenzio. "‟Poco dopo arriverai al fiume dei morti a cui sta a guardia Caronte il quale per traghettare sulla sua barca rattoppata quelli che vanno all‟altra riva si fa pagare il pedaggio. Come vedi anche fra i morti esiste l‟avidità di denaro e nemmeno il famoso Caronte, né lo stesso padre Dite, un dio così potente, fanno mai nulla gratis e un pover‟uomo quando muore deve procurarsi il prezzo del viaggio e se per caso non ha il denaro lì pronto nella mano non gli danno neanche il permesso di morire. "‟A quel sordido vecchio darai per il pedaggio una delle monete che hai portato con te, ma lascia che sia egli stesso, con le sue mani, a prenderla dalla tua bocca. Inoltre, mentre traverserai quella pigra corrente un vecchio morto dal pelo dell‟acqua solleverà verso di te le putride mani e ti supplicherà di accoglierlo nella barca, ma tu non lasciarti piegare da una pietà che non ti è consentita. XIX "‟Attraversato il fiume, poco più oltre, delle vecchie intente a tessere una tela ti pregheranno di dar loro una mano, ma tu non farlo, non toccare quella tela, perché è un‟insidia di Venere, come tutto il resto, per farti cadere dalla mano una delle due ciambelle. Non credere che perdere una focaccia sia cosa da poco conto: basterebbe questo, infatti, per non rivedere mai più la luce. Perché c‟è un cane gigantesco, con tre teste enormi, mostro terribile, smisurato, che con le sue fauci spalancate latra contro i morti ai quali però, ormai, non può fare alcun male; egli cerca inutilmente di spaventarli e intanto eternamente veglia davanti alla porta e agli oscuri antri di Proserpina, custode della vuota dimora di Dite. "‟Tu tienilo a bada gettandogli una delle due ciambelle; così potrai facilmente passare e giungere fino a Proserpina che ti accoglierà con cortesia e con benevolenza e ti inviterà a sedere a tuo agio e a consumare un lauto pasto. "‟Tu però siederai per terra e chiederai soltanto un tozzo di pane e mangerai di quello, poi le dirai il motivo della tua venuta e preso quanto ti verrà dato, tornerai indietro, placherai la ferocia del cane con l‟altra ciambella, darai
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all‟avaro nocchiero la monetina che avrai conservato e, oltrepassato nuovamente il fiume, ricalcherai le tue orme per rivedere questo nostro cielo con il suo coro di stelle. "‟Ma soprattutto ti raccomando una cosa: non aprire la scatola che porterai con te, non guardare dentro, non essere curiosa, non curarti di quel tesoro di divina bellezza che essa nasconde.‟ XX "Così quella torre provvidenziale assolse il suo profetico incarico e Psiche non indugiò, raggiunse il promontorio del Tenaro, prese con sé le monete e le ciambelle secondo le istruzioni ricevute, discese lungo la strada infernale, oltrepassò senza dir parola l‟asinaio zoppo, diede al nocchiero la moneta per il traghetto, fu sorda al desiderio del morto che galleggiava, non si curò delle insidiose preghiere delle tessitrici, placò con la ciambella la rabbia spaventosa del cane e, infine, giunse alla dimora di Proserpina. "Qui rifiutò il morbido sedile e il cibo squisito che l‟ospite le offerse ma sedette umilmente ai suoi piedi si contentò di un pane scuro, poi riferì l‟ambasciata di Venere. "E senza indugio prese la scatola, in gran segreto riempita e sigillata, fece tacere le bocche latranti del cane con l‟inganno della seconda ciambella, consegnò al nocchiero la moneta che le era rimasta e risalì dall‟inferno con passo assai più leggero. "Ma dopo aver rivista e adorata questa candida luce, benché avesse fretta di portare a buon fine il suo mandato, fu assalita da un‟imprudente curiosità: „Sono proprio una sciocca‟ si disse: „porto con me la divina bellezza e non ne prendo nemmeno un pocolino, non foss‟altro per piacere di più al mio bellissimo amante‟ e, detto fatto, aprì la scatola. XXI "Ma dentro non v‟era nulla, nessuna bellezza, ma solo del sonno, un letargo di morte che s‟impadronì di lei non appena ella sollevò il coperchio e che si diffuse per tutte le sue membra in una pesante nebbia di sopore facendola cadere addormentata proprio dove si trovava, là sul sentiero. "E Psiche giacque immobile nel suo sonno profondo, come morta. Quando Eros seppe di quello che stava succedendo in casa di sua madre, salì sull‟Olimpo da Zeus per essere autorizzato al matrimonio con Psiche. Zeus, non potendo rifiutare la supplica di Eros, fece riunire tutti gli dei e all‟incontro partecipò anche Psiche. A questa assemblea Zeus decise di elevare al grado di dea, Psiche.
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Cosi dicendo egli diede la coppa di nettare divino alla mortale che accettò con molta paura. Dopo svariate sofferenze, Psiche fu ben accolta sull‟Olimpo, anche da sua suocera poiché aveva ridonato il sorriso al figlio.Lo stesso giorno fu allestito un banchetto nuziale per festeggiare la nuova coppia. Eros e Psiche avevano trovato la felicità, ed il loro figlio fu una splendida femminuccia, alla quale fu dato il nome di Voluttà.
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3.2. La donna Psiche nella società attuale
La donna Psiche, l'ingenua fanciulla che questa bella leggenda ci descrive, si sente protetta e rassicurata se sono gli altri a decidere per lei, nel mito preferisce rimanere all'oscuro di tutto e accettare un marito ignoto. Linda Schierse Leonard potrebbe paragonare la donna Psiche del primo periodo del mito ad una “puella eterna”. “Può essere facile ed eccitante essere ammirate come creature dolci e giovani e dipendere da qualcuno (considerato) più forte per le decisioni importanti, abbandonarsi a fantasie romantiche sul principe azzurro (…), diventare l‟immagine camaleontica dei sogni e dei desideri di molti uomini o perfino ritirarsi dalla vita e vivere in un mondo di sogni. Ma gli svantaggi di questo stile di vita femminile sono anch‟essi numErosi. In cambio di questi benefici l‟eterna fanciulla spesso cede la sua indipendenza essi costruisce una vita passiva. Invece di svilupparsi da un punto di vista personale, invece di arrivare a costruire la proprio identità, invece di scoprire chi è in realtà attraverso l‟arduo compito della trasformazione personale, la fanciulla eterna di solito ricava la sua identità dalle proiezioni che gli altri fanno su di lei.”9
Le donne Psiche (prima fase) assumono un atteggiamento passivo nei confronti della vita, tendono ad essere spettatrici per evitare di assumersi responsabilità, ignorando che anche la non-scelta ha precise conseguenze.
Attirano uomini che cercano una compagna silenziosa, remissiva, autosufficiente (viene lasciata sola da Eros tutto il giorno), che promette di essere una buona moglie, ubbidiente. Sono donne che sentono la dimensione sessuale come importante, soprattutto se inserita in uno scenario magico. Talvolta attribuiscono più importanza all‟ambientazione che alla figura del partner, peraltro poco conosciuto. Una sessualità dunque slegata dalle caratteristiche dell‟uomo, ma più connessa coi propri impulsi di base.
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Linda Schierse Leonard, La donna ferita, Astrolabio-Ubaldini editore, Roma, 1985
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L'amore vero non è infatti possibile nell'oscurità. L'incontro con l'altro include aspetti di sofferenza e di separazione, perché è un legame con una persona che è altro da noi. Solo quando si accetta la reciproca individualità, l'amore diventa veramente grande e divino. Nel mito infatti Psiche, anche se non conosce Eros giace con lui durante la notte, rimanendo incinta. La donna Psiche (se nella sua vita non evolve) si lascia facilmente influenzare da amiche e conoscenti, fino a quando da sola, non riuscirà a rendersi conto delle conseguenze di questo suo abbandonarsi all‟altro. Il suo non è un affidarsi consapevole, bensì un consegnarsi all‟altro in modo acritico. Non è infatti in grado di dire no, esternando chiaramente i propri confini di scelta. Nel mito si lascia influenzare pesantemente dalla malignità delle sorelle che la inducono a infrangere gli ordini del marito, ciò la porterà a confrontarsi con i divieti altrui e a decidere per sé. La trasgressione le procurerà difficili prove da superare, ma queste sono il prezzo da pagare per acquisire la propria individualità. Dopo essersi passivamente adeguata al destino per lei stabilito, Psiche decide di non accettarlo più. Anche la donna, come Psiche, è necessario che si adoperi per uscire dallo stadio infantile e imparare ad evolversi. Secondo Erich Neumann “ questa fase di passaggio coincide con l‟incontro con il maschile interno, ma può anche essere letto come l‟incontro con il proprio potenziale creativo ed aggressivo. È‟ la fase in cui le donne si sentono “piccole” di fronte al maschile e il cui riscatto avviene se si abbandonano all‟esperienza di questo, che apre la strada al diverso da sé. Sia per la donna che per l‟uomo la coscienza può aprirsi solo se c‟è il contatto con il diverso, e per la donna questa fase comporta l‟abbandono del rapporto originario con la madre: la donna però non deve rimanere prigioniera di questo stadio altrimenti può essere altrettanto pericoloso, poiché vi è solo una possessione dell‟Animus che comporta per lei il restare all‟interno di un ruolo collettivo di figura ispiratrice, adepta o vestale, mai personale. Nella fase successiva, quella dell‟incontro, la donna si assume il compito di confutare i
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valori maschili, il che equivale all‟uscire da una sorta di inerzia psichica che comporterebbe l‟assoggettamento a valori estranei al femminile. Anche per la donna il “tradimento” è portatore di sviluppo e coincide con il ritiro delle proiezioni e l‟accettazione interiore dell‟altra metà del cielo che consente quel matrimonio sacro interno che è l‟unica vera completezza.”10
Questo studioso ha utilizzato il mito di Eros e Psiche per spiegare gli stadi dello sviluppo del femminile. Analizza infatti tutti i passaggi della Psiche femminile dalla totale indifferenziazione al rapporto vero con il maschile per giungere al matrimonio sacro in cui c‟è la realizzazione dell‟incontro di due individualità separate e distinte. In questo mito Afrodite rappresenta la Dea dell‟Amore con il suo grande potere seduttivo che attrae e tende a portare a sé, ma Psiche diviene la Dea dell‟incontro e del rapporto che attraverso l‟amore si sottrae al ciclo naturale delle cose per raggiungere il matrimonio spirituale tra un IO e un TU all‟interno di un processo alchemico di trasformazione.
Nel mito le quattro prove hanno un importante significato simbolico. Ognuno di esse rappresenta una capacità che la donna ha bisogno di sviluppare per riscattarsi e divenire “cosciente”. Ogni volta che Psiche arriva a dominarne uno, acquisisce una competenza che prima non aveva: una competenza che nella psicologia junghiana viene equiparata all‟animus o aspetto maschile della personalità della donna. Le donne come Psiche, devono fare uno sforzo per svilupparle, mentre costituiscono attributi naturali per donne Artemide o Atena. Come figura mitologica Psiche è un‟amante (come Afrodite), è moglie (come Era), è madre-incinta (come Demetra) Le donne che reagiscono agli altri con modalità prevalentemente istintive ed emotive, devono sviluppare la maestria simbolizzata da ciascuna prova. Solo così potranno allora far valere le loro scelte e agire in maniera decisiva, consapevoli del proprio interesse.
Se la donna Psiche anela ad un amore autentico, forte e consapevole, dovrà permettersi di “agire ”, opponendosi alle disposizioni dell‟amato. 10
E. Neumann, La psicologia del femminile, Astrolabio-Ubaldini editore, Roma, 1975
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Per quanto Psiche nel mito possa tenere alle attenzioni del suo amato, non può obbedire a colui che la tiene segregata nel buio e nell‟ignoranza. Dopo un primo periodo di obbedienza e sottomissione, Psiche non scenderà a compromessi esistenziali che alcune donne operano nella vita, quando sono chiamate a scegliere fra l‟agio e la stabilità di un rapporto opulento e rassicurante, ma privo di un vero coinvolgimento, invece dell‟esperienza autentica dell‟amore, fatta anche di squilibri e incertezze, ma connotata da una vera comunione di intenti, sentimenti e progetti comuni. “Questo amore non sarà vissuto dalla fanciulla come un sentimento salubre e sacro , ma come uno psuedoamore, non degno del nome di Eros, un amore profano fatto di censure, prigionie, oscurità e ignoranza; un amore non maturo, non cosciente. E‟lo stesso Eros , che impone questo divieto, al pari di un inesperto fanciullo maschio, alquanto ignaro della portata reale del suo nome. Il suo divieto dipende dal fatto di essere ancora “profano”, in quanto vittima di un forte complesso materno, nei riguardi di Afrodite-libido, la sua matrice energetica. Egli teme la conoscenza, teme che, scoprendosi agli occhi di Psiche, la relazione possa diventare di dominio pubblico e vuole una relazione chiusa in un palazzo, come un adolescente immaturo vorrebbe stare con la sua amata su un‟isola deserta, a riparo dalle influenze del mondo. (..)”11 Così Eros commette un grande sbaglio: “ la più parte degli uomini è eroticamente cieca, poiché commette l‟imperdonabile errore di scambiare l‟Eros con la sessualità. L‟uomo crede di posseder la donna quando la possiede sessualmente: ma mai la possiede meno di allora. Infatti per la donna la sola relazione che conta è quella erotica. Per Lei il matrimonio è una relazione con in più la sessualità”12 Psiche infatti sovverte una situazione che le chiedeva sudditanza e ignoranza, e dopo aver inizialmente sottaciuto le domande sul suo compagno di letto sente il bisogno di conoscere l‟altro aspetto di Eros.
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Ivan Bedini, Viaggio nell‟anima nelle terre dell‟amore, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 2007 G.C. Jung,Tipi psicologici, Bollati Boringhieri, Torino, 1969
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La prima prova
La separazione dei semi è paragonabile alla presa di una decisione cruciale da parte di una donna, che può trovarsi a districare un groviglio di sentimenti conflittuali e di affetti contrastanti. “Dividere i semi” diventa allora un compito interiore che richiede alla donna di guardare onestamente in se stessa, di vagliare sentimenti, valori e motivazioni e di separare ciò che è veramente importante, da ciò che non lo è. Quando una donna impara a convivere con una situazione confusa e a non agire fino a quando non emerge in lei la chiarezza, avrà imparato a fidarsi delle proprie “formiche”, che rappresentano il processo intuitivo, che opera al di là del controllo cosciente. Ma la chiarezza può venirle anche dai suoi sforzi coscienti di fare una valutazione sistematica e logica, e di stabilire le priorità dei molti elementi che una decisione comporta.
La seconda prova
Nella seconda prova in aiuto di Psiche giunge la "canna", che osserva immobile la vera natura delle cose e degli "uomini". Da un punto di vista simbolico, il vello d‟oro rappresenta il potere, che una donna deve acquistare senza lasciarsi distruggere. La donna Psiche che si avventura in un mondo competitivo, dove gli altri lottano aggressivamente per ottenere potere e posizione sociale, se non riconosce il pericolo, può rimanere ferita o delusa. Può indurirsi o diventare cinica; il suo sé fiducioso può venire ferito a morte, “messo sotto i piedi”. Una donna Atena corazzata può stare nel mezzo del campo di battaglia, occupandosi in prima persona di tattiche e strategie, ma una donna come Psiche farà meglio a osservare, aspettare e acquistare potere gradualmente. Prendere il vello d‟oro senza venire distrutta è una metafora che sta a significare la possibilità di avere potere pur rimanendo dolce e comprensiva.
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L‟analista Linda Schierse Leonard evidenzia che per ricavare l‟energia dall‟ira, è necessario accedervi attraverso il suo aspetto non distruttivo, per non esserne posseduti.13
La terza prova La trasformazione della percezione razionale in percezione intuitiva richiede l‟impegno nel risalire alla fonte della conoscenza che si trova sulle vette delle montagne. Psiche inizia la scalata e in suo aiuto giunge un'aquila che le riempie l'ampolla della conoscenza dei saggi. L‟aquila simboleggia la capacità di vedere il paesaggio da una prospettiva distante e di piombare giù per afferrare ciò di cui ha bisogno. Questa in genere non è la prospettiva di una donna Psiche, così coinvolta a livello emotivo-personale che diventa incapace di distinzione. E‟ importante riuscire ad avere un‟equa distanza emotiva dai rapporti, in modo da averne una visione complessiva e scegliere i particolari importanti che le consentiranno di cogliere ciò che è significativo. Solo allora potrà assimilare l‟esperienza e dare alla sua vita la forma che può assumere. “Contenere l‟acqua della corrente che unisce il più elevato (la sommità della montagna) e il più basso (gli inferi) equivale a essere capaci di ricevere l‟energia della vita che fluisce unendo conscio e inconscio, dandogli forma. A questo scopo il potere deve elevarsi, deve mostrare la propria energia creativa nel mondo senza diventare preda delle voci che dicono-attenta, non sei in grado di farlo-„‟.14(come accade a Psiche).
La quarta prova Quest‟ultimo compito è qualcosa in più della tradizionale prova di coraggio e determinazione, poiché a Psiche viene annunciato che incontrerà persone supplichevoli di aiuto e che per tre volte dovrà chiudere il suo cuore rifiutando il sostegno, ignorando i lamenti e i pianti. In caso contrario non potrà più rientrare dal regno dei morti. 13 14
Linda Schierse Leonard, La donna ferita, Astrolabio-ubaldini editore, Roma, 1985 Linda Schierse Leonard, La donna ferita, Astrolabio-ubaldini editore, Roma, 1985
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Stabilire una meta e mantenerla, di fronte a richieste di aiuto, è molto difficile per la natura femminile, e riuscirci implica la capacità di esercizio di scelta. Molte donne, soprattutto Psiche, permettono che vengano loro fatte delle imposizioni o si lasciano distogliere da quanto stanno facendo per sé. Qualunque sia la persona bisognosa di conforto o compagnia, fino a quando una donna non riesce a dire di no alla disponibilità che la caratterizza, non potrà determinare il corso della propria vita. Attraverso questi quattro compiti Psiche si evolve. Via via che coraggio e determinazione vengono messi alla prova, sviluppa capacità e forza. E nonostante ciò che conquista, la sua natura di fondo e le sue priorità rimangono immutate: il rapporto d‟amore per cui rischia tutto.
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3.3.Psiche nell’analisi empirica
La donna Psiche, secondo l‟approccio empirico, si configura come una yin alterata, bisognosa di rafforzare la sua parte maschile, ovvero il suo animus.
La donna yin alterata, appare fra tutti i ruoli empirici come il più dolce e femminile, al punto da sembrare mielosa. Riesce a bilanciare il suo lato femminile debole e compromesso, sfoggiando una carica yin genErosa e abbondante, che spesso non riesce a contenere. Queste sue qualità, però, non sono controbilanciate da un‟energia yang adeguata. In genere si nasconde dietro il ruolo della brava bambina, della piccola e innocente, dell‟altruista, della crocErossina, della santa e della vittima. Si fa riconoscere attraverso un lato yin espanso, che però manca di confini e di forma, poiché non ha la percezione del troppo o del troppo poco e utilizza di conseguenza le proprie doti femminili in maniera totalizzante. Quindi è la donna yin alterata che si comporta in modo troppo gentile, servile, accondiscendente. Lei si contraddistingue per una carenza di Animus ( come Psiche nella prima parte del mito), il contrappeso naturale per ogni moto femminile. L‟assenza di una carica yang aggressiva, genuina, la costringe a subire il mondo esterno, senza la forza necessaria per far valere i propri bisogni e desideri. In questo modo tende via via ad accumulare rabbia sempre più ingente. L‟amore incondizionato, senza animus contrapposto, diventa debolezza, perde di struttura e attendibilità, trasformandosi nell‟esatto opposto del suo concetto originario.
“…Giunta la sera lei si coricò su un giaciglio e sentì un‟ombra che riposava al suo fianco, si spaventò, ma subito dopo, un caldo abbraccio la avvolse e sentì una voce mormorarle che lui era il suo sposo, e che non doveva chiedere chi fosse ma soprattutto non cercare di guardarlo, ma di accontentarsi del suo amore. La soffice voce e le morbide carezze vinsero il cuore di Psiche e lei non fece più domande”
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La donna yin alterata si riconosce attraverso il suo sì automatico, che vela una persistente percezione di inferiorità. Come Psiche tende prima ad accontentare le esigenze altrui prima di esaudire i propri bisogni ed esigenze. Il suo ego ipo-trofico, assomiglia a quello di una bambina arretrata, non essendo in grado di riconoscersi nei propri moti rinnegati. Soltanto quando entrerà nell‟energia della vittima rabbiosa, il suo Io si rivelerà come tale, riversando sul mondo circostante un senso di rivalsa sempre più ingente. Evita di esprimere ogni tipo di disapprovazione nei confronti altrui, sentendo in caso contrario un profondo senso di colpa, che quindi la induce a non saper chiedere per se stessa. Criticherà o giudicherà soltanto dal momento in cui diventerà finta donna yin, ma anche allora lo farà spesso in maniera nascosta. Nella società attuale frasi tipiche della yin alterata sono “non è colpa mia”, “ non posso farci niente”, “non ho fatto apposta”, esprimendo così la convinzione di non essere responsabile per tutto ciò che lei non abbia compiuto in maniera premeditata. Espressioni, queste, che esprimono molto bene la presunta convinzione d‟innocenza dietro al quale nasconde la propria incapacità di interagire col mondo. Si auto-censura (per paura delle conseguenze) per ogni “cattivo” pensiero, e non essendo in grado di assumersi le proprie responsabilità empiriche, ogni “no” diventa una “colpa”, dimostrandosi così nel ruolo di piccola anziché grande.
La donna yin alterata, come Psiche, tende così a subire gli altri, essendo convinta che questo sia il suo destino e l‟unica cosa “buona” da fare. Ha sviluppato una buona affinità al dolore, che sostituisce l‟amore, stato naturale e genuino che appartiene solo alla categoria degli integrati. Pertanto usa le doti femminili come meccanismo di difesa, accumulando così il proprio debito. Se il suo indicatore primario è la paura, predisponendola verso moti d‟ansia, di angoscia e di depressione, l‟indicatore passivo è costituito dalla sua carica rabbiosa, che crescendo lentamente, minaccia il suo ruolo di vittima.
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Ha problemi nel ricevere, non sentendosi mai abbastanza degna e adeguata, vive infatti nella paura continua di essere aggredita, minacciata da persone e situazioni, temendo che le venga inflitto dolore. Applica prevalentemente strategie di chiusura, sentendosi impotente e inerme, anziché strategie di apertura come previsto dal codice yin. Ha paura di sentire, per non accedere anche a tutto il suo dolore accumulato, così reprime il proprio ambito sensoriale con un‟anestesia emotiva, che argina emozioni spiacevoli o troppo forti. All‟interno di relazioni affettive confonde l‟attaccamento morboso con l‟amore. Psiche accetta una relazione “ al buio”. Così trasforma il dono dell‟accoglienza in un‟apertura forzata e spesso invadente e il concetto del pudore empirico in vergogna. Nel mito Psiche , influenzata dalle sorelle, viene meno al patto con Eros, “tradendo” le aspettative del partner. Un‟azione compiuta più per curiosità, fortemente sollecitata dall‟esterno che per rispettare i propri bisogni profondi, non avvertiti da lei, fino a quel momento come tali. Bisogni che avrebbero dovuto essere legati alla necessità di intessere una relazione vera, basata sulla conoscenza dell‟altro e non sulla “cieca” e irresponsabile accettazione.
“..Le sorelle s‟insospettirono delle strane risposte che dava Psiche, loro credevano che stesse nascondendo il marito perché era un mostro. Queste allusioni Psiche li smentì tutte, fino a quando non cedette e raccontò che lei non aveva mai visto il marito e che non conosceva nemmeno il suo nome Allora le due maligne, accecate dalla gelosia, insinuarono nella mente della povera ragazza che suo marito doveva essere un mostro il quale nonostante le sue belle parole non avrebbe tardato a divorarla nel sonno. Quella notte come sempre Amore raggiunse Psiche e dopo averla abbracciata si addormentò. Quando fu sicura che egli dormisse, si alzò e prese una lampada per vederlo e un coltello nel caso in cui le avrebbe fatto del male.”
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Ivan Bedini 15mette in evidenza come l‟amore iniziale di Psiche fosse perlopiù paragonabile ad un‟ immagine ectoplasmica, poiché l‟amore autentico può manifestarsi dopo un lungo cammino costellato di non facili prove, solo allora infatti la persona ne potrà essere cosciente, ma sarà la naturale conseguenza dell‟aver ritrovato se stessa.” Empiricamente accade che in una coppia quando un partner non corrisponde alle proiezioni disarmoniche del debito dell‟altro, avverte una sensazione di tradimento e abbandono. Così nel caso di Psiche, siccome non ha offerto al suo amato l‟amore cieco richiesto, per quanto fosse un‟espressione alterata ai fini dell‟ordine, Eros si è sentito rifiutato e tradito. Si è illuso che potesse trattarsi dell‟amore vero, nonostante soddisfacesse soltanto un suo stato di comodo, senza vedere l‟altra per ciò che era. Si tratta di un segno inconfondibile che indica l‟essere ancora intrappolati “nel ruolo di piccolo”. Questo evidenzia che un alto livello di aspettative nei confronti dell‟altro, anche prescindendo da questo, rivela la propria incapacità di concepire l‟amore e quindi la possibilità di esprimere un si consapevole
Il mito, nella seconda parte, mette anche chiaramente in evidenza la necessità, per predisporsi all‟amore autentico, che una donna yin alterata evolva nel suo processo di crescita, attraverso l‟integrazione dell‟animus, la sua parte maschile, rappresentata dalle prove a cui Psiche viene sottoposta. Da un punto di vista empirico la donna yin alterata, entrando in un percorso di crescita per la consapevolezza di sé, può gradualmente ridurre la propria carica disarmonica. Si tratta di un processo di yanghizzazione, che le consente di riscattare il debito empirico di cui è portatrice, poiché soltanto in una simile situazione, il debito si arresta per poi retrocedere (col passare degli anni), fino a immettere l‟individuo nuovamente nel libero fluire. Il processo di yanghizzazione, ossia di rispecchiamento empirico con il proprio modello di eccellenza, può infatti avvicinare la persona di nuovo ai principi guida del proprio codice, utilizzando i suoi meccanismi profondi.
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Ivan Bedini, Viaggio nell‟anima nelle terre dell‟amore, Edizioni Universitarie Romane, Roma, 2007
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E‟un percorso in cui la persona impara ad assumersi le proprie responsabilità individuali, che costituiscono una delle tematiche affrontate con maggior difficoltà. La minaccia infatti di una possibile “colpa” si percepisce ogni volta che ci si confronta con l‟ipotesi di aver sbagliato. Così l‟individuo si esime dall‟assumersi responsabilità, illudendosi di poter evitare la perdita della propria innocenza (che peraltro non appartiene alla dimensione adulta ma soltanto a quella infantile). Per poter tornare all‟interno del libero fluire e quindi vicino alla propria matrice d‟eccellenza, ciascuno ha bisogno di far fronte all‟intero ammontare delle sue responsabilità in ogni circostanza. Questo implica la capacità e disponibilità di entrare in contatto diretto col dolore che ne deriva, contatto che gradualmente può generare uno spazio interiore che via via consente alla persona di imparare a contenere i propri eccessi emotivi. Psiche ha infatti trovato la forza di entrare nelle proprie sofferenze, che, nella vita, sottendono il tipo di debito di cui si è portatore. Infatti la risoluzione del proprio arretrato empirico è l‟unica fonte di forza propulsiva. Una delle prove a cui è sottoposta Psiche, la quarta riguarda la capacità di dire no, preludio al sì consapevole, basato non tanto su una scelta di paura (sì automatico) , quanto su un moto cosciente. Questo tipo di sì segnala la capacità di sostenere le proprie scelte con forza, mostrando il proprio potere personale, esprimendo, senza timore di “perdere l‟amore”, le proprie intenzioni e i propri desideri. Ma non esiste atto di autenticità senza che la persona si senta appoggiata e radicata nel proprio codice empirico. Il sì consapevole sta dunque alla base di ogni strategia d‟apertura, che si manifesta con accoglienza e disponibilità nei confronti dell‟ambiente. Nel mito, infatti, Psiche, attraverso le prove giunge a conoscere l‟amore, dichiarato pubblicamente nell‟Olimpo.
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CAP. 4 DEMETRA
4.1. La dea
Demetra Copia marmorea romana di un originale greco della scuola di Fidia - Museo Pio-Clementino
Presentazione
Demetra (in greco madre terra" o forse "Madre dispensatrice", probabilmente dal nome Indoeuropeo della Madre terra dheghom mater) nella mitologia greca è la dea del grano e dell‟agricoltura, costante nutrice della gioventù e della terra verde, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte, protettrice del matrimonio e delle leggi sacre. Veniva raffigurata come una bellissima donna dai capelli d‟oro, vestita di blu e, soprattutto nella scultura, come figura matronale seduta.
Il mito
Demetra fu la secondogenita di Rea e Crono e la seconda a essere inghiottita. Fu la quarta moglie di Zeus, peraltro anche suo fratello; dalla cui unione nacque una sola figlia Persefone.
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Il mito di Demetra e Persefone fu il fondamento dei misteri Eleusini, che per più di duemila anni furono i più importanti rituali religiosi dell‟antica Grecia. Un giorno Persefone, mentre coglieva dei fiori con altre compagne si allontanò dal gruppo, attratta da un narciso di grande bellezza. All'improvviso la terra si aprì e dal profondo degli abissi apparve, sul suo carro d‟oro, trainato da cavalli neri, Ade, dio dell'oltretomba e signore dei morti che, da tempo innamorato di lei, l‟afferrò e sprofondò nuovamente nel sottosuolo con gran velocità. Persefone gridò e lottò rumorosamente affinché Zeus, udendola, potesse correre in suo soccorso, ma nulla accadde. In realtà, Zeus aveva dato il suo consenso ad Ade per compiere la violenta azione amoros , il rapimento. Demetra udì le grida di Persefone e accorse per cercarla. Cercò la figlia per nove giorni e nove notti, nel mare e sino alle più remote regioni della terra, rinunciando a mangiare, a dormire e a lavarsi. All'alba del decimo giorno venne in suo aiuto Ecate che aveva udito le urla disperate della fanciulla mentre veniva rapita ma non aveva fatto in tempo a vedere il volto del rapitore e suggerì pertanto a Demetra di chiedere ad Elios il Sole. E così fu. Elios le spiegò che Persefone era stata rapita da Ade, che, avendola portata nel regno sotterraneo, voleva diventasse sua sposa, anche contro la sua volontà. Aggiunse infine che il rapimento e la violenza subiti da Persefone erano stati ratificati da Zeus. Per tal ragione suggerì a Demetra di smettere di piangere e accettare l‟accaduto. Demetra rifiutò il consiglio di Elios, perché oltre ad aver perso la figlia sentiva l‟oltraggio e il tradimento di Zeus. Demetra abbandonò l'Olimpo, si travestì da vecchia e iniziò a vagare, irriconoscibile, per il mondo per cercare di soffocare la sua disperazione. Il suo pellegrinaggio la portò ad Eleusi, in Attica, dove regnava il re Celeo con la sua sposa Metanira. Demetra fu accolta benevolmente nella loro casa e divenne la nutrice del figlio del re, Demofonte. Attraverso Demofonte la dea riusciva in questo modo a saziare il suo istinto materno, soffocando il dolore per la perduta figlia .Col tempo Demetra si affezionò al fanciullo che faceva crescere come un dio. Lo nutriva, all'insaputa dei genitori, con la divina ambrosia, il nettare degli dei e lo esponeva a un fuoco che lo avrebbe reso immortale. Ma mentre era intenta a compiere i riti necessari, fu scoperta da Metanira, che gridò di paura per il figlio. Demetra si infuriò, rimproverò la donna per la sua stupidità e le rivelò la sua vera identità. La dea infatti abbandonò le
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vesti di vecchia e si manifestò in tutta la sua magnificenza: i capelli d‟oro le ricaddero sulle spalle, la sua fragranza e il suo fulgore fecero risplendere la reggia della sua luce divina. Ma, delusa dai mortali che non avevano gradito il dono che voleva fare a Demofonte, si rifugiò presso la sommità del monte Callicoro, dove gli stessi Eleusini le avevano nel frattempo edificato un tempio. Il dolore per la scomparsa della figlia, adesso che non c'era più Demofonte a distrarla, ricominciò a farsi sentire più forte che mai e, ormai disperata, decise che la terra non avrebbe più dato frutti ai mortali, in modo che la razza umana si sarebbe estinta nella carestia. In questo modo gli dei non avrebbero più potuto ricevere i sacrifici votivi degli uomini di cui erano tanto orgogliosi. In breve tempo, la carestia si abbatté sul regno e a nulla valsero le suppliche dei mortali, che nel frattempo venivano via via decimanti . Alla fine Zeus, per cercare dimettere fine alla carestia, inviò Iride a implorare Demetra di tornare. Poi, dal momento che lei non si lasciava commuovere, ogni divinità dell‟Olimpo, a turno, si recò a trovarla, portandole doni e onorificenze. A ciascuno di loro la furibonda Demetra rispose che non avrebbe messo piede nell‟Olimpo, né consentito che niente crescesse fino a quando Persefone non le fosse stata restituita. Solo allora Zeus, costretto a cedere alle suppliche dei mortali e degli stessi dei, inviò Ermes, il messaggero degli dei, nell'oltretomba da Ade, per ordinargli di rendere Persefone a Demetra, in modo che “la madre, vedendola con i proprio occhi, abbandonasse la collera”. Ermes si recò nel mondo degli Inferi, dove trovò Ade seduto su un trono e accanto a lui Persefone, profondamente triste. Ade, inaspettatamente, non recriminò alla decisione di Zeus, ma anzi esortò Persefone a fare ritorno dalla madre. All‟udire che era libera di andarsene, la giovane dea si rallegrò e balzò in piedi dalla gioia pronta a seguire Ermes. Ma l'inganno era in agguato. Infatti Ade, prima che la sua dolce sposa salisse sul cocchio di Ermes, fece mangiare a Persefone un seme di melograno, compiendo in questo modo il prodigio che le avrebbe impedito di rimanere per sempre nel regno della luce. 16
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Altre versioni del ito evidenziano che Persefone fosse consenziente nel momento in cui mangiò i semi
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Ermes prese il carro di Ade per riportare Persefone a casa. I cavalli andarono come il vento, dal mondo delle tenebre al mondo della luce, e si fermarono davanti al tempio, dove Demetra aspettava. Grande fu la commozione di Demetra quando rivide la figlia ed in quello stesso istante, la terrà ritornò fertile ed il mondo riprese a godere dei suoi doni. Demetra però si informò con ansia se la figlia avesse mangiato qualcosa, nel mondo degli inferi. Se così non fosse avvenuto, le sarebbe stata restituita senza limiti e vincoli. Ma, avendo mangiato il seme di melograno nel regno dei morti, Persefone fu costretta a farvi ritorno, ogni anno, per un lungo periodo. Fu così allora che Demetra decretò che nei sei mesi che Persefone fosse stata nel regno dei morti, nel mondo sarebbe calato il freddo e la natura si sarebbe addormentata, dando origine all'autunno e all'inverno, mentre nei restanti sei mesi la terra sarebbe rifiorita, dando origine alla primavera e all'estate.
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4.2. La donna Demetra nella società attuale17
La donna oggi perlopiù governata da questo archetipo, rappresenta l‟istinto materno, che si realizza nella gravidanza o nel dare agli altri nutrimento fisico, psicologico e spirituale, a tal punto che può soffrire di depressione qualora il suo bisogno di “essere nutrice” venga ostacolato o rifiutato. Sull‟Olimpo, l‟archetipo materno era rappresentato da Demetra, i cui ruoli più importanti erano quello di madre (di Perfesone), di dispensatrice di cibo (come dea delle messi), e di sostegno spirituale (nei Misteri Eleusini). Le caratteristiche più evidentii di questo tipo di donna sono: la maternità è il tipo di donna che si realizza solo attraverso la figliolanza o attraverso la cura per gli altri; nel mito infatti Demetra, dopo la perdita di Persefone, si dedica a Demofonte. L‟archetipo materno spinge la donna a essere nutrice e generosa. A livello biologico Demetra rappresenta l‟istinto materno, il desiderio di rimanere incinta, che può verificarsi per scelta o inconsapevolmente. E‟ impensabile per lei , anche in situazioni difficili, ricorrere all‟aborto, perché sente di andare contro alla sua natura interiore. Qualora comunque scegliesse l‟aborto sarà in preda al conflitto e all‟angoscia, provando un profondo dolore. L‟istinto materno di Demetra non si limita alla maternità biologica e alla cura dei propri figli, “dar da mangiare” agli altri è comunque per lei fonte di appagamento (al contrario di Artemide). La madre Demetra è perseverante (nei confronti dei “figli”), si rifiuta di darsi per vinta quando è in gioco il benessere dei figli e protesta, esprimendo così, testardaggine e perseveranza (queste sono qualità che, come Zeus scoprì a sue spese, possono avere effetto su un uomo potente o su un‟istituzione)
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cfr J.S. Bolen , Le dee dentro la donna, Astrolabio- Ubaldini editore, Roma, 1991
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La generosità Nei miti che la riguardano, Demetra era la più generosa fra le dee. Diede all‟umanità l‟agricoltura e i raccolti, contribuì ad allevare Demofonte. Alcune donne Demetra danno materialmente, in modo del tutto naturale, cibo e cure fisiche, altre sostegno emotivo e fisico, e altre ancora nutrimento spirituale. Spesso questi tre tipi di dono corrispondono anche a ciò che la donna Demetra da‟ ai suoi figli. All‟inizio essi dipendono da lei per la cura dei loro bisogni fisici; in un secondo momento si rivolgono a lei per avere sostegno emotivo e comprensione. E infine guardano a lei per trovare saggezza spirituale nel momento in cui devono affrontare delusioni o dolori o cercano un senso all‟esistenza La tendenza alla depressione La donna Demetra, di fronte ad un problema derivante dalla mancata gravidanza o alla lontananza di un figlio o di un partner, o alla fine di un lavoro che svolge come madre sostitutiva, anziché andare in collera o lottare attivamente contro coloro che ritiene responsabili, tende a sprofondare nella depressione. Soffre e la vita le sembra vuota e priva di significato. Quando una Demetra di mezza età si deprime, si inasprisce e si sente delusa perché i figli adulti sono affettivamente o fisicamente distanti da lei, diventa dolente, ossessionata dal senso di perdita e limitata negli interessi Sessualità tiepida Quando “Demetra” è l‟elemento più forte nella personalità di una donna, la sessualità, in genere, non è molto importante, perché questa pulsione in lei non è intensa. Spesso è una persona accogliente, morbida, più “coccolona” che sexy.. Molte donne Demetra hanno infatti un atteggiamento puritano nei confronti del sesso, che considerano più volto alla procreazione, che al piacere. Lo stesso matrimonio viene e considerato un passo necessario, che apre la via alla maternità.
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Alimentare la dipendenza La sovrabbondante capacità materna della donna Demetra può essere incrinata dall‟esigenza che il figlio abbia bisogno di lei e dall‟ansia quando non è “sotto il suo controllo”., che la indurrà a creare legami di dipendenza. E‟ possibile che attivi questa dinamica anche in altri rapporti, con amiche o partner. Nel tentativo di rendersi indispensabile tende infatti a infantilizzare gli altri o ad esercitare un controllo eccessivo. Se le persone che fanno parte della sua vita hanno bisogno di lei, la donna Demetra si sente rassicurata se, al contrario diventano indipendenti e autosufficienti, si sente minacciata. Se teme, dunque, di perdere il rapporto ( o ha paura che il suo bambino non sia “abbastanza bravo”), diventerà una madre/ donna possessiva, opprimente, utilizzando come strumento prevalente l‟attivazione del senso di colpa nell‟altro. L‟essere vittima Nel mito, Demetra viene umiliata e ingannata dal marito (Zeus), che oltre a non considerare il suo bisogno di fedeltà non attribuisce alcun valore al suo rapporto con la figlia Persefone, ignorando la sofferenza derivante dal rapimento. Le donne che hanno una natura perlopiù legata a Demetra sperimentano situazioni di sottomissione e di impotenza, sviluppando un ruolo di vittima. Nella vita la donna Demetra è incapace di dire di no (nel mito non esprime direttamente a Zeus la sua richiesta di aiuto), appare sempre accondiscendente e disponibile a tutti e questo le creerà un fardello troppo pesante da portare, che la farà sentire apatica e svuotata. Se si sente “sfruttata”, come è tipico in lei, non lo esprimerà in modo diretto e aggressivo, ma tenderà a svalutare i propri sentimenti e bisogni, giudicandoli ingenErosi e lavorerà di più per riuscire a fare tutto ed essere apprezzata. Quando cerca di reprimere i suoi veri sentimenti incomincia a manifestare un comportamento passivo-aggressivo, dimenticando di portare a termine richieste fatte a lei, provenienti da altri. Così si libera dei pesi che era previsto portasse, agendo inconsciamente la propria ostilità con un comportamento di inadempienza, affermando la propria indipendenza in modo indiretto. Ma questo comportamento, non sotteso da un no intenzionale e chiaro, la fa in realtà, apparire inaffidabile e le causa senso di colpa.
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Rifiutarsi in maniera esplicita di fare quanto ci si aspetta da lei, è un messaggio chiaro; un‟azione passivo-aggressiva è invece un messaggio confuso, espresso anche in modo ostile. Se l‟altro ha a cuore i suoi bisogni, un messaggio chiaro può essere dirimente; se invece tende a sfruttarla e pretende di ottenere a sue spese ciò che desidera, sarà necessario rinforzare l‟intenzione con l‟azione: Zeus non diede retta a Demetra fino a quando lei non decretò la carestia. Il rapporto con gli uomini La donna Demetra non sceglie l‟uomo, ma reagisce al bisogno che lui ha di lei, con il quale può non interrompere la relazione, in caso di insoddisfazione, per non dargli dispiaceri. Ispirandosi al mito, la donna Demetra può intessere rapporti con uomini forti, come Zeus, anche se quest‟ultimi sembrerebbero non rispettarla nei suoi bisogni profondi. In alternativa può realizzare la coppia “madre-figlio”, accettando uomini, più deboli, da accudire e “far crescere”, che però possono assumere comportamenti di disattenzione nei suoi confronti, che la possono ferire; ma basta che lui le dica che l‟apprezza per far sì che tutto rientri nella tranquillità apparente. Spesso la si trova in coppia con uomini sociopatici, che agiscono con la presunzione che i loro bisogni diano loro il diritto di ricevere, incapaci di intimità emotiva e di autentico apprezzamento, (il loro atteggiamento sottintende la domanda .”Che cosa hai fatto ultimamente per me?”). Così ingigantiscono i propri bisogni, creando un stato di necessità che suscita la risposta “generosa” di Demetra, prosciugandola via via delle sue risorse
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4.3. Demetra nell’analisi empirica
Analizzando la figura di Demetra, attraverso l‟approccio empirico, può essere definita una donna yin integrata. La donna yin integrata è in grado di esprimere l‟intera gamma dei principi attivi yin, ossia tutte le qualità e i miti emotivi che la contraddistinguono, poiché è in grado di integrare il proprio lato femminile con quello maschile, creando l‟unità in se stessa. E‟ soltanto questa sinergia a conferirle la propria luce e a permetterle di sviluppare il suo femminile completamente. Così riesce integrare anche il suo lato d‟ombra, fonte di ricchezza e pienezza, accettandolo e conferendole il diritto di potersi manifestare. La donna yin integrata trova la sua piena espressione nella dolcezza e nell‟accoglienza , non nella sfida e nella competizione. Sa adoperare in ugual misura forza e morbidezza, che le permettono di affiancare e compensare una carica yang sana e sviluppata. Il coraggio di essere donna si manifesta soltanto attraverso l‟accettazione del suo lato ombra, permettendole di sperimentare la propria fragilità, delicatezza e sensibilità senza la paura di aprirsi. La forza per affermare i principi attivi femminili è generata dal proprio animus, che costituisce un‟entità di sostegno, che si manifesta attraverso la sua energia autentica soltanto in situazioni estreme, in cui la loro carica empirica lo richieda. Raramente infatti la yin integrata entra nella propria rabbia, che compare esclusivamente nei casi di una profonda mancanza di rispetto o di una minaccia vitale nei suoi confronti.
Il mito sviluppa la figura di Demetra fondamentalmente nel ruolo di madre, la maternità costituisce il diritto empirico più importante per il codice yin. Un istinto materno che da un lato si esprime nella cura della figlia Persefone, dall‟altro nella relazione, in qualità di nutrice, con Demofonte. “…Attraverso Demofonte la dea riusciva in questo modo a saziare il suo istinto materno, soffocando il dolore per la perduta figli .Col tempo Demetra si affezionò al fanciullo che faceva crescere come un dio, lo nutriva, all'insaputa dei genitori, con la
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divina ambrosia, il nettare degli dei e lo esponeva a un fuoco che lo avrebbe reso immortale…” Il codice yin è connotato da una “forza incondizionata”, che si manifesta in tutto il suo agire e in tutto il suo essere. L‟accoglienza, la cura, la morbidezza, l‟arrendevolezza sono solo alcune delle manifestazioni pratiche di questa forza, che non sono qui finalizzate a rendere l‟altro sempre più dipendente, ma semplicemente “gratuite”. Nel mito emerge una figura di madre pronta a rinunciare tutto pur di salvare la figlia Persefone. Di fronte all‟efferatezza di Zeus, la sua prima reazione “emotiva” è la tristezza profonda che si traduce in una vera e propria disperazione, che la conduce a “cercare la figlia per nove giorni e nove notti, nel mare e sino alle più remote regioni della terra, rinunciando a mangiare, a dormire e a lavarsi”. Demetra mostra la sua capacità di “stare nella tristezza”, pur reagendo, non lasciandosi fagocitare da questo stato d‟animo, esibendo fragilità e vulnerabilità, evitando di reagire in prima battuta attraverso la rabbia e la competizione (nei confronti di Zeus), la yin integrata dispone di uno spazio interiore che le conferisce la forza di “interagire” con i comportamenti degli altri, senza doverli subire. Non assume atteggiamenti da vittima in cui compiangersi e commiserarsi , né moti di incontinenza emotiva in cui “buttare fuori” tutto ciò che le reca dispiacere. La donna yin integrata infatti “è portatrice sana” del proprio codice, sia in relazione alla parte luminosa, contenente tutte le doti più nobili e onorevoli, sia alla parte ombra, percepita come scomoda e destabilizzante, parti che sono in equilibrio fra loro. In tal modo la donna può essere autorizzata da accedere ad entrambe, e quindi anche ad entrare in contatto con la propria paura e alla propria tristezza .(che costituisce l‟equivalente della spinta rabbiosa dell‟uomo). La presenza di una spinta aggressiva molto sviluppata (che spesso si nota come “prima reazione” ad una situazione non condivisa) dimostra uno yin debole che rende la donna rabbiosa, insistente, acida e quindi alterata, cioè compromessa a livello empirico. Demetra invece, nella prima parte del mito, spontaneamente attinge alla propria forza interiore per provare a recuperare Persefone, senza sfidare direttamente Zeus.
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Non solo ma dopo un‟estenuante e vana ricerca “..abbandonò l‟Olimpo si travestì da vecchia e iniziò a vagare, irriconoscibile, per il mondo per cercare di soffocare la sua disperazione…”, quasi rassegnata all‟accaduto, ma indisponibile a restare a fianco di Zeus, a causa del suo tradimento. La donna yin è l‟unica che sa adoperare come meccanismo preferito la forza della verità, velandola e rivelandola semplicemente per ciò che è. La realtà empirica diviene pertanto lo strumento d‟eccellenza per contrastare ogni mancanza di rispetto, ogni atto di malignità e tutti gli atteggiamenti di critica e giudizio nei suoi confronti. Questo avviene rivelando e mostrando il suo dispiacere, la propria tristezza (nel caso di Demetra trasformatasi in vera e propria disperazione) o l‟amarezza per ciò che è avvenuto, costringendo l‟altro a prendersi le responsabilità per il dolore che ha provocato 18. Non utilizza strategie di camuffamento o rimozione, ma esterna il proprio dolore attraverso parole e azioni chiare e dirette, evitando ironia e sarcasmo. Una donna yin integrata sa irrompere nella chiusura e diffidenza altrui con la propria luce, scoprendo se stessa a tal punto che allo sguardo yang potrebbe sembrare in pericolo, ma in realtà è ben sostenuta dalla propria parte integrata, ovvero da un animus nascosto ma ben presente, che non la consegna a un mondo spietato bensì la sostiene attraverso la propria forza, evidenziandosi soltanto nel momento del bisogno. Infatti, quando viene aggredita o minacciata, la dolce donna yin può esibire un‟aggressività sorprendente e sfoderare unghie ben affilate.
Demetra infatti, dopo essersi allontanata da Demofonte, ricominciò ad avvertire più forte che mai il dolore per la scomparsa di Persefone “…decise che la terra non avrebbe più dato frutti ai mortali così la razza umana si sarebbe estinta nella carestia. In questo modo gli dei non avrebbero più potuto ricevere i sacrifici votivi degli uomini di cui erano tanto orgogliosi….”
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Nel mito ciò non si verifica poiché Zeus , non è configurabile come uno yang integrato che spontaneamente reagirebbe al comportamento di Demetra, ravvedendosi. Emerge infatti che, secondo una lettura empirica, gli dei appaiono in ruoli alterati. Nella realtà la donna yin integrata entrerebbe in coppia con uomini yang integrati.
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Considerata l‟indifferenza di Zeus alla sua richiesta e al suo dolore, Demetra ricorre consapevolmente alla sua rabbia, per dare una svolta alla situazione. La donna yin percepisce il moto di rabbia soltanto in situazioni o di reale minaccia o di profonda mancanza di rispetto. L‟alleanza genuina con la rabbia le conferisce la facoltà di parlare a proprio sostegno ed esprimere i propri no, quando questo è necessario. Nel mito, Demetra, dopo aver elaborato il dolore su un proprio piano profondo, ricorre ad un‟azione forte poiché la carica empirica della situazione è connotata da grande intensità e gravità, è dunque un‟azione forte, legittimata, per una yin integrata, dalla crudeltà e atrocità degli eventi. “…In breve tempo, la carestia si abbattè nel regno e a nulla valevano le suppliche dei mortali che nel frattempo venivano via via decimanti. Alla fine Zeus, per cercare dimettere fine alla carestia, inviò Iride a implorare Demetra di tornare. Poi, dal momento che lei non si lasciava commuovere, ogni divinità dell‟olimpo, a turno, si recò a trovarla, portandole doni e onorificenze. A ciascuno di loro la furibonda Demetra rispose che non avrebbe messo piede nell‟Olimpo, né consentito che niente crescesse fino a quando Persefone non le fosse stata restituita…” In un altro passaggio del mito è possibile intravedere la forza d‟animo di Demetra, che senza ostentazioni o esternazioni esplosive di rabbia, annuncia che la natura avrebbe avuto caratteristiche diverse, nel corso dell‟anno, in relazione alla presenza o meno di Persefone nel regno della luce, sulla terra. “…Fu così allora che Demetra decretò che nei sei mesi che Persefone fosse stata nel regno dei morti, nel mondo sarebbe calato il freddo e la natura si sarebbe addormentata, dando origine all'autunno e all'inverno, mentre nei restanti sei mesi la terra sarebbe rifiorita, dando origine alla primavera e all'estate….”
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CAP. 5 PERSEFONE 5.1. La dea
Persefone Kore
Uno dei Pinakes raffiguranti la vita della dea Persefone, dalla numErosissima collezione conservata presso il Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria.
Persefone regina
Presentazione La statua della Dea Persefone, detta Persefone Gaia per via del suo sorriso appena accennato, si trova oggi al Pergamon Museum di Berlino
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Presentazione
La dea Persefone, che i romani chiamavano Proserpina o Cora, compare anche lei nell‟Inno a Demetra che descrive il suo rapimento da parte di Ade. Era venerata in due modi, come fanciulla e come regina degli Inferi. Benché Persefone non fosse una delle dodici divinità dell‟Olimpo, era la figura centrale dei misteri Eleusini, che per duemila anni prima del Cristianesimo furono la più importante religione dei Greci.
Il mito Persefone fu l‟unica figlia di Demetra e Zeus. La mitologia greca, caso insolito, ne tace le circostanze del concepimento. All‟inizio del mito Persefone era una creatura giovane e spensierata, che raccoglieva fiori e giocava con le amiche. Poi all‟improvviso Ade emerse sul suo carro da una fenditura della terra, ghermì la fanciulla piangente e la portò nel mondo sotterraneo per farne la propria riluttante sposa.
In questo bosco Persefone si divertiva a cogliere viole o candidi gigli, ne riempiva con fanciullesco zelo dei cestelli e i lembi della veste, gareggiando con le compagne a chi più ne coglieva, quando in un lampo Plutone la vide, se ne invaghì e la rapì: tanto precipitosa fu quella passione. Atterrita la dea invocava con voce accorata la madre e le compagne, ma più la madre; e poiché aveva strappato il lembo inferiore della veste, questa s'allentò e i fiori raccolti caddero a terra: tanto era il candore di quella giovane, che nel suo cuore di vergine anche la perdita dei fiori le causò dolore. Il rapitore lanciò il cocchio, incitando i cavalli, chiamandoli per nome, agitando sul loro collo e sulle criniere le briglie dal fosco colore della ruggine; passò veloce sul lago profondo, sugli stagni dei Palaci che esalano zolfo e ribollono dalle fessure del fondale, e là, dove i Bacchìadi, originari di Corinto che si specchia in due mari, eressero le loro mura tra due insenature (Ovidio, Metamorfosi V).
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Demetra non accettò la situazione, abbandonò l‟Olimpo, si diede da fare perché Persefone tornasse e infine convinse Zeus a cedere ai suoi desideri. Zeus mandò Ermes , il messaggero degli dèi, a riprendere Persefone; Ermes giunse nel mondo sotterraneo e trovò Persefone alquanto sconsolata, terrorizzata ma la sua disperazione si trasformò in gioia quando scoprì che egli era lì per lei e che Ade l‟avrebbe lasciata libera. Tuttavia, prima di lasciarla andare, Ade le diede alcuni semi di melograno che lei mangiò (ignara delle conseguenze) Quindi salì sul carro con Ermes che la riportò velocemente a Demetra. Madre e figlia, una volta ritrovate, si abbracciarono con gioia, e Demetra si informò ansiosamente se Persefone non avesse per caso mangiato qualcosa nel mondo degli inferi. Lei rispose di aver mangiato alcuni semi di melograno perché Ade l‟aveva costretta a farlo “con la violenza e contro il suo volere” (cosa non vera, le ricostruzioni evidenziano il consenso di Persefone). Demetra accettò la storia e il ciclo che ne seguì. Se Persefone non avesse mangiato alcunché, le sarebbe stata restituita senza condizioni. Invece, avendo mangiato i semi di melograno, ora avrebbe trascorso un terzo dell‟anno agli Inferi con Ade e due terzi nel mondo dei vivi, con lei. In seguito Persefone divenne regina degli Inferi. Quando eroi ed eroine della mitologia greca si recavano nel regno dei morti, Persefone era là a riceverli e a fare loro da guida. (Nessuno la trovò mai assente, anche se il mito ci dice che per due terzi dell‟anno tornava dalla madre) Nell‟Odissea, l‟eroe Ulisse si recò agli Inferi, dove Persefone gli mostrò le anime di donne leggendarie; nel mito di Eros e Psiche , l‟ultimo compito di questa fu quello di discendere nel mondo sotterraneo con uno scrigno che Persefone doveva riempire con l‟elisir di eterna giovinezza per Afrodite; l‟ultima delle dodici fatiche di Ercole lo condusse da Persefone: l‟eroe doveva ottenere il suo permesso per portare via Cerbero, il feroce cane da guardia a tre teste che legò e portò via al guinzaglio.
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Oltre la bellezza, Persefone possedeva un animo gentile e molto sensibile. Infatti, fu lei a rimandare Alcesti sulla terra, commossa dalla abnegazione che quest‟ultima dimostrò verso lo sposo.. In un‟altra versione del mito (di cui qui si riporta soltanto la aprte interessata) viene evidenziato chiaramente che Persefone ha mangiato i semi di melograno di sua spontanea volontà. “ Gli uomini, intanto, stavano morendo di fame, per mancanza di raccolto, così Zeus decise di mandare un messaggero da Ade a chiedere di liberare la ragazza prigioniera. C‟era però una condizione: Persefone poteva tornare libera solo se non aveva mangiato frutti della Terra dei Morti. La ragazza disse al messaggero che non aveva maitoccato il cibo che suo zio Ade le portava e così potè salire sul carro del messaggero che la riportò da sua madre. Appena la ragazza toccò terra, il suolo ricominciò a dare frutto ed i campi si riempirono di grano maturo. Arrabbiato, per la dipartita della fanciulla, Ade cominciò a chiedere a tutti gli spiriti del Regno dei Morti se davvero la ragazza non aveva mangiato nulla ed arrivò a scoprire che lei un giorno aveva mangiato alcuni semi di un melograno. Allora corse da Zeus e chiese di poter riportare Persefone nel suo regno…..”
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5.2. La donna Persefone nella societa’ attuale19
Prima di addentrarci a trattare le caratteristiche della donna Persefone, è utile precisare che la dea venne venerata in due modi. Come fanciulla (Kore, giovinetta) e come regina degli inferi. Kore era una giovane dea slanciata e bellissima, associata ai simboli della fertilità: il melograno, il grano, i cereali e il narciso. Come regina degli inferi, Persefone è una donna matura, che regna sulle anime dei morti, guida i viventi negli inferi e richiede per sé ciò di cui ha bisogno. La donna Persefone presenta un profilo complesso articolato, connotato, già nel mito, da un processo trasformativo; da giovane e innocente fanciulla a donna matura che “governa” il mondo degli Inferi. La vita di una Persefone appare dunque molto differente a seconda che si cristallizzi nella fase bambina o che sappia evolvere in quella adulta. E‟ indubbiamente un mito denso di simboli, che dà adito ad una quantità di interpretazioni: Neumann vi ha letto il passaggio, nell‟evoluzione psichica della donna, dall‟identità di figlia a quella di sposa, quindi da fanciulla immersa nel mondo della madre, a donna adulta, che si confronta col mondo sociale, quindi col maschile. E qui l‟associazione nozze-morte è evidente in quanto è richiesta la morte della fanciulla, affinchè avvenga il passaggio che dall‟essere tutt'uno con l‟uroboro materno, porta ad un‟identità di soggetto integro.20
Persefone kore
In generale Persefone-Kore appare fisicamente più giovane di quella che è, mostrando nella personalità qualcosa di “fanciullesco”, che simboleggia la richiesta di cura alla bambina che è in lei. 19
cfr J.S. Bolen , Le dee dentro la donna, Astrolabio- Ubaldini editore, Roma, 1991
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E. Neumann, La psicologia del femminile, Astrolabio,- aldini editore, Roma, 1975
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La donna Persefone-Kore vive la propria vita come la bambina che ignora chi esattamente sia, inconsapevole dei propri bisogni, desideri e forze. Rimane molto legata alla madre (Demetra che si adopera per creare dipendenze), a cui lascia la gestione di molta parte della sua vita, spesso si ritrovano a condividere molti elementi con tale figura, le ansie, le opinioni, i valori della madre influenzano fortemente le percezioni della figlia. Fin da piccola si comporta come la “brava bambina,”, tranquilla, composta, essendo spesso “la bambina della mamma”, comportandosi in modo compiacente per riuscire gradita. Questa dipendenza la induce a diventare “prudente”, spettatrice di eventi, dovendo pensare a fare qualcosa prima di decidere se vuole partecipare o no. Il nuovo è per lei sinonimo di ansia e di difficoltà, anziché stimolatore di curiosità e di iniziativa. Impara così via via a diventare passiva di fronte alla vita, a fare ciò che piace agli altri, dimenticando i propri desideri e contenendo i propri impulsi. Questo le impedisce anche di imparare a fidarsi del suo modo interiorizzato di comprendere ciò che vuole fare. Soltanto se incoraggiata, infatti, può gradualmente imparare a fidarsi della propria innata ricettività e della capacità di prendere decisioni a modo suo e con i suoi tempi, apprendendo a intuire in maniera soggettiva le sue preferenze (sentire?), anche se non riesce a indicare le ragioni di tali scelte, che semplicemente sente come giuste dentro di sé. Vivere come Kore significa essere l‟eterna fanciulla che non si impegna in niente e con nessuno (spensierata finché non viene rapita da Ade), perché una scelta definitiva esclude le possibili alternative rimanenti (non scelte). Ha difficoltà a dire sì e a tenere fede a qualsiasi cosa cui dà la propria adesione. Secondo Linda Schierse Leonard il problema principale per le donne rimaste invischiate nel modello di “brava bambina” o “figlia ubbidiente” è quello di acquisire consapevolezza che tale modello basato sul “dovere” è stato imposto loro da qualcun altro. E‟ pertanto importante per donne di questo tipo, veder che questa immagine è stata proiettata su di loro e che non era la propria. Tali immagine infatti conferisce un‟apparente virtù e dignità, ma allo stesso tempo nega l‟ombra e tutta la sua portata creativa e vitale. Confuta una grande porzione della personalità e in particolare il legame con il Se‟.21 21
Linda Schierse Leonard, La donna ferita, Astrolabio-ubaldini editore, Roma, 1985
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Nel lavoro La donna Persefone –Kore, non potendo contare sulla propria sicurezza e forza interiore,può ritrovarsi a passare da un lavoro all‟altro, nella speranza di trovare un lavoro davvero interessante per lei. Riesce meglio nelle professioni in cui non è richiesta iniziativa, perseveranza o capacità direttive, al contrario si trova a proprio agio con un capo che deve assecondare, anche se le riesce difficile portare a termine un compito entro le scadenze stabilite.
Nel rapporto con gli uomini
Con gli uomini la donna Persefone-Kore è una donna-bambina,dall‟atteggiamento remissivo e giovane. Quando dice:”facciamo quello che vuoi tu”, intende realmente questo, consegnandosi alle scelte del partner. Appare come donna tranquilla, riservata, compiacente, che non dice mai di no in modo diretto. Tre sono le categorie degli uomini che attrae:
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i giovani e inesperti come lei
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i “duri” che rimangono affascinati dalla sua innocenza e fragilità
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coloro i quali non si sentono a proprio agio con donne mature
Alla prima categoria appartiene il “primo amore”, nei rapporti fra giovani, in cui ci si esplora a vicenda, alla pari. Della seconda fanno parte tutti quegli uomini duri e rudi, che si sentono attratti da una fanciulla così diversa da loro, da proteggere in quanto (apparentemente) vulnerabile. La terza tipologia riguarda gli uomini che, per varie ragioni, avvertono malessere con donne mature, psicologicamente adulte, spesso cresciuti in un ambiente di stampo
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patriarcale, che li ha indotti a pensare che l‟uomo debba avere maggior esperienza della donna, essere più forte, più intelligente. Oppure un‟altra ragione per cui alcuni uomini prediligono ragazze più giovani, può essere che quest‟ultime diano un‟immagine assai differente da quella di una madre, come donna potente e difficile da compiacere. Con una Persefone molti uomini avvertono di poter essere potente e dominatore, sa che la sua autorità e le sue idee non potranno essere messe in discussione e che potranno anche apparire in alcune situazioni inesperti, senza per questo essere criticati. Il rapporto con l‟uomo può essere una via attraverso la quale la Persefone-Kore tenta di affrancarsi dal potere della madre, scegliendo un uomo distante dai canoni ontologicoestetici di quest‟ultima. La madre, d‟altro canto in questa situazione, si oppone al rapporto, deplorando il carattere del fidanzato, giudicando la figlia come non n grado di effettuare la scelta più giusta per lei. Spesso riconosce in lui un potenziale avversario. In realtà la capacità/possibilità di opporsi alla madre è stata una delle ragioni per cui la figlia Persefone si è sentita attratta da lui. Per la prima volta in vita sua può essere in disaccordo con lei, e questo da‟ il via a una vera e propria battaglia. Sarà l‟uomo (Ade) a costringerla a decidere se scegliere lui o la madre. L‟allontanamento dalla madre, in senso fisico o simbolico (gli inferi) rappresenta l‟inizio del viaggio verso la propria indipendenza emotiva, la dimensione di un essere umano che si autodetermina.
La sessualità
La donna Persefone-kore appare inconsapevole della propria sessualità, in attesa del principe che venga a svegliarla. Spesso costretta dentro tabù, derivanti dall‟influenza materna che la voleva “brava bambina”, non è in grado di accedere a questa sua parte intima, vissuta come sporca e con senso di colpa.
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Il matrimonio
Spesso alla donna Persefone-Kore il matrimonio accade, in una situazione in cui viene “rapita”, quando un uomo vuole sposarla e la convince ad accettare, trascinata dall‟insistenza e dalla sicurezza del partner. Per natura si sottomette al più forte, è più ricettiva che attiva , non è competitiva o intraprendente. Sono gli uomini che la scelgono, non viceversa. Dentro di sé, vedendolo con l‟archetipo della fanciulla, può essere vissuto come sinonimo di morte, di un qualcosa di definitivo. Una volta sposata, può evolversi attraverso fasi che ripetono il mito di Persefone, diventando così moglie riluttante (come nei primi tempi del matrimonio con Ade) o “pedina” fra i due fuochi rappresentati dal marito e dalla madre. Ma il matrimonio può anche diventare un evento trasformativo impensato, grazie al quale l‟eterna fanciulla diventa la “regina” della casa. La donna Persefone può superare la dimensione Kore, quando si trova ad affrontare la vita con le sue sole forze, prendendosi cura di sé. Spesso il divorzio costituisce per Kore l‟occasione (forse la prima) per concretizzare il riscatto dalle aspettative altrui, per comportarsi in modo diverso da quanto ci si aspettasse da lei. Non dispongono di qualcuno che operi in vece sua o di cui lamentarsi può condurre verso una maturità più adulta. Far fronte al bisogno, che spesso vuole dire fare i conti con il dolore sotteso spinge verso un processo di indipendenza, in cui attingere alle proprie risorse, assumendo le necessarie responsabilità.
I figli
La donna Persefone-Kore se ha dei figli, non si sente autenticamente madre di loro, spesso può accadere che li viva come un impegno a cui non è in grado di far fronte. Oppure si ritrova ad agire il ruolo di sua madre, attivando con i figli le stesse dinamiche vissute da lei quando era piccola, creando dipendenza, disistima, critica.
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La madre Kore si sente schiacciata dai figli maschi sicuri di sé, cedendo alle loro richieste, incapace di porre limiti e sentendosi così impotente e vittimizzata. Oppure troverà un modo indiretto per convincerli, seducendoli o manipolandoli, anche attraverso l‟uso del senso di colpa.
La dimensione psico-emotiva
Le vie traverse, la menzogna, la manipolazione sono potenziali strategie che la donna Kore utilizza. Sentendosi impotente e dipendente dagli altri, impara ad ottenere ciò che vuole in maniera indiretta: ricorre all‟adulazione, dice solo in parte la verità, omette, agisce in modo opportunistico. In genere preferisce evitare la collera, poiché sente di dipendere dalla affabilità e approvazione degli altri che si deve ingraziare, vivendoli come “protettori.” Anche il narcisismo uò costituire una modalità per perdere il contatto con gli altri, troppo preoccupata di apparire anziché essere. La gente costituisce lo specchio dentro cui potersi guardare. La donna ispirata da questo archetipo presenta “debolezza di carattere”. Quando Demetra ritrovò Persefone le chiese se avesse mangiato qualcosa nel mondo sotterraneo, E la figlia rispose di aver ingerito alcuni semi di melograno, e poi mentì, dicendo di essere stata costretta da Ade: aveva quindi fatto ciò che voleva, senza intaccare l‟immagine che la madre aveva di lei. Pur dando l‟impressione di non aver alcun potere di controllo sul proprio destino , e quindi di non esserne responsabile, in realtà lo determinò, mangiando i semi, garantendosi così la possibilità di poter trascorrere un po‟di tempo con Ade. D‟altro canto la donna Persefone -Kore può assumere dall‟archetipo la capacità di essere flessibile, attendendo che la situazione si modifichi.
La donna Persefone-regina
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Fra i trenta e i quarant‟anni, la realtà irrompe nell‟illusione di eterna giovinezza della donna Persefone, la quale forse, a questo punto può cominciare a sentire che qualcosa nella sua vita non va. Benché la prima esperienza di Persefone nel mondo degli inferi fosse stata quella della vittima rapita, in un secondo tempo ne divenne regina. Come nel mito questo aspetto si sviluppa come risultato dell‟esperienza e maturità. Simbolicamente, il mondo degli inferi può rappresentare gli strati più profondi della Psiche, il luogo dove giacciono sepolti i ricordi , anche i più dolorosi, dove si trovano immagini modelli, istinti e sentimenti archetipici comuni a tutta l‟umanità. Persefone regina rappresenta dunque la capacità di muoversi fra la realtà egotica del mondo “oggettivo” e la realtà inconscia della Psiche. Quando l‟archetipo Persefone è attivo, la donna può operare una mediazione fra i due livelli, integrandoli nella propria personalità. Una volta che Persefone sia scesa nelle profondità di se stessa e abbia esplorato il regno profondo del mondo archetipico e non tema di farvi ritorno per ripetere l‟esperienza (nel mito accetta volontariamente di mangiare i semi di melograno e quindi di tornare nel mondo degli Inferi non più in qualità di prigioniera), è in grado di mediare fra la realtà ordinaria e non ordinaria., anche diventando un‟importante guida per gli altri. Quindi se Kore si evolve in regina , la donna potrà accedere alla propria saggezza, alla propria dimensione spirituale, integrando le diverse parti di sé.
La Persefone regina acquisisce così sicurezza di sé, è in grado di procurarsi ciò che desidera senza pretendere dagli altri o senza adularli, ma in modo chiaro e diretto; sa assumersi impegni che riesce a portare a termine, è in grado di vivere il matrimonio come un‟opportunità anziché come un “rapimento” o “una morte” da combattere.
Per alcuni critici il mondo degli inferi rappresenta la malattia psichica, che molte donne Persefone si trovano ad attraversare. Questa donna infatti, quando è dominata e limitata da persone che la tengono legata a sé, è soggetta alla depressione. Nell‟insicurezza che la contraddistingue, chiude ermeticamente dentro di sé rabbia o dissenso, senza riuscire ad esprimerli o a modificare la situazione in maniera attiva. Comprime invece questi
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sentimenti negativi ed entra in uno stato di depressione (rabbia repressa rivolta internamente che diventa depressione), alimentata da senso di isolamento, inadeguatezza e autocritica. La depressione della donna Persefone non assume toni drammatici, ma sfuma in un logorìo interno: la sua personalità chiusa si ritrae ancor di più, la passività aumenta, le emozioni si fanno inaccessibili. Come Persefone quando viene rapita da Ade non mangia e non ha niente da dire. In genere la donna Persefone non è una figura appariscente, per cui quando si deprime diviene una presenza ancora più sfumata, inducendo chi le sta intorno a sentirsi escluso da lei, che si sente impotente, colpevole e indegna. E‟ molto differente da Demetra, la cui eventuale depressione, coinvolge intensamente chi le sta intorno, poiché passa da un comportamento energico e vitale ad uno dimesso, suscitando tendenzialmente senso di colpa, impotenza o collera per il biasimo che lascia intendere. La donna Persefone, ritirandosi gradualmente dalla realtà, può incorrere nel rischio della psicosi, che talvolta può servire da metamorfosi, un modo che queste donne hanno per spezzare i condizionamenti che limitavano la loro vita. Diventando psicotiche (temporaneamente), possono guadagnare accesso a una più vasta gamma di sentimenti e a una più profonda consapevolezza di sé. Ma ad alcune può accadere che rimangano prigioniere nel “mondo degli Inferi”, evitando la realtà quando questa diviene troppo dolorosa; ad altre invece con l‟aiuto di una terapia imparano a crescere, diventando così più sicure e indipendenti.
Dopo che Persefone emerse dal mondo degli Inferi, Ecate le fu compagna inseparabile. Ecate, dea della luna nera e dei crocicchi, regnava sugli arcani e sul regno notturno dei fantasmi e dei demoni, della stregoneria e della magia. L‟affinità di Persefone con questa dea può predisporre alle qualità estatiche e luminose, da vere e proprie sacerdotesse. Come guida dei mortali in visita nel mondo degli Inferi, Persefone aveva una funzione metaforicamente simile a quella dei medium, che permettono agli spiriti dei morti di esprimersi attraverso di loro.
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L‟estensione della personalità connotata da ricettività diffusa e da mancanza di concentrazione su un punto specifico agevola la percezione extrasensoriale. Per sviluppare le capacità sensitive la donna Persefone ha bisogno di trascendere l‟identificazione con Kore e trovare in sé la dimensione “Ecate”, sentendosi a proprio agio nel regno “dell‟oltretomba” e disponendo della saggezza che le consente di riconoscere la via più sicura ad un bivio pericoloso.
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5.3.Persefone nell’analisi empirica
Nell‟approccio empirico la figura di Persefone rappresenta il passaggio da una donna yin alterata a finta donna yin, a yin integrata.
Persefone Kore “…All‟inizio del mito Persefone era una creatura giovane e spensierata, che raccoglieva fiori e giocava con le amiche…” “… Atterrita la dea invocava con voce accorata la madre e le compagne, ma più la madre; e poiché aveva strappato il lembo inferiore della veste, questa s'allentò e i fiori raccolti caddero a terra: tanto era il candore di quella giovane, che nel suo cuore di vergine anche la perdita dei fiori le causò dolore…” All‟inizio il mito descrive Persefone come una fanciulla giovane, allegra e serena; l‟approccio empirico evidenzia che ogni persona vive durante l‟infanzia una forma genuina di alterazione yin, connotato da innocenza, dalla mancanza di responsabilità per le proprie scelte, dalla tendenza verso il subire, dall‟essere vittima di…., elementi che appaiono funzionali alla crescita. La metamorfosi da bambino ad adulto, dal ruolo del piccolo a quello del grande, avviene in maniera automatica e graduale, a condizione che i suoi diritti empirici non siano stati infranti. “…all‟improvviso Ade emerse sul suo carro da una fenditura della terra, ghermì la fanciulla piangente e la portò nel mondo sotterraneo per farne la propria riluttante sposa. “ Nell‟approccio empirico il mondo sotterraneo può essere letto come “la parte ombra” di cui ogni persona è portatore.
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Il lato ombra di ciascun codice include tutte le parti percepite dal singolo come più fastidiose e disagevoli e quindi da rifuggire; in realtà il processo di integrazione prevede che ciascuno, prima o poi, sia in grado di far fronte anche al suo lato meno ambito. Così la femmina possiede, per la sua natura yin, il diritto (che per il sistema si trasforma anche in obbligo) di essere arrendevole, amorevole, nutriente. Ma allo stesso momento le è conferito anche il diritto/obbligo all‟ombra, ossia la paura, la fragilità, la vulnerabilità, la tristezza. L‟ordine tende naturalmente verso uno stato di inclusione, racchiudendo tutto ciò che è, anche il suo opposto. L‟essere umano invece tende a giudicare ciò che è bene da ciò che è male, applicando delle etichette morali o emettendo dei giudizi di comodo. Ciò avviene, il più delle volte, attraverso una capacità di sentire alterata e tendenziosa, travestendo una propria convinzione disarmonica come giudizio a fin di bene. Di conseguenza l‟individuo tende a escludere arbitrariamente dal sistema quello che meno gli piace, ossia la parte più significativa che gli fa da specchio per il proprio vissuto non risolto, indicandola come negativa. Più grandi sono i buchi inerenti a parti del nostro codice, più soffriamo la lontananza dal loro libero fluire, vivendoli come negativi. “…Ermes giunse nel mondo sotterraneo e trovò Persefone alquanto sconsolata, terrorizzata, la cui disperazione si trasformò in gioia quando scoprì che egli era lì per lei e che Ade l‟avrebbe lasciata libera…” In questo passo (nei primi tempi dopo il rapimento) emerge l‟incapacità di Persefone, che si sente prigioniera e vittima degli eventi, di essere consapevole del beneficio dovuto all‟incontro con la sua parte ombra. Avverte una paura profonda che la blocca, la induce in un primo tempo, a non cogliere l‟occasione che potrebbe instradarla verso un processo di crescita. Empiricamente la paura è uno degli indicatori attivi che evidenziano la strategia compensatoria attivata per evitare il contatto col dolore del proprio debito.
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Ciascun debito appartiene alla parte ombra della persona, che ne avverte la presenza attraverso apposite segnalazioni emotive, gli indicatori empirici, come ad esempio la rabbia, la paura, l‟inadeguatezza, il senso di colpa…. Non sempre l‟appartenenza all‟ombra è consapevole, infatti molte persone sono sommerse da un‟ombra ingente senza esserne minimamente coscienti, ciò che induce ad attivare strategie di compensazione che inaridiscono l‟anima, allontanandola sempre più dal libero fluire e quindi dall‟amore. “…Madre e figlia, una volta ritrovate, si abbracciarono con gioia, e Demetra si informò ansiosamente se Persefone non avesse per caso mangiato qualcosa nel mondo degli inferi. Lei rispose di aver mangiato alcuni semi di melograno perché Ade l‟aveva costretta a farlo “con la violenza e contro il suo volere” (cosa non vera, alcune ricostruzioni evidenziano il consenso di Persefone)…”
Questo passo del mito mette in evidenza come Persefone menta alla madre, senza compromettere la propria immagine, quindi ottiene qualcosa che in fondo desidera (tornare nel mondo degli Inferi/ombra) ma in modo indiretto e ancora inconsapevole dei benefici che potrà trarne, senza assumersi la responsabilità della scelta, atteggiandosi in tal passaggio più come una bambina innocente che come un‟adulta cosciente. Nell‟approccio empirico, simbolicamente potrebbe rappresentare un primo abbozzo di passaggio, nella metamorfosi empirica, da donna Yin alterata a finta donna yin.
La finta donna Yin nel processo di metamorfosi empirica appartiene alla figura della vittima rabbiosa, che fa da ponte empirico fra il gruppo degli Yin e degli yang , (ruoli alterati) occupando lo spazio intermedio. Uno stato di transizione che costituisce una via di mezzo dinamica, temporanea e circoscritta, il cui passaggio avviene man mano che il portatore della carica yin alterata accumula rabbia. Più grande è il debito empirico subito da una persona, più velocemente avanzerà nella propria metamorfosi, spostandosi da sinistra verso destra, ossia dallo yin verso lo yang.
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Ogni eccesso yin protratto oltre il periodo legittimo, evidenzia uno stato infantile persistente, in cui la persona (in questo caso la donna) non può accedere al ruolo empirico dell‟adulto. Sono persone non in grado di integrare la propria parte ombra, riconoscibili da alcuni atteggiamenti, quali: parlare con voce sommessa, sorriso automatico, incapacità di dire direttamente dei no consapevoli (frutto di una scelta ponderata), facili ad entusiasmi ed euforie, spesso temporanei. In esse la parte “bambina” è molto viva ed essendo incapaci, per paura, di accedere al proprio dolore, scivolano lentamente nel ruolo di vittima rabbiosa. Inizialmente nella prima fase della vittima rabbiosa classica, la persona tenta di camuffare la spinta della rabbia, , facendo finta di niente, mantenendo le strategie vitali di prima, tentando di conservare l‟immagine della persona mite e gentile (finalizzata a comprarsi l‟amore compiacendo gli altri), che pertanto diviene solo una copertura dei suoi miti reali. Si tratta di un‟apparenza più subdola e ingannatrice che, sotto atteggiamenti accondiscendenti e disponibili, nasconde senso di rivalsa. A differenza della donna yin alterata, che si crede ancora nel limbo dell‟innocenza, percependosi come pura e immacolata, la finta yin ha cominciato la sua lotta quotidiana col vendicarsi per le ingiustizie subite. In questa dimensione vorrebbe però evitare a tutti i costi di essere smascherata e scoperta, per ciò che realmente è, ossia una persona arrabbiata. (Persefone mente alla madre per allontanarsi da lei, e riscattare la sua dipendenza, senza subire però ritorsioni dirette) Il sospetto della presenza di una donna finta yin nasce dalla contraddizione, simile ad una stonatura percepita durante una melodia armoniosa e ben sonante.
Persefone Regina degli Inferi “…Invece, avendo mangiato i semi di melograno, ora avrebbe trascorso un terzo dell‟anno agli Inferi con Ade e due terzi nel mondo dei vivi, con lei. In seguito Persefone divenne regina degli Inferi. Quando eroi ed eroine della mitologia greca si recavano nel regno dei morti, Persefone era
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là a riceverli e a fare loro da guida. (Nessuno la trovò mai assente, anche se il mito ci dice che per due terzi tornava dalla madre)…”
Il mito mette chiaramente in evidenza che Persefone opta di tornare consapevolmente nel regno degli Inferi, ovvero di scegliere di incontrare la propria parte ombra.
Il confronto coi tabù sistemici, come accade alla dea entrando nel regno degli Inferi, costituisce un passaggio fondamentale per l‟esistenza, essendo l‟unica strada che permette di evolvere interiormente, attraverso una crescita a livello empirico, necessaria per acquistare il ruolo empirico dell‟adulto. La differenza fondamentale fra il piccolo e il grande consiste proprio nella capacità di contenere il proprio dolore, poiché l‟adulto, per poter diventare tale, esplora tutte le sue strategie di autoboicottaggio, avvicinandosi così alla propria ombra. E‟ una scelta facoltativa quella di voler crescere a livello profondo; infatti “la crescita” di Persefone ha inizio soltanto quando lei compie un gesto volontario: inghiottire i semi di melograno, mentre fino a poco prima subiva impaurita la situazione. I semi infatti le consentiranno di tornare nel regno degli Inferi e quindi nella propria parte ombra, per cominciare a riscattare il suo arretrato empirico. Empiricamente si tratta di un bisogno che nasce dalla separazione della propria coscienza, divisa fra principi della coscienza personale e quelli della coscienza empirica, e dalla necessità di ricomporre la loro unità. Ricomposizione che può avvenire soltanto affrontando i moti soppressi, cioè quelli appartenenti all‟ombra. Entrare in contatto con le proprie ferite consente alla persona di incrementare la sua consapevolezza, aprendo spiragli nella corazza della propria coscienza personale, obbligata a compararsi con valori più vicini alla realtà empirica. Riconoscendo i propri tabù personali è possibile trasformare limiti e false credenze, evadendo una parte del debito e accettando responsabilità in situazioni fino a quel momento non percepite come necessarie. Ogni passaggio di maturazione implica aver attraversato un preciso dolore, che conferisce maggior spessore umano, forza. profondità, presenza.
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Si tratta di un dolore da cui c‟è bisogno di sapersi allontanare per evitare di rimanervi intrappolati. (Persefone trascorre parte del tempo negli Inferi e parte sulla terra) Infatti soltanto esplorando e integrando la propria zona d‟ombra si può assurgere ad uno stato empirico più genuino, che via via crea uno spazio interiore capace di contenere il dolore. Uno spazio del cuore inaccessibile a tutti coloro che sperimentano soltanto il lato luce della vita. Il riscatto dal debito, comunque, è possibile soltanto se l‟individuo riesce a integrare l‟esperienza dolorosa vissuta, passando da un periodo di “lutto obbligato”, senza esserne vittima o sfidante. Può accadere talvolta però, che per mancanza di sufficiente spazio interiore, tale passaggio non vada a buon fine, sviluppando un sovraccarico da un punto di vista empirico che mira a bloccare l‟esperienza vissuta, fino a quando la persona non sarò in grado di contenerlo. Quando lo spazio interiore è ridotto è perché appare occupato dal dolore nascosto che si manifesta attraverso un Io distorto e disarmonico che genera atteggiamenti egoisti e autocentranti o vittimistici. Se la persona ha dato molto spazio alla mente, per la legge di compensazione, non può dare altrettanto spazio al cuore , considerato che la mente crea aspettative, pregiudizi, critiche, proiezioni o resistenze, moti che lo spazio del cuore non può riconoscere come tali, cioè amorevoli. Dunque più contenuto è lo spazio del cuore meno libertà si gode, poiché appare compromesso l‟accesso alla coscienza empirica.
Persefone, grazie a questa esperienza, raggiunge una dimensione matura, diventando regina e dunque colei che governa,in qualità di adulta, mantenendo le qualità del codice yin. In altri miti e leggende si trova citata la regina Persefone, che si adopera oltre che come guida, come colei che sa ricorrere in aiuto a coloro che la contattano, senza rinunciare al proprio potere personale “…Nell‟Odissea, l‟eroe Ulisse si recò agli Inferi, dove Persefone gli mostrò le anime di donne leggendarie; nel mito di Eros e Psiche , l‟ultimo compito di Psiche fu quello di discendere nel mondo sotterraneo con uno scrigno che Persefone doveva riempire con l‟elisir di eterna giovinezza per Afrodite; l‟ultima delle dodici fatiche di Ercole lo
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condusse da Persefone: l‟eroe doveva ottenere il suo permesso per portare via Cerbero, il feroce cane da guardia a tre teste che legò e portò via al guinzaglio. Oltre la bellezza, Persefone possedeva un animo gentile e molto sensibile. Infatti, fu lei a rimandare Alcesti sulla terra, commossa dalla abnegazione che quest‟ultima dimostrò verso lo sposo.. “
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CAP. 6
ATENA
6.1. La dea
Lâ€&#x;Atena di Giustiniano, copia romana di statua greca di Pallade Atena- Musei Vaticani
Presentazione Secondo quanto ci narra Esiodo nella sua Teogonia, Atena era figlia di Zeus e della sua prima moglie Metide, dea della sapienza, particolarmente della saggezza della tessitura delle arti e, presumibilmente, degli aspetti piĂš nobili della guerra, mentre la violenza e la crudeltĂ rientravano nel dominio di Ares. La sapienza rappresentata da Atena comprende le conoscenze tecniche usate nella tessitura e nell'arte di lavorare i metalli. I suoi simboli sacri erano la civetta associata alla saggezza e l'ulivo. In tempo di pace gli uomini la veneravano poichĂŠ a lei erano dovute le invenzioni di tecnologia agricola, navale e tessile, mentre in tempo di guerra, fra coloro che la invocavano, aiutava solo chi combatteva con l'astuzia (Metis) propria di personaggi come Odisseo.
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Atena ha sempre con sé la sua civetta, o nottola, è l‟unica divinità femminile rappresentata con indosso una corazza di pelle di capra chiamata Egida (per alcuni storici l'Egida è in realtà uno scudo) donatale dal padre Zeus, con un elmo la cui visiera appare sempre tirata indietro, uno scudo al braccio e una lancia in mano. E‟ spesso accompagnata dalla dea della vittoria Nike Non ebbe mai alcun marito o amante, e per questo era conosciuta come Athena Parthenos (la vergine Atena); da questo appellativo deriva il nome del più famoso tempio a lei dedicato, il Partendone sull'acropoli di Atene.
Il mito
Tra gli dei dell'Olimpo Atena viene ritratta come la figlia prediletta di Zeus, nata già adulta ed armata dalla sua fronte dopo che egli ne aveva mangiato la madre, Metide. Varie sono le versioni riguardo alla sua nascita. Quella più comune dice che Zeus si coricò con Metide, dea della prudenza e della saggezza, ma subito dopo ebbe paura delle conseguenze che ne sarebbero derivate: una profezia diceva che i figli di Metide sarebbero stati più potenti del padre, fosse stato anche lo stesso Zeus. Per impedire che questo si verificasse, subito dopo avere giaciuto con lei, Zeus indusse Metide a trasformarsi in una mosca e la inghiottì, ma era ormai troppo tardi: la dea aveva infatti già concepito un bambino. Metide cominciò immediatamente a realizzare un elmo ed una veste per la figlia che portava in grembo, e i colpi di martello sferrati mentre costruiva l'elmo provocarono a Zeus un dolore terribile. Così Prometeo (oppure, a seconda delle versioni, Efesto, Ermete o Palemone) aprì la testa di Zeus con un'ascia bipenne ed Atena ne balzò fuori già adulta ed armata e Zeus in questo modo uscì, malconcio ma vivo, dalla brutta disavventura. Atena si considerava figlia di un solo genitore, Zeus, a cui poi venne sempre associata. Era il suo braccio destro, la sola dea dell‟Olimpo, a cui egli affidò il fulmine e lo scudo, simboli del suo potere. Non conobbe sua madre, Metis; in realtà sembrava ignorasse di averne una. Nella mitologia che la riguarda, Atena era la protettrice, consigliera, patrona e alleata di alcuni uomini di valore.
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Fra loro c‟era Perseo ,che uccise la Medusa, il mostro che aveva serpenti per capelli, artigli di bronzo e due occhi di ghiaccio, il cui sguardo trasformava gli uomini in pietra. Atena suggerì lo stratagemma di ricorrere a uno scudo dalla superficie levigata, in cui poteva veder riflessa la Medusa, come in uno specchio, evitando di guardarla direttamente. Guidò la sua mano armata di spada nell‟atto di decapitare la Medusa.
Originariamente Medusa era soltanto la più bella delle tre sorelle Gorgoni, ma Medusa fece l'amore con Poseidone – o ne fu stuprata secondo altre versioni – all'interno del tempio di Atena. Quando scoprì che il suo tempio era stato così profanato, Atena per punirla ne mutò l'aspetto rendendola mostruosa come le sue sorelle Steno ed Euriale, i suoi capelli si trasformarono in serpenti e qualsiasi creatura vivente ne avesse incrociato lo sguardo sarebbe stata mutata in pietra. Atena trasformò anche la parte inferiore del suo corpo in modo tale da renderle, unitamente al potere pietrificante, impossibile avere rapporti sessuali con un uomo.
Atena e Giasone
Atena aiutò anche Giasone e gli argonauti a costruire la loro nave per andare alla conquista del Vello d‟Oro. Sembra che Atena, abbia personalmente intagliato la prua in un frammento di una quercia sacra, dotato della parola, per cui poteva profetizzare.
Atena e Bellerofonte
Bellerofonte era nipote di Sisifo occhio-di-lince e aveva un unico sogno nella vita: galoppare su Pegaso, il cavallo alato. Quando Perseo aveva decapitato la Medusa, il suo sangue era sprofondato nella sabbia. Quella stessa notte era nato uno splendido destriero alato e gli dei lo avevano chiamato Pegaso, decretando che poteva essere cavalcato solo da un grande eroe Bellerofonte voleva essere quell' eroe. Un giorno, mentre si trovava presso Iobate, re della Licia, questi gli chiese un grosso favore. Gli disse che il re di Caria, suo acerrimo nemico, aveva mandato nella Licia la Chimera: un terribile mostro che aveva la testa di
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capra, il corpo di leone e la coda di serpente, e dalle fauci emetteva un micidiale alito di fuoco capace di sterminare interi eserciti. «Se solo potessi ucciderla!» sospirò il re. «I miei soldati sarebbero salvi e tu saresti un grande eroe!» La massima ambizione di Bellerofonte era appunto diventare un eroe, ma non aveva proprio idea di come uccidere la Chimera. Così andò a consultare un oracolo. «Prima devi catturare il cavallo alato mentre si abbevera alla fonte di Pirene, a Corinto. Poi devi domarlo con il morso d'oro di Atena. Solo così potrai sconfiggere il mostro» disse l'oracolo Bellerofonte era felice, ma come poteva ottenere da Atena quel morso d'oro? Si incamminò verso Corinto, trovò la fonte e si distese a dormire lungo la riva. Prima di chiudere gli occhi implorò la dea di aiutarlo. La notte fece uno strano sogno: lo prendeva per mano una bellissima donna con l'elmo alato e gli occhi azzurri, e gli indicava un cespuglio coperto di foglie spinose. La donna era Atena e sotto il cespuglio c'era un morso d'oro finemente cesellato. La mattina dopo Bellerofonte fu svegliato dal grido di una civetta. Balzò in piedi e li, proprio davanti a lui, c'era il cespuglio spinoso che aveva visto nel sogno! Andò a scostare le foglie e tirò fuori il morso d'oro. E in quel preciso momento vide Pegaso che scendeva dal cielo per abbeverarsi. Mentre il cavallo ripiegava sui fianchi le grandi ali candide, Bellerofonte gli infilò il morso d'oro, con delicatezza, e poi gli balzò in groppa
Atena e Eracle (il romano Ercole) Atena spiegò ad Eracle come scuoiare il leone di Nemea usando i suoi stessi artigli per tagliare la spessa pelle dell'animale. La pelle del leone, da lui successivamente indossata, diventò uno dei tratti caratteristici dell'eroe, insieme con la clava di legno di ulivo che aveva usato durante la lotta. Atena aiutò inoltre Eracle anche in altre delle sue fatiche, come nella lotta contro gli uccelli del lago Stinfalo Erano uccelli mostruosi, con penne, becco ed artigli di bronzo che si nutrivano di carne umana. In questa avventura dell'eroe, Atena gli diede una mano nel cacciare gli uccelli sacri ad Ares che avevano becchi, artigli e ali di bronzo ed erano divoratori di uomini; essi vivevano lungo la palude Stinfalia. Mentre Eracle indugiava incerto sulla riva della palude, Atena gli donò un paio di nacchere di bronzo
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(o un sonaglio), fabbricate da Efesto; Eracle cominciò a battere l'una contro l'altra e gli uccelli si alzarono in volo, pazzi di terrore. A questo punto, il nostro li uccise a dozzine. In una nota legata al mito, Graves ci dice che, benché Atena continui ad aiutare Eracle, questa fatica non fa parte, a suo parere, di quelle prove che precedevano le nozze sacre (sempre nell'ottica dei riti matriarcali) ma glorifica Eracle come il risanatore che scaccia i demoni delle febbri, identificati come uccelli di palude.
Atena ed Erittonio Secondo quanto racconta lo Pseudo-Apollodoro, Efesto tentò di stuprare Atena ma non riuscì nell'intento. Il suo seme si sparse al suolo e dalla Terra nacque Erittonio. Atena decise comunque di allevare il bambino come madre adottiva. Una versione alternativa dice che il seme di Efesto cadde sulla gamba della dea, che se la pulì con uno straccetto di lana che gettò poi a terra: Erittonio sarebbe così nato dalla terra e dalla lana. Un'altra leggenda narra che Efesto avesse voluto sposare Atena ma che la dea scomparve all'improvviso dal talamo nuziale, cosicché lo sperma di Efesto finì per cadere a terra. Atena affidò poi il bambino, che aveva la parte inferiore del corpo a forma di serpente a tre sorelle – Erse, Pandroso e Agraulo figlie di Cecrope - chiuso dentro ad una cesta, avvisandole di non aprirla mai. Agraulo, curiosa, aprì ugualmente la cesta, e la vista dell'aspetto mostruoso di Erittonio fece impazzire le tre sorelle che si uccisero lanciandosi giù dall'Acropoli. Erittonio diventò in seguito re di Atene, e introdusse molti cambiamenti positivi nella cultura ateniese. Durante il suo regno Atena fu frequentemente al suo fianco per proteggerlo
Atena ed Aracne
Una donna di nome Aracne un giorno si vantò di essere una tessitrice migliore di Atena, che di quest'arte era la dea stessa. Atena andò così da lei travestita come una vecchia e consigliò Aracne di pentirsi della sua arroganza, ma la donna invece la sfidò ad una gara. Atena allora riassunse le sue vere sembianze ed accettò la sfida. La dea
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realizzò un arazzo che rappresentava lo scontro tra Poseidone e la città di Atene, mentre Aracne ne fece uno in cui si derideva Zeus, rappresentato nei suoi tradimenti amorosi L‟arazzo raffigurava leda che accarezzava un cigno, un travestimento di Zeus attraverso cui era riuscito ad entrare nella camera da letto della regina. Un‟altra scena raffigurava Danae, che Zeus aveva messo incinta trasformandosi in pioggia d‟oro, una terza raffigurava la fanciulla Europa rapita da Zeus, che aveva assunto le sembianze di uno splendido toro bianco Atena, visto che Aracne aveva osato deridere suo padre Zeus, andò su tutte le furie, distrusse il suo lavoro e la costrinse ad impiccarsi. Poi, presa da pietà, la lasciò viva, trasformandola in un ragno, condannandola a rimanere appesa a un filo a tessere la sua tela per l'eternità. Atena che difendeva il padre sopra ogni cosa, l‟aveva punita non per l‟impudenza della sfida, ma perché aveva esposto Zeus al pubblico ludibrio.
Atena e Odisseo
Durante la guerra di Troia si prodigò in favore dei greci. Protesse i suoi favoriti, soprattutto Achille, il più formidabile e vigoroso dei guerrieri greci. In un secondo momento aiutò Odisseo (Ulisse) durante le sue avventure. L'indole astuta e scaltra di Odisseo lo aiutò a conquistare rapidamente la benevolenza e la protezione di Atena, che però non fu in grado di aiutarlo nel viaggio di ritorno verso Itaca fino a quando giunse sulla costa dell'isola dove Nausicaa stava lavando i suoi panni. Atena entrò nei sogni di Nausicaa per spingerla a soccorrere Odisseo ed a rimandarlo quindi ad Itaca. Dopo il suo arrivo sull'isola Atena va da Odisseo sotto mentite spoglie e gli dice, mentendo, che sua moglie Penelope si era risposata e che si credeva che Odisseo fosse morto, ma Odisseo le mente a sua volta, dato che è riuscito a capire con chi ha a che fare nonostante il travestimento. Compiaciuta dalla sua risolutezza e sagacia, Atena rivela la propria natura ad Odisseo e gli spiega tutto quello che ha bisogno di sapere per riconquistare il suo regno. Muta le sembianze dell'eroe in quelle di un vecchio in modo che non venga riconosciuto dai Proci e lo aiuta a sconfiggerli, intervenendo a risolvere anche la disputa finale con i loro parenti.
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Atena e Pallade
Atena e Pallade (Iodama) erano amiche e un giorno si impegnarono in una gara, sfidandosi a vicenda. Ma tale gara divenne fatale per Pallade, infatti la lancia di Atena colpì per sbaglio l‟amica uccidendola.
Atena non solo si batté per alcuni eroi ma si schierò dalla parte del patriarcato in quello che fu il primo processo nella letteratura dell‟occidente: diede il voto decisivo in favore di Oreste che aveva ucciso la madre per vendicare l‟uccisione del padre (Agamennone). Qui si parla del processo fatto ad Oreste a seguito dell'assassinio, perpetrato da lui con la complicità della sorella Elettra, contro la madre Clitemnèstra ed il suo amante, Egisto, poiché essi avevano ucciso il Re Agamennone - sposo di Clitemnèstra e padre di Oreste ed Elettra ( i quali avevano voluto vendicarlo ). Durante questo processo, Atena diede una mano ad Oreste, avendone sentito le suppliche nel suo nuovo territorio troiano, lo Scamandro; giunse ad Atene e raccolse i più nobili tra i cittadini e i giudici per giudicare quel caso di omicidio. Oreste venne difeso da Apollo mentre le Erinni (che erano personificazioni dei rimorsi di coscienza e perseguitavano chi avesse commesso una grave "hybris") fecero la parte delle accusatrici. Siccome la votazione dei giudici si chiuse alla pari, Atena si dichiarò dalla parte di Agamennone - il vendicato - dando il suo voto decisivo in favore di Oreste che venne prosciolto. In questo modo pose i principi del patriarcato al di sopra dei vincoli materni.
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6.2. La donna Atena nella societa’ attuale22
Atena è un archetipo femminile che dimostra come saper pensare, mantenere il sangue freddo nell‟incandescenza delle situazioni emotive e mettere a punto strategie adeguate nel mezzo di un conflitto. Quindi rappresenta il modello seguito dalle donne razionali, governate più dalla testa che dal cuore. Non riesce a pensarsi vulnerabile e fragile, anzi sono caratteristiche che rifiuta nell‟altro e in se stessa. La donna Atena tende a seguire le spinte delle proprie priorità, predisposta a focalizzare la propria attenzione più su quanto le interessa che sui bisogni altrui. E‟ tendenzialmente pratica, con poche complicazioni, disinvolta e fiduciosa, una donna che svolge compiti senza troppi problemi. Gode in genere, di buona salute ed è fisicamente attiva. Una donna “inappuntabile” nel modo di abbigliarsi, non suscettibile ai cambiamenti della moda. E‟ schietta, diretta e leale.
Il lavoro
Nel campo professionale se la donna Atena desidera ottenere qualcosa o diventare qualcuno, per riuscirci lavora sodo, accetta la realtà così com‟è e vi si adegua. Fa molto uso della strategia e del pensiero logico. Può diventare una brava insegnante, perché sa spiegare le cose con lucidità e chiarezza; il suo punto forte è la spiegazione di procedimenti complessi che si sviluppano per passaggi successivi. Può essere molto esigente. Non si lascia coinvolgere da alibi pietosi, né dà voti immeritati. Tende a passare più tempo con i bravi studenti che con i bisognosi ( a differenza della donna Demetra).
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cfr J.S. Bolen , Le dee dentro la donna, Astrolabio- Ubaldini editore, Roma, 1991
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Se si dedica ai lavori manuali, la donna Atena realizza oggetti di buon gusto e stile e data la sua mentalità ”imprenditoriale” si occupa anche di pubblicizzare e vendere i suoi prodotti. In campo accademico potrebbe essere un‟abile ricercatrice; poiché con la sua mente logica e la sua attenzione ai dettagli, raccogliere dati e fare esperimenti, le viene naturale. Le discipline che preferisce sono matematica e scienze e può facilmente intraprendere una carriera nel campo medico, giurisprudenziale, degli affari, dell‟ingegneria…professione perlopiù maschili, dove si sente perfettamente a suo agio.
Tende a privilegiare professioni n cui può essere leader e organizzare strategicamente le azioni da compiere e far compiere ai suoi collaboratori. Non ama operare sotto comando, obbedire a regole o stare entro vincoli stabiliti da altri. In ogni caso se vuole diventare una “pupilla” di un grande capo (il più delle volte da lei scelto), agirà per rendersi indispensabile, ruolo che una volta acquisito, la gratifica sia sul piano emotivo che professionale.
La casa E‟ uno dei regni di Atena, eccelle nelle arti domestiche, usando la sua mente pratica e il suo gusto estetico per governare un ménage efficiente . Se si sposa e manda vanti una famiglia e in genere una buona organizzatrice. Ha un sistema che funziona sia quando fa la spesa o il bucato, sia quando pulisce la casa. Per lei dover rientrare in un budget e spendere bene il denaro è un compito eccitante.
La relazione con le donne
La donna Atena in genere non ha amicizie femminili intime, già dalla pubertà non è in grado di stringere “amicizie di cuore”. Lei razionale e scettica, non sente il bisogno di condividere con coetanee i propri problemi, le curiosità, le prime scoperte.
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Come nel mito con Pallade, se non è la mancanza di empatia della ragazza Atena a uccidere il rapporto, lo fa il suo bisogno di vittoria. Nella quotidianità un‟amica di Atena può essere colpita dalla noncuranza con cui questa sottostimi la relazione, a favore della propria vittoria e autoaffermazione, che può avvenire anche attraverso l‟inganno. La”sorellanza” è pertanto una dimensione estranea alle donne Atena, più attratte da amicizie maschile. Nel mito chi diede il voto decisivo per Oreste fu proprio Atena. A tal punto che tende ad adirarsi con la donna che si lamenta pubblicamente di un uomo, anche a ragion veduta. La donna che ottiene successo in ambienti maschili, non è ben vista dai movimenti femministi, che le attribuiscono l‟appellativo di !”ape regina”, poiché non aiutano le sorelle, ama anzi rendono più difficile un avanzamento generale.
Il rapporto con gli uomini
La donna Atena non gioca a fare la cenerentola; non attende di venire salvata da un matrimonio, l‟uomo come salvatore è estraneo ai suoi schemi.
La donna Atena gravita attorno a uomini di successo, in quanto attratta dal potere, che persegue o personalmente o in qualità di socia, compagna o moglie di un uomo ambizioso e capace. Non sopporta i sognatori o i deboli, non appare in sintonia, in genere, con uomini troppo comprensivi e mielosi, che non sanno agire con decisione, assumendosi le proprie responsabilità. Non considera personaggi romantici gli artisti che non riescono a fare carriera, costretti quindi a mendicare la fame, né la affascinano gli adolescenti o gli uomini-bambino, in cera di una figura materna (cosa che non saprebbe garantire). Sono degni di considerazione solo gli “eroi” e non i perdenti, più gli uomini si dimostrano “astuti Ulisse” e meglio è. E‟ in genere lei che sceglie i compagni, sia rifiutando, appuntamenti con uomini considerati non degni della sua attenzione, sia puntando “dritto alla preda”con uomini
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interessanti, attraverso però strategie che fanno sì che sia l‟uomo a pensare di averla scelta. In un rapporto non ama essere guidata, preferisce discutere dei problemi ed essere sempre informata su quanto accade; peraltro i suoi consigli appaiono sempre molto centrati, anche se potenzialmente implacabili.
La sessualità
Essendo la donna Atena pressoché mentale, spesso non è in contatto con il proprio corpo, che considera una parte di sè utile, ma di cui diviene consapevole in caso di malattia o incidenti. Generalmente non è una donna sexy e non le piace flirtare. Preferisce avere amici maschi più che amanti. Come per la donna Artemide, Atena necessita di Afrodite o Era per trasformare la sessualità in una relazione erotica impegnativa, ma raramente considera il sesso come uno sport, quanto piuttosto come un atto dovuto, a livello implicito, all‟interno di un rapporto. Da adulta le può capitare di rimanere da sola per lunghi periodi, durante i quali polarizza l‟attenzione e gli sforzi verso la carriera.
Il matrimonio Si configura più un rapporto di solidarietà che un‟unione appassionata; è molto probabile che l‟uomo scelto abbia molti interessi in comune con lei e che quindi vadano d‟accordo. Lei è sua compagna, socia, consigliera… Come la dea, che trattenne Achille quando in preda all‟ira stava per uccidere il comandante Agamennone, ella può saggiamente contenere il partner. Oltre a essere la “consulente” del marito e a fare una vita sociale che lo agevoli e lo sostenga, in genere manda avanti la famiglia in modo egregio. Difficilmente si lamenta di ciò sentendo tali compiti come parte del suo ruolo naturale.
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Motivi di conversazione fra la donna Atena e il marito possono essere le vicende quotidiane o lavorative, mentre manca quasi del tutto un confronto sulla dimensione emotiva, perché non considerata importante. Non è gelosa, considerando il rapporto come un‟occasione vantaggiosa per entrambi. Tendenzialmente dà e si aspetta lealtà, che non significa necessariamente fedeltà sessuale. Trova difficile pensare di poter essere sostituita facilmente con altre.. Può accadere anche però che la donna Atena sottovaluti in maniera grossolana l‟importanza dell‟interesse del marito per altre donne. Non essendo una dimensione importante per sé, non riesce ad attribuire valore per un altro. Ed è proprio questa mancanza di comprensione che può coglierla impreparata di fronte a una richiesta di divorzio del marito. Comunque se la decisione di divorziare viene presa dalla donna Atena, riesce ad allontanarsi dal marito, senza provare troppo dolore, anzi a volte sollievo; in caso contrario può provare sentimenti di rivalsa.
I figli Come madre predilige “bambini cresciuti” rispetto a quelli bisognosi di cure e accudimento. Preferisce figli indipendenti, con cui fare progetti insieme e con cui confrontarsi; ama portarli a visitare luoghi e offrire loro esperienze sempre nuove. Non è caratterizzata da istinto materno come la donna Demetra, spesso usufruisce di persone sostitutive come domestiche, baby-sitter o nonne. La madre Atena sollecita nei figli l‟autonomia, li spinge ad allontanarsi da lei, a prendere la propria strada; è soddisfatta se sono competitivi, estroversi e intellettualmente vivaci. E‟ assai probabile che nei figli maschi rinforzi un atteggiamento maschile stereotipato, che può essere rappresentato da frasi come “gli uomini veri non piangono”. Nei confronti di figlie femmine, aspira che assomiglino a lei, quindi indipendenti, concrete e logiche; con una figlia “tradizionale” (fragile, interessata ai sentimenti..) la madre Atena può assumere una posizione di accettazione ed essere tollerante, ma può anche svalutarla in favore di un figlio maschio. In entrambi i casi la figlia sente di non essere stimata e amata per ciò che è.
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Dunque la madre Atena si aspetta che i figli si comportino secondo le sue aspettative, siano superiori alle situazioni, capaci di risolvere i problemi, senza lamentarsi troppo.
L‟emotività piatta
La donna Atena vive prevalentemente di testa e agisce in modo razionale e intenzionale, accantonando tutta la gamma dei sentimenti. Questo la conduce a vivere un‟esistenza unilaterale: votata al lavoro. Ad un certo punto della sua vita può rendersi conto di essere sempre al lavoro, di portarsi il lavoro a casa, che la sua mente è sempre in funzionamento. Pur rallegrandosi della compagnia altrui, è incapace di vivere l‟ intensità emotiva , l‟intimità, la passione, l‟attrazione erotica, la compassione, l‟amore. Non conosce neppure la disperazione, il dolore e la sofferenza. La donna Atena vive i suoi sentimenti in modo molto modulato, ciò le impedisce di entrare in empatia con i sentimenti altrui, di apprezzare nel profondo l‟arte e la musica, di lasciarsi toccare dall‟esperienza mistico-spirituale. Vivendo nella testa, la donna Atena non ha la possibilità di sentire il proprio corpo, di sperimentare i propri istinti, anche sessuali. E‟ una donna affezionata a strategie di sfida, con cui richiede continue prove per affievolire lo scetticismo che la caratterizza; ma questa modalità procura lontananza dall‟altro che tende a sentirsi, in sua presenza, sempre “sotto esame”.
Il “congelamento dei rapporti”
La donna Atena ha una grande capacità di intimidire gli altri e di congelare la vitalità, la spontaneità la creatività, soprattutto di chi non le assomiglia. (effetto Medusa) Con la sua imponente necessità di sfida e competizione, con l‟attenzione con cui si concentra sui fatti e sui particolari, con il bisogno che ha di premesse logiche e razionali, può trasformare un dialogo in uno scarno resoconto di eventi, arido, privo di emotività.
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La sua mancanza di sensibilità può abbassare fortemente l‟energia del rapporto, trasformandolo in qualcosa di superficiale e scostante. Può così apparire critica nei confronti di qualsiasi debolezza, insofferente ai problemi e critica in modo sprezzante. Se l‟effetto Medusa si manifesta in relazioni alla pari può provocare noia o rabbia, in una posizione di autorità può diffondere terrore e sgomento. Il più delle volte la donna “pietrifica” in modo inconsapevole. Con il suo atteggiamento distaccato le sue domande penetranti, Atena non considera importante il rapporto, uccidendo così il potenziale della vera comunicazione, in cui avviene una comunione di cuori e di anime. La noia nasce laddove non c‟è vita, ovvero nessuna intensità di sentimenti legati a quanto accade. Si tratta di una vera e propria corazza, che nasconde vulnerabilità e fragilità, che crea distanza emotiva con l‟altro. La toglierà soltanto quando si renderà conto della necessità di avere qualcosa da imparare dagli altri, con un atto di umiltà, che non le appartiene tendenzialmente.
Essere priva di scrupoli La donna Atena che vuole raggiungere un obiettivo è assalita da interrogativi quali:” come posso fare?” “ andrà in porto?” e può agire senza scrupoli, anche distruggendo gli altri. Ricordiamo la dea Atena che, nella guerra di Troia, utilizzò una tattica poco pulita per aiutare Achille a vincere su Ettore. La dea non si interrogò circa la giustizia o la moralità della sua azione, impegnata solamente a mettere in gioco una strategia efficace. In generale, nel valutare il comportamento degli altri, il suo criterio principale è l‟efficacia, spesso associata all‟efficienza. Questa è la ragione per cui lei non comprende come molte persone possano “perder tempo” a discutere di questioni di principio.
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June Singer potrebbe paragonare una donna Atena ad un‟amazzone moderna, poiché si identifica con la forza e il potere maschili. “L‟amazzone è una donna che ha assunto le caratteristiche che generalmente si associano alla disposizione maschile, ma, invece di integrare quegli aspetti maschili che la potrebbero rendere più forte come donna, si identifica con l‟aspetto del potere del maschile. Allo stesso modo rinuncia alla capacità di mettersi in rapporto affettuosamente, una qualità che tradizionalmente era associata al modo di essere femminile…cosicché l‟amazzone che prende il potere negando la capacità di mettersi in rapporto affettuosamente con gli altri esseri umani diventa unilaterale, e di conseguenza è vittima proprio di quell‟attributo che ha cercato di sopprimere”23 Spesso una donna che ha assunto un‟identità prevalentemente maschile è tagliata fuori dalla vita a causa del suo bisogno di potere, dalla sua autoprotezione difensiva da ciò che non può controllare. Infatti, è imprigionata nella corazza di “persona potente”, che non può corrispondere alla sua “personalità” di base, poiché scaturisce da una reazione e non dal suo nucleo femminile. Molto spesso appare estraniata dai suoi pensieri e dalla forza e ricettività dei suoi istinti femminili, negando così ogni differenza col maschile.
23
June Singer, Androgjnj, Anchor Book, New York, 1977
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6.3. Atena nell’analisi empirica
Secondo l‟approccio empirico, la dea Atena può essere considerata una finta donna yang.
Nella metamorfosi empirica la finta donna yang, appartenente al ruolo della vittima rabbiosa, rappresenta il passaggio che segue la finta donna yin, e si distingue da questa perché non mostra più atteggiamenti timorosi, contenuti, piuttosto remissivi. La finta donna yang si trova a proprio agio nel contrastare il mondo, con cui è in costante sfida, coglie infatti ogni occasione per esternare la propria disapprovazione, prevaricando gli altri e imponendosi attraverso le proprie opinioni e critiche. “…Originariamente Medusa era soltanto la più bella delle tre sorelle Gorgoni, ma Medusa fece l'amore con Poseidone – o ne fu stuprata secondo altre versioni – all'interno del tempio di Atena. Quando scoprì che il suo tempio era stato così profanato, Atena per punirla ne mutò l'aspetto rendendola mostruosa come le sue sorelle Steno ed Euriale : i suoi capelli si trasformarono in serpenti e qualsiasi creatura vivente ne avesse incrociato lo sguardo sarebbe stata mutata in pietra. Atena trasformò anche la parte inferiore del suo corpo in modo tale da renderle, unitamente al potere pietrificante, impossibile avere rapporti sessuali con un uomo….”
La sua spinta principale è infatti rappresentata dalla rabbia. Si riconosce per la sua attitudine alla competizione, alla schiettezza, alla determinazione. Tali strategie nascondono una bambina interiore ferita che ha imparato, per difendersi, ad attivare moti di rivalsa e di vendetta, al fine di segnalare ogni apparente ingiustizia. “Non conobbe sua madre, Metis; in realtà sembrava ignorasse di averne una….”
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Ciascun codice empirico, prevede alcuni moti di base in grado di caratterizzare meglio la propria carica di appartenenza, elevando gli stessi allo stato di principi guida; la loro mancanza riguarda sia il lato luce che il lato ombra della persona. L‟attivazione della carica del codice di appartenenza, avviene sempre durante l‟infanzia e attraverso il genitore preposto, cioè quello del proprio sesso biologico E‟ infatti quest‟ultimo a diventare il modello di riferimento ai fini empirici, facendo rispecchiare il figlio nei suoi modi di fare e agire. Atena non ha mai conosciuto la madre, da cui pertanto non ha potuto attingere la carica femminile e quindi essendo dotata di uno yin debole e retrocesso, ha acquisito i principi maschili come propri Infatti qualora la madre sia mancante, la figlia non è in grado di acquisire l‟energia necessaria per radicarsi nel proprio sesso, predisponendosi ad un ruolo alterato; assimilando in tal modo una carica primaria debole, compensando la mancanza dei principi yin con quelli del sesso opposto. Atena ha accumulato così rabbia per la propria separazione dal femminile. “…Così Prometeo (oppure, a seconda delle versioni, Efesto Ermete o Palemone) aprì la testa di Zeus con un'ascia bipenne ed Atena ne balzò fuori già adulta ed armata” Nel mito ben si evidenzia che la dea nasce adulta, “bruciando” le tappe iniziali della metamorfosi empirica, “costretta ” così ad entrare subito nel ruolo di vittima rabbiosa.
Il ruolo della finta yang porta la donna a strumentalizzare il suo animus per far fronte a un mondo vissuto come ostile e negativo, sviluppando un carattere apparentemente forte e autonomo. Per sentirsi a proprio agio la finta yang ha bisogno di non perdere il controllo della situazione, vuole essere lei a dominare, anche imponendosi con atteggiamenti determinati e prevaricanti. Si distingue attraverso un potenziale aggressivo evidente, facendosi riconoscere come la donna di “carattere”.
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Nella vita una donna finta yang si può presentare anche attraverso un‟immagine mascolina, Atena nacque già “adulta ed armata “, a significare il suo fare deciso, energico e maschile. A differenza della yang autentica però, la finta yang non appare spietata, di fronte all‟unico tabù empirico, la morte, è ancora capace di fermarsi, poiché la sua anima non ha ancora raggiunto l‟indurimento totale. (La donna yang autentica invece si sente già cattiva e pericolosa, essendone fiera e orgogliosa.) Nel mito, la storia con Aracne, ben simboleggia questo principio. “…Atena, visto che Aracne aveva osato deridere suo padre Zeus, andò su tutte le furie, distrusse il suo lavoro e la costrinse ad impiccarsi. Poi, presa da pietà, la lasciò viva, trasformandola in un ragno, condannandola a rimanere appesa a un filo a tessere la sua tela per l'eternità…” Ogni finta yang si sente a proprio agio, quando è “adrenalinica”, ovvero nella condizione di poter agire e fare; è infatti per lei molto impegnativo riuscire “ stare ferma”. Le sue risposte sono veloci, precise, e puntuali. Per lei è importante nella vita evidenziare alcune sue caratteristiche come l‟audacia, il carisma, l‟ironia mista al sarcasmo, la sua schiettezza, l‟essere intellettivamente brillante…ma anche le sue capacità organizzative, la sua efficienza ed efficacia, la sua lungimiranza. Sa risolvere, con poca fatica, i problemi, per la maggior parte dei quali “intravede” immediatamente la soluzione, in molti passaggi mitologici Atena è sempre interviene per risolvere i problemi altrui. Questa caratteristica può anche essere letta in un altro modo. Anche chi sviluppa un ruolo empirico alterato, rimane portatore della sua matrice d‟eccellenza, per quanto i valori siano “atrofizzati”nel profondo del suo essere. La finta donna yang è comunque infatti portatrice di doti femminili, non accessibili a prima vista, è in grado infatti di percepire a tratti anche la forza incondizionata nel suo agire (cosa che la yang autentica ha invece completamente dimenticato).
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A differenza della yin integrata però la finta yang si aspetta qualcosa in cambio, utilizza infatti il principi del dare come fonte di potere, pur distinguendosi per la propria spontanea genErosità, connotata dalla sua prontezza.
In diversi passaggi mitologici Atena soccorre eroi e personaggi:
Giasone “…Atena aiutò anche Giasone e gli argonauti a costruire la loro nave per andare alla conquista del Vello d‟Oro…”
Eracle “…Atena spiegò ad Eracle come scuoiare il leone di Nemea usando i suoi stessi artigli per tagliare la spessa pelle dell'animale…”
Bellerofonte “La notte fece uno strano sogno: lo prendeva per mano una bellissima donna con l'elmo alato e gli occhi azzurri, e gli indicava un cespuglio coperto di foglie spinose. La donna era Atena e sotto il cespuglio c'era un morso d'oro finemente cesellato…”
Atena, nel mito con Erittonio, accoglie un bambino non suo, improvvisandosi madre. “…Secondo quanto racconta lo Pseudo-Apollodoro, Efesto tentò di stuprare Atena ma non riuscì nell'intento. Il suo seme si sparse al suolo e dalla Terra nacque Erittonio. Atena decise comunque di allevare il bambino come madre adottiva…”
La finta yang non ha comunque molta affinità col ruolo materno, spesso allontana i figli precocemente con il pretesto di aiutarli a diventare autonomi. Nel mito questa sua propensione è ben rappresentata simbolicamente da questo passaggio:
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“…Atena affidò poi il bambino, che aveva la parte inferiore del corpo a forma di serpente a tre sorelle – Erse Pandroso e Agraulo figlie di Cecrope…”
Questi passaggi della mitologia mettono però anche in evidenza la superiorità di Atena sugli uomini: è infatti sempre lei ad accorrere in loro aiuto e a proteggerli. Nell‟approccio empirico, la protezione, insieme alla guida, alla determinazione, sono principi appartenenti al codice yang, che difficilmente conducono a investire nella sfera degli affetti, a favore di quella professionale, o comunque esterna alla famiglia.. L‟autorealizzazione personale ( in campi lavorativi) diviene spesso uno degli obiettivi principali della sua vita. Peraltro la donna finta yang, però, potendo fruire della sinergia fra lo yin e lo yang arricchisce il mondo dell‟intelligenza logica e analitica tipicamente maschile con maggior emotività e sensorialità (seppur contenute)24. Questa possibilità associata alla spinta aggressiva insita in questo ruolo empirico, può costituire un ostacolo impegnativo per gli esponenti del sesso maschile.
24
Durante il XVII Congresso Nazionale della SIMP “,Significato e senso della malattia”, svoltosi in collaborazione con l‟università agli studi di Siena, dal 3 al 6 novembre 1999, il prof. Paolo Pancheri, ordinario di Psicologia e Psichiatria all‟Università La Sapienza di Roma, ha illustrato come nel cervello femminile il corpo calloso, una struttura composta da fibre nervose che permettono all‟emisfero di destra di comunicare con quello di sinistra, più spesso che in quello maschile. Nell‟emisfero di sinistra (quello che “comanda”, rispetto all‟emisfero destro che esegue) avvengono ragionamenti di tipo sequenziale e logici (tipici maschili),.L‟emisfero destro, invece, permette di effettuare anche i ragionamenti di tipo parallelo, di portare avanti contemporaneamente più operazioni mentali. La maggiore comunicazione tra i due consente ai ragionamenti paralleli di raggiungere l‟emisfero sinistro e di influenzare le decisioni al di là della logica. Oltre al corpo calloso le ricerche hanno evidenziato che esiste un‟altra area del cervello nella donna che appare più voluminosa e attiva rispetto all‟uomo. Si tratta di una zona dei lobi frontali, ossia la corteccia frontale dorsolaterale, che sovrintende ai processi di memoria a breve termine, alla programmazione e valutazione delle procedure e delle decisioni per raggiungere uno scopo. Questa zona della donna ha uno spessore maggiore ed è collegata con le cosiddette aree “limbiche”, quelle cioè che sono la sede dell‟emotività e che sempre, nella donna, a parità di stimoli, si attivano più intensamente”. Il processo decisionale delle donne, quindi, è influenzato emotivamente in misura maggiore rispetto a quello degli uomini. Quando si devono prendere delle decisioni importanti si possono seguire ragionamenti basati sulla logica, che fanno scegliere tra le varie opzioni possibili quelle che presentano maggiori probabilità di successo, oppure possono essere introdotti fattori di correzione di tipo emozionale, che possono fare scegliere soluzioni apparentemente meno vantaggiose. Questo fattore emotivo può rivelarsi una carta vincente perché può portare a fare scelte che altri non farebbero mai. Un uomo che fa ragionamenti sequenziali, di stretta valutazione dei rischi, può rifiutare una opzione solo perché la logica probabilistica sconsiglia di sceglierla e, così facendo, può perdere un‟opportunità di successo. Una donna, invece, può percepire una serie di variabili, non quantificabili esattamente, sulla base di un feeling emozionale e prendere decisioni che si rivelano più vincenti e corrette. Di fronte a situazioni complesse è avvantaggiata la donna, perché il cervello femminile anche se possiede gli schemi sequenziali di ragionamento è meno “rigido” e quindi è portato ad analizzare uno spettro più ampio di varianti.
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E‟ utile qui rilevare come Atena venga annoverata dalla Bolen25, come dea vergine, e secondo l‟approccio empirico la finta yang sia una “single” ideale, connotata da una ridotta capacità di emanare amore. Non è infatti il suo “sentire” bensì il suo “capire”, che predomina nelle sue azioni. Nella quotidianità sdrammatizza la propria paura per la fisicità e le emozioni usando l‟ironia e il sarcasmo , incapace abbandonarsi a slanci vitali, autentici, non disponendo di uno spazio interiore sufficiente a contenere il pathos. “…L'indole astuta e scaltra di Odisseo lo aiutò a conquistare rapidamente la benevolenza e la protezione di Atena (…) Compiaciuta dalla sua risolutezza e sagacia, Atena rivela la propria natura ad Odisseo e gli spiega tutto quello che ha bisogno di sapere per riconquistare il suo regno. ..”
Nel mito si mette comunque in evidenza il compiacimento della dea nei confronti di uomini forti e determinati, anche se questi non assumono il ruolo di suoi partner. Nella vita una donna finta yang può innamorarsi di uomini finti yang, attirata dalla loro apparente esuberanza e virilità, poiché sentendosi in fondo debole, percepisce la necessità di essere protetta e sostenuta. Essendo entrambi vittime rabbiose, la relazione si basa sull‟affinità attraverso la parte ombra, che prenderà via via il sopravvento a mano a mano che il livello della rabbia aumenterà. La compensazione delle virtù non sarà più l‟elemento di unione, gradualmente la finta yang approderà all‟ utilizzo della critica, della disapprovazione, della competizione, della sfida per affermare la propria superiorità. “…Siccome la votazione dei giudici si chiuse alla pari, Atena si dichiarò dalla parte di Agamennone - il vendicato - dando il suo voto decisivo in favore di Oreste che venne prosciolto. In questo modo pose i principi del patriarcato al di sopra dei vincoli materni…”
25
J.S. Bolen , Le dee dentro la donna, Astrolabio- Ubaldini editore, Roma, 1991
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Atena difende il patriarcato a svantaggio della figura femminile, dichiarando in modo esplicito la sua lontananza dai principi yin. Senza esserne cosciente, la finta yang copre il ruolo del padre anziché quello della madre. “..Atena e Pallade (Iodama) erano amiche e un giorno si impegnarono in una gara, sfidandosi a vicenda. Ma tale gara divenne fatale per Pallade, infatti la lancia di Atena colpì per sbaglio l‟amica uccidendola…”
Il mito simboleggia il rapporto della dea con le donne ed evidenzia in chiave metaforica l‟impossibilità di una finta yang di intrecciare relazioni autentiche con donne amiche “sfidanti”, Pallade infatti viene uccisa da lei,durante una gara. La finta yang può essere inizialmente attirata da donne in ruoli simili, poiché l‟affinità con l‟ombra costituisce un forte catalizzatore , ma è un rapporto destinato a finire (morte di Pallade), perché l‟altra funge da specchio proprio sulle caratteristiche che la prima non è disponibile a riconoscere come proprie. La finta yang invece può avere amiche yin alterate, poiché da queste non si sente minacciata , né contrastata. Più difficile si presenta la situazione con una finta donna yin, che essendo anch‟ella vittima rabbiosa (e quindi non avverte la possibile compensazione) percepisce soggezione.
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CAP. 7 ARTEMIDE
7.1. La dea
La Diana di Versailles, copia Romana di una statua di Leocare (Museo del Louvre Parigi
Presentazione
Artemide, (nota ai romani come Diana), era la dea della caccia, della selvaggina e dei boschi. Veniva perlopiù associata a molti animali selvatici. La daina, la lepre, la quaglia, che hanno in comune con la dea la natura sfuggente. Il cervo e il cipresso erano i suoi simboli sacri.
Il mito La nascita e la fanciullezza
Artemide è figlia di Zeus e Leto (Latona per i romani), nonché sorella gemella di Apollo, dio del sole. La madre Leto , era una divinità della natura, figlia di due titani; il padre Zeus era il re dell‟Olimpo.
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Leto, a causa di una maledizione lanciatale dalla moglie di Zeus, Era per poter mettere al mondo i due bambini fu costretta a trovare un luogo che non avesse mai visto la luce del sole: per questo motivo Zeus fece emergere dal mare un'isola fino ad allora sommersa che, di conseguenza, non era ancora stata toccata dal sole. Si trattava dell'isola di Delo e Leto vi partorì aggrappata ad una palma sacra. Artemide nacque per prima, dopo soli sei mesi di gestazione ed aiutò quindi la madre nel lungo travaglio e difficile parto di Apollo che nacque invece il settimo mese. Per nove giorni e nove notti Leto soffrì dolori atroci a causa della collera vendicativa di Era. Artemide, che fu la levatrice di sua madre, venne quindi considerata anche la dea del parto. Le donne si rivolgevano a lei come “soccorritrice nel dolore”, lei che dal dolore non viene sfiorata. La pregavano di porre fine al loro travaglio facendo nascere il bambino o dando a loro una morte dolce con le sue frecce.. Artemide, giunta all'età di tre anni 26, fu portata da Leto sull‟Olimpo per essere mostrata a Zeus e alla sua divina parentela. Nell‟inno di Artemide il poeta Callimaco la descrive seduta sulle ginocchia di suo padre che estatico “si chinava su di lei e la carezzava dicendo:” Quando le dee mi portano figlie come questa, la collera della gelosa Era mi turba assai poco. Figlioletta avrai tutto ciò che desideri” Così Artemide per prima cosa chiese di restare per sempre vergine, poi di non dover mai sposarsi, di avere sempre a disposizione arco e frecce, una muta di cani da caccia con le orecchie basse, cervi che tirassero il suo carro e ninfe come compagne di caccia Una tunica abbastanza corta per correre, montagne e terre selvagge come luoghi tutti suoi Il padre la assecondò e realizzò i suoi desideri, con in più il privilegio di poter fare personalmente le sue scelte. Tutte le sue compagne rimasero così vergini ed Artemide vigilò strettamente sulla loro castità 26
L'infanzia di Artemide non è raccontata da alcun mito giunto fino a noi, ma un poema di Callimaco– "la dea che si diverte usando l'arco sulle montagne" – ne immagina un suggestivo aneddoto.
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Artemide così si recò nei boschi e presso il fiume per scegliere le ninfe più belle(" sessanta fanciulle danzanti, figlie di Oceano, tutte di nove anni, tutte piccole ninfe di mare”).. andò sulle rive del mare in cerca dei Ciclopi, gli artigiani di Poseidone, perché le forgiassero un arco d‟argento e le frecce. Ed infine, con l‟arco in mano, seguita dalle sue ninfe, raggiunse Pan, il dio mezzo uomo e mezzo capro che suonava il flauto, e gli chiese i sui migliori cani da caccia. La dea catturò personalmente due cerve cornute, che aggiogò ad un cocchio d‟oro e così attrezzata prese a girare il mondo. Le nutriva esclusivamente di trifoglio… come d‟altronde i destrieri di Zeus. Per l‟impazienza di sperimentare i suoi doni, nonostante la notte stesse scendendo, andò a caccia al lume delle torce di fuoco.
Artemide e Atteone Un giorno Artemide stava facendo il bagno nuda in una valle sul monte Cicerone, insieme alle sue ninfe, quando arrivò il principe tebano Atteone, che stava vagando per la foresta con i suoi cani.. Si fermò a guardarla, affascinato dalla sua incantevole bellezza, e ne fu talmente incantato che, senza accorgersene, calpestò un ramo e per il rumore Artemide si accorse di lui. Ella rimase disgustata dal quel suo sguardo fisso, e offesa da quella indiscrezione, decise di spruzzargli addosso dell'acqua (magica), trasformandolo in un cervo: in questo modo i cani, scambiandolo per una preda, si scagliarono contro il padrone e lo uccisero sbranandolo.27
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Una versione alternativa della storia narra che Atteone si fosse vantato di essere un cacciatore migliore di lei e che quindi la dea lo trasformò in cervo, facendolo divorare per vendetta.
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Artemide e Orione Artemide uccise anche un altro cacciatore, Orione, da lei amato. Orione era un compagno di caccia di Artemide. Le versioni del mito sono differenti: Alcune storie riportano che Orione tentò di stuprare una delle ninfe di Artemide che lo uccise per punirlo, altre che tentò di stuprare la dea stessa che infuriata gli mandò contro uno scorpione che punse Orione nel tallone facendolo morire. Altrove si narra che Apollo si fosse offeso per l‟amore fra Artemide e Orione. Un giorno Apollo vide Orione nuotare nel mare, con la testa appena fuori dall‟acqua. Apollo sfidò Artemide a colpire quell‟oggetto scuro che si intravedeva nell‟oceano, dicendole che non sarebbe riuscita a colpirlo.. Artemide provocata dal fratello e ignara dell‟identità dell‟oggetto, scoccò una freccia, e uccise Orione. Così il solo uomo da lei amato fu vittime della sua natura competitiva
Artemide e Niobe
Nei miti Artemide agiva sempre in maniera rapida e decisa, sia per soccorrere a chi le chiedeva aiuto, sia per punire chi la offendesse. Un giorno, sua madre Leto era in viaggio verso Delfi per andare a trovare Apollo, quando il gigante Tizio cercò di violentarla. Artemide corse in suo aiuto, puntò l‟arco e con mira infallibile, lo uccise. In un‟altra occasione Niobe, mostrandosi arrogante offese Leto, vantandosi di avere, a differenza di quest‟ultima, molti e bellissimi figli. Leto chiese aiuto ad Artemide e ad apollo per rivendicare tale insulto. Questi con arco e frecce uccisero tutti i figli di Niobe.28
28
In diverse occasioni Artemide venne in aiuto di sua madre
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Artemide e il cinghiale Calidonio L‟aspetto più distruttivo della dea Artemide è simbolizzato dal cinghiale Calidonio, uno degli animali a lei sacri. Nella mitologia si narra che quando Artemide si sentiva offesa, scAtenava per la campagna il feroce cinghiale. Cinghiale dagli occhi insanguinati, con setole simili a lance minacciose, zanne lunghe come quelle degli elefanti indiani…che devastava tutto ciò che trovava e uccideva tutti coloro che osavano mettersi sul suo cammino.
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7.2. La donna Artemide nella societa’ attuale29
La donna perlopiù orientata da questo archetipo nell‟attuale società presenta alcune caratteristiche riconoscibili: la rinuncia al rapporto con l‟uomo, Da un lato la propria “indipendenza” sottesa dall‟assenza di necessità di “sentirsi parte di…”, portando in sé un “senso di completezza” che la conduce ad agire da sola. La sua identità dipende solo da “ciò che fa” e da “ciò che è”, considerato che molto forte è il suo spirito di volontà
Nel mito la dea Artemide è vergine e ha un fratello gemello (Apollo), che rappresenta la sua controparte maschile. Nella vita la donna –Artemide tende a stabilire relazioni con uomini con cui può stare almeno “alla pari” da un punto di vista intellettuale e ha interessi che condivide con lei o che le sono complementari. E‟ insensibile al fascino di uomini dominatori e dei rapporti “io Tarzan, tu Jane”, il suo spirito indipendente e non glielo consentirebbe. Evita anche gli uomini che desiderano diventare il centro della sua vita, la sua anima “cacciatrice” non sarebbe in grado di accettare legami così stretti,in cui sia limitata o dominata da un compagno; i rapporti sentimentali non sono l‟aspetto fondamentale della sua vita. La castità espressa nel mito, può condurre una donna che si identifica con Artemide, a un matrimonio di amicizia, anche privo di sessualità. (alcune donne Artemide sposano omosessuali e apprezzano la compagnia e l‟indipendenza del rapporto…) Un‟altra possibilità , rinvenibile nel mito Artemide-Orione, è che si innamori di un uomo forte senza però essere in grado di riconoscere il potere all‟uomo e senza riuscire a tenere fuori dal rapporto l‟elemento competitivo che si rivela letale per la relazione. 29
cfr J.S. Bolen , Le dee dentro la donna, Astrolabio- Ubaldini editore, Roma, 1991
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Una possibilità che la donna Artemide può esperire, un rapporto che abbia le caratteristiche della sua relazione col padre Zeus, un uomo che la sostenga nei suoi desideri, evitandole critiche o rimproveri, riconoscendole altresì la piena libertà di potersi muovere come preferisce. In ogni caso, in quanto donna cacciatrice e amante dell‟aria aperta è difficile per lei intessere relazioni con uomini che non siano in grado di apprezzare le stesse cose. Non solo, ma questa sua natura permette alla donna Artemide di interessarsi a un uomo fino a che sia presente in lei l‟elemento dell‟inseguimento. Se l‟uomo tende ad avvicinarsi emotivamente a lei, o sviluppa dipendenza da lei l‟eccitamento per la caccia svanisce. Se poi accanto a questo l‟uomo dimostra la “debolezza” (da lei vissuta così) di aver bisogno di lei, può addirittura subentrare il disprezzo per lui. La freddezza lunare che la porta a negare a se stessa il bisogno dell‟altro sono il simbolo di questo aspetto della sua natura. L‟uomo che vede in Artemide qualità che ammira e che in lui non sono sviluppate è in genere attratto dalla sua forza di volontà e dal suo spirito di indipendenza, la ammira in genere per qualità che non sono considerate “femminili”
la poca importanza della sfera familiare
La donna Artemide, nel mito casta e libera, non sente di realizzarsi attraverso la gravidanza e l‟allattamento di un neonato. Quando ha dei figli suoi, spesso si comporta come l‟orsa, simbolo della dea. E‟ il tipo di madre che favorisce l‟indipendenza, che insegna al suo piccolo come badare a se stesso, e che può diventare feroce per difenderlo. (con arco e frecce..)E‟ una madre che preferisce relazionarsi con figli cresciuti, anziché lattanti, sa soccorrere in modo efficace più che prendersi cura affettivamente di qualcuno. Il suo spirito libero (la corsa nei boschi..) può condurla a condividere esperienze avventurose e sportive con i figli più che il focolare domestico, vissuto da lei come inutile e non appartenente alla sua natura.
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il lavoro come priorità
Come conseguenza delle caratteristiche espresse in precedenza, la donna Artemide tende a investire molta parte della propria vita nel lavoro, che per lei ha un valore soggettivo. Si sente spronata dalla competizione e in genere non si scoraggia di fronte all‟opposizione. I lavori che predilige possono essere fra quelli, fino a poco tempo fa, preclusi alle donne. L‟autorealizzazione in campo professionale diventa per lei una delle ragioni di vita, questo plasma il suo carattere e quindi sente il bisogno di venire sfidata e coinvolta in interessi che le diano una gratificazione personale. Artemide, proprio per la sua indipendenza e individualismo, investe nel lavoro con una notevole carica energetica, può svolgere più professioni contemporaneamente o dedicare molto del suo tempo ad una di esse, rinunciando ai propri spazi personali e liberi.
La distanza emotiva Questo tipo di donna è stata definita “la fredda Artemide”. La distanza emotiva è una sua caratteristica, così concentrata su suoi obiettivi, da non notare i sentimenti di chi le sta accanto. Da ciò consegue che le persone per cui lei è importante si sentono insignificanti ed escluse, quindi ferite. La sua distanza emotiva si esprima anche nella sua rabbia distruttiva ( cinghiale Calidonio) e spietatezza. La spietatezza spesso appare quando la donna Artemide giudica le azioni altrui in termini di bianco o nero, senza sfumature. In questa prospettiva, ciò che è tutto cattivo o tutto buono non è soltanto l‟azione, ma anche la persona che la compie, e perciò quando si vendica rabbiosamente si sente giustificata e legittimata. Questo atteggiamento di rappresaglia può derivare anche dal suo disprezzo per la vulnerabilità, considerata elemento di debolezza.
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la sorellanza
Nel mito, la dea Artemide era accompagnata da uno stuolo di ninfe che la seguivano durante le esplorazioni dei boschi e dei luoghi selvaggi. Non erano vincolate dalla dimensione domestica, dai modi di essere o dalle idee su ciò che le donne “dovessero” fare e si tenevano lontane dall‟influenza degli uomini. Nella vita reale la donna Artemide ha il senso di solidarietà (alleanza) con le proprie simili, anche se spesso si traduce in tendenze femministe, che tendono a separarsi dal mondo maschile, più che in un‟amicizia “sana”, aperta all‟altro da sé. Una donna Artemide nel rapporto con simili, difficilmente sa ascoltare un‟amica che piange, non sa accedere alle risorse interiori che la possano rendere accogliente e presente sul piano emotivo, non si sofferma a dare spazio a ciò che sente, tende piuttosto a “passare” da un‟emozione all‟altra. Nella lettura del mito questo può essere dovuto al fatto che Artemide “non sa stare ferma”.
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7.3. Artemide nell’analisi empirica
Secondo l „approccio empirico Artemide può essere considerata una donna yang autentica. Nel processo di metamorfosi empirica, intesa come il progressivo e automatico degrado del profilo empirico, ella si colloca nella posizione più estrema, in un “punto di non ritorno”, poiché è compromessa in modo tale da non essere più in grado di gestire il proprio arretrato empirico, dando segni di indurimento dell‟anima, che non sente più alcunché. “…Nel mito Artemide, trasforma Attetone in cervo affinché potesse essere sbranato dai cani; in un altro passaggio uccide, senza pietà, i figli di Niobe, per un‟offesa che quest‟ultima aveva arrecato a Leto (la madre)… ..quando Artemide si sentiva offesa scAtenava per la campagna il feroce cinghiale”
Secondo questo approccio una donna (ispirata ad Artemide) entrata in questa fase, vive come moti preponderanti della sua esistenza, la mancanza di compassione, d‟indulgenza e l‟odio per se stessa e quindi per gli altri. Non è più in balìa della sua spinta furiosa, quella che la distingueva come donna finta yang, ma è caratterizzata da cattiveria e perfidia, come indicatori principali del proprio stato d‟essere, che si manifestano nella necessità di una continua vendetta fredda e calcolata. Il suo senso di rivalsa sovrasta ogni altro sentimento, compreso quello d‟amore, senza che lei se lo voglia ammettere. La donna yang autentica rimane collegata con la parte ombra del codice yin, invece che con la sua parte luce, condizione questa che la dispone verso la critica, la falsità la cattiveria, la vendetta; tali caratteristiche sono sostenute da un maschile esuberante e rabbioso.
La yang autentica è gelida (questa dea nella mitologia è stata definita la fredda Artemide), per quanto spesso si presenti con sorrisi e falsi atteggiamenti bonari, in realtà
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è soltanto il proprio vantaggio personale a starle a cuore. Ciò nonostante non compie violenze fisiche (nella società attuale), per quanto non avrebbe alcuna difficoltà a farlo qualora si rendesse necessario. Sa infliggere dolore in modo sottile, con armi raffinate e altamente strategiche. Ha perso ogni rispetto della vita, del dolore, e perfino dell‟unico tabù empirico: la morte, non avendo più freni inibitori in grado di poterla guidare. Ciò sta a indicare che è completamente dissociata dalla realtà empirica (dal libero fluire) , esorcizzando il più possibile gli effetti della propria alterazione. La donna yang autentica è infatti completamente “anestetizzata”, diversamente non riuscirebbe a sostenere il proprio dolore diventato intollerabile. Ogni ruolo alterato si evidenzia attraverso la presenza di un indicatore empirico dominante, quale segnale del debito empirico acquisito. Dopo la sua comparsa, esso costituisce una spinta primaria nella vita di chi è portatore, divenendo il tema principale del suo stato emotivo. Accanto agli indicatori attivi esistono quelli passivi, che crescono lentamente nell‟ombra fino a quando non possono più essere contenuti. Solo a questo punto, la persona, suo malgrado, è costretta a prendere atto di ciò che sta accadendo. Quindi una donna yang autentica si ritrova ad affrontare la pura, l‟‟inquietudine l‟ansia, fino ad allora rimosse con strategie compensatorie (la spinta rabbiosa), che lo hanno indotto ad assumere perlopiù il ruolo di carnefice L‟alterazione Yang nella donna determina principalmente l‟accumulo di rabbia, soprattutto per la propria separazione dal femminile.
….Si trattava dell'isola di Delo e Leto vi partorì aggrappata ad una palma sacra. Artemide nacque per prima, dopo soli sei mesi di gestazione ed aiutò quindi la madre nel lungo travaglio e difficile parto di Apollo che nacque invece il settimo mese….”
Artemide, nel mito, è impegnata a un mese di vita, ad aiutare la madre nel parto; è come se simbolicamente stesse a significare che nasce adulta (nel ruolo empirico di yang autentica), bruciando tutte le tappe della metamorfosi empirica. L‟ approccio empirico, evidenzia come persone che hanno subito dolori ingenti o una consegna familiare podErosa e colma di rabbia, si avvicinano molto velocemente allo
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stato dello yang alterato. In tale condizione un bambino/a è costretto ad avvicinarsi alla rabbia in età prematura. Artemide nell‟Olimpo era una dea giovane, questo evidenzia il suo progredire anzitempo nel processo metamorfico. Questa condizione iniziale, così inquinata, non consente ad Artemide di ricevere dalla madre l‟attivazione della carica primaria (yin), necessaria per radicarsi nel proprio codice, che conferisce peraltro anche il permesso di crescere. Artemide è infatti conosciuta come dea giovane nell‟Olimpo (simbolicamente non evoluta in donna matura) Quindi qualora il genitore dello stesso sesso sia assente o portatore di una carica debole, il figlio non è più in grado di acquisire l‟energia necessaria per radicarsi nel proprio sesso biologico, predisponendosi a un ruolo alterato. “…Nell‟inno di Artemide il poeta Callimaco la descrive seduta sulle ginocchia di suo padre che estatico “si chinava su di lei e la carezzava dicendo:” Quando le dee mi portano figlie come questa, la collera della gelosa Era mi turba assai poco. Figlioletta avrai tutto ciò che desideri…”
Questo passaggio del mito evidenzia come Artemide, fosse figlia di un padre che l‟accontentava in tutto, portatore, nei suoi confronti, più di un amore yin che yang. L‟amore yang, rappresenta l‟autorità, la forza e la struttura, l‟ordine e non prevede come moti affini né l‟accoglienza, né la cura, né contempla la dolcezza all‟interno delle sue qualità empiriche. Il vero amore paterno si esprime dunque attraverso un compito preciso, quello di saper trasferire le qualità yang alla propria prole. Egli dona forza e protezione a chi ama, utilizzando la chiarezza, la determinazione, e la fermezza come strumenti principali per riuscirci. La sua meta è tracciare binari sicuri, sapendo offrire una struttura portante per l‟agire femminile. Così il conferire norme e regole diventa lo strumento legittimo e necessario dell‟amore yang. Dove c‟è amore, c‟è ordine. Una figlia che non ha la possibilità di conoscere l‟amore yang attraverso il padre, sperimenta l‟assenza o la debolezza del lato yang e diviene una donna che non è in
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grado di amare né se stessa, né nessun altro. Il suo amore si rivela debole e senza fondamenta, in quanto non è in grado di accedere alla forza dell‟ordine. In mancanza dell‟amore yang la persona sperimenta la mancanza di sostegno, di forza, di senso di merito, nei confronti di se stesso e degli altri; capace pertanto di entrare soltanto in un rapporto di bisogno invece che di amore. Non essendo in grado di amare, l‟essere umano rifiuta l‟ordine, e con esso anche le leggi che compongono il sistema, e quindi se stesso; egli si dimostra incapace di aderire pienamente ai principi attivi maschili, uomo o donna che sia, non sapendoli apprezzare neanche nell‟altro. Ciò si rivela attraverso l‟incapacità di saper stare all‟interno delle regole, la necessità di andare sempre controcorrente o di contrastare ogni autorità. Una donna, che sperimenta nel padre, solo l‟amore yin, è una donna deputata ad avere problemi nella sua vita nel rapporto con lo yang, sviluppa problemi col “maschile” interiore ed esterno. Questo le procura l‟incapacità di allearsi in modo genuino con la rabbia, che via via diviene il principale indicatore sistemico. La donna infatti ha bisogno di avvicinarsi alla propria carica opposta (yang), poiché solo così può sviluppare pienamente la propria forza femminile, senza rimanere relegata allo stato di bambina, che fingendo di essere donna, è terrorizzata dal maschile. Fino a quando non ha acquisito la carica secondaria in maniera piena e integra non potrà avvicinare partner empiricamente sani, non sapendo onorare l‟uomo. “…una tunica abbastanza corta per correre, montagne e terre selvagge come luoghi tutti suoi…”
Nel mito Artemide (corrispondente, per i romani, a Diana, dea della caccia ) è in continuo movimento, non riesce a stare ferma, teme la stasi, il ritrovarsi da sola con se stessa. Nella vita una donna Artemide e quindi yang autentica non è in grado di fermarsi, ma è costretta a scappare continuamente da se stessa, poiché avendo un debito empirico molto ingente, si sentirebbe sopraffatta all‟istante dal proprio malessere. Talvolta può utilizzare per questa fuga le emozioni altrui, avendo il bisogno di nutrirsi sempre di nuovi stimoli. Si tratta di un vero ne proprio “vampirismo emotivo”, per il quale si crea intorno una “rete di rifornimento”, anche se non gode dell‟amicizia di
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persone, poiché dopo un determinato arco di tempo si ritrova a sopprimere ogni rapporto più intimo. E questo si verifica non appena l‟altro si accorge della malvagità celata dietro la maschera sorridente.
“Artemide chiede (al padre Zeus) di restare sempre vergine, poi di non doversi mai sposare, di avere sempre a disposizione arco e frecce, una muta di cani da caccia…, cervi che tirassero il carro e ninfe come compagne di caccia…” Nel mito Artemide rinuncia alla maternità e al rapporto con l‟uomo a favore della propria indipendenza e dei propri interessi personali. La donna yang vive una sorta di segregazione affettiva, in quanto si autoesclude da ogni rapporto armonico con un partner; ella infatti, disponendo di notevole rabbia, èfocalizzata sul mondo intero e in particolar modo sul maschile. Come Artemide dirige le proprie attenzioni sulla caccia, la donna a lei ispirata avverte il bisogno di affermarsi in un progetto al di fuori del proprio nucleo affettivo, che non costituisce tanto un diritto all‟ordine quanto una necessità personale, non essendo un bisogno sistemico, e nasce dalla sensazione profonda di voler appartenere a una cerchia di donne “evolute” e “autosufficienti”. Tale moto, per quanto costituisca apparentemente un bisogno reale della donna, genera un Io soddisfatto solo entro certi limiti, poiché, il più delle volte è un‟espressione di un debito empirico ingente. Una deviazione consistente questa, che le fa perdere i confini genuini del suo essere donna, segnalando tale debito attraverso l‟indicatore della rabbia. Man mano che sviluppa e potenzia le proprie qualità yang si collega a una forza sconosciuta e destabilizzante che, da quell‟istante, catalizza tutto il suo fare. In quel caso i modi di porsi, i parametri di valutazione, la scala di valori e l‟intera visione del mondo, si trasformano e si avvicinano sempre di più ai traguardi maschili, con lo scotto di separarsi gradualmente dalla propria parte femminile. Ciò comporta irrimediabilmente la perdita delle facoltà del cuore, sostituendo l‟accoglienza e la fiducia con l‟amarezza e l‟odio.. Artemide rinuncia alla figliolanza richiedendo di rimanere vergine per tutta la sua vita,
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una donna yang alterata rinuncia, talvolta senza sentire sofferenza, al diritto empirico più importante per il codice yin: la maternità
“…Artemide provocata dal fratello e ignara dell‟identità dell‟oggetto, scoccò una freccia, e uccise Orione. Così il solo uomo da lei amato fu vittime della sua natura competitiva.” Artemide uccide, per sfida, anche forse l‟unico uomo da lei “amato”. questo passaggio del mito simbolicamente rappresenta “la tossicità” dell‟ atteggiamento competitivo femminile all‟interno di una coppia. Secondo l‟approccio empirico la donna yang autentica privilegia la sfida come moto legittimo di rapportarsi al mondo non riconoscendo più l‟amore come parte integrante di se stessa. Ella infatti pretende, esige arrogantemente, aspetta senza voler chiedere e sfida il mondo intero nella disperata ricerca di lenire il suo dolore. E‟ proprio questo suo disprezzo verso la creazione e la vita a distinguerla, permettendole di adoperare schemi autolesivi e annientanti. Così non retrocede nemmeno di fronte alla morte, sfidandola senza esitazione. La donna yang percepisce la sfida e la competizione nei confronti del maschile, e il suo intento prevalente è quello di dimostrare l‟inaffidabilità e la scarsezza del partner, tendendogli trappole e provocandolo in diversi campi. Questo approccio la pone in un continuo stato adrenalinico (Artemide non sa stare ferma), costringendola a stare nella sua carica yang. Lei fa di tutto per essere riconosciuta come superiore e per poter fare questo la donna yang si fa portatrice di strategie di delegittimazione nei confronti del mondo maschile, cercando di far emergere continuamente manchevolezze. Un atteggiamento inconscio che le consente di costruire lentamente tutti i suoi capi d‟accusa contro di lui che si vede così costretto a riconoscere la sua maggior potenza, annientandosi e prostrandosi davanti a lei. Per arrivare a questo scopo si sente autorizzata a giocare la piena ombra femminile, servendosi dell‟inganno, della seduzione, della cattiveria, della perfidia (tutte qualità del
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codice yin). Poiché ogni rivalutazione della figura maschile la metterebbe in contatto con la sua ferita di base, la propria femminilità repressa, viene evitata in ogni modo.( su questa difesa si basa l‟interezza delle sue strategie vitali, essendo il suo dolore represso l‟unica vera ragione per la quale esercita il potere yang. Esso nasconde un moto d‟amore interrotto verso la propria madre, figura dalla quale non si è sentita abbastanza amata). Nel mito Artemide non ha avuto il diritto di vivere la propria infanzia, di ricevere le attenzioni e l‟amore necessario ad una bambina, avendo dovuto prendersi cura di sua madre, fin dall‟inizio.
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SCHEMA METAMORFOSI EMPIRICA RELATIVA ALLE DEE TRATTATATE
STADI DELLA METAMORFOSI EMPIRICA donna yin integrata (nel libero fluire) Demetra
VITTIMA RABBIOSA d. yin alterata
d. finta yin
Persefone
Persefone
Psiche
Psiche
d. finta yang
Atena
d. yang autentica
Artemide
malattia (estromissione dal libero fluire)
Nei miti trattati emerge che le dee che intraprendono un cammino di consapevolezza e crescita del sĂŠ sono prevalentemente quelle che occupano una posizione empirica verso lo yin, connotate quindi prevalentemente dallâ€&#x;indicatore sistemico attivo della paura.
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CONCLUSIONI Ho un desiderio..che sento nel profondo…
La civiltà occidentale, contrariamente ad altre culture, tende a dare poco valore e a non riconoscere l‟importanza della femminilità. L‟occidente è caratterizzato da un sistema con modelli prevalentemente maschili, basato soprattutto sulla razionalità e scarsamente disposto ad accettare l‟aspetto più interiore ed emotivo, tipicamente femminile, che consentirebbe una comprensione più globale della realtà. Non vi è apertura all‟altro e il conflitto fra le diversità, e quindi anche tra maschile e femminile, è a volte aspro. Siamo in grado di vedere un‟esperienza di segno contrario, l‟esperienza di un incontro, che ci mostra come possiamo comprendere l‟altro, quando non abbiamo ucciso le possibilità di sentire l‟altro dentro di noi e quindi di essere, in una misura più o meno grande, anche l‟altro. Incontro significa più di un vago rapporto interpersonale. Significa che due persone si incontrano non per porsi semplicemente l‟ una di fronte all‟altra ma per viversi e fare un‟esperienza reciproca. Non si può incontrare l'altro fuori di noi se non lo abbiamo incontrato prima dentro di noi.
Il mio desiderio è che le donne possano comprendere finalmente che è giunto il momento di riappropriarsi della propria luce, del proprio sentire, della propria forza, diversa da quella maschile, ma non per questo più debole. Che ciò che conta non è soltanto quello che accade a noi, ma ciò che accade in noi, attraverso le esperienze gioiose e dolorose della vita. Mi piacerebbe condividere percorsi di crescita con donne, perché dentro molte di noi c‟è un fiammella semispenta che attende di essere riaccesa. E il momento credo sia arrivato. Quando ci si incontra insieme tra donne con il fine comune di condividere un cammino di consapevolezza, con l'unico scopo di riappropriarsi della corrente sacra e istintuale che permea l'essere, accade una cosa strana: la percezione del fuoco interiore... quando
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la donna esprime se stessa, libera, con altre donne, emerge una forza straordinariamente calda, avvolgente, lucente, un'energia capace di sconvolgere ordini, leggi, istituzioni, sistemi, di andare oltre qualsiasi limite… Dentro ognuna di noi ci sono tante dee, che a volte dialogano e a volte si scontrano, dentro ciascuna di noi ci sono le qualità del codice yin, che spesso si sono addormentate, per l‟incapacità di assumerci le nostre responsabilità empiriche, a causa di un debito ingente
Un viaggio di crescita non facile, non privo di ripensamenti e resistenze, perché si entra gradualmente in contatto con quel dolore, da sempre “coperto” e rimosso. Soltanto qualche anno non mi sarei mai impegnata in un “lavoro” sul femminile, non ne conoscevo i valori, non ne vedevo l‟utilità, la mia razionalità prediligeva altri principi. Oggi, pur rendendomi conto del lungo percorso ancora da fare, per poter essere Donna, sento dentro di me ogni giorno una voce che mi conduce verso quella direzione. Sento la potenza dell‟arrendevolezza, sento la ricchezza dell‟accoglienza e dell‟apertura, sento la bellezza della vulnerabilità ma sento soprattutto che queste qualità ci sono dentro di me…anche se non sempre riescono a trovare parole, immagini azioni che le manifestino nella sua intensità e interezza. Il percorso in discipline psicologiche e empiriche intrapreso, proprio perché ncoproreo e basato sul sentire, mi ha consentito di togliere il velo a molte delle mie strategie di autoboicottaggio, di mettermi in contatto con le mie emozioni bloccate da tanto tempo. Ho affrontato molte paure, vergogne, ho incontrato la mia rabbia e la mia arroganza, accorgendomi (dai cambiamenti nella mia vita quotidiana) come attraverso lo smascheramento dei miei tabù personali, si potessero evadere parti del mio debito, trasformando le mie false credenze, e cominciando ad accettare responsabilità in situazioni, che fino a quel momento non percepivo come tali. Quando guardandomi intorno, vedo molte donne, fiere di essere “possedute dall‟animus”, mi rattristo nel profondo, perché mi riportano indietro nel mio tempo, ma sento anche il desiderio di poter condividere un‟occasione, uno spazio per intraprendere insieme un viaggio verso il centro di NOI.
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Questo desiderio mi ha portato, alla luce delle esperienze vissute nell‟ambito del percorso, a riflettere sul ruolo che l‟operatore empirico, che, qualora volesse organizzare un percorso di crescita per un gruppo di donne, sarebbe opportuno considerasse i seguenti aspetti.
Avere chiaro le finalità del percorso, che nello specifico possono essere riassunte nel riequilibrio degli eccessi yin e yang presenti nelle donne, ai fini di recuperare le potenzialità femminili Saper osservare “ciò che è”, ossia ciò che si manifesta naturalmente, essere cioè in grado di percepire, di sentire le differenti energie di cui i singoli sono portatori; osservare il comportamento, i movimenti liberi corporei, i modi di agire e reagire, il modo di porsi nell‟ambito verbale e para verbale, le posture utilizzate, la morfologia del corpo. Privilegiare il paradigma “del fare”, ovvero il diritto di sperimentare per comprendersi meglio nel corpo e nell‟anima. Un processo d‟indagine che invita il corpo a muoversi ed esprimersi nel suo linguaggio, rivelandosi lentamente senza che la mente lo ostacoli e lo metta a tacere La specificità consiste nella rilevanza data alla sfera del non verbale, attraverso l‟invito che si rinnova ad ogni proposta di lavoro del conduttore ad esprimere la vita del corpo. Durante il percorso il linguaggio non verbale e quello verbale si affiancano e si intrecciano, integrandosi vicendevolmente e alimentandosi l‟uno con l‟altro. Essere “presente” ,con un atteggiamento che sia funzionale alla relazione d‟aiuto, ovvero empatico, di accettazione positiva, di apertura energetica che si manifesta con l‟attenzione costante e l‟ascolto attivo, il tono di voce pacato, il contatto col proprio sentire, l‟uso di tecniche di rispecchiamento delle emozioni e vissuto degli altri e di riformulazione volte a facilitare il processo di chiarificazione progressiva.
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Essere “flessibile”, cioè saper adattare gli esercizi empirici e non, all‟energia che connota il gruppo o il singolo in quel momento, avendo la capacità di accedere in tempo reale, ad attività ritenute più proficue per far facilitare l‟incontro con i limiti e le potenzialità. Dare spazio al “sentire”, ovvero stimolare nell‟altro la possibilità di riconoscere le cose su un piano profondo ancora prima di volerle capire con la ragione. Questo apre la strada non solo alla comprensione delle strategie privilegiate per “nascondere” il proprio debito empirico, ma al cambiamento reale, via via che le nuove “scoperte”relative ai copioni personali vengono integrate e quindi ad un riavvicinamento alle radici del proprio sesso biologico Riconoscere l’importanza del gruppo come amplificatore emotivo di strumenti ed esperienze acquisiti individualmente e come luogo in cui il rispecchiamento appare una dinamica agevolata; i diversi modi di pensare, di agire e di sentire costituiscono un esempio utile di confronto fra i vissuti personali singoli. Il contesto del gruppo facilita il processo che aiuta a sciogliere blocchi e tensioni e a ripristinare l‟originaria vitalità, perché offre l‟empatia , il sostegno e il contenimento che permettono di fare esperienza, spesso per la prima volta, della profonda fiducia corporea necessaria per potersi lasciare andare. Il gruppo è “una unità che esprime qualcosa di più della somma delle qualità dei suoi membri”30 Spesso le persone possono scoprire, attraverso il sentire ciò che in loro si risveglia con l‟esperienza corporea, non solo importanti aspetti delle loro relazioni attuali, ma anche da cosa sono state caratterizzate le loro relazioni affettive primarie. Ai partecipanti viene offerta la possibilità rara di fare esperienza della vita del corpo, godendo della massima libertà di espressione e di sperimentazione, all‟interno di un“contesto” regolato e protetto.
Contemplare la condivisione dei vissuti, la graduale rielaborazione verbale ed emotiva delle esperienze vissute al profondo livello del non detto, livello in cui 30
K lewin, Principi di psicologia topologica, Organizzazioni speciali, Firenze, 1961
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possono emergere ricordi antichi e parti altrimenti inaccessibili della “personalità”, permette di compiere passi di crescita e di acquisizione di nuove consapevolezze, che a loro volta rendono possibile l‟accesso a dimensioni ancora più profonde nell‟ambito dei vissuti corporei. Prevedere incontri individuali, volti ad offrire alla persona l‟opportunità di esplorare in modo specifico e mirato le strategie di autoboicottaggio privilegiate, sottese ai problemi riconosciuti come presenti nella vita, facendo uso delle proprie risorse. Lo scopo pertanto non è quello di suggerire soluzioni, bensì aiutare a comprendere la sua situazione (l‟entità e la qualità del debito empirico) Gli incontri possono prevedere attività empiriche o colloqui.
Ipotizzare esperienze diversificate, considerato che il gruppo può essere composto da donne che occupano posizioni differenti nella metamorfosi empirica e che come tali vivono con debiti di diversa entità e qualità, con indicatori sistemici attivi e passivi difformi. All‟interno della stessa situazione diversi portatori di debiti possono vivere sensazioni diametralmente opposte, a seconda degli indicatori presenti. Questo perché non è più la natura della carica empirica di una situazione, quanto la qualità del debito a conferire le percezioni al singolo. Gli indicatori passivi costituiscono, dal punto di vista empirico, la leva più forte per il rientro nel libero fluire, perché sono parametri emotivi pronti a indicare il tipo di ruolo compensatorio e la natura del debito, diventando il termometro di ogni nuovo riavvicinamento all‟ordine. Nell‟ambito di processi di yanghizzazione o yinizzazione è importante dunque tenere presente che gli esponenti del gruppo con eccesso yin, avendo come indicatore attivo la paura e come indicatore passivo la rabbia, temono l‟energia yang e i suoi eccessi, quindi ogni approccio diretto e schietto può provocare difese immediate, toni infervorati possono provocare chiusure emotive profonde, col rischio di allontanare la persona stessa. L‟autorità appartiene ai loro tabù personali e perciò è temuta più di ogni altra cosa.
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Al contrario gli esponenti del gruppo con eccesso yang , di fronte a esperienze dirette possono avere reazioni di diffidenza, di polemica, di resistenza dichiarata e manifesta, poiché un atteggiamento forte e autoritario funge da specchio rispetto alle strategie compensatorie utilizzate, e quindi procura allontanamento, anche se camuffato da attacchi personali.
Sostenere le potenzialità dei partecipanti, diviene infatti necessario ipotizzare un approccio morbido, che sappia avvicinare gradualmente la persona all‟esperienza, infondendole fiducia, rassicurandola sulle sue risorse e potenzialità, predisponendo un assetto emotivo di apertura che la possa sostenere a scoprire le parti di sé che teme di più e le strategie privilegiate per compensare il suo debito. Ciò è possibile stimolando gradualmente il corpo, riconoscendo, attraverso l‟approccio empirico, spazi e confini inediti, fino a quando non si sente al riparo, pronto a svelare i suoi segreti, le strategie compensatorie attivate nel corso della vita.
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Donne in rinascita Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.
Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta. Che uno dice: è finita. No, non è mai finita per una donna. Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole.
Non parlo solo dei dolori immensi, di quelle ferite da mina anti-uomo che ti fa la morte o la malattia.
Parlo di te, che questo periodo non finisce più, che ti stai giocando l'esistenza in un lavoro difficile, che ogni mattina è un esame, peggio che a scuola. Te, implacabile arbitro di te stessa, che da come il tuo capo ti guarderà deciderai se sei all'altezza o se ti devi condannare. Così ogni giorno, e questo noviziato non finisce mai. E sei tu che lo fai durare.
Oppure parlo di te, che hai paura anche solo di dormirci, con un uomo; che sei terrorizzata che una storia ti tolga l'aria, che non flirti con nessuno perché hai il terrore che qualcuno s'infiltri nella tua vita. Peggio: se ci rimani presa in mezzo tu, poi soffri come un cane. Sei stanca: c'è sempre qualcuno con cui ti devi giustificare, che ti vuole cambiare, o che devi cambiare tu per tenertelo stretto. Così ti stai coltivando la solitudine dentro casa. Eppure te la racconti, te lo dici anche quando parli con le altre: "Io sto bene così. Sto bene così, sto meglio così". E il cielo si abbassa di un altro palmo.
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Oppure con quel ragazzo ci sei andata a vivere, ci hai abitato Natali e Pasqua. In quell'uomo ci hai buttato dentro l'anima ed è passato tanto tempo, e ne hai buttata talmente tanta di anima, che un giorno cominci a cercarti dentro lo specchio perché non sai più chi sei diventata. Comunque sia andata, ora sei qui e so che c'è stato un momento che hai guardato giù e avevi i piedi nel cemento. Dovunque fossi, ci stavi stretta: nella tua storia, nel tuo lavoro, nella tua solitudine. Ed è stata crisi, e hai pianto.
Dio quanto piangete! Avete una sorgente d'acqua nello stomaco. Hai pianto mentre camminavi in una strada affollata, alla fermata della metro, sul motorino. Così, improvvisamente. Non potevi trattenerlo. E quella notte che hai preso la macchina e hai guidato per ore, perché l'aria buia ti asciugasse le guance?
E poi hai scavato, hai parlato, quanto parlate, ragazze! Lacrime e parole. Per capire, per tirare fuori una radice lunga sei metri che dia un senso al tuo dolore. "Perché faccio così? Com'è che ripeto sempre lo stesso schema? Sono forse pazza?" Se lo sono chiesto tutte. E allora vai giù con la ruspa dentro alla tua storia, a due, a quattro mani, e saltano fuori migliaia di tasselli. Un puzzle inestricabile. Ecco, è qui che inizia tutto. Non lo sapevi? E' da quel grande fegato che ti ci vuole per guardarti così, scomposta in mille coriandoli, che ricomincerai. Perché una donna ricomincia comunque, ha dentro un istinto che la trascinerà sempre avanti. Ti servirà una strategia, dovrai inventarti una nuova forma per la tua nuova te. Perché ti è toccato di conoscerti di nuovo, di presentarti a te stessa. Non puoi più essere quella di prima. Prima della ruspa.
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Non ti entusiasma? Ti avvincerà lentamente. Innamorarsi di nuovo di se stessi, o farlo per la prima volta, è come un diesel. Parte piano, bisogna insistere. Ma quando va, va in corsa. E' un'avventura, ricostruire se stesse. La più grande. Non importa da dove cominci, se dalla casa, dal colore delle tende o dal taglio di capelli.
Vi ho sempre adorato, donne in rinascita, per questo meraviglioso modo di gridare al mondo "sono nuova" con una gonna a fiori o con un fresco ricciolo biondo. Perché tutti devono capire e vedere: "Attenti: il cantiere è aperto, stiamo lavorando anche per voi. Ma soprattutto per noi stesse".
Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia. Per chi la incontra e per se stessa. È la primavera a novembre. Quando meno te l'aspetti...
Diego Cugia, alias Jack Folla
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Bibliografia
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