I passaggi dell'amore - Noemi MONGELLI

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Libera Università di Studi Psicologici Empirici Michel Hardy

Tesi di Laurea

“I PASSAGGI DELL’AMORE”

di Maria Noemi Mongelli

Anno Accademico 2008-2009


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A Lucio, Marta e Filippo

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio Michel, portatore di Luce per me e per la Terra. Giuseppe che, nonostante stia attraversando un momento difficile, mi ha sostenuto a distanza, in questo mese di intenso lavoro. Mia figlia Marta per aver dato forma ai miei pensieri Suo marito Andrea che, oltre a tollerare la suocera in casa, è riuscito ad occuparsi dei bambini per farci lavorare serenamente, nonostante avesse contratto una brutta malaria. Mio figlio Filippo e sua moglie Martina per essere venuti a trovarmi durante il lavoro portandomi i loro doni. Mia nipote Teresa che con il suo gioco di “scoprire la pancia”, mi invita ad “acchiappare” le mie sfuggenti emozioni. I miei nipoti Eva e Guglielmo che, dall’alto del loro essere bambini, mi suggeriscono importanti verità. E tutti e tre i nipoti insieme per essere termometro dell’evoluzione generazionale. Ringrazio ancora Carlo, Sandra, Marianna, Dolores, Monica, Teddy, Karam, Sudiro, Zaira, e tutte quelle meravigliose persone che fanno parte di quella serie di incontri a catena che ha cambiato la mia vita. In particolare Mina che, avendo permesso che “morissi di fame” in una vita precedente, ha evaso parte del suo debito empirico, nutrendomi energeticamente durante questo lavoro.

E per concludere, ringrazio le mie

resistenze che, ogni volta che si manifestano

particolarmente forti, si rivelano poi, portatrici di doni preziosi.

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Sommario

1.

INTRODUZIONE.................................................................................................. 9

2.

LA GRAMMATICA DELL’ESSERE DI MICHEL HARDY ........................ 13 2.1. YIN E YANG................................................................................................. 15 2.2. MATRICE D’ECCELLENZA....................................................................... 17 2.3. STATI ALTERATI........................................................................................ 19 2.3.1 L’UOMO YIN ................................................................................................ 20 2.3.2 L’UOMO FINTO YIN .......................................................................................... 21 2.3.3. FINTO YANG................................................................................................... 23 2.3.4. YANG ALTERATO............................................................................................. 25 2.3.5. DONNA YIN ALTERATA .................................................................................... 26 2.3.6. DONNA FINTA YIN .......................................................................................... 27 2.3.7. DONNA FINTA YANG ....................................................................................... 29 2.3.8. DONNA YANG ................................................................................................. 30 2.3.9. LA VITTIMA RABBIOSA .................................................................................... 31

3.

RELAZIONI ALTERATE.................................................................................. 35 3.1.

4.

COPPIA INTEGRATA.................................................................................. 37

REALTÀ ILLUSORIA ....................................................................................... 39 4.1. 4.2.

IL BLOCCO DELLE EMOZIONI ........................................................................... 39 LA MASCHERA O IMMAGINE IDEALE ................................................................ 41

5.

IL LAVORO CON MICHEL ............................................................................. 45

6.

IO ORA ................................................................................................................. 49 6.1.

7.

IO PRIMA...................................................................................................... 50

LA MIA IDEA DELLA VITA ............................................................................ 53

BIBLIOGRAFIA.......................................................................................................... 57

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1. INTRODUZIONE

Ogni essere umano sente forte dentro di sé una profonda aspirazione interiore, che va oltre il semplice desiderio di soddisfare i suoi bisogni fisici ed emotivi. La ricerca interiore ha lo scopo di sviluppare ed attuare le proprie potenzialità umane, di diventare individui completi, in grado di stabilire con gli altri delle relazioni basate sull’amore. Ma, se non inganniamo noi stessi, sappiamo bene che siamo ben lontani da tali obiettivi e, soprattutto, sappiamo bene che è fondamentale, almeno nella maggior parte dei casi, avere un aiuto esterno, una guida che ci insegni ad affrontare e a risolvere i blocchi che ostacolano la nostra crescita personale e spirituale. Una guida che ci aiuti e ci dia appoggio, mentre percorriamo la strada che ci porta da ciò che adesso siamo, alla più vasta, soddisfatta e consapevole persona che potremmo essere. Pur non pensando di essere “cattivi”, non possiamo non riconoscere di provare sentimenti ostili o di avere attitudini egoistiche, non possiamo non riconoscere la tendenza a scaricare la nostra ostilità contro chi, a nostro parere, ci ha ferito. Riguardo ciò, la religione ci ha proposto, come unico metodo per impedire di agire i nostri impulsi distruttivi, dei precetti morali fondati sulla paura e sui sensi di colpa, e sull’ammonizione ad impegnarci di più. La psicologia, da parte sua, in maniera sottile, ci incoraggia a non assumerci la responsabilità della nostra negatività, ma piuttosto a biasimare qualcuno per i nostri difetti: i nostri genitori, le nostre vite passate, finendo col farci sentire delle vittime. Tali atteggiamenti, sono all’origine del nostro scoraggiamento e della nostra disperazione perché, in verità, non forniscono gli strumenti per modificare davvero la nostra realtà.

Certamente, è molto difficile decidere di affrontare faccia a faccia i nostri disagi interiori. Non solo perché ci spaventa l’idea di “vedere” i propri mostri, ma anche perché l’ essere rinuncia in partenza allo stato di gioia e felicità, ritenendolo troppo lontano ed

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irraggiungibile. Tale convinzione gli deriva dall’inconsapevolezza che questo stato esiste già in ognuno, sotto forma di potenzialità ancora dormiente che, semplicemente, ha bisogno di essere risvegliata. Ma, per sostenere lo stato di piacere è assolutamente indispensabile che l’essere impari ad accettare qualunque cosa si celi nella psiche, seppur comunemente connotata di accezione negativa: dolore, cattiveria, malizia, odio, sensi di colpa, sofferenza, tutte emozioni che possono essere trascese, superando la convinzione che tutto ciò che dentro di noi ci spaventa, debba essere temuto e quindi negato. Per quanto distruttivo possa essere, può sempre essere trasformato. Solo quando viene evitato diventa davvero dannoso per se stessi e per gli altri. Se non abbiamo il coraggio di guardare le nostre paure, il quotidiano anziché essere azione diretta, creazione, diventa re-azione, risposta, riflesso ad uno stimolo dietro al quale vi è sempre un dolore inconscio, un’angoscia non percepita di cui si è perso il ricordo. Ogni volta che reagiamo invece di agire mettiamo in atto un automatismo, siamo come robot animati da uno schema mentale messo a punto lentamente durante l’infanzia che scatta in modo inconsapevole. Se tutta la vita è un reagire, vuol dire che viviamo un’illusione, una realtà virtuale, in altre parole la re- azione è la manifestazione di una falsa verità che ha creato lo schema mentale. Gli uomini di tutte le epoche si sono sempre interrogati sulle questioni che riguardano la sfera del proprio essere. Le risposte a questi interrogativi, certo non le troviamo nelle scoperte scientifiche, bensì nei miti, nelle epopee, nelle leggende dove l’eroe non fugge davanti al drago, ma lo affronta e lo combatte. Attraversa mille peripezie, è sottoposto a prove mirabolanti, ma procede coraggiosamente, senza mai tirarsi indietro. La ricompensa che riceve è grande: trova amore, felicità, ricchezza. Nell’archetipo della Madre Divorante, simbolo classico che attraversa le epoche storiche e mitologiche di ogni civiltà, la lotta dell’eroe contro i mostri è l’allegoria delle battaglie umane necessarie per il passaggio dalla sopravvivenza all’esistenza.

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Il combattimento epico con la Madre Divorante è identificato come il passaggio necessario per giungere a Itaca, ovvero per nascere spiritualmente. Coincide con il raggiungimento della consapevolezza, con il risveglio, con l’illuminazione. Per l’eroe è necessario affrontare una battaglia epica perché avvenga la sua rinascita interiore altrimenti rimane succube, prigioniero e sottomesso ad una falsa verità. La Madre divorante è quindi il simbolo della vita non vissuta, di qualcosa che impedisce di appropriarsi, fino in fondo, della propria esistenza, è quel pensiero che impone di trascorrere la propria vita tra le acque sicure di un porto, anziché avventurarsi nell’ignoto del mare aperto. La Madre Divorante è un mostro che abita in ogni uomo e che rema contro: è la radice della paura, della menzogna, dell’ipocrisia, del desiderio di vendetta, di automatismi che ci permettono di sopravvivere ma non di esistere pienamente. Essa crea una realtà illusoria, talmente verosimile, da essere collettivamente condivisa. E’ un incubo fatto di divisioni, sofferenze, contrasti, intolleranze. E’ la menzogna esistenziale che prosciuga la fonte della verità, della nostra creatività, della bellezza da realizzare, che addormenta le coscienze per avere il dominio totale sull’individuo che ne è posseduto.

A prescindere dal tipo di percorso che ogni essere umano decide di intraprendere per accedere nel nuovo territorio del proprio universo interiore, certamente questo richiede la disponibilità totale a mostrarsi quali veramente si è, mettendosi a nudo con profonda onestà. Per espandere i confini della propria coscienza, la mente limitata deve trascendere se stessa, prendendo in considerazione possibilità precedentemente ignorate ed esplorando nuove alternative nel modo di sentire, di pensare e di essere. L’affrontare gli aspetti distruttivi e negativi della propria personalità, inizialmente, potrebbe non far piacere, ma se si vuole veramente ritrovare se stessi, se si vuole raggiungere il nucleo del proprio essere, da cui deriva tutto quanto c’è di buono, ciò è necessario.

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Personalmente, la sensazione che la mia vita fosse intrappolata nelle distorsioni derivanti dai falsi desideri, dai falsi bisogni e, nello stesso tempo, la percezione, ancora inconsapevole, che in realtà ci fosse molto di più, che potevo, in qualche modo, aver accesso alle potenti energie creative presenti in me, che solo in me ci fosse la chiave per aprire il mio cuore, mi hanno fortemente spinta a cercare. Inizialmente, forse, un po’ al buio, non sapendo bene cosa cercare. Ma, nonostante ciò, sembrava che, da un certo punto in poi, le cose accadessero in maniera assolutamente funzionale al mio desiderio, come se la mia decisione avesse realmente messo in moto un concatenarsi di eventi che delineavano, uno dietro l’altro, la strada che stavo per percorrere. Cominciano ad arrivare le risposte alle mie domande, sia dentro che fuori di me, attraverso incontri, occasioni apparentemente casuali, e più in generale, attraverso messaggi che via via imparavo a decifrare. Tra le incertezze, i dubbi e i fisiologici conflitti di chi si accinge a mettersi a nudo, esperienze forti e incontri speciali mi hanno fatto approdare e scegliere poi, come percorso personale evolutivo, la Libera Università di Psicologia Empirica del professor Michel Hardy. Motivo principale di questa scelta è stato l’essermi imbattuta in una scuola di conoscenza personale che, non tralasciando di affrontare alcun aspetto della vita umana, lo affronta con metodo di analisi emotivo-corporeo, rispondendo a ciò che io desideravo sperimentare per me stessa.

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2. LA GRAMMATICA DELL’ESSERE DI MICHEL HARDY

La prima parte del mio lavoro, costituisce una vera e propria sintesi degli argomenti che l’Hardy pone alla base del processo evolutivo che lo studente affronta nel percorso di studi proposto. Partendo dai concetti di yin e yang, maschile e femminile, il mio lavoro si è incentrato maggiormente sul tema delle relazioni alterate. Prima di inoltrarmi nella trattazione dell’argomento sviluppato, ritengo indispensabile, ai fini di una comprensione ottimale dello stesso, riportare la terminologia che definisce i termini chiave utilizzati dall’Hardy nella sua analisi empirica.

ORDINE EMPIRICO O ARMONICO: si rifà al principio dell’armonia naturale, riconoscendo quello della FUNZIONALITÀ’ come unico criterio per determinare l’evoluzione di tutte le cose. Non dipende da convinzioni personale, né ha bisogno di doversi spiegare o giustificare, poiché segue parametri senza tempo in quanto, da sempre regola ogni movimento e ogni moto vitale. Esso compone l’essenza stessa dell’universo, della nascita, della vita e della morte. Esso determina tutto ciò che è, sia nel mondo materico che in quello sottile, integrando ed utilizzando le leggi della natura come moti principali. L’ordine genera la consequenzialità di tutte le cose, abbinando ad ogni atto compiuto o mancato, una responsabilità empirica precisa. Tale ordine empirico trae la sua origine dal Sistema.

RESPONSABILITÀ EMPIRICA: che l’essere ne sia consapevole o meno, ogni passo compiuto, così come ogni passo rinnegato, ha un preciso peso empirico, che genere responsabilità dirette nei confronti del Sistema.

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SISTEMA: Il rapporto tra l’ordine è il sistema è paragonabile a quello che intercorre tra una persona e il suo corpo. Sono interdipendenti dal momento che l’uno è contenuto nell’altro essendo la sua manifestazione visibile e la sua espressione di fatto. Se il sistema corrisponde alla persona, l’ordine costituisce il suo corpo, il suo fare, il suo manifestarsi, di conseguenza, poiché interagiscono continuamente, non è possibile distinguerli nettamente.

DEBITO EMPIRICO: se l’essere non interagisce col sistema in maniera sana e funzionale, seppur in buona fede, il sistema lo riconosce quale trasgressore rispecchiandogli un debito. L’assunzione del debito determina quanto l’essere si avvicini o si allontani dal libero fluire

LIBERO FLUIRE: costituisce la metafora di base utilizzata per descrivere lo stato d’eccellenza del sistema. Essere collegati col libero fluire, significa accedere ad una serenità naturale, essere in pace con se stessi a prescindere dalle circostanze esterne.

MATRICE D’ECCELLENZA: è il parametro di riferimento, tramite il quale è possibile misurare la qualità empirica delle azioni dell’essere.

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2.1. YIN E YANG

La filosofia e l’intero pensiero cinese sono dominati dagli aspetti yin e yang. La tradizione accorda alla natura femminile tutto ciò che è yin e alla naura maschile tutto ciò che è yang. Yin è la luna, il freddo, l’umido, l’inerte, il vuoto, la terra e yang è il sole, il caldo, il secco, il movimento, il pieno, il cielo, ecc. tutte forze antitetiche ma complementari esattamente come lo sono i due sessi. Come sottolinea “ il classico delle mutazioni”,( più conosciuto come “il libro dei mutamenti”o Zhou Yi , in occidente noto come I Ching ) il rapporto tra i due sessi è il fondamento della vita universale, il cui ordine è regolato dall’equilibrio tra gli stessi. Nel pensiero cinese lo yin e lo yang si generano reciprocamente in un movimento circolare simbolicamente rappresentato dal cerchio bicolore (il Tao) diviso da una esse in due parti uguali ognuna delle quali contiene un pallino rotondo del colore opposto. E’ il simbolo che indica che nessun principio può esistere senza la sua controparte. Secondo i taoisti ogni manifestazione è regolata da una semplicissima legge universale, quella del ritmo a due tempi, in un gioco di alternanza, di complementarità, di dualità, di compenetrazioni e di equilibri che riconducono all’unità. In linea con la filosofia orientale, gli stessi termini di yin e yang vengono utilizzati dall’Hardy come concetti chiave della sua “grammatica dell’essere”. Ogni espressione del cosmo, ogni dinamica e ogni materia contiene una delle due forze e dove l’una esprime la massima potenza l’altra nasconde la massima debolezza che a sua volta si rigenera nell’opposto. Il loro principio si basa sulla complementarità, unendosi, quindi, rafforzano la loro diversità. Insieme creano una sinergia capace di soddisfare al meglio ogni loro bisogno e di esprimere il meglio del loro equilibrio e della propria essenza. Ogni essere umano ha in sé, le due parti, yin e yang, con differenti cariche di base. La donna ha come carica primaria i principi yin, l’uomo quelli yang.

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L’acquisizione della carica si compie sempre nel grembo materno al momento del concepimento. L’attivazione sempre durante l’infanzia dal genitore dello stesso sesso. Per uno sviluppo armonico, l’individuo ha bisogno di entrambe le cariche ma è dalla sua carica primaria che egli trae forza e stabilità emotiva.

I prinicipi yin e yang contengono tutte le caratteristiche, i talenti e i moti interiori della donna e dell’uomo per definire i quali, l’autore fa riferimento ad un “codice di appartenenza”. Un vero e proprio manuale empirico delle qualità che si manifestano spontaneamente nell’essere umano in condizioni di armonia. Ogni codice comprende anche una parte “luce” ed una parte “ombra”cioè le doti più belle ed onorevoli, e quelle più difficili da accettare in quanto considerate parti inferiori della propria personalità. Le parti Luce che la donna possiede per sua natura e che sarebbe suo diritto esprimere, sono: l’accoglienza, l’amore incondizionato, la dedizione, la cura, il nutrimento, l’arrendevolezza, l’esprimere vivacità o commozione improvvise, ma anche cose più frivole come l’attenzione per gli aspetti esteriori, le chiacchere con le amiche, lo shopping, o semplicemente il dedicarsi ad attività apparentemente superficiali. Allo stesso modo ha diritto di esprimere i suoi lati ombra quali la fragilità, la paura, la tristezza, poca determinazione e poca concretezza, l’indecisione, l’avversione per la burocrazia, lo scarso senso dell’orientamento, ma anche isterismo, cattiveria, perfidia. Le parti luce che l’uomo possiede, invece, per sua natura sono: la forza, la spinta in avanti, l’amore condizionato, la capacità di assumersi le proprie responsabilità, l’essere guida, l’essere guerriero, la concretezza, la progettualità, l’ autorevolezza, la determinazione, il controllo, la competizione e la sfida. I lati ombra sono quelli espressi dalla rabbia, dall’aggressività, dalla prepotenza, dalla crudeltà, dalla spietatezza. L’essere che vive in armonia è in grado di accettare entrambe le parti.

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L’ autore definisce “integrata”, quella condizione in cui, per ciascun sesso, gli opposti, maschile e femminile, e le parti “luce ed ombra” sono perfettamente in armonia. Al contrario, “alterata”, quella condizione disarmonica in cui gli aspetti opposti non in equilibrio tra loro, sono portatori di malesseri e disagi nella persona.

2.2. MATRICE D’ECCELLENZA

Per ogni ruolo empirico, esiste una Matrice d’eccellenza che lo collega ad un ordine prestabilito; tale ordine contiene tutti i diritti e i doveri ai quali le azioni umane, in tempo reale, sono comparate, riportandone l’esito sul piano della coscienza. Ogni nascituro è portatore di una matrice d’eccellenza che contiene tutta la saggezza dell’universo e tutte le strategie, i moti profondi e le dinamiche nascoste di cui l’umanità dispone. La fase di attivazione della Matrice comincia con la nascita, momento in cui si instaura però, anche la consegna familiare. Il bambino, quindi, comincia ad attivare sempre di più i principi sistemici del copione familiare che, lentamente, prende il sopravvento allontanandolo sempre di più dalla matrice d’eccellenza. Da quel momento il fluire della sua vita, dipenderà dalla qualità del suo copione e da quanto questo aderirà alla matrice. L’essere uomo o donna costituisce un vero e proprio ruolo ai fini dell’ordine sistemico. Le loro matrici d’eccellenza contengono tutte le qualità empiriche del loro codice di appartenenza. La loro condizione armonica è presupposto indispensabile per manifestare uno stato di eccellenza in ogni altro ruolo, sia in ambito familiare che sociale. Come già abbiamo detto, lo stato integrato dell’essere può essere realizzato solo con l’integrazione della sua carica secondaria a condizione che durante l’acquisizione della carica primaria non ci siano stati traumi o situazioni che possano aver infranto i suoi

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diritti empirici. In tal caso, infatti, sarebbe ostacolato il collegamento con le proprie radici biologiche ed emotive, determinanti, queste ultime, ai fini di un sano radicamento nel proprio sesso e dell’ acquisizione di un profondo senso di sicurezza e di fiducia in sé. Tale presupposto è indispensabile per poter integrare il lato opposto, in quanto essendo ben radicato nella sua carica primaria, l’essere può attingere alla secondaria senza la paura né l’imbarazzo di esprimerla in maniera inadeguata. Il “maschio”, quindi, può ingentilire la sua forza e il suo fare rozzo ed invadente attingendo dalla sensibilità femminile che gli permetterebbe di espandere i suoi limiti strutturali, troppo schematici, analitici, razionali, rendendolo così più morbido e ricettivo e permettendogli di sviluppare maggiormente il proprio lato emotivo e sensoriale. Egli, avrebbe così, maggiore accesso al suo sentire, affinando i gusti, migliorando la sua introspezione e collegandosi con maggiore facilità al suo sé spirituale. Attraverso questa integrazione del femminile, l’essere può esprimere il meglio del suo essere maschile e sentire l’appartenenza al “cerchio degli uomini” , onorando, allo stesso tempo, la “tribù delle donne”. La “femmina”, a sua volta, dotata di aspetti più delicati, sensibili e sottili, gentili e leggiadri, di uno spazio interiore più ampio e di un coraggio che si origina nel cuore, attinge dal suo opposto forza, concretezza, razionalità e determinazione. Ciò le consente di potenziare le sue qualità e di dar loro massima espressione onorando, così, il proprio uomo libera dalla paura dei suoi soprusi.

Questa perfetta integrazione tra gli opposti, maschile e femminile, permette, ad entrambi i sessi, di manifestare la sublimità del lato “luce” e, di conseguenza, di accedere con maggiore facilità anche al riconoscimento ed all’accettazione del lato ombra”, fonte, quest’ultimo, di ricchezza e pienezza e determinante ai fini di un totale completamento del processo di integrazione. Anche secondo Jung, la zona d’ombra che egli definisce “l’insieme delle pulsioni negative della persona”, quando viene accettata, integrata, canalizzata e sublimata,

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consente all’essere di accedere alla sua vera identità e di accrescere la sua sicurezza interiore. Questa realizzazione consente all’essere di vivere una realtà unica, oggettiva e non una realtà illusoria, creata sulla base dei propri schemi mentali frutto di condizionamenti familiari, culturali, sociali impregnati di false credenze. Il pensiero che ne deriva, è un pensiero libero, un pensiero che attinge direttamente dalla saggezza universale alla quale si è riconnesso e che gli consente, ora, di vivere nel libero fluire.

2.3. STATI ALTERATI

Abbiamo visto come si realizza il modello di eccellenza che prevede l’uomoYang e la donna yin nel libero fluire. Vediamo ora come l’ordine concepisca anche forme espressive diverse che allontanano l’essere dallo stato del libero fluire fino ad estrometterlo totalmente. Si tratta di ruoli empirici alterati che rispecchiano la deviazione dell’essere dal proprio codice empirico e che evidenziano eccessi dovuti a squilibri provenienti da cariche primarie deboli. Tali alterazioni provengono soprattutto dalla consegna familiare. L’Hardy li divide in due gruppi principali: Il primo è caratterizzato da un eccesso di carica yin a favore di strategie femminili: Uomo yin Il secondo, caratterizzato da un eccesso di carica yang che manifesta un disequilibrio a favore di strategie maschili: Donna yang Tra questi due gruppi, esistono poi dei ruoli intermedi: Uomo finto yin e uomo finto yang e Donna finta yin e donna finta yang. Questi ruoli corrispondono a forme più attenuate rispetto ai precedenti e sono anche descritti come facenti parte della categoria della “vittima rabbiosa”, un ruolo ibrido che riguarda entrambi i sessi.

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In ogni caso, tutti i ruoli empirici alterati avvertono la mancanza di ambedue le cariche, non facendo riferimento in maniera sana né all’una né all’altra, poiché se una è compromessa anche l’altra non si può sviluppare in maniera genuina. In questi casi, l’Hardy parla di “orfani empirici” proprio perché si tratta di coloro ai quali è mancato il sostegno che deriva dalle radici genitoriali.

2.3.1 L’UOMO YIN

Il bambino che ha ricevuto dall’eredità paterna una consegna debole e compromessa, non può accedere pienamente alla sua carica primaria. Non avendo ricevuto “nutrimento” adeguato a livello emotivo, il suo sviluppo ha subito un arresto nella fase adolescenziale non consentendogli di attingere in maniera sana dal codice yang e di acquisire i principi guida maschili. La sua spinta vitale insufficiente e la sua incapacità di sostenere la sua carica aggressiva, lo costringono a lasciare da parte il suo ruolo e ad assumere un’immagine virile fittizia, la cui difficoltà a sostenere la quale, lo spingono a circondarsi di status simbol importanti e da un abbigliamento spesso particolarmente ricercato. Egli vive costantemente nella paura di manifestare le sue carenze e le sue debolezze condizionando così tutte le sue strategie vitali sia nei lati luce che in quelli ombra. La carenza della carica primaria caratterizza l’uomo yin dalla presenza costante del dubbio e dell’indecisione, dalla difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità e a sostenere le proprie opinioni rivelando il suo forte senso di inferiorità, spesso camuffato da un atteggiamento opposto. Sa essere simpatico senza mai essere diretto e schietto, è un buon amico ma non sempre in grado di sostenere l’altro nei momenti difficili. Raramente si arrabbia aumentando così il suo arretrato di rancore e di bisogno di vendetta, che, ancora incapace di esprimere, può, poi, sfociare in reazioni isteriche.

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Egli tende a subire la vita. Tali caratteristiche sono compensate da spiccata sensibilità e dolcezza, premura, capacità di adattarsi e un’eccessiva accondiscendenza. Predilige professioni in sintonia con tali caratteristiche quali il letterato, il poeta, l’artista, lo stilista o, in generale, ruoli che richiedano esecuzione di ordini piuttosto che di responsabilità dirette. Normalmente, il forte senso di colpa e la condizione di ansia che lo caratterizza lo spinge a sviluppare strategie passive e a non trasgredire mai le regole autorizzandosi in questo modo a rimanere nel ruolo di “bambino innocente”. L’uomo yin è spesso romantico e si commuove facilmente, non nasconde il suo bisogno di affetto e approvazione costante, è dipendente dalla partner a volte anche in maniera poco dignitosa. E’ più portato a dare che a ricevere ritenendo ciò un atto di amore, sentimento questo, al quale non può accedere, in quanto l’alto livello di paura lo porta a chiudere il suo campo sensoriale creando un’anestesia emotiva consistente che gli impedisce di accedere pienamente alle sue emozioni. Le conseguenze di tale chiusura si manifestano anche nella sfera sessuale con problemi di eiaculazione precoce, difficoltà di erezione, di impotenza. Inevitabilmente, l’umo Yin cercherà un legame di tipo madre-figlio, sentendosi fortemente attratto da donne finto yang o yang.

2.3.2 L’UOMO FINTO YIN

La naturale evoluzione dell’uomo yin è il finto yin. Se il primo si percepisce ancora puro e innocente, il secondo che è portatore di maggiore rabbia arretrata comincia a sentire sempre più forte il bisogno di rivalsa e di vendetta per quelle che il suo stato alterato gli fa credere ingiustizie subite.

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Percependo il pericolo di “rivelarsi”, egli tenta a tutti i costi di mascherare la sua forte spinta rabbiosa contro tutto e tutti sforzandosi di mantenere l’immagine del modello yin. Col passare del tempo sempre meno gli riesce contenere la sua rabbia furiosa cominciando a manifestare tratti più duri e atteggiamenti stizzosi che emergono sempre più spesso e dei quali egli stesso ne è sorpreso. Ansia, nervosismo e permalosità diventano segnale di un crescente bisogno di rivalsa che si manifesta con piccole punizioni e vendette ben mascherate da atteggiamenti “carini” soprattutto nie confronti della partner e di chi gli è più vicino. La sua naturale evoluzione lo sposta nel ruolo della vittima rabbiosa, condizione che rende sempre più difficile nascondere il suo volto reale. In questa fase l’essere si contraddistingue da un lato da atteggiamenti gentili yin e dall’altro da atteggiamenti aggressivi yang dei quali però prova vergogna. In questo ruolo i suoi moti, pur rimanendo intermittenti, diventano più aggressivi. La vergogna scompare. Egli riesce ad esprimere la sua irritazione soprattutto in situazioni in cui sente di poter avere il controllo. Tende ad essere moralista e maestrino lamentandosi spesso ma lasciando eternamente irrisolte problematiche affettive e relazionali, in particolare manifestando le sue critiche nei confronti della partner dalla quale è però totalmente dipendente. Questo quadro comportamentale è legato al suo alto livello di paura che frena ogni manifestazione genuina. Ansia, tristezza e malinconia sono i moti d’ombra che evidenziano la parte rinnegata e che si rafforzano col passare del tempo. Pur continuando a mantenere un’’immagine ragionevole di sé, le sue azioni e reazioni rivelano forti dissonanze che evidenziano la sua lontananza dalla realtà empirica. Accanto all’uomo finto yin è la donna finta yang che compensa meglio di ogni altra le sue carenze. E’ lei che detiene il ruolo maschile e non è disposta a cederlo spingendo l’uomo a cercare all’esterno attività e relazioni che riabilitino il suo ruolo.

Il crescendo delle reazioni rabbiose ed isteriche determina un passaggio “epocale”: quello dallo stato yin allo stato yang. Si tratta del passaggio più turbato di tutta la

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metamorfosi empirica che, sempre attraverso dinamiche subconsce, si svolge all’insegna della “mascolinizzazione”, con un primo passaggio da finto yin a finto yang.

2.3.3. FINTO YANG

Il finto yang si aggrappa disperatamente alle sue vecchie dinamiche mentre la sua spinta rabbiosa ne produce di nuove. In questo importante passaggio, che pur essendo in fase alterata tuttavia lo avvicina allo stato yang integrato, l’essere acquisisce maggiore stabilità e si riconosce, in una certa misura, un nuovo potere che, naturalmente, deriva da moti inquinati e non genuini. Il finto yang è, in realtà, un uomo yin travestito da “macho”, egli fa finta di manifestare la forza maschile, almeno all’inizio di tale ruolo. Si tratta, rispetto al ruolo precedente, di un diverso meccanismo di difesa, sempre atto a nascondere la sua paura originaria, attivato ora da un bisogno di rivalsa più pressante.Utilizza la forte spinta aggressiva della propria rabbia per affrontare situazioni che, inconsciamente, sente “troppo grandi” proprio perchè richiedono precise qualità maschili (determinazione, forza, attitudine alla guida., ecc.). Pur richiedendo un forte dispendio di energia e spesso anche a discapito della sua salute, il suo desiderio di rivalsa, lo spinge continuamente a forzare i propri limiti. L’ambizione lo caratterizza fortemente spingendolo a diventare un uomo di successo, a competere nello sport, un iperattivo con attitudine al potere o abuso di potere - il caso del despota o padre- padrone- e al controllo, un uomo senza scrupoli che usa tutto ciò che può sottolineare la sua virilità, non trascurando, a tale scopo, la cura dell’immagine esteriore sia con intensi allenamenti in palestra, sia tramite l’uso di costosi “status simbol”. Il finto yang, pur nascondendo con tali comportamenti un morboso bisogno di affetto, tristezza e angoscia profondi, può trarre in inganno in quanto utilizza i suoi opposti in

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misura più o meno equilibrata dando un’immagine di sé che si avvicina, apparentemente, allo yang integrato. Lo stato di finto yang è l’ultimo gradino dal quale poter intraprendere il percorso di recupero dello stato integrato, prima del “baratro” dello Yang alterato, definito, per questo, dall’Hardy “uomo senza ritorno”.

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2.3.4. YANG ALTERATO

Hitler, Stalin, Tito, sono gli esempi più estremi dell’estremo stato di alterazione, lo yang alterato appunto. Pur appartenendo alla stessa energia ed interpretando entrambi la stessa alterazione empirica, lo yang alterato si libera di tutte quelle caratteristiche che mantenevano il finto yang in una manifestazione dell’alterazione più contenuta. Spazzato via ogni residuo di ragionevolezza e di senso della misura, il finto yang ricopre ora il ruolo di quello che, nell’accezione comune, può essere definito il carnefice, il tiranno per eccellenza. E’ il caso di colui la cui enorme sofferenza e l’indicibile disagio, hanno completamente interrotto il contatto con le emozioni tramite una anestesia totale, che ha portato ad un indurimento dell’anima irreversibile e sviluppato un tale livello di freddezza e cinismo, da non avere più alcun rispetto per i diritti empirici altrui.E’ il caso di colui che ha sviluppato una mente diabolica e spietata, che sfida la morte e che soddisfa la propria sete di vendetta in totale assenza di scrupoli e limiti. E’ il caso di colui che conosce e manifesta l’odio con un disprezzo totale per la vita propria e degli altri. Non è facile descrivere tutte le manifestazioni frutto di questa alterazione, ma è assolutamente indispensabile ricordare che accanto al palese comportamento del “fanatico”, dell’”integralista”, dell’assassino socialmente riconosciuto, esiste un “omicidio” psicologico ed emotivo, derivante dall’abuso di potere politico, economico o spirituale esercitato senza pietà e, spesso, legalmente legittimato.

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2.3.5. DONNA YIN ALTERATA

Come per l’uomo yin, la donna yin alterata manca del modello genitoriale sano la cui causa è la debolezza della carica primaria materna cui fare riferimento. Come per il finto yang, anche la donna yin alterata, essendo portatrice di uno yin eccessivo, potrebbe apparire una yin integrata. Sia nell’aspetto che nel fare si dimostra morbida, premurosa, totalmente dedita alla famiglia e disponibile con tutti. Entrambe hanno un lato femminile ben sviluppato per quanto la donna yin alterata, usandolo come strategia di difesa ne manifesta l’eccesso, mentre l’altra ne trae tutta la sua forza. Non avendo integrato in maniera armonica i due opposti, la donna yin alterata presenta problematiche molto affini a quelle dell’uomo yin, mancandole il sostegno e la forza della carica secondaria, yang. Subisce il mondo esterno in quanto carente di carica aggressiva genuina che la rende incapace di dire no e che anche nella sfera sessuale si ripercuote con una libido debole o inesistente che le fa subire il rapporto col partner. Certa che per essere degna d’amore debba necessariamente soddisfare desideri e bisogni altrui, la donna yin alterata, manifesta il prinicipio yin dell’accoglienza in maniera eccessiva, è accondiscendente, dolce e mielosa così oltremisura da diventare invadente, quasi appiccicosa. Essendole funzionale rivestire il ruolo di “brava bambina” al fine di ricevere consensi, rende in tal modo forzate ed innaturali le sue doti femminili. Cresce così, in lei, la sensazione di amare troppo, di essere all’interno della coppia quella che non riceve amore sufficiente a ricambiare ciò che da, non sentendosi mai corrisposta in maniera appagante. Naturalmente, non potendo accedere ad un sentimento genuino, tutto ciò che esprime non è altro che un surrogato di ciò che lei crede essere amore. Sviluppa una forte dipendenza dall’altro e crea, a sua volta, dipendenze da sé, è portata a fare tutto da sola per potersene poi lamentare; nelle relazioni interpersonali evita accuratamente argomenti scomodi, situazioni che la costringano ad esprimere il suo

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pensiero, specie se in contrasto con quello dell’altro, e ogni approccio diretto che le crei disagio. Alla base di tali atteggiamenti vi è la paura che guida il suo vivere, la paura di essere perennemente minacciata dalla possibilità del dolore, fisico ed emozionale. Il suo apparire timida ed impaurita le consente più facilmente di eludere situazioni di questo tipo. Naturalmente, la conseguenza di tutto ciò, è un accumulo sempre più ingestibile di rabbia che, aumentando il suo debito empirico, determina il passaggio dal ruolo di vittima a quello di vittima rabbiosa, accedendo al ruolo di finta yin.

2.3.6. DONNA FINTA YIN

Tutta la rabbia e il rancore accumulato nello stato alterato, crea inevitabilmente delle trasformazioni di cui l’essere non è consapevole. Il passaggio da un ruolo all’altro avviene in maniera impercettibile. Mentre la donna yin alterata è ancora nel ruolo di vittima, non si rende conto che la sua ingente quantità di rabbia non può più essere contenuta ed è così costretta ad assumere atteggiamenti diversi per poterla manifestare suo malgrado.Tale livello di rabbia che distorce la percezione di se stessa e del mondo che la circonda e che agisce come indicatore passivo, subentra alle caratteristiche specifiche della donna yin alterata, cioè paura e sensi di colpa, che sono gli indicatori attivi. Questo cambiamento, ha come prima conseguenza, la nascita di un sentimento di rivalsa che alimentandosi via via arriva al livello più elevato proprio della vittima rabbiosa, fino a sviluppare un vero e proprio istinto omicida. Il tutto, sempre ben mascherato dall’immagine della “brava bambina” vittima innocente, ancora molto disponibile e che ancora utilizza l’eccesso d’amore, come merce scambio.

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In realtà, negli atteggiamenti della finta yin, cominciano ad essere sempre più evidenti stonature e discordanze dovute all’incapacità di controllare la sempre maggiore spinta aggressiva. Si crea così una fase di scissione, da un lato la disperata esigenza di rimanere innocente, dall’altro il crescere di un bisogno di vendetta per i torti che sente d’aver subito e per la delusione delle aspettative disattese. Anche se il suo fascino potrebbe catturare ruoli maschili più “evoluti”, il partner col quale può instaurare un rapporto è il finto yang, che è il suo opposto. Superata la fase dell’innamoramento, tale rapporto si spoglia del falso perbenismo rivelando i suoi atteggiamenti aggressivi, delegittimando il partner e assumendo lei stessa il ruolo di guida della coppia nella totale inconsapevolezza di entrambi. Il suo forte senso di colpa la spinge però, a rimediare agli atteggiamenti aggressivi con altri più dolci ed accondiscendenti, sviluppa inoltre, una tendenza alla critica ed al giudizio che si rivela essere per lei una importante valvola di sfogo che, però, non manifesta apertamente. In questa fase, caratterizzata da una maggiore spinta rabbiosa, la donna finta yin si concede una libertà sessuale mai vissuta prima, comincia a godere della propria fisicità superando i sensi colpa. Diventa più maliziosa e seduttiva ma in maniera sempre molto “innocente”. Comincia a sfogare la propria rabbia ma solo con chi sente più debole, continuando, in realtà, a reprimere il suo campo sensoriale, a sfuggire situazione “scomode”e prediligendo gli aspetti più frivoli e superficiali della vita. La sua scissione interiore, il suo stato di debito sempre maggiore, la portano a violare le leggi dell’ordine, allontanandosene sempre di più. Continuando a pensare che siano sempre gli altri a farle del male, inizia però a manifestare la sua rabbia omicida, infliggendo ora lei dolore agli altri ma percependosi sempre come vittima innocente. Fisicamente, la donna finta yin si presenta con bacino, spalle e collo bloccati, anche l’andatura di conseguenza è rigida ma piuttosto spedita, nel complesso, manca di naturalezza e scioltezza.

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Nelle forme più avanzate può manifestare movimenti più sensuali, quasi felini ma sempre rivelatori di forza yang.

2.3.7. DONNA FINTA YANG

Dal punto di vista sistemico, la finta yang è la vittima rabbiosa progredita sempre volta a coprire la propria fragilità attraverso l’apparenza aggressiva. Si tratta sempre della bambina innocente e spaventata che tenta di salvarsi dal mondo intero con strategie difensive maschili. Il desiderio di salvare la propria innocenza da un lato e, dall’altro la forte spinta a vendicarsi, le crea un enorme conflitto interiore. Ma la sua rabbia è, ormai tale, da non permetterle di fare più buon viso a cattivo gioco. Scivola così nel ruolo di vittima-carnefice costringendosi all’autoinganno di una realtà tutta sua che le permetta di non sentirsi “cattiva”. Vive sempre un conflitto tra paura e rabbia ma col tempo, la sua tendenza a retrocedere e a subire si trasforma in spinta in avanti, è infatti, più diretta, intraprendente, assume atteggiamenti autenticamente yang finalizzati esclusivamente a proteggersi. La donna finta yang, si rivela anche capace di esprimere doti femminili, come l’amore incondizionato anche se di norma, si aspetta qualcosa in cambio. Nella sfera affettiva attrae un partner finto yin del quale compensa la mancanza di senso di sicurezza. La strategia seduttiva prevede dimostrazioni di autonomia e di indipendenza. Ma, con il consolidarsi della relazione la donna finta yang rivela tutta la sua fragilità e dipendenza, pur rimanendo colei che detta legge, delegittimando, denigrando e mortificando il partner e perpetuando, in tal modo, la sua vendetta contro il maschile. Del resto, il suo bisogno di predominio è tale, che pur desiderando un partner forte, ne sceglierà sempre uno disposto a farsi mettere in ginocchio.

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Tale situazione non fa altro che aumentare il suo livello di rabbia che però non le permette di abbandonare il partner, la sua dipendenza emotiva non glielo permette. Il legame sempre più degradato e morboso si sposta completamente nel lato ombra: i due esseri non sono più tenuti insieme dalla compensazione delle loro virtù ma dall’ instaurarsi di una situazione di dipendenza dal dolore.

Il forte desiderio di vendetta della donna finta yang non è, però, rivolto solo nei confronti del maschile. In realtà, ogni donna finta yang ha subito l’”assenza” della propria madre, è, per questo, una donna che si sente fortemente tale, che ha sviluppato grandi capacità seduttive ma che, in realtà, è segregata nel proprio femminile. Grazie alla sfida persistente riesce a liberarsi dalle inibizioni che nascondevano il desiderio di vendetta anche nei confronti di un femminile per il quale prova astio e rancore smisurati.

2.3.8. DONNA YANG

La donna yang, pur mantenendo un aspetto esteriore femminile a volte anche prorompente, è caratterizzata dall’aver completamente sostituito, nella sua metamorfosi empirica, le caratteristiche yin con quelle yang. La spinta maschile enorme che ha attivato per proteggersi dalla sofferenza derivante dai suoi bisogni insoddisfatti e dalla conseguente incapacità di donare amore, hanno portato la donna yang ad allontanarsi, fino a perderle, dalle proprie facoltà di cuore, principio attivo yin che si manifesta attraverso il “dare”. La donna yang, esattamente come l’uomo yang alterato, è colei che desidera ormai solo soddisfare uno smisurato bisogno di vendetta, attivando solo tutti gli aspetti propri del lato ombra.

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A tal scopo, attinge magistralmente solo dai lati ombra sia yin che yang, rivelandosi esperta stratega. Inganno e perfidia sono le sue arme più affilate che utilizza ormai completamente libera da scrupoli e freni inibitori. La sua strategia più efficace è indossare una impenetrabile maschera da donna affabile, gentile, disponibile. La sua capacità di dare molto nasce dal bisogno di acquisire potere e rendere l’altro debole al punto da togliergli autonomia e dignità, fino ad annientarlo completamente, succube quest’ultimo del fascino e del carisma di cui è portatrice. Il suo profondo disprezzo per la vita le consente di attivare schemi autolesivi e annientanti in grado di non arrestare la sua spinta rabbiosa neppure di fronte alla morte. A livello molto profondo, esiste in lei un forte bisogno di espiare.

Nell’ambito professionale, la sua esuberanza maschile e la sua astuzia femminile le consentono di raggiungere i massimi livelli di potere, ottenuti sempre tramite modalità prive di scrupoli e di considerazione altrui, manifestando ella il male in ogni ruolo che ricopre. Tale condizione la porta completamente fuori dall’ordine.

2.3.9. LA VITTIMA RABBIOSA

Il ruolo della vittima rabbiosa caratterizza il passaggio da un estremo all’altro ma non è contenuta negli estremi stessi. Ogni ruolo intermedio, (donna finta yin e donna finta yang, uomo finto yin e uomo finto yang) cioè, è caratterizzato dal ruolo della vittima rabbiosa, che la metamorfosi sistemica prevede obbligatoriamente. Il ruolo della vittima rabbiosa non può esistere nella fase dello yin alterato perché, in tale fase, l’accumulo della rabbia è ancora piuttosto debole.

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Nello yin alterato, infatti, l’indicatore empirico attivo è la paura, che maschera la rabbia con l’assunzione di atteggiamenti yin. Al contrario, nella fase opposta, quella dello yang alterato, il ruolo della vittima rabbiosa non è presente perché la rabbia, indicatore empirico attivo di questa fase, è talmente forte da aver provocato un irreversibile indurimento dell’anima, trasformando la rabbia stessa in odio. Di conseguenza, nell’alterazione yin, l’indicatore empirico passivo è la rabbia, che, persistentemente rinnegata, provoca una degenerazione morbosa dello stato alterato. La conseguenza di ciò, provoca inevitabilmente un aumento del debito empirico che, pegno l’estromissione dall’ordine, l’essere dovrà comunque affrontare, riscontrando sempre maggiore difficoltà. Nell’alterazione yang, invece, l’indicatore empirico passivo è la paura, che persistentemente rinnegata, nasconde, attraverso la manifestazione di uno spirito guerriero, la paura ancestrale, quella della morte. In questa situazione di alterazione, più l’essere tenta di ignorare l’esistenza degli indicatori empirici passivi, più si evidenzia il tentativo dell’ordine di rimediare, a fin di bene, aumentando la presenza degli indicatori stessi. Ai fini di una integrazione sistemica, però l’ordine spinge fortemente verso una compensazione forzata, cioè verso la necessità di integrare tali indicatori. Ma l’essere, attraverso strategie vitali, giustifica e legittima il suo rifiuto verso di essi, impedito sempre dalla paura di affrontare il suo dolore. Ogni suo agire, quindi, ed ogni sua scelta è basata sul tentativo di compensare il proprio debito empirico. Un’infinità di aspetti e sfumature diversi caratterizzano il processo di metamorfosi della vittima rabbiosa da un ruolo all’altro, ma c’è un aspetto che li accomuna tutti, e cioè il sentirsi “bravi bambini innocenti”. Essi, cioè, totalmente incapaci di riconoscere le proprie responsabilità, giustificano tutto il loro agire, trovando negli altri o nelle situazioni circostanti, la causa dei loro disagi.

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Di norma, la fase della vittima rabbiosa si sviluppa dopo l’infanzia, periodo in cui il sistema prevede, quale diritto naturale di ogni essere, lo stato di innocenza e di dipendenza. Ciononostante, il sistema, pur riconoscendo l’assenza di colpa, riconosce nell’essere, anche in questa fase, la sua responsabilità nei confronti dell’ordine. Può accadere, nel caso di un bambino non desiderato o portatore di una consegna familiare pesante, che il degrado empirico avvenga in maniera precoce, addirittura nel ventre materno. E’ il dolore a stabilire l’innescarsi del processo di alterazione: quanto più da bambini si è provato dolore tanto prima si accede alle fasi yang alterate. Lo stesso dolore, però, potrebbe intrappolare nell’eccesso opposto yin, non consentendo all’essere di accedere per nulla nel ruolo dell’adulto, manifestando così un persistente stato infantile.

Un discorso a se stante necessita la Rabbia. Michel Hardy la definisce il “catalizzatore principale” attraverso il quale due persone si scelgono o si respingono, una sorta di “filtro” di base che determina tale scelta. Ciò a dire che la compensazione della carica aggressiva di cui ciascun soggetto è portatore è condizione indispensabile per qualsiasi relazione, integrata o alterata che sia. Questo perché, il sistema prevede, per ogni nucleo affettivo, un potenziale aggressivo pieno e genuino che garantisca la sopravvivenza della specie. L’uomo yang, depositario naturale di questa forza, ma non in grado di soddisfarla pienamente all’interno della coppia, oltre ad accumulare debito empirico, cercherà di compensarne la mancanza trovando una partner in grado di esprimerla al suo posto. Al contrario, l’uomo yang integrato, partner naturale di una donna yin integrata, adempiendo al suo ruolo di portatore sano della propria carica primaria all’interno del nucleo familiare, consentirà di conseguenza, un accesso altrettanto sano ai propri figli alla stessa carica primaria.

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Il lavoro empirico guidato dall’Hardy durante i seminari esperenziali, ha posto come tema centrale quello della Rabbia. Ne “la terapia della rabbia”, l’allievo comincia a prendere contatto con questo sentimento di cui, quasi sempre non si è consapevoli. La sua importanza è determinata dal fatto che da piccolo, ogni bambino è stato sgridato e accusato di “cattiveria” a causa di una manifestazione di rabbia. Ciò ha creato immediatamente in lui un forte senso di colpa per aver fatto dispiacere i propri genitori. Il piccolo la vive così, come un sentimento negativo, pericoloso, assolutamente da evitare. La terapia, attraverso il ricreare dinamiche in grado di stimolare la manifestazione della rabbia repressa, permette, a ciascun individuo, di diventarne consapevole, alleggerendo, man mano, il serbatoio nel quale si è accumulata. Questo lavoro ha l’obiettivo di far prendere coscienza del ruolo determinante che la stessa ha assunto nelle dinamiche personali e relazionali di ciascun allievo coinvolto, aiutando “il bambino interiore” a non averne più paura e ad esprimerla liberamente. Il secondo passo, ne “il potere della rabbia” è riconoscere che, più che trattarsi di un sentimento negativo, al contrario, la rabbia è un’energia potente che fa parte del nostro potere personale. Il riuscire quindi a farla emergere è indispensabile per poterla poi trasformare da energia fortemente distruttiva in amore. Svuotare completamente il serbatoio della rabbia accumulata, eliminando quindi l’azione di sabotaggio che assumeva nella nostra vita, ci permette di apprendere nuove modalità di espressione di questa energia, volte ora, a portare armonia ed equilibrio.

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3. RELAZIONI ALTERATE

Il fallimento di relazioni interpersonali e la condizione di solitudine nella quale spesso l’essere si ritrova, con uno stato di sofferenza indicibile, è probabilmente ciò che maggiormente spinge l’individuo a mettersi in gioco. Una relazione sana è il desiderio fondamentale dell’essere umano.

Nel capitolo precedente abbiamo potuto delineare le alterazioni nell’individuo, basandoci sui concetti di femminile e maschile, di yin e yang, e i vari livelli che le contraddistinguono. Come risulta facilmente intuibile, le relazioni create dall’unione di individui alterati, non possono che risultare tali a loro volta. Le compensazioni relative al singolo, quindi, si manifesteranno inevitabilmente anche all’interno della coppia. L’unione tra un uomo yang integrato e una donna yin integrata, è la sola, secondo l’Hardy, in grado di costituire una coppia funzionale al sistema e di rispondere ad un bisogno di compensazione sano. In tutti gli altri casi, invece, le coppie si basano sulla compensazione di una debolezza, vale a dire che “più uno dei partner possiede una carica mancante, più l’altro necessita della stessa in eccesso”. Attratti, in maggior misura, l’un l’altro, dal lato ombra, i soggetti di una coppia alterata, sono evidentemente privi di corrente vitale sana e creano così un rapporto di bisogno che, nei diversi “incroci,” si manifesta in maniera differente. Pur distinguendo le due forme di base, coppia alterata e coppia inversa, l’autore, sottolinea, alla base di entrambe, il legame di dipendenza reciproca, cioè il realizzarsi di una relazione non basata sull’amore ma sul bisogno. Certamente, partendo dal presupposto che la coppia che più si allontana dall’eccellenza è la coppia inversa formata da Uomo yin e Donna yang, alla quale spetta il gravoso

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compito di dover dimostrare esattamente il contrario di ciò che è, tutti gli incroci, sono comunque, caratterizzati dall’aspetto yang dominante. Nel caso della donna, questo si manifesta sia nel suo ricoprire ruoli intellettuali o imprenditoriali, sia nell’assumere atteggiamenti da “femme fatale”, ostentando i suoi attributi fisici. Nell’uomo, invece, assistiamo alla rappresentazione della figura del “macho”, del “playboy”, del “duro che non chiede mai”. Cercando di nascondere la propria carica primaria mancante, i loro partner ideali, gli yin alterati, si travestono da “padrona di casa morbida e accogliente”, da “bambina acqua e sapone”la donna e da “uomo sensibile e comprensivo, “sempre disponibile e garbato”, l’uomo. Alla base di tutte le relazioni che nascono da questi incroci, lavora un meccanismo di compensazione interiore previsto dall’ordine e fondamentale per la compensazione delle parti yin e yang. Ogni individuo, per quanto alterata, cerca di interpretare al meglio delle sue possibilità la propria carica primaria nel tentativo di soddisfare il “ bisogno assoluto” di sentirsi all’altezza del proprio sesso biologico. A tal scopo, naturalmente anche il partner compensativo, in maniera proporzionale alla sua mancanza, assume un ruolo fondamentale. In questo “gioco di ruoli”, se l’essere che non ha pienamente avuto accesso alla sua carica primaria ha contratto un debito sistemico, sarà naturale e necessario per lui, trovare un partner portatore di un debito simile. Ognuno di loro, pur di evitare di confrontarsi col proprio debito, cercherà di dare il volto della propria personalità alla propria alterazione empirica, giustificandola, in questo modo, a se stesso e agli altri. Una coppia caratterizzata da tale modello compensativo che possiamo, con parole dell’Hardy, definire “morboso”, non può che avere, alla base della propria sopravvivenza, sentimenti quali la rabbia, la paura e la tristezza abilmente nascosti dalla maschera della propria realtà illusoria. L’amore, dunque, in queste relazioni, non può esistere, in quanto, l’attaccamento emotivo, confuso, dai soggetti coinvolti, per vero amore, ha il solo scopo di colmare i

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vuoti interiori senza, naturalmente, nulla a che vedere con il pieno senso di appagamento e completezza che l’amore dona.

3.1. COPPIA INTEGRATA

Abbiamo già anticipato che la sola coppia in grado di creare un legame stabile e appagante è quella composta da due partner integrati, cioè da un uomo Yang integrato e una donna yin integrata. Tale coppia genera una sinergia sistemica che nessun altro incrocio è in grado di generare, poiché in essa ciascuno dei partner accede in maniera sana alla propria carica primaria. L’uomo yang integrato e la donna yin integrata sono i soli ruoli in grado di assumersi pienamente le proprie responsabilità. L’uomo guida, ben consolidato nel suo potere yang, lei cura e nutre, entrambi con una “visione sincronizzata” della realtà e privi dell’esigenza di ostentare le proprie rispettive cariche per potersi sentire adeguati. La coppia integrata è l’unica formata da partners in grado di essere ciò che realmente sono, poiché l’uomo non ha alcun bisogno di ostentare la propria virilità né la donna la propria carica seduttiva per essere riconosciuta tale. Ciò permette a questa coppia di vivere nel libero fluire, essendo la sola in grado di risolvere malintesi inevitabili in qualsiasi tipo di coppia, senza che uno dei due partner si senta violato o, al contrario, debba attaccare con violenza l’altro. L’uomo yang integrato e la donna yin integrata sono gli unici ruoli che hanno esaminato e reso consapevole il loro lato ombra, inglobandolo come parte essenziale di se stessi e esprimendo così il massimo grado di integrazione degli opposti. Tale auspicabile condizione è la sola che, nella coppia, consente al singolo di sostenere, senza il bisogno di critica, i difetti dell’altro proprio in quanto è già stato capace di accettare prima la parte più scomoda di sé.

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Per concludere, l’amore che abbiamo visto non potersi esprimere in nessuna delle relazioni create da partner alterati, nel caso della coppia integrata, è alla base del suo nutrimento, essendo l’unica coppia libera da proiezioni infantili e, di conseguenza, da richieste disarmoniche generanti, come nelle situazioni alterate, risentimenti o rancori di ogni tipo. In tale coppia, i due partners, avendo evaso il loro debito originario, acquisiscono il diritto alla procreazione e alla famiglia, essendo i soli in grado di generare e rigenerarsi attraverso l’amore. L’uomo assume il ruolo di capofamiglia, onorato e riconosciuto dalla donna che, a sua volta, sentendosi protetta e grata, può rivolgere la sua attenzione alla cura e alla crescita dei figli. L’amore e la morbidezza di cui la donna è portatrice vengono riconosciuti dall’uomo quali valori onorabili di fronte ai quali inchinarsi. “Lui riconosce in lei la sua maestra d’amore, essendo pieno di stupore e di tenerezza per questo sentimento inedito. Ed è proprio per questa ragione che mette tutto se stesso al servizio di questa dote per lui tanto impalpabile quanto luminosa e ambita. La luce naturale yin, le sue radici spirituali, e la sua facoltà di donare vita a lui e alla sua prole, si manifesta nella realtà yang come valore incommensurabile”.

E’ in questa condizione che si compie la massima compensazione sistemica.

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4. REALTÀ ILLUSORIA

Cercherò, in questo capitolo, di analizzare i motivi per i quali l’essere si allontana dall’ordine, rinunciando così rapidamente alla realizzazione della sua felicità.

4.1. Il blocco delle emozioni

Siamo in grado, alla luce di tanta letteratura psico- spirituale, di affermare che, ciò che caratterizza ogni individuo alterato, infelice, totalmente insoddisfatto della propria esistenza e della propria persona, viene fatto risalire al suo non aver sviluppato la propria crescita interiore in maniera completa, bloccando le proprie emozioni nell’infanzia. La conseguenza di ciò è l’aver sviluppato la tendenza a ricreare conflitti infantili

Raramente durante l’infanzia l’essere riceve amore in maniera adeguata e sufficiente al suo bisogno. Tale mancanza è talmente deprivante, da portare l’essere a cercare di soddisfarla, inconsapevolmente, per tutta la vita. Il tentare ostinatamente di riavere l’amore che non si è ricevuto da piccoli,

ci impedisce di aprirci all’amore che

potremmo ricevere oggi, cambiando così, una volta per tutte, quella reazione a catena che porterà anche i nostri figli a ricevere la stessa consegna familiare. Freud, ormai un secolo fa, definì questo bisogno di ripetere il passato “coazione a ripetere”, sottolineando la necessità dell’adulto alterato di ritornare sulle stesse dinamiche infantili per poterle correggere. Questa coazione a ripetere è tanto potente quanto inconscia.

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Il tentativo di risolvere i conflitti infantili si manifesta in maniera particolare nei rapporti di coppia, scegliendo inconsciamente un partner con le caratteristiche del genitore che ci ha amato meno ma anche dell’altro. Questa tendenza, così spiccata nel rapporto di coppia può riguardare anche tutti gli altri tipi di relazione. Il bambino che vive nel passato, incapace ancora di accettare le frustrazioni subite nell’infanzia, a comprendere e a perdonare, continua a ricreare le situazioni vissute allora nella speranza di impossessarsi di ciò che sente di non aver ricevuto. Naturalmente, tale strategia non può che fallire. Non solo. Essa si rivela estremamente distruttiva poiché chi la agisce vive un’illusione, una realtà virtuale nella quale è sostanzialmente impossibile ricevere quell’amore maturo al quale l’essere aspira. In tale realtà, la convinzione che ora, con una volontà più forte, siamo in grado di ottenere dal partner ciò che non si è riusciti ad ottenere dai propri genitori, si radica dentro di noi, diventa una assurda pretesa che, rimanendo puntualmente delusa, porta alla ormai nota “coazione a ripetere”. Solo quando si riesce a superarla, è possibile diventare consapevoli che l’amore non può essere estorto ed è possibile riconoscere che ciò che ci fa agire con quelle modalità, è la dipendenza dall’amore che i nostri genitori non ci hanno dato. Continuando a non riconoscere questo meccanismo, cerchiamo di soddisfare i nostri falsi bisogni da una fonte che non è in grado di nutrirli. E quanto più a lungo rimangono insoddisfatti, tanto più diventano urgenti e pressanti. E quanto più questo avviene, tanto più aumenta la nostra dipendenza. E tanto più il rapporto con gli altri peggiora. Ogni tentativo di forzarli, infatti, crea in loro delle resistenze e li fa chiudere in se stessi dando luogo così ad un circolo vizioso infinito. La costante frustrazione, erroneamente attribuita al rifiuto degli altri di cooperare, genera così in noi dolore, rabbia ed anche desiderio di vendetta e crudeltà. E ciò, a sua volta, ci rende ancora più deboli a causa dei sensi di colpa che crea. La conclusione a cui si giunge è che sia necessario nascondere gli impulsi distruttivi per non rischiare di allontanare da noi coloro che consideriamo la fonte stessa della nostra

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vita. E il circolo si chiude con noi stessi completamente imprigionati nella trappola delle emozioni distruttive che derivano da tutti questi malintesi, da tutte queste illusioni. In una condizione davvero paradossale, ci ritroviamo ad implorare amore ed approvazione proprio da coloro che più odiamo per averci, così a lungo, negato ciò che volevamo tanto intensamente. L’apparente rifiuto da parte degli altri di soddisfare i nostri desideri, ha come ulteriore effetto quello di indebolire la nostra convinzione che sia un nostro diritto ricevere ciò che desideriamo e che, probabilmente non sia per nulla naturale avere desideri, cominciando così a reprimerli ed a sostituirli con altri più o meno artificiali. In questa condizione la disperazione e il dolore aumentano sempre di più fino a paralizzare corpo, mente, anima, creando una vera e propria anestesia che ci permetta di non accedere più a questi sentimenti talmente devastanti da poter essere letali. Creiamo così una pseudosoluzione, una parete protettiva vitale che ci separa dall’impatto delle esperienze emotive. Questo meccanismo di difesa, nel tentativo di allontanarci dal dolore, ci allontana anche dalla possibilità di essere felici e, cosa ancor più grave, distrugge la nostra capacità di sentire. Anche se non ne siamo consapevoli, abbiamo in questo modo preso la decisione di allontanarci dalla gioia e dall’amore.

4.2. La maschera o immagine ideale

Lo scudo protettivo di cui l’essere si è dotato diventa la sua nuova veste, l’immagine che d’ora in poi adotterà per agire nel mondo illudendosi così di superare il dolore e l’insicurezza e pretendendo di essere ciò che non è. Ma dal momento che il senso di fiducia in se stessi generato dall’immagine ideale è artificiale, i risultati non possono essere quelli aspettati ma, di fatto, sono l’esatto

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opposto. Mantenere in piedi questa versione ideale di noi stessi diventa una lotta disperata causa di enormi frustrazioni, di confusione e di conflitto. Cercare a tutti i costi di nascondere i propri “lati ombra”, secondo un’attitudine interiore fondamentalmente disonesta che nega l’esistenza di emozioni negative, quali l’orgoglio, la vergogna, i sensi di colpa e la paura di farsi vedere dagli altri così come si è, diventa un’impresa impossibile alla quale l’essere però lavora incessantemente, e abbandonando la quale sentirebbe il mondo crollargli addosso. E’ il caso del ruolo “della brava bambina” e del “bravo bambino” per i quali essere “buoni e perfetti” appariva condizione di vita o di morte, avendo associato l”essere cattivi” con la punizione e il dolore e l’ “essere buoni” con il piacere e le ricompense dei genitori. Non sempre però, l’immagine ideale cerca di mettere in evidenza solo i” lati luce” dell’essere( essere altruisti, amare gli altri, non arrabbiarsi mai e tutte quelle indicazioni che abbiamo ricevuto da bambini e che abbiamo adottato per paura di non ottenere l’amore dei nostri genitori). Talvolta essa idealizza anche tratti negativi dell’individuo, quali l’orgoglio, l’ostilità, l’ambizione, ritenuti dall’individuo stesso segni di forza, di superiorità, di indipendenza, tratti di cui egli si vanta e la cui assenza negli altri, al contrario, considera assoluto segno di debolezza. Naturalmente, tale attitudine è legata anche ai diversi stadi di metamorfosi empirica, cioè alla maggiore o minore vicinanza alla fase yin o yang. Nonostante sia impossibile essere all’altezza della nostra immagine ideale, non siamo disposti a rinunciarvi, ma ogni volta che falliamo nei nostri tentativi di tenerla in piedi, il senso di non valere nulla si impadronisce di noi. Per sfuggire, poi, a questa sensazione di essere dei “falliti”, tendiamo a proiettare il nostro fallimento sugli altri, incolpandoli per tutto ciò che non va in noi stessi. Tale atteggiamento, sempre assunto inconsapevolmente, non crea altro che ulteriori conseguenze, riducendo significativamente il proprio livello di autostima, base indispensabile su cui poggia la salute psicologica di ogni individuo.

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E quanto più la nostra immagine ideale è grande tanto più la nostra autostima è precaria. L’immagine ideale, che avrebbe dovuto eliminare la nostra insicurezza, in realtà alla fine non fa che aumentarla rendendola sempre più insidiosa. Si crea un nuovo circolo vizioso: quanto più l’insicurezza aumenta, tanto più le richieste dell’immagine ideale si fanno pressanti, e tanto meno siamo in grado di farvi fronte, tanto più diventiamo insicuri. Così, quanto più fortemente ci identifichiamo con la nostra immagine ideale, tanto più grande è la delusione quando non riusciamo in nessun modo a tenerla in piedi nelle varie circostanze che la vita ci presenta.

Questo tentativo artificiale di essere ciò che non si è, è incompatibile con il processo del vero cambiamento interiore e della vera crescita, perché, naturalmente, non ci si può dedicare contemporaneamente alla costruzione del falso sé e alla scoperta di chi realmente siamo.

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5. IL LAVORO CON MICHEL

Riuscire a vedere che l’immagine ideale era destinata a risolvere specifici problemi della propria infanzia, al di là del generico bisogno di sicurezza, di piacere, di felicità, permette di riconoscerne anche la sua natura illusoria, e di considerarla in definitiva solo per ciò che realmente è: un insopportabile peso di cui è bene liberarsi. Solo dopo aver riconosciuto che essa non ci ha aiutato a superare le insicurezze che era destinata a superare, ma che, al contrario, ne ha create di nuove provocando ulteriori problemi nella nostra vita, solo allora possiamo decidere di dissolverla in maniera definitiva. Il Protocollo Empirico, proposto da Michel Hardy che è alla base del lavoro svolto nel percorso di studi nella Libera Università di Psicologia Empirica, favorendo la fenomenologia del sentire, ha lo scopo di “portare alla luce il proprio vissuto che giace nella penombra”, di scoprire la tendenza a vedere le cose come si vorrebbe che fossero e non come realmente sono. Attraverso il coinvolgimento del corpo, stimolato a muoversi e ad esprimersi con un linguaggio suo proprio, e attraverso il fare piuttosto che il capire, il lavoro di analisi empirica ha permesso a ciascun allievo di aprire una finestra sul proprio vissuto e di entrare in contatto con le sue emozioni più remote, bypassando gli ostacoli che la mente di norma, crea. Chiamando in causa il livello sensoriale ancor prima di quello intellettivo, il lavoro dell’Hardy ha permesso di riconoscere un ordine empirico e naturale che determina il libero fluire delle cose conducendolo là dove la mente spesso non trova più ragione di essere.

“La terapia della rabbia” , “Il potere della rabbia”, “dinamiche e relazioni”, “cibo, sessualità e carattere”, “maschile e femminile”,

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”, “il teatro del sé”, “Lo spazio della coscienza” ( digiuno spirituale) ,ecc. tutti seminari durante i quali ogni allievo mette in gioco parti di se inedite, aspetti della propria personalità mai rivelati neppure a se stesso, emozioni sconosciute. Nei momenti di crisi estrema e di forte stress, e forse solo in quei momenti, il corpo esprime ciò che l’ego tenta con ogni mezzo di nascondere, smascherando quelle verità che, fino a quel momento, ogni essere coinvolto nel “gioco” aveva acremente rifiutato, lasciandolo sepolte nel suo subconscio. Il momento di crisi che ha reso finalmente impossibile continuare ad ingannare se stessi, diventa un’opportunità unica per entrare in contatto con quelle parti di noi che abbiamo evitato attraverso tutte le strategie a nostra disposizione, anestetizzandoci emotivamente per la paura di affrontarle. Può accadere allora che l’allievo manifesti uno sfogo violento ed inaspettato della propria rabbia repressa, o che pianga disperatamente e a lungo, o che esprima sentimenti repressi nei confronti di qualche componente della propria famiglia; ma anche che contatti una gioia mai sperimentata, una nuova sensazione di benessere e leggerezza, un amore che sorprende. Questo nuovo e straordinario contatto col proprio sè, è ovviamente solo il primo passo da compiere per eliminare i processi distruttivi dentro di noi e per costruire un sé realmente forte che poggi su solide basi. Ciò non toglie che, al termine del lavoro esperenziale, coloro che hanno avuto accesso alle proprie emozioni profonde provino comunque una meravigliosa sensazione di sollievo, la sensazione che il proprio sistema energetico abbia iniziato un processo di disintossicazione dalle sostanze che per tanto tempo lo hanno avvelenato. L’opportunità di diventare consapevoli dell’esistenza di questo “veleno”, l’umiltà di accettarlo e la volontà di trasformarlo in energia pulita che sia portatrice di amore per se stessi e per gli altri, è il percorso di crescita necessario per porre fine ai vecchi modi di agire, per abbattere una struttura costruita su premesse in contrasto con le leggi dell’ordine e quindi dell’amore, della verità, della felicità. Tutti i seminari lavorano in questa direzione: pur affrontando argomenti diversi, ogni esperienza serve a disinquinare l’essere, a penetrare, sempre più in profondità,

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trivellando nelle spesse mura che la paura ha, a ragion veduta, eretto per difendere il suo prezioso nucleo centrale. Lentamente, ognuno con i suoi tempi, ogni allievo prende coscienza della sua visione ristretta della vita, della separazione da se stesso, dei meccanismi di autosabotaggio che mette in atto per rimanere ancorato al dolore e alle emozioni distruttive che agisce. Lentamente, ogni allievo prende coscienza della necessità del cambiamento, della necessità di creare in modo costruttivo e non più distruttivo, della necessità di lasciare andare i vecchi schemi, i vecchi atteggiamenti per far spazio a nuovi orizzonti. Della necessità di mettere finalmente ordine nella confusione dei propri processi mentali, che hanno impedito di realizzare chi veramente siamo, facendoci aggrappare sempre di più alla parte irreale di noi stessi. Lentamente, ogni allievo scopre che questo processo di “decontaminazione”, di pulizia dai veleni, non può che portare alla scoperta di poteri personali sconosciuti, di una forza che non avrebbe mai sospettato di possedere, di una saggezza interiore in grado di guidarlo nel proprio agire, di un nuovo modo di assaporare e vivere la vita.

In quanto metafora particolarmente esplicativa di questo processo di purificazione, ritengo utile dedicare uno spazio maggiore al seminario sul “Digiuno”. L’assenza forzata di cibo, se da un lato, inizialmente, crea forti disagi e sofferenze fisiche, dall’altro attenua il potere dell’ego, in quanto si affievoliscono gli stimoli ai quali questo è assuefatto. Col digiuno si modifica l’abituale vissuto, viene meno il regolare alternarsi “famesazietà”, si interrompono la digestione, l’assimilazione, si verificano cambiamenti a livello biochimico e, di conseguenza, anche lo stato mentale del digiunante si modifica. L’Io, indebolito, diventa più disponibile a dar spazio a ciò che abitualmente rimuove, riportando il processo di purificazione dal piano fisico anche agli altri livelli dell’essere. Il digiuno è, quindi, una condizione naturale attraverso la quale l’essere può spontaneamente riequilibrare ogni disarmonia nei ritmi vitali, aprire i canali energetici e far circolare in modo equilibrato le energie, diventando così una tappa fondamentale nel processo di trasformazione ed evoluzione cui l’essere aspira.

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Tutto quello che nel processo del digiuno, attraverso una maggiore stimolazione del linguaggio corporeo, accade in maniera più evidente, non è altro che ciò che, invece, in maniera meno plateale, avviene a livello profondo, negli altri lavori esperenziali. Svuotare per riempire, cioè ripulire il corpo per liberare l’anima, permettendole così di essere guidata da un nuovo stato di coscienza che la riporti nel libero fluire.

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6. IO ORA

L’enorme sforzo che redigere questa tesi mi ha richiesto, mi ha impietosamente costretta, ancora una volta, a riconoscere il lavoro di autosabotaggio al quale, da sempre, sottopongo me stessa. La convinzione di non esserne all’altezza, l’idea che, in fondo, il riconoscimento non mi interessasse, la sensazione che il mio lavoro non potesse aggiungere nulla di nuovo, la presunzione di avere ormai acquisito sufficiente conoscenza per proseguire da sola e così, di seguito, in un alternarsi di pensieri fuorvianti, autosabotanti appunto, non mi permettevano di darle inizio. Vorrei subito chiarire, a scanso di equivoci, che mi ritengo unica responsabile di ciò, salvaguardando la serietà e la professionalità di coloro che mi hanno amorevolmente guidata nel percorso di studi, agli occhi di chi potrebbe chiedersi come sia possibile che una donna “matura”, con alle spalle anni di lavoro su se stessa, possa ancora essere intrappolata in certi meccanismi. Al di là del rilevare che ognuno di noi ha tempi di trasformazione diversi, non è ormai un mistero per nessuno che destrutturare una personalità fortemente difesa, nel caso della mia ma certamente anche più in generale, non è cosa semplice. Né è detto che ciò debba avvenire in maniera totale. Nel mio caso, per quanto sento di aver raggiunto un buon grado di consapevolezza, non ho certamente trasformato in agire tutto ciò che razionalmente riconosco invece, debba essere trasformato. D’altra parte, però, se da un lato esiste un lavoro di autosabotaggio, dall’altro, quel grado di consapevolezza raggiunto e gli anni dedicati alla conoscenza di me, mi hanno arricchito di strumenti grazie ai quali sempre più sono in grado, non solo di riconoscere il sopravvento delle vecchie modalità, ma anche di affrontarle e trasformarle. Nel caso specifico, con il mio tentativo di boicottare il lavoro di stesura della tesi, ho avuto la grossa opportunità di verificare quanto ancora “la bambina” non mi permetta

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facilmente di accedere alle emozioni che possono derivare dal riconoscersi un merito per il proprio fare. Non solo, forse anche in maniera più prepotente, ho riconosciuto il prevalere di un altro meccanismo non ancora del tutto dissolto, e cioè il mio rifiuto nei confronti dell’autorità. In contrapposizione a tutto ciò, la parte di me che in questi anni di ricerca si è arricchita, diventando più saggia e attenta a ciò che è, ha lentamente preso il sopravvento. Cogliendo infatti un’occasione che su un piatto d’argento si è presentata nel giusto momento, una Costellazione familiare mi ha permesso di vedere realmente cosa boicottava il mio lavoro. Tale riscontro, pur non risolvendo immediatamente il problema, ha però evidenziato il conflitto, dandomi così la forza per sostenere quella parte di me che aveva bisogno di riconoscere quel valore troppo a lungo negatami.

6.1. IO PRIMA

Finta yin. Questa ero. Una donna che rientra perfettamente in tale ruolo: sposatasi giovanissima con un finto yang e subito madre, trascorre 28 anni della propria vita aderendo in maniera ineccepibile a tale ruolo. Finta yin col proprio marito, finta yin con i figli e finta yin con gli amici. Una donna quindi che non sapeva chiedere nulla per se stessa, che si attivava continuamente per dare agli altri ma che viveva con grandi difficoltà e disagi ogni tipo di relazione.

Col senno di poi, e con la nuova consapevolezza che mi consente di affermare che le cose non accadono per caso, posso dire che un provvidenziale, persistente dolore alla schiena mi ha portato fin qui.

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Non mi dilungherò certamente su come ciò sia avvenuto( niente di più che il classico incontro con la persona giusta dalla quale ne partono a catena una serie lunghissima), ma mi piacerebbe accennare al primo passo verso la mia trasformazione, e cioè la guarigione da quel dolore grazie ad un approccio olistico basato sulla psicosomatica. Per quanto sapessi già che si trattasse di una somatizzazione per la quale rifiutavo la medicina allopatica, certamente non potevo immaginare che, decidendo di curare la mia schiena, avrei cambiato, di lì a breve, la mia vita. Scoliosi e sciatalgia erano i disturbi che mi perseguitavano. Che cosa mi impediva di mantenere eretta la mia spina dorsale? Senza ombra di dubbio, la carenza di forza e di coraggio nell’affrontare la vita. La colonna vertebrale rappresenta per la psicosomatica, la relazione con ciò che è solido interiormente e con ciò che è concreto, resistente e stabile nella vita quotidiana. Stabilità ossea e stabilità interiore sono quindi analogicamente rapportabili. Mi permetto di inserire una citazione tratta da un articolo della Naturopata Milena Simeoni, perché ritengo che sintetizzi in maniera eccelsa, la problematica relativa al mio mal di schiena. “ La cultura Indiana afferma da secoli che lungo la colonna vertebrale scorrono le tre Nadi principali (Sushumna, Ida e Pingala), tre canali che permettendo alla vita di circolare dentro di noi, generano unità ed evoluzione, o al contrario, separazione e regresso, in base al loro fluire, che può essere libero, scorrevole e fluido o bloccato, frenato e difficoltoso. La colonna vertebrale, inoltre, con la sua forma a doppia esse ricorda il serpente del giardino dell’Eden che biblicamente rappresenta il simbolo della tentazione e della conseguente perdita del mondo celeste. Questa cacciata dal paradiso corrisponde, analogicamente, alla perdita del mondo unitario e all’immersione nell’esperienza della dualità; la conoscenza del male e del bene (giusto e sbagliato, buono e cattivo) caratterizza il passaggio da mondo unitario al mondo duale e quindi, da questo punto di vista, la colonna vertebrale rappresenta la possibilità che l’uomo ha sul pianeta Terra, di integrare gli opposti nella sua vita (destra e sinistra, maschile e femminile, attività e passività, apertura e chiusura, ecc), trovando una via centrale retta,

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stabile e, al tempo stesso, elastica (disponibile ai mutamenti). Questo insieme di attitudini è ben rappresentato in una colonna vertebrale sana, robusta ed elastica. In conseguenza a quanto detto risulta evidente come, analogicamente, la scoliosi, in quanto deviazione laterale della colonna portante, possa esprimere un mutamento di direzione della retta via, uno spostamento laterale espressione della perdita dell’equilibrio interiore”. Posso affermare ora, quanto tutto ciò mi riguardasse. Il mio corpo parlava in maniera inequivocabile e , sebbene allora non avessi affrontato tutti gli aspetti che nell’articolo vengono legati al mal di schiena, comunque la consapevolezza di solo alcuni di essi, mi aiutò ad eliminare il dolore. Naturalmente, era inevitabile che molte cose, nella mia vita, cambiassero. Va da sé, che le prime a risentire di un cambiamento individuale, sono le relazioni con gli altri e, tra queste, hanno la precedenza, quelle più intime. La trappola più efficace che avevo teso alle mie emozioni, il matrimonio, si rompe. Amicizie e abitudini di una vita, cambiano radicalmente. La casa, il lavoro, gli hobby. Tutto apparentemente. Come se il concetto della “coazione a ripetere” fosse stato coniato su di me, in breve, le energie dalle quali, allontanandomi fisicamente, pensavo d’essermi liberata, mi si ripropongono, come in una grande Costellazione, con aspetti naturalmente diversi, ma pronte a ricoprire lo stesso ruolo che a me ancora serviva. L’illusione di aver risolto le mie difficoltà, svanisce. E’ in questo periodo della mia vita che realizzo il mio desiderio profondo di dare inizio ad un percorso di crescita. Pur avendo avuto numerose esperienze in ambiti e situazioni disparati, pur avendone beneficiato comunque, in varia misura, realizzo il desiderio di disciplinarmi. ,La convinzione che ci fosse qualcosa in me che mi impedisse di accedere ad un mondo, che pure non conoscevo, ma che, ne ero certa, potevo in qualche modo raggiungere, perché solo lì avrei trovato me stessa, mi spinge alla ricerca. Il resto è ormai noto.

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7. LA MIA IDEA DELLA VITA

Credo che, alla base di questa ricerca profonda di sé, per ognuno di noi, ci sia un desiderio ancora più profondo di Unità. Unità, naturalmente, col proprio sé, ma unità anche con questa Coscienza Universale della quale, in qualche modo, se ne percepisce l’appartenenza. E’ quel “ritorno a casa”, di cui più volte si parla in molti degli insegnamenti spirituali, inteso però, non come un ritorno al mondo spirituale dopo la morte fisica, ma al contrario, come la vita vissuta nella sua pienezza. Sono consapevole ora, che l’essere umano possieda qualità della mente in grado di rendere manifesto lo sconosciuto, rimanendo su questo piano fisico. La separazione tra mondo spirituale e mondo materiale non ha ragione di esistere. Siamo esseri spirituali in un mondo materiale ed entrambi i livelli ci appartengono con la stessa carica energetica. Il nostro compito è quello di purificare la nostra anima, evolvendoci e crescendo verso l’amore incondizionato per se stessi e per gli altri. E la Terra è la scuola dove imparare ad amare, utilizzando ogni prezioso istante della nostra vita per farlo, vedendo Dio in ogni essere ed in ogni cosa intorno a noi, imparando a perdonare e ad accettare ogni essere così com’è e, condizione indispensabile, noi stessi in primo luogo. La nostra mente e il nostro cuore sono gli strumenti che abbiamo a disposizione per modificare ciò che nella vita ci impedisce di evolverci. Prestare attenzione a ciò che è dentro di noi, modificare i nostri pensieri inutili per crearne di nuovi, più puri e nobili, sapendo che questi vibrano e si propagano, significa conquistare una nuova energia mentale in grado di compiere “miracoli”. Ed in grado di riconoscere che ciò che ci accade e che ci circonda non è altro che lo specchio di ciò che siamo.

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Cambiare radicalmente il concetto di responsabilità, riferendolo solo ed esclusivamente al nostro agire ed al nostro pensare, ci permette di riportare, analogicamente, l’indice accusatore perennemente puntato sugli altri, verso noi stessi. Tale nuovo concetto di responsabilità riveste un’importanza enorme essendo alla base di una reale libertà individuale. La libertà, cioè, di scegliere come costruire il proprio destino. Solo su queste coordinate, libertà e responsabilità, l’essere può sviluppare una pienezza che gli consenta di diventare un uomo saggio che ha generato un sano distacco dai falsi bisogni, sganciandosi dagli attaccamenti materiali ed ideologici e raggiungendo, nell’appagamento interiore, la necessaria leggerezza per quel volo finale che gli permette di sentirsi tutt’uno con l’Universo.

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L’uomo semina un pensiero e raccoglie un’azione; semina un’azione e raccoglie un’abitudine; semina un’abitudine e raccoglie un carattere; semina un carattere e raccoglie un destino. L’uomo costruisce il suo avvenire con il proprio pensare ed agire. Egli può cambiarlo, perché ne è il vero padrone. Swami Sivananda

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Bibliografia

Bourbeau L. (1987). Ascolta il tuo corpo. Edizioni “Amrita”, Torino Hardy M. (2009). La grammatica dell’essere volumi I, II, III, IV. Dispense del corso di Laura in Psicologia Empirica. Pierrakos E. (1990). Il Sentiero. Edizioni “Crisalide”, Latina Spalding B. T. (1924). Vita e insegnamenti dei maestri del lontano oriente. Edizioni “Il punto di incontro”, Vicenza. Swami Sivananda, (1943). La potenza del pensiero. Casa editrice “Babaji”, Roma Ramtha, (2005). Come creare la propria realtà. Macro Edizioni, Diegaro di Cesena. Simeoni M. (2007). La colonna vertebrale: la tua retta via. Lumen n. 200.

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