Il Salvatore - Giuseppe TONDI

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Libera UniversitĂ di Studi Psicologici Empirici Michel Hardy

Tesi di Laurea

IL SALVATORE

di Giuseppe Tondi

Anno Accademico 2009-2010


A Noemi

per aver portato luce sul mio cammino evolutivo con tanto amore e dedizione.

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Sommario

1.

INTRODUZIONE- LESSICO HARDYANO ....................................................... 4

2.

PER UNA GRAMMATICA DELL’ESSERE PARTE PRIMA: YIN E YANG .................................................................................................................................. 6

3. PER

UNA GRAMMATICA

DELL'ESSERE PARTE SECONDA: MATRICE

D’ECCELLENZA ........................................................................................... 9 4. PER UNA GRAMMATICA DELL’ESSERE PARTE TERZA: RUOLI EMPIRICI ALTERATI .................................................................................................... 12 4.1 L’UOMO YIN ............................................................................................... 14 4.2 L’UOMO FINTO YIN ........................................................................................... 16 4.3. FINTO YANG .................................................................................................... 18 4.4. YANG ALTERATO .............................................................................................. 19 4.5. DONNA YIN ALTERATA .................................................................................... 20 4.6. DONNA FINTA YIN ........................................................................................... 22 4.7. DONNA FINTA YANG ........................................................................................ 27 4.8. DONNA YANG ................................................................................................... 27 4.9. LA VITTIMA RABBIOSA .................................................................................... 28 5. 5.1. 6. 6.1. 6.2. 7.

ALTERAZIONI E DISSONANZE .................................................................... 33 COPPIA INTEGRATA .................................................................... 36 DIS/ORDINE ........................................................................................................ 39 IL BLOCCO DELLE EMOZIONI .............................................................. 39 LA MASCHERA O IMMAGINE IDEALE .................................................... 45 L’ITER ACCADEMICO – UN PERCORSO DI CRESCITA ........................ 46

8. IL SALVATORE - una storia vera: non sono stato io …...…………………..49 BIBLIOGRAFIA.......................................................................................................... 56

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1.INTRODUZIONE lessico Hardyano

Nel contesto degli studi proposto dalla Libera Università di Studi Psicologici Empirici di Michel Hardy, il lavoro che ho affrontato si è focalizzato sul tema delle relazioni alterate, facendo propri, nel percorso di seguito illustrato i concetti di yin e yang, maschile e femminile. Intendo preliminarmente qui riportare la terminologia che definisce i termini chiave utilizzati da Michel Hardy, nella sua analisi empirica, ai fini di una migliore comprensione di quanto in seguito verrà sviluppato. ORDINE EMPIRICO O ARMONICO: si rifà al principio dell‟armonia naturale, riconoscendo quello della FUNZIONALITÀ‟ come unico criterio per determinare l‟evoluzione di tutte le cose. Non dipende da convinzioni personali, né ha bisogno di doversi spiegare o giustificare, poiché segue parametri senza tempo in quanto, da sempre regola ogni movimento e ogni moto vitale. Esso compone l‟essenza stessa dell‟universo, della nascita, della vita e della morte. Esso determina tutto ciò che è, sia nel mondo materico che in quello sottile, integrando ed utilizzando le leggi della natura come moti principali. L‟ordine genera la consequenzialità di tutte le cose, abbinando ad ogni atto compiuto o mancato, una responsabilità empirica precisa. Tale ordine empirico trae la sua origine dal Sistema. RESPONSABILITÀ EMPIRICA: che l‟essere ne sia consapevole o meno, ogni passo compiuto, così come ogni passo rinnegato, ha un preciso peso empirico, che genera responsabilità dirette nei confronti del Sistema.

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SISTEMA: Il rapporto tra l‟ordine è il sistema è paragonabile a quello che intercorre tra una persona e il suo corpo. Sono interdipendenti dal momento che l‟uno è contenuto nell‟altro essendo, la sua manifestazione visibile, la sua espressione di fatto. Se il sistema corrisponde alla persona, l‟ordine costituisce il suo corpo, il suo fare, il suo manifestarsi, di conseguenza, poiché interagiscono continuamente, non è possibile distinguerli nettamente. DEBITO EMPIRICO: se l‟essere non interagisce col sistema in maniera sana e funzionale, seppur in buona fede, il sistema lo riconosce quale trasgressore rispecchiandogli un debito. L‟assunzione del debito determina quanto l‟essere si avvicini o si allontani dal libero fluire.

LIBERO FLUIRE: costituisce la metafora di base utilizzata per descrivere lo stato d‟eccellenza del sistema. Essere collegati col libero fluire, significa accedere ad una serenità naturale, essere in pace con se stessi, a prescindere dalle circostanze esterne. MATRICE D’ECCELLENZA: è il parametro di riferimento, tramite il quale è possibile misurare la qualità empirica delle azioni dell‟essere.

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2 PER UNA GRAMMATICA DELL’ESSERE PARTE PRIMA: YIN E YANG

Ogni espressione del cosmo, ogni forma di materia ed ogni dinamica prevista dal sistema empirico è caratterizzata da una delle due forze: yin e yang. La filosofia e l‟intero pensiero cinese sono dominati dagli aspetti yin e yang. Essa attribuisce all‟elemento femminile tutto ciò che è yin e all‟elemento maschile tutto ciò che è yang. Yin è la luna, il freddo, l‟umido, l‟inerte, il vuoto, la terra e yang è il sole, il caldo, il secco, il movimento, il pieno, il cielo, ecc. tutte forze antitetiche ma complementari esattamente come lo sono i due sessi. Come ci viene tramandato da “ il classico delle mutazioni”, ( più conosciuto come “il libro dei mutamenti”o Zhou Yi , in occidente noto come I Ching ) il rapporto tra i due sessi è il fondamento della vita universale, il cui ordine è regolato dall‟equilibrio tra gli stessi. Nel pensiero cinese l‟yin e lo yang si generano reciprocamente in un movimento circolare, simbolicamente rappresentato dal cerchio bicolore (il Tao) diviso in due parti uguali, che cercano un attraversamento reciproco regolato da una linea morbida, ognuna delle quali contiene un piccolo cerchio del colore opposto. Il Tao indica che nessun principio può esistere senza la sua controparte. Il simbolo del Tao, nel corso di questo secolo, è stato adottato in molti contesti filosofici e new age occidentali. I taoisti affermano che ogni manifestazione fenomenologica è regolata da una semplicissima legge universale, quella del ritmo a due tempi, in un gioco di alternanza, di complementarità, di dualità, di compenetrazioni e di equilibri che riconducono all‟unità.

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Chiaramente questa visione si discosta nettamente da quel pensiero binario occidentale, che tende a mantener una separatezza trai due elementi in nome di un‟analiticità delle parti e perde di vista il tutto. Seppur molti scienziati ed epistemologi (Mach, Poincaré e Duhem, che partivano però da una visione positivista, ma in seguito anche i “cosmopoliti” Vallin, Guénon, Coomaraswamy e Huxl) in realtà, trovano molte similitudini tra il pensiero greco, ponendo che questo possa essere fatto rientrare nella categoria “occidentale” e quello taoista, attraverso la comparazione tra alcuni nuclei fondamentali del pensiero di Parmenide, Eraclito, Empedocle, Platone e alcuni aspetti contenuti nelle considerazioni sviluppate da alcuni maestri taoisti come Lao Zi, Zhuang Zi, Lieh Zi. Il principale problema che stringe insieme queste riflessioni è quello della nascita dell'Uno e del rapporto tra l'Uno e i Molti. Un capitolo a parte meriterebbe il concetto di amore e odio in Empedocle, strettamente connessa a quanto il filosofo greco asserisce riguardo alla metempsicosi ed alla trasformazione ciclica degli elementi di cui è composto l'universo.) Tralasciando questa comparazione che richiederebbe una specifica argomentazione, possiamo dire che, in linea con la filosofia orientale, gli stessi termini di yin e yang vengono utilizzati da Michel Hardy come concetti chiave della sua “grammatica dell‟essere”. Ogni espressione del cosmo, ogni dinamica e ogni materia contiene una delle due forze e dove l‟una esprime la massima potenza l‟altra nasconde la massima debolezza che a sua volta si rigenera nell‟opposto. Il loro principio si basa sulla complementarità. Unendosi, quindi, rafforzano la loro diversità. Insieme creano una sinergia capace di soddisfare al meglio ogni loro bisogno e di esprimere il meglio del loro equilibrio e della propria essenza. Ogni essere umano ha in sé, le due parti, yin e yang, con differenti cariche di base. La donna ha come carica primaria i principi yin, l‟uomo quelli yang. L‟acquisizione della carica si compie sempre nel grembo materno al momento del concepimento. L‟attivazione sempre durante l‟infanzia dal genitore dello stesso sesso.

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Per uno sviluppo armonico, l‟individuo ha bisogno di entrambe le cariche ma è dalla sua carica primaria che egli trae forza e stabilità emotiva.

I principi yin e yang contengono tutte le caratteristiche, i talenti e i moti interiori della donna e dell‟uomo per definire i quali, l‟autore fa riferimento ad un “codice di appartenenza”. Un vero e proprio manuale empirico delle qualità che si manifestano spontaneamente nell‟essere umano in condizioni di armonia. Ogni codice comprende anche una parte “luce” ed una parte “ombra”cioè le doti più belle ed onorevoli, e quelle più difficili da accettare, in quanto considerate parti inferiori della propria personalità. Le parti luce che la donna possiede per sua natura e che sarebbe suo diritto esprimere, sono: l‟accoglienza, l‟amore incondizionato, la dedizione, la cura, il nutrimento, l‟arrendevolezza, l‟esprimere vivacità o commozione improvvise, ma anche cose più frivole, come l‟attenzione per gli aspetti esteriori, le chiacchiere con le amiche, lo shopping, o semplicemente il dedicarsi ad attività apparentemente superficiali. Allo stesso modo ha diritto di esprimere i suoi lati ombra quali la fragilità, la paura, la tristezza, poca determinazione e poca concretezza, l‟indecisione, l‟avversione per la burocrazia, lo scarso senso dell‟orientamento, ma anche isterismo, cattiveria, perfidia. Le parti luce che l‟uomo possiede, invece, per sua natura sono: la forza, la spinta in avanti, l‟amore condizionato, la capacità di assumersi le proprie responsabilità, l‟essere guida, l‟essere guerriero, la concretezza, la progettualità, l‟autorevolezza, la determinazione, il controllo, la competizione e la sfida. I lati ombra sono quelli espressi dalla rabbia, dall‟aggressività, dalla prepotenza, dalla crudeltà, dalla spietatezza. L‟essere che vive in armonia è in grado di accettare entrambe le parti. L‟autore definisce “integrata”, quella condizione in cui, per ciascun sesso, gli opposti, maschile e femminile, e le parti”luce ed ombra” sono perfettamente in armonia. Al contrario, “alterata”, quella condizione disarmonica in cui gli aspetti opposti non in equilibrio tra loro, sono portatori di malesseri e disagi nella persona.

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3. PER UNA GRAMMATICA DELL’ESSERE PARTE SECONDA: MATRICE D’ECCELLENZA Nel pensiero di Hardy troviamo, per ogni ruolo empirico, la definizione di una Matrice d‟eccellenza che lo collega ad un ordine prestabilito; esso comprende tutti i diritti e i doveri ai quali le azioni umane, in tempo reale, sono comparate, riportandone l‟esito sul piano della coscienza. In qualche modo questa idea potrebbe rimandare alla teoria della segnatura di Paracelso. Il IX libro del suo trattato de rerum natura, che ha titolo de signatura rerum naturialum contiene l‟idea dell‟episteme paracelsiana, cioè che tutte le cose portino un segno che manifesta e rivela le loro qualità invisibili, “ nulla è senza un segno, poiché la natura non lascia uscire da sé nulla, in cui essa non abbia segnato ciò che in esso si trova (…) Non vi è nulla di esteriore, che non sia annuncio dell‟interno”. La signatura dell’archeo si rivela come operatore decisivo in ogni teoria dei segni nel pensiero occidentale, dalla linguistica alla psicoanalisi, dalla magia alla storia dell‟arte, financo all‟archeologia, che risale ad un concetto di origine che non resta isolato nel passato, ma, come le radici indoeuropee nella linguistica e il big bang nell‟astrofisica, non cessa di agire nel presente per renderlo intellegibile. Ogni nascituro è portatore di una matrice d‟eccellenza che contiene tutta la saggezza dell‟universo e tutte le strategie, i moti profondi e le dinamiche nascoste di cui l‟umanità dispone. Ma per il pensiero dell‟Hardy la relazione espressa dalla segnatura non è una relazione causale, ma qualcosa di più complesso.

La fase di attivazione della Matrice comincia con la nascita, momento in cui si instaura però, anche la consegna familiare. Il bambino, quindi, comincia ad attivare sempre di più i principi sistemici del copione familiare che, lentamente, prende il sopravvento allontanandolo sempre di più dalla matrice d‟eccellenza. Da quel momento il fluire della sua vita, dipenderà dalla qualità del suo copione e da quanto questo aderirà alla matrice.

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L‟essere uomo o donna costituisce un vero e proprio ruolo ai fini dell‟ordine sistemico. Le loro matrici d‟eccellenza contengono tutte le qualità empiriche del loro codice di appartenenza. La loro condizione armonica è presupposto indispensabile per manifestare uno stato di eccellenza in ogni altro ruolo, sia in ambito familiare che sociale. Come già abbiamo detto, lo stato integrato dell‟essere può essere realizzato solo con l‟integrazione della sua carica secondaria a condizione che, durante l‟acquisizione della carica primaria, non ci siano stati traumi o situazioni che possano aver infranto i suoi diritti empirici. In tal caso, infatti, sarebbe ostacolato il collegamento con le proprie radici biologiche ed emotive, determinanti, queste ultime, ai fini di un sano radicamento nel proprio sesso e dell‟acquisizione di un profondo senso di sicurezza e di fiducia in sé. Tale presupposto è indispensabile per poter integrare il lato opposto, in quanto essendo ben radicato nella sua carica primaria, l‟essere può attingere alla secondaria senza la paura né l‟imbarazzo di esprimerla in maniera inadeguata. Il “maschio”, quindi, può ingentilire la sua forza e il suo fare rozzo ed invadente attingendo dalla sensibilità femminile che gli permetterebbe di espandere i suoi limiti strutturali, troppo schematici, analitici, razionali, rendendolo così più morbido e ricettivo e permettendogli di sviluppare maggiormente il proprio lato emotivo e sensoriale. Egli, avrebbe così, maggiore accesso al suo sentire, affinando i gusti, migliorando la sua introspezione e collegandosi con maggiore facilità al suo sé spirituale. Attraverso questa integrazione del femminile, l‟essere può esprimere il meglio del suo essere maschile e sentire l‟appartenenza al “cerchio degli uomini”, onorando, allo stesso tempo, la “tribù delle donne”. La “femmina”, a sua volta, dotata di aspetti più delicati, sensibili e sottili, gentili e leggiadri, di uno spazio interiore più ampio e di un coraggio che si origina nel cuore, attinge dal suo opposto forza, concretezza, razionalità e determinazione. Ciò le consente di potenziare le sue qualità e di dar loro massima espressione onorando, così, il proprio uomo libera dalla paura dei suoi soprusi.

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Questa perfetta integrazione tra gli opposti, maschile e femminile, permette, ad entrambi i sessi, di manifestare la sublimità del lato “luce” e, di conseguenza, di accedere con maggiore facilità anche al riconoscimento ed all‟accettazione del lato ombra”, fonte, quest‟ultimo, di ricchezza e pienezza e determinante ai fini di un totale completamento del processo di integrazione. Anche secondo Jung, la zona d‟ombra che egli definisce “l‟insieme delle pulsioni negative della persona”, quando viene accettata, integrata, canalizzata e sublimata, consente all‟essere di accedere alla sua vera identità e di accrescere la sua sicurezza interiore. Questa realizzazione consente all‟essere di vivere una realtà unica, oggettiva e non una realtà illusoria, creata sulla base dei propri schemi mentali frutto di condizionamenti familiari, culturali, sociali impregnati di false credenze. Il pensiero che ne deriva, è un pensiero libero, un pensiero che attinge direttamente dalla saggezza universale alla quale si è riconnesso e che gli consente, ora, di vivere nel libero fluire.

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4. PER UNA GRAMMATICA DELL’ESSERE PARTE TERZA: RUOLI EMPIRICI ALTERATI

Michel Hardy assume magistralmente i principi che ci arrivano dal taoismo, soprattutto, e dal confucianesimo, e cioè l‟interdipendenza, l‟origine reciproca, la complementarietà, il costante equilibrio, i quattro possibili sbilanciamenti, la reciproca trasformazione. Questo percorso, potrebbe, in un certo senso, rendere giustizia al lavoro di Christian Wolff, il pensatore settecentesco che tra i primi trattò ampiamente di psicologia ( Psychologia empirica, 1732 e Psychologia rationalis, 1734). Con queste opere Wolff inaugurò la distinzione fra psicologia empirica e psicologia filosofica: la prima cercava di individuare dei principi che potessero spiegare il comportamento dell‟anima umana,mentre la seconda indagava sulle facoltà dell‟anima stessa. Ma il lavoro di Wolff fu duramente criticato da Kant, mancando ai fenomeni psichici la forma a priori dello spazio e della possibilità di una confutazione matematica. Vediamo però, come nel pensiero dell‟Hardy, l’ordine concepisca anche forme espressive diverse che allontanano l‟essere dallo stato del libero fluire fino ad estrometterlo totalmente. Si tratta di ruoli empirici alterati che rispecchiano la deviazione dell‟essere dal proprio codice empirico e che evidenziano eccessi dovuti a squilibri provenienti da cariche primarie deboli. Tali alterazioni provengono soprattutto dalla consegna familiare. L‟Hardy li divide in due gruppi principali: Il primo è caratterizzato da un eccesso di carica yin a favore di strategie femminili: Uomo yin Il secondo, caratterizzato da un eccesso di carica yang che manifesta un disequilibrio a favore di strategie maschili: Donna yang

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Tra questi due gruppi, esistono poi dei ruoli intermedi: Uomo finto yin e uomo finto yang e Donna finta yin e donna finta yang. Questi ruoli corrispondono a forme più attenuate rispetto ai precedenti e sono anche descritti come facenti parti della categoria della “vittima rabbiosa”, un ruolo ibrido che riguarda entrambi i sessi. In ogni caso, tutti i ruoli empirici alterati avvertono la mancanza di ambedue le cariche, non facendo riferimento in maniera sana né all‟una né all‟altra, poiché se una è compromessa, anche l‟altra non si può sviluppare in maniera genuina. In questi casi, l‟Hardy parla di “orfani empirici” proprio perché si tratta di coloro ai quali è mancato il sostegno che deriva dalle radici genitoriali.

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4.1L’UOMO YIN L‟uomo yin rappresenta la forma maschile più debole all‟interno della metamorfosi empirica, equivalente al ruolo dell‟adolescente. Il bambino che ha ricevuto dall‟eredità paterna una consegna debole e compromessa, non può accedere pienamente alla sua carica primaria. Non avendo ricevuto “nutrimento” adeguato a livello emotivo, il suo sviluppo ha subito un arresto nella fase adolescenziale non consentendogli di attingere in maniera sana dal codice yang e di acquisire i principi guida maschili. La sua spinta vitale insufficiente e la sua incapacità di sostenere la sua carica aggressiva, lo costringono a lasciare da parte il suo ruolo e ad assumere un‟immagine virile fittizia, la cui difficoltà a sostenere la quale, lo spingono a circondarsi di status simbol importanti e da un abbigliamento spesso particolarmente ricercato. Egli vive costantemente nella paura di manifestare le sue carenze e le sue debolezze condizionando così tutte le sue strategie vitali sia nei lati luce che in quelli ombra. La carenza della carica primaria caratterizza l‟uomo yin dalla presenza costante del dubbio e dell‟indecisione, dalla difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità e a sostenere le proprie opinioni, rivelando il suo forte senso di inferiorità, spesso camuffato da un atteggiamento opposto. Sa essere simpatico senza mai essere diretto e schietto, è un buon amico ma non sempre in grado di sostenere l‟altro nei momenti difficili. Raramente si arrabbia aumentando così il suo arretrato di rancore e di bisogno di vendetta, che, ancora incapace di esprimere, può poi, sfociare in reazioni isteriche. Egli tende a subire la vita. Tali caratteristiche sono compensate da spiccata sensibilità e dolcezza, premura, capacità di adattarsi e un‟eccessiva accondiscendenza. Predilige professioni in sintonia con tali caratteristiche quali: il letterato, il poeta, l‟artista, lo stilista o, in generale, ruoli che richiedano esecuzione di ordini piuttosto che di responsabilità dirette.

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Normalmente, il forte senso di colpa e la condizione di ansia, che lo caratterizza, lo spinge a sviluppare strategie passive e a non trasgredire mai le regole, autorizzandosi in questo modo a rimanere nel ruolo di “bambino innocente”. L‟uomo yin è spesso romantico e si commuove facilmente, non nasconde il suo bisogno di affetto e approvazione costante, è dipendente dalla partner a volte anche in maniera poco dignitosa. E‟ più portato a dare che a ricevere ritenendo ciò un atto di amore, sentimento questo, al quale non può accedere, in quanto l‟alto livello di paura lo porta a chiudere il suo campo sensoriale creando un‟anestesia emotiva consistente che gli impedisce di accedere pienamente alle sue emozioni. Le conseguenze di tale chiusura si manifestano anche nella sfera sessuale con problemi di eiaculazione precoce, difficoltà di erezione, di impotenza. Inevitabilmente, l‟uomo Yin cercherà un legame di tipo madre-figlio, sentendosi fortemente attratto da donne finto yang o yang.

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4.2 L’UOMO FINTO YIN

La naturale evoluzione dell‟uomo yin è il finto yin. Se il primo si percepisce ancora puro e innocente, il secondo, che è portatore di maggiore rabbia arretrata, comincia a sentire sempre più forte il bisogno di rivalsa e di vendetta per quelle che il suo stato alterato gli fa credere ingiustizie subite. Percependo il pericolo di “rivelarsi”, egli tenta a tutti i costi di mascherare la sua forte spinta rabbiosa, contro tutto e tutti, sforzandosi di mantenere l‟immagine del modello yin. Col passare del tempo sempre meno gli riesce contenere la sua rabbia furiosa cominciando a manifestare tratti più duri e atteggiamenti stizzosi che emergono sempre più spesso e dei quali egli stesso ne è sorpreso. Ansia, nervosismo e permalosità diventano segnale di un crescente bisogno di rivalsa, che si manifesta con piccole punizioni e vendette ben mascherate da atteggiamenti “carini” soprattutto nei confronti della partner e di chi gli è più vicino. La sua naturale evoluzione lo sposta nel ruolo della vittima rabbiosa, condizione che rende sempre più difficile nascondere il suo volto reale. In questa fase l‟essere si contraddistingue da un lato da atteggiamenti gentili yin e dall‟altro da atteggiamenti aggressivi yang dei quali però prova vergogna. In questo ruolo i suoi moti, pur rimanendo intermittenti, diventano più aggressivi. La vergogna scompare. Egli riesce ad esprimere la sua irritazione soprattutto in situazioni in cui sente di poter avere il controllo. Tende ad essere moralista e maestrino, lamentandosi spesso, ma lasciando eternamente irrisolte problematiche affettive e relazionali, in particolare manifestando le sue critiche nei confronti della partner, dalla quale è però totalmente dipendente. Questo quadro comportamentale è legato al suo alto livello di paura, che frena ogni manifestazione genuina. Ansia, tristezza e malinconia sono i moti d‟ombra che evidenziano la parte rinnegata e che si rafforzano col passare del tempo. Pur

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continuando a mantenere un‟‟immagine ragionevole di sé, le sue azioni e reazioni rivelano forti dissonanze che evidenziano la sua lontananza dalla realtà empirica. Accanto all‟uomo finto yin è la donna finta yang che compensa meglio di ogni altra le sue carenze. E‟ lei che detiene il ruolo maschile e non è disposta a cederlo, spingendo l‟uomo a cercare all‟esterno attività e relazioni che riabilitino il suo ruolo. Il crescendo delle reazioni rabbiose ed isteriche determina un passaggio “epocale”: quello dallo stato yin allo stato yang. Si tratta del passaggio più turbato di tutta la metamorfosi empirica che, sempre attraverso dinamiche subconscie, si svolge all‟insegna della “mascolinizzazione”, con un primo passaggio da finto yin a finto yang.

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4.3. FINTO YANG Nell‟ambio della metamorfosi empirica l‟uomo finto yang rappresenta un‟evoluzione naturale che evidenzia la definitiva fuoriuscita dai ruoli yin ed il passaggio nei ruoli yang. Il finto yang si aggrappa disperatamente alle sue vecchie dinamiche, mentre la sua spinta rabbiosa ne produce di nuove. In questo importante passaggio, che pur essendo in fase alterata tuttavia lo avvicina allo stato yang integrato. L‟essere acquisisce maggiore stabilità e si riconosce, in una certa misura, un nuovo potere che, naturalmente, deriva da moti inquinati e non genuini. Il finto yang è, in realtà, un uomo yin travestito da “macho”, egli fa finta di manifestare la forza maschile, almeno all‟inizio di tale ruolo. Si tratta, rispetto al ruolo precedente, di un diverso meccanismo di difesa, sempre atto a nascondere la sua paura originaria, attivato ora da un bisogno di rivalsa più pressante. Utilizza la forte spinta aggressiva della propria rabbia per affrontare situazioni che, inconsciamente, sente “troppo grandi”, proprio perché richiedono precise qualità maschili (determinazione, forza, attitudine alla guida. ecc.). Pur richiedendo un forte dispendio di energia e spesso anche a discapito della sua salute, il suo desiderio di rivalsa, lo spinge continuamente a forzare i propri limiti. L‟ambizione lo caratterizza fortemente spingendolo a diventare un uomo di successo, a competere nello sport, un iperattivo con attitudine al potere o abuso di potere - il caso del despota o padre- padrone- e al controllo, un uomo senza scrupoli che usa tutto ciò che può sottolineare la sua virilità, non trascurando, a tale scopo, la cura dell‟immagine esteriore sia con intensi allenamenti in palestra, sia tramite l‟uso di costosi “status simbol”. Il finto yang, pur nascondendo con tali comportamenti un morboso bisogno di affetto, tristezza e angoscia profondi, può trarre in inganno in quanto utilizza i suoi opposti in misura più o meno equilibrata, dando un‟immagine di sé che si avvicina, apparentemente, allo yang integrato. Lo stato di finto yang è l‟ultimo gradino dal quale poter intraprendere il percorso di recupero dello stato integrato, prima del “baratro” dello Yang alterato, definito, per questo, dall‟Hardy “uomo senza ritorno”.

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4.4. YANG ALTERATO Nessun uomo nasce quale yang alterato bensì lo diventa man mano che il proprio degrado empirico avanza. Hitler, Stalin, Tito, sono gli esempi più evidenti dell‟estremo stato di alterazione, lo yang alterato appunto. Pur appartenendo alla stessa energia ed interpretando entrambi la stessa alterazione empirica, lo yang alterato si libera di tutte quelle caratteristiche che mantenevano il finto yang in una manifestazione dell‟alterazione più contenuta. Spazzato via ogni residuo di ragionevolezza e di senso della misura, il finto yang ricopre ora il ruolo di quello che, nell‟accezione comune, può essere definito il carnefice, il tiranno per eccellenza. E‟ il caso di colui, la cui enorme sofferenza e l‟indicibile disagio, hanno completamente interrotto il contatto con le emozioni tramite un‟anestesia totale, che ha portato ad un indurimento dell‟anima irreversibile e sviluppato un tale livello di freddezza e cinismo, da non avere più alcun rispetto per i diritti empirici altrui. E‟ il caso di colui che ha sviluppato una mente diabolica e spietata, che sfida la morte e che soddisfa la propria sete di vendetta, in totale assenza di scrupoli e limiti. E‟ il caso di colui che conosce e manifesta l‟odio con un disprezzo totale per la vita propria e degli altri. Non è facile descrivere tutte le manifestazioni frutto di questa alterazione, ma è assolutamente indispensabile ricordare che, accanto al palese comportamento del “fanatico”, dell‟”integralista”, dell‟assassino socialmente riconosciuto, esiste un “omicidio” psicologico ed emotivo, derivante dall‟abuso di potere politico, economico o spirituale esercitato senza pietà e, spesso, legalmente legittimato.

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4.5. DONNA YIN ALTERATA La donna yin alterata, tra tutti i ruoli empirici previsti dal sistema, può apparire a prima vista come una donna integrale, ma la sua maschera è tradita dagli atteggiamenti dolci e femminili, sin troppo seducenti e mielosi. Come per l‟uomo yin, la donna yin alterata, manca del modello genitoriale sano a causa della debolezza della carica primaria materna a cui fare riferimento. Come per il finto yang, anche la donna yin alterata, essendo portatrice di uno yin eccessivo, potrebbe apparire una yin integrata. Sia nell‟aspetto che nel fare si dimostra morbida, premurosa, totalmente dedita alla famiglia e disponibile con tutti. Entrambe hanno un lato femminile ben sviluppato per quanto la donna yin alterata, usandolo come strategia di difesa, ne manifesta l‟eccesso, mentre l‟altra ne trae tutta la sua forza. Non avendo integrato in maniera armonica i due opposti, la donna yin alterata, presenta problematiche molto affini a quelle dell‟uomo yin, mancandole il sostegno e la forza della carica secondaria, yang. Subisce il mondo esterno in quanto carente di carica aggressiva genuina che la rende incapace di dire no. Anche nella sfera sessuale si manifesta con una libido debole o inesistente che le fa subire il rapporto col partner. Certa che, per essere degna d‟amore, debba necessariamente soddisfare desideri e bisogni altrui. La donna yin alterata, manifesta il principio yin dell‟accoglienza in maniera eccessiva, è accondiscendente, dolce e mielosa oltremisura tanto da diventare invadente, quasi appiccicosa. Essendole funzionale rivestire il ruolo di “brava bambina” al fine di ricevere consensi, rende in tal modo forzate ed innaturali le sue doti femminili. Cresce così, in lei, la sensazione di amare troppo, di essere, all‟interno della coppia, quella che non riceve amore sufficiente, non sentendosi mai corrisposta in maniera appagante. Naturalmente, non potendo accedere ad un sentimento genuino, tutto ciò che esprime non è altro che un surrogato di ciò che lei crede essere amore. Sviluppa una forte dipendenza dall‟altro e crea, a sua volta, dipendenze da sé, è portata a fare tutto da sola, per potersene poi lamentare; nelle relazioni interpersonali evita accuratamente argomenti scomodi, situazioni che la costringano ad esprimere il suo

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pensiero, specie se in contrasto con quello dell‟altro, e ogni approccio diretto che le crei disagio. Alla base di tali atteggiamenti vi è la paura che guida il suo vivere, la paura di essere perennemente minacciata dalla possibilità del dolore, fisico ed emozionale. Il suo apparire timida ed impaurita le consente più facilmente di eludere situazioni di questo tipo. Naturalmente, la conseguenza di tutto ciò, è un accumulo sempre più ingestibile di rabbia che, aumentando il suo debito empirico, determina il passaggio dal ruolo di vittima a quello di vittima rabbiosa, accedendo al ruolo di finta yin.

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4.6. DONNA FINTA YIN Il ruolo della donna finta yin è caratterizzato principalmente dalla presenza di una notevole carica di rabbia furibonda. Tutta la rabbia e il rancore accumulato nello stato alterato, crea inevitabilmente delle trasformazioni di cui l‟essere non è consapevole. Il passaggio da un ruolo all‟altro avviene in maniera impercettibile. Mentre la donna yin alterata è ancora nel ruolo di vittima, non si rende conto che la sua ingente quantità di rabbia non può più essere contenuta ed è così costretta ad assumere atteggiamenti diversi per poterla manifestare suo malgrado. Tale livello di rabbia che distorce la percezione di se stessa e del mondo che la circonda e che agisce come indicatore passivo, subentra alle caratteristiche specifiche della donna yin alterata, cioè paura e sensi di colpa, che sono gli indicatori attivi. Questo cambiamento, ha come prima conseguenza, la nascita di un sentimento di rivalsa, che alimentandosi via via, arriva al livello più elevato proprio della vittima rabbiosa, fino a sviluppare un vero e proprio istinto omicida. Il tutto, sempre ben mascherato dall‟immagine della “brava bambina” vittima innocente, ancora molto disponibile e che ancora utilizza l‟eccesso d‟amore, come merce di scambio. In realtà, negli atteggiamenti della finta yin, cominciano ad essere sempre più evidenti stonature e discordanze dovute all‟incapacità di controllare la sempre maggiore spinta aggressiva. Si crea così una fase di scissione, da un lato la disperata esigenza di rimanere innocente, dall‟altro il crescere di un bisogno di vendetta per i torti che sente d‟aver subito e per la delusione delle aspettative disattese. Anche se il suo fascino potrebbe catturare ruoli maschili più “evoluti”, il partner col quale può instaurare un rapporto è il finto yang, che è il suo opposto. Superata la fase dell‟innamoramento, tale rapporto si spoglia del falso perbenismo, rivelando i suoi

atteggiamenti aggressivi, delegittimando il partner e assumendo lei stessa il ruolo di guida della coppia nella totale inconsapevolezza di entrambi.

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Il suo forte senso di colpa la spinge però, a rimediare agli atteggiamenti aggressivi con altri più dolci ed accondiscendenti, sviluppa inoltre, una tendenza alla critica ed al giudizio, che si rivela essere per lei un‟importante valvola di sfogo che, però, non manifesta apertamente. In questa fase, caratterizzata da una maggiore spinta rabbiosa, la donna finta yin si concede una libertà sessuale mai vissuta prima, comincia a godere della propria fisicità superando i sensi colpa. Diventa più maliziosa e seduttiva ma in maniera sempre molto “innocente”. Comincia a sfogare la propria rabbia, ma solo con chi sente più debole, continuando, in realtà, a reprimere il suo campo sensoriale, a sfuggire situazioni “scomode”e prediligendo gli aspetti più frivoli e superficiali della vita. La sua scissione interiore, il suo stato di debito sempre maggiore, la portano a violare le leggi dell‟ordine, allontanandosene sempre di più. Continuando a pensare che siano sempre gli altri a farle del male, inizia, però, a manifestare la sua rabbia omicida, infliggendo, ora, lei dolore agli altri, ma percependosi sempre come vittima innocente. Fisicamente, la donna finta yin si presenta con bacino, spalle e collo bloccati, anche l‟andatura di conseguenza è rigida ma piuttosto spedita, nel complesso, manca di naturalezza e scioltezza. Nelle forme più avanzate può manifestare movimenti più sensuali, quasi felini, ma sempre rivelatori di forza yang.

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4.7. DONNA FINTA YANG Il passaggio da donna finta yin a finta yang è lento e progressivo, attraverso svariati livelli intermedi che documentano la lenta ma inesauribile, crescita della sua forza rabbiosa. Dal punto di vista sistemico, la finta yang è la vittima rabbiosa progredita, sempre volta a coprire la propria fragilità attraverso l‟apparenza aggressiva. Si tratta sempre della bambina innocente e spaventata che tenta di salvarsi dal mondo intero con strategie difensive maschili. Il desiderio di salvare la propria innocenza da un lato e, dall‟altro la forte spinta a vendicarsi, le crea un enorme conflitto interiore. Ma la sua rabbia è, ormai tale, da non permetterle di fare più buon viso a cattivo gioco. Scivola così nel ruolo di vittima-carnefice, costringendosi all‟autoinganno di una realtà tutta sua, che le permetta di non sentirsi “cattiva”. Vive sempre un conflitto tra paura e rabbia, ma col tempo, la sua tendenza a retrocedere e a subire, si trasforma in spinta in avanti, è, infatti, più diretta, intraprendente, assume atteggiamenti autenticamente yang, finalizzati esclusivamente a proteggersi. La donna finta yang, si rivela anche capace di esprimere doti femminili, come l‟amore incondizionato anche se di norma, si aspetta qualcosa in cambio. Nella sfera affettiva attrae un partner finto yin, del quale compensa la mancanza di senso di sicurezza. La strategia seduttiva prevede dimostrazioni di autonomia e di indipendenza. Ma, con il consolidarsi della relazione, la donna finta yang, rivela tutta la sua fragilità e dipendenza, pur rimanendo colei che detta legge, delegittimando, denigrando e mortificando il partner e perpetuando, in tal modo, la sua vendetta contro il maschile. Del resto, il suo bisogno di predominio è tale, che pur desiderando un partner forte, ne sceglierà sempre uno disposto a farsi mettere in ginocchio. Tale situazione non fa altro che aumentare il suo livello di rabbia, che però non le permette di abbandonare il partner, la sua dipendenza emotiva non glielo permette.

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Il legame sempre più degradato e morboso si sposta completamente nel lato ombra: i due esseri non sono più tenuti insieme dalla compensazione delle loro virtù, ma dall‟instaurarsi di una situazione di dipendenza dal dolore. Il forte desiderio di vendetta della donna finta yang non è, però, rivolto solo nei confronti del maschile. In realtà, ogni donna finta yang ha subito l‟”assenza” della propria madre, è per questo, una donna che si sente fortemente tale, che ha sviluppato grandi capacità seduttive ma che, in realtà, è segregata nel proprio femminile. Grazie alla sfida persistente, riesce a liberarsi dalle inibizioni che nascondevano il desiderio di vendetta, anche nei confronti di un femminile per il quale prova astio e rancore smisurati.

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4.8. DONNA YANG

Il ruolo della donna yang rappresenta la fase terminale della metamorfosi, essenzialmente rappresentata dall‟indurimento dell‟anima. La donna yang, pur mantenendo un aspetto esteriore femminile a volte anche prorompente, è caratterizzata dall‟aver completamente sostituito, nella sua metamorfosi empirica, le caratteristiche yin con quelle yang. La spinta maschile enorme, che ha attivato per proteggersi dalla sofferenza derivante dai suoi bisogni insoddisfatti e dalla conseguente incapacità di donare amore, hanno portato la donna yang ad allontanarsi, fino a perderle, dalle proprie facoltà di cuore, principio attivo yin,che si manifesta attraverso il “dare”. La donna yang, esattamente come l‟uomo yang alterato, è colei che desidera ormai solo soddisfare uno smisurato bisogno di vendetta, attivando solo tutti gli aspetti propri del lato ombra. A tal scopo, attinge magistralmente solo dai lati ombra, sia yin che yang, rivelandosi esperta stratega. Inganno e perfidia, sono le sue armi più affilate che utilizza ormai completamente libera da scrupoli e freni inibitori. La sua strategia più efficace è indossare un‟impenetrabile maschera da donna affabile, gentile, disponibile. La sua capacità di dare molto nasce dal bisogno di acquisire potere e rendere l‟altro debole al punto da togliergli autonomia e dignità, fino ad annientarlo completamente, succube quest‟ultimo del fascino e del carisma di cui è portatrice. Il suo profondo disprezzo per la vita le consente di attivare schemi auto lesivi e annientanti in grado di non arrestare la sua spinta rabbiosa neppure di fronte alla morte. A livello molto profondo, esiste in lei un forte bisogno di espiare. Nell‟ambito professionale, la sua esuberanza maschile e la sua astuzia femminile le consentono di raggiungere i massimi livelli di potere, ottenuti sempre tramite modalità

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prive di scrupoli e di considerazione altrui, manifestando ella il male in ogni ruolo che ricopre. Tale condizione la porta completamente fuori dallâ€&#x;ordine.

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4.9. LA VITTIMA RABBIOSA

La figura della vittima rabbiosa non è mai legata al sesso biologico. Osservando questi processi, sembra possibile rintracciare delle similitudini con delle problematiche osservate anche nella condizione cosiddetta borderline dalla psicoterapia. Borderline è un termine coniato nella tradizione postfreudiana, nel momento in cui le tecniche medicamentali cercano l‟una di inglobare l‟altra. Bordeline entra a far parte anche del lessico filosofico del „900, grazie ad importanti filosofi quali Gilles Deluze, Jacques Derrida, Micheal Foucault. Il termine borderline deriva dall'antica classificazione dei disturbi mentali, raggruppati in nevrosi e psicosi, e significa letteralmente "linea di confine". L'idea originaria era riferita a pazienti con personalità che funzionano "al limite" della psicosi, pur non giungendo agli estremi delle vere psicosi o malattie gravi (come ad esempio la schizofrenia). Questa definizione è oggi considerata più appropriata al concetto teorico di "Organizzazione Borderline". Secondo questi modelli di classificazione questa condizione è una generale instabilità esistenziale, prevede relazioni affettive intense e turbolente che terminano bruscamente e "crolli" nella vita lavorativa e di relazione di ognuno. Questa instabilità e il continuo attraversamento della linea di confine, provoca uno stato emozionale eccessivo e variabile, una frequente paura dell'abbandono, crolli della fiducia in sé stessi e dell'umore, la tendenza a comportamenti autodistruttivi e distruttivi delle loro relazioni interpersonali, la tendenza ad avere frequenti momenti depressivi acuti, anche estremamente brevi, ad esempio pochissime ore, ed alternare comportamenti normali. Nel pensiero di Hardy, il ruolo della vittima rabbiosa caratterizza il passaggio da un estremo all‟altro, ma non è contenuta negli estremi stessi. Ogni ruolo intermedio, (donna finta yin e donna finta yang, uomo finto yin e uomo finto yang), è caratterizzato dal

ruolo

della

vittima

rabbiosa,

che

la

metamorfosi

sistemica

prevede

obbligatoriamente. Il ruolo della vittima rabbiosa non può esistere nella fase dello yin alterato perché, in tale fase, l‟accumulo della rabbia è ancora piuttosto debole.

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Nello yin alterato, infatti, l‟indicatore empirico attivo è la paura, che maschera la rabbia con l‟assunzione di atteggiamenti yin. Al contrario, nella fase opposta, quella dello yang alterato, il ruolo della vittima rabbiosa non è presente perché la rabbia, indicatore empirico attivo di questa fase, è talmente forte da aver provocato un irreversibile indurimento dell‟anima, trasformando la rabbia stessa in odio. Di conseguenza, nell‟alterazione yin, l‟indicatore empirico passivo è la rabbia, che, persistentemente rinnegata, provoca una degenerazione morbosa dello stato alterato. La conseguenza di ciò, provoca inevitabilmente un aumento del debito empirico che, pegno l‟estromissione dall‟ordine, l‟essere dovrà comunque affrontare, riscontrando sempre maggiore difficoltà. Nell‟alterazione yang, invece, l‟indicatore empirico passivo è la paura, che persistentemente rinnegata, nasconde, attraverso la manifestazione di uno spirito guerriero, la paura ancestrale, quella della morte. In questa situazione di alterazione, più l‟essere tenta di ignorare l‟esistenza degli indicatori empirici passivi, più si evidenzia il tentativo dell‟ordine di rimediare, a fin di bene, aumentando la presenza degli indicatori stessi. Ai fini di una integrazione sistemica, però l‟ordine spinge fortemente verso una compensazione forzata, cioè verso la necessità di integrare tali indicatori. Ma l‟essere, attraverso strategie vitali, giustifica e legittima il suo rifiuto verso di essi, impedito sempre dalla paura di affrontare il suo dolore. Ogni suo agire, quindi, ed ogni sua scelta è basata sul tentativo di compensare il proprio debito empirico. Un‟infinità di aspetti e sfumature diverse, caratterizzano il processo di metamorfosi della vittima rabbiosa da un ruolo all‟altro, ma c‟è un aspetto che li accomuna tutti, e cioè il sentirsi “bravi bambini innocenti”. Essi, cioè, totalmente incapaci di riconoscere le proprie responsabilità, giustificano tutto il loro agire, trovando negli altri o nelle situazioni circostanti, la causa dei loro disagi.

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Di norma, la fase della vittima rabbiosa si sviluppa dopo l‟infanzia, periodo in cui il sistema prevede, quale diritto naturale di ogni essere, lo stato di innocenza e di dipendenza. Ciononostante, il sistema, pur riconoscendo l‟assenza di colpa, riconosce nell‟essere, anche in questa fase, la sua responsabilità nei confronti dell‟ordine. Può accadere, nel caso di un bambino non desiderato o portatore di una consegna familiare pesante, che il degrado empirico avvenga in maniera precoce, addirittura nel ventre materno. E‟ il dolore a stabilire l‟innescarsi del processo di alterazione: quanto più da bambini si è provato dolore tanto prima si accede alle fasi yang alterate. Lo stesso dolore, però, potrebbe intrappolare nell‟eccesso opposto yin, non consentendo all‟essere di accedere per nulla nel ruolo dell‟adulto, manifestando così un persistente stato infantile. E‟ interessante, per proseguire nella comparazione di diversi punti di vista, rilevare come la psicoterapia ritenga che la condizione borderline compaia nell'adolescenza e che concettualmente ha aspetti in comune con le comuni crisi di identità e di umore che caratterizzano il passaggio all'età adulta, ma che avviene su una scala maggiore, estesa e prolungata determinando un funzionamento che interessa totalmente anche la personalità adulta della persona. In differenti tradizioni si ritiene anche che la propria “matrice” si costituisca in modo inconsapevole nel bambino dall'età di tre - quattro anni in poi e che questa cambi nell'adolescenza.

E‟

così,

per

esempio,

nelle

pratiche

legate

al

simbolo

dell‟enneagramma, ognuno di noi percepisce la realtà attraverso una lente (a seconda della sua personalità o tipo) che spesso ne altera l'oggettività. Attraverso la scoperta e la conoscenza del proprio tipo e quindi della propria compulsione si può progressivamente ignorarla, con impegno e costanza, e migliorare così il proprio comportamento, la visione di sé stessi e le relazioni interpersonali. Si può cambiare “tipo”. L‟origine dell‟enneagramma è sconosciuta, ma si crede che abbia più di 2000 anni e che sia stato tramandato oralmente e in segreto dai maestri Sufi, in Medio Oriente, i quali rivelavano, agli allievi, soltanto la parte relativa alla loro personalità. Il suo scopo più interiore era,

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presumibilmente, l'unione con Dio. Il sufismo avrebbe quindi ideato i "nove volti di Dio", basandosi su concezioni spirituali e sul vissuto di ogni persona. Per i Sufi, si poteva avere armonia con Dio, se si conoscevano tutti i modi di essere della personalità. Il primo a parlarne in Europa fu Georges Ivanovic Gurdjieff, che usava questo strumento per comprendere il meccanismo di ogni sistema relativamente chiuso, come il sistema solare e le leggi che lo governano, il funzionamento dell'organismo umano, degli organismi vegetali. L‟Enneagramma è un altro possibile esempio di metamorfosi sistemica. Un discorso a se stante necessita la Rabbia. Michel Hardy la definisce il “catalizzatore principale” attraverso il quale due persone si scelgono o si respingono, una sorta di “filtro” di base che determina tale scelta. Ciò a dire, che la compensazione della carica aggressiva di cui ciascun soggetto è portatore, è condizione indispensabile per qualsiasi relazione, integrata o alterata che sia. Questo perché, il sistema prevede, per ogni nucleo affettivo, un potenziale aggressivo pieno e genuino che garantisca la sopravvivenza della specie. L‟uomo yang, depositario naturale di questa forza, ma non in grado di soddisfarla pienamente all‟interno della coppia, oltre ad accumulare debito empirico, cercherà di compensarne la mancanza trovando una partner in grado di esprimerla al suo posto. Al contrario, l‟uomo yang integrato, partner naturale di una donna yin integrata, adempiendo il suo ruolo di portatore sano della propria carica primaria all‟interno del nucleo familiare, consentirà di conseguenza, un accesso altrettanto sano ai propri figli alla stessa carica primaria. Il lavoro empirico guidato dall‟Hardy, durante i seminari esperienziali, ha posto come tema centrale quello della Rabbia. Ne “la terapia della rabbia”, l‟allievo comincia a prendere contatto con questo sentimento di cui, quasi sempre, non si è consapevoli. La sua importanza è determinata dal fatto che da piccolo, ogni bambino è stato sgridato e accusato di “cattiveria” a causa di una manifestazione di rabbia. Ciò ha creato immediatamente in lui un forte senso di colpa per aver fatto dispiacere i propri genitori. Il piccolo la vive così, come un sentimento negativo, pericoloso, assolutamente da evitare.

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La terapia, attraverso il ricreare dinamiche in grado di stimolare la manifestazione della rabbia repressa, permette, a ciascun individuo, di diventarne consapevole, alleggerendo, man mano, il serbatoio nel quale si è accumulata. Questo lavoro ha l‟obiettivo di far prendere coscienza del ruolo determinante che la stessa ha assunto nelle dinamiche personali e relazionali di ciascun allievo coinvolto, aiutando “il bambino interiore” a non averne più paura e ad esprimerla liberamente. Il secondo passo, ne “il potere della rabbia” è riconoscere che, più che trattarsi di un sentimento negativo, al contrario, la rabbia è un‟energia potente che fa parte del nostro potere personale. Il riuscire quindi a farla emergere è indispensabile, per poterla poi trasformare da energia fortemente distruttiva in amore. Svuotare completamente il serbatoio della rabbia accumulata, eliminando quindi l‟azione di sabotaggio che assumeva nella nostra vita, ci permette di apprendere nuove modalità di espressione di questa energia, volte ora, a portare armonia ed equilibrio. Anche in questo caso il pensiero dell‟Hardy è in sintonia con quello taoista, che segue il naturale processo di “Madre Terra” e sostituisce tensioni inconsce e azioni con la pratica cosciente del rilassamento, sensitività, consapevolezza e controllo. Il lavoro taoista sulle emozioni porta, per esempio, ad usare la calma per estrarre energia dalla rabbia, dalla gelosia, dalla paura… Quella taoista è una concezione totalmente opposta ad altre, che portano a lavorare sul corpo attraverso la sua negazione, privandolo di cibo, sonno, sesso e conforto.

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5. ALTERAZIONI E DISSONANZE

Il fallimento di relazioni interpersonali e la condizione di solitudine nella quale spesso l‟essere si ritrova, con uno stato di sofferenza indicibile, è probabilmente ciò che maggiormente spinge l‟individuo a mettersi in gioco. Una relazione sana è il desiderio fondamentale dell‟essere umano. Da qui l‟importanza del discorso di Hardy, basato sull‟azione di un linguaggio immediato, non di un metalinguaggio. La descrizione del discorso amoroso era stata sostituita dalla sua simulazione, ed a questo discorso viene oggi restituita la sua duplice persona fondamentale, in modo da non mettere in scena non un‟analisi, non un ritratto psicologico, ma una collocazione del discorso stesso: la collocazione di qualcuno che parla dentro di sé, amorosamente, di fronte all‟altro, che gli risponde. Nel capitolo precedente abbiamo potuto delineare le alterazioni nell‟individuo, basandoci sui concetti di femminile e maschile, di yin e yang, e i vari livelli che le contraddistinguono. Come risulta facilmente intuibile, le relazioni create dall‟unione di individui alterati, non possono che risultare tali a loro volta. Le compensazioni relative al singolo, quindi, si manifesteranno inevitabilmente anche all‟interno della coppia. L‟unione tra un uomo yang integrato e una donna yin integrata, è la sola, secondo l‟Hardy, in grado di costituire una coppia funzionale al sistema e di rispondere ad un bisogno di compensazione sano. In tutti gli altri casi, invece, le coppie si basano sulla compensazione di una debolezza, vale a dire che “più uno dei partner possiede una carica mancante, più l‟altro necessita della stessa in eccesso”. Attratti, in maggior misura, l‟un l‟altro, dal lato ombra, i soggetti di una coppia alterata, sono evidentemente privi di corrente vitale sana e creano così un rapporto di bisogno che, nei diversi “incroci, ” si manifesta in maniera differente.

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Pur distinguendo le due forme di base, coppia alterata e coppia inversa, l‟autore, sottolinea, alla base di entrambe, il legame di dipendenza reciproca, cioè il realizzarsi di una relazione non basata sull‟amore ma sul bisogno. Certamente, partendo dal presupposto che la coppia che più si allontana dall‟eccellenza è la coppia inversa formata da Uomo yin e Donna yang, alla quale spetta il gravoso compito di dover dimostrare esattamente il contrario di ciò che è, tutti gli incroci, sono comunque, caratterizzati dall‟aspetto yang dominante. Nel caso della donna, questo si manifesta sia nel suo ricoprire ruoli intellettuali o imprenditoriali, sia nell‟assumere atteggiamenti da “femme fatale”, ostentando i suoi attributi fisici. Nell‟uomo, invece, assistiamo alla rappresentazione della figura del “macho”, del “playboy”, del “duro che non chiede mai”. Cercando di nascondere la propria carica primaria mancante, i loro partner ideali, gli yin alterati, si travestono da “padrona di casa morbida e accogliente”, da “bambina acqua e sapone”la donna e da “uomo sensibile e comprensivo, “sempre disponibile e garbato”, l‟uomo. Alla base di tutte le relazioni che nascono da questi incroci, lavora un meccanismo di compensazione interiore previsto dall‟ordine e fondamentale per la compensazione delle parti yin e yang. Ogni individuo, per quanto alterato, cerca di interpretare al meglio delle sue possibilità la propria carica primaria nel tentativo di soddisfare il “ bisogno assoluto” di sentirsi all‟altezza del proprio sesso biologico. A tal scopo, naturalmente anche il partner compensativo, in maniera proporzionale alla sua mancanza, assume un ruolo fondamentale. In questo “gioco di ruoli”, se l‟essere che non ha pienamente avuto accesso alla sua carica primaria ha contratto un debito sistemico, sarà naturale e necessario per lui, trovare un partner portatore di un debito simile. Ognuno di loro, pur di evitare di confrontarsi col proprio debito, cercherà di dare il volto della propria personalità alla propria alterazione empirica, giustificandola, in questo modo, a se stesso e agli altri.

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Una coppia caratterizzata da tale modello compensativo che possiamo, con parole dell‟Hardy, definire “morboso”, non può che avere, alla base della propria sopravvivenza, sentimenti quali la rabbia, la paura e la tristezza abilmente nascosti dalla maschera della propria realtà illusoria. L‟amore, dunque, in queste relazioni, non può esistere, in quanto, l‟attaccamento emotivo, confuso, dai soggetti coinvolti, per vero amore, ha il solo scopo di colmare i vuoti interiori senza, naturalmente, nulla a che vedere con il pieno senso di appagamento e completezza che l‟amore dona.

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5.1

COPPIA INTEGRATA

Abbiamo già anticipato che la sola coppia in grado di creare un legame stabile e appagante è quella composta da due partner integrati, cioè da un uomo Yang integrato e una donna yin integrata. Tale coppia genera una sinergia sistemica che nessun altro incrocio è in grado di generare, poiché in essa ciascuno dei partner accede in maniera sana alla propria carica primaria. L‟uomo yang integrato e la donna yin integrata sono i soli ruoli in grado di assumersi pienamente le proprie responsabilità. L‟uomo guida, ben consolidato nel suo potere yang, lei cura e nutre, entrambi con una “visione sincronizzata” della realtà e privi dell‟esigenza di ostentare le proprie rispettive cariche per potersi sentire adeguati. La coppia integrata è l‟unica formata da partners in grado di essere ciò che realmente sono, poiché l‟uomo non ha alcun bisogno di ostentare la propria virilità, né la donna la propria carica seduttiva, per essere riconosciuta tale. Ciò permette a questa coppia di vivere nel libero fluire, essendo la sola in grado di risolvere malintesi inevitabili in qualsiasi tipo di coppia, senza che uno dei due partner si senta violato o, al contrario, debba attaccare con violenza l‟altro. L‟uomo yang integrato e la donna yin integrata sono gli unici ruoli che hanno esaminato e reso consapevole il loro lato ombra, inglobandolo come parte essenziale di se stessi e esprimendo così il massimo grado di integrazione degli opposti. Tale auspicabile condizione è la sola che, nella coppia, consente al singolo di sostenere, senza il bisogno di critica, i difetti dell‟altro proprio in quanto è già stato capace di accettare prima la parte più scomoda di sé. Per concludere, l‟amore che abbiamo visto non potersi esprimere in nessuna delle relazioni create da partner alterati, nel caso della coppia integrata, è alla base del suo nutrimento, essendo l‟unica coppia libera da proiezioni infantili e, di conseguenza, da richieste disarmoniche generanti, come nelle situazioni alterate, risentimenti o rancori di ogni tipo.

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In tale coppia, i due partners, avendo evaso il loro debito originario, acquisiscono il diritto alla procreazione e alla famiglia, essendo i soli in grado di generare e rigenerarsi attraverso l‟amore. L‟uomo assume il ruolo di capofamiglia, onorato e riconosciuto dalla donna che, a sua volta, sentendosi protetta e grata, può rivolgere la sua attenzione alla cura e alla crescita dei figli. L‟amore e la morbidezza, di cui la donna è portatrice, vengono riconosciuti dall‟uomo quali valori onorabili di fronte ai quali inchinarsi. “Lui riconosce in lei la sua maestra d‟amore, essendo pieno di stupore e di tenerezza per questo sentimento inedito. Ed è proprio per questa ragione che mette tutto se stesso al servizio di questa dote, per lui tanto impalpabile quanto luminosa e ambita. La luce naturale yin, le sue radici spirituali, e la sua facoltà di donare vita a lui e alla sua prole, si manifesta, nella realtà yang, come valore incommensurabile”. E‟ in questa condizione che si compie la massima compensazione sistemica. Vorrei inserire una divagazione per citare la letteratura sul tantrismo e sull‟amore tantrico. Tantra o Tantrismo indica, nella storiografia occidentale, una controversa categoria che raccoglie un genere di insegnamenti spirituali e tradizioni esoteriche originatosi nelle religioni indiane, ne esistono varianti induiste, buddhiste, giainiste e nelle sue diramazioni si è diffuso in Tibet, Cina, Corea, Giappone e molte altre aree dell'Estremo Oriente. Il primo a parlare di Tantrismo in Occidente è stato Sir John Woodroffe, ma soprattutto in seguito autori importanti come Agehananda Bharati, Mircea Eliade, Julius Evola, Carl Gustav Jung, Giuseppe Tucci, e Heinrich Zimmer. In seguito altri autori molto popolari, come Joseph Campbell, contribuirono a importare il Tantra nell'immaginario collettivo contemporaneo; il Tantra comincia a essere visto come un "culto dell'estasi", che combina spiritualità e sessualità in modo da agire come una forza correttiva dell'atteggiamento repressivo della cultura occidentale, nei confronti del sesso. Nel momento in cui il Tantra è diventato popolare in Occidente, però, ha subito una significativa trasformazione, fino ad essere inglobato nell‟occidentalissima New Age,

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che ne ha prodotto una versione nota come Neotantra, molto differente dalla tradizione tantrica originale dell'India. "Tantra" è diventato un sinonimo di "sesso spirituale" o "sessualità sacra", il concetto che il sesso stesso debba essere santificato in quanto capace di elevare la coppia ad un piano di spiritualità superiore. Sebbene il Neotantra adotti molti dei termini e dei concetti del Tantra indiano, in esso le tradizionali fondamenta e le regole di condotta rituale sono state epurate. High Urban in The Omnipotent Oom: Tantra and Its Impact on Modern Western Esotericism sottolinea che il neo-Tantra occidentale è una diversa interpretazione di una specifica situazione storica, “Almeno dal tempo di Agehananda Bharati, la maggior parte degli studiosi occidentali è stata fortemente critica di queste nuove forme di pop-Tantra o neo-Tantra. Questo "California Tantra" come Georg Feuerstein lo chiama, è "basato su un profondo fraintendimento del cammino tantrico. Il loro errore principale è di confondere la beatitudine tantrica [...] con l'ordinario piacere orgasmico”. Il Tantrismo, in definitiva, non è un discorso amoroso sulla coppia, ma un discorso sulla trasformazione della coppia in Shiva e Shakti.

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6. DIS/ORDINE

Cercherò, in questo capitolo, di analizzare i motivi per i quali l‟essere si allontana dall‟ordine, rinunciando così rapidamente alla realizzazione della sua felicità.

6.1

Il blocco delle emozioni

Quando nelle fiabe la gente si ridesta da un sonno profondo e incantato, si trova in questa situazione: si domanda se tutto ciò che ha veduto nei sogni frammentati non sia alla fin fine reale, mentre il nuovo mondo, così limpido nell’apparenza, è un’illusione. Quando mi inoltrai sul cammino, dopo il compimento dell’infanzia, avevo precisamente questo senso di dislocazione. Sarà forse un errore considerare la fanciullezza come una forma di sopore, un periodo di riposo per la vita spirituale, ma per far maturare ciò che nell’infanzia fu seminato, sembra che occorra una forma di sonno, una disattenzione ai piatti stereotipi dai quali siamo circondati ( Kita Morio, Ghosts) Siamo in grado, alla luce di tanta letteratura psico- spirituale, di affermare che, ciò che caratterizza ogni individuo alterato, infelice, totalmente insoddisfatto della propria esistenza e della propria persona, viene fatto risalire al suo non aver sviluppato la propria crescita interiore in maniera completa, bloccando le proprie emozioni nell‟infanzia. La conseguenza di ciò è l‟aver sviluppato la tendenza a ricreare conflitti infantili Raramente, durante l‟infanzia, l‟essere riceve amore in maniera adeguata e sufficiente al suo bisogno. Tale mancanza è talmente deprivante, da portare l‟essere a cercare di soddisfarla, inconsapevolmente, per tutta la vita. Il tentare ostinatamente di riavere l‟amore che non si è ricevuto da piccoli, ci impedisce di aprirci all‟amore che potremmo ricevere oggi, cambiando così, una volta per tutte, quella reazione a catena che porterà anche i nostri figli a ricevere la stessa consegna familiare.

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Freud, ormai un secolo fa, definì questo bisogno di ripetere il passato “coazione a ripetere”, sottolineando la necessità dell‟adulto alterato di ritornare sulle stesse dinamiche infantili per poterle correggere. Freud nella sua teoria sulle pulsioni sostiene che ogni processo psichico si mette in moto solo quando vi è una tensione che viene vissuta

come

spiacevole

o

dolorosa.

Il processo psichico quindi, secondo questa teoria, avrebbe come fine quello di annullare la tensione dolorosa e produrre così uno stato di quiete che equivarrebbe al piacere. Pur tuttavia il principio di piacere non può esercitare, secondo Freud, il dominio incontrastato, prova ne è l'esistenza del principio di realtà che entra in gioco quando l‟essere vivente avverte delle istanze che minacciano la sua autoconservazione. In questo caso il principio di piacere è solo temporaneamente sospeso o meglio contenuto:

è

questo

il

modo

in

cui

vengono

educate

le

pulsioni.

Nella coazione a ripetere le pulsioni che operano però sembrano essere in contrasto con il principio di piacere, poiché esse portano dolore e disagio all‟individuo, che sembra subire

passivamente

un

"meccanismo"

che

non

riesce

ad

interrompere.

Ma andando alle origini delle pulsioni, Freud arriva a scoprire che, celata dietro la coazione a ripetere, vi è una pulsione che opera "al di là del principio di piacere", la quale tenderebbe a ripristinare uno stato anteriore, ancestrale che egli fa risalire al mondo della materia inorganica, quando l‟inerzia regnava sovrana in un mondo dove l‟impulso di vita e la tensione che essa porta con sé non esistevano ancora. Questa pulsione, o principio di morte (Thanatos), ha come scopo la conservazione (la cui modalità è quella appunto della ripetizione): essa tende a riportare ad uno stato di quiete ciò che sotto l‟impulso di vita (Eros) viene avvertito dall‟essere vivente come una forza perturbatrice che mina quello stato di immobilità a cui vorrebbe far ritorno. Il tentativo è quello di ritornare all'uno iniziale, quando la sostanza vivente non era ancora suddivisa nelle tante particelle che, come sostiene anche Platone, andrebbero da allora ricercandosi per riunirsi nuovamente. Più tardi Jung parlerà del sintomo nevrotico, che egli definisce come una sorta di compromesso che l‟uomo stipula con se stesso quando, limitando la propria esistenza in

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rigidi schemi di comportamento, esclude qualsiasi dialogo interiore da cui potrebbe scaturire l‟evoluzione della personalità. Anche qui il "vantaggio" che tale compromesso si ripromette, inutilmente per altro, di ottenere è quello di non sostenere il conflitto che, di volta in volta, le istanze profonde dell‟individuo inevitabilmente provocano ad una coscienza,

che

vorrebbe

riconoscersi

solo

in

quella

collettiva.

Dunque, pur partendo da interpretazioni differenti del sintomo nevrotico, si possono cogliere dei punti in comune. Infatti, sia che si parli, come Freud, di pulsione di morte oppure, come Jung, di tendenza all'identificazione, la sostanza profonda non cambia: in entrambi i casi si manifesta la tendenza alla ripetizione ed al tentativo di eludere la tensione vitale. Negli ultimi anni il filosofo francese Jacques Derrida, in un seminario sull'argomento La vita la morte che tenne nel 1975 all'École des Hautes Études di Parigi, dedicato principalmente a Nietzsche ma allargato a Freud, a Heidegger, alla storia e all'epistemologia delle moderne scienze della vita, assume un atteggiamento critico verso questi postulati. Derrida chiama l‟"atesi", cioè l'impossibilità di avanzare, da parte di Freud. "Avanzare" sia in senso di avanzare una tesi sul rapporto tra il principio di piacere e la pulsione di morte (il seminario prendeva le mosse proprio dall'esigenza di spiegare alcuni fenomeni di ripetizione di esperienze traumatiche, il che avrebbe contraddetto il principio di piacere), sia, e soprattutto, "avanzare" nel senso di procedere al di là, al di là del principio di piacere, verso la morte e il suo principio. Ogni tentativo di procedere oltre ("facciamo ancora un passo…", "ein Schritt weiter", ripete Freud in continuazione a ogni ripresa di capitolo) è uno scacco, fino alla paralisi, fino alla necessità della ripetizione che lega ogni allontanamento a un riavvicinamento. Movimento che lascia sul posto, per così dire, che non fa avanzare di un passo la scrittura di Freud, secondo un "ritmo differenziale" che mette in scena, nella scrittura, l'oscillazione tra la vita e la morte Nel pensiero di Hardy questa coazione a ripetere è tanto potente quanto inconscia. Il tentativo di risolvere i conflitti infantili si manifesta in maniera particolare nei rapporti di coppia, scegliendo inconsciamente un partner con le caratteristiche del

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genitore che ci ha amato meno ma anche dell‟altro. Questa tendenza, così spiccata nel rapporto di coppia può riguardare anche tutti gli altri tipi di relazione. Il bambino che vive nel passato, incapace ancora di accettare le frustrazioni subite nell‟infanzia, a comprendere e a perdonare, continua a ricreare le situazioni vissute allora nella speranza di impossessarsi di ciò che sente di non aver ricevuto. Naturalmente, tale strategia non può che fallire. Non solo. Essa si rivela estremamente distruttiva poiché chi la agisce vive un‟illusione, una realtà virtuale nella quale è sostanzialmente impossibile ricevere quell‟amore maturo al quale l‟essere aspira. In tale realtà, la convinzione che ora, con una volontà più forte, siamo in grado di ottenere dal partner ciò che non si è riusciti ad ottenere dai propri genitori, si radica dentro di noi, diventa un‟assurda pretesa che, rimanendo puntualmente delusa, porta alla ormai nota “coazione a ripetere”. Solo quando si riesce a superarla, è possibile diventare consapevoli che l‟amore non può essere estorto ed è possibile riconoscere che ciò che ci fa agire con quelle modalità, è la dipendenza dall‟amore che i nostri genitori non ci hanno dato. Continuando a non riconoscere questo meccanismo, cerchiamo di soddisfare i nostri falsi bisogni da una fonte che non è in grado di nutrirli. E quanto più a lungo rimangono insoddisfatti, tanto più diventano urgenti e pressanti. E quanto più questo avviene, tanto più aumenta la nostra dipendenza. E tanto più il rapporto con gli altri peggiora. Ogni tentativo di forzarli, infatti, crea in loro delle resistenze e li fa chiudere in se stessi dando luogo così ad un circolo vizioso infinito. La costante frustrazione, erroneamente attribuita al rifiuto degli altri di cooperare, genera così in noi dolore, rabbia ed anche desiderio di vendetta e crudeltà. E ciò, a sua volta, ci rende ancora più deboli a causa dei sensi di colpa che crea. La conclusione a cui si giunge è che sia necessario nascondere gli impulsi distruttivi per non rischiare di allontanare da noi coloro che consideriamo la fonte stessa della nostra vita. E il circolo si chiude con noi stessi completamente imprigionati nella trappola delle emozioni distruttive che derivano da tutti questi malintesi, da tutte queste illusioni.

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In una condizione davvero paradossale, ci ritroviamo ad implorare amore ed approvazione proprio da coloro che più odiamo per averci, così a lungo, negato ciò che volevamo tanto intensamente. L‟apparente rifiuto da parte degli altri di soddisfare i nostri desideri, ha come ulteriore effetto quello di indebolire la nostra convinzione che sia un nostro diritto ricevere ciò che desideriamo e che, probabilmente, non sia per nulla naturale avere desideri, cominciando così a reprimerli ed a sostituirli con altri più o meno artificiali. In questa condizione la disperazione e il dolore aumentano sempre di più fino a paralizzare corpo, mente, anima, creando una vera e propria anestesia che ci permetta di non accedere più a questi sentimenti talmente devastanti da poter essere letali. Creiamo così una pseudosoluzione, una parete protettiva vitale che ci separa dall‟impatto delle esperienze emotive. Questo meccanismo di difesa, nel tentativo di allontanarci dal dolore, ci allontana anche dalla possibilità di essere felici e, cosa ancor più grave, distrugge la nostra capacità di sentire. Anche se non ne siamo consapevoli, abbiamo in questo modo preso la decisione di allontanarci dalla gioia e dall‟amore.

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6.2

La maschera o immagine ideale

Lo scudo protettivo di cui l‟essere si è dotato diventa la sua nuova veste, l‟immagine che d‟ora in poi adotterà per agire nel mondo illudendosi così di superare il dolore e l‟insicurezza e pretendendo di essere ciò che non è. Ma dal momento che il senso di fiducia in se stessi generato dall‟immagine ideale è artificiale, i risultati non possono essere quelli aspettati ma, di fatto, sono l‟esatto opposto. Mantenere in piedi questa versione ideale di noi stessi diventa una lotta disperata causa di enormi frustrazioni, di confusione e di conflitto. Cercare a tutti i costi di nascondere i propri “lati ombra”, secondo un‟attitudine interiore fondamentalmente disonesta che nega l‟esistenza di emozioni negative, quali l‟orgoglio, la vergogna, i sensi di colpa e la paura di farsi vedere dagli altri così come si è, diventa un‟impresa impossibile alla quale l‟essere però lavora incessantemente, e abbandonando la quale sentirebbe il mondo crollargli addosso. E‟ il caso del ruolo “della brava bambina” e del “bravo bambino” per il quale essere “buoni e perfetti” appariva condizione di vita o di morte, avendo associato l”essere cattivi” con la punizione e il dolore e l‟“essere buoni” con il piacere e le ricompense dei genitori. Non sempre però, l‟immagine ideale cerca di mettere in evidenza solo i” lati luce” dell‟essere ( essere altruisti, amare gli altri, non arrabbiarsi mai e tutte quelle indicazioni che abbiamo ricevuto da bambini e che abbiamo adottato per paura di non ottenere l‟amore dei nostri genitori). Talvolta essa idealizza anche tratti negativi dell‟individuo, quali l‟orgoglio, l‟ostilità, l‟ambizione, ritenuti dall‟individuo stesso segni di forza, di superiorità, di indipendenza, tratti di cui egli si vanta e la cui assenza negli altri, al contrario, considera assoluto segno di debolezza. Naturalmente, tale attitudine è legata anche ai diversi stadi di metamorfosi empirica, cioè alla maggiore o minore vicinanza alla fase yin o yang.

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Nonostante sia impossibile essere all‟altezza della nostra immagine ideale, non siamo disposti a rinunciarvi, ma ogni volta che falliamo nei nostri tentativi di tenerla in piedi, il senso di non valere nulla si impadronisce di noi. Per sfuggire, poi, a questa sensazione di essere dei “falliti”, tendiamo a proiettare il nostro fallimento sugli altri, incolpandoli per tutto ciò che non va in noi stessi. Tale atteggiamento, sempre assunto inconsapevolmente, non crea altro che ulteriori conseguenze, riducendo significativamente il proprio livello di autostima, base indispensabile su cui poggia la salute psicologica di ogni individuo. E quanto più la nostra immagine ideale è grande, tanto più la nostra autostima è precaria. L‟immagine ideale, che avrebbe dovuto eliminare la nostra insicurezza, in realtà alla fine non fa che aumentarla rendendola sempre più insidiosa. Si crea un nuovo circolo vizioso: quanto più l‟insicurezza aumenta, tanto più le richieste dell‟immagine ideale si fanno pressanti, e tanto meno siamo in grado di farvi fronte, tanto più diventiamo insicuri. Così, quanto più fortemente ci identifichiamo con la nostra immagine ideale, tanto più grande è la delusione quando non riusciamo in nessun modo a tenerla in piedi nelle varie circostanze che la vita ci presenta. Questo tentativo artificiale di essere ciò che non si è, è incompatibile con il processo del vero cambiamento interiore e della vera crescita, perché, naturalmente, non ci si può dedicare contemporaneamente alla costruzione del falso sé e alla scoperta di chi realmente siamo. Riuscire a vedere che l‟immagine ideale era destinata a risolvere specifici problemi della propria infanzia, al di là del generico bisogno della sicurezza, di piacere, di felicità, permette di riconoscerne anche la sua natura illusoria, e di considerarla in definitiva solo per ciò che realmente è: un insopportabile peso di cui è bene liberarsi. Solo dopo aver riconosciuto che essa non ci ha aiutato a superare le insicurezze che era destinata a superare, ma che, al contrario, ne ha create di nuove provocando ulteriori problemi nella nostra vita, solo allora possiamo decidere di dissolverla in maniera definitiva.

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3. L’ITER ACCADEMICO: un percorso di crescita

Il percorso accademico ideato e diretto da Michel Hardy è caratterizzato da seminari formativi, tutti connessi l‟uno all‟altro, che formano un unica esperienza globale tesa all‟evoluzione personale dello studente, attraverso la scoperta delle proprie dinamiche nascoste , mediante inedite chiavi di lettura, e favorendo l‟opportunità di pervenire ad un sentire genuino. In sintesi è la “scuola del sentire”. Infatti, il Protocollo Empirico, proposto da Michel Hardy che è alla base del lavoro svolto nel percorso di studi nella Libera Università di Psicologia Empirica, favorendo la fenomenologia del sentire, ha lo scopo di “portare alla luce il proprio vissuto che giace nella penombra”, di scoprire la tendenza a vedere le cose come si vorrebbe che fossero e non come realmente sono. Attraverso il coinvolgimento del corpo, stimolato a muoversi e ad esprimersi con un linguaggio proprio suo, e attraverso il fare piuttosto che il capire, il lavoro di analisi empirica ha permesso a ciascun allievo di aprire una finestra sul proprio vissuto e di entrare in contatto con le sue emozioni più remote, bypassando gli ostacoli che la mente di norma, crea. Chiamando in causa il livello sensoriale, ancor prima di quello intellettivo, il lavoro dell‟Hardy ha permesso di riconoscere un ordine empirico e naturale che determina il libero fluire delle cose conducendolo là dove la mente spesso non trova più ragione di essere. “Il valore del sé” ,“cibo, sessualità e carattere”, “maschile e femminile”, “la terapia della rabbia” , “il potere della rabbia”, “dinamiche e relazioni”, ”, “il teatro del sé”, “conoscere la paura”, “lo spazio della coscienza” ( digiuno spirituale) ,ecc. sono tutti seminari durante i quali ogni allievo mette in gioco parti di se inedite, aspetti della propria personalità mai rivelati neppure a se stesso, emozioni sconosciute. Nei momenti di crisi estrema e di forte stress, e forse solo in quei momenti, il corpo esprime ciò che l‟ego tenta con ogni mezzo di nascondere, smascherando quelle verità

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che, fino a quel momento, ogni essere coinvolto nel “gioco” aveva acremente rifiutato, lasciandole sepolte nel suo subconscio. Il momento di crisi, che ha reso finalmente impossibile continuare ad ingannare se stessi, diventa un‟opportunità unica per entrare in contatto con quelle parti di noi che abbiamo evitato attraverso tutte le strategie a nostra disposizione, anestetizzandoci emotivamente per la paura di affrontarle. Può accadere allora che l‟allievo manifesti uno sfogo violento ed inaspettato della propria rabbia repressa, o che pianga disperatamente e a lungo, o che esprima sentimenti repressi nei confronti di qualche componente della propria famiglia; ma anche che contatti una gioia mai sperimentata, una nuova sensazione di benessere e leggerezza, un amore che sorprende. Questo nuovo e straordinario contatto col proprio sé, è, ovviamente, solo il primo passo da compiere per eliminare i processi distruttivi dentro di noi e per costruire un sé realmente forte che poggi su solide basi. Ciò non toglie che, al termine del lavoro esperienziale, coloro che hanno avuto accesso alle proprie emozioni profonde provino comunque una meravigliosa sensazione di sollievo, la sensazione che il proprio sistema energetico abbia iniziato un processo di disintossicazione dalle sostanze che per tanto tempo lo hanno avvelenato. L‟opportunità di diventare consapevoli dell‟esistenza di questo “veleno”, l‟umiltà di accettarlo e la volontà di trasformarlo in energia pulita che sia portatrice di amore per se stessi e per gli altri, è il percorso di crescita necessario per porre fine ai vecchi modi di agire, per abbattere una struttura costruita su premesse in contrasto con le leggi dell‟ordine e quindi dell‟amore, della verità, della felicità. Tutti i seminari lavorano in questa direzione: pur affrontando argomenti diversi, ogni esperienza serve a disinquinare l‟essere, a penetrare, sempre più in profondità, trivellando nelle spesse mura che la paura ha, a ragion veduta, eretto per difendere il suo prezioso nucleo centrale. Lentamente, ognuno con i suoi tempi, ogni allievo prende coscienza della sua visione ristretta della vita, della separazione da se stesso, dei meccanismi di auto sabotaggio che mette in atto per rimanere ancorato al dolore e alle emozioni distruttive.

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Lentamente, ogni allievo prende coscienza della necessità del cambiamento, della necessità di creare in modo costruttivo e non più distruttivo, della necessità di lasciare andare i vecchi schemi, i vecchi atteggiamenti per far spazio a nuovi orizzonti. Egli sente la necessità di mettere finalmente ordine nella confusione dei propri processi mentali, che hanno impedito di realizzare chi veramente è, facendolo aggrappare sempre di più alla parte irreale di se stesso. Lentamente, ogni allievo scopre che questo processo di “decontaminazione”, di pulizia dai veleni, non può che portare alla scoperta di poteri personali sconosciuti, di una forza che non avrebbe mai sospettato di possedere, di una saggezza interiore in grado di guidarlo nel proprio agire, di un nuovo modo di assaporare e vivere la vita. In quanto metafora particolarmente esplicativa di questo processo di purificazione, ritengo utile dedicare uno spazio maggiore al seminario “lo spazio della coscienza” ossia, il digiuno spirituale. L‟assenza forzata di cibo, se da un lato, inizialmente, crea forti disagi e sofferenze fisiche, dall‟altro attenua il potere dell‟ego, in quanto si affievoliscono gli stimoli ai quali questo è assuefatto. Col digiuno si modifica l‟abituale vissuto, viene meno il regolare alternarsi “famesazietà”, si interrompono la digestione, l‟assimilazione, si verificano cambiamenti a livello biochimico e, di conseguenza, anche lo stato mentale del digiunante si modifica. L‟Ego, indebolito, diventa più disponibile a dar spazio a ciò che abitualmente rimuove, riportando il processo di purificazione dal piano fisico anche agli altri livelli dell‟essere. Il digiuno è, quindi, una condizione naturale attraverso la quale l‟essere può spontaneamente riequilibrare ogni disarmonia nei ritmi vitali, aprire i canali energetici e far circolare in modo equilibrato le energie, diventando così una tappa fondamentale nel processo di trasformazione ed evoluzione cui l‟essere aspira. Tutto quello che nel processo del digiuno, attraverso una maggiore stimolazione del linguaggio corporeo, accade in maniera più evidente, non è altro che ciò che, invece, in maniera meno plateale, avviene a livello profondo, negli altri lavori esperienziali. Svuotare per riempire, cioè ripulire il corpo per liberare l‟anima, permettendole così di essere guidata da un nuovo stato di coscienza che la riporti nel libero fluire.

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8 IL SALVATORE. Una storia vera: non sono stato io Per concludere, vorrei soffermarmi su uno degli aspetti più importanti espressi nel concetto della GRAMMATICA DELL‟ESSERE, vale a dire quello delle responsabilità individuali, che molto spesso vengono confuse con l‟idea di colpevolezza. Infatti, la maggior parte degli individui crede di conoscere bene quali siano le proprie responsabilità ed invece finisce sovente per assumersi responsabilità che loro non sono. Tali sensazioni provengono da un profondo senso di colpa, che l‟ordine empirico non riconosce come moti naturali. Si tratta, invece, di percezioni soggettive frutto di una crescita disarmonica. Queste sono generalmente una conseguenza diretta, un effetto degli schemi imposti dalla morale comune e delle false credenze radicate dell‟ambiente in cui si vive, che è estraneo al principio della funzionalità e di conseguenza a quello della responsabilità. I sensi di colpa vengono generati dalla necessità individuale del “dover fare a tutti i costi”, dalle aspettative che gli altri hanno riposto in noi, dal continuo nascondere i propri difetti –vergogna, orgoglio, disonestà, pigrizia, fuga dalla realtà presente, bisogno d‟amore, ecc. dietro una maschera per paura di non essere accettati per quel che siamo. Questa paura di mostrare il proprio volto nudo, ed i meccanismi di nascondimenti che si collaudano con il passare degli anni, generano un'enorme confusione nei comportamenti verso sé e verso gli altri, arrivando a ritenerli giusti e naturali. Non si riesce più a vedere non quali siano le proprie responsabilità, e neppure i limiti delle stesse. In questo stato confusionale il pensiero cerca, costantemente, di individuare modi e sistemi per alleggerire il peso delle proprie responsabilità, per illudersi di avere la coscienza pulita. L‟individuo, in genere, non riesce a riconoscere ed ammettere le proprie responsabilità in quanto “inconsciamente” evita di risalire al motivo profondo che ha guidato la sua

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azione e addossa ai comportamenti degli altri la responsabilità delle sue sofferenze. Egli non assume come proprio il carico di dolore sottostante a determinate situazioni ed imputa ad una non meglio precisata circostanza la causa del suo malessere. Voglio raccontare la storia di una persona a me molto cara, esemplificativa sui comportamenti basati su percezioni illusorie di noi stessi e di conseguenza del mondo e della realtà che ci circonda. Questa persona ha vissuto un‟esperienza che lo ha fatto penare gravemente per molti anni. Egli era un pubblico ufficiale che aveva il compito di elevare i protesti cambiari. Nello svolgimento di queste funzioni molte persone gli chiedevano frequentemente il favore di attendere il più a lungo possibile la riscossione dei titoli cambiari perché in difficoltà economiche. Essendo il mio amico molto sensibile, e pervaso da un eccessivo altruismo, ha aiutato tutti coloro che ne facevano accorata richiesta oltre i limiti legali, a volte, anche, anticipando denaro di tasca propria. Tra questi c‟era anche una giovane donna – rappresentate di diverse società – che gestiva movimenti di titoli piuttosto ingenti e che, puntualmente, chiedeva il rinvio dei pagamenti il più lontano possibile, supplicando il mio amico di non protestare i titoli, paventando il licenziamento di decine di operai ed impiegati alle sue dipendenze. Tutto ciò comportava dei rischi connessi alla responsabilità amministrativa,contabile e penale per il mio amico, essendo, come già detto un pubblico ufficiale. Continuando a fidarsi delle parole della donna, ad un certo punto, è stato costretto dalle circostanze a dover coprire alcuni titoli lasciati insoluti dalla stessa, sborsando decine di migliaia di euro. L‟unica garanzia che aveva per poter tornare in possesso dei suoi soldi era costituita solo ed esclusivamente dalle assicurazioni verbali della giovane imprenditrice, rivelatesi poi false. Il mio amico per poter recuperare le somme che aveva anticipato, e che tardavano a rientrare, con scuse sempre diverse, inventava delle storie riferendo alla donna che il denaro che lui aveva anticipato non era in realtà suo, ma di alcuni suoi amici che ora ne richiedevano la restituzione.

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Con un escamotage incredibile, frutto di un piano premeditato, l‟amministratrice di queste società riesce ad incastrare il pubblico ufficiale, denunciandolo per concussione, usura ed estorsione, con l‟obiettivo rivolto ad ottenere ingenti aiuti economici che lo Stato eroga a chi è vittima di tali reati! Neanche dinanzi al giudice il mio amico riesce a dimostrare la propria innocenza e subisce, nel primo grado di giustizia, una dura condanna. Incredibile ma vero! Ora il mio amico, amareggiato, arrabbiato, deluso, e sempre più sfiduciato verso gli altri e la vita spera nel giudizio di secondo grado, essendo sicuro della sua innocenza, della sua buona fede, del suo buon cuore. Analizziamo, ora, quali sono le principali caratteristiche della personalità che attira tale tipologia di situazioni. Il mio amico, primogenito di una famiglia numerosa e di profonda fede cattolica, è stato responsabilizzato nei confronti dei fratelli in maniera eccessiva ed inadeguata da una madre severa e quasi unica responsabile della gestione famigliare poiché il marito era per motivi di lavoro frequentemente lontano da casa. Egli, invece, era piuttosto dolce e accondiscendente, umile, ingenuo e generoso, ma evitava volentieri di farsi carico delle sue responsabilità.

Sono soventi i casi in cui i genitori, inconsciamente, gravano i propri figli di responsabilità che non competono loro, provocando nel tempo comportamenti alterati che sono un‟evidente infrazione dell‟ordine empirico. L‟acquisizione di ogni ruolo empirico, infatti, è scandita da tempi precisi e naturali e giammai imposti dalle circostanze o dall‟uomo. Ad ogni età dell‟uomo corrisponde un ruolo diverso. Non è concesso a nessuno di saltare, anche uno soltanto, dei passaggi naturali indispensabili alla crescita dell‟individuo. Troppo spesso, però, l‟età anagrafica non corrisponde al ruolo del suo portatore, può manifestarsi o troppo tardi o troppo in anticipo.

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In questi casi aumenta inevitabilmente il proprio debito empirico. E‟ evidente, in tutto il suo agire, che il mio amico è portatore di una consegna famigliare debole, la quale ha compromesso la sua carica primaria. Egli non è in grado di esprimere in maniera “sana” tutte le qualità del suo codice di appartenenza in quanto non c‟è armonia tra i suoi opposti: maschile e femminile, luce ed ombra. Il suo maschile non è la conseguenza di moti interiori genuini ma di modelli familiari e condizionamenti ambientali. Dalla sua famiglia, con ruoli genitoriali invertiti in quanto entrambi privi di radici, ha ricevuto dal padre una consegna debole e dalla madre, invece, una decisamente forte. Il suo nutrimento emotivo risulta pertanto inadeguato tanto da arrestare il suo sviluppo nella fase adolescenziale, poiché non ha potuto attingere in maniera sufficiente alla carica primaria. Anche fisicamente esso presenta caratteristiche che evidenziano la mancanza di buone radici genitoriali: le sue gambe sono lunghe e sottili, come se fosse stato costretto a crescere in fretta, ed in quanto tali prive della necessaria stabilità; le sue spalle, invece, sono larghe e possenti a protezione e sostegno di tutta la sua famiglia. Con questo imprinting famigliare si è sviluppata in lui la sindrome del salvatore. Il salvatore è una figura spesso presente nel nostro contesto italiano, così fortemente influenzato dalla cultura cattolica apostolica romana. Sin da bambini abbiamo imparato a conoscere la storia di Gesù Cristo; a Natale si preparano le recite scolastiche; a scuola si studia la religione cattolica. Ed Il Salvatore è colui che porta su di sé il peso dell'umanità intera. Da un certo punto di vista nella mitologia greca lo era già Atlante, il gigante condannato a portare il mondo sulle spalle. La caratteristica del Salvatore è quella di sacrificarsi, come il Cristo si è sacrificato per la vita degli altri. Sacrificio etimologicamente significa rendere sacro, “separato”. I salvatori sono persone che si sacrificano; si sacrificano per qualcun altro. Un devoto direbbe che lo fanno perché amano questo qualcuno ed accettano di sacrificarsi in previsione di un bene maggiore in futuro.

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Il suo “bisogno” è vivere nell'emergenza, farà di tutto per trovare qualcuno da salvare. E' fermamente convinto che i problemi sia del suo nucleo familiare che nelle relazioni sociali li può risolvere solo lui. Ma poiché il suo modo di fare è dettato da un conflitto, le sue azioni non solo non sono realmente necessarie, ma paradossalmente peggiorano i problemi delle persone che aiuta. Il suo eccessivo senso di responsabilità, che nasce da sensi di colpa, gli impedisce di fermare il suo agire perché è convinto che senza il suo aiuto le persone bisognose sprofondino: Un altro paradosso è che il salvatore inconsciamente desidera che ci sia qualcuno che abbia bisogno di essere salvato,perché ciò lo fa sentire importante attuando così una dinamica simile a quella ”servo-padrone”, “vittima-carnefice”. In fin dei conti anche lui vuole imporre la sua visione e la sua organizzazione del mondo. Si comporta come le suore vincenziane, che furono le prime ad uscire fuori dalle mura dei conventi, perché, dicevano, fuori c‟è tanta gente che deve essere aiutata. Egli attua un suo bisogno dettato da uno schema acquisito da piccolo ( coazione a ripetere ) e inevitabilmente egli attira a sé chi crede di aver bisogno di essere salvato per poter continuare ad attuare tale dinamica. L‟incastro potrebbe sembrare perfetto, e nella sua alterazione lo è. In questo modo non solo non aiuta se stesso – è atteggiamento tipico del salvatore lamentarsi della mancanza di tempo per se stesso perché preso dai problemi altrui - ma non permette nemmeno agli altri di vivere fino in fondo le loro esperienze, assumendosi le loro responsabilità. Il salvatore non riesce a rendersi conto che anche senza il suo aiuto, le persone possono cavarsela allo stesso modo o anche meglio. . Infatti, difficilmente i salvati riescono in questo modo a risolvere i propri problemi, tuttalpiù possono arginarli fintanto vivono quella loro condizione.

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Egli è convinto di compiere, in buona fede, gesti d‟amore aspettandosi gratitudine e riconoscenza e quando ciò non avviene emerge in lui tutta la sua amarezza e rabbia. Il ruolo del salvatore è un aspetto tipico dell‟uomo finto yang, che maschera la sua paura, la sua tristezza e sensibilità con atteggiamenti maschili alquanto convincenti. La sua copertura emotiva si rafforza con il passar degli anni, fino a farlo sembrare autenticamente virile. Sperimenta la sua aggressività manifestando rancore e risentimento. anche se nell‟infanzia è stato solitamene pauroso e timido. La maschera più funzionale al ruolo che sim costruisce è quella dell‟ iperattività, del grande lavoratore, che ha attitudine al potere, maschile virtuoso e nobile, eroe, cavaliere senza macchia ed anche colui che forza i limiti ed abusa del potere. Potrebbe sembrare, a prima vista, un uomo integrato in grado di manifestare i suoi opposti in maniera equilibrata. Infatti, appare profondo e forte, comprensivo e giusto. In realtà, per quanto cerchi di far vedere altro, emergono le sue timidezze, la sua angoscia, il suo bisogno di affetto ma anche il disprezzo soprattutto per la vita e soprattutto per le donne, con le quali crea, inevitabilmente, nelle relazioni rapporti di dipendenza. Ricrea, così, situazioni che gli rispecchiano ciò che ha bisogno di vedere e di risolvere: la riconciliazione con la madre, passaggio necessario per potersi riconciliare anche con il padre e condizione indispensabile per poter attingere alle radici genitoriali e per poter rinforzare le proprie. Da “bravo bambino” egli tende a dare molto, soprattutto alla donna, per poter avere finalmente quel riconoscimento e quell‟amore che da piccolo non ha sentito sufficientemente adeguato al suo bisogno. Lo attua, però, nella maniera sbagliata ottenendo l‟effetto opposto, e convincendosi, sempre di più, che le donne siano tutte “zoccole” e che non ci si può fidare di nessuno. Abbiamo un‟iterazione della coazione a ripetere che potrà cessare solo fino a quando egli non sarà in grado di vedere e sentire ciò che è e non ciò che crede che sia, unica condizione che gli consentirebbe di vedere per intero le proprie responsabilità.

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Egli non può, inoltre, fare a meno di dare la sua protezione ma lo fa con superbia e cecità, mettendo in tal modo a repentaglio se stesso e tutto il frutto dell‟intera vita lavorativa, anzi iper- lavorativa, con eccessiva leggerezza. Tutta la sua arroganza appare chiaramente nell‟atto di esibizione che nasce dalla profonda necessità del suo ego che, non essendo cosciente della propria deviazione empirica, vive questa situazione come qualità (se non addirittura come pregio) e non invece come alterazione. Più grande è la deviazione dal proprio codice più profonda risulta anche la sottostante ferita, ossia la paura, per quanto possa apparire sicuro e spavaldo. Tutto ciò che il mio amico ostenta ( sicurezza, spavalderia, protezione, iper attività) e che ritiene qualità e talenti si rivelano, invece, forti deviazioni dal proprio codice che rispecchiano le profonde ferite e le profondo paure di cui è portatore inconscio. Egli non è in grado di vedere tutto ciò accade intorno a lui, soprattutto i suoi disagi e le sue sofferenze, come opportunità per cominciare a “ vedere “ e a “sentire” per poter curare le sue ferite. Le occasioni che il sistema ci offre per farci rientrare nell‟ordine sono tante, ma ce ne accorgiamo solo allorquando decidiamo di diventare eroi di noi stessi, dandoci il permesso di guardare ed accettare ciò che è.

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Bibliografia

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