L'Epistemologia dell'Approccio Empirico. La metodologia esperienziale - Paolo UFIMARO

Page 1

Libera Università di Studi Psicologici Empirici

L’Epistemologia dell’Approccio Empirico La metodologia esperienziale

Giugno 2010

Tesi per l’esame F.A.I.P. di Paolo Ufimaro

o1


Sommario 1.0 – Un Comune Sentire ................................................................................... 4 1.1 - Introduzione ............................................................................................ 4 1.2 - Il Paradigma: Definizione ........................................................................ 5 1.3 – I Paradigmi Attuali .................................................................................. 6 1.4 – La Crisi Della Scienza Dell’uomo ........................................................... 8 1.5 – Qualcos’altro Sotto Il Cielo................................................................... 13 1.6 – La Risposta Alla Crisi ........................................................................... 14 1.7 – Le Metodologie Esperienziali Da Vicino ............................................... 17 1.8 – L’esperienza In Psicologia Clinica ........................................................ 20 2.0 La Metodologia Esperienziale .................................................................... 24 2.1 - Definizione Di Termini. .......................................................................... 24 2.2 - Il Paradigma Esperienziale ................................................................... 25 2.3 – La Definizione Di Conoscenza ............................................................. 27 2.4 - L'oggetto Di Conoscenza ...................................................................... 29 2.5 - Come Si Genera Conoscenza .............................................................. 34 2.6 - I Metodi Della Conoscenza ................................................................... 37 2.7 - La Teoria Esperienziale ........................................................................ 40 2.8 - Come Si Dibatte E Si Trasmette La Conoscenza ................................. 42 2.9 - Chi È La Figura Di Riferimento? ........................................................... 44 2.10 - Gli Strumenti Della Metodologia Esperienziale ................................... 47 2.11 - Conclusioni ......................................................................................... 52 3.0 - L'approccio Empirico Del Prof. Michel Hardy ........................................... 54 3.1 - Introduzione .......................................................................................... 54 3.2 - Un Approccio Eclettico. I Contributi Delle Discipline Esperienziali ........ 59

o2


3.3 - Teoria Del Seminario E Teoria Nel Seminario. L'energia Del Gruppo ... 67 3.4 - Strategie E Metastrategie Nei Seminari ................................................ 72 3.5 - Lo Stato Di Eccellenza: Quel Legame Col Mondo Fenomenico ........... 80 3.6 - Le Relazioni: Dinamiche Di Coppia, Dinamiche E Relazioni E Tantra: Osservare, Integrare, Osare ......................................................................... 87 3.7 - Un Approccio Integrato ......................................................................... 92 3.8 - Le Energie Come Fatto Esperienziale: Esperire Il Sistema .................. 96 3.9 - La Natura Esperienziale Del Debito Empirico: Il Sentire E Il Non Sentire .................................................................................................................... 103 3.10 - L'analisi Empirica: Tornare A Sentire ................................................ 108 3.11 - Lo Stato Dell'arte Delle Teorie Esperienziali: Il Valore E Il Messaggio Dell'approccio Empirico ...............................................................................112 Bibliografia...................................................................................................... 120

o3


1.0 – UN COMUNE SENTIRE 1.1 - INTRODUZIONE Negli ultimi anni si assiste sempre di più al nascere e al diffondersi di seminari esperienziali, metodiche esperienziali e approcci al cambiamento e alla terapia che fanno del corpo lo strumento per accedere alla psiche. Caratteristica in comune di ognuna di queste metodiche è l'esperienza in prima persona. Si è assistito quindi al nascere della Biodanza, dell'Arte Terapia, del Pensiero Positivo, dei metodi di manipolazione energetica (qualunque cosa significhi “energetica” nei suoi contesti). A fianco a questi metodi si sono riscoperti metodi antichi e sono “risorte” le meditazioni e le visualizzazioni, mentre lo Zen, il Buddismo i chakra e anche lo Sciamanesimo hanno visto un nuovo fiorire e diffondersi. A livello sociale tutto questo è stato letto come la crisi dei valori positivisti del progresso infinito e anche come la crisi del consumismo e del benessere materialista. Dall'altro lato il rivolgersi a metodi e filosofie antiche segna anche la crisi della Religione come riferimento al benessere “dell'anima”. La ricerca sociale evidenzia un'insoddisfazione verso le istituzioni e i modelli culturali. Si assiste a una sorta di rifiuto verso la Scienza, verso la Religione dominante e al nascere e al cercare risposte in metodi meno ortodossi. Tutte queste discipline affini alla Psicologia perchè hanno come oggetto di indagine l'uomo, ma che al contempo se ne distanziano per un diverso approccio che esula dal metodo scientifico, pongono al centro delle loro metodiche l'esperienza e il “sentire”: ogni partecipante è chiamato a vivere in prima persona le esperienze proposte, così come è invitato a sentire l'effetto di ciò che sta vivendo. Il corpo assume un ruolo fondamentale perchè è tramite il corpo e le sensazioni che ci rimanda che ogni persona sperimenta le sue emozioni. Se da un lato l'indagine sociale e la Sociologia hanno messo in luce una crisi che

o4


coinvolge la società, dall'altro lato questa crisi ha anche un risvolto epistemologico: se ne sentiva realmente l'esigenza di una nuova forma di indagine e conoscenza dell'uomo? Ha senso parlare di un nuovo metodo di conoscenza? E sopratutto qual'è il suo campo nell'ambito delle scienze umane? O tutto questo è solo il nascere e proliferare di approcci che ha la sua ragione di esistere solo in virtù del senso di sconforto verso metodi più istituzionalizzati? In che modo potrà apportare nuova conoscenza? I suoi metodi saranno adeguati e in che modo? Tutte queste domande sono proprie di quel periodo definito da Khun crisi del paradigma e nascita di un nuovo paradigma.

1.2 - IL PARADIGMA: DEFINIZIONE Il paradigma è per Kuhn "l'insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca in cui le teorie sono accettate universalmente". Due aspetti sono importanti: il primo è che le teorie, le leggi, gli strumenti sono “convenzionali” e non assoluti. Il che significa che le teorie, gli strumenti e le leggi dipendono da un determinato periodo storico e dalla scelta di quel periodo di accettarle o meno. Il secondo aspetto è una conseguenza del primo, ovvero, se teorie, leggi e strumenti sono convenzionali allora essi possono cambiare. Nella sua opera principale “La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962)” Khun evidenzia come la Scienza non ha un andamento lineare e progressivo, ma si assiste a periodi di crisi di un paradigma, alla nascita di un nuovo paradigma che affianca il precedente e che infine lo sostituisce. Il nuovo paradigma sarà il teatro di nuove scoperte fino alla sua entrata in crisi e alla nascita di un paradigma nuovo. Il concetto di paradigma di Khun è proprio dell'approccio scientifico ma le sue conclusioni sono estendibili al di là della Scienza. Conoscenza, metodi e strumenti sono propri di ogni disciplina che ha come scopo la conoscenza. La Filosofia, la Religione, la Scienza sono tutte portatrici di conoscenza e

o5


hanno al loro interno metodi e strumenti che la convalidano o la invalidano. Potremmo parlare così di veri e propri paradigmi, ovvero insiemi di metodi, conoscenze e definizioni di conoscenza proprie di ognuna di queste discipline. Nel corso dei secoli queste discipline si sono scontrate, si sono incontrate ma ognuna ha continuato ad esistere e a ritagliarsi un suo spazio nell'ambito dello scibile umano. Per meglio illustrare il concetto di paradigma vorrei fare un esempio utilizzando proprio le discipline suddette.

1.3 – I PARADIGMI ATTUALI La Filosofia così come studiata oggi pone al centro del suo metodo il ragionamento. Fare Filosofia significa ragionare su qualcosa e il suo campo rappresenta tutto lo scibile. Si può fare Filosofia sull'arte, si può fare Filosofia sul metodo scientifico, si può fare Filosofia sull'uomo (è da notare che i primi psicologi non erano appartenenti ad altre scienze, ma erano appunto filosofi), si può fare della metafisica.... In ogni caso la conoscenza per il filosofo è ciò che è logico, razionalizzabile e conoscere significa formulare nuovi pensieri intorno a cose già conosciute o nuove. La novità del pensiero è nuova conoscenza. Lo strumento cardine per ottenerla è inevitabilmente il ragionamento astratto. La conoscenza non è ovviamente accettata acriticamente ma è messa alla prova e il metodo è l'argomentazione, il dibattito. Non si può dimostrare un'affermazione ma la si può argomentare. Si pensi ad esempio all'eterno dibattito tra atei e credenti. Dio non è dimostrabile ma la sua esistenza o non esistenza è comunque oggetto di argomentazione. Interessante è anche la Religione. Mi limito alla Religione Cristiana. La Religione è materia di fede. La fede è lo strumento cardine della Religione. Al credente è richiesto di avere fede. Di credere senza avere prove. La conoscenza nasce dai Testi Sacri, mentre il dogma è lo strumento. Come si può notare i metodi sono diversi per certi aspetti rispetto alla Filosofia, sebbene Filosofia e Religione abbiano avuto molti punti di incontro.

o6


La Scienza invece ha un campo di indagine più limitato rispetto alla Filosofia. Infatti per definizione studia solo ciò che è oggettivo e percepibile da tutti. Il suo campo di indagine è la natura, i suoi strumenti sono la Matematica e la Geometria mentre la misurabilità di un fenomeno è un aspetto estremamente importante per il metodo scientifico. Il metodo scientifico stesso è una rottura rispetto alla Filosofia. La Scienza ha come caposaldo principale la verificabilità delle affermazioni. L'esperimento è il metodo principale della Scienza (perlomeno nella sua prima definizione) e l'esperimento è ciò che garantisce che le affermazioni fatte abbiano un legame con la realtà. La dimostrazione è il modo in cui si dibatte la conoscenza. È ritenuto vero solo ciò che è dimostrabile, altrimenti è solo un' ipotesi. Filosofia, Religione e Scienza sono tre approcci con tre concetti di conoscenza, tre metodi e tre strumenti totalmente diversi, ma che hanno un senso nell'ambito della disciplina stessa. Gli stessi strumenti applicati a discipline diverse sono inconcludenti. Si pensi a quando la Religione cercava di dimostrare come la terra fosse al centro dell'universo solo perchè nella Bibbia c'era scritto che Dio fermò il sole (segno quindi che era il sole a muoversi e non la terra) o quando in Filosofia si affermava che due corpi con peso differente cadevano con tempi diversi (Aristotele); Galileo stesso dimostrò come invece il peso di un corpo non influisce sui tempi di caduta. Ma si pensi anche come la Scienza sia spiazzata di fronte all'anima o come non sia in grado di affrontare una materia come l'estetica... Attualmente il paradigma scientifico è il paradigma dominante nel senso che la conoscenza è sempre più demandata alla Scienza. In effetti tutto ciò che è stato creato oggi è stato fatto grazie al metodo scientifico: macchine, telefoni cellulari, vestiti etc. L'approccio scientifico ha riscosso particolare successo grazie al fatto che lega inestricabilmente la sua conoscenza alla verifica nei fatti e di conseguenza ogni scoperta è riproducibile e applicabile. La tecnologia è appunto l'applicazione delle scoperte scientifiche e in essa la Scienza trova il suo fondamentale completamento. Grazie alla tecnologia le conoscenze scientifiche trovano un campo di applicazione mentre gli approcci filosofico e religioso non hanno la stessa applicabilità o perlomeno i

o7


loro effetti sono meno evidenti. L'approccio scientifico ha dato i suoi frutti e di conseguenza è naturale pensare di estenderlo a più campi possibili.

1.4 – LA CRISI DELLA SCIENZA DELL’UOMO Precisiamo un punto: la Scienza non è in crisi, anzi, sembra essere sempre più lanciata verso nuove scoperte e di conseguenza il suo approccio allo studio della natura risulta efficace in tutti i suoi contesti. Tuttavia c'è un problema. Quando la Scienza è applicata allo studio dell'uomo ecco che l'approccio scientifico da origine a fatti che non si riscontrano in nessun'altra disciplina scientifica. Mi riferisco appunto alla Psicologia. Da psicologo che si è approcciato alla Psicologia venendo dalla Fisica la prima cosa che mi ha stupito della Psicologia è stata la totale differenza rispetto alla Fisica, ma anche alla Biologia e ad altre scienze di cui ero appassionato. La Fisica ha un metodo ben preciso con un corpus di conoscenze costituito da tutte le teorie che è stata in grado di convalidare. La Matematica è il suo linguaggio e l'esperimento il suo metodo. In Psicologia la prima cosa che mi ha colpito (e come me tutti gli studenti del mio corso) è il fatto che è considerata una materia umanistica (ma non era una Scienza?), che al suo interno non c'è un metodo ma diverse scuole ognuna con le sue definizioni, i suoi metodi e le sue teorie, ma sopratutto che non riesce a trovare un suo linguaggio. La storia della Psicologia sembra proprio la storia della ricerca di un linguaggio per esprimere le conoscenze sull'uomo. Inoltre la Psicologia si trova da una parte la Filosofia e dall'altra la Fisiologia a minacciare costantemente il suo ruolo di Scienza che studia i processi dell'essere umano. La storia della Psicologia è una storia a salti in cui le diverse teorie si sono susseguite ma senza trovare una collocazione vera e propria. Non sempre i risultati di una scuola sono trasferibili in un'altra e infatti ogni branca della Psicologia ha approcci molto

o8


diversi. Di fatto la Psicologia ha un problema epistemologico che è alla base di tutte le sue peculiarità. La Scienza ha come campo di indagine la realtà oggettiva, slegata dal soggetto che la studia. Soggetto e oggetto sono separati. In Psicologia le cose sono un po' diverse. La Psicologia è la mente umana che cerca di studiare la mente umana. Un paradosso piuttosto strano per una Scienza che vuole essere oggettiva, ma il suo stesso esistere nasce dall'oggetto stesso che vuole studiare... la mente appunto. Ecco che la mente di fronte a sé stessa non ha un linguaggio per esprimere ciò che conosce, inoltre la mente non è il cervello, di conseguenza non è facilmente osservabile. Se poi a osservare sono gli stessi processi di pensiero che si vuole studiare non se ne viene a capo. Ecco che la Psicologia ha tratto spunto dalle scienze più consolidate: la Psicologia della Gestalt aveva mutuato il suo linguaggio dalla Fisica per cui si parla di campo, di regole del campo, di come un oggetto inserito in un contesto modifichi la percezione degli oggetti circostanti etc. in altri casi si è cercato di utilizzare un linguaggio affine alla Fisiologia, ed ecco che Pavlov parla di riflesso condizionato al pari dell'arco riflesso. La Psicologia tende a ridursi ad una sorta di Fisiologia... Attualmente il linguaggio più “appropriato” pare essere il linguaggio dell'Informatica e la metafora dell'uomo come elaboratore di informazioni è il modello dominante. Si parla di schemi di pensiero, modelli di pensiero e simulazioni. Di fatto il lavoro sull'Intelligenza Artificiale ha dato importanti contributi ma ancora è presto per capire se sarà la strada risolutiva. Di sicuro l'approccio della Scienza Cognitiva ha un'importante caratteristica: è riuscita a trovare un metodo per validare le teorie, ovvero, la possibilità di riprodurre i processi cognitivi su un computer da la possibilità di verificare la teoria indagata. Una teoria sulla mente è vera se è riproducibile tramite il computer. Apparentemente parlare di schemi mentali e di computer con relativa riproducibilità fa rabbrividire perchè evoca scenari fantascientifici di robot semiumani etc. tuttavia questo approccio è stato molto fruttuoso e le sue applicazioni, in particolare per quanto

o9


riguarda la terapia (Psicoterapia Cognitiva) sono molto proficui tuttavia.... Tuttavia arriviamo ad un altro punto che stupisce della Psicologia. Se l'applicazione della metodologia cognitivista in ambito terapeutico da i suoi frutti allora significa che la teoria è vera? Il punto è proprio questo: l'applicazione della teoria cognitivista funziona in ambito terapeutico, tuttavia funzionano anche terapie e approcci privi di valore scientifico, anzi, la prima Psicoterapia ad essere funzionale è stata proprio la Psicanalisi e si sa che la teoria dell'essere umano propria della Psicanalisi non ha il minimo fondamento scientifico. Quello che stupisce in ambito terapeutico è proprio il fatto che le teorie più diverse non si escludono a vicenda come in Fisica, ma funzionano tutte! Questo mette in evidenza un fatto molto importante: l'effettiva pratica psicologica non ha un legame, o il legame è molto debole, con la teoria “scientifica” che ne sta alla base. Così se la teoria dell'intervento psicologico (sia esso terapeutico o semplicemente di cambiamento come nell'ambito lavorativo) ha raggiunto conoscenze consolidate, dall'altro lato le stesse conoscenze non sono al momento riconducibili a una teoria unificata e univoca dell'essere umano. Le conoscenze in ambito di Intelligenza Artificiale sebbene siano a livelli interessanti per quanto riguarda la percezione e il pensiero, tuttavia non riescono a rendere conto da sole dei successi terapeutici delle diverse metodiche cliniche. Farò un esempio per essere più chiaro. In ambito terapeutico si sa che l'ascolto del paziente è fondamentale. La capacità di far sentire apprezzato il paziente, capito e ascoltato è alla base del cambiamento. Tuttavia, tornando alla Scienza Cognitiva, non esiste ancora una teoria e quindi un modello riproducibile a computer che sia in grado di rendere conto del fatto che “ascoltando” il computer esso cambi (?!?). detto in altri termini non si riesce a riprodurre l'ascolto empatico e il sentirsi ascoltati. Ci ritroviamo un gap evidente tra teoria e pratica assente nelle altre scienze in cui Fisica e tecnologia, Anatomia e intervento chirurgico vanno di pari passo. In Psicologia, la conoscenza empirica del cambiamento e della terapia (che diventa

o10


formalmente teoria, ma del cambiamento e non dell'essere umano) fa da padrona rispetto a qualunque conoscenza sull'uomo. In realtà sono stato un po' impietoso rispetto alla Psicologia perchè teorie sull'essere umano in ambito terapeutico ci sono ed hanno anche un certo valore pratico. Il loro valore non risiede nelle spiegazioni sull'essere umano che forniscono, ma nelle loro precise descrizioni di ciò che si può osservare sull'essere umano. Faccio un esempio: in Psicoterapia Cognitiva vi sono diverse tipologie di organizzazione cognitiva dell'essere umano: si definisce il fobico, lo psicosomatico etc. le definizioni sono molto precise ed evidenziano i diversi aspetti dell'organizzazione cognitiva, dal rapporto con la madre, al legame maturato con i genitori nell'infanzia, al senso di abbandono e ad altri eventi alla base dell'organizzazione cognitiva etc. tuttavia sono teorie atte alla pratica clinica. Non si è ancora giunti a legare Fisiologia del cervello, funzionamento dei processi cognitivi e osservazioni cliniche. Attualmente abbiamo da un lato una Psicologia teorica, strettamente sperimentale che trova nella simulazione la sua strada. Dall'altra abbiamo una pratica clinica che trova nell'esperienza della pratica clinica le fondamenta per le sue teorie, che si rivelano meno rigorose di quelle sperimentali ma decisamente più applicabili. La loro ragione di esistere trova fondamento nella terapia. Da quanto detto appare chiaro come la Psicologia sia una Scienza un po' sui generis. Da una parte una scientificità che si esprime in ricerca sperimentale e non genera una conoscenza applicabile, almeno per il momento, nei sui ambiti di intervento (infatti la Scienza Cognitiva trova applicazioni in ambiti diversi dalla clinica come ad esempio nell'Intelligenza Artificiale) dall'altra una pratica clinica, ma non solo, slegata dalla sua controparte teorica e che anzi genera teorie basate sull'osservazione dei pazienti e improntate all'uso della statistica. La crisi del paradigma scientifico in ambito clinico si riferisce a questo. A quanto pare la conoscenza dell'essere umano così come intendiamo per conoscenza non è necessaria per le applicazioni della Psicologia. Se le teorie della Fisica sono fondamentali per la tecnologia, se le conoscenze di Fisiologia e Anatomia sono

o11


essenziali per la Chirurgia, non è necessario conoscere a livello meccanicistico come funziona l'essere umano per operare cambiamenti e terapie. Non è necessario possedere una teoria unificata dell'essere umano in termini di relazione psiche e Fisiologia, ma neanche di modello per descrivere la psiche che sia dimostrabile e abbia valore scientifico per poter lavorare con la psiche. Certo si potrebbe obbiettare che la Psicoterapia Cognitiva fonda le sue conoscenze sulla Psicologia Cognitiva, ma basta leggere qualsiasi manuale di Psicoterapia Cognitiva e di Scienza Cognitiva per rendersi conto di quanto siano distanti, fino a notare che gli schemi mentali e i modelli di pensiero sono una metafora e non una conoscenza. Idea rafforzata dal fatto che anche altre terapie che non considerano la Scienza Cognitiva come loro base, comunque funzionano a livello terapeutico. Farò un esempio: l'organizzazione cognitiva di tipo depressivo. Durante l'infanzia il bambino è tenuto a distanza dalle figure genitoriali, in particolare nei momenti in cui il bambino sente il bisogno di essere accudito. Questo fatto fa nascere nel bambino la sensazione di essere in qualche modo responsabile del fastidio che reca e vede il suo bisogno di essere accudito come minaccioso all'essere amato e accettato. Di conseguenza un'immagine negativa

di sé e le aspettative di abbandono sono la

conseguenza dell'essere tenuto a distanza. La frequenza e la regolarità di queste vicende rendono questo modello operativo interno sufficentemente stabile. Un modello operativo interno è uno schema cognitivo rappresentabile come una sorta di diagramma di flusso tipico dell'informatica. Fino alla descrizione dell'immagine di sé come negativa siamo nell'ambito dell'osservazione clinica, quando invece si entra nella spiegazione utilizzando il concetto di modello operativo interno entriamo nella metafora; una metafora sufficientemente valida e pratica, ma pur tuttavia una metafora... La psiche paragonata al computer potrà renderla studiabile per determinati aspetti, tuttavia si sta studiando il computer e non la psiche, di conseguenza è lecito notare come gli Psicologi Cognitivisti riescano a operare sull'uomo (la psiche) senza le conoscenze che derivano dalla ricerca sperimentale ma solo con le conoscenze che

o12


derivano dalla pratica clinica.

1.5 – QUALCOS’ALTRO SOTTO IL CIELO la Psicologia non è una Scienza esatta, cioè non è una Scienza slegata dal suo contesto storico. La Psicologia nasce per rispondere a precisi interrogativi dell'essere umano. Sappiamo benissimo tutti che ogni persona cerca nella Psicologia risposte alle sue domande e in particolare chi è affascinato dalla Psicologia è affascinato dal conoscere chi è realmente, dal conoscersi, dal sapere qualcosa di sé. Chi si interessa di Psicologia avverte che c'è qualcosa che le sfugge nella sua vita e si pone interrogativi. Tuttavia la Psicologia non sembra attualmente in grado di rispondere a queste esigenze. Quando qualcuno viene a sapere che sono uno psicologo generalmente iniziano tutta una serie di domande: dall'interpretazione dei sogni, ai problemi di cuore, dal perchè tizio si è comportato così, al perchè caio ha fatto cosà, fino a passare dalla grafologia e (la mia preferita) al chiedermi se so fare i tarocchi. Ma parlando un po con tutti scopro sempre che l'interesse per la Psicologia non nasce dal voler conoscere l'essere umano ma dalle domande che ognuno si pone su di sé, indipendentemente dalle domande il punto centrale è sé stessi. Tutte cose percui non andrebbero mai da uno psicologo anche perchè mi sembra che il punto non sia risolvere un problema o guarire, ma siano domande, curiosità, necessità di conoscenza che uno ha su di sé, domande che non sono contemplate nella pratica psicologica e che si possono riassumere nell'espressione “voglia di fare qualcosa per sé stessi”. Dal tipo di domande posso supporre che ci sia una sete di conoscenza e voglia di sapere, ma che essa sia una voglia di sapere e conoscere qualcosa che sia rapportabile a sé stessi e alla propria esperienza. Questa sete di conoscenza non passa dallo studio dello psicologo ma ha nell'espressione “fare qualcosa” l'idea stessa della ricerca personale, dell'esperienza in prima persona. Un'esperienza che soddisfi la

o13


sete di conoscenza. In che modo si può legare esperienza e conoscenza? Il fatto è proprio che la Scienza esclude l'esperienza personale come metodo di indagine perchè ritenuto soggettivo (la Scienza si muove nell'ambito dell'oggettivo) di conseguenza unire esperienza e conoscenza non si adatta al metodo scientifico. In più la richiesta è un fare qualcosa per sé e conoscere qualcosa di sé o rapportabile a sé, mentre il metodo scientifico separa inevitabilmente soggetto che conosce e oggetto conosciuto.

1.6 – LA RISPOSTA ALLA CRISI Penso che il modo migliore per illustrare la cosa sia un esempio che mi è successo a 18 anni. In quel periodo avevo letto un articolo sul fatto che l'attività sessuale produce serotonina nel cervello. L'articolo si dilungava sulla metodologia, sulla scelta del campione etc. e sul fatto che la produzione di serotonina è legata ai momenti di piacere in cui ci si sente bene. La “grande” scoperta era che: fare l'amore è piacevole! “Ma io dico” mi chiedevo ”ma veramente si sentiva l'esigenza di tre anni di ricerca per capire che fare l'amore è piacevole???” L'esempio è volutamente divertente, ma nasconde in sé un aspetto estremamente interessante per quello che stiamo trattando. Immaginiamo di costruire un cellulare. È sicuro che non ci riusciremmo senza le scoperte scientifiche e le tecnologie sviluppate. Abbiamo bisogno della Scienza per poter costruire un cellulare. Eppure non abbiamo bisogno della Scienza per sapere che fare l'amore è piacevole. Perchè? La risposta è praticamente ovvia: perchè se faccio l'esperienza del fare l'amore lo so da me che è piacevole. Ecco il punto: l'esperienza è per l'essere umano fonte di conoscenza. Se finora non se ne è tenuto conto è perchè in ambito scientifico l'esperienza non ha valore. Ovvero, proprio la necessità di oggettività del metodo scientifico obbliga ad escludere quei metodi di conoscenza che invece non sono oggettivi, ma che

o14


dipendono dalla persona che li sperimenta. Tuttavia il fare esperienza è fonte di conoscenza e di conseguenza è lecito chiedersi se esiste un approccio che possa utilizzare l'esperienza in prima persona come metodo di conoscenza e come strumento per conoscere. L'esperienza, proprio perchè è un qualcosa che porta conoscenza a sé su di sé sarebbe il metodo ideale per rispondere a molti degli interrogativi che ci si pone. Il secondo punto ed è ancora più importante del primo è se l'esperienza possa essere fonte di conoscenza che sia condivisibile da tutti o se invece rimarrebbe conoscenza fine a sé stessa e per se stessi. Esprimiamo il problema in altri termini: siamo ormai abituati che la Scienza, ad esempio la Fisica, ha una parte teorica e da questa deriva la tecnologia. Se voglio costruire un cellulare ho bisogno di conoscenze in termini di Fisica, idem se voglio voglio sviluppare altri strumenti. La componente teorica è inscindibile dalla sua controparte tecnologica. È vero che molte cose si sono scoperte prima empiricamente, ma tuttavia solo la ricerca scientifica ha dato la possibilità di conoscerle adeguatamente per poterle poi utilizzare e applicare. La Psicologia invece è sui generis. La pratica della Psicologia non necessita della sua controparte teorica, anzi le teorie cliniche, hanno una loro valenza di praticabilità e applicazione e nascono dalla pratica stessa, dai suoi metodi, dalle sue osservazioni. La controparte teorica e sperimentale della Psicologia lavora su una metafora. Una metafora molto utile che permette di comprendere adeguatamente bene ciò che studia ma la metafora ha in sé un problema intrinseco non indifferente. Proprio come in letteratura, la metafora coglie solo gli aspetti di similitudine ed è inutilizzabile e si invalida per quegli aspetti che non rientrano nella metafora. Paragonare la psiche a un computer è utile per studiare gli schemi mentali, le procedure cognitive, tuttavia la psiche NON è un computer e di conseguenza un computer non esaurisce la psiche, quindi studiare un computer NON è la stessa cosa che studiare la mente umana. Dall'altra abbiamo una nuova domanda che potrebbe andare sotto il nome di crescita

o15


personale, in cui le persone richiedono un qualcosa su di sé per conoscere sé stesse. La domanda potrebbe rientrare a buon diritto nell'ambito della Psicologia, tuttavia le conoscenze teoriche sull'uomo che abbiamo non consentono di rispondere perchè si basano su una metafora e non su una conoscenza dell'uomo tout court e la richiesta esula dalla metafora uomo - computer. Quindi o rientrano nella pratica della Psicologia, oppure c'è un gap. Se la Psicologia teorica fosse una Scienza al pari delle altre, al di fuori quindi di un approccio metaforico, si sarebbe potuti far derivare le conoscenze necessarie a rispondere a questa domanda dal corpus teorico della Psicologia stessa, ma purtroppo non è così. Le applicazioni della Psicologia come la clinica, o la Psicologia del lavoro o semplicemente il cambiamento sviluppano le loro teorie in seno alle loro conoscenze empiriche sul campo. Lo psicologo che opera sul campo ricerca un cambiamento nel cliente/paziente e ne descrive le dinamiche che coglie nell'altro. Si renderebbe necessaria una nuova applicazione della Psicologia atta a rispondere a questa nuova richiesta ma qui subentra il gap precedente: il gap ha a che vedere col fatto che si vuole conoscere qualcosa su di sé e per sé, mentre la Scienza psicologica per sua definizione di Scienza conosce qualcosa di esterno da sé. Il gap sembra capzioso ma non lo è: perchè uno psicologo (in termini di scienziato della psiche) non può lavorare con qualcuno che “vuole conoscere qualcosa su di sè”? In fondo anche in psicoanalisi si mette il paziente nella condizione di conoscere qualcosa su di sé, anche negli altri approcci terapeutici il paziente conosce qualcosa su di sé... sono obiezioni lecite, tuttavia non tengono conto di un aspetto importante. Quando qualcuno va dallo psicologo o psicoterapeuta va perchè ha un problema, viceversa questa nuova domanda non sembra esaurirsi nel definirla “problema”. Il fatto è che le persone in cerca del “qualcosa su di sé e per sè” hanno già trovato diverse risposte e le hanno trovate in tutte quelle pratiche citate all'inizio: biodanza, seminari esperienziali, PNL, manipolazioni energetiche, costellazioni familiari, Tantra,

o16


artiterapie... Comprendere e conoscere queste discipline nei loro metodi è ciò che consente di capire il perchè della scelta. Tutte queste discipline hanno in comune una cosa: sono una pratica che ognuno porta avanti. Simili per certi aspetti all'andare in palestra o fare sport nel modo in cui vengono praticate, più che un andare a curarsi da qualcuno. Non l'avevo volutamente fatto notare ma l'espressione “fare qualcosa per sé” ha in sé un aspetto attivo che manca nel concetto di andare da qualcuno per curarsi. Una pratica, più che una visita dallo psicologo sembra maggiormente adatta a rispondere all'esigenza di fare qualcosa per sé stessi. Il punto fondamentale è proprio il fatto che la risposta che molte persone interessate alla propria crescita personale si danno non va nella direzione di una seduta da qualche esperto. Cambia proprio il modello relazionale: da una parte lo psicologo nel suo studio, dall'altra una disciplina che si pratica in qualche spazio appositamente preparato e in gruppo.

1.7 – LE METODOLOGIE ESPERIENZIALI DA VICINO Le caratteristiche fondamentali delle discipline esperienziali risiedono in come sono strutturate: da una parte c'è il conduttore che è sempre una persona che ha fatto un percorso esperienziale e tendenzialmente continua il suo percorso personale. Dall'altra c'è il gruppo che pratica la disciplina. Come detto in precedenza la disciplina è essenzialmente una pratica che una persona fa o è invitata a fare; ad esempio in danzaterapia si è invitati a danzare, così come nei seminari di meditazione o visualizzazione si è invitati a partecipare in prima persona. Per certi aspetti assomiglia appunto a un corso o a uno sport. Come nelle arti marziali c'è un insegnante che ha praticato prima dei suoi allievi ma tutt'ora continua a praticare e insegna ai suoi allievi facendoli praticare in prima persona (non si impara un'arte marziale “teoricamente” ma si pratica) allo stesso modo in una disciplina esperienziale

o17


c'è un conduttore che conosce la materia, l'ha praticata prima e tutt'ora pratica. Il conduttore del gruppo invita i partecipanti a sperimentarsi nelle esperienze proposte, quindi a “fare” (non è un corso teorico) e i partecipanti si sperimentano nelle diverse esperienze proposte. Sebbene ci siano similitudini ci sono anche molte differenze: nelle discipline esperienziali ciò che conta è come si vive l'esperienza, non ci si “allena”, contemporaneamente vengono elicitate reazioni emotive assenti negli sport o in altre pratiche o corsi, che sono invece fondamentali nelle discipline esperienziali volte alla crescita personale. La pratica di una disciplina esperienziale favorisce la consapevolezza e la crescita personale: gli effetti sono un miglioramento della qualità della vita della persona, uno “stare meglio” che spesse volte si manifesta anche come “cura” da qualche disturbo che la persona poteva avere. Proprio per questo aspetto che in fatto di crescita personale è più un effetto secondario e cioè la cura, discipline esperienziali e pratica clinica hanno qualcosa in comune. Da un lato le discipline esperienziali assomigliano a una pratica in palestra o a un corso, dall'altro hanno tra i loro effetti anche un effetto terapeutico e in questo caso si avvicinano alla pratica clinica. Tuttavia non sempre le persone che partecipano a seminari esperienziali vedono il seminario solo come cura, lo dimostra il fatto che spesso sono anche seguite da uno psicologo, almeno quelle persone che soffrono di disturbi. Questo aspetto fa appunto pensare che le persone che intraprendono un percorso di crescita lo vedono diversamente dal curarsi un disturbo di natura psichica, tuttavia, consapevoli del fatto che la crescita personale e il lavoro su sé stessi ha come effetto la risoluzione di problematiche psicologiche lo scelgono come strada parallela alla terapia normale. Accanto alle persone che intraprendono un percorso di crescita per il proprio benessere ci sono anche diversi psicologi che si avvicinano alle metodologie esperienziali proprio per l'affinità che la pratica clinica ha con queste discipline e che

o18


nasce da quella zona comune che è appunto la “cura e la guarigione” da problemi di natura psichica. Tornando agli aspetti epistemologici ci troviamo di fronte un quadro simile:

Da una parte la pratica clinica ha come riferimento epistemologico

il metodo

scientifico, dall'altra parte ci sono le discipline esperienziali ma quale riferimento epistemologico hanno? C'è una parte in comune alle due pratiche: la cura di certe patologie. Infatti solo per alcune patologie, le più lievi, si è riscontrato un miglioramento o una cura. Le patologie psicologiche

più gravi invece sono attualmente trattate solo con un approccio

psicoterapeutico anche perchè difficilmente chi soffre di un disturbo invalidante riesce a livello emotivo a partecipare a un seminario esperienziale. Ciò che ne ricaviamo è un quadro relativamente semplice in cui si osserva che da un

o19


lato la Psicologia mira alla scientificità, dall'altro una serie di discipline che portano consapevolezza e conoscenza a chi le pratica, in certi casi anche guarigione, sono per loro natura estranee alla metodologia scientifica e di conseguenza necessitano di un paradigma adatto a loro per poter dare valore epistemologico alle loro conoscenze. In realtà il quadro è più complesso ed è complicato appunto dal fatto che alcune discipline esperienziale si muovono in realtà all'interno di un paradigma scientifico o perlomeno che mira a tale scientificità. Ma per poter comprendere queste discipline è necessario fare un passo indietro e considerare ancora una volta la Psicologia clinica.

1.8 – L’ESPERIENZA IN PSICOLOGIA CLINICA La pratica clinica non è affatto estranea al concetto di esperienza e di come essa sia essenziale per produrre cambiamento e cura. Bolwby (padre della teoria dell'attaccamento) fa notare come è proprio lo sperimentare il terapeuta come una base sicura che consente al paziente l'esplorazione del suo mondo interno. Altri autori chiamano appunto esperienza interpersonale correttiva l'esperienza con il terapeuta: l'esperienza della relazione con il terapeuta svolge un ruolo terapeutico diretto nella risoluzione degli schemi interpersonali problematici. In Psicoanalisi l'opera contenitiva del terapeuta coinvolto nella relazione con il paziente, consente al paziente stesso di riappropriarsi di quelle parti di sé rimosse. La Psicoterapia Cognitiva illustra come l'applicazione degli schemi interrelazionali del paziente verso il terapeuta consente al paziente stesso di prenderne consapevolezza. Nella relazione terapeutica il paziente si sperimenta e prende consapevolezza di sé. Concetto espresso anche in psicodinamica con il transfert e controtransfert psicanalitico. Il ruolo dell'esperienza è fondamentale anche nella pratica clinica. Il paziente fa esperienza della relazione con il terapeuta. Diventa chiaro da quanto detto prima che anche la pratica clinica ha una componente esperienziale consistente se è l'esperienza che fa il pazienta la chiave di risoluzione

o20


del disagio. Tuttavia l'esperienza del colloquio con il terapeuta è una unica esperienza: l'esperienza di una relazione con una persona sufficientemente “sana”. È stato allora lecito domandarsi se non fosse possibile ampliare il range delle esperienze correttive. In questo contesto si possono leggere i contributi di discipline quali le artiterapie, la biodanza, lo psicodramma etc, in cui il range delle esperienze proposte aumenta e si diversifica. Ci sono stati diversi studi che utilizzando il metodo statistico hanno cercato di dimostrare il valore terapeutico di tali discipline. Il loro valore terapeutico è indubbio per quanto riguarda la terapia tuttavia ci si trova di fronte a un problema di metodo qualora lo si voglia applicare alla crescita personale. Immaginiamo di voler verificare se un metodo è terapeutico. Ciò su cui ci baseremo per stabilirlo sarà prendere nota delle condizioni del paziente prima e dopo il corso. La cosa non sarà difficile perchè il problema del paziente è facilmente verificabile: ad esempio la frequenza di un attacco di panico o di ansia. Immaginiamo ora di voler applicare lo stesso metodo in termini di crescita personale: le cose sono meno semplici. Primo; come definire se c'è stata una crescita oppure no? Si potrebbe fare dal livello di benessere percepito. Tuttavia anche dopo una giornata in montagna si “sta meglio” ma non per questo si può parlare di crescita personale o di terapia montana. Secondo; se c'è una crescita è necessario che ci sia un punto verso cui tendere che consenta inequivocabilmente di comprendere se crescita c'è stata o no. In ambito terapeutico questo punto a cui tendere è dato dalla guarigione del malessere o della patologia, ma in termini di crescita personale? La definizione di un punto a cui tendere, di uno stato di benessere ben definibile è un aspetto importante in ambito di crescita personale. Ma se esso è facilmente definibile in ambito terapeutico perchè per definizione è la cura dalla patologia, in ambito di crescita personale è più complesso.

o21


La complessità risiede appunto nel fatto che tutti noi sappiamo già che esiste uno stato di assenza di una specifica patologia. Lo psicologo sa, quando incontra un paziente affetto da attacchi di panico, che esiste una condizione in cui gli attacchi di panico non ci sono, se non altro perchè egli stesso non ne soffre. Il terapeuta si trova già nella condizione in cui il paziente vorrebbe trovarsi. In ambito di crescita personale la cosa si complica. Qual’è quello stato a cui si vuole tendere? Non solo, ma per poterlo definire e sapere che esiste è necessario che qualcuno ne abbia già fatto esperienza e ci sia arrivato. Torniamo al problema dell'esperienza: è necessario che qualcuno faccia una determinata esperienza, ad esempio che sperimenti un determinato stato di benessere, per poterlo definire adeguatamente. In base all'avvicinarsi o meno a quel determinato stato si potrà mettere in relazione l'avvenuta crescita personale del cliente. Questo problema dello stato a cui tendere non si pone in terapia, ma non perchè non esista il problema, ma perchè è già risolto nella definizione stessa di azione terapeutica. Il problema si presenta in tutta la sua complessità in ambito di crescita personale nel momento in cui il concetto di crescita personale non contempla in sé, automaticamente e per definizione, lo stato a cui si tende. Si ritorna nuovamente all'esperienza: la definizione di uno stato di benessere passa necessariamente dall'esperienza in prima persona. In che modo posso tradurre un'esperienza in prima persona in una forma di conoscenza condivisibile da tutti? Quale paradigma potrei utilizzare sapendo che quello scientifico non è praticabile in questa particolare situazione?

o22


La figura precedente è ora modificabile come segue:

Anche la cura di certe patologie, cioè quella parte che le discipline esperienziali hanno in comune con la pratica terapeutica può, ma non necessariamente deve, avere come riferimenti epistemologici la metodologia scientifica. Invece le discipline esperienziali mancano ancora di riferimenti epistemologici adeguati alla loro pratica.

o23


2.0 LA METODOLOGIA ESPERIENZIALE 2.1 - DEFINIZIONE DI TERMINI. Un termine cardine del paradigma esperienziale è il termine esperienza. Per come viene utilizzato in questo contesto è necessario definirlo e inquadrarlo adeguatamente. Nel linguaggio comune fare esperienza di qualcosa significa sempre fare esperienza di una situazione. Avere esperienza è sempre collegato all'aver vissuto molte situazione o all'aver fatto qualcosa per molto tempo. Nel contesto esperienziale il termine “esperienza” ha un connotato più intimo e fa riferimento al fare esperienza di sensazioni, vissuti ed emozioni legati ad una situazione. Due persone vanno in discoteca, una si diverte molto, l'altra invece si annoia. Potremmo dire che entrambe hanno fatto l'esperienza dell'andare in discoteca, tuttavia le due esperienze sono state molto diverse. L'esperienza dell'andare in discoteca non rende conto della complessità dell'esperienza completa che le due persone hanno avuto. In ambito esperienziale il termine “esperienza” recupera anche il vissuto collegato alla situazione. Le persone han fatto l'esperienza del divertirsi in una discoteca e dell'annoiarsi in una discoteca. In termini esperienziali il focus del termine è sul vissuto interiore e la situazione fa da corollario. Sempre in ambito esperienziale il termine “esperienza” viene usato per indicare “l'esercizio” che il conduttore prepara per far emergere e sperimentare determinati vissuti del partecipante dai quali potranno emergere schemi mentali, relazionali, strategie corporee (il nome dipende dalla particolare teoria di riferimento).

o24


2.2 - IL PARADIGMA ESPERIENZIALE il paradigma esperienziale nella sua definizione nasce dall'esigenza di fornire un substrato epistemologico a tutte quelle discipline esperienziali che non rientrano tout court nel paradigma scientifico, ma si discostano da esso proprio per il ruolo che l'esperienza ha. Il paradigma scientifico per sua definizione esclude l'esperienza individuale come forma di conoscenza perchè ritenuta soggettiva e come tale non può rientrare nel suo oggetto di studio, che vede appunto l'oggettività come caratteristica principale del suo oggetto di conoscenza. Da quanto detto prima appartengono al paradigma esperienziale quelle discipline il cui fine è la crescita personale (ma non necessariamente come vedremo) e che utilizzano l'esperienza e il corpo come strumento di conoscenza. Per definire un paradigma è necessario definire cosa si intende per conoscenza nell'ambito del paradigma stesso, qual'è il suo oggetto di conoscenza, quale la metodologia e gli strumenti e in che modo la si mette alla prova. Di seguito presento uno schema che aiuta a comprendere le differenze e le peculiarità del paradigma esperienziale confrontandolo con gli altri paradigmi noti. Il termine Scienza è riferito alla sua accezione forte e non alla sua applicazione in Psicologia perchè, come abbiamo visto, l'approccio scientifico alla psiche presenta delle peculiarità sue che in certe branche della Psicologia (clinica, lavoro) si ritrovano a metà strada tra una metodologia scientifica e una metodologia empirica/esperienziale.

Filosofia

Scienza

Conoscenza Ciò che è logico, razionale Ciò che è verificabile nei fatti e pensabile

Pensiero applicabile ai diversi

Pensiero astratto

campi

o25

Esperienziale

Ciò che è esperibile


Oggetto

di A seconda dei campi ogni La realtà oggettiva

conoscenza “oggetto” oggetto

può di

La

essere Ovvero la realtà che si può fenomenologica mediata

conoscenza: vedere e toccare

dall’essere

realtà

dal

umano, Indipendentemente

all’epistemologia,

fenomeno

della

dalla percezione.

al persona che percepisce.

mondo, all’arte.

Soggetto Oggetto

Oggetto di conoscenza e separati

e

soggetto

ma,

nei

e

oggetto

il

proprio

sono coincidono nuovi

soggetto conoscente sono sviluppi (Fisica Quantistica et separati

al.)

il

soggetto

influisce

sull’oggetto Come

si Con

il

dialogo, Con la verifica delle teorie,

l’insegnamento e poi con il

crea

conoscenza proprio ragionamento,

sentire la conoscenza si accresce

?

Alla la conoscenza si accresce

metodi

Affinando

per ragionamento

conoscenza

si

accede esperimento

esperienza

conoscere Cos’è

la Teoria filosofica: corpus di Teoria scientifica:

teoria

esperienziale:

asserzioni coerenti tra loro corpus di asserzioni coerenti corpus di asserzioni che e

Come

Teoria

si Argomentazione

verificabili

nella

realtà si

manifestano

nella

oggettiva

realtà fenomenologica

Dimostrazione

Condivisione:

trasmette e

sia

si dibatte la

proprio

conoscenza

rendendolo esperibile ad altri

o26

condividendo vissuto,

il sia


Chi

è

formatore

il Il filosofo che diffonde il Lo scienziato che conosce il Chi, suo

sapere

e

la

avendo

suo

sua metodo teoria-esperimento e percorso alle spalle e

Filosofia spiegandola agli lo insegna seguendo passo a continuando passo l’allievo

altri

un

guida

lo

stesso

l’allievo

alla

personale scoperta di sé creando lo spazio in cui sperimentarsi

e

preparando

le

esperienze

necessarie

alla sua crescita Quali

sono La

lezione

teorica,

il La lezione teorica e la lezione L'approccio

gli strumenti discorso e il dibattito, il pratica

esperienziale

dialogo

colloquio

2.3 – LA DEFINIZIONE DI CONOSCENZA Iniziamo con un esempio: mangiare cioccolata fa sì che il cervello produca serotonina. Come sappiamo dall'esempio precedente la serotonina è collegata al piacere. Se oggettivamente

si

rileva

nel

cervello

un

aumento

della

serotonina,

fenomenologicamente si sperimenta una sensazione di piacere. La sensazione di piacere è la nostra realtà esperibile, il nostro oggetto di conoscenza. Noi conosciamo ciò che sperimentiamo in prima persona. Se io so che ad una persona aumenta il livello di serotonina, so che la persona prova piacere, ma non so cos'è il piacere se non lo sperimento io. La conoscenza teorica non è conoscenza in ambito esperienziale, perchè vi sia conoscenza è necessario sperimentare. Allo stesso modo si potrebbe fare l'esempio del parto. Scientificamente si sanno molte cose sul parto, si conoscono gli ormoni coinvolti, si sa quanto dura e si può prevedere quando il bambino nascerà, tuttavia a livello esperienziale la conoscenza del parto sarà sempre preclusa

o27

e

il


alla metà della popolazione, ovvero alla metà maschile perchè, per sua natura, non può partorire. La conoscenza (in ambito esperienziale) è il vivere qualcosa, non lo studiarlo o lo spiegarlo e ciò ha un'implicazione molto importante. La differenza tra studiare un fenomeno e viverlo è insito nel coinvolgimento del corpo: nello studio teorico il corpo non è coinvolto nell'oggetto studiato, quando invece si vive una situazione il corpo è chiamato in causa. Avere esperienza di qualcosa significa conoscere/sentire le sensazioni, emozioni, flusso di pensieri che il corpo ci rimanda durante, prima e dopo l'esperienza stessa. Dalla pratica clinica conosciamo molto bene l'espressione “anestetizzarsi”. Non ha nulla a che vedere in ambito psicologico con l'anestesia propria della Chirurgia, ma è un'anestesia emotiva. Per non provare emozioni dolorose la persona le reprime in modo da non soffrire. Punto centrale della pratica clinica è il riappropriarsi di quelle emozioni represse per elaborarle e integrarle. Da quanto detto prima appare evidente l'implicazione per il nostro significato di conoscenza. Non sempre ci permettiamo di conoscere, anzi in molti casi non conosciamo. Di fatto la conoscenza esperienziale non è una conoscenza scontata, per il solo fatto di vivere una situazione non significa che la conosciamo in tutte le sue sfumature; anzi la conoscenza esperienziale al pari della conoscenza di altri paradigmi è un processo che ha a che fare con ciò che viene definito “sentire”: ovvero avere accesso a tutto il range di sensazioni ed emozioni esperibile. Il processo all'aprirsi e al riappropriarsi delle proprie emozioni “non percepibili” è ciò che si può definire come consapevolezza. La consapevolezza non è un fatto intellettuale, ma un riappropriarsi emotivo. Se è vero che ci anestetizziamo per non sentire il dolore è però altrettanto vero che non sempre riusciamo ad accedere al piacere ed alle emozioni piacevoli e positive. Il range delle sensazioni ed emozioni è più vasto di ciò che sembra e il processo di conoscenza esperienziale mira appunto a coglierlo in toto. Il punto fondamentale della definizione di conoscenza del paradigma esperienziale è

o28


che fare esperienza si traduce in conoscenza nella misura in cui si percepiscono emozioni e sensazioni che il corpo trasmette inerenti all'esperienza stessa. Fare esperienza di qualcosa senza nemmeno accorgersi di viverla non è conoscere. Ma allo stesso modo stare attenti ad ogni minima sfumatura che sentiamo nel corpo senza accorgerci che stiamo vivendo è un modo di impedirci di sentire. Quindi cos'è esattamente il sentire? Non c'è risposta migliore di: bisogna sentirlo! È necessario sentire cosa significa anestetizzarsi, cosa significa lasciarsi travolgere dalle emozioni o semplicemente pensare di sentire invece che sentire ...e anche tutto questo è conoscenza esperienziale!

2.4 - L'OGGETTO DI CONOSCENZA Se l'oggetto di conoscenza della Scienza è la realtà oggettiva, qual'è l'oggetto di conoscenza delle discipline esperienziali? Abbiamo visto come la Scienza escluda l'esperienza individuale perchè soggettiva ed a ben vedere non sembra avere tutti i torti. Opinioni personali, sensazioni, emozioni in determinate situazioni differiscono da persona a persona. Come si può avere una conoscenza condivisibile se siamo ognuno diverso dall'altro? Avevo lasciato in sospeso in altre parti della tesi questa domanda. La riprendo ora in modo da poter cercare di dare una risposta. La domanda vera è: siamo poi così diversi uno dall'altro? In realtà no. Basta osservare un fatto molto importante. Ogni terapeuta che applica e riesce a portare a termine un protocollo terapeutico ha successo nella terapia, ogni patologia psicologica è ben definibile nei suoi aspetti emotivi e cognitivi. Ciò che differenzia e fa apparire ogni persona diversa sono gli aspetti manifesti, ma i meccanismi che stanno alla base sono gli stessi. Ogni persona può sperimentare rabbia, tristezza, gioia o colpa. È vero che nella stessa situazione due persone diverse possono reagire in modo diverso, tuttavia le reazioni sono sempre giustificate da una diversa percezione della realtà. Quando si va a cogliere la percezione della realtà in

o29


relazione alla reazione della persona ecco che la variabilità delle reazioni diminuisce di molto. Se poi si tengono conto anche di altre variabili oltre alla percezione della realtà (come ad esempio il tipo di esperienze infantili etc.) ecco che la variabilità è nulla, e d'altronde non potrebbe essere altrimenti perchè diversamente non avrebbe senso alcuna terapia psicologica se non si potesse contare su un modello univoco di psiche. Si potrebbe concludere che la realtà avrebbe un'interpretazione univoca o che tende ad essere univoca nella misura in cui non è distorta dalle storie di vita pregresse. A questo punto possiamo essere più precisi sull'oggetto di conoscenza del paradigma esperienziale: l'oggetto di conoscenza è la realtà fenomenologica. Ovvero la realtà così come ci appare anziché la realtà così come è. La realtà fenomenologica è quindi la realtà così come viene “costruita” dal nostro sistema percettivo. Il sistema percettivo è univoco per tutti e di conseguenza l'interpretazione o come detto ora “la costruzione” della realtà segue le stesse leggi per tutto il genere umano. Con sistema percettivo non intendo solo i sensi e quella parte della nostra psiche deputata a elaborarne le informazioni. Intendo un sistema percettivo più vasto e a più livelli. Le nostre conoscenze pregresse influiscono sulla realtà che percepiamo, ma influiscono anche sull'interpretazione che diamo a ciò che percepiamo. In una situazione possiamo percepire una persona come simpatica: questa è già un'elaborazione le cui strutture le faccio rientrare nell'accezione del termine sistema percettivo per come lo sto usando ora. Un aspetto importante e da comprendere che distingue Scienza da disciplina esperienziale risiede nel concetto di oggettività: l'oggettività è per la Scienza la realtà mediata dalla propria percezione, ovvero una realtà (almeno nei suoi intenti) non mediata dai sensi, mentre per le discipline esperienziali l'oggettività non risiede nell'escludere i sensi, ma nasce dal fatto di condividere lo stesso sistema percettivo. La Scienza studia la realtà così com'è, la disciplina esperienziale studia la realtà così come è “costruita” all'interno di un sistema percettivo univoco. Per la Scienza potremmo quindi parlare di oggettività in sè, per le discipline esperienziali potremmo

o30


invece parlare di oggettività fenomenologica. Andiamo oltre in modo da avere una chiara comprensione del nostro oggetto di studio. La fenomenologia e l'oggettività fenomenologica non sono oggetti estranei alla Psicologia. La scuola della Gestalt definiva il suo oggetto di studio allo stesso modo: la realtà fenomenologica. La Gestalt studiava la realtà fenomenologica mediata dai sensi perchè dalla realtà fenomenologica si potevano comprendere le regole con cui il nostro sistema percettivo costruisce la realtà stessa. Il focus della Gestalt era sul sistema percettivo, sulla psiche, sull'uomo che percepisce. Vi è una relazione ben precisa tra realtà fenomenologica e psiche. La psiche “costruisce secondo le sue leggi” la realtà fenomenologica: la realtà fenomenologica è il “contenuto” della psiche, mentre la psiche è la forma, ciò che da struttura e organizza la realtà generando appunto la realtà fenomenologica così come ci appare. Nella dualità realtà fenomenologica – psiche, la Gestalt utilizza la prima per accedere alla seconda. Nella stessa dualità le discipline esperienziali utilizzano la seconda (la psiche) per accedere alla prima (la realtà fenomenologia). “Stare bene con sé stessi”, “vivere l'armonia”, “sentirsi al proprio posto”, “sentirsi realizzati” hanno a che vedere con la realtà fenomenologica prima ancora che con la psiche perchè attengono al contenuto del nostro sistema percettivo e non alla sua forma o struttura. Percepiamo uno stato di benessere, percepiamo di essere al proprio posto: non sappiamo perchè percepiamo così (ovvero non conosciamo in base a queli leggi il nostro sistema percettivo ci restituisce lo stato di benessere) tuttavia possiamo accedere a tutto ciò. Se possiamo cogliere delle regolarità nella nostra vita, se osserviamo relazione tra il nostro assetto psico emotivo e gli eventi che ci “capitano” o, ancora, se individuiamo delle costanti nelle vita che appaiono come vere e proprie leggi della realtà fenomenica, sono tutte domande a cui le discipline esperienziali cercano di dare risposta. Una risposta che non può nascere nell'oggettività scientifica perchè il suo oggetto di studio non rientra nell'ambito della Scienza. Anzi, come visto prima per

o31


la gestalt, la Scienza si muove su un altro approccio: conoscere il sistema percettivo per comprendere i meccanismi con cui si “genera la realtà fenomenologia”. In questa sua opera la Psicologia incontra tutti i problemi visti in precedenza a partire dalla definizione di un linguaggio appropriato e della metafora più produttiva. È necessario fare un distinguo: le applicazioni della Psicologia (per Psicologia intendo come da definizione lo studio dell'essere umano e per applicazioni o branche della Psicologia intendo la Psicologia clinica, del lavoro etc.) hanno in questo aspetto punti in contatto con le discipline esperienziali. Essendo scienze mirano a conoscere l'uomo, essendo pratiche mirano ad agire sull'uomo. Così la Psicologia clinica sviluppa teorie che nascono nell'empiricità della pratica clinica e descrivono anche la fenomenologia delle patologie, ritrovandosi in questo vicine alle discipline esperienziali (in termini di oggetto di studio) tuttavia in quanto scienze mirano alla conoscenza dell'essere umano e a studiarne e comprendere la sua psiche più che la realtà fenomenologica in cui vive (la realtà fenomenologica è solo il tramite per conoscere la psiche). Si può quindi notare come le osservazioni che nascono nella pratica clinica diventano quei dati da utilizzare e spiegare nell'ambito di un modello della psiche umana. Così la Psicanalisi nelle sue aspirazioni scientifiche aveva formulato la teoria del conscio, dell'inconscio e del super io, la Psicologia Cognitiva passa dalla descrizione fenomenologica del sistema cognitivo del fobico e la fa derivare dal suo modello operativo interno (il concetto di modello operativo si rifà ad un modello della psiche che segue la metafora dell'uomo come elaboratore di informazioni). Ho già discusso precedentemente dei pregi del metodo scientifico in ambito terapeutico e dei suoi stessi limiti in ambito di crescita personale e quindi non mi soffermerò oltre, invece è interessante osservare come le discipline esperienziali si pongono verso il secondo polo della dualità realtà fenomenologica – psiche. La psiche non è esclusa dalle discipline esperienziali ma le stesse la utilizzano per accedere

pienamente

alla

realtà

fenomenologica,

un

accesso

che,

come

precedentemente illustrato, deriva dal proprio “sentire”. Nei paragrafi precedenti avevamo illustrato come l'approccio scientifico della Psicologia

o32


passi attraverso la metafora e come proprio l'utilizzo della metafora consente da un lato di approcciare lo studio della psiche aggirando la difficoltà intrinseca alla Psicologia di essere la mente che studia sé stessa, dall'altro lato però l'utilizzo della metafora coglie parzialmente la psiche: non conosciamo la psiche, ma conosciamo quella parte della psiche che si presenta come elaborazione di informazioni (la metafora cognitivista). Allo stesso modo osservavamo che se conoscessimo la psiche (e non la sua metafora) noi potremmo far derivare le pratiche della crescita personale direttamente da questa conoscenza. L'utilizzo di una metafora fa sì che le metafore possano essere anche diverse. Le discipline esperienziali utilizzano metafore per illustrare la psiche, ma poiché l'oggetto di studio non è la psiche stessa e le sue leggi, le metafore non sono scelte in base alla loro plausibilità, ma in base alla loro praticità. Ovvero le teorie utilizzate servono ad accedere a quelle emozioni e sensazioni negate al proprio sentire. Se nella Psicologia (sia essa sperimentale che clinica in questo caso) la teoria mira alla conoscenza della psiche in termini di asserzioni verificabili e dimostrabili per conoscere la realtà così com'è (una conoscenza di tipo scientifico, pur nei limiti della metafora), nelle discipline esperienziali, le teorie psicologiche non hanno valore in quanto vere, ma in quanto utili per “aprire le porte” al proprio sentire. Detto in termini psicologici servono a ridurre le resistenze cognitive, proprio perchè possono dare un diverso quadro del problema. Questo ovviamente non esclude che la teoria psicologica scientifica attuale non sia metaforicamente produttiva anche dal punto di vista esperienziale, tuttavia non è l'unica utile. Riassumendo: l'oggetto di conoscenza è la realtà fenomenologica, caratterizzata da un'oggettività fenomenologica che nasce dall'unicità della struttura del sistema percettivo umano. Fanno quindi parte di questa realtà la realtà così come ci appare, con le percezioni, sensazioni, emozioni, flusso di pensiero che “sentiamo” in noi e nell'altro, comprese le interpretazioni che diamo a ciò che percepiamo (vediamo, udiamo, sperimentiamo).

o33


All'interno di questa realtà si muovono le discipline esperienziali per conoscere le relazioni tra i diversi oggetti, fatti, eventi e le leggi che li regolano. Il soggetto conoscente e l'oggetto di conoscenza coincidono: da quanto detto appare chiaro il perchè. La realtà fenomenologica non è la realtà in sé, ma è la realtà che il nostro sistema percettivo ci restituisce. Infatti lo stesso concetto di oggettività fenomenologia non si presenta come una oggettività al di fuori dell'essere umano, ma come un'oggettività tra esseri umani. Riprenderemo anche più avanti il concetto di identità tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto

2.5 - COME SI GENERA CONOSCENZA Se la Filosofia genera la sua conoscenza con il dialogo e il ragionare e la Scienza genera le sue conoscenze tramite la verifica della sue teorie, le discipline esperienziali trovano nel “sentire” la via maestra alla conoscenza. L'aspetto importante è che alla conoscenza si accede, mentre nelle due precedenti discipline la conoscenza si accresce. Qualunque sia la realtà che il nostro sistema percettivo ci restituisce è prevista dal sistema percettivo stesso. Il sistema percettivo non è modificabile nella forma o struttura, di conseguenza niente viene aggiunto nel sistema percettivo. Ogni tipo di esperienza che possiamo vivere è intrinsecamente legata ad un sistema percettivo dato e non modificabile (se non in termini di evoluzione della specie). Un'esperienza non prevista dal nostro sistema percettivo non è esperibile: non si possono aggiungere tipologie di esperienza non previste dal sistema percettivo stesso. È importante ricordare che non intendo il termine esperienza nella sua accezione esterna: fare esperienza della macchina nuova o fare esperienze dello studiare, intendo il termine esperienza anche nella sua accezione interiore, es: fare esperienza dell'abbondanza, dell'amore, della tristezza, dell'intimità, del sentirsi al proprio posto etc. una persona ricca potrebbe vivere l'esperienza dell'abbondanza, tuttavia un'altra persona, magari con gli stessi soldi potrebbe invece sentire comunque la scarsità. I

o34


soldi sono legati all'esperienza, ma non la determinano in modo univoco. Il motivo percui all'esperienza si accede risiede nel fatto che la possibilità di fare l'esperienza è in noi e non nelle circostanze esterne, tuttavia ad essa è necessario accederci. Le circostanze esterne sono la molla che ci fa accedere, tuttavia esperienze non previste dal nostro sistema percettivo non sono esperibili, indipendentemente dalla situazione in cui ci veniamo a trovare. Talvolta non accediamo a un'esperienza, intesa come sensazione, emozione o percezione. Potremmo non sentire entusiasmo (basterebbe chiedere a un depresso...) potremmo non sentire la rabbia repressa, potremmo non percepire la sacralità della vita o non vivere l'esperienza dell'abbondanza. Abbiamo già visto parlando dell'anestesia di come sia invece possibile riappropriarsi delle proprie sensazioni represse, ma il modo non è l'aspetto interessante ora, ciò su cui voglio portare l'attenzione è che per poter riappropriarci di quelle sensazioni, farne esperienza e quindi conoscere è necessario e implicito che in noi avvenga un cambiamento. La Scienza, nel suo paradigma sistemico anziché meccanicistico, ha già fatto notare (nei suoi sviluppi) come il soggetto che conosce influisce su ciò che studia. Diversi autori (Maturana e Varela, Jantsch, Gadamer, Hayek) sostengono che non sia sostenibile una qualsiasi ricerca della validità della conoscenza indipendentemente dal soggetto conoscente e sicuramente il lettore più informato potrà riconoscere quanto ciò che scrivo sia influenzato da loro. Tuttavia il metodo esperienziale di cui scrivo è diverso nei fatti. Se le ricerche dell'approccio sistemico in Psicologia e Biologia portano gli autori a concludere quanto detto precedentemente, il paradigma esperienziale ha in queste scoperte e nuove conoscenze la sua radice epistemologica. Se gli esperimenti e le ricerche dei precedenti autori portano a concludere che vivere è conoscere e conoscere è “la continua costruzione di un mondo in grado di rendere coerente il fluire dell'esperienza immediata nel soggetto ordinante (Guidano, 1991b)”, nel paradigma empirico ci si chiede: cosa si arriva a conoscere quando si tiene conto di ciò? Quando il fare esperienza è la base per conoscere, quali conoscenze si possono conoscere?

o35


Se le attuali ricerche portano a concludere in forma di teoria quanto detto prima, nel paradigma esperienziale si fa il balzo e dalla teoria si passa all'esperienza (in questo caso intesa come metodo conoscitivo) e al “vivere”. Tutto il paradigma esperienziale serve a definire regole, metodi e strumenti per rendere ciò che si conosce “valido” (e vedremo in seguito il significato di valido in ambito esperienziale) all'interno del paradigma stesso. Ma fare il balzo implica che il soggetto conoscente conosca anche sé stesso. In un contesto in cui la conoscenza è l'esperienza e la conoscenza dipende dal soggetto che conosce (che fa esperienza) è ovvio che esperienze diverse non sono il frutto di soli fatti esterni, ma di persone con “permessi ad esperirsi” diversi. Per ampliare il range delle esperienze è necessario cambiare, allo stesso modo in cui per uscire dallo stato di depressione il paziente arriva a “modificare i suoi schemi mentali” per ritornare a fare l'esperienza dell'entusiasmo, così è necessario che qualcosa cambi in noi per poter esperire altro. Termini come “la sacralità della vita” non significano nulla dal punto di vista scientifico perchè la sacralità esiste in quanto “contenuto” del nostro sistema percettivo, ma proprio perchè è un “contenuto” del nostro sistema percettivo e, come tale, parte integrante della nostra realtà fenomenologica, essa rientra a buon diritto nell'oggetto di conoscenza del paradigma esperienziale ed è conoscibile secondo i metodi e gli strumenti del paradigma stesso. Tuttavia è solo tramite il “sentire”, inteso come facoltà al pari del “capire”, che ad essa si può avere accesso. Se il “capire” è la facoltà che usa la Scienza, il “sentire” ha il posto d'onore in ambito esperienziale. La razionalità tuttavia non è esclusa dal paradigma esperienziale, ma si integra al sentire: una cosa in ambito esperienziale non è conosciuta quando è capita, ma il “capire” si unisce all'esperienza e nasce il “comprendere”. Farò un esempio perchè tutto questo non rimanga solo un ragionamento sui termini: si può facilmente spiegare, “capire” come la visualizzazione su un luogo della natura porti a rilassarsi: il prato, un luogo naturale, richiamano esperienze positive in mezzo alla natura. Tuttavia è solo sperimentando la meditazione e lo stato di rilassamento che

o36


il “capire” si unisce all'averlo “sentito” sulla propria pelle. Solo in questo caso si può dire di “aver compreso” come la meditazione sul luogo della natura porti a rilassarsi proprio perchè il capire ha trovato anche un legame con l'esperienza vissuta. Un altro esempio: sul lavoro un dipendente si sente trattare male e aggredire dal suo capo. La sua reazione è quella di pensare che il capo ce l'abbia con lui. Magari qualcuno potrebbe facilmente fargli notare che il suo modo di fare troppo timoroso di sbagliare e incline ad aver bisogno di conferme per agire genera la rabbia del suo capo, e lui potrebbe anche capirlo. Tuttavia per quanto possa capire la paura verrebbe fuori lo stesso. Se potesse trovarsi in un seminario, osservare anche come lui si tratta quando si sente minacciato e come reagisce con sé stesso, noterebbe che tra la reazione del suo capo e la reazione che egli ha verso sé stesso non c'è molta differenza; noterebbe e si direbbe che lui fa così per spronarsi, e a quel punto capirebbe che il capo si comporta così per lo stesso motivo e non perchè ce l'ha con lui. Tuttavia si renderebbe anche conto che “spronarsi” in quel modo ha in realtà l'effetto opposto e che genera molta rabbia che viene regolarmente repressa. Vivendo su di sé la dinamica con il capo, espandendo l'esperienza della situazione dal pensare che il capo ce l'abbia con lui al sentire di arrabbiarsi, percepire anche quell'aspetto di sostegno del capo in termini di “spronare” e riconoscendo e osservando come lo sprono in realtà sia deleterio (sia quello da parte del capo, ma anche quello che lui mette in atto con sé stesso), il nostro dipendente giunge a vivere su di sé tutta la dinamica e a comprenderla in tutta la sua forza, non solo a capirla. Tornado alla nostra definizione di conoscenza, ora si potrebbe dire che il dipendente ha “conosciuto” la situazione. Prima era solo una conoscenza intellettuale.

2.6 - I METODI DELLA CONOSCENZA Servendoci di un breve excursus storico possiamo osservare come il metodo per conoscere della Filosofia fosse il ragionamento. Ragionando, affermano i filosofi, si crea conoscenza proprio per la definizione stessa di conoscenza in Filosofia (in realtà

o37


ci sono diversi punti di vista sulla possibilità di conoscere tramite il ragionamento). La Scienza ha rifiutato il fatto che con il solo ragionamento si potesse acquisire conoscenza sul mondo. L'aspetto cardine della Scienza è stato quello di individuare un metodo che consentisse di mettere una teoria (il ragionamento) alla prova dei fatti. Nasce l'esperimento: l'esperimento è la verifica controllata di una teoria per garantirne la veridicità dei suoi enunciati. Nella sua formulazione l'esperimento prevede di isolare le variabili dell'oggetto di studio e suddividerle in variabili dipendenti e indipendenti. La misurabilità delle variabili è il punto cardine, infatti manipolando le variabili indipendenti si otterranno risultati diversi nelle variabili dipendenti. Il legame, la relazione che emerge tra variabili indipendenti e dipendenti viene tradotta in legge. Ogni Scienza ha adottato questo metodo e la possibilità di isolare le variabili è stato un aspetto determinante nell'ambito delle scienze. Il metodo scientifico si è modificato in parte in Psicologia per l'impossibilità di isolare esattamente le variabili. Dall'esperimento si è passati al quasi esperimento intendo per questo l'introduzione della statistica. Tuttavia l'approccio non cambia nei suoi aspetti macro. Si è passati però dall'esperimento in laboratorio all'esperimento/ricerca sul campo. Le variabili non sono più isolate, ma partecipano all'esperimento anche quelle variabili che non si vorrebbe coinvolgere ma che di fatto hanno il loro effetto, saranno appunto i metodi statistici a depurare i risultati degli effetti delle variabili intervenienti. La riproducibilità dei risultati, che da sempre è stata considerata una delle condizioni sine qua non per poter parlare di Scienza viene meno nelle scienze umanistiche proprio perchè la ricerca sul campo non è una situazione creata artificialmente e quindi non è riproducibile in laboratorio. La Scienza lega la teoria alla realtà introducendo l'esperimento (pur nelle sue modifiche che subisce in campo di scienze umanistiche). L'esperimento è ciò che garantisce che la teoria sia realmente una teoria su “questa” realtà. Se ciò che lega la teoria scientifica alla realtà passa attraverso l'esperimento, ciò che lega una teoria esperienziale alla realtà è l'esperienza.

o38


Il passaggio dall'esperimento all'esperienza è un passaggio consistente che va compreso in tutta la sua portata. Per esperienza non si intende l'esperimento sul campo o l'osservazione “dal vivo” dell'oggetto di studio. Nel paradigma esperienziale soggetto conoscente e oggetto conosciuto coincidono. C'è un cambio di prospettiva dalla terza persona alla prima persona, dall'esso all'io: non si conosce un fenomeno esterno (in terza persona) ma si conosce “in prima persona”. Non “collego” un'asserzione esperienziale a “questa realtà” perchè la osservo in un'altra persona, ma perchè la osservo io stesso in me stesso. In che modo? Attraverso l'esperienza. Esperire è conoscere e attraverso l'esperienza in prima persona posso cogliere il valore esperienziale di un'affermazione. Tuttavia si presenta un problema consistente: abbiamo visto come il sentire e quindi la possibilità di accedere alla conoscenza e all'esperienza non sia uguale per tutti perchè ogni persona ha una diversa qualità di “sentire”. Questo implica che una persona può fare esperienza di qualcosa e un'altra peersona no. La prima cosa che viene da chiedersi è come faccio a verificare una teoria se la sua stessa verifica dipende da me in prima persona? Potrebbe essere falsa la teoria o io non in grado di percepirla. In realtà la domanda è mal posta: la verificabilità di una teoria nei fatti (oggettivi in sé) attiene alla Scienza, a livello esperienziale la verifica di una teoria perde di significato. Se diversi “sentire” generano esperienze della realtà diverse e di conseguenza teorie esperienziali diverse, il punto non risiede nella verità di una teoria, ma nella relazione tra teoria e qualità del sentire. In base alla qualità del proprio sentire non si verifica una teoria, ma ci si riconosce in una teoria. Il panorama che ne esce non è quello di una serie di teorie che si escludono tra loro, ma la convivenza di teorie diverse, a volte anche in contrasto tra loro, ma che riflettono le diverse “qualità di sentire” da cui nascono.

o39


2.7 - LA TEORIA ESPERIENZIALE È giunto quindi il momento di definire una teoria esperienziale. Una teoria esperienziale è un insieme di asserzioni esperibili. Nella definizione stessa due punti sono importanti. Il primo è che le asserzioni sono esperibili, mentre il secondo è che non ho utilizzato l'espressione verificabili nei fatti proprio perchè teorie diverse ed anche in contrasto tra loro possono sussistere in quanto appartenenti a qualità diverse del “sentire”. Questo implica che il paradigma esperienziale non esclude nessuna teoria e non mira ad un'unica teoria unificante. Anche quelle teorie che nascono da qualità minori del sentire non sono escluse perchè condivise da chi a quella qualità del sentire appartiene, tuttavia come visto in precedenza l'oggettività fenomenologica è tale in quanto condividiamo un unico sistema percettivo. La possibilità di accedere completamente alle esperienze che esso ci offre porta alla formulazione della teoria esperienziale più funzionale. Ma essa potrà essere conosciuta solo da chi accede a quel sentire. Diversamente la teoria esperienziale resta preclusa: è bene osservare che conoscere una teoria esperienziale non significa “capirla” ma viverla/sentirla, di conseguenza non è che non si può capire una teoria o non la si condivida, semplicemente non si può avere esperienza di quello che in essa viene affermato. Tutti siamo affascinati da un'espressione come “sacralità della vita” ma quanti realmente sentono la sacralità della vita e quanti invece si limitano a “pensare di sentirla”? Senza contare che c'è chi pensa che siano tutta storie... Al di là della possibilità di conoscere una teoria esperienziale è importante capire la definizione di teoria esperienziale nella sua prassi. Una teoria esperienziale prevede che le sue affermazioni siano espresse in modo da essere esperibili, diversamente non è una teoria esperienziale ma una teoria di altro tipo. La teoria freudiana evidenzia come il portare alla luce quelle emozioni rimaste inconsce apre le porte alla guarigione. Da questo Freud ha ipotizzato l'esistenza dell'inconscio, del conscio e del super io. La psicanalisi è una teoria esperienziale? Ovviamente no. Si può avere esperienza del fatto che portare alla memoria esperienze inconsce porti alla guarigione, ma non si può avere esperienza dell'inconscio:

o40


l'esperienza che si ha è che esistano cose di cui non siamo consapevoli e ce ne rendiamo conto quando le portiamo alla memoria, ma non per questo si può ipostatizzare l’inconscio né tantomeno sperimentiamo l'inconscio in sé. Anzi, la Psicologia ha successivamente dimostrato come non sia necessario ipotizzare un inconscio a sé stante per spiegare il fatto che ci siano cose di cui non siamo consapevoli. L'inconscio è una metafora ma non un'asserzione esperienziale. Partiamo ora da un altro esempio. La teoria dei chakra. Le teorie dei chakra della cultura indiana insegnano che esistono nel nostro corpo sette chakra principali, essi sono i centri energetici del corpo e noi possiamo percepirli in determinati stati indotti dal rilassamento. La conoscenza esperienziale dei chakra è facilmente accessibile da tutti e porta alla loro percezione come a ruote o vortici circolari di diversi colori. I chakra sono una teoria esperienziale perchè di essi si può avere esperienza, tuttavia sarebbe un errore considerarli come appartenenti alla realtà in sé. Se si volesse affermare che esistono al di là del nostro sistema percettivo allora ci ritroveremmo in un altro paradigma. Il paradigma esperienziale conosce tramite l'esperienza la realtà fenomenolgica dipendente dal nostro sistema percettivo. Affermare che i chakra esistono al di là del nostro sistema percettivo implica passare dal paradigma esperienziale a quello scientifico ed alle sue metodologie. Di conseguenza a ciò l'affermazione percepire i chakra perde di significato ma è necessaria la dimostrazione della loro esistenza indipendentemente dal fatto di percepirli o meno. Attualmente una parte della Medicina cerca di trovare una correlazione tra qualche aspetto fisiologico e i chakra, ma anche se vi fosse una correlazione di sicuro non troverebbero sfere colorate all'interno del corpo. La forma sferica e il colore dei chakra nasce dal nostro sistema percettivo che elabora in questo modo la sua percezione e non dal fatto di riprodurre fedelmente la realtà fisica dei chakra. Questo significa che i chakra come tali sono un “fatto esperienziale” indipendentemente dal fatto di trovare o no una correlazione nella realtà oggettiva in quanto tale. Questo esempio evidenzia il campo della teoria esperienziale. Una teoria esperienziale è tale se le sue affermazioni attengono alla realtà fenomenologica. Un'affermazione

o41


inerente alla realtà oggettiva non è un'affermazione esperienziale: in altre parole il fatto che si possa avere esperienza di qualcosa non è sufficiente per affermare che questo qualcosa esiste nella realtà oggettiva (in quanto tale). All'opposto, ogni tentativo di dimostrazione scientifica della realtà fenomenologica è un'invasione di campo necessariamente destinata a fallire perchè l'oggetto di studio non attiene per definizione alla Scienza e di conseguenza i metodi scientifici non sono adatti ad indagarne le leggi. Allo stesso modo spiegare il senso del sacro che si può vivere in determinate situazioni non autorizza tout court a utilizzarlo (in ambito esperienziale) per affermare l'esistenza di Dio. L'esistenza di Dio attiene alla Religione ed è quindi materia di fede avendo le sue radici nel dogma e non nell'esperienza. Per converso le conoscenze esperienziali invalidano ogni ricerca del benessere se essa nasce da imposizioni dogmatiche (non necessariamente religiose) se queste ultime non hanno una radice nell'esperibilità dei fatti. In conclusione una teoria esperienziale si muove a livello di oggettività fenomenologica e le sue asserzioni non mirano alla verità ma all'esperibilità delle stesse. Per sua definizione la teoria esperienziale non chiede di essere dimostrata né capita, ma vissuta.

2.8 - COME SI DIBATTE E SI TRASMETTE LA CONOSCENZA Ho già accennato alla dimostrazione come presupposto della verifica di una teoria in ambito scientifico. La Scienza tramite la dimostrazione dibatte la sua conoscenza. La Filosofia, che per sua natura non prevede l'esperimento e la dimostrazione “nei fatti” delle sue teorie, utilizza l'argomentazione per dibattere la sua conoscenza. Le discipline empiriche non necessitano di argomentazione perchè hanno un legame nei fatti fenomenologici tuttavia abbiamo già visto come la dimostrazione non possa trovare spazio nell'ambito della fenomenologia perchè attiene ad una realtà oggettiva diversa dall'oggettività fenomenologica delle discipline esperienziali.

o42


In ambito esperienziale la condivisione ha lo stesso ruolo che l'argomentazione ha per la Filosofia e la dimostrazione per la Scienza. In una prospettiva in cui conoscere significa vivere in prima persona un'esperienza e quindi ci è dato di conoscere solo in relazione a noi stessi (oggetto e soggetto coincidono) non si può avere accesso alla conoscenza di un altro. La condivisione porta a rendere fruibile agli altri le proprie “conoscenze/esperienze”. Come evidenziato precedentemente fare esperienza prevede un coinvolgimento attivo. Lo stesso coinvolgimento non è previsto per la Scienza e per la Filosofia, ovvero non è necessario che io stesso faccia un esperimento per dimostrare qualcosa che ha già dimostrato un altro. Se chi ha condotto l'esperimento è riuscito a dimostrare ciò che voleva ed io “capisco” la sua teoria, anche io conosco e ottengo la sua conoscenza. In ambito esperienziale questo non è valido: conoscere è fare esperienza in prima persona e di conseguenza anche se un altro ha esperito qualcosa, il fatto che me la racconti non significa che ora la conosco anch'io. Questo aspetto attivo della conoscenza esperienziale è ciò che rende importante la condivisione. Il lato attivo di ricerca dell'esperire ha nella condivisione degli altri la diffusione di ciò che “si può” conoscere. Ha un ruolo di ispirazione fondamentale nella ricerca attiva delle teorie ed esperienze che si vogliono fare. Condividere con gli altri significa divulgare che è possibile conoscere esperienzialmente qualcosa. Tuttavia non è l'unica accezione del termine condividere. Un altro aspetto è che la condivisione di un'esperienza vissuta riflette la qualità del sentire di chi ha fatto esperienza: persone con diverse qualità del sentire vivono la stessa situazione diversamente, ovvero hanno esperienze diverse e quindi le condividono, interpretano, in modi diversi. Questo aspetto sarà ripreso più avanti parlando degli strumenti perchè ha un'implicazione importante per il conduttore di seminari esperienziali. L'aspetto più importante del condividere è rendere accessibile all'altro la stessa esperienza. Come si può sostenere la propria teoria? Non certo dimostrandola! Una teoria esperienziale non va dimostrata dal suo promulgatore, ma va resa esperibile da

o43


ogni persona. L'autorevolezza di una teoria risiede nella capacità della sua prassi di rendere esperibile la sua teoria agli altri. Condivisione nel senso di condividere la conoscenza tenendo conto che conoscere significa vivere. L'autore di una teoria esperienziale per definizione non può dimostrarla ad un altro, né convincerlo (argomentando) ma ha la responsabilità metodologica di rendere la sua teoria esperibile all'altra persona, cioè di individuare, elaborare o proporre esperienze e metodi che possano permettere all'altra persona di esperire e quindi conoscere la teoria. Da qui se ne deduce che se nella Scienza posso condividere (nel senso di accettare) una teoria perchè dimostrata, in ambito esperienziale posso condividere una teoria perchè resa esperibile dal suo autore. La condivisone è lo strumento tramite il quale chi promulga una teoria la rende adottabile nel panorama delle discipline e teorie esperienziali.

2.9 - CHI È LA FIGURA DI RIFERIMENTO? Qui si presenta un problema di termini: se la figura di riferimento è il filosofo per la Filosofia e lo scienziato per la Scienza, non vi è ancora un termine che denoti la figura di riferimento delle discipline esperienziali, tuttavia se ne possono definire le caratteristiche. Avevamo notato parlando della necessità di un'epistemologia esperienziale che la terapia ha già uno stato a cui tendere, ovvero l'assenza di quella precisa malattia. Questo stato è conosciuto e facilmente definibile se non altro perchè il terapeuta stesso lo vive. Dall'altra parte la crescita personale ha un problema intrinseco di definizione dello stato a cui tendere perchè, affinchè si possa definire uno stato a cui tendere, è necessario che almeno una persona ne faccia esperienza. Senza uno stato psicofisico a cui tendere ogni metodologia esperienziale può aspirare ad un vago stato di benessere, o ad un vago senso di miglioramento del proprio stile di vita senza che questo significhi una reale crescita perchè mancano dei parametri con

o44


cui confrontarsi. In questi casi si può utilizzare la disciplina esperienziale in questione a fini terapeutici in quanto la risoluzione di patologie è ben riscontrabile, ma la crescita personale, in mancanza di parametri di riferimento non è definibile. Anzi, non di rado accade che si rimanga intrappolati nel proprio “raccontarsela” se qualcuno, che ha conosciuto (vissuto) un'esperienza simile non ci rispecchia la dinamica che non riusciamo a cogliere. La figura di riferimento è quella figura che ha fatto e continua a fare un percorso di crescita volto a sviluppare il suo “sentire” e ad accedere alla conoscenza esperienziale. La definizione del paradigma esperienziale mira a dare liceità a quel tipo di conoscenza che la figura di riferimento possiede e che nasce dall'esperienza. La liceità stessa

della

divulgabilità

della

conoscenza

esperienziale

che

dal

mondo

fenomenologico di un individuo passa al mondo fenomenologico di un altro individuo è garantita dal rispetto delle regole del paradigma. Si evidenzia qui un punto fondamentale che è il momento di prendere in mano. Nell'introduzione del paradigma esperienziale ho parlato di crescita personale e cura, di cambiamento e guarigione. Nel definire il paradigma esperienziale ho sempre utilizzato il termine conoscere senza mai nominare la guarigione e la crescita. Perchè? Concettualmente curare e guarire implicano un'azione ben definita nei suoi effetti che va da una persona ad un'altra. Anche i termini guarirsi e curasi, sono termini in cui l'azione del curare, che sarebbe diretta verso, l'esterno torna alla persona che cura e contemporaneamente ha bisogno di cure. In ambito esperienziale non si può parlare in questi termini di cura e guarigione. La metodologia esperienziale è per sua definizione una metodologia in prima persona che non presuppone necessariamente (ma comunque potrebbe presupporre) un'azione diretta ad un'altra, anche se l'altra persona è sé stessi. Di conseguenza in ambito esperienziale non si guarisce, ma si accede al benessere (si fa esperienza del benessere, si conosce il benessere), non ci si cura, ma si fa esperienza, si conosce

o45


uno stato di salute migliore. L'esperienza del benessere e dello stato di salute sono solo alcune delle diverse esperienze che si possono fare in ambito esperienziale e di fatto la maggior parte di esperienze non implicano uno stato di malattia da cui guarirsi. Se, uscendo dal paradigma, si può dire che la figura di riferimento ha intrapreso un percorso di guarigione esso è da intendere come un aver avuto accesso a stati di benessere, soddisfazione, energia (o in qualunque altro modo si voglia definirli) superiori alla media. La figura di riferimento conosce per esperienza lo stato psicofisico a cui si vuol giungere ma, cosa più importante, ha integrato in sè gli strumenti (in termini di strategie, approcci alle situazioni, interpretazioni della realtà fenomenologica etc.) utili per accedere. Conoscendo lo stato di rifermento a cui si vuole accedere è in grado di condividerlo, nel suo significato esperienziale, con altri fornendo gli “strumenti conoscitivi” affinchè anche gli altri possano fare il loro percorso esperienziale di conoscenza. L'aspetto importante è che la figura di riferimento non necessariamente vive sempre a quel livello di esperienza, tuttavia ne è abbastanza vicino da poterne fare anche solo delle sporadiche esperienze. Ciò che invece è fondamentale che abbia integrato sono quelle strategie e dinamiche che consentono di “automonitorarsi”, un insieme di strategie che emergono spontaneamente nell'arco della crescita personale e che forniscono gli strumenti per poter “camminare da soli”. Il passaggio è simile a quello in psicanalisi: all'inizio il terapeuta aiuta il paziente a interpretare, segue una fase in cui il paziente, anche quando non è in seduta, immagina il terapeuta che gli interpreta la situazione che sta vivendo, e infine giunge a interiorizzare completamente la figura del terapeuta e a interpretare egli stesso la realtà. Il paziente introietta la metodologia per accedere alla cura dal terapeuta. In ambito esperienziale avviene qualcosa di simile e ciò che la figura di riferimento, nella veste di conduttore di esperienze, passa è l'insieme di strategie (che più avanti chiameremo

metastrategie)

che

egli

stesso

adotta

e

che

sono

implicite

nell'impostazione stessa dei suoi corsi o seminari. Questo stesso passaggio ci porta inevitabilmente a toccare l'ultimo aspetto del

o46


paradigma: gli strumenti della metodologia esperienziale.

2.10 - GLI STRUMENTI DELLA METODOLOGIA ESPERIENZIALE In un contesto in cui la conoscenza nasce dall'esperienza gli strumenti per il passaggio della conoscenza passano inevitabilmente dall'esperienza stessa. L'esperienza è il metodo tramite il quale si palesa la teoria esperienziale. Tramite l'esperienza si può cogliere il valore esperienziale di una teoria. Contemporaneamente però il passaggio di una conoscenza (conoscenza in ambito esperienziale passa sempre dal fare esperienza) è inestricabilmente legato al fare esperienza. Mentre il metodo scientifico utilizza l'esperimento per verificare la teoria e la lezione teorica (o la lezione pratica in laboratorio) per trasmettere la conoscenza, nella metodologia esperienziale accesso alla conoscenza e trasmissione della conoscenza si sovrappongono in parte. Per esperienza si intende l'esperienza che si può vivere in prima persona nella vita di tutti i giorni (esperienza nel microcosmo), ma, per la stessa natura della conoscenza in ambito esperienziale, la trasmissione di conoscenze in un corso o in un seminario, passa sempre e comunque attraverso l'esperienza (esperienza nel microcosmo). Macrocosmo e microcosmo individuano due realtà diverse ma con un profondo legame. Il macrocosmo è la realtà di tutti i giorni mentre il microcosmo è la realtà “in piccolo” di un corso o seminario. Il legame tra i due è dato dal fatto che ogni partecipante esprime nel microcosmo le stesse strategie, modalità relazionali, schemi mentali (i nomi dipendono dalla teoria stessa che li adotta) che mette in atto nella vita di tutti i giorni. Quando parliamo di mettere in atto schemi e comportamenti andiamo a toccare l'aspetto cardine dello strumento. Nel seminario o corso o workshop il partecipante agisce in prima persona e sente in prima persona. Ogni conoscenza che passa attraverso l'esperienza, come abbiamo

o47


visto precedentemente, passa attraverso il corpo. Il corpo è lo strumento del partecipante per accedere alla conoscenza nella misura in cui è “radicato” nel corpo. Il “sentire” stesso è un sentire il corpo perchè è attraverso di esso che passano emozioni e sensazioni e non attraverso le facoltà logiche della mente. Ogni esperienza quindi coinvolge il corpo direttamente nella misura in cui nel corpo si palesano le sensazioni e le emozioni coinvolte nell'esperienza. Tuttavia anche le facoltà razionali hanno il loro posto essendo comunque parte integrante dell'essere umano. La mente (intesa come facoltà logiche e pensiero), viene coinvolta nella misura in cui restituisce e palesa l'interpretazione della realtà. È nell'interpretazione della realtà che le strategie comportamentali trovano la loro giustificazione. Un'interpretazione della realtà che nasce da un sentire con un range percettivo limitato dalla repressione di troppe emozioni e sensazioni è inevitabilmente un'interpretazione della realtà orfana di quegli aspetti repressi e quindi incapace di cogliere tutte le sfumature della realtà che interpreta. Ciò che è importante notare è che alla mente non si delega un ruolo che spetta tutto l'individuo (corpo compreso) nel suo insieme. Spesse volte nel colloquio si da importanza a ciò che il cliente/paziente dice di sé: questo è un esempio di quando alla mente si delega un ruolo che non le spetta. Se una persona dice che in una determinata situazione ha agito in un certo modo o agirebbe in un certo modo non significa che ciò sia vero perchè nella descrizione dell'evento intervengono tutta una serie di meccanismi esplicitati dalla ricerca in ambito clinico che distorgono il resoconto allo scopo di preservare l'autostima del cliente/paziente. È nella relazione e nelle strategie relazionali all'interno della relazione colloquio che il colloquio stesso conserva il suo valore esperienziale ed in questi termini anche il colloquio è uno strumento in ambito esperienziale anche se di minor importanza rispetto al seminario in gruppo. La natura delle esperienze del seminario è un altro aspetto importante della pratica esperienziale. Se fare esperienza e conoscere, e la conoscenza empirica si fonda sull'esperienza, è anche vero, da quello che avevamo detto precedentemente, che

o48


l'esperienza non è da intendere come un qualcosa definibile dall'esterno: fare esperienza del passeggiare in montagna o del guidare in autostrada non è il tipo di conoscenza che si ricerca in ambito esperienziale. La conoscenza del mondo fenomenologico, delle sue regole e di tutto ciò che posso osservare passa inevitabilmente attraverso la conoscenza di sé. La realtà fenomenologica è inevitabilmente

interconnessa

al

binomio

sè-realtà

oggettiva.

L'oggettività

fenomenologica ha una natura diversa dalla realtà oggettiva in quanto tale (oggettiva perchè non coinvolge il sistema percettivo) e risiede nell'uniformità della struttura del sistema percettivo umano (non dei suoi contenuti). Detto questo è possibile spiegare la natura delle esperienze nei seminari o workshop. L'esperienza che si ricerca nel seminario non è un'esperienza simile a quella nella vita di tutti i giorni: non è il riprodurre un'esperienza che nei suoi aspetti manifesti imita la realtà di tutti i giorni. Non si imita ad esempio l'uscita a cena del primo appuntamento o non si tende a riprodurre un colloquio di lavoro. Viceversa se nella vita di tutti i giorni in ambito ad esempio relazionale agiamo in base a interpretazioni della realtà, sensazioni ed emozioni ben precise, e la conoscenza esperienziale passa attraverso la conoscenza di sé, nei seminari e workshop ciò che si vuole riprodurre della realtà è il vissuto individuale e non il tipo di esperienza manifesta che lo genera. Ecco che le strutture delle esperienze proposte non sono studiate per imitare la realtà ma per elicitare quegli stessi vissuti che nella vita di tutti i giorni sono elicitati da determinate situazioni. Detto in altri termini le esperienze del seminario elicitano gli stessi vissuti che elicitano le situazioni della vita reale. Di fatto la stessa situazione reale riprodotta in un workshop non elicita il vissuto esperienziale con la stessa forza della situazione reale in sé. Ma questo non esclude la possibilità di utilizzarlo proprio per questo motivo: rivivere la situazione con un coinvolgimento emotivo meno totalizzante permette al partecipante di poter osservare “come sono andate le cose” e di poter integrare emozioni e sensazioni che in un primo momento erano state represse perchè troppo forti. Questo “meccanismo” è utilizzato in quelle discipline esperienziali che usano il teatro e la drammatizzazione per accedere

o49


al vissuto esperienziale. Se per il partecipante il corso o il seminario è strumento di esperienza e quindi luogo privilegiato per fare esperienza/conoscere in uno spazio protetto, per il conduttore (la figura di riferimento nel suo aspetto di colui che trasmette la “sua” conoscenza) diventa strumento di trasmissione della conoscenza ma anche luogo privilegiato di verifica dell'efficacia della sua trasmissione. Non solo, il seminario o il corso, tramite le condivisioni dei partecipanti (si ricordi il ruolo della condivisione in ambito esperienziale) è anche un luogo di verifica del passaggio della conoscenza e, sempre tramite le condivisioni e le osservazioni dei partecipanti in azione, il seminario è strumento di elaborazione e rielaborazione della teoria stessa. In quest'ultima frase non sfugge una sorta di contraddizione con quanto detto prima: ho affermato che la conoscenza esperienziale passa attraverso l'esperienza in prima persona ed ora affermo che si può “fare teoria esperienziale” attraverso l'osservazione in terza persona ritrovandosi più in un approccio di tipo scientifico nella misura in cui l'oggetto di studio differisce dal soggetto che conosce. La contraddizione è solo apparente: il conduttore ha già sviluppato una teoria esperienziale tramite l'esperienza diretta ed in questo momento (che è sempre successivo alla formulazione della teoria) ne verifica la liceità nella misura in cui la può utilizzare come chiave interpretativa di ciò che osserva e sente condividere dai partecipanti. In ambito esperienziale la teoria nasce nell'esperienza in prima persona e poi viene utilizzata come chiave interpretativa in terza persona, in altri approcci la teoria nasce dall'osservazione in terza persona e diventa strumento per inferire la struttura della psiche. Se anche una teoria con aspirazioni scientifiche partisse da un'esperienza personale, questa di solito viene taciuta o non le viene riconosciuta dagli altri del settore la stessa importanza che rivestirebbe in un contesto esperienziale. L'aspetto predominante per la veridicità della teoria resta in questo caso la possibilità di osservarla in terza persona. In ambito esperienziale invece una teoria può nascere solo dall'esperienza in prima persona perchè ciò che viene trasferito è essenzialmente

o50


la possibilità di fare la stessa esperienza che il conduttore del gruppo ha fatto prima dei partecipanti. Il corso o seminario come strumento di osservazione dei partecipanti assume per il conduttore un ruolo di “messa alla prova” della sua teoria in termini di pragmaticità della teoria stessa e di sua funzionalità per accedere a quelle conoscenze esperienziali a cui egli stesso ha avuto accesso. Una teoria esperienziale è una teoria le cui affermazioni sono esperibili in prima persona, è la traduzione in parole di un vissuto esperienziale che per sua stessa natura è trasmissibile, ovvero esperibile da chiunque (la struttura del sistema percettivo è identico per ogni persona), tuttavia la traduzione in parole del vissuto esperienziale necessita di verifica in termini di aderenza all'esperienza personale e di efficacia e pragmaticità nel trasmetterla. Accogliere questa responsabilità consente al conduttore di rendere trasmissibile e condivisibile la sua teoria. Il seminario per sua natura ha anche un'altra caratteristica. Nel colloquio psicologico (non necessariamente clinico) si palesano schemi mentali, strategie comportamentali etc. e i nomi come sempre dipendono dalla particolare teoria di riferimento (e che rimanendo in tema potremmo definire genericamente come i contenuti del sistema percettivo), tuttavia sono i contenuti di un singolo. Nel colloquio si mostrano i contenuti di una persona alla volta e per la stessa metodologia il professionista (sia esso psicologo o councelor o coach) non può osservare un numero sufficientemente significativo (in termini statistici) di persone alla volta. Dall'altra parte il convegno o lezione in aula permette di osservare un numero significativo di persone, ma per la stessa natura della lezione in aula non consente di far emergere i contenuti esperienziali. Infine la terapia in gruppo (che comunque non prevede, di solito, un numero di partecipanti superiore a dieci) consente da un lato di far emergere alcuni contenuti emotivi con un numero maggiore rispetto al colloquio, tuttavia esso non è sufficientemente elevato per avere valore statistico, inoltre i contenuti non sono direttamente visibili nell'esperienza ma si limitano al dialogo.

o51


Il seminario per sua natura è in una situazione privilegiata per far emergere caratteristiche e dinamiche che diversamente non sarebbe possibile osservare. La struttura del seminario consente di accedere ai contenuti di un numero statisticamente significativo di persone e, in quei casi in cui il seminario non è singolo ma prevede un vero e proprio percorso di seminari esperienziali, anche per un intervallo di tempo sufficientemente lungo da poter cogliere la modifica nel tempo del contenuto del sistema percettivo di un numero elevato di persone. Da questo si può dedurre come possa essere uno strumento indispensabile al conduttore che nel seminario “mette alla prova” la sua teoria esperienziale nella misura in cui può essere uno schema interpretativo valido della realtà fenomenologica.

2.11 - CONCLUSIONI Abbiamo definito nei paragrafi precedenti le basi metodologiche e le linee guida per poter fare ricerca in ambito esperienziale. Questa prima definizione (è possibile che la si possa rivedere) mette in luce quegli aspetti e peculiarità che consapevolmente o inconsapevolmente ogni disciplina esperienziale utilizza per accedere alla conoscenza. Tuttavia ogni disciplina esperienziale ha caratteristiche proprie che la differenziano dalle altre. Queste caratteristiche però sono riconducibili al modo in cui adempiono le richieste del paradigma. Così possiamo trovare approcci esperienziali in cui sviluppare il sentire significa addestrarsi a sentire ed altri approcci che prediligono “sciogliere i nodi” che impediscono di sentire. In altri casi un approccio è orientato verso l'utilizzo di una tecnica ben precisa ed allo sviluppo della stessa per coglierne gli insegnamenti che da essa derivano, in altri casi un approccio utilizza diverse tecniche per “conoscere” i diversi insegnamenti delle tecniche usate. Inoltre in alcuni approcci il conduttore resta sullo sfondo e non si lascia coinvolgere dalle dinamiche dei partecipanti, mentre in altri il conduttore entra in relazione con i partecipanti mettendosi in gioco in prima persona.

o52


Le caratteristiche chiave del paradigma esperienziale che restano univoche per tutti i metodi sono la definizione di conoscenza intesa in termini di conoscenza vissuta e non teorica, l'oggetto di conoscenza che è sempre la realtà fenomenologica, il corpo e il sentire, la condivisione e il metodo esperienziale come strumento di trasmissione della conoscenza. E d'altronde non potrebbe essere diversamente perchè altrimenti ci si muoverebbe su un piano diverso da quello esperienziale e di conseguenza sarebbero necessari altri metodi e altri approcci. Viceversa la possibilità di avere un proprio paradigma di riferimento per chi si muove nell'ambito delle discipline esperienziali dà valore epistemologico ed autorevolezza mentre evita invasioni di campo nell'ambito del suo operato. L'autorevolezza di una qualsiasi disciplina nasce dall'avere un corpus metodologico ed epistemologico che definisca il campo di validità delle sue affermazioni, non nasce dall'ispirarsi o dal richiamarsi ad altre teorie ben più accreditate. Il fatto che un metodo si ispiri alla Medicina Quantistica non significa che è scientifico! Introdurre termini delle Scienza utilizzandoli senza conoscerne le radici storiche e i metodi che li hanno definiti non significa rendere scientificamente plausibile la propria teoria. In questi anni il termine scientifico è stato utilizzato in due accezioni, quella che gli è propria in termini di corpus di conoscenze che derivano da un preciso metodo di indagine della realtà ed una impropria ovvero Scienza come autorevolezza. Discipline che con il metodo scientifico non hanno niente a che fare perchè il loro oggetto di studio non ha niente a che fare con l'oggetto di studio della Scienza si affannano a dare qualche barlume di scientificità alle loro teorie, ma risultano solo un'accozzaglia di pseudo affermazioni simil-scientifiche che inevitabilmente lasciano il tempo che trovano nell'ambiente scientifico. Dall'altra parte incontrano l'attenzione (non positiva ovviamente) di scientisti, più che di scienziati, che dall'autorevolezza che dalla Scienza deriva pretendono l'applicazione del metodo scientifico anche in quei contesti in cui l'oggetto di conoscenza non attiene alla Scienza e la dimostrazione non ha il minimo significato.

o53


L'esplicitazione del paradigma esperienziale, come comune sentire di chi pratica in ambito esperienziale, ha lo scopo di affrancarsi da scientismi inutili ma anche di evitare di sfociare in dogmatismi che non si prestano all'esplorazione esperienziale. Solo trovando una propria identità epistemologica le discipline esperienziali possono trovare il loro posto nell'ambito delle discipline di conoscenza divenendo anche proficue per quelle scienze umanistiche che mirano alla conoscenza scientifica dell'uomo e che di fatto già utilizzano le conoscenze empiriche delle loro applicazioni pratiche. Allo stesso modo la conoscenza dell'uomo in termini scientifici può essere un valido aiuto per le discipline esperienziali se esso è utilizzato come spunto di lavoro e non come ricerca di autorevolezza. Nella misura in cui si espliciterà il proprio paradigma di riferimento e ad esso ci si atterrà, le discipline esperienziali potranno creare un valido e proficuo dialogo con le altre discipline di conoscenza perchè vanno a coprire quello spazio della conoscenza lasciato libero e che è la conoscenza tramite l'esperienza.

3.0 - L'APPROCCIO EMPIRICO DEL PROF. MICHEL HARDY 3.1 - INTRODUZIONE Questa terza parte prende in considerazione l'Approccio Empirico del prof. Michel Hardy. L'Approccio Empirico del prof. Michel Hardy è una teoria esperienziale che come tale si muove all'interno del paradigma precedentemente esplicitato. Lo scopo è quello di illustrare con un esempio cosa si intende per ricerca esperienziale e teoria esperienziale, quali possono essere i campi di applicazione e come si colloca nel panorama delle “discipline di conoscenza”. Ho conosciuto questo approccio nel 1999, allora non era ancora l'Approccio Empirico che conosciamo oggi, anzi ne era ben distante dalla sua enunciazione attuale

o54


provenendo dal Pensiero Positivo di Luise Hay; tuttavia se ne poteva intuire il futuro eclettismo metodologico che avrebbe portato alla formulazione di una teoria esperienziale unitaria sebbene caratterizzata da una molteplicità di tecniche esperienziali. Conoscendo il professor Hardy da diversi anni ho potuto seguire i diversi sviluppi e in particolare conoscere il suo percorso formativo prima e durante la nascita dell'Approccio Empirico così come è formalmente enunciato oggi. L'Approccio Empirico nella sua formulazione attuale è una teoria esperienziale che nasce dalle esperienze e dalle conoscenze (intese come conoscenze esperienziali) del suo fondatore, di conseguenza tutta la scuola esperienziale della Libera Università Michel Hardy non ha lo scopo di “capire” i suoi insegnamenti, ma di vivere in prima persona quanto formalmente enunciato. Non si chiede di aderire o non aderire a conoscenze intellettuali, ma di sperimentarsi e lasciar emergere quelle conoscenze che inevitabilmente emergono quando ci si ”da il permesso di sentire”. L'Approccio Empirico nasce e si muove nell'ambito della crescita personale e di conseguenza presenta come effetto secondario anche la cura psicofisica, tuttavia l'espressione approccio fa riferimento non solo a un ambito terapeutico o di crescita personale ma si estende come approccio ai più diversi campi. Si noti come ho già spiegato perchè nell'enunciazione del paradigma esperienziale abbia sempre utilizzato il termine conoscenza, anzichè cura, guarigione o terapia. Se è vero che non “ci si cura” o non “si cura” ma si accede al benessere e alla salute intesa non solo come stato psico-fisico di assenza di patologie, ma anche nella sua componente esperienziale di benessere, energia, stabilità dell'umore e approccio propositivo alla vita, è anche vero che da questa frase si deduce che si possa accedere ad altre “conoscenze” che non hanno direttamente a che fare con la cura o la crescita personale rimanendo in ambito esperienziale. Lo Sciamanesimo così come descritto da Mircea Eliade in quello che è considerata la più grande opera sul tema mostra una disciplina esperienziale praticata da millenni che fa della realtà fenomenologica il suo campo di studio. L'antropologo Michael Harner ha

o55


raccolto i metodi degli sciamani individuando uno Sciamanesimo “core” in cui insegna esperienzialmente le tecniche comuni a tutti i tipi di Sciamanesimo. Nello Sciamanesimo è molto importante la relazione con ogni evento naturale, con gli spiriti della natura e lo sciamano entra in contatto con essi tramite il viaggio sciamanico. Il viaggio sciamanico ha molte similitudini con le visualizzazione e “entrare in contatto con gli spiriti” ha molte similitudini con altri tipi di visualizzazione in cui si visualizza una figura positiva e con essa si instaura un dialogo. Al di là di ogni pregiudizio su questa metodologia millenaria si può notare come per noi occidentali il viaggio sciamanico e il dialogo con gli spiriti possa essere ben compreso come proiezione del nostro contenuto inconscio sull'oggetto; così, fare un viaggio sciamanico e incontrare lo spirito di un albero è interpretabile psicanaliticamente come l'utilizzo della visualizzazione per proiettare sull'albero le parti inconsce di sé. L'albero così inteso ci restituisce conoscenze che sono già nostre ma che diversamente non emergevano. E tuttavia l'aspetto esperienziale è quello di “dialogare con l'albero”. Un dialogo che non ricerca la cura o la guarigione (non sempre almeno) ma che ci mostra come si possa approcciare la natura esperienzialmente e conoscerla in quanto parte della nostra realtà fenomenologica. Il paradigma esperienziale si muove e si applica molto oltre la crescita personale o la cura cogliendo l'aspetto esperienziale di realtà oggettive in sé, in quanto la realtà oggettiva rientra ed è percepita dal nostro sistema percettivo diventando quindi anche realtà fenomenologica. La metodologia esperienziale si presta ad approcciare la realtà evidenziando gli aspetti esperienziali della stessa e lasciando gli aspetti oggettivi in quanto tali alla Scienza. Tornando al nostro sciamano egli imparerà esperienzialmente che dialogando con un albero potrà ottenere un tipo di informazioni e dialogando con una pietra ne otterrà altre: se da una parte è vero che sono sue proiezioni, dall'altra è anche vero che determinati stimoli (albero o pietra) li elicitano ed altri stimoli invece no. Muovendosi all'interno della realtà fenomenologica può accedere a quelle conoscenze. Dall'ipnosi sappiamo bene quanto la realtà fenomenologica che si sperimenta sotto ipnosi abbia

o56


conseguenze consistenti nella vita reale. L'esempio dello Sciamanesimo serve ad illustrare come il paradigma esperienziale si possa applicare anche in quei contesti che esulano dalla crescita personale in senso stretto purchè si riconosca di muoversi all'interno della realtà fenomenologica e del suo modello di oggettività evitando di estendere i risultati alla realtà in quanto tale (priva del sistema percettivo che la “costruisce”). L'Approccio Empirico nella formulazione della sua teoria tocca di fatto passaggi che esulano da un concetto di crescita personale in senso stretto approcciando la realtà nella sua componente esperienziale per cogliere quelle relazioni sistemiche che la realtà fenomenologica presenta, ma che essendo fenomenologiche non rientrano nel campo della Scienza. Nel paradigma scientifico sistemico le componenti relazionali sono prese in considerazione, anzi, il paradigma sistemico si fonda su esse, tuttavia sono considerate nella loro componente oggettiva in quanto tale escludendo quegli aspetti dal contenuto esperienziale che invece nell'Approccio Empirico rivestono un ruolo importante in quanto direttamente interconnessi con la realtà oggettiva fenomenologica. Il fatto che l'oggetto di studio appartenga alla fenomenologia risulta chiaro: asserire che il rispetto e l'assolvimento dei ruoli sistemici all'interno della famiglia porta alla sensazione di essere al proprio posto e questa apre la strada a cogliere la sacralità della vita in ogni nascita evidenzia la componente esperienziale degli enunciati dell'Approccio Empirico. Al di là della definizione puntuale dei ruoli sistemici il significato dell'asserzione è facilmente intuibile, ciò che interessa cogliere è come essa si muova all'interno di una realtà fenomenologica. Se apparentemente è definibile in senso oggettivo in quanto tale il concetto di ruolo sistemico e rispetto di ruolo sistemico, nella prassi, da dove nasce la definizione? Quale ricerca potrebbe individuare il ruolo sistemico ad esempio della madre escludendo qualsiasi componente fenomenologica? I ruoli di padre e madre si sono modificati nel corso dei secoli fino ad arrivare a quello che ad oggi sembra un ribaltamento dei ruoli e di conseguenza il ruolo sistemico potrebbe dipendere allora da una questione sociale...

o57


Solo considerando l'aspetto esperienziale della questione ci si può rendere conto (ognuno per sé e nella propria esperienza) dell'effetto di un “ribaltamento dei ruoli”, che va ben al di là del non sentirsi a proprio agio, ma al di là degli effetti, quello che preme osservare è che la definizione stessa passa attraverso la componente esperienziale. Di fatto anche la Psicologia clinica ha evidenziato come esistano dei ruoli ben precisi tra uomo e donna e il mancato rispetto non permette una vita serena, tuttavia anche la Psicologia clinica ha dedotto questo fatto dall'osservazione clinica dei pazienti (leggi vissuto esperienziale dei pazienti). Se da un lato la precedente asserzione evidenzia come anche un'asserzione dell'Approccio Empirico sia a prima vista oggettivizzabile in quanto tale, in realtà passi per una componente esperienziale non indifferente, dall'altro evidenzia come sia strettamente dipendente dal sistema percettivo umano. Dubito fortemente che un cane percepisca la sacralità della vita (in base alle strutture cognitiva di cui è dotato) così come dubito che possa percepire la “compensazione” nella sua realtà fenomenologica. Viceversa l'uomo coglie legami e leggi fenomenologiche che, sebbene “li veda” nella realtà tuttavia sono percepibili perchè la loro stessa percezione è prevista dal suo sistema percettivo, di conseguenza enunciati del tipo precedente si muovono all'interno di una realtà fenomenologica. Detto in altri termini la conoscenza a livello intellettuale espressa nell'Approccio Empirico può essere condivisibile o meno, capibile o meno, tuttavia la sua conoscenza prevede un coinvolgimento in prima persona per coglierne implicazioni ed effetti. In base a quanto detto per le discipline esperienziali e al loro pari, nell'Approccio Empirico si accede alla conoscenza sistemica tramite il sentire, diversamente si può “capire” il sistema, ma non è ciò a cui si mira all'interno della scuola. Le asserzioni dell'Approccio Empirico prima che conoscenza intellettuale sono la conoscenza esperienziale del suo fondatore e in quanto conoscenza esperienziale richiedono una trasmissione esperienziale in base ai canoni del paradigma a cui appartengono. In base allo stesso paradigma la loro accettazione o meno non nasce dalla dimostrazione (ambito scientifico) ma dalla condivisibilità/esperibilità delle

o58


esperienze (alle quali si accede tramite il sentire).

3.2 - UN APPROCCIO ECLETTICO. I CONTRIBUTI DELLE DISCIPLINE ESPERIENZIALI l'Approccio Empirico nasce dall'esperienza del prof Michel Hardy. In essa trova il suo valore esperienziale senza la cui esperibilità si ridurrebbe a mera Filosofia o speculazione intellettuale. La trasmissibilità dell'esperienza e gli strumenti adottati sono ciò che la rendono una disciplina esperienziale. In quanto esperienziale nasce dalle esperienze e dalla successive rielaborazioni delle esperienze fatte dal suo fondatore. Le esperienze non si limitano alle esperienze di vita, ma toccano in primis il percorso nelle discipline esperienziali che il prof. Michel Hardy ha conosciuto e praticato. Si potrebbe affrontare la questione da un approccio storico tuttavia non è quello che adotterò perchè le esperienze non si limitano a quelle che enuncerò ma tratterò solo le discipline cardine dalle quali si è potuti giungere alla formulazione completa dell'Approccio Empirico. Nel presentare questi campi opererò quindi una rielaborazione personale che non va intesa come stravolgimento degli eventi ma viene fatta per presentare in forma più strutturata e accessibile alla comprensione l'Approccio Empirico stesso. L'Approccio Empirico non nasce dal nulla come si può ben capire, ma origina da tre esperienze (conoscenze) fondamentali dalle quali e sopratutto dalla rilettura integrata delle quali nasce la teoria empirica che sta alla base del metdo. La teoria empirica, essendo una teoria esperienziale prevede l'esperibilità dei suoi enunciati e di conseguenza le stesse teorie che ne sono alla base sono esperienziali nel senso paradigmatico del termine. Le tre teorie sono il Pensiero Positivo di Luise Hay, il Tantra (nella formulazione “occidentalizzata di E. e M. Zadra) e le costellazioni familiari tramandate da Bert Hellinger

o59


il pensiero positivo

nella formulazione di Luise Hay è stato il punto di inizio del

percorso esperienziale e, sebbene con alcune modifiche, lo è tuttora. Al di là della liceità di questo metodo da un lato amato e dall'altro controverso e che ha dato adito a diverse interpretazioni erronee esso resta uno dei metodi più diretti in ambito esperienziale per accedere a quella parte emotiva e immediata in cui si sono strutturate tutte le credenze sul mondo che ci portiamo dietro fin da bambini e il “bambino interiore” del metodo stesso si è rivelata negli anni una delle strategie esperienziali più proficue per accedere alle nostre emozioni inespresse. Tramite l’accesso alle proprie emozioni (non solo attuali, ma anche vecchie e represse da decenni) si può incontrare quella sulla quale si è incentrata la ricerca esperienziale e personale del prof. Michel Hardy e sempre sulla quale ha pubblicato diversi lavori che hanno per tema il rilascio emotivo: la rabbia. La rabbia riveste un ruolo cardine nell'Approccio Empirico avendo ben tre seminari che la trattano. La rabbia è una delle emozioni più represse nel nostro tempo e proprio questa repressione le fa ruotare intorno una serie di dinamiche e di problematiche tipiche di questa emozione. La rabbia però non è solo intesa come emozione da elaborare, ma è rapportata anche alle altre due discipline esperienziali alla base del metodo andando ben oltre al semplice rilascio emotivo proprio di altri approcci. L'esperienza del recupero della propria vita emotiva e del riavvicinarsi alle proprie emozioni represse, in particolare la rabbia, è ancora oggi il punto di partenza per chi si avvicina all'Approccio Empirico. Vedremo in seguito dinamiche e ruolo della rabbia e di altre emozioni in relazione alle discipline esperienziali e alla teoria esperienziale che compongono l'Approccio Empirico. Il Tantra è famoso perchè utilizza il sesso e la sessualità come porta di accesso alle nostre dinamiche più profonde. Esso ha origini molto antiche e le sue radici e metodologie sono ampiamente riportate nei libri di E. e M. Zadra e quindi non mi soffermerò su questo. L'aspetto che invece mi preme sottolineare è come il lavoro tantrico, essendo collegato alla sessualità, porta l'attenzione (più di ogni altra metodologia) alla distinzione tra i due sessi. Gli aspetti maschili e gli aspetti femminili

o60


sono necessariamente sotto i riflettori in un metodo che ha nella sessualità il suo strumento principale. In un contesto di questo tipo l'esperienza degli aspetti cardine del proprio sesso biologico emerge e si presenta alla coscienza mentre mascolinità e femminilità si mostrano nella loro forza palesando la loro manifestazione non solo in ambito sessuale ma in ogni aspetto della vita. Si può esistere come uomo o come donna, nell'essere umano non è contemplata l'asessualità, di conseguenza gli aspetti legati al sesso biologico emergono e non hanno a che vedere solo con il lato fisico, ma la psiche tutta ne è coinvolta e influenzata dal sesso dell'individuo. Le costellazioni familiari, infine, sono il metodo, la tecnica rielaborata e divulgata da Bert Hellinger. Ci sono diversi libri sull'argomento e di conseguenza non è necessario soffermarsi su tecniche e metodi. Ciò che invece preme sottolineare è la componente sistemica dell'approccio. Ad essere sotto i riflettori in una costellazione familiare non è solo l'individuo, ma la sua rete di relazioni. Tuttavia non è da intendere in modo simile alla terapia familiare in cui è tutta la famiglia ad essere coinvolta nella terapia stessa. Le costellazioni familiari non sono una terapia della famiglia, sebbene le relazioni familiari siano al centro del metodo (è importante notare però che il metodo viene utilizzato con successo non solo in ambito familiare ma in ogni ambito in cui sia presente un sistema di relazioni). Le costellazioni familiari evidenziano più di ogni altro metodo (e di fatto non sono le uniche) che viviamo all'interno di un sistema con regole e leggi. Il sistema presenta un ordine che nasce e si palesa dallo stato dei membri del sistema. Ripristinando l'ordine si agisce direttamente sul benessere dei suoi membri. Il concetto di moto dell'anima, inteso come spinta ad agire in armonia con l'ordine o le parole catartiche (quelle parole che i partecipanti della costellazione dicono per rientrare nell'ordine) nascono da questa metodologia, ma nell'Approccio Empirico rivestono un ruolo fondamentale nel momento in cui sono poste in relazioni con le altre discipline esperienziali che lo compongono. “Il tutto è più della somma delle singole parti”. L'Approccio Empirico di Michel Hardy non è la semplice unione di esperienze in discipline diverse.

o61


Se quelle delineate sono le discipline cardine dell'Approccio Empirico, tuttavia esse non sono le sole, ma sopratutto ciò che l'Approccio Empirico mira non è far conoscere tre discipline. Così se le discipline che compongono l'approccio esperienziale (e che vanno oltre le tre enunciate e ritenute cardine per i contributi che han dato alla strutturazione del metodo) sono un percorso obbligato per chi si avvicina all'Approccio Empirico, la conoscenza della stesse non è la conoscenza che l'Approccio Empirico porta con sé. La conoscenza che l'Approccio Empirico trasmette è insito nella conoscenza che deriva dal processo di riallineamento del proprio “sentire” “all'ordine naturale”, inteso come fatto esperibile e non come teoria o dogma. Il “processo di riallineamento all'ordine” porta con sé l'esperibilità e l'accesso a quella conoscenza esperienziale in cui le relazioni tra stato psicofisico e accadimenti esterni e le regolarità fenomenologiche che possono essere considerate vere e proprie leggi, si possono manifestare nella realtà fenomenica riducendo quelle alterazioni del sentire che rendono sfuggevole la percezione dell'ordine stesso o, detto in altri termini, riducendo l'influenza delle storie pregresse e delle limitazioni percettive che esse impongono e che non permettono il manifestarsi della conoscenza esperienziale empirica. Al di là delle metodologie e delle discipline che lo compongono, l'Approccio Empirico si propone come come metodo di conoscenza della realtà fenomenologica, come studio delle regole sistemiche che dalla conoscenza (esperienziale) di essa ne derivano fornendo dei parametri di riferimento per riconoscere quelle “distorsioni percettive” che nascendo da storie di vita pregresse sono sintomatiche di un sentire alterato. Nella multiformità delle percezioni che si presentano come realtà fenomenologica nell'esperienza della sua oggettività che nasce da un sentire “riallineato” l'Approccio Empirico sceglie di studiare, ma in un contesto esperienziale è più corretta l'espressione sceglie di tradurre in parole, le relazioni sistemiche che coinvolgono in egual misura la realtà interiore e la realtà fenomenologica, comprese le loro interazioni reciproche. Le leggi che ne derivano sono da interpretare come fatto fenomenologico empiricamente osservabile nella realtà fenomenologica stessa.

o62


Per la “traduzione in parole” dell'esperienza percettiva dell'ordine empirico il prof Michel Hardy si avvale

(e noi con lui) di alcuni termini che dalle tre discipline cardine

derivano, tuttavia gli stessi concetti esperienziali trovano, posti in relazioni tra loro, significati nuovi e inediti. In questa prospettiva gli studi sulla rabbia e sul rilascio emotivo del prof Michel Hardy, la mascolinità e femminilità intesi nel senso più vasto propri del Tantra e l'ordine sistemico delle costellazioni familiari si integrano in un corpus unitario di conoscenze esperienziali funzionali all'accedere all'esperienza dell'ordine e al riallineamento con esso tramite il riallineamento del proprio sentire. La rabbia, quando non adeguata alla situazione, non è solo più un'emozione potenzialmente distruttiva da accogliere, ma al pari di altre emozioni acquista il ruolo di “indicatore sistemico”, ovvero un indicatore sintomatico della “distanza dall'ordine”, di un “debito empirico” che accumuliamo tenendoci distanti con le proprie scelte, con i propri atti o con i propri atti mancati dall'ordine e che percepiamo come un peso che ci portiamo dietro o come “quel qualcosa che non va” nella nostra vita. La stessa distanza dall'ordine e dalle sue regole è riflessa nel mancato assolvimento del porprio ruolo empirico in quanto uomini o in quanto donne. L'accesso agli aspetti maschili o femminili con i suoi codici è reso possibile nella misura in cui i nostri indicatori empirici lo consentono. Di conseguenza vi è una stretta relazione tra gli indicatori empirici, l'allineamento all'ordine e l'accesso al proprio codice maschile e femminile tale per cui si può definire il suo divenire nell'asserzione esperienziale della metamorfosi empirica che si delinea come passaggio inevitabile da un ruolo sistemico alterato ad un altro. I ruoli sistemici alterati sono ruoli in cui non avviene la giusta miscela di componenti maschili e femminili all'interno della stessa persona. I singoli ruoli sono ben definiti nelle opere di Michel Hardy, qui ci basti osservare come esempio il ruolo alterato della donna yang. La donna yang è una donna che non riuscendo ad accedere al proprio patrimonio femminile (yin) compensa, nella vita, con strategie maschili: pronta ad agire, si pone come guida, ha il pelo sullo stomaco etc. Ogni donna yang ha conosciuto (all'interno del percorso accademico) la relazione tra la sua rabbia repressa e la sua compensazione di strategie femminili con quelle maschili e di come le strategie stesse

o63


la portassero fuori dall'ordine. “Fuori dall'ordine” resta una pura espressione teorica se non riconosciuta nella sua componente esperienziale, ma sentire che la propria vita non è a posto, sentire che ci sono sempre degli intoppi in tutto ciò che si fa, sentire difficoltà e problemi in ogni relazione, insomma sentire che “niente è in ordine” con tutta la rabbia (e la rabbia è un ottimo indicatore) che ne consegue sono vissuti esperienziali di “essere fuori dall'ordine”. Tuttavia la conoscenza dell'ordine e delle sue leggi non nasce dal “capire” l'ordine, anzi, il concetto stesso di ordine è spesse volte ostico in chi vede in esso una forza superiore che lo determina e non gli permette di essere libero. Viceversa l'ordine non è una realtà superiore da ipostatizzare e aderire ad essa, ma è un evento percettivo che porta a riconoscere il collegamento profondo di ogni cosa con ogni altra nella nostra realtà fenomenologica e che abbiamo tutti in un modo o nell'altro percepito nella nostra vita quando abbiamo sentito che “va bene così” che ogni cosa è al suo posto, o quando ci siamo sentiti fortunati etc. Proprio nell'accedere all'ordine siamo in grado di riconoscere quando questo viene infranto e cogliere con “occhio empirico”

quel

legame tra emozioni, eventi e strategie comportamentali che apparirebbero come slegate tra loro se la nostra qualità del sentire non ci consentisse di percepirne il legame. È importante osservare che percepire l'ordine va di pari passo con il sentire e con il risolvere quelle tematiche proprie della nostra vita che dall'ordine ci tengono distanti e che ci portano a strategie comportamentali disfunzionali. Non è capendo le regole dell'ordine che ad esso accedo o che grazie al capire modifico le mie strategie. È una conoscenza esperienziale e come tale cambiamento, sentire e conoscere l'ordine vanno di pari passo. Le regole dell'ordine empirico si rivelano mentre noi cambiamo, non prima. Come definito nelle discipline esperienziali quindi la conoscenza implica un cambiamento e il cambiamento è necessario per accedere alla conoscenza. Se la conoscenza dell'ordine nasce nell'esperienza dello stesso, la sua trasmissione e formalizzazione teorica, intesa come traduzione in parole di un'esperienza, necessitano anche di una verifica di trasmissibilità della conoscenza e contemporaneamente di una

o64


verifica in termini di applicazione della propria chiave interpretativa che dalla conoscenza esperienziale dell'ordine e delle relazioni ne deriva. Una teoria esperienziale non è accoglibile in quanto vera (paradigma scientifico) ma in quanto trasferibile. Lo strumento del seminario, come già anticipato prima, presenta delle peculiarità interessanti. Nel seminario è possibile osservare le strategie di un elevato numero di persone in un microcosmo che elicita gli stessi vissuti della vita di tutti i giorni e per come è strutturato il percorso accademico della LUMH anche per tempi piuttosto lunghi. Tramite l'osservazione empirica (metodo di osservazione simile per strutturazione all'osservazione antropologica ma che applica come schema di riferimento le conoscenze dell'Approccio Empirico) si è potuto constatare come le persone seguono un cambiamento che non sarebbe coglibile con altri strumenti. Le strategie che emergono dal riallinearsi al proprio sentire tramite lo scioglimento delle proprie tematiche dolorose (che va di pari passo con la percepibilità dell'ordine empirico) non sono casuali o inerenti a un “generico” stare meglio, ma convergono verso due punti ben precisi che si differenziano in base al sesso del partecipante. Le donne convergono verso strategie femminili mentre gli uomini verso strategie maschili. Questo consente di definire un ruolo sistemico funzionale nella misura in cui questo ruolo emerge come punto a cui si tende nel percorso di crescita (e grazie a questo, anche di definire per contrasto i ruoli alterati) Un ruolo integrato, ovvero il ruolo in cui l'essere umano è in contatto con le strategie del proprio sesso biologico e ad esse si integrano quelle dell'altro sesso, è ciò che è empiricamente osservabile come “meta” del percorso, il ciò a cui tendere. La definizione di questo ruolo che nasce dall'osservazione empirica è ciò che meglio rende, come formalizzazione teorica, la percezione di sé stessi che si ha quando si accede alla conoscenza esperienziale dell'ordine. L'accesso alla conoscenza avviene solo tramite il cambiamento. Di fatto c'è un legame

o65


tra ruolo integrato, percepibilità dell'ordine e indicatori sistemici che ogni partecipante conosce come fatto esperienziale durante il suo percorso. Se l'esperienza dell'ordine e dello stato di integrazione sono esperienze immediate, nel senso di non mediate dalla razionalità, la loro definizione formale ha richiesto diverso tempo nella misura in cui necessità di riorganizzare l'esperienza multiforme in un'espressione linguistica lineare e razionalizzabile. Da quanto detto finora appare chiaro come l'Approccio Empirico si ponga in relazione alle altre discipline esperienziali prima e alle discipline di conoscenza poi. L'approccio esperienziale va a cogliere quegli aspetti relazionali e sistemici all'interno della realtà fenomenologica. L'approccio esperienziale mira a definire quelle leggi che regolano le relazioni sistemiche e che sfuggono al dominio della Scienza da un lato, ma anche della Filosofia, nella misura in cui l'oggetto di conoscenza non attiene alla realtà in quanto tale, ma coinvolge direttamente il soggetto conoscente. Un oggetto di conoscenza che non è conoscibile in terza persona non rientra nella Scienza, ma potrebbe rientrare nella Filosofia. Tuttavia, non può esserci conoscenza senza un cambiamento del soggetto conoscente, di conseguenza il “capire” che è la facoltà per eccellenza della Scienza e della Filosofia non trova spazio in un oggetto dove il cambiamento è la conditio sine qua non per fare conoscenza. Se si può “capire” che è necessario cambiare per conoscere esperienzialmente, tuttavia, “capirlo” non basta perchè il cambiamento e di conseguenza la conoscenza avvenga. La relazione e il porsi in relazione con le altre discipline esperienziali è un aspetto importante che al momento non è ancora stato colto, in ambiente esperienziale, in tutta la sua portata. Rimanendo in tema Approccio Empirico, il sentire e quindi la possibilità di riallinearlo porta con sé un aspetto pragmatico non indifferente. Di fatto non esiste parametro di misura del riallineamento al sentire. Se è vero che un sentire allineato consente di accedere all'esperienza dell'ordine e si traduce nel cambiare verso un ruolo integrato, allo stesso modo come posso essere certo che il

o66


sentire sia al massimo grado di riallineamento? Di fatto si può solo affermare che un sentire

SUFFICIENTEMENTE

dell'ordine.

Sufficientemente

riallineato riallineato

consente cosa

di

accedere

significherebbe?

all'esperienza

Sufficientemente

riallineato a sentire l'ordine.... è in sé una tautologia! È vero però che l'oggettività fenomenologica è tale perchè condividiamo tutti la stessa struttura del sistema percettivo e che il sentire, nella misura in cui ci porta fuori dalle nostre “soggettività” (che nascono da schemi mentali, fattori non risolti etc.) prospetta tout court un'unica realtà fenomenologica esperibile. Di conseguenza se scuole diverse con metodi diversi mirano all'accesso di questa stessa realtà, è anche evidente che le loro conoscenze convergeranno, o quanto meno si potranno stabilire dei parallelismi. Similmente alla validità concorrente del metodo scientifico il confronto come riscontro (detto anche “condivisione”) diventa un metodo transdisciplinare utile come parametro di verifica delle proprie conoscenze. Parleremo più approfonditamente di ciò nel capitolo “lo stato dell'arte”. In questa sede ci basti osservare che

nell'Approccio

Empirico la compresenza di discipline esperienziali diverse non genera una lotta tra discipline o conflitti teorici ma ogni disciplina aggiunge un qualcosa in termini di metodo e di fatti esperibili che concorrono a rendere più accessibile la conoscenza esperienziale e tuttavia l'integrazione tra metodi non può avvenire in base alla tecnica che una disciplina porta con sé, ma alla sua funzionalità per accedere alla conoscenza in termini di “far luce su“ aspetti diversi delle conoscenze empiriche. La tecnica non è fine a sé stessa ma funzionale (e la sua funzionalità va ricercata) per accedere alla conoscenza empirica, diversamente resterebbe solo un collage di tecniche che non ha niente a che vedere con l'Approccio Empirico.

3.3 - TEORIA DEL SEMINARIO E TEORIA NEL SEMINARIO. L'ENERGIA DEL GRUPPO Abbiamo prima delineato l'oggetto di conoscenza dell'Approccio Empirico, esso è individuabile nelle relazioni sistemiche, nelle leggi che nell'ordine empirico si

o67


manifestano e che, in quanto disciplina esperienziale, fanno parte della realtà fenomenologica. L'oggetto di studio nasce nell'esperienza in prima persona del suo fondatore e la plausibilità di ciò che l'Approccio Empirico asserisce nasce dalla trasferibilità esperienziale dei suoi contenuti. Prima di passare al metodo è necessario però soffermarsi sullo strumento: il seminario. Come vedremo ogni seminario porta con sé una parte del tutto, tuttavia ci sono aspetti dello strumento che sono alla base del seminario stesso come metodo: l'energia del gruppo e la teoria nel seminario. Abbiamo visto precedentemente come il seminario esperienziale è tale perchè formato da una serie strutturata di esperienze che mirano a rendere esperibili le conoscenze esperienziali. Le esperienze consentono di accedere alla conoscenza o di evidenziare quelle parti in ombra di sé che non consentono di sentire per poterle “risolvere”. Detto in termini più in linea con le conoscenze empiriche le esperienze dei seminari consentono di mettere in luce e assolvere al proprio debito empirico. Nel capitolo precedente abbiamo invece fatto luce su un aspetto del seminario strettamente funzionale al conduttore e che risiede nella possibilità di osservare in profondità, un numero elevato di persone per un tempo sufficientemente lungo. Non è questa la sede per approfondire il seminario come strumento, tuttavia è necessario considerare altri due aspetti del seminario. Nella Psicologia del lavoro e delle organizzazioni si definisce clima (un termine fortemente esperienziale) quella componente più sfuggevole dell'organizzazione che ha a che vedere con l'ambiente di lavoro, con le relazioni (buone o cattive) con i capi, i colleghi, con il tipo di lavoro, se soddisfacente o meno, con il livello di richieste lavorative. Tutta la letteratura psicologica sul tema tenta di individuare quei parametri oggettivizzabili per definire un aspetto esperienziale altrimenti difficile da concretizzare operativamente. Sul versante clinico lo stesso termine non viene utilizzato. Si parla di relazione buona o no con il terapeuta, di capacità empatiche etc. ma il termine esperienziale clima non viene adoperato.

o68


Tuttavia anche il clima di una relazione terapeutica esiste, ma il numero minore delle persone coinvolte è tale per cui non si palesa in modo evidente nella relazione, mentre in ambito organizzativo il clima inteso esperienzialmente si manifesta subito fin dal primo contatto con l'organizzazione. Nel seminario, proprio perchè utilizza un gruppo di persone e non una relazione a due, l'aspetto esperienziale del clima si manifesta subito. Al pari dell'ambito organizzativo la sensazione di trovarsi in un bel clima o in un clima pesante (inteso nello stesso significato usuale nella vita di tutti i giorni) è un fatto esperienziale che balza subito all'occhio (ma sarebbe meglio dire al “sentire”). In ambito organizzativo è stato definito nelle sue componenti manifeste e oggettivizzabili in termine di relazioni, stress, lavoro e ambiente lavorativo. In una relazione terapeutica a due non si utilizza il termine clima ma il rapporto tra relazione terapeuta paziente e setting è confrontabile con la definizione di ambiente lavorativo e relazione con capi e colleghi. Il seminario per sua natura può mettere insieme la componente esperienziale del termine clima con quelle componenti di setting terapeutico che trovano parallelismi nella definizione di clima lavorativo. In ambito esperienziale si preferisce però il termine energia o energia del gruppo, del posto etc. Come la letteratura clinica evidenzia la qualità della relazione è un prerequisito fondamentale per la terapia allo stesso modo nel seminario quegli aspetti in relazione con il clima, che in ambito di terapia a due si esauriscono nel setting e nella qualità relazionale, sono un prerequisito fondamentale perchè il cambiamento avvenga. Se da un lato questo è abbastanza banale, dall'altro voglio mettere in luce un aspetto fondamentale dell'Approccio Empirico che si ritrova anche, ma non sempre, in altre discipline esperienziali. La gestione in ambito esperienziale del clima e la sua definizione non sono formali: non vi è un “capire” cosa rende l'energia del gruppo più o meno funzionale. Non si definiscono formalmente quelle componenti oggettivizzabili che concorrono a creare una “buona energia”. La definizione di energia come anche il suo lato pragmatico nascono nell'esperienza e nel sentire. Il sentire diventa il metro di misura dell'energia del gruppo e grazie al proprio sentire l'energia si crea: cogliere la

o69


musica più adatta, il momento esatto per intervenire, la disposizione, delle candele e dei materassini, la luce nella stanza e l'esperienza adatta al momento adatto sono parte integrante del percorso formativo ed avvengono a livello esperienziale. La piena consapevolezza della propria natura esperienziale si traduce nell'Approccio Empirico in una formazione fortemente esperienziale anche per quegli aspetti che potrebbero essere “capiti” ma il cui capire non genera tout court una conoscenza fattiva. Ogni seminario è guidato dall'energia del gruppo e il conduttore, nel cogliere l'energia del gruppo, adegua (senza stravolgere) esperienze e tempi del seminario stesso. Questo aspetto è importante perchè alla base dello strumento seminario dell'Approccio Empirico. Il seminario è uno strumento flessibile che segue le energie del gruppo e se da una parte resta fedele alla sua tematica dall'altra calibra tempi e modi in relazione all'energia che c'è e che esso stesso genera in relazione al gruppo. L'altra componente trasversale di ogni seminario e che sembra in contrasto con la natura esperienziale dello stesso è la teoria. Ogni seminario ha una parte teorica sebbene meno consistente rispetto alla parte esperienziale. Da una parte vi è la teoria del seminario, intesa come concettualizzazione della pratica esperienziale dello stesso in termini di pragmaticità e funzionalità dello strumento. Dall'altra vi è la teoria esperienziale che è il corpus di asserzioni esperibili e che compongono, nel nostro caso l'Approccio Empirico. Infine è presente la teoria nel seminario: essa non ha funzione di formalizzare alcuna pratica o di definirla, né tantomeno è essa stessa sempre (ma in alcuni casi sì) una teoria esperibile. La sua funzione è pragmatica e mira a inquadrare ciò che si fa. Nell'attimo stesso in cui si parla di qualcosa ecco che quel qualcosa dentro di noi si “sente toccato”. La teoria nel seminario, al di là dell'essere vera o esperibile, ha la funzione di stimolare, portare l'attenzione, allertare quelle strategie corporee che attiviamo in determinate situazioni. Viene utilizzata prima di un'esperienza importante per “tranquillizzare” la mente all'esperienza che si sta preparando, per ottenere quel “sì” dalla mente che consente di vivere l'esperienza senza che la mente interferisca, o interferisca in misura minore, al

o70


fine di rendere più efficace l'esperienza stessa. Un altro uso della teoria risiede nella sua praticità. Spesse volte è una teoria semplice e diretta ma che ha il ruolo di essere utile per chi la ascolta perchè pone in luce diversi aspetti che prima erano confusi o slagati. Un esempio in questi termini è la teoria dell'agency. Una teoria a buccia di cipolla (lo strato di agency, del carettere, delle emozioni e così via) che dal punto di vista strettamente esplicativo è molto riduttiva, ma che ha nella sua definizione di agency un forte potere illuminante per far luce su quelle situazioni in cui come un'agenzia (agency) ci “compriamo l'amore”. La teoria non serve al conduttore per capire quando il partecipante stesso si “compra l'amore” ma serva al partecipante per notare e portare l'attenzione su quando egli stesso si “compra l'amore”. La teoria nel seminario non va intesa nel suo aspetto di conoscenza ma di praticità nella misura in cui dà al partecipante stesso la possibilità di osservarsi e di aprirsi la strada per cogliere e dare un senso a quegli aspetti di sé che diversamente apparirebbero slegati da una visione unitaria di sé stesso. C'è un aspetto del seminario che si rivela molto bene nel percorso accademico della LUMH e sebbene sia proprio di ogni seminario esperienziale, la natura della sequenza dei seminari all'interno del percorso lo mette in evidenza. I seminari non sono a scompartimenti stagno. In un seminario non si esplora semplicemente la tematica inerente il seminario. Un seminario sul sesso non evidenzia solo le problematiche sessuali del partecipante così come il seminario sulla rabbia non evidenzia solo la relazione con questa emozione. Il seminario non nasce e non si evolve dalla tematica sua. Ogni partecipante in un seminario mette in gioco ciò che c'è in quel momento della sua vita, il tema del seminario ne evidenzia quelle componenti in relazione al tema stesso, ma a essere coinvolto è tutta la problematica o il nodo o tema dominante che si palesa sotto la luce del tema del seminario stesso. Detto in altri termini i diversi seminari sono specchi in cui il tema dominante della persona in quel periodo si riflette nelle sue componenti inerenti alla tematica del seminario stesso. È un approccio diverso per metodo rispetto alle terapie a due in cui il terapeuta ascolta

o71


il paziente e si parla il “linguaggio” del paziente. La metodologia esperienziale non prende un'altra strada. Va oltre il singolo modo del partecipante di vedere il suo problema e lo illumina da più angoli in relazione alla conoscenza esperienziale che vuole trasmettere. Quel nodo che il partecipante porta nel gioco, il dolore alla base del suo debito empirico, viene reso osservabile da più visuali in modo da ampliare la visuale e permettere una conoscenza esperienziale a tutto tondo di ciò che il partecipante porta nel gioco. Gli aspetti visti in questo e nei precedenti paragrafi inerenti al seminario come strumento sono quei principi che ogni conduttore adotta e che in particolare vengono adottati nella loro componente pragmatica all'interno dell'Approccio Empirico e che dei quali è necessario tenere conto per rendere trasferibile la conoscenza esperienziale.

3.4 - STRATEGIE E METASTRATEGIE NEI SEMINARI G.Bateson utilizza ampliamente il concetto di conoscenza e metaconoscenza nei sui scritti, la metaconoscenza è la conoscenza sulla conoscenza. Allo stesso modo utilizzo il termine metastrategie per indicare quelle strategie che fanno emergere le strategie. Nell'ottica del paradigma esperienziale in cui una conoscenza esperienziale è tale se trasferibile esperienzialmente da chi conosce a chi vuole conoscere è necessario individuare quel passaggio fondamentale che consente il trasferimento della conoscenza. Non è sufficiente in questi termini semplicemente affermare di “curare”, o di risolvere i conflitti etc. In un ottica terapeutica la crescita è “un andare via da” uno stato di malessere, viceversa in un'ottica esperienziale la crescita è “un andare verso” la conoscenza esperienziale, quindi se in un'ottica terapeutica la cura è un andare via da uno stato di malessere verso qualsiasi altro stato in cui il malessere non c'è, in ambito esperienziale l'andare verso implica necessariamente che il conduttore del seminario non si limiti a portare via da una situazione di disagio il partecipante, ma lo porti verso quello stato che egli stesso conosce. Nel fare ciò il conduttore inserisce quelle metastrategie che permettono di accedere a quella conoscenza e non a un’altra,

o72


che permettono di andare verso uno stato psicofisico e non andare semplicemente via da uno stato psicofisico di disagio. Esse sono le stesse metastrategie la cui integrazione ha consentito al conduttore di accedere alla conoscenza esperienziale. Ognuno di noi è portatore di strategie individuabili nel modo di affrontare la realtà ed il legame tra strategie comportamentali e stato psicofisico risiede nel fatto che in uno stato psicofisico salutare emergono strategie adeguate, viceversa in chi vive disagio, automaticamente le sue strategie sono disfunzionali. La relazione causale è di tipo sistemico, se è vero che uno stato psicofisico salutare porta a strategie funzionali è anche vero che strategie funzionali portano a uno stato psicofisico saltuare come dimostrano diverse terapie che agiscono prima sul livello del comportamento per avere un effetto sulla salute psicofisica. Il termine strategia nel contesto empirico non ha nulla a che vedere con la strategia intesa come ragionamento o studio della situazione come potrebbe essere una strategia militare. La strategia ha il significato di schema di comportamento che emerge nella situazione, di fatto spesse volte è inconscio ed è il modello comportamentale che nel corso dei millenni la natura ha sviluppato come modo di far fronte alle situazioni. Nell'Approccio Empirico si distinguono strategie di apertura nei confronti della vita e delle situazioni e strategie di chiusura mentre parallelamente è individuabile una strategia più funzionale rispetto a tutte le altre e che naturalmente emergerebbe se non fosse impossibilitata da tutta una serie di paure ed emozioni. La nostra consegna familiare in termini di modello genitoriale avuto determina quali strategie metteremo in atto da adulti nella misura in cui permette o impedisce la strategia più funzionale. Strategie maschili e strategie femminili appartenenti per natura ad un ruolo piuttosto che a un altro si compensano a vicenda nella misura in cui, come uomini ci è stato impedito l'accesso a strategie maschili o come donne a quelle femminili. L'uomo sempre gentile e remissivo compensa con la gentilezza la sua impossibilità ad accedere alla sua forza: compensa con una strategia yin la mancanza di una strategia yang che sarebbe propria del suo bagaglio naturale. La strategia compensativa è una

o73


strategia di chiusura nella propria paura (in questo caso) mentre una strategia adeguata al ruolo è una strategia di apertura verso la realtà fenomenica. Se queste sono le strategie, quali sono le metastrategie? Le metastrategie sono quelle strategie rivelatesi efficaci nel far emergere le strategie più adeguate. La metastrategia più diffusa e nello stesso tempo più inefficace è la razionalità quando la si vuole utilizzare per cambiare. Ragioniamo e ragioniamo su un probblema, diciamo a noi stessi cosa si deve fare, abbiamo capito come funziona e cosa bisognerebbe fare, capiamo da dove nascono i nostri problemi etc. ...ma tutto resta uguale! Ci illudiamo che se capiamo da dove arrivano i nostri problemi allora il problema si risolve, nonostante la realtà empirica ci riveli tutt'altro siamo convinti che se ci spieghiamo che non c'è niente da aver paura gli attacchi di panico passino e crediamo che il ragionamento influisca sul nostro vissuto emotivo. La realtà empirica del problema è ben altra e la mente razionale ha un legame debole con le emozioni, rivelandosi solo come repressore di un contenuto emotivo doloroso. La metastrategia più usata da tutti è in realtà una metastrategia inefficace, di conseguenza è necessario individuare quelle metastrategie, ovvero quelle strategie che portano alla luce le strategie più efficaci per vivere la vita, che si rivelano più funzionali al cambiamento perché permettono di osservare aspetti diversi del problema o perché mettono in una disposizione interiore, in uno stato emotivo, più efficace o ancora perché donano una carica di energia tale da essere più pronti a reagire pro positivamente alla situazione... Ogni situazione presenta una carica empirica in sé che richiede una risposta adeguata al ruolo di chi è coinvolto. Ma se questa risposta è inibita e la strategia adeguata non parte, come si accede ad essa? Il passaggio da quando una persona non riesce a esprimere una strategia a quando invece riesce è preceduto da una serie di passaggi in cui una metastrategia rende possibile far emergere la risposta adeguata. Anzi, interiorizzare una metastrategia consente di far emergere una serie di strategie che da essa possono esprimersi. Se l'Approccio Empirico fosse una Filosofia cercherei di argomentare quanto detto con

o74


ragionamenti più o meno arguti, ma trattandosi di una disciplina esperienziale utilizzerò la condivisione per rendere meglio l'idea.

Nel primo anno di seminari esperienziali avevo imparato il lavoro allo specchio. Fare un'affermazione positiva di fronte allo specchio genera una reazione emotiva interna che evidenzia come ci si sente se l'affermazione fatta fosse una nostra realtà. Durante il seminario che avevo fatto da poco avevo potuto osservare empiricamente come ciò che mi succede nella vita o ciò che non mi succede dipenda dal mio assetto emotivo. In quel periodo ero uno studente senza uno stipendio e non potevo permettermi di pagare un affitto ma avevo bisogno di allontanarmi dai miei per un po'. Possibilità di lavoro part time non ce n'erano e mi dicevo che senza uno stipendio non potevo pagare un affitto e quindi come potevo trovare casa? Riflettere era la mia metastrategia che generava solo la strategia di lamentarsi per la mancanza di lavoro e gli esami da dare. A quel punto mi sono detto – provo – e così ho iniziato davanti allo specchio ad affermare che avevo una casa, a fantasticarci sopra etc. fino ad abituarmi di averla. Era il 2000, di lì a poco in Piemonte è avvenuta l'alluvione, mia nonna per un po’ non poteva stare a casa perchè era allagata ed è venuta a Chivasso. Tutti noi abbiamo chiesto in giro per trovarle una casa e così io ho chiesto a un mio amico se sapeva se c'erano case in affitto e lui mi ha detto – ne parlo con i miei perchè si è liberata quella che affittavamo, un piccolo monolocale ma si trova a Castagneto Po. Basta che paghi le spese e va bene così - . mia nonna non guida e la conseguenza è stata ovvia. Sono andato io! La metastrategia di accettare di poter avere una casa che è nata dal lavoro allo specchio è stata la metastrategia che ha fatto emergere la strategia di chiedere piuttosto che lamentarmi. Parecchi anni dopo prima di poter aprire lo studio lavoravo full time in un'azienda. Avrei voluto utilizzare un macchinario piuttosto costoso e non

o75


potevo permettermelo, tuttavia sentivo che era adatto a me e “accettai di poterlo avere e che qualcosa sarebbe successo”. Nello stesso periodo la mia azienda dava gli incentivi per il licenziamento ed erano piuttosto consistenti. Mi informai e di lì a poco mi licenziai, diedi l'esame di stato, aprii lo studio e ...comprai il macchinario senza indebitarmi!

L'aspetto importante per quel che concerne le metastrategie è che la metastrategia di accettare che sia possibile mi ha consentito di far emergere la strategia di chiedere e di agire come se fosse veramente possibile, per arrivare a realizzarlo effettivamente. La prima volta il ricorso alla metastrategia è stato consapevole e preparato tramite l'esperienza del lavoro allo specchio, la seconda volta non era necessaria e la metastrategia era sufficientemente integrata perchè potessi adottarla. La strategia efficace non è stata la metastrategia, ma la strategia di chiedere, la metastrategia è stata “solo” la strategia che mi ha consentito di chiedere visto che io ero uno che a chiedere aveva molte difficoltà. Chi chiede naturalmente è come se avesse già in sé, inconsapevolmente, la metastrategia di accettare che sia possibile, ma per chi non possiede questa metastrategia è necessario impararla esperienzialmente. Passando a un livello più macro, chi accede a una determinata conoscenza esperienziale ha integrato in sé quelle metastrategie che fanno emergere le strategie legate a quella conoscenza perchè le metastrategie sono come delle valvole di sicurezza che scattano quando rischiamo di finire preda del nostro dolore e rimaniamo legati alle paure, alla rabbia etc. impedendoci di sentire e di essere efficaci esprimendo la strategia giusta. C'è un forte legame tra sentire, dolore che ognuno porta nel gioco e accesso alla conoscenza esperienziale. Alla conoscenza si accede, poi si torna indietro quando il dolore impedisce di sentire, poi si riaccede fino a quando non si stabilizza e si rimane in quella conoscenza raggiunta. Una volta che uno ha vissuto lo stato psicofisico legato alla conoscenza esperienziale appena toccata se lo ricorda come un'eco, tuttavia non basta. Questo andare e tornare da quello stato psicofisico è condiviso dai partecipanti come fare due passi avanti e uno indietro e mostra come

o76


solo la piena integrazione di esperienze funzionali consenta di avere un accesso stabile allo stato desiderato. Allo stesso modo chi conosce esperienzialmente l'ordine ha la necessità di aver integrato quelle metastrategie che consentono di permanere in quella conoscenza. Nei seminari esperienziali il conduttore trasferisce la sua conoscenza tramite l'utilizzo consapevole o inconsapevole delle sue metastrategie. Esse si rivelano solo in un attento esame dei seminari. Nel suo libro il prof Miche Hardy nota come il pensiero positivo ad ogni costo non sia sufficiente e svicoli il singolo da una realtà fenomenologica più articolata, infatti nei seminari del percorso sono insite metastrategie che vanno ben oltre l'accettazione delle possibilità proprie del primo Pensiero Positivo.

Quando vissi per la prima volta un seminario esperienziale la cosa che mi affascinò più di ogni altra era l'energia che si genera in un seminario. Mi apparve come una magia! Col tempo mi resi conto di come le cose non avvengono solo quando ne accettiamo la possibilità o ci apriamo ad esse, ma imparai a riconoscere esperienzialmente il ruolo dell'energia (intesa come fatto fenomenologico) in relazione all'accadere degli eventi. Quando un cambiamento consistente nella mia vita sta per accadere lo percepisco come un periodo luminoso, una sicurezza interiore e una serie di energie che circolano nell'aria. Creare quell'energia nel seminario è una metastrategia che consente il cambiamento e che ho imparato a portare nella mia vita ricercando quello stato energetico e adottando una serie di misure per generarlo, alcune delle quali riesco ad adottare sempre, altre invece no. L'aspetto energetico, il sentirsi energizzatisi sono rivelati alla mia coscienza negli ultimi mesi e chiedono di essere integrati come metastrategia per stabilizzare la mia qualità della vita a un livello più alto e per accedere a quelle conoscenze esperienziali ad esso abbinate.

o77


Come abbiamo visto parlando del paradigma esperienziale il conduttore trasferisce la sua

conoscenza.

Nell'Approccio

Empirico

la

conoscenza

viene

trasferita

esperienzialmente e ad essa si può accedere perchè nei seminari sono contenuti quelle metastrategie che consentono di accedere e di stabilizzarsi in quello stato psicofisico che si abbina alla conoscenza esperienziale dell'ordine empirico. In questi termini la conoscenza dell'ordine diventa esperienza dell'ordine, ma senza le metastrategie rimarrebbe pura speculazione filosofica o un semplice modello di osservare la realtà. Le metastrategie nei seminari altro non sono che le metastrategie interiorizzate da chi ha formulato la teoria esperienziale e che trasferisce esperienzialmente inserendole nel seminario. Non sono la singola esperienza, perchè la stessa strategia si ottiene in esperienze diverse, esse si manifestano anche nelle esperienze proposte ma non solo, infatti sono insite nella gestione del seminario, nel setting, nell'ordine delle esperienze, nel metodo per decidere le esperienze da adottare in relazione all'energia del gruppo e hanno a che vedere con tutto ciò che il conduttore ritiene efficace per la riuscita del seminario e che macrocosmicamente ritiene efficace nella sua vita. Per il partecipante integrare le metastrategie passategli consente di camminare sulle proprie gambe nella vita. È un processo lungo, doloroso ma fondamentale per conoscere (vivere) la vita. Allo stesso modo ricordo un episodio che mi è successo con un mio amico quando avevamo letto un passaggio di un libro di Psicologia. L'autore è un personaggio famoso di cui tralascerò il nome, molto prolifico nelle medicine alternative. L'autore evidenziava l'importanza di vivere nel momento presente sollecitando il lettore a vivere nel momento presente. Sembrava un gran pensiero e un utile consiglio.... ma la mia domanda era -lui vive nel momento presente?- ovvero -la sua scuola porta a vivere nel momento presente o è solo uno di quei buoni propositi e utili consigli che lasciano il tempo che trovano?- il primo a formulare il concetto esperienziale di vivere nel momento presente fu Buddha e da allora chiunque può ripetere pappagalescamente le

o78


stesse parole, tuttavia non hanno la stessa valenza. In Buddha riflettevano un vissuto esperienziale, in questo autore un semplice monito passato come saggio. In mancanza di metastrategie adatte e trasmissibili non ha senso l'affermazione vivere nel momento presente: ancora più assurda lo diventa quando viene passata come utile consiglio: tu che sei del ramo non riesci a vivere nel momento presente e inciti un altro a farlo che generalmente non è neanche un esperto del settore??? In altri termini: solo se la figura di riferimento delle discipline esperienziali (per usare il termine del capitolo precedente) conosce esperienzialmente ciò di cui parla allora la sua affermazione ha una valenza profonda che nasce da tutte le metastrategie acquisite che gli consento di vivere ciò che afferma, diversamente resta pura speculazione quando non è pubblicità ingannevole o specchietto per le allodole. Di fatto il trasferimento di una teoria esperienziale non nasce dalla capacità di dare buoni consigli ma dalla capacità di trasferire la conoscenza tramite gli strumenti delle discipline esperienziali e questo avviene attraverso la strutturazione degli stessi in base alle metastrategie rivelatesi efficaci. La differenza tra una teoria esperienziale e una speculazione non risiede nella teoria in sé, ma nella metodologia: i buoni consigli funzionano (a volte) quando l'altro riesce a metterli in pratica, ma quando non riesce? Che si fa ? Ovvero esiste nel metodo il “piano B”? Una teoria esperienziale non è tale per quello che dice, ma rivela la sua profondità nella misura in cui contiene anche una teoria del “non accesso alla conoscenza”, una teoria esperibile che renda conto e gestisca quelle situazioni in cui non si può accedere alla conoscenza. L'Approccio Empirico non sarebbe esperienziale se si limitasse ad affermare che esiste un ordine naturale senza considerare il debito sistemico, ovvero quell'aspetto che tiene distante la persona dall'ordine, e non sapesse gestirlo rendendo il debito assolvibile. Di fatto nelle pure speculazioni e nei buoni propositi del “viviamo tutti nel tempo presente” il buon proposito è espresso, ma di contraltare non vi è una pari conoscenza e gestione di quando “il tempo presente non lo si vive”. Nel capitolo dedicato alla metodologia esperienziale abbiamo visto come la figura del

o79


conduttore renda la sua teoria esperibile “condividendola” tramite lo strumento esperienziale del seminario. I capitoli successivi inerenti i seminari mostrano il binomio conduttore-strumento nell'ambito dell'Approccio Empirico e in qualità di praticante utilizzerò la condivisione personale per “dare un'idea o ispirare” secondo la metodologia esperienziale stessa. Viceversa il modello esperienziale inerente il debito empirico ovvero quella parte della teoria che tratta del mancato accesso alla conoscenza e il relativo modello del cambiamento verranno trattati nei capitoli successivi inerenti il sentire, il non sentire e il tornare a sentire.

3.5 - LO STATO DI ECCELLENZA: QUEL LEGAME COL MONDO FENOMENICO Nel '95 era appena finita la mia prima relazione importante. Sebbene il mio interesse per la Psicologia mi avesse già portato a iscrivermi a questa facoltà, fu quello il primo momento in cui conobbi esperienzialmente la stretta relazione con il mondo fenomenico. Prima di lei avevo sempre avuto qualcuna, sebbene non mi consideri “bello”, mi considero nella media, a qualcuna piaccio e a qualcuna no, ma dalla fine di quella relazione mi trovai da un giorno all'altro a non piacere a nessuna, a vedere il mondo con un senso di estraneità e più “scuro”, insomma, nel giro di una sera, la mia realtà fenomenologica era cambiata di colpo. Di fatto i miei lineamenti non erano cambiati dal giorno alla notte, e allora com'è che nessuna mi trovava più “carino”? Nemmeno la luce del sole era cambiata... com'è che vedevo tutto più scuro e distante? Fu un'esperienza forte ma penso che fosse stata illuminante nella mia scelta di “lavorare su di me” perchè era chiaro che ciò che esperivo non dipendesse da realtà esterne, ma da me e da qualcosa in me: era il mio “mondo interiore” che mi presentava un diverso mondo esteriore.

o80


Il cambiamento, come abbiamo visto, è alla base della possibilità di esperire e di conoscere. Nell'Approccio Empirico l'espressione stato di eccellenza indica quel particolare stato caratterizzato dalla massima funzionalità sistemica. Nell'uomo è individuato come il ruolo integrato: l'uomo yang integrato e la donna yin integrata. Lo stato di eccellenza nell'essere umano si rivela come quel particolare stato in cui è possibile conoscere esperienzialmente l'ordine. Stati sistemicamente meno funzionali consentono l'accesso alla conoscenza dell'ordine in modo parziale quando addirittura non la impediscono. Sebbene uno stato meno funzionale consenta di “capire” l'ordine, non consente di conoscerlo esperienzialmente. Nei seminari relativi allo stato di eccellenza e ai ruoli sistemici si rivelano le metastrategie utili ad accedere a quello stato. Il lavoro allo specchio di cui ho precedentemente parlato, il portare l'attenzione sui propri “devo” nella vita, il rilascio emotivo, il “perdono” e l'espressione d'amore, insieme all'agency di cui abbiamo già parlato sono parti integranti di una metastrategia in cui riacquisire consapevolmente la propria libertà al di là delle imposizioni inconsce che ci si pone (“devo”), ricontattare quella parte bambina (bambino interiore) che resta in noi come “conoscenza esperienziale non consapevole” e osservare cosa ha imparato in termini di come presentarsi per essere amata (agency) permette di riaccedere a quelle emozioni represse in particolare la rabbia, associate al non esprimersi per non perdere l'amore, mentre il rilascio emotivo delle stesse permette di fare esperienza del benessere che consegue dall'esprimere le proprie emozioni. Questo ciclo è una metastrategia che ci si porterà dietro nella vita di ogni giorno al di là dei singoli esercizi ed esperienze che hanno consentito di esperirla. Questo tipo di metastrategia porta alla luce la relazione tra il proprio stato emotivo (non sempre di eccellenza) e ciò che ci accade nella vita di tutti i giorni. Essere o non essere nel proprio stato di eccellenza non dipende da situazioni esterne, se una persona è spesso arrabbiata, se è spesso triste, se qualcosa va sempre storto non ha a che vedere con il mondo esterno, ma con il proprio mondo interiore. Senza un

o81


accesso ad esso e senza poter cogliere la relazione tra sé e il mondo fenomenologico non può esserci il cambiamento. L'ordine empirico è un ordine d'amore, non ovviamente inteso come l'amore romantico in stile telenovelas, ma neanche l'amore semplicemente inteso come accettazione e che va di moda in molti metodi esperienziali New Age. Sebbene anch'esso sia una parte dell'amore esso è solo parziale, al pari di questo amore yin esiste anche un amore yang fatto di regole e di guida. Queste due forme d'amore sono la qualità propria dei due ruoli sistemici fondamentali nell'evoluzione, quello del padre e della madre. Cogliere esperienzialmente la nostra relazione con l'amore, ovvero ciò che esperienzialmente abbiamo imparato su esso in termini di “cosa fare per ottenerlo” e la qualità d'amore che i nostri genitori ci hanno fornito come modello è un passaggio fondamentale per collegare l'amore con le emozioni represse, esse sono gli indicatori sistemici del nostro stato di eccellenza. In particolare paura, rabbia tristezza hanno un ruolo fondamentale nel determinare a quali strategie del proprio sesso biologico si potrà accedere, esse si rivelano nei ruoli relazionali di vittima e carnefice. La metastrategia di potersi vivere in entrambi i ruoli permette di esperire direttamente come un ruolo porta con sé un lato luce inevitabilmente compensato e associato ad un lato ombra. Se la vittima può bearsi della sua innocenza e bontà, inevitabilmente si renderà conto come non potrà esimersi dalla sua percezione di impotenza e scarsa autostima in un mondo in cui “tutto va sempre male” e “ce l'hanno tutti con me”. Viceversa, sperimentarsi nel lato opposto, del carnefice, permette di coglierne il lato luce che ogni vittima si nega e in relazione ad esso può cogliere l'effetto che quel lato suscita su di lei (non è facile per una vittima cogliere il piacere del potere, anzi spesse volte si prova molta colpa per la propria forza). Nel ruolo di vittima o di carnefice emergono quelle strategie yin o yang che si associano ai ruoli empirici e che hanno nella rabbia repressa il loro humus emotivo nella misura in cui la rabbia spinge troppo o troppo poco perchè la paura ha il sopravvento. La gestione della propria rabbia passa dal semplice rilascio emotivo al

o82


riconoscimento della stessa come moto empirico del bambino verso il padre, il cui riappropriarsi della stessa permette al figlio o figlia di gestirla e di renderla propria alleata. La metastrategia del viversi sia come vittima che come carnefice viene portata nella vita di tutti i giorni. Solo dall'accettazione del porprio lato opposto nasce la possibilità rendere la propria rabbia un'alleata nella vita di tutti i giorni così come il riconoscersi in quegli aspetti tipici del proprio ruolo alterato permette di cogliere quando si reprime la rabbia e quando non la si gestisce o la si esprime nel modo sbagliato. Sopratutto la relazione con la rabbia svela la vera natura compensativa e disfunzionale di molte strategie ritenute invece lodevoli. La gentilezza, l'essere amico di tutti, “non mi arrabbio mai” hanno la loro radice nella paura più che nell'amore e la conoscenza empirica del proprio ruolo alterato ne mette in luce esperienzialmente la loro natura come strategie di chiusura e di paura atte a compensare la non accessibilità alle proprie strategie vitali più funzionali allo stesso modo in cui strategie di forza e di sfida nelle donne nascono dalla rabbia per non sentirsi riconosciute dal padre come tali più che nella loro forza. Infatti la forza “al femminile” quando è veramente tale ha un ruolo di sostegno delle qualità femminili. Il riconoscere la radice delle proprie strategie e ricollocarle nell'ambito di una visione empirica non è sufficiente per accedere alle proprie strategie vitali. L'accesso ad esse è possibile tramite il recupero di quella strategia che conoscono molto bene gli adolescenti e che nel fare gruppo fornisce ad ogni uomo la metastrategia più adeguata per recuperare la sue naturali strategie yang, così come fornisce alla donna l'accesso alle sue strategie yin. Nell'ambito della teoria del cambiamento dell'Approccio Empirico riveste un ruolo importante il rispecchiamento empirico tale per cui rispecchiarsi nell'altro consente di accedere a quelle strategie che l'altro già adotta. La metastrategia di fare gruppo tra uomini o tra donne permette di ricollegarsi al proprio essere maschile o femminile.

o83


Ho partecipato a diversi cerchi degli uomini nel seminario Maschile e Femminile e poco per volta ho incominciato a cogliere molti aspetti che prima sfuggivano alla mia percezione. La sfida, la gerarchia che da essa nasce e il proprio ruolo all'interno di essa si sono arricchite della percezione delle richieste che dal mio ruolo percepivo come lecite. Non sono richieste precise di fare una cosa o un'altra, ma risuonano dentro come un moto interiore, un sentirsi chiamati ad assolvere un compito che è implicitamente richiesto nel ruolo gerarchico che occupo. Non è facilmente definibile ma si presenta come la richiesta di essere pronti e reattivi riconoscendo la situazione che richiede un intervento. Una richiesta che sento pervenire da Michel in quanto Capo che da le regole con la sua presenza.

In questo passaggio è evidente come si possa avere anche una prima percezione dell'ordine empirico. È importante osservare che le metastrategie di cui sto parlando non sono la teoria del cambiamento

dell'Approccio

Empirico,

ovvero

esse non rendono conto del

cambiamento dei partecipanti in termini di assolvimento del debito empirico e di cura. In questo momento non mi sto occupando del perchè e del per come le persone cambiano. La teoria del cambiamento dell'Approccio Empirico si occupa di cosa fa sì che in un seminario le persone cambino, viceversa l'esplicitare le metastrategie all'interno dei seminari ha a che vedere con la relazione conoscenza esperienziale del conduttore e trasferibilità della stessa, viceversa la teoria del cambiamento ha a che fare con quella parte della teoria esperienziale che si occupa di gestire quelle situazioni in cui il partecipante non può accedere alla conoscenza e che, al posto della conoscenza si manifesta il debito empirico che porta con sé. L'assolvimento del debito empirico, il come viene assolto e la teoria che ne sta alla base e che consente “la cura” fanno parte della teoria del cambiamento. La relazione che intercorre tra le metastrategie all'interno del seminario e la teoria del cambiamento è che la teoria del

o84


cambiamento comprende le metastrategie. Esse rendono conto non del cambiamento, ma del verso del cambiamento quando esso c'è. In un ottica terapeutica guarire significa uscire da uno stato disfunzionale verso qualsiasi altro stato psicofisico dove la malattia è guarita. In ambito esperienziale invece si va verso uno stato ben preciso. Nell'ottica esperienziale il cambiamento significa uscire da uno stato per andare verso un altro stato psicofisico. Da un lato è necessario che il partecipante prenda in mano ciò che porta nel gioco e lo mantiene in situazioni meno funzionali, dall'altro accedere alla conoscenza implica che il conduttore la trasmetta con il metodo adeguato. Nella stessa trasmissione della conoscenza esperienziale attraverso il seminario, il partecipante porta fuori e palesa a sé stesso il suo debito empirico. Trasmissione della conoscenza e cambiamento sono intrinsecamente legati sebbene siano due cose diverse. Le metastrategie non hanno solo lo scopo di cambiare, ma trasmettere una conoscenza esperienziale tramite il cambiamento. Lo stesso metodo delle affermazioni positive allo specchio tipico del Pensiero Positivo consente di cambiare e di guarirsi come testimoniano diversi libri e persone che l'hanno adottato, tuttavia non porta necessariamente alla percezione dell'ordine empirico e da solo non consente di accedere alla percezione delle relazioni tra rabbia ruolo sistemico e ordine empirico. Sebbene il metodo in questione può essere adoperato per tutto, per volerlo utilizzare per qualcosa è necessario sapere che quel qualcosa ha bisogno di essere preso in mano. Posso anche utilizzare il metodo delle affermazioni per ricollegarmi alle radici maschili (forse) tuttavia se non conosco esperienzialmente l'importanza di questo collegamento difficilmente lo ricercherò, limitandomi al massimo ad adoperare il metodo quando qualcosa di palese nella mia vita non va. La metastrategia di osservare e agire sulla relazione tra convinzioni personali e realtà fenomenologica non è sufficiente ad accedere alla conoscenza empirica, sebbene sia sufficiente (o potrebbe esserlo) per cambiare qualunque cosa della propria vita. La sola metastrategia illustrata non consente di accedere ad una visione più ampia (vedremo

o85


nell’ultimo capitolo perché). Nell'Approccio Empirico le metastrategie esposte sono le stesse strategie conosciute dal conduttore e che vengono trasferite al partecipante per accedere alla conoscenza empirica. La loro integrazione consente il progressivo riavvicinarsi al proprio stato di eccellenza ricollegandosi alle proprie radici biologiche anche nella vita di tutti i giorni.

Qualche anno fa con un mio amico e altri due del gruppo siamo andati ad Arezzo a fare un giro. Abbiamo passato tutto il giorno insieme a girare per la città approfittandone per farci una bella mangiata di fiorentina e buon vino. Uno dei tre era un compagno delle elementari del mio amico con una buona carica yang che esprimeva nel far casino, nell'espansività, nel non aver peli sulla lingua, nel conoscere ragazze, nello scherzare a volte rozzo ma non cattivo. Insomma una persona con cui ci si diverte sicuramente in compagnia. Tuttavia io sono uno a cui non piace fare battute rozze, ma quella volta avevo sentito la carica maschile della situazione e mi ero concesso di farle anch'io. Non solo mi ero divertito parecchio tutto il giorno, ma la sera tornando a casa percepivo una sorta di gioia, forza e piacevole energia mentre percepivo nitidamente i miei genitali. Sentivo un contatto con la mia mascolinità molto forte. Darmi la possibilità di esprimermi liberamente, sperimentarmi nella componente aggressiva in un contesto maschile permettendomi di fare gruppo (diversamente dalle altre volte) con la consapevolezza che mi derivava dall'esperienza di ciò che stavo facendo ha trasformato una giornata di gita in una giornata “terapeutica” ...divertendomi parecchio!

o86


3.6 - LE RELAZIONI: DINAMICHE DI COPPIA, DINAMICHE E RELAZIONI E TANTRA: OSSERVARE, INTEGRARE, OSARE Nel precedente capitolo abbiamo visto come radicarsi nelle proprie radici sia necessario per recuperare le proprie strategie vitali. Il seminario dove ciò avviene, “Maschile e Femminile” potrebbe essere visto come la “cura” intesa come passaggio cruciale del cambiamento. In questo seminario è previsto che uomini e donne siano separati per meglio sostare nell'energia maschile o femminile, tuttavia entrambi i sessi si sperimentano per un breve periodo nel sesso opposto contattando quel lato femminile (in un uomo) e quel lato maschile (in una donna) che sono parte del bagaglio psicofisico di ognuno. Un maschile forte non si può esprimere senza un femminile che lo accolga e un femminile accogliente non si può esprimere senza un maschile che lo sostenga e protegga. Solo dall'integrazione dei due aspetti nasce un ruolo sistemico funzionale e che per questo motivo viene chiamato integrato. Il seminario “Maschile e Femminile” non è solo il diretto sviluppo dei seminari sul ruolo di eccellenza e sui ruoli empirici, ma in esso confluiscono anche quei seminari che hanno come tema principale le relazioni di coppia e la sessualità. L'effetto di questi seminari è molto importante per l'integrazione e va ben al di là della semplice relazione uomo – donna. Si è portati a pensare che l'amore sia un qualcosa che ci capita, che avviene o non avviene e pare sia regolato dal caso. Magari ci si rende conto che ci sono periodi in cui siamo più disposti verso l'altro sesso e altri meno, tuttavia crediamo che quando troviamo un partner tutto sia casuale. Non ci accorgiamo di quel filo sottile che fa da bandolo della matassa di tutte le nostre relazioni e che trova dei comuni denominatori tra il nostro mondo interiore e il mondo interiore del partner. Pensiamo di innamorarci perchè è bella o perchè è intelligente o siamo affascinanti dai suoi modi di fare, ma questi sono solo la punta dell'iceberg, in realtà il nostro amare è molto superficiale e si limita al romanticismo che sfocia in una piacevole abitudine. Capire cosa ci lega a un'altra persona conta poco, la razionalità non trova spazio in questo contesto, meno ancora che in altri. Tutto nasce nel fare e proprio nel fare si

o87


possono osservare le nostre relazioni per le leggi sistemiche che esprimono. Scoprire esperienzialmente che ci leghiamo a quel partner che superficialmente ci compensa ma che profondamente ci è simile, vivere l'esperienza di riconoscere la propria relazione nelle energie che essa genera e sentirle allo stesso modo con un partner del seminario che quasi non conosciamo ha un impatto forte perchè sposta il punto di vista che abbiamo sempre avuto sull'amore. La semplice osservazione è la chiave. Osservare il “risultato” di ogni esperienza, vedere come combacia con la vita di tutti i giorni nelle proprie relazioni ha il potere di svelare a sé stessi il filo conduttore delle nostre relazioni: non si può più fare finta di non vederlo.

In un primo momento avevo vissuto le esperienze in coppia come se tutto, anche il partner fosse rapportato a me. Avendo visto come il mio mondo interiore influisce sul mondo fenomenologico a cui posso accedere, vissi l'esperienza come se anche il partner dipendesse da me. Solo con il tempo (e altre esperienze) questa visione solipsistica ha lasciato spazio ad una visione più aperta all'esterno. Cogliere il legame che c'è tra me e ogni compagna mi ha generato molta gratitudine. Riconoscere quel legame e osservarlo empiricamente all'opera ogni giorno è qualcosa di incredibile. Se all'inizio l'altro era il tramite per accedere a me stesso, ora, nella misura in cui mi accetto riesco a “vedere” l'altro e a riconoscerlo come Lei. La sua individualità emerge nel momento in cui esco dal mio dolore e mi apro all'esterno e vedere che lei vive quello stesso dolore, ma porta fuori anche la sua luce è un riconoscersi e riconoscrerLa molto forte. Insieme a ciò ho un'altra considerazione sui suoi “difetti”. Ho sperimentato come siano in realtà quelli che effettivamente mi legano, quindi sono parte integrante del sentimento che vivo per lei, anzi, senza di loro non proverei le stesse emozioni con la stessa forza. Questo l'ho sperimentato in quelle

o88


relazioni a volte meno burrascose, ma anche più “tiepide” proprio perchè mancano quegli aspetti ombra che danno il sale nella relazione, e che se prima non li sopportavo, ora so che ho solo bisogno di gestirli perchè senza quelli la relazione non sarebbe così stimolante.

La semplice metastrategia di poter osservare la realtà per ciò che è, uscire dal noto o scontato amore romantico nella sua qualità più naif porta il partecipante ad accedere ad una visione dell'amore e della relazione molto più profonda, un'alleanza tra anime nel gioco della vita. Un'alleanza (passatemi il termine alleanza) consapevole che un passo alla volta libera dal bisogno e permette di amare l'altro riconoscendolo in ciò che è anziché solo come strumento di compensazione. È un processo non immediato ma che regala doni ad ogni step mentre ci si libera dal bisogno dell'altro e lo si “vede” realmente (accedere a questo però mi ha generato in un primo momento e anche tuttora una grande paura…). Successivamente esplorare il lato maschile e femminile di sé stessi permette di vivere esperienzialmente la propria donna e il proprio ruolo interiori, quello su cui basiamo le nostre relazioni nell'aspetto delle strategie che mettiamo in atto e di quelle che il partner mette in atto nel suo ruolo compensativo. In un primo momento si osserva il legame tra il proprio dolore e quello del partner e la compensazione che ricerchiamo nel compagno o compagna, in un secondo seminario si vivono le strategie comportamentali del nostro lato maschile e femminile e, tramite le costellazioni familiari ogni partecipante può reintegrare aspetti del suo ruolo in relazione al ruolo opposto. Qualche hanno fa dopo aver fatto il seminario “Dinamiche e Relazioni” cambiai look. Il look non era mai stato tra i miei interessi da dopo l'era dei paninari quando avevo 14 anni. Tuttavia cambiai look e successe che conobbi una ragazza al lavoro. Aveva caratteristiche e aspetti differenti da altre con cui ero stato sebbene riconoscessi in lei molte similitudini

o89


profonde. Il suo carattere più vittima era diverso da molte che avevo frequentato e fu una bella relazione. Solo in seguito mi fu chiaro il legame con “Dinamiche e Relazioni”. In esso la metastrategia per accedere al maschile e al femminile è quello di travestirsi da una figura rappresentativa dei due sessi e recitarla. Cambiare aspetto è una metastrategia che permette di far emergere strategie diverse in relazione a quegli aspetti che il vestito stimola. A strategie diverse corrispondono accadimenti diversi.

La metastrategia del cambiare esteriormente per contattare parti di sé evidenziandole è una metastrategia importante per potere conoscere (vivere) ogni aspetto del maschile e del femminile. Nel seminario essa porta alla luce il proprio lato maschile e femminile, nella vita di tutti i giorni lo porta alla luce in relazione al proprio sesso, mentre il partner ci riflette il nostro lato del sesso opposto. Quando i due aspetti sono in sintonia allora tutto va bene, ma quando non sono in sintonia e, anzi, dentro di noi sono in conflitto lo vediamo nelle nostre relazioni. Come per vittima e carnefice, vivere le nostre due polarità consente di integrarle.

Fu molto divertente osservare una cosa durante quel seminario: io soffro di allergia al polline e graminacee, tuttavia, quando ero nel mio femminile l'allergia passava di colpo. Non è che diminuiva pian piano, ma istantaneamente quando accedevo al mio femminile passava e non mi sentivo come quando ho uno sfogo e poi passa mentre rimane solo un po' di bruciore agli occhi, era proprio come d'inverno (il seminario era in primavera) che non la sento proprio. Parallelamente nel mio femminile mi piacevano i miei piedi. Cosa che di solito non accade, anzi non mi piace stare a piedi nudi, invece nel mio femminile ho contemporaneamente avvertivo un maggiore contatto con la

o90


terra come luogo sicuro. Nel corso degli anni l'accettazione degli aspetti femminili (che si è espressa in un portare maggiormente fuori il mio lato maschile) e anche il contatto con la terra sono aumentati: insieme allo stare a piedi nudi!. Man mano che questa integrazione aumenta sono curioso di vedere quale sarà l'effetto sulla mia allergia...

Cogliere il legame tra noi e il partner che è un riflesso del legame tra il nostro lato maschile e quello femminile e l'integrazione che ne nasce sono il punto di partenza per poter riconoscere l'altro nella sua identità e non come riflesso di noi stessi. Se pensiamo che ogni difesa psicologica che mettiamo in atto ha la funzione di proteggerci e le difese maggiori sono nel modo di relazionarci con gli altri possiamo immaginare quale carica emotiva ha il contatto con il sesso opposto. Il sesso opposto non lo possiamo conoscere esperienzialmente lo possiamo solo amare. Le sue logiche, per quanto capibili, sfuggiranno sempre all'altro sesso perchè non potrà fare a meno di leggerle con la sua logica. È il contatto con l'ignoto rappresentato dall'altro sesso che genera tutta una serie di difese atte a proteggerci. Tuttavia solo attraversando la paura del contatto con l'altro si può integrare il proprio lato opposto e accedere alla vita. In quelle relazioni in cui l'equilibrio è mantenuto da troppe difese, non c'è lo spazio per sperimentarsi pienamente l'un l'altro, la vitalità e la vivacità sono impedite e la vita è un vivere a metà. Esperire la vita è esperirne ogni aspetto così come esperire il partner è esperirne anche quelle parti che ci fanno più paura e che, in fondo, sono anche le nostre. Dalla piena esperienza dell'incontro con l'altro nasce la possibiltià di riapprorpiarci di noi e di andare verso il nostro stato di eccellenza. Percepire l'ordine passa inevitabilmente dal vivere la vita se vogliamo che l'ordine sia un'esperienza e non una mera teoria speculativa adatta da usare come difesa dalla vita. Nel Tantra si sperimenta l'incontro con l'altro. Il Tantra utilizza il corpo. Tramite il respiro si sollecita “ciò che c'è” a venire a galla, tramite il ballo si seguono le energie che si

o91


generano, ma sopratutto è nel trovarsi nudi di fronte ad una persona del sesso opposto che consente di cogliere la relazione tra sé e il proprio corpo. Il Tantra porta con sé una delle metastrategie più importanti per accedere esperienzialmente alla realtà empirica: il mettersi a nudo. Il mettersi a nudo non è solo mettersi nudi: incontrare l'altro senza vestiti significa incontrarlo senza difese. L'essere nudi ha una carica così forte che ogni difesa che mettiamo in atto nella vita di tutti i giorni non funziona. E proprio quando non possiamo più raccontarcela che la realtà si manifesta per ciò che è donandoci un'esperienza piena. Allo stesso modo questa metastrategia viene portata nella vita di tutti i giorni, ovviamente non girando nudi, ma ponendosi di fronte alla vita a nudo, lasciando cadere molte difese, o meglio riconoscendo come difese ciò che prima pensavamo “naturale”. Questa metastrategia ha il sapore del fare sul serio, della vita piena oltre i taboo e il socialmente accettabile. Ovviamente una metastrategia così forte non si integra di colpo, ma un passo alla volta si riconosce quando ci si sta proteggendo e “non si ha più neanche voglia di nascondersi alla verità”, così come (e il vissuto esperienziale è molto simile) non si ha più voglia dopo quell'esperienza al Tantra di rivestirsi e si vuole godere ancora un po' dell'eco dell'esperienza vissuta. Questa metastrategia ha molto a che vedere con l'osare. In un mondo in cui difendersi è la prassi ed è considerato normale, mettersi a nudo, anche solo un passo alla volta richiede molto coraggio. Si tratta di osare, sebbene le risposte sono sempre positive osare non è facile perchè le paure sono molto forti tuttavia l'esperienza fatta spinge nella direzione e al momento opportuno ...ci si osa.

3.7 - UN APPROCCIO INTEGRATO Approccio integrato è un'espressione che significa molto di più di ciò che sembra. L'integrazione non riguarda solo il maschile e femminile nella relazione, ma il significato di approccio integrato scardina l'attuale modello interpretativo della realtà implicito ai più, si manifesta e si palesa nell'attimo stesso in cui su di esso si porta

o92


l'attenzione. Vorrei partire da una domanda che ha una valenza profonda nelle discipline esperienziali: esiste il giusto o sbagliato? Nel primo periodo delle discipline esperienziali (ma per alcune è ancora così ora) la risposta a questa domanda è che in realtà non esiste giusto o sbagliato, che ogni cosa fa parte della vita e di conseguenza non la si può giudicare. Ogni cosa va bene, giusto o sbagliato sono giudizi illeciti. Questo perchè da sempre siamo abituati che esiste un giusto e sbagliato. Il giusto è da premiare o lo sbagliato da biasimare. In seguito a questo e per uscire da un giudizio che non porta al cambiamento poiché l'accettazione è la chiave per cambiare, il giusto e sbagliato sono stati tout court eliminati. Non esiste giusto o sbagliato perchè non si può giudicare. Sebbene questo sembri un cambiamento in realtà è solo una modifica. Giusto e sbagliato appartengono ad una visione yang mentre non esiste giusto e sbagliato, tutto è accettabile appartiene a una visione yin. La modifica consiste nell'aver modificato la visione di un solo principio valido (o lo yin o lo yang) da un principio yang a uno yin. Lo schema sottostante, ovvero considerare come valido solo uno dei due principi possibili si è mantenuto inalterato. Visione integrata è un cambiamento di prospettiva in cui entrambi i principi si integrano a formare una visione integrata per rispondere alla domanda se esiste un giusto o sbagliato. È evidente che esiste un giusto o sbagliato, ogni cosa si può fare in un modo più funzionale rispetto a tutte le altre, tuttavia ogni sbaglio non è un qualcosa da condannare e da cui prendere le distanze ma è una tappa della strada percorsa per giungere alla soluzione. Nello stesso concetto di integrato è insito il processo che da una soluzione sbagliata perchè sistemicamente poco funzionale si giunge ad una soluzione giusta perchè funzionale. Il continuo miglioramento (la tecnologia ne è un esempio) non passa dalla condanna di un errore, ma dall'utilizzo dell'errore per sapere che quella strada è senza sbocco.

o93


In un approccio integrato il giusto e sbagliato esiste ma non esclude l'errore, anzi lo integra nel processo di avvicinamento alla soluzione più funzionale. Se da un lato escludere l'errore porta all'impossibilità di cambiare perchè il cambiamento nasce dall'accettazione, dall'altra escludere giusto e sbagliato porta a un appiattimento senza possibilità di uscita nella misura in cui manca una guida alla soluzione più funzionale. Approcci che non contemplano il giusto o sbagliato sono approcci fermi, non hanno un modello e in questa mancanza si rivela il loro limite perchè manca un parametro di riferimento, un metro di misura per sapere se si procede nella strada giusta o no. È interessante notare che lo stesso iniziare un percorso di crescita ha implicito in sé che da qualche parte si voglia arrivare e se non esiste giusto o sbagliato, tutto decade. Liberarsi dal limite di un giudizio oppressivo è l'inizio di un percorso, non la meta. Se la meta non c'è è una strada chiusa. Approcciarsi integralmente alla realtà fenomenica significa di riflesso al percorso delle dinamiche relazionali considerare ogni cosa in relazione ai due principi. Non si può considerare l'uomo senza la donna, si può considerare la coppia. Tuttavia l'approccio non si limita alla coppia uomo-donna. Ogni essere umano ha in sé i due principi. Non si può considerare l'uomo solo come yang. È necessario considerare la sua coppia interna: il suo lato maschile in relazione al suo lato femminile. L'uomo yang integrato è tale perchè il suo maschile è al suo posto e il suo femminile idem. Viceversa la coppia in termini di integrazione non si limita alla relazione uomo donna o singolo individuo, ma tocca tutti gli aspetti relazionali della vita. Non si può parlare di allievo senza parlare del maestro, non si può parlare di partiti senza parlare di elettori, non si può parlare del capo senza parlare del dipendente. Approcciare la realtà fenomenologica con un approccio integrato significa consideare nell'insieme i poli della relazione, diversamente si otterrebbe solo una guerra dei sessi, delle classi sociali etc. senza una conclusione possibile, ma solo momenti alterni di vittoria e sconfitta, mentre nei casi in cui una soluzione c’è stata, essa era sempre una soluzione integrata. Un ultimo significato di approccio integrato si rivela nella concezione stessa dei

o94


parametri di accettazione della conoscenza. Tramite l'osservazione empirica si può osservare che le donne nel loro processo di crescita tendono ad avvicinarsi a quei principi yin come ad esempio l'accoglienza, mentre gli uomini tendono verso i principi yang come ad esempio il dare le regole. Se quest'osservazione è sufficiente per sapere che la teoria empirica è trasmissibile tuttavia non è sufficiente per sapere che è vera. Potrebbe essere che i ruoli sono un fatto culturale e infatti tendono anche a invertirsi. Il processo di crescita potrebbe semplicemente

essere

indirizzato

verso

una

distinzione

di

ruoli

ma

non

necessariamente l'inversione degli stessi è errata. Il problema è senza soluzione, poiché siamo in un contesto fenomenologico: la Scienza non può risolvere il problema in termini di ciò che è vero. Viceversa la soluzione deriva da un altro parametro che non ha nulla a che fare con la verità, ma è il benessere. Se è vero che si può invertire il ruolo, tuttavia il livello di benessere non è invertibile. Un uomo maschile in un ruolo femminile e viceversa non prova benessere, questo non significa che non gli piaccia un ruolo femminile, potrebbe anche piacergli o sentirsi a suo agio, tuttavia una serie di indicatori sistemici ne rivelano lo stato di malessere, viceversa per la donna. L'aspetto che voglio sottolineare è che i parametri di verità delle discipline esperienziali e a maggior ragione di quelle integrate come ad esempio l'Approccio Empirico passano da due aspetti: la verità e il benessere. La famosa prova kinesiologica che misura la forza del braccio in relazione a sostanze o affermazioni evidenzia che la forza del braccio si conserva se facciamo affermazioni vere o se siamo in contatto con una sostanza che ci fa bene (come nella prova delle intolleranze alimentari). È interessante osservare che per il corpo umano verità (principio yang come la chiarezza etc.) e il benessere (principio yin come la piacevolezza) siano equivalenti. La verità perde la caratteristica di stare al di sopra dell'essere umano ma si rapporta ad esso diventando verità fenomenologica, ovvero aderente all'oggettività fenomenologica di cui abbiamo già parlato. In questa perdita di assolutismo la verità si integra con il

o95


benessere. Un approccio integrato in ambito esperienziale fa dell'integrazione dei parametri verità e benessere il suo metro di misura della validità della sua teoria esperienziale e della sua metodologia per renderla trasferibile. In ambito esprienziale, per definizione del suo oggetto, non si può parlare di una verità dimostrabile perchè le sue asserzioni sono esperibili e come tali, a seconda della qualità del sentire, si può esperire una cosa, ma anche il suo contrario, viceversa il parametro del benessere può disambiguare la situazione. Il benessere stesso però rischia di non essere tale senza la verità intesa come “ciò che è fenomenologicamente oggettivo”, infatti solo riconoscendo ciò che è si può riconoscere se una situazione è fonte di benessere o se nasce come difesa da qualche parte dolorosa di sé stessi e allora è solo un non star male. Nell'Approccio Empirico come approccio integrato l'integrazione avviene su più livelli rimanendo in linea con le sue teorie esperienziali.

3.8 - LE ENERGIE COME FATTO ESPERIENZIALE: ESPERIRE IL SISTEMA Finora non ho volutamente toccato l'aspetto energetico dell'Approccio Empirico sebbene questo sia già affrontato nei primi seminari. Le cosiddette energie sottili e i chakra sono parte integrante dell'Approccio Empirico e vengono esperiti nel seminario Miracles che ha come tema il dissolvere la paura. Mi piace pensare che il Miracles usi i chakra come il Tantra usa il sesso, ma come il Tantra non è solo il sesso, così il Miracles non è solo un lavoro sui chakra. Nel Miracles i chakra e le energie sono conosciute nella loro componente esperinziale, lo scopo del seminario non è guarire o guarirsi ma il massaggio energetico inteso come ripristinare i chakra ha la funzione di mostrare come agire in realzione alla propria realtà percepita porti alla modifica della realtà percepita dell'altro. Quando i partecipanti scoprono di poter far passare un mal di testa visualizzandolo come una macchia nera e

o96


togliendo la macchia nera (visualizzando di toglierla e facendo anche i gesti appropriati come se la macchia nera ci fosse realmente) il mal di testa passa, il messaggio che arriva a livello profondo è molto forte. Noi agiamo all'interno della nostra percezione e il concetto di reale e non reale si modifica in percepibile o non percepibile. È reale ciò che è percepibile, al di là di come lo percepisco se agisco su di esso in base alla percezione che ne ho allora i miei effetti sono comunque reali e non solo immaginati. Il campo percettivo si arricchisce di tutti quei percetti che diversamente sono considerati falsi o immaginari. La controversia su queste materie nasce dal fatto che chi le propugna non le presenta come fatti fenomenologici, ma come fatti attinenti alla realtà in quanto tale. Di conseguenza è richiesta una dimostrazione della loro esistenza ma non essendo attinenti alla realtà non sono passabili di dimostrazione. Oggigiorno si cerca di trovare dei legami tra aspetti fisici del copro e i chakra, tuttavia anche trovandoli di sicuro non saranno sfere colorate così come si presentano a noi. I chakra sono un fatto percettivo, ma la grande scoperta è che agendo su un fatto percettivo si modifica la realtà fenomenologica dell'altra persona. Agire nella propria realtà fenomenologica ha conseguenze reali. Aprirsi a queste percezioni nella vita di tutti i giorni ne arricchisce notevolmente la realtà avendo nuovi parametri con cui confrontarsi. È importante comprendere che non si va a lavorare sul paranormale. Il paranormale afferma che esistono fenomeni reali attinenti alla realtà in quanto tale che sfuggono alla nostra comprensione. Il lavoro energetico proposto nell’Approccio Empirico non ha nulla a che vedere con tutto ciò e il suo intento non è stupire i partecipanti con insegnamenti esoterici. L'intento del lavoro energetico è ampliare il range percettivo in quanto l'energia è il modo che ha il nostro sistema percettivo di assemblare sensazioni e intuizioni. Parimenti le costellazioni familiari hanno un ruolo fondamentale nella percezione energetica. Delle costellazioni familiari si è già discusso in diversi libri e non è necessario che rispieghi il metodo, quello che interessa in questo contesto sono le

o97


metastrategie e le costellazioni familiari integrano in sé una metastrategia che unita al sentire sviluppato nel corso dell'accademia si rivela importante per l'accesso esperienziale all'ordine. Partecipare a una costellazione familiare consente di esperire su di sé gli effetti dell'ordine isolandoli da tutte le altre percezioni di cui attribuiamo la causa dei nostri indicatori sistemici (rabbia, paura etc.). Stare in piedi in mezzo a una costellazione con persone che a volte neanche si conoscono e vivere quelle sensazioni che di solito ne attribuiamo ad altri la causa porta a un livello percettivo estremamente elevato. Imparare esperienzialmente come i nostri vissuti, le nostre emozioni ed anche le nostre malattie siano interrelate nella nostra rete di relazioni consente di trasferire a casa questo vissuto e ci si accorge della nostra costellazione in atto nella vita di tutti i giorni. Ecco che moti dell'anima e sistema acquistano un senso esperienziale e si manifestano concretamente nella nostra realtà. Nell'espandersi del campo percettivo ho iniziato a percepire direttamente il mondo fenomenico dell'ordine. Tuttavia si rivela ancora solo come una percezione a sprazzi in cui quando moti empirici sufficientemente consistenti sono in atto il mio campo percettivo si arricchisce di “visioni” in cui riconosco che qualcosa si sta sviluppando, in altri casi ho una chiara visione della carica empirica della situazione ma non riesco a rispondere adeguatamente, oppure sono percezioni evidenti di un moto in atto che si rivela nel campo percettivo energetico ma che sembra assente se non si considera quest'aspetto. I due tipi di percetti che sperimento sono una sensazione fisica interna o una visione energetica esterna. Un esempio è stato quando ho parlato di quando percepisco come una luce quando c'è energia sufficiente perchè qualcosa accada, mentre un altro esempio, di natura un po' diversa mi è accaduto quando una mia amica mi ha detto una cattiveria e io ho sentito come una pugnalata alla bocca dello stomaco. Il dolore mi è rimasto fino a quando non sono andato a casa e non “mi sono tolto il pugnale”. Ho scoperto che non era un pugnale ma un paletto di 50 cm tuttavia dopo averlo tolto il dolore mi è passato.

o98


Non è importante in questi esempi che potrebbero sembrare percezioni extrasensoriali se sono fenomeni paranormali o no. Non lo sono. È possibile che ci siano tantissimi indizi del cambiamento di una situazione e che l'essere umano li possa cogliere ed elaborare; quello che interessa è che nell'impossibilità di rendersi conto di tutti questi indizi e di dedurre razionalmente che cosa stia effettivamente accadendo, il nostro sistema percettivo è tale che possa cogliere questi indizi ed elaborarli presentandoli come energia o sensazioni fisiche. Lo scopo dell'Approccio Empirico non è “capire” come avvenga tutto ciò, ma espandere il campo percettivo affinchè tutto ciò accada.

Il lato energetico mette in una luce e prospettiva diversa tutto il resto visto precedentemente. Da solo non sarebbe sufficiente perchè mancherebbe delle relazioni conosciute negli altri seminari tra sé stessi e il proprio mondo fenomenologico, tuttavia l'integrazione delle percezioni energetiche rende percepibili come energie, emozioni e sensazioni che il nostro sistema percettivo renderebbe diversamente e in modo più limitato

come semplici

emozioni.

La percezione

energetica delle

stesse li

contestualizza in relazione ai moti dell'anima ed al contesto sistemico in cui ci si trova. Una delle prime metastrategie che si incontrano è quella relativa al linguaggio: il linguaggio dice qualcosa di te. Espressioni come “devo fare questo” sono indicative di un vissuto di autoimposizione percepita. Portare l’attenzione sul proprio modo di esprimersi avviene già al “Valore del Sé” (uno dei primi seminari che si incontra). Il portare l’attenzione sui propri “devo” fa sì che si prenda in considerazione ogni aspetto delle proprie espressioni linguistiche. Ma allo stesso modo in cui evitando di usare il verbo “dover”e si passa ad un’espressione più “libera” ecco che gestire il proprio linguaggio diventa una metastrategia che si integra nella propria vita. Alle costellazioni si utilizza il termine espressioni catartiche. Esse sono quelle espressioni che il costellatore chiede di dire ai partecipanti. Sono espressioni dirette che hanno il potere di cambiare il quadro della costellazione e quando vengono pronunciate cambiano i rapporti in gioco tra i partecipanti e le loro stesse emozioni.

o99


Tuttavia le parole catartiche si vivono all’interno della costellazione ed hanno un significato durante la costellazione stessa. Il partecipante impara esperienzialmente (nelle sensazioni corporee) quel legame tra esprimersi nel linguaggio durante la vita di tutti i giorni e il potere delle parole catartiche in modo tale per cui, riconoscendo dalla percezione energetica la carica delle sue parole, il suo linguaggio progressivamente porta agli effetti delle parole catartiche. Non è più solo un linguaggio atto a riconoscere e modificare qualcosa di sé stessi, ma si espande fino a modificare gli equilibri sistemici di sé con gli altri. Espandere la percezione fino al livello energetico e sistemico trasforma lo strumento linguaggio da uno strumento solipsistico di sé e per sé ad uno strumento sistemico in grado di modificare gli equilibri nelle dinamiche della propria vita che ha nelle percezioni energetiche il metro di misura del parallelismo tra gli effetti del proprio parlare e gli effetti delle parole catartiche imparati nelle costellazioni familiari. Detto in altri termini, se il linguaggio è indicativo di emozioni e pensieri e può agire su di essi nella vita di tutti i giorni, se le parole catartiche sono espressioni di emozioni profonde che hanno il potere di cambiare gli equilibri sistemici in una situazione all’interno della costellazione e se le esperienze con le costellazioni portano a riconoscere quelle dinamiche anche nella vita di tutti i giorni, risulta chiaro come si trasformi la semplice meta strategia del linguaggio nell’incontro con le energie.

Tutte le esperienze nello stato di eccellenza, nelle relazioni e dinamiche, nella percezione energetica si integrano insieme, un passo alla volta e l’effetto sul campo percettivo è forte. Non sempre si riesce a coglierlo appieno, anzi all’inizio esso è molto sfuggente. Una conoscenza esperienziale richiede tempo per essere integrata e se è facile integrare un seminario, l’integrazione degli effetti sinergici degli stessi necessita di più tempo. Ma l’accesso alla conoscenza dell’ordine e delle sue leggi lo richiede come passaggio. La meta strategia del Miracles (la percezione di una persona cambia la percezione

o100


dell’altra persona) ha implicazioni molto forti. Se un problema lo percepisco come una conflitto tra due aspetti diversi e contraddittori di me allora è quella la realtà in cui “guarire”, dando voce (ad esempio recitandoli) a quegli aspetti stessi. Se il problema di esprimermi liberamente lo percepisco come un nodo in gola posso “scioglierlo” semplicemente visualizzandolo, così come se il problema lo percepisco come un fatto relazionale, posso parlare all’altra persona esprimendo il mio sentire, se viceversa lo percepisco come un surplus di emozioni posso rilasciarle emotivamente. Nella realtà che percepisco è insita la soluzione. Tuttavia come detto precedentemente “La Cura” è il ricollegarsi alle radici del proprio sesso biologico, ma la percezione di tutto ciò avviene molto avanti nel percorso e solo in questi ultimi anni sono giunto ad avere questa percezione (il fatto che il radicamento sia la cura è facile da capire, ma arrivare a sentirlo è tutt’altro!!!). Arrivare a ciò richiede che ci sia una sinergia percettiva tra le varie esperienze e non basta capirlo. A titolo di esempio basta osservare i diversi approcci olistici in cui si parla di considerare l’uomo come un tutto e poi si parla di come curare ad esempio il cancro! Semmai bisognerebbe parlare di come curare la persona, non la malattia, tuttavia sebbene questo venga proclamato a gran voce, quando si va a osservare linguaggio, approccio, focus su cui si punta l’attenzione, si nota come l’olismo venga di fatto tradito. Un conto è avere un’idea (mentale), altro è sviluppare un range percettivo da farla diventare la propria realtà fenomenica. Il radicarsi nel proprio sesso biologico è olismo, non solo dichiarato, ma vissuto. Tuttavia non basta capirlo ma è necessario accedere a questa conoscenza esperienzialmente. La strada è lunga…

Ho conosciuto esperienzialmente (anche se in misura limitata) le regole empiriche in questa relazione di energie che passa dagli indicatori sistemici come percezione energetica in relazione ai moti dell'anima e alla costellazione

esperienziale

delle

relazioni

in

quella

situazione.

Contemporaneamente ho sentito però che la percezione dell'ordine e delle sue regole è una percezione che richiede molta energia e quando mi capita

o101


mi sono accorto che riesco a “tenerla” per poco tempo, oltre mi sembra di “bruciare di emozione”. Non saprei come altro dirlo...

La trasferibilità della conoscenza empirica in termini di esperienza passa da tutte le metastrategie presentate. Se la partecipazione ad una costellazione apre le porte dell'ordine, tuttavia per rendere la percezione qualcosa di trasferibile nella vita di ogni giorno è necessario ricollegarsi alle proprie radici per accedere all'esperienza nella misura in cui solo se si è radicati in esse si ha il potere per restare in quella percezione. Solo quando il grosso del proprio debito è stato assolto si può iniziare a sostare un po' di più nella percezione dell'ordine, fino ad allora la conoscenza esperienziale dello stesso è preclusa. La teoria esperienziale dell'Approccio Empirico va letta in questo senso, non come una teoria da capire ma come una fotografia di una realtà fenomenologica a cui si può accedere. Essa è la traduzione in parole di un'esperienza silenziosa che ha a che vedere con una realtà che sfugge al normale campo percettivo ma alla quale si può accedere. La descrizione delle regole empiriche nasce dalla possibilità di percepire l'ordine. Senza la percezione di quest'ultimo tutta la teoria esperienziale si ridurrebbe a mera speculazione intellettuale. Se da una parte la teoria esperienziale presenta cosa si percepisce, dall'altra contempla in sé anche la teoria del come arrivare a percepire nella misura in cui contempla una teoria del cambiamento. La teoria del cambiamento non va intesa come teoria da studiare, ma come traduzione in parole del processo di cambiamento, affinato dal prof. Michel Hardy negli anni di pratica. Il metodo non si studia a tavolino ma si è rivelato passo a passo nell'approcciarsi ad esso empiricamente.

o102


3.9 - LA NATURA ESPERIENZIALE DEL DEBITO EMPIRICO: IL SENTIRE E IL NON SENTIRE Una teoria esperienziale è tale se contempla in sé la teoria del non accesso alla conoscenza. La conoscenza esperienziale si riduce a mera speculazione se non integra in sé la conoscenza del perchè non si accede alla conoscenza. È un perchè che non ha nulla a che vedere con teorie soggette a verifica, ma con modelli esperienziali il cui unico scopo è la praticità e la funzionalità di portare chi non accede alla conoscenza a conoscere. Come nell'esempio precedente affermare quanto sia importante vivere nel momento presente non significa nulla se non c'è un modo per arrivare ad esso, ovvero un modello del perchè non si vive nel modello presente e di quale sia la soluzione ottimale per viverci. La teoria esperienziale è tale perchè esperibile. L'esperibilità è il suo unico metodo di misura e come tale una teoria esperienziale si limita a riportare come conoscenza ciò che è esperibile, evitando speculazioni su ciò che c'è alla base ma limitando la teoria fin dove si può percepire, quando diventa una teoria deduttiva si ferma perchè non dimostrabile a causa del suo oggetto di studio, ma contemporaneamente non percepibile e quindi non radicabile nemmeno nella realtà fenomenologica riducendosi a metafisica o pseudoscienza. Allo stesso modo nell'Approccio Empirico è presente una teoria del perchè non si accede che si limita alla realtà fenomenologica del non sentire, senza tentare di individuare quella teoria dell'uomo e della sua psiche da cui il non sentire o il sentire deriva. “Sentire” è una parola chiave nell'ambito delle discipline esperienziali. Il sentire è la via di accesso alla conoscenza e nel sentire si può conoscere. Sentire ha a che fare con la capacità di percepire sé stessi e la situazione, di riconoscere quelle emozioni represse e inconsapevoli e di accedere ad esse: sentire le proprie percezioni corporee... Nell'Approccio Empirico l'esperienza dell'ordine arricchisce il termine sentire di

o103


significati più profondi così come l'esperienza dell'ordine mostra in una luce diversa quelle parti della teoria inerenti lo stato di eccellenza e le dinamiche relazionali. Il sentire sistemico è quel sentire che allinea le proprie percezioni ai valori empirici dell'ordine. Il sentire sistemico è il sentire di chi percepisce l'ordine naturale, ne percepisce le leggi all'opera e coglie le dinamiche in atto. Ogni situazione nel sentire sistemico è percepita con la giusta carica empirica e apre le porte ad un agire consono alla carica stessa. Una situazione con una carica debole richiede una risposta debole in intensità, una situazione forte (come ad esempio un'aggressione) richiede una reazione altrettanto forte. Il sentire sistemico, ovvero quel sentire non alterato ma genuino, decifra correttamente le situazioni per la carica che hanno e la percezione non è distorta. Un sentire di questo tipo allinea all'ordine naturale, viceversa quando il sentire non è allineato ma è alterato le reazioni sono spropositate e creano un divario che chiede di essere colmato. Si crea un debito empirico che necessita di essere assolto e che si somma al debito arretrato essendo della stessa natura. Sentire e debito sistemico sono in stretta relazione nella misura in cui un sentire alterato non decifra la situazione con la carica giusta e la risposta inevitabilmente inadeguata alla carica empirica produce un gap, un debito che chiede di essere saldato. Nella misura in cui non si reagisce alla richiesta di riequilibrare l'ordine il debito si accumula fino a diventare così gravoso da essere inevitabilmente avvertito nonostante le “migliori” difese e anestesie emotive. Il debito abbassa a tal punto la qualità della vita che non si può non notarne gli effetti: malattie, problemi, stato psicofisico alterato, qualità delle relazioni scarsa o insoddisfacente sono solo alcuni degli effetti di un debito accumulato e mai assolto. In un sentire alterato ogni situazione viene decifrata non in base alla carica empirica oggettiva (fenomenologicamente oggettiva) ma viene percettivamente distorta dall'indicatore sistemico dominante. Quando l'indicatore è la rabbia, ad esempio, la persona tende ad interpretare ogni situazione come rivolta a sé trovando sempre un motivo per avercela con qualcuno alterandosi per un niente o in modo spropositato in relazione alla situazione.

o104


Sebbene l'esposizione della teoria empirica non sia parte di questa tesi, ho preferito descrivere il debito e il sentire nell'Approccio Empirico perchè è molto diverso e difficilmente intuibile rispetto ad altri approcci. È da notare che non si parla di schemi mentali, o di inconscio che difficilmente sono dimostrabili essendo appunto metafore, il debito indica un fatto esperienziale ben preciso. Man mano che il debito si accumula esperienzialmente si può riconoscerlo come un irrigidimento e tale si presenta anche all'esterno. In psicanalisi durante le libere associazioni quando c'è un irrigidimento si sa che lì c'è qualcosa di non risolto. Un punto rigido che si percepisce però nel momento in cui si “torna a sentire” tramite l'analisi empirica, prima questa percezione non è consapevole. Poco per volta si presenta come un tenersi stretto il proprio dolore, un irrigidirsi quando invece sarebbe salutare lasciar andare. Ogni debito che si accumula inerente a quell'indicatore sistemico si annida lì, come un peso che rende quel dolore meno sopportabile, ma nello stesso tempo le resistenze mirano a contrarre. È una lotta tra il tenersi stretto per paura di soffrire e il bisogno di lasciar andare, rifar fluire ciò che lì si è accumulato. Debito forse non rispecchia tutto il vissuto, tuttavia rende bene l'aspetto esperienziale del sentirsi chiamati a far rifluire qualcosa invece che tenerlo per sé. Tutta la bioenergetica ha mostrato gli effetti di questo irrigidimento che diventano anche rigidità fisiche ma mentre la bioenergetica si avventura su teorie metaforiche di stampo freudiano, l'Approccio Empirico si limita a osservare esperienzialmente gli effetti del debito. La teoria esperienziale del debito è molto vasta, ci basti osservare però come sia caratterizzata da una natura esperienziale e che in questa stessa natura trovi fondamento nella realtà fenomenologica e si renda facilmente riconoscibile quando viene esperita. È la praticità nel riconoscere e nell'esperire la natura del debito così descritto che rende la formulazione stessa efficace in un contesto esperienziale in cui il vivere in prima persona è il fondamento della conoscenza al contrario di approcci più di tipo terapeutico in cui la teoria serve al solo terapeuta come schema di riferimento.

o105


Il debito così formulato ha un aspetto pratico per il partecipante che può riconoscerlo esperienzialmente (sebbene non sia così facile e immediato) mentre l'alterazione della suo sentire diminuisce. Tramite le rigidità (che non sono solo fisiche) rileva quel divario tra il suo indicatore e le sue reazioni da una parte e la carica delle situazioni in cui ha contratto il debito. Con il tempo le situazioni critiche si manifesteranno esperienzialmente come una sorta di confusione a sentire, in cui si reagisce a caso non avendo il sentire come riferimento perchè alterato. Il sentire sarà sostituito dal cercare di capire e se il percorso nell'ambito esperienziale è stato sufficientemente lungo è possibile sentire il campanello d'allarme che indica che il sentire in quella situazione non va...

Percepire il debito esperienzialmente è un processo lungo, non è immediato. Nel mio caso è stato fondamentale l'esperienza percettiva delle energie del Miracles, i seminari sulla rabbia e lo stato di eccellenza così come le dinamiche di coppia. Ho imparato a riconoscere il debito in atto per fasi. All'inizio sentivo solo una contrazione di qualcosa che non andava che presto è diventata una visione di una sorta di energia contratta che non fluiva. Ho percepito la stessa come un insieme di emozioni. Emozioni negate che non riuscivo a liberare e a cui non riuscivo ad accedere: la sfera di energia sembra inespugnabile. Parallelamente sento una sorta di confusione mentre sono nella situazione e si rende necessaria una mia reazione e dopo, quando il debito è contratto, mi appare chiaro il sentire distorto e come le mie difese si siano messe all'opera presentandomi una realtà alterata che sembra perdere il velo proprio dopo che ho agito, riconoscendo a posteriori l'errore. Tuttavia questo cadere del velo mi permette di rilassare l'indicatore alterato e libero da esso trovo come mettere a posto la situazione.

Il termine debito riflette bene cosa accade quando abbiamo un debito con qualcuno.

o106


Sappiamo che gli dobbiamo un qualcosa, cerchiamo di non pensarci, ma poi è sempre lì. Restituendo ciò che abbiamo ricevuto tutto si riallinea e si rilassa. Qualcosa ci arriva e qualcosa restituiamo, così quella cosa fluisce. Per il debito è lo stesso: contraiamo un debito che va ad alimentare l'indicatore empirico dal quale deriva, rifacciamo fluire l'indicatore e il debito si estingue. Il debito è un qualcosa che non fluisce (a livello esperienziale) e che rifacendo fluire il suo indicatore si estingue. Le esperienze sul rilascio emotivo traducono molto bene questo fluire di emozioni (indicatori empirici) dopo essere rimasti bloccati. Tuttavia la percezione del debito all'opera lo rende utile anche mentre si è in una situazione critica in cui i nostri indicatori sono pronti a catalizzare la carica della risposta alla situazione. Se proprio non si riesce a non contrarre il debito (e non è facile evitarlo, anzi è impossibile se il livello dell'indicatore è troppo elevato rispetto alla situazione) tuttavia l'effetto dopo averlo contratto è quello di rilassare emotivamente l'indicatore e rendere evidente la soluzione empirica più adeguata per riequilibrare le energie. Tuttavia senza una chiara percezione del debito (una conoscenza teorico dello stesso non basta) l'unica possibilità dopo aver contratto il debito resta quella di “resistere”. Forse si può sentire il dolore, ma non si hanno parametri di riferimento per allentarlo e la repressione dello stesso è l'unica strategia corporea che si conosce. Il sentire medio non è così affinato da consentire mediamente alle persone di riconoscere quando vanno oltre: sono necessari eventi forti per portare alla coscienza una situazione disfunzionale (empiricamente alterata): basta notare che chi va in terapia o chi intraprende un percorso di crescita di solito approda ad esso dopo “aver toccato il fondo”. Nel presentare la possibilità di percepire il debito ho condiviso la mia personale esperienza nel percepirlo. È ovvio che ognuno ha il suo modo di arrivarci, tuttavia la cosa importante ora non era mostrare il modo in cui si arriva, ma volevo mostrare un esempio di come si potrebbe percepire. L'esperibilità del debito è una condizione necessaria per poter parlare di Approccio Empirico come teoria esperienziale, tuttavia il

o107


modo in cui lo si percepisce è ininfluente al fine dell'esperibilità o meno della teoria. All'opposto la Psicanalisi ad esempio non parla di debito ma di conflitti tra io, es e super io. Se il conflitto interiore è percepibile tuttavia non è percepibile il conflitto tra conscio e inconscio, al massimo si può rilevare a posteriori come il conflitto interiore fosse tra qualcosa di cui sono consapevole e, una volta portato alla coscienza, qualcosa che prima non era consapevole. Se l'io l'es e il super io sono funzionali al terapeuta, lo sono un po' meno al paziente che non ha parametri esperibili di riferimento. Anche quando è guarito il suo campo percettivo resta piuttosto limitato in relazione alle esperienze previste dal sistema percettivo umano e che le discipline esperienziali e l'Approccio Empirico in primis adottano come oggetto di studio.

3.10 - L'ANALISI EMPIRICA: TORNARE A SENTIRE Nel presentare il paradigma esperienziale ho messo in luce come alcuni aspetti siano comuni a tutte le discipline esperienziali, mentre altri divergono da metodo a metodo pur rientrando nello stesso paradigma. Il modo di affinare il sentire, il coinvolgimento del conduttore del gruppo così come l'utilizzo di una tecnica univoca piuttosto che diverse tecniche integrate tra loro sono tutti aspetti che all'interno della metodologia esperienziale non sono univoci ma dipendono dalle scelte della disciplina in sé. Appare chiaro che nel paradigma esperienziale si adottano diverse tecniche integrate tra loro, anzi l'aspetto tecnico è in secondo piano rispetto alla scoperta dei principi empirici. Invece non abbiamo ancora definito il ruolo del conduttore e l'affinamento del sentire. Questi aspetti sono collegati tra loro. In questo l'Approccio Empirico ha un approccio all'occidentale tipico delle psicoterapie e delle discipline con origine in occidente. Il conduttore si espone in prima persona rendendosi aperto durante le condivisioni a mettersi in gioco con il partecipante. Nel seminario ha un ruolo attivo come “incarnazione” di quelle qualità yang (quando a condurre è un uomo) o di quelle qualità

o108


yin (nel caso di una donna) e su di lui, o lei, il partecipante si rispecchia in quelle qualità e percepisce la sua reazione emotiva alle qualità stesse. In questo l'Approccio Empirico è molto simile alle psicoterapie classiche, tuttavia il seminario permette di osservare altri fenomeni estranei a setting diversi. Da quanto detto appare chiaro che l'affinamento del sentire non è mera ginnastica sensoriale, ma nasce dal ripulire il proprio sentire di quegli indicatori empirici che lo catalizzano e impediscono la percezione fenomenologicamente adeguata della realtà. A differenza di altre discipline esperienziali il solo esprimersi liberamente non è sufficiente per riallineare il sentire al sentire sistemico. Esprimersi liberamente è il primo step per vivere l'esperienza: in un setting senza giudizio il partecipante si esprime liberamente (nella misura in cui può permetterselo) e in questo esprimersi vive la sua fenomenologia. Un altro metodo è quello di sviluppare il sentire in un processo inverso. Se non si può accedere a determinati vissuti emotivi perchè dolorosi e verso i quali sono state erette difese molto forti in modo da anestetizzarsi ad essi, allora si può fare in modo che essi diventino così palesi e manifesti da non poterli più negare e quindi integrarli nella coscienza. Questo si può ottenere tramite metodi che lavorano sul corpo come ad esempio quelli bioenergetici. Gli esercizi di streaming, la respirazione tantrica e il “medusa” sono tutte esperienze che stimolano il vissuto emotivo doloroso a emergere in modo da poter essere reintegrato perché reso percepibile, nonostante il proprio sentire non consenta di percepirlo normalmente. Qualunque sia il tipo di esperienza vissuta, essa potrà essere condivisa confrontandosi con il conduttore che accoglie la condivisione e la rispecchia in base alle sensazioni che suscita in lui (o in lei), contemporaneamente però, durante le esperienze, la funzione di rispecchiamento avviene anche tra partecipanti. Il rispecchiamento empirico è una parte integrante tra le più importanti per rientrare nell'ordine: il partecipante vede negli altri aspetti di sé e vede gli effetti delle sue strategie nelle strategie che i partecipanti gli rispecchiano (questa seconda parte emerge solo nel setting del seminario essendo esclusa qualsiasi esperienza in gruppo in altri terapie, o

o109


perlomeno il gruppo si limita a un gruppo in cui si parla ma non si agisce). Il rispecchiamento empirico però non si esaurisce qui. Il partecipante integra in sé quelle strategie mancanti che invece osserva e percepisce negli altri partecipanti che più gli “piacciono”.

L'altro come esempio è una strategia alla base dell'essere umano: il

bambino impara dall'esempio dei genitori più che da ciò che loro gli dicono di imparare. Se le strategie mancanti nascono come integrazione delle strategie dei partecipanti per rispecchiamento esse però nascono anche da un altro fenomeno rilevabile solo nel seminario. Nell'energia del seminario (vedi paragrafo sul clima) il partecipante si sperimenta in uno stato psicofisico più allineato al sentire sistemico. In questo stato che progressivamente diminuirà nel rientro a casa, il partecipante può avere un parametro di riferimento in sé stesso. Quelle strategie che per rispecchiamento nel seminario sono più facilmente “attivabili” grazie ad un maggiore sentire, nel rientro a casa saranno progressivamente integrate avendole come riferimento perchè già esperite. La struttura del seminario, ovvero le metastrategie che utilizza per accedere alla conoscenza e allo stato di benessere vengono vissute in prima persona dal partecipante. La metastrategia insita nel seminario, ovvero la struttura del seminaio, ciò che è alla base, viene vissuta dal partecipante e diventa una sorta di conoscenza del corpo, di cui il partecipante non sempre ne è consapevole: il corpo sa (ha sperimentato) che ad un determinato benessere, a una determinata conoscenza ha avuto accesso secondo passaggi ben precisi all'interno del seminario. Come ho anche potuto osservare su di me, queste metastrategie rimangono inconsce ma affiorano nel momento in cui una situazione lo richiede nella misura in cui è richiesto dalla carica empirica stessa una risposta più funzionale per risolvere la situazione. Se la strategia giusta non è ancora integrata ma si riconosce che la strategia solita che precedentemente veniva inconsciamente applicata non è funzionale, ecco che la metastrategia emerge permettendo di affrontare la situazione cercando nuove strade. È una ricerca conscia della strategia perchè la strategia più funzionale, non essendo ancora integrata non emerge da sé. È come una valvola di sicurezza che scatta e che

o110


pone la situazione in una luce nuova richiedendo di trovare nuove strade per arrivare ad una soluzione più funzionale rispetto alla precedente.

Una metastrategia che uso molto è quella del rilascio emotivo. Quando sono arrabbiato per qualcosa o qualcuno evito di parlargli o di cercare di risolvere la cosa subito. Anche pensare a cosa dire o fare è inutile. A questo punto uso la strategia del rilascio emotivo: dopo una bella corsa, attività in palestra o qualsiasi altra attività fisica osservo i miei pensieri verso la cosa e la ridimensiono molto: posso veder la cosa senza farmi deviare dall'indicatore della rabbia e se empiricamente ho subito un torto posso dirlo senza che la rabbia mi travolga e quindi lo affermo senza aggredire, ma allo stesso modo non sento la rabbia così pericolosa da reprimerla per paura. Lo stesso lo uso in quei casi in cui reprimo la rabbia con molte giustificazioni. A quel punto viene fuori un'energia (che non ha niente a che vedere con l'arrabbiarsi) ma che pone le cose in un'altra luce in cui sento che le mie ragioni hanno il diritto di farsi valere ed agisco in base ad esse.

Ma la metastrategia finale è insita nella stessa teoria del cambiamento e nasce dal confronto del proprio sentire/agire con la matrice di eccellenza, intesa come la soluzione sistemicamente più funzionale nella situazione. Il confronto non ha valore di giudizio, ma offre un parametro fenomenologicamente oggettivo con cui confrontarsi. Questo confronto mantiene il processo di crescita nella direzione giusta verso la percezione dell'ordine e potrebbe essere visto come il lato yang della guida che integra l'accettazione yin nell'ottica di una teoria del cambiamento integrata e non unilaterale. Epistemologicamente la teoria del cambiamento dell'Approccio Empirico si rivela funzionale all'accesso della realtà esperienziale dell'ordine. Questa funzionalità è rilevabile dal conduttore tramite l'osservazione empirica all'interno dei seminari: la natura esperienziale del seminario mostra come il partecipante agisca direttamente in una situazione atta ad elicitare un particolare tipo di vissuto emotivo (a differenza di

o111


altri approcci in cui la reazione al vissuto è solo raccontata dal paziente). La condivisione del partecipante in relazione a ciò che si è potuto osservare mette in luce la qualità del sentire del partecipante stesso. L'osservazione empirica nel seminario ha il grande pregio di potersi avvalere dell'osservazione diretta delle strategie del partecipante e l'interpretazione che egli stesso ne da durante la condivisione. Tutto ciò è messo in relazione al termine di paragone della matrice di eccellenza fornendo dei parametri immediati e fenomenologicamente oggettivi in relazione all'ordine empirico. Se tutto ciò da un lato garantisce la coerenza interna della teoria esperienziale in termini di metodologia esperienziale (esperibilità e trasmissibilità della teoria) dall'altro non esce dalla tautologia espressa precedentemente. La realtà fenomenologica dell'ordine e la sua oggettività fenomenologica, non garantiscono tout court che si tratti del massimo grado di oggettività fenomenologica raggiungibile. Anche l'oggettività della matrice di eccellenza è un'oggettività relativa, ovvero è relativa fino al grado di oggettività dell'ordine stesso. Come posso essere certo che oltre l'oggettività fenomenologica dell'ordine non ci sia altro? È possibile di fatto che a livello esperienziale l'ordine sia uno solo degli step verso l'ampliamento del proprio sistema percettivo, ovvero del raffinamento del proprio sentire. Il problema è irrisolvibile all'interno dell'Approccio Empirico, per comprendere come si colloca l'Approccio Empirico in relazione al livello di oggettività fenomenologica raggiunto è necessario confrontarlo con altre teorie esperienziali e vedere fino a che punto i risultati convergono.

3.11 - LO STATO DELL'ARTE DELLE TEORIE ESPERIENZIALI: IL VALORE E IL MESSAGGIO DELL'APPROCCIO EMPIRICO Ciò che caratterizza la conoscenza nella metodologia esperienziale è che ad essa si accede. La conoscenza non si accumula, ma è già insita nell'uomo stesso e ad essa accede in base al suo sentire. Questo ci porta a concludere che al di là dei termini e delle descrizioni che nel corso degli anni si sono dati ai fatti fenomenologici

o112


inevitabilmente le conoscenze convergono perchè si basano su un'unica struttura di sistema percettivo. Ogni approccio esperienziale ricerca la conoscenza tramite l'esperienza ma ogni conoscenza è una conoscenza senza parole che chiede di trovare un linguaggio appropriato per essere esposta: di conseguenza teorie esperienziali diverse coincidono nei risultati mentre le loro differenze nascono nelle scelte dei termini e del focus su cui si concentrano nell'ambito del fenomeno percettivo. Oggi un numero enorme di teorie si affacciano sul panorama delle discipline di conoscenza, alcune prediligono l'aspetto terapeutico, altre sono sul versante mistico, altre sulla crescita personale e sull'automiglioramento. Alcune prediligono una tecnica precisa come la visualizzazione o la drammatizzazione e altre ancora hanno un approccio più eclettico. A fianco alle teorie esperienziali moderne se ne trovano altre molto più antiche che per la loro natura esperienziale possono rientrare in questo ambito disciplinare. Esse sono il Buddismo, il Taoismo, lo Sciamanesimo, lo Yoga... la lista potrebbe continuare. In seno alla New Age c'è stato il boom di teorie esperienziali più o meno valide, molte delle quali hanno abbandonato il movimento per percorrere e ricercare nuove vie ed in particolare per emanciparsi da ciò che stava diventando più un credo o una moda. A distanza di trent'anni dalla riscoperta dell'esperienza come conoscenza sarebbe interessante osservare qual'è lo stato dell'arte e a quali conoscenze si è giunti. È possibile trovare delle conoscenze o dei metodi in comune? Tornando alla domanda precedente, la tautologia dell'Approccio Empirico è inerente ad ogni teoria esperienziale. Ogni teoria, al di là dei termini che usa, si propone di portare il partecipante da una conoscenza A ad una conoscenza esperienziale B attraverso il sentire. La conoscenza esperienziale B è quella a cui ha avuto accesso il conduttore e che trasferisce ai partecipanti. Questa conoscenza è accessibile teoricamente a tutti nella misura in cui tutti noi condividiamo la stessa struttura del sistema percettivo, affinando il sentire si arriva a conoscere. Tuttavia non si può discernere se il sentire è al massimo grado di “ripulitura” e quindi la

o113


realtà fenomenologica è al massimo grado di oggettività oppure se il sentire è solo “ripulito” nella misura in cui permette l'accesso alla conoscenza esperienziale della teoria in questione. Sentire e conoscenza della singola teoria hanno un rapporto relativo: affermare che solo un sentire completamente ripulito può accedere alla conoscenza impone di chiedersi come si fa a sapere che solo un sentire ripulito lo permette? E se la risposta è: -perchè accedo alla conoscenza!-, allora la definizione di sentire ripulito è tautologica e si può solo affermare che un sentire SUFFICIENTEMENTE ripulito consente di accedere alla conoscenza. Inevitabilmente non si può affermare nulla sulla ripulitura del sentire in senso assoluto considerando una singola teoria. Tuttavia, poiché ogni teoria si sviluppa in seno alla stessa struttura percettiva delle altre è inevitabile che i risultati convergano ad un livello sufficiente di oggettività fenomenologica. In questi termini non ho potuto fare a meno di notare come le conoscenze esperienziali dell'Approccio Empirico siano molto vicine rispetto ad altre discipline. Il concetto di ordine e sistema si ritrova immutato nello Sciamanesimo. Le culture sciamaniche hanno una profonda percezione del legame tra ogni individuo e “tutto ciò che è” per usare un'espressione degli Indiani Americani. La relazione con la natura, gli animali e gli altri esseri umani è fondamentale nello Sciamanesimo che si occupa di conoscere quelle forze e quei poteri che derivano dagli spiriti e agiscono nella natura. Al di là dei termini ciò che evidenzia la cultura sciamanica è la connessione di ogni cosa con ogni cosa in una costante relazione sistemica. Le costellazioni familiari stesse non sono nate da Bert Hellinger, ma hanno le loro radici nella cultura africana. Il libero fluire ha una valenza rilevante nel Taoismo. Il Taoismo ha nel libero fluire, sebbene non lo chiami così il suo ambito di conoscenza (esperienziale). Il saggio fluisce con la vita, ne segue il flusso, non fa ne più né meno di ciò che è richiesto (forse di ciò che è richiesto dalla carica empirica della situazione?). La via o Tao è l'integrazione degli opposti. L'integrazione degli opposti come metodo per fluire, è identico all'Approccio Empirico, anzi per certi aspetti l'Approccio Empirico è un Taoismo

o114


occidentale, ma allo stesso modo Buddha aveva trovato il “sentiero Mediano” come metodo per liberarsi dalla sofferenza. Se nel Taoismo il saggio consiglia al principe il giusto modo di comportarsi in relazione alla qualità dell'energia della situazione (I-King) potendo accedere alla soluzione sistemica più funzionale in termini empirici, il monaco buddista mira al Nirvana e alla liberazione dalla sofferenza. La “liberazione dalla sofferenza” è un aspetto dell'Approccio Empirico in termini di assolvimento del debito: l'assolvimento del debito porta al riallinearsi all'ordine, ciò è possibile nella misura in cui si giunge allo stato di eccellenza. In questi termini l'Approccio Empirico porta una conoscenza simile al Buddismo e si può tracciare un parallelismo, uno schema: l'assolvimento del debito è in relazione con lo stato di eccellenza e la liberazione dalla sofferenza è in relazione con lo stato di beatitudine (Nirvana). Nelle diverse discipline osservate vi è uno stato di eccellenza: nel Buddismo è il nirvana, nel taoismo il saggio, nello Sciamanesimo è lo sciamano che coltiva la sua arte... Il sistema e le relazioni sono parimenti considerate: il sistema e il suo ordine nello Sciamanesimo, la soluzione saggia nel taoismo, mentre nel Buddismo è più sfumato e si riflette nel coltivare le qualità della compassione e dell'amore (che sono quelle alla base dell'ordine) e l'assolvimento del debito. Per tutte le discipline la conoscenza è un processo. Ad eccezione del Buddismo le altre discipline prevedono la conoscenza dell'aspetto energetico come parte del proprio campo percettivo e vi è sempre uno stretto rapporto tra discepolo e maestro. C'è un parallelismo intrinseco tra benessere, ordine, libero fluire, ampliamento del campo percettivo, stato psicofisico da prediligere. Tuttavia per la definizione di stato di eccellenza, di saggio e di nirvana o illuminazione (Induismo) i termini non sono automaticamente assimilabili allo stesso: lo stato di eccellenza è il ruolo integrato, mentre l'illuminato è chi si è liberato dalla ruota delle rinascite. In queste due definizioni il punto in comune è il benessere, ma questo non significa automaticamente che siano la stessa cosa. Il fatto è che in mancanza di un'esperienza diretta posso solo speculare, di conseguenza le mie affermazioni in questo momento NON hanno valore esperienziale e quindi esulano dal contesto

o115


metodologico della tesi. Mi attengo quindi all'aspetto esperienziale e mi limito a paragonare le diverse discipline per quello che è esperibile tramite esse, in particolare mi riferisco all'Approccio Empirico, evito quindi di assimilare il ruolo integrato con l'illuminato per il semplice motivo che l'Approccio Empirico prevede metodi comprovati per accedere alla percezione dell'ordine e all'integrazione del maschile e femminile, non presenta invece metodi dichiarati per accedere all'illuminazione di cui non tratta nella sua teoria esperienziale. È però rilevabile un parallelismo tra le varie discipline tra ordine e sistema, libero fluire, stato dell'essere privilegiato ed espansione del campo percettivo. Invece una profonda differenza è rilevabile nel praticante, in particolare il buddista (che vive esperienzialmente la pratica) è in maggior misura un monaco, così come nello Sciamanesimo lo sciamano è un ruolo ben preciso che non compete a tutti, nel taoismo è un po' più sfumato, tuttavia la figura di questi praticanti è quasi sempre celibe ed al di fuori della società, viceversa nell'Approccio Empirico il praticante e sempre addentrato nella società similmente al praticante di Tantra. Nel perseguire la conoscenza esperienziale chi si avvicina all'Approccio Empirico ha punti in comune con l'approccio di Osho nella misura in cui egli prospettava la figura dell'illuminato in seno alla società e il perseguire l'illuminazione nella società e non isolandosi da essa. Il pregio della sua scuola al di là della figura controversa del suo fondatore è quella di aver ideato e divulgato meditazioni tra le più funzionali. Le similitudini della sua teoria esperienziale con le altre discipline sono evidenti nella misura in cui seppe divulgare nella loro esperibilità diversi approcci filosofici orientali tra cui lo stesso taoismo, Induismo e Buddismo. Le similitudini con il Tantra sono altrettanto ovvie visto che il Tantra è parte integrante del percorso, tuttavia l'Approccio Empirico non si presenta come scuola spirituale ma sviluppa la sua metodologia per conoscere le leggi empirico - sistemiche. Considerando sempre la teoria esperienziale l'Approccio Empirico si differenzia anche da molte altre discipline che nel paradigma esperienziale si riconoscono. Danzaterapia e arti terapie, psicodramma, bioenergetica e tutte quelle che utilizzano un metodo

o116


unico. Se la bioenergetica nei fatti definisce uno stato privilegiato nei termini di mancanza di zone contratte, la sua teoria esperienziale non è parimenti definita rifacendosi molto alla psicanalisi che esperienziale non è. Le altre discipline esperienziali nei fatti non presentano una teoria esperienziale intesa come conoscenza a cui si accede ma sviluppano una tecnica a fini terapeutici e di conseguenza la definibilità di una teoria risente dell'intrinseco limite di un metodo che aspirando alla scientificità si concentra su quegli aspetti oggettivamente rilevabili e il lato esperienziale non è pienamente considerato come fonte di conoscenza che può originare una teoria. Inoltre l'utilizzo di una singola tecnica non prevede una quantità considerevole di metastrategie che consentono di accedere a conoscenze esperienziali diverse. Tuttavia giocano un ruolo fondamentale nell'ambito del paradigma esperienziale perchè consentono di selezionare quelle tecniche più funzionali nel contesto attuale in cui la pratica di una disciplina esperienziale non è riservata a pochi eletti alla quale possono dedicare la vita ma può coinvolgere tutti, ognuno con i suoi impegni familiari e lavorativi. Le conoscenze esperienziali dell'Approccio Empirico (e delle discipline esperienziali con le quali ha un parallelismo conoscitivo) si discostano inoltre da altri approcci ben delineati nel libro The Secret. Dal tipico sapore del pragmatismo americano e del comportamentismo nel libro confluiscono quelle discipline che hanno la loro base nella teoria della risonanza. Se vuoi ottenere una cosa (salute, soldi, abbondanza, gioia) la riceverai automaticamente o quasi se risuonerai con essa. Se i tuoi pensieri sono pensieri di amore allora otterrai amore, se sono pensieri di odio otterrai odio se sono pensieri di ricchezza otterrai soldi. La loro conoscenza esperienziale maggiore è inerente la legge di attrazione. Sebbene l'Approccio Empirico integri in sé questa conoscenza (nasce dal Pensiero Positivo) tuttavia non è alla base della conoscenza esperienziale che promuove attualmente. Le differenze di approccio tra le due discipline sono alla base delle differenze in relazione alle due conoscenze.

o117


In particolare si differenziano per la tipologia di metastrategie che utilizzano. Nelle discipline “The Secret” l'approccio è individualista ed è centrato su di sé e su ottenere/raggiungere. La crescita procede per successione di obbiettivi. La percezione sistemica passa invece per metastrategie che contemplano l'altro e riconoscono l'altro. La crescita “The Secret” è un approccio prettamente yang in cui l'individualità e il raggiungimento del proprio obbiettivo chiude la visione sistemica e mette la persona nel suo personale binario. È interessante notare come in metodi come questi il sentire sia quasi del tutto assente al pari di metastrategie che portano ad aprirsi più che a raggiungere qualcosa: queste stesse metastrategie le ritroviamo in quegli approcci che hanno a che vedere con la percezione delle energie dai chakra alle costellazioni familiari e al Tantra, di conseguenza quella conoscenza esperienziale è preclusa. Di fatto la crescita in termini di valori empirici è lasciata alla moralità della persona poiché questi metodi non sono automaticamente una crescita personale visto che possono essere utilizzati anche solo per aumentare i propri guadagni o trovare un compagno, senza per questo prospettare una crescita personale. Esse però hanno avuto il grande pregio di coinvolgere grandi masse di persone. Il loro ruolo è stato quello di dirigere le persone verso la “positività” uscendo dal vittimismo che genera vittime. Questi metodi portano una forte reattività nella vita e parimenti una forte vitalità tipiche dello yang. Se utilizzate in una disciplina integrata esse si rivelano degli utili strumenti per accedere velocemente alla conoscenza, ovvero arrivare velocemente ed efficacemente allo stato psicofisico desiderato. Ovviamente sull'altro versante ci sono i metodi più yin, di solito non sono neanche vere e proprie crescite personali ma metodi terapeutici, l'aprirsi all'energia senza un sostegno yang non “va verso” una crescita (“andare verso” è sempre yang) ma verso un prendersi cura (yin) e di solito sono metodi di cura e terapia energetica (della cui efficacia non è questo il luogo per discuterne) il cui pregio però è quello di permettere un riavvicinamento alle strategie yin più salutari. Tornando alla domanda iniziale, da una parte abbiamo visto come le conoscenze convergono, ma dall'altra non si potrà mai uscire del tutto dalla tautologia intrinseca ai

o118


metodi esperienziali. La conoscenza esperienziale, essendo in prima persona, presenta la necessità di essere ogni volta scoperta e riscoperta. Una verità esperienziale non è data una volta per tutte, ma il singolo è obbligato a percorrere sempre il percorso verso la conoscenza. Quando conoscere è vivere, nessuno può conoscere per un altro perchè nessuno può vivere per un altro e ogni persona è chiamata ad accettare il dono perché solo vivendo si può conoscere la vita. “La fine del viaggio” si rivela solo nella conoscenza stessa del vivere ma ognuno è chiamato a scoprirlo da solo ...nell'intimità del proprio sentire.

o119


Bibliografia Michel Hardy, La grammatica del sentire, Editori Vari, Bologna 2008 Thomas Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Enaudi, Torino, 1969 Fritjof Capra, La rete della vita, BUR, 2001 Maturana Humberto R., Varela Francisco J.,Autopoiesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Marsilio, 2001 A cura di Bruno G. Bara, Manuale di psicoterapia cognitiva, Bollati Boringhieri,Torino, 1996 A cura di Paolo Legrenzi, Storia della Psicologia, il Mulino, 1982 Elmar e Michaela Zadra, Tantra, la via dell’estasi, Oscar Mondadori, Milano, 2000 Bert Hellinger, Ordini dell’amore, Apogeo, Milano, 1998 Luise L. Hay, Puoi guarire la tua vita, Armenia, Milano, 1993

o120


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.