L'Arte Cinematografica e l'Approccio Empirico - Oriana MORCAVALLO

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LUMH Libera Università Michel Hardy FAIP Federazione delle Associazioni Italiane di Psicoterapia

L’Arte Cinematografica e L’Approccio Empirico Tesi in Counselor in Discipline Psicologiche Empiriche

Oriana Morcavallo

Anno Accademico 2011

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Indice:

1. Il film come messaggio - Film rispondente alla realtà empirica 2. L’ analisi empirica di un film - Il Cigno Nero - Finta Yin - Il passaggio nell’ombra - Finta Yang 3. La risoluzione empirica per una crescita personale e spirituale - Introduzione - Il punto di vista empirico - “Perché” - La nascita del debito - “Come” – Strategie di compensazione - “Quando” – Indicatori Sistemici - Affinità all’ombra - La risoluzione 4. Il film che parla dell’empirismo - Come portare questo messaggio attraverso l’arte cinematografica? - I modelli della società - La donna Yang - L’uomo Yin - Proposte di Soggetti - Scene Donna Yang - Scene Uomo Yin

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1. Il film come messaggio L’arte del film è quella di raccontare, attraverso immagini e suoni, una storia, un messaggio. E’ l’espressione di un soggetto attraverso l’armonia di tanti elementi, ed è proprio questo a rendere questo tipo di arte tanto completa quanto complessa, ma che, laddove se ne capiscano i meccanismi e la filosofia che vi è dietro, è capace di comunicare qualsiasi tipo di messaggio. Quando si guarda un film, tutto il nostro apparato sensoriale si sintonizza man mano con esso, ogni nostro recettore si allinea con ciò che si sta svolgendo nelle immagini che si susseguono davanti, e gradualmente ci ritroviamo partecipi di ciò che viene raccontato. Questo processo avviene sempre di più se questo film è stato “fatto bene” ovvero quanto più si avvicina al libero fluire, e quanto più lo spettatore (autore) è allineato al sentire. Parlare di film che funziona equivale a dire che sono state utilizzate rappresentazioni, attori, scene, punti di vista, che corrispondono alla realtà sistemica e che quindi lascia allo spettatore un senso di fluidità, scorrevolezza, di riscontro con qualcosa che ricorda nella sua vita, sia vissuto da protagonista che da testimone. La potenza di questa arte è l’immediatezza, in modo immediato fa provare sensazioni, la semplicità perché arriva direttamente alle emozioni, va al di là del livello mentale. L’obiettivo del film è che di fronte ad una scena, lo spettatore ne senta il “profumo”, l’atmosfera, si senta direttamente immerso nella situazione, così come nella rappresentazione della storia, entri istantaneamente in empatia con i personaggi coinvolti, sentendosi vicino a quel personaggio. Così è più facile “capire”, è più facile accogliere il messaggio che si guarda, perché si è entrati subito in contatto con quella parte di sé che risuona con le immagini che vengono mostrate, come se ci fosse una sintonizzazione emotiva che permette un collegamento diretto con il film. Ci si permette anche di assaporare emozioni non provate pienamente o solo immaginate, di entrare in contatto con parti di noi non ancora esplorate e conosciute.

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E così, come se fosse un interruttore, con un click si viene trasportati in un ambiente nuovo, si sperimenta un mondo diverso dal proprio, oppure così uguale che si rimane sbalorditi dalle somiglianze caratteriali che ci ritroviamo avere con i personaggi, diventiamo noi stessi i personaggi. Mondi a cui si aspira, o si rinnega, realtà inesplorate, non capite, oppure sublimate. Così, può capitare che, alla fine di questo piccolo viaggio, ci si ritrova arricchiti di qualcosa, una chiave di lettura per sé stessi, uno spunto per pensare a qualcosa di sè rispetto ad un qualsiasi ambito della propria vita, da quello che ci piace meno a quello che si sperimenta di più. Ecco perché ci si sente allora interconnessi, dalle stesse dinamiche, dalle stesse aspirazioni, dagli stessi sogni, e quel film non ha fatto altro che esprimerlo, raccontarlo: ha raccontato noi stessi. Quale modo migliore allora per raccontare una storia, seguirne le vicende ed appassionarsi per carpirne il messaggio che ci viene offerto, se non quello del cinema, in cui tutto diventa possibile.

Film rispondente alla realtà empirica Cosa, quindi, determina la scorrevolezza delle storie raccontate, dei personaggi, e delle ambientazioni: che gli stessi autori e registi sappiano leggere la realtà e trovarne i collegamenti, i fili sottili e invisibili che rendono più probabile o meno una scelta piuttosto che un’altra. In genere essi stessi si appoggiano al proprio sentire, determinante per tutto il film, poiché esso ne diviene l’espressione del loro mondo interiore e della loro visione. Quanto più la visione delle cose corrisponde alla realtà empirica, tanto più il film risulta scorrevole, fluente. Lo spettatore in questo caso riesce a entrare nella storia, come se sentisse a un livello profondo e quindi inconscio, che gli elementi e gli ingredienti utilizzati hanno il loro giusto posto, che tutto ha un senso, e che non potrebbe essere diversamente. Ma non è sempre facile che questo avvenga. Spesso è lo stesso autore ad essere scollegato con il proprio sentire e invece che raccontare la realtà dei fatti, utilizza dei filtri personali che distorcono il naturale essere delle cose. In questo caso ciò che produce sarà stonato e sconclusionato, nonostante comunque possa essere apprezzato.

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In termini della grammatica dell’essere, quando si guarda un film, ci si potrà trovare davanti a ruoli alterati ed integrati e situazioni e collegamenti più o meno plausibili. Se il film segue il flusso di ciò che è, allora il personaggio rappresentato e raccontato è lo specchio di un ruolo. Se questo è

alterato, avrà al suo fianco persone

altrettanto alterate, si muoverà attraverso le situazioni secondo comportamenti alterati. Se integrato avrà comportamenti più rispondenti e più o meno vicini alla matrice del suo codice. Così come reazione ad una data situazione l’interprete della carica empirica che è insita in essa stessa, sarà più o meno capace di accedervi a seconda della sua alterazione e quindi esplicitarla oppure esserne lontano e quindi avere una reazione alterata. Cit. “Ogni situazione detiene una carica energetica, pregna di ciò che le è dato di esprimere e i possibili esiti per le persone coinvolte. Questa carica rivela ciò che la situazione realmente è, definendo anche la gamma delle possibili reazioni per l’uomo. Essa definisce sia quelle che ai fini empirici si rendono legittime e praticabili, sia quelle che infrangono le leggi dell’ordine, oltre che la maniera in cui esse si manifestano sul livello emotivo.” Ed è in questo modo, e secondo anche i propri parametri, che all’interno di un film si possono scorgere ruoli più o meno alterati e notare le scelte, del regista o autore, di che tipo di persone sono state affiancate e quali reazioni e azioni vengono messe in atto.

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2. L’analisi empirica di un film L’analisi empirica è l’analisi della realtà secondo la grammatica dell’essere. Tutto può essere espresso in termini empirici, poiché ogni cosa rientra nel sistema in esso rappresentato. In questo caso, essendo come oggetto di studio l’arte cinematografica, l’analisi empirica viene utilizzata per descrivere e analizzare ciò che viene rappresentato nel film. Così, come nella vita reale, si possono vedere comportamenti e dinamiche, si possono studiare i personaggi e le loro azioni da un punto di vista empirico. Si cercherà quindi di entrare in risonanza ed entrare in connessione con ciò che viene rappresentato nel film, ma allo stesso tempo rimanerne al di fuori, per poter riuscire a darne una visione oggettiva e permettere la vera e propria descrizione empirica. Nell’analisi del film quindi si possono scorgere tutti i ruoli empirici, sia alterati che integrati, e ve ne si può dare una descrizione, come anche una motivazione sulla scelta delle azioni che essi compiono (a seconda sempre che l’autore abbia interpretato di fatto la realtà), ed anche sui tipi di relazioni e sulle scelte dei tipi di coppie rappresentati.

Il film scelto è specchio delle maggiori ossessioni e problematiche che riguardano il genere femminile dei nostri tempi. Uno specchio di una società creata da noi stessi, che premia l’eccessivo sforzo per raggiungere un risultato, facendo diventare, chi segue questa trappola, una bomba autodistruttiva. Se per gli uomini questa spinta in avanti, data dalla propria parte ombra, ovvero la rabbia, costituisce comunque un proprio diritto, per la donna che la sperimenta risulta dissacrante e se portata ai limiti estremi arriva all’autoannullamento. Non dando valore ai propri diritti yin, a causa di un debito consistente, si va incontro ad un veloce e pericoloso degrado empirico.

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Il Cigno Nero Il film proposto è “Il Cigno Nero”, conosciuto anche come “Black Swan”, di cui se ne riporta in breve la trama: tratto da www.cignoneroblackswan.it:

il film segue la storia di Nina (Portman), una ballerina in una compagnia di balletto a New York, la cui esistenza, come avviene per tutte le ragazze impegnate in questa professione, è completamente assorbita dal ballo. Lei vive assieme alla madre, la ballerina in pensione Erica (Barbara Hershey), che sostiene fortemente l’ambizione personale della figlia. Quando il direttore artistico Thomas Leroy (Cassel) decide di rimpiazzare la prima ballerina Beth (Winona Rider) per la produzione che apre la nuova stagione, Il lago dei cigni, Nina è la sua prima scelta. Ma Nina ha una concorrente: la nuova ballerina Lily (Kunis), anche lei in grado di impressionare Leroy. Per il lago dei cigni c’è bisogno di una ballerina che possa interpretare il Cigno bianco con grazia e innocenza, ma anche il Cigno nero, ingannevole e sensuale. Nina si cala perfettamente nei panni del Cigno bianco, ma Lily è la personificazione del Cigno nero. Mentre le due giovani ballerine trasformano la loro rivalità in un’amicizia contorta, Nina comincia a conoscere meglio il suo lato oscuro e lo fa in maniera tale da essere distruttiva.

Il film vuole chiaramente raccontare una metamorfosi psico-corporale della protagonista, il suo percorso di crescita, attraverso una serie di passaggi precisi e fluidi che si concatenano gli uni con gli altri. Vengono messe in campo una serie di dinamiche personali e intrecci che rispondono bene a ciò che accade in realtà, tenendo conto ovviamente della personale interpretazione artistica del regista e delle sue scelte stilistiche. In termini empirici, quello che viene descritto è il passaggio da finta yin a finta yang attraversando l’ombra. Ci si ritroverà davanti ad una scalata nei meandri dell’inconscio della protagonista, percorrendo assieme a lei tutte le ossessioni, le paure, la rabbia che man mano si scopre portare dentro. Una 7


scalata inarrestabile nell’ombra, che la aiuterà si a crescere, ma che se non tenuta con le dovute briglie sarà anche causa della sua fine. La descrizione che si vuole presentare segue un ordine temporale che si adegua ai passaggi del film, accanto ad essi si espone il riscontro empirico.

Finta yin Da subito ci rendiamo conto che il film è incentrato su un personaggio femminile, e sulla sua visione del mondo, siamo accanto a lei, vediamo con i suoi occhi. Nina, la protagonista, è una ragazza che si impegna in tutto e per tutto per diventare la prima ballerina di una compagnia di danza classica. Ogni giorno si allena, tiene costantemente sotto controllo la sua alimentazione, tutto ciò che fa è per un unico scopo, la perfezione, che secondo il suo modello si raggiunge tramite esercizio e tecnica e il rispetto di certe e determinate regole autoimposte. Da subito si notano le caratteristiche della “brava bambina”, che assume proprio questo tipo di atteggiamento, rispondendo costantemente alle aspettative altrui: non è in grado di dar spazio ai propri diritti, né di ascoltare i propri bisogni, percepisce se stessa come inadeguata, ha deduzioni alterate e perde il contatto con la realtà. Il suo comportamento è sempre remissivo, non sostiene le proprie convinzioni o i propri diritti, ha un senso di colpa ingente. Nel film, tutto questo si esplica soprattutto nel rapporto con la madre, infatti si nota subito che il rapporto è compromesso, e la ragazza non ha saputo prendere la responsabilità della propria crescita. Anche la composizione della sua stanza ci parla di questo: piena di oggetti, peluche, suppellettili di colore tenue tendente al bianco, il colore dell’innocenza, in cui lei ha vissuto fino ad ora. Apparentemente questa persona non esprime in nessun modo rabbia, e si potrebbe dire di avere un carattere dolce e remissivo. Man mano che scorre il film però, si comincia a notare in piccoli particolari, qualcosa di strano nella sua vita, come le allucinazioni che riguardano se stessa in altra veste, ed è un segno distintivo di un qualche squilibrio interno che si 8


percepisce solo a tratti. Man mano, i suoi atteggiamenti così dolci e vittimistici sono accompagnati da episodi molto forti, in cui ci rendiamo conto, assieme a lei, che c’è qualcosa d’altro che la accompagna nella vita. Cominciamo a renderci conto che in lei coesiste un’altra parte, tenuta nell’ombra, e di cui comincia a prenderne consapevolezza a piccole gocce. Tutte queste caratteristiche ci fanno presupporre che il personaggio abbia già un degrado empirico che va oltre la yin alterata, e che sia già nel passaggio con la vittima rabbiosa finta yin. Ci rendiamo conto che questa sua parte nell’ombra è stata repressa da troppo tempo e che l’accumulo di rabbia repressa sta cominciando a prendere posto nella sua vita anche all’esterno, confermandoci di assistere ai moti di una vittima rabbiosa. La protagonista si ritrova sempre di più a fare i conti con la sua rabbia arretrata non integrata, che viene alimentata ogni giorno. Un elemento indistinguibile, che è la prova di questo suo processo interiore, è il graffio che lei ha su una spalla, da se stessa provocato, e di cui lei sembra non accorgersi o fare caso. Il graffio che non va via sulla spalla ci dice che è costantemente sollecitato, e quindi che la sua rabbia verso di sè ha già trovato una sua iniziale espressione di fianco al suo comportamento remissivo. La sensazione generale è che coesistono 2 personalità nella protagonista, l’una in luce e l’altra in ombra, ancora sconosciuta ma presente. L’origine di questa seconda personalità in lei è frutto di questa sua rabbia non espressa che lei stessa costantemente alimenta da ruolo di vittima, vittima della madre, del suo insegnante, delle amiche e soprattutto di se stessa (cosa che si perpetua per tutta la sua trasformazione). Si nota subito come il rapporto con la madre è di tipo morboso, la protagonista si vede e viene trattata dalla madre come una bambina, incapace di badare a se stessa. C’è una dipendenza affettiva molto forte, non si vedono figure maschili in casa, quindi probabilmente è stata cresciuta dalla madre. Nina si rifugia in lei quando si sente in pericolo, quando sta male. Le chiede consiglio e le permette un’invasione a tutto campo nella sua vita. Questo si nota dal fatto che nella sua camera da letto la madre è sempre presente, e non c’è spazio, né viene rivendicato, 9


lei ne è completamente succube e non riesce a disubbidirle anche in presenza e in nome dei propri diritti. E’ questo rapporto che principalmente fa crescere della rabbia arretrata in Nina, soprattutto verso se stessa, come le punizioni che si autoinfligge, cominciando con il graffio della spalla e proseguendo poi con cose sempre più forti e che sfuggono al suo controllo, perché non troverebbero altro modo di esprimersi se non con uno switch totale da se stessa. L’impossibilità a sostenere se stessa ed i propri bisogni è segno di un senso di colpa sovrastante, nei confronti di se stessa e quindi della madre. La madre infatti è stata anche lei una promessa ballerina, ma non essendo riuscita ad emergere e avere dei riconoscimenti, porta un grande rancore. Questo rancore viene ogni giorno espresso attraverso continui dipinti di se stessa e della figlia alla quale viene consegnato direttamente. Un senso di risentimento per non essere stata riconosciuta e apprezzata, e soprattutto aver abbandonato la carriera per diventare mamma, cosa di cui colpevolizza la figlia. E così la madre ha una cura eccessiva della figlia, decide per lei, la invade in ogni momento nella sua camera non lasciandole dello spazio per se stessa, non lasciando che la figlia abbia una sua identità, per crescere, e continua a vederla come una bambina, che ha bisogno del suo carillon per dormire.

Il passaggio nell’ombra Quando Nina si ritrova a confrontarsi con il mondo esterno, trova delle difficoltà e questo unito alla sua rabbia imperante da vittima rabbiosa costituisce il cocktail per una rapida ascesa nell’ombra. Comincia a notare fra le ragazze del corpo di ballo, Lily, una ballerina dai modi sensuali, atteggiamento a cui lei ha negato l’accesso. Comincia a specchiarsi quindi in questa ragazza vedendola sia come nemica che complice. E’ proprio tramite essa infatti che la protagonista riesce a esprimere la sua rabbia, come fosse un catalizzatore per lei, e nonostante a prima vista sembrino l’esatto opposto, la nuova ballerina riesce ad esplicitare quello che la protagonista ha dentro ma che non riesce a far uscire. Non avendo integrato la sua ombra, infatti, la proietta sugli altri, e soprattutto sull’esponente che la detiene

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maggiormente e in cui si riesce a specchiare, e di cui lei stessa ne fa da specchio. Le polarità opposte quindi che si attraggono, essendo l’una finta yang (Lily) e l’altra finta yin (Nina). Questa forte attrazione per il diverso da sé è l’’unico elemento che Nina trova per uscire dal ruolo di bambina e staccarsi così dalla madre. Essendo prototipo della finta yang, Lily si rivela essere tutto il contrario di Nina: una donna forte e determinata, dal carattere forte, sicura di sé, disinvolta, seduttrice. E’ attraverso di lei che Nina riscopre una parte di sé completamente atrofizzata, soprattutto quella sensuale/sessuale. E’ l’unica che riesce a colpire la sua attenzione e in questo misto di invidia e ammirazione, si lascia accompagnare nell’ombra. Dopo questa iniziazione, che segna già che il degrado empirico sta avanzando, Nina comincia ad avere più approcci con la sua rabbia che le permette di sostenere i confronti con la madre in una nuova maniera. In un crescendo di tensioni Nina riesce a tener testa e a difendere i propri diritti, cominciando a riversare verso la madre la rabbia fino allora accumulata. Questo comportamento ci fa comprendere come il processo stia procedendo verso la cuspide finta yin-finta yang, nonostante lei stessa ne è sbalordita.

Finta yang Non appena Nina accede ai moti dell’ombra, non avendoli mai integrati e conosciuti si lascia man mano gestire da essi e così questi prendono il sopravvento. Come una crepa di una diga, mano a mano vediamo come la sua rabbia infinita e nascosta comincia a voler prendere un posto sempre più ingente sulla sua vita. In questi continui scambi di personalità, la Nina-cigno nero comincia ad avere sempre più posto e comincia a fare male, soprattutto a se stessa. Questo perché la gran parte della rabbia Nina ce l’ha verso se stessa e verso la madre. Quindi ad un tratto si vede capace di cose a cui prima non aveva accesso, nascondendo dietro il suo slancio di competizione, il desiderio di morire e autoannullarsi. Vuole raggiungere la perfezione nella sua esibizione in ogni modo anche a costo di soccombere sotto la sua stessa spinta. Comincia ad essere maliziosa, di mostrare quella parte di sé 11


sempre tenuta nascosta e mai integrata. Nonostante sia ad un primo passo verso il distacco con la madre continua ad essere una bambina, ma questa volta permalosa e vendicativa e sente il diritto di essere perfida. Soprattutto nella scena finale, quando avviene la trasformazione in cigno nero, i suoi tratti fisici sono praticamente cambiati, soprattutto gli occhi, lo sguardo e la presenza. Anche sullo schermo viene rappresentata, riscontrandosi ampiamente con la realtà empirica, una ragazza che si compiace nel ruolo della conduttrice e della donna di potere e narcisa. Qui il senso di rivalsa è cresciuto a tal punto da superare il proprio livello di paura, ed esprime un impeto emotivo rivendicativo. Non avendo però un punto di riferimento ed in luce, questa sua parte prende il sopravvento completamente, non lasciandone alcun libero arbitrio sulla sua vita. Così in questo misto di dinamiche, lei si identifica completamente con l’ombra e soccombe sotto di essa, nonostante nel suo sguardo finale, comprende a cosa la ha portata tutto il processo.

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3. La risoluzione empirica per una crescita personale e spirituale

Introduzione Prendendo spunto dalle dinamiche rappresentate nel film, ciò che a livello di salvezza della propria anima serve è l’integrazione di quella parte che la protagonista non è stata in grado di gestire e che generalmente viene chiamata “ombra” o parte nascosta di sé. L’ombra della personalità è una realtà misteriosa che affascina e a volte fa paura, e a seconda della nostra maniera di considerarla e di interagire con essa diventa una nostra amica o nemica. “L’ombra è tutto ciò che abbiamo rimosso nell’inconscio per paura di essere respinti dalle persone che hanno giocato un ruolo determinante nella nostra educazione.” Per paura di perderne l’affetto, soprattutto durante l’infanzia, e quindi imparando a distinguere quello che era accettabile o meno ai loro occhi, una larga parte di noi stessi è stata coperta e messa da parte. Per un bisogno di apprezzamento ci siamo conformati alle esigenze e alle regole dell’ambiente circostante. Quindi non era ben visto affermare se stessi, e così a poco a poco si è costruito in fondo a noi un vasto mondo sotterraneo, fatto di repressioni e rimozioni accumulate nel corso degli anni. Quello che si è coperto di volta in volta però, non sono stati solo comportamenti anti-sociali e poco decorosi, ma anche tutti i talenti e i propri doni. Il punto è che se questi elementi soffocati non vengono accolti e integrati, essi sopravvivono e cercano di affermarsi. Tanto più sarà lo sforzo per coprirli, tanto più li si nutrirà e tanto più sarà il rischio di esserne sopraffatti.

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Il punto di vista empirico L’anima si scopre in pace quando, sul piano del proprio sentire, la persona è allineata con l’ordine armonico. Una circostanza, questa, in cui il singolo sperimenta uno stato di chiarezza e di serenità, oltre a una condizione di equilibrio interiore. Il suo sentire, il suo mondo emotivo e l’intero stato del suo essere ne beneficia e si riconosce nella sua pienezza. Tutto cambia, invece, in presenza di un debito empirico arretrato e persistente, in cui la persona non vede più la realtà per quella che è ma la “filtra” attraverso il proprio debito.

“Perché”- La nascita del debito Ogni volta che un bambino riceve una qualità d’amore insufficiente, secondo i parametri empirici, si apre un debito nei suoi confronti. Gli effetti possono essere molteplici, coinvolgendo tutti le parti del suo Io e, più avanti, anche del Sé, qualora non avvenga una risoluzione del conflitto. Ogni scostamento dal libero fluire, ossia dall’equilibrio naturale, segnala un debito in atto. Qualità di amore insufficiente comprende situazioni e comportamenti che possono essere sia restrizioni, sia libertà eccessiva, ma anche un senso di merito alterato come uno stato di ego iper-trofico. Questa consegna familiare, viene portata da noi stessi avanti, muovendoci inconsapevolmente lontani dal libero fluire continuando ad accumulare debito. Poiché si rimane fedeli a ciò che ci è stato insegnato e a quanto la nostra stirpe ha accumulato, agiamo automaticamente secondo gli stessi parametri e con gli stessi filtri distorti.

“Come” - Strategie di Compensazione La comparsa di un moto emotivo dominante segnala sempre l’esistenza di un debito, qualsiasi sia la sua qualità. Più pesante è la qualità di un debito, più evidente

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diventa anche l’alterazione emotiva correlata, necessaria per coprire la forza disarmonica su un piano profondo. Questo perché ogni debito trattiene un dolore non evaso, e la paura di questo dolore non permette di risolvere e riscattare il debito. Per questo la persona crea una serie di strategie compensative, atte a tenere a un livello nascosto e inconsapevole questo dolore trattenuto, in modo tale da non avvicinarvisi. Chiunque, per non sentire un dolore lacerante, mette in atto un’infinità di strategie di compensazione che, col tempo, vengono integrate nel bagaglio personale che neanche la persona stessa è più in grado di poterle individuare come tali. Esse gli sembrano completamente “normali” al punto da confonderle con il proprio carattere e la propria personalità. Strategie, queste, che formano con l’andare del tempo un vero e proprio copione, una maschera attraverso la quale affrontare il mondo, ossia un ruolo compensatorio. Esso ha la funzione di ingannare il soggetto e il mondo attraverso una precisa messa in scena che ha come un unico scopo quella di camuffare ermeticamente il debito. Così ciò che si è subito da bambini, ciò che non si è ricevuto, quello di cui si è stati privati, ogni separazione, abbandono o tradimento, trovano il loro posto dietro tale maschera, sentendosi protetti da essa. Ogni debito viene compensato e integrato nel proprio profilo personale, allo scopo di non percepirne il dolore. Ciascun diritto infranto trova il suo posto sotto tale copertura e non deve più essere evaso, in quanto diventato invisibile. Ogni strategia di compensazione ha, tuttavia, come unico scopo la rimozione del dolore, il quale nasce dalla separazione dell’anima dal libero fluire. Per quanto l’uomo vorrebbe “raccontarsela”, facendo finta di nulla, soffre terribilmente per tale distacco.

“Quando” - Indicatori Sistemici Man mano che gli effetti del debito diventano insostenibili, non riusciamo più a fare finta di nulla. Soltanto qualora le alterazioni empiriche, da noi stessi creati per compensare il buco emotivo,

superino una soglia preoccupante, iniziamo a

percepirle come minacciose e fuori dalla norma. Questo accade quando il nostro 15


debito è diventato già così ingombrante da incidere in maniera pesante sulla nostra vita. Solo allora ci accorgiamo che sarebbe indicato “contro-sterzare”, poiché questa tendenza rischia di compromettere l’intera esistenza. Tuttavia fino a tal momento evitiamo accuratamente ogni presa di coscienza sul fatto che potrebbe essere lo specchio di una posizione empirica compromessa. Una responsabilità scomoda, questa, che ci riporta le nostre responsabilità non evase, presentandocele come un debito empirico maturato con il tempo. Secondo degli indicatori che l’ordine utilizza per segnalare l’arretrato, ogni squilibrio favorisce alcuni moti emotivi o ne accresce altri: qualora fosse la rabbia il segnalatore preposto a una data infrazione, esso s’impone su qualunque altra emozione; così anche la paura prevarica su qualsiasi altro moto naturale, insito nel sentire genuino del singolo; nello stesso modo il senso di colpa o quello dell’inadeguatezza generano lo stesso effetto, imponendosi sul suo equilibrio di base. Più grande è il debito acquisito, più espanso ha bisogno di essere anche il suo lato compensatorio, così l’egocentrismo, la vanità, l’esagerazione, il vizio, l’ambizione fuori misura, critica e giudizio, l’individualismo sfrenato o la necessità continua di forti emozioni, costituiscono soltanto alcune degli effetti di una compensazione naturale. Nel caso dei moti d’amore interrotti, l’indicatore è costituito dalla rabbia che l’interessato sperimenta in modo diverso a seconda del ruolo di compensazione acquisito. Se il ruolo si distingue attraverso un eccesso Yang (l’uomo Yang alterato, la donna Yang), la rabbia diventa la sua spinta principale. Qualora, invece, mostri una sovrabbondanza Yin (donna Yin alterata, uomo Yin), l’indicatore in questione viene rifiutato e rimosso, e il singolo si nega ogni spinta rabbiosa. Nonostante la persona neghi o tenti di rimuovere questi indicatori, essi crescono all’ombra del proprio nascondiglio. Questo tipo di indicatori sistemici sono chiamati passivi, poiché costituiscono i moti che si muovono nei sotterranei della coscienza e che non vengono presi in considerazione.

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Il singolo, infatti, tenta di rimanere nel ruolo compensatorio, che rappresenta l’indicatore attivo, a tutti i costi, senza farsi scalfire dagli indicatori passivi poiché costituiscono ciò che più teme al mondo. Ogni forma di alterazione empirica, ossia ciascun ruolo compensatorio, possiede indicatori passivi diversi. Questi ultimi crescono lentamente nella sua ombra fino a quando non possono essere più contenuti. Solo a tal punto la persona prende, suo malgrado, atto di quanto succede, non essendo più in grado di aggirare gli impulsi emotivi dell’indicatore. Così le figure che riportano un’alterazione Yang, ossia un eccesso di tale carica come indicatore attivo (uomo Yang alterato e donna Yang), sono costrette ad affrontare la propria paura, l’inquietudine e l’ansia rimossa per decenni. Così il gruppo degli Yin alterati (donna Yin alterata e uomo Yin) affronta la propria spinta rabbiosa fino ad allora rimossa. Gli indicatori passivi rappresentano la parte più repressa della persona e costituiscono l’opposto di quello che la persona si ammette. Ma per quanto gli indicatori primari sembrano dominare l’assetto emotivo, sono gli indicatori passivi quelli destinati a crescere con il passare degli anni. Più gli indicatori passivi vengono repressi, più si manifestano con l’andare del tempo come forza travolgente e predominante. Essi fanno cambiare perfino i tratti di personalità di chi li sperimenta, facendo diventare gli angeli dei carnefici e i carnefici degli angeli, secondo i propri ruoli compensatori. Gli indicatori passivi costituiscono la parte mancante del proprio assetto emotivo in quanto rappresentano ciò che maggiormente spaventa la persona. Per coloro che hanno sviluppato un eccesso d’energia Yin, avendo come indicatore attivo la paura, la tristezza o il senso di colpa, quello passivo è rappresentato dall’energia Yang. La sua massima rappresentazione è costituita dalla rabbia, impulso tanto temuto quanto esorcizzato da ogni portatore di eccesso Yin. Quest’ultimo si avvicina lentamente alla sua spinta aggressiva repressa, la quale cresce in sordina fino a quando non diventa predominante: si tratta della rabbia repressa della vittima, della vendetta della brava bambina e del moto aggressivo mai ammessosi di chi subisce la vita; essa contempla la rivalsa di chi sente di non aver mai avuto la sua chance e di chi esige soddisfazione dal mondo. Se l’indicatore attivo della vittima, ha a che fare con la paura, la tristezza e il senso di colpa, quello passivo è costituito 17


dalla sua rabbia repressa. I moti mancanti, infatti, ossia gli indicatori passivi, esprimono sempre la parte che la persona necessita di integrare per poter tornare al libero fluire. I moti attivi sono quelli che evidenziano il proprio eccesso di carica opposti a quelli passivi. Infatti, è la sua rabbia a crescere esponenzialmente con l’andare del tempo, fino a sovrastare alla fine l’indicatore attivo. L’uno si sviluppa dall’altro, essendo la rabbia il prodotto delle sue strategie vitali represse. Nel momento in cui l’indicatore passivo sovrasta definitivamente quello attivo, costringerà la persona a cambiare il proprio ruolo compensatorio. Così ogni vittima diventa, con l’andare del tempo, un carnefice. Si tratta di un processo di compensazione naturale, che però porta la persona a soccombere per l’eccesso del proprio indicatore passivo, ma che così facendo spinge il singolo a risalire a quanto rimosso, al fine di ripristinare l’equilibrio del fluire armonico.

Affinità all’ombra Il terrore di rivivere lo stesso abbandono del passato, porta una precisa necessità della persona, quella di sentirsi attratta dal buio invece che dalla luce. L’accrescere del nostro indicatore passivo ci spaventa e disorienta, poiché sentiamo avanzare la minaccia della nostra parte ombra. L’ombra appartiene a un ordine preciso, facendo essa parte della genesi e dei suoi principi universali e segue delle leggi empiriche ben precise. La rabbia, l’invidia, la paura, il senso di colpa, la vigliaccheria e tutte le altre emozioni più temute dall’uomo si imbastiscono secondo quest’ordine. Si tratta dello stesso ordine che determina anche il lato luce, quello legato ai moti vitali, in quanto l’ordine non distingue tra vita e morte, tra bene e male, non preferendo l’uno all’altro. Le componenti di entrambe si trovano in un rapporto di equilibrio dinamico, in quanto correlate tra loro in maniera indelebile. I moti vitali nascono da quelli d’ombra, completandosi in maniera reciproca e senza la possibilità di esistere in maniera dissociata. Nel momento, però, in cui egli accumula un debito, l’assetto naturale tra le parti si espande e perde il suo equilibrio naturale e l’ordine utilizza gli indicatori sistemici

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come per segnalare questo debito arretrato. Se si acquisisce un debito di base ingente anche la sua attrazione verso l’ombra sarà consistente, nel caso contrario invece rimarrà collegato con quelli dell’amore. Soltanto elaborando e integrando le ferite del passato riuscirà a lasciar andare anche la propria affinità all’ombra e il suo bisogno del dolore.

La risoluzione L’eccesso di un’emozione, come anche la sua mancanza, all’interno dell’assetto emotivo costituisce una segnalazione empirica precisa. Così gli indicatori attivi rivelano come poter riportare la persona all’interno dell’ordine armonico, ovvero come farlo avvicinare al proprio indicatore passivo vissuto da sempre con terrore e rifiuto.

Questa ricomposizione può avvenire soltanto affrontando i propri moti soppressi ossia quelli che portano verso l’ombra. Ogni maturazione dell’uomo, ogni sua crescita personale, passa attraverso questo confronto e nasce dal fatto di aver attraversato un passaggio di dolore preciso. Esso gli fa acquisire maggiore spessore umano, concretezza e presenza. Soltanto esplorando e integrando la propria zona d’ombra si può accedere a uno stato empirico naturale e completo, collegandosi maggiormente con il livello della coscienza sistemica. Ogni avvicinamento alla zona d’ombra esige l’abbandono del proprio stato d’innocenza, costringendo la persona ad accostarsi al proprio arretrato empirico. Così entra in contatto con le sue ferite nascoste, la rabbia, la colpa e l’amore mancato, risalendo lentamente alle qualità delle strategie di auto-boicottaggio. Tale confronto accresce la sua consapevolezza poiché gli permette di aprire nuove crepe nella corazza della coscienza personale, e comincia ad avere visioni più vicine alla realtà empirica e quindi viene obbligata ad aprirsi a ciò che è. Un avvicinamento, questo, che può svolgersi esclusivamente sul livello empirico, ossia attraverso la fenomenologia del proprio sentire, rimettendosi in contatto con le emozioni bloccate o rinnegate. Soltanto penetrando negli arretrati e rievocando i sentimenti sommersi, la persona riesce a entrare nuovamente in contatto con il

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fluire. In questo processo affronta la sua paura, i suoi rancori, la vergogna, l’imbarazzo e il senso di colpa, man mano che prosegue nel percorso. Ogni volta che smaschera dei tabù personali trasforma i propri limiti e le sue false credenze, evadendo una parte del debito. Così l’unica maniera per potersi avvicinare a un equilibrio reale e oggettivo è dato quindi dall’integrazione delle due parti: lato luce e lato ombra. L’ordine riconosce l’inclusione come unico principio vitale, in quanto ogni moto differente, codificato come esclusione, si basa su strategie di chiusura. Solo così può generare una realtà empirica stabile e non compromessa, attraverso un atto di integrazione.

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4. Il film che parla dell’empirismo

Come portare questo messaggio attraverso l’arte cinematografica? Attraverso le dinamiche che si affrontano durante il percorso di crescita, mano a mano si è capaci di sviluppare un sentire più collegato al libero fluire e in questo modo, analizzare la realtà che ci è attorno e vederne degli squilibri, soprattutto attraverso l’esperienza diretta. E’ facile notare il grado di insoddisfazione e di poco benessere che riguarda la maggior parte delle persone sia di sesso femminile che maschile, che prendono posto nella società, e che, quindi, risultano scollegate dal proprio sentire. Quale modo migliore allora di prendere come esempio le figure che maggiormente si trovano fuori posto, e che aumentano con il passare degli anni, per raccontare l’esistenza della realtà empirica attraverso l’arte cinematografica.

I modelli della società Il modello femminile e maschile nella società risulta infatti completamente inversi, portando a vedere dei ruoli prettamente maschili come femminili e viceversa. La donna in carriera ne è un esempio eclatante e tutt’ora non si è stati in grado di risolvere le problematiche che essa stessa affronta nella vita di tutti i giorni e delle difficoltà in cui si trova. Come un atto compensatorio, anche il ruolo maschile risulta alterato in quanto non in grado di autoaffermarsi come vorrebbe o essere in uno stato di benessere. Si tratta quindi soprattutto del ruolo della donna yang alterata e dell’uomo yin alterato. La corsa al consumismo e la rivincita del potere femminile, sono il motore portante di questo stato, in cui si fa difficoltà a trovare in sé delle risorse e affermarle nel mondo come importanti e preziose.

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La donna yang Di seguito si vuole dare una primaria descrizione della donna yang, che comprende sia la finta yang che la donna yang. La donna yang alterata si presenta come una donna sicura e determinata e dal “carattere forte”. Lei ha forza e irremovibilità, tende al controllo, gestisce, giudica, critica, disapprova e punisce. Si identifica in qualità prettamente maschili, yang, e reputa deboli quelle femminili, yin. Si mostra emancipata ed indipendente e fa di tutto per non sembrare ingenua o impreparata, sa essere leale, avendo idealmente un grande senso di appartenenza a ciò in cui ha deciso di credere. Non può fare a meno delle emozioni forti, essendo dissociata dall’amore, ha bisogno di riempire il suo senso di vuoto attraverso surrogati emotivi forti e persistenti, ma d’altra parte percepisce un vuoto profondo e una solitudine pronunciata. Non ha spazio, detesta tempi troppo lenti e non ha pazienza, manifesta l’esigenza di volere tutto e subito. E’ la donna vamp o seduttrice per eccellenza, sa atteggiarsi in maniera fascinosa (yin) ma al contempo dissacrante, prevaricante e sfidante (yang), è un’ottima mediatrice e manipolatrice. E’ incapace di accettare le situazioni per quelle che sono, lotta con il destino, rifiuta la realtà. In quello che fa non si arrende mai, sta male nella serenità, nella gioia o nell’armonia, avverte questi stati come mancanza di tensione vitale, ciò descrive la sua affinità al dolore. Dà soltanto con l’intento di ricevere, nutre un senso di rivalsa profondo, esige sempre qualcosa in cambio al suo donarsi. Il suo moto preponderante: spinta in avanti, poi necessita di un elevato livello di controllo per gestire la propria propulsione e tenere a bada la rabbia. Per quanto riguarda la seduzione utilizza dei modi aggressivi e si impone sul maschile, infatti ostenta ed enfatizza il proprio corpo con l’abbigliamento, delle volte ha grande eleganza e quindi mostrando una grande affinità all’ombra.

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L’uomo yin L’uomo yin vive l’eccesso del proprio lato femminile, identificandosi con qualità prettamente femminili che gli conferiscono dolcezza, sensibilità, morbidezza, creatività. E’ un uomo seduttivo, scherzoso. A lavoro, porta morbidezza, vuole sdrammatizzare, ma è anche permaloso e ansioso e se la prende più facilmente, è più preoccupato e ha una costante paura di essere licenziato. Lui subisce l’autorità del capo e si aggrega alla donna yang perché sente che lei ha una spinta yang che a lui manca e si protegge sotto di essa. E’ un buon comunicatore, evita slanci aggressivi e rabbiosi, brama ad avere potere ma sente che ancora non lo può sostenere. Si sente inadeguato e si percepisce come debole e perdente e fa una gran fatica per non esprimere costantemente questa sensazione. Si rende disponibile e a seconda se è entrato o no nel ruolo della vittima rabbiosa è vendicativo e esige rivalsa, anche se non lo mostra apertamente, di norma agisce con modi subdoli e non dichiarati. A volte si identifica con atteggiamenti più raffinati e sofisticati, sentendosi superiore alla rozzezza del mondo maschile. E’ un buon esecutore, ma non sa dare ordini né si sa imporre con il proprio stile di guida. Mentre diventa sempre più rigido al lavoro è troppo permissivo a casa, troppo duro quando non è il caso e troppo accondiscendente quando la situazione richiede più fermezza. Esegue ogni ordine in maniera minuziosa e con perfezionismo, ma è incapace di prendere la responsabilità per un cambio improvviso. Questo ruolo continua

a

distinguersi

attraverso

la

mancanza di carica yang, compensandola con attitudini e qualità yin. Si caratterizza attraverso l’ipertrofia del proprio lato femminile, attribuendo ad esso le cause della propria debolezza e quindi invece di integrare la carica secondaria, la rifiuta. Più accumula risentimento (finto yin) più diventa un battagliero ragionato, per quanto

stizzoso

e

pignolo.

Evita

le

responsabilità yang, subappaltandole alla sua partner. Allo stesso modo vuole sentirsi

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uomo e quindi ha un’apparenza yang nel vestire. Il finto yin può diventare un capo, ma mai capobranco, ed evidenzia un iper controllo su tutto con l’unico fine di placare la propria paura, per esorcizzare la sensazione di minaccia che avverte dal mondo.

Proposte di Soggetti Di seguito un esempio di come potrebbe essere portata a livello filmico la realtà empirica, cioè inscenando situazioni in cui l’oggettività della stessa sia plausibile e riscontrabile per la maggioranza degli spettatori, scene in cui ci si potrà riconoscere e aumentare il proprio livello di consapevolezza rispetto ad un tema, o dare uno spunto di risoluzione di un particolare problema o convinzione. Si metterà in scena il punto di vista empirico e cioè quello rispondente al profondo sentire delle persone coinvolte, nonostante si vedano palesemente i ruoli compensatori adottati, cercando di non lasciare ambiguità nella interpretazione. “Nel mondo del cinema, il soggetto è un breve racconto che illustra a grandi linee la trama (più propriamente detta "sinossi" o "sinopsi") di un film (già realizzato o ancora da realizzare).”1

Scene Donna Yang Per la descrizione del ruolo della donna yang, può essere utile inscenarlo sia nell’ambiente lavorativo, che nell’ambiente domestico. Soggetto 1: Donna sulla quarantina (o anche più giovane) che va molto bene al lavoro, supera tutti i suoi colleghi maschi, detiene una posizione di potere, sa fare il suo lavoro. L’ambiente potrebbe essere un’azienda. Lei si presenta sfidante, con abiti provocanti ma non troppo, ma che denotano una certa rigidità e controllo. Questo suo abbigliamento la agevola ancor di più nell’esprimere il suo potere sui suoi 1

wikipedia

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collaboratori. Quindi possiamo vederla nel suo studio, intenta a che tutto funzioni, a dare ordini. In una riunione con i suoi capi lei va dritta al punto con determinazione, utilizzando tutti gli strumenti in suo possesso, come la malizia e la seduzione. Si sente soddisfatta di sé a tutto campo sul lavoro. Ha intuizione e trova sempre la soluzione giusta non avendo tentennamenti. La scena successiva torna in una casa dove vive sola, una casa lussuosa ma sola. Si siede finalmente sul suo divano, prova ad accendere un po’ la televisione ma subito la rispegne, perché c’è qualcosa che non va in lei. Si sente sola, non ha interessi che la possano appassionare e dare nutrimento. Non ha amici e non ha un uomo e difficilmente riesce ad avere rapporti che la soddisfino.

Scene Uomo Yin Per la descrizione della sofferenza del ruolo dell’uomo finto yin, può essere utile inscenarlo sia nell’ambiente lavorativo, che nell’ambiente domestico.

Soggetto 1: L’ambientazione è un’azienda, (non importa la tipologia), in cui lavora il protagonista della nostra storia. In un’apparente tranquilla giornata di lavoro, si sentono delle voci in azienda di un qualche errore commesso nei giorni precedenti, e che fra poco lo stesso verrà chiamato dal capo. Il protagonista, entra in uno stato di confusione e agitazione, nonché di paura per la mancanza di cui è stato artefice, quindi cerca e rovista tra le carte del suo ufficio. Non appena viene chiamato dal capo a parlare a due, il giovane sobbalza e entra a capo chino (mostrando la sua sottomissione) nella stanza del suo capo. Qui subisce la veemenza del suo capo che gli rinfaccia l’errore. Un buon uso della telecamera e della fotografia potrebbe aumentare il senso di vittimismo che il protagonista sente in questa occasione. Egli ascolta il suo capo, senza proferire parola (poiché non è capace di parlare al suo sostegno) e sudando cerca di spiegarsi.

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Purtroppo il suo yang è troppo debole per sostenere le sue convinzioni, per cui il capo (che potrebbe essere un finto yang) conferma anche più e aumenta il suo carico rabbioso verso di lui. Alla fine del richiamo il protagonista torna nel suo ufficio, amareggiato e deluso di se stesso.

Soggetto 2: Stessa situazione si potrebbe ripresentare a casa, dove l’uomo non riesce a esprimere il suo ruolo di guida e autorità. Quindi troverà a casa una figura femminile che si lamenta di lui, per una sua dimenticanza. Anche qui l’uomo subirà la aggressività della moglie o compagna, che per compensazione sarà finta yang, e non riuscirà a fare altro che ascoltare le sue angherie. Nonostante ciò non si vedono atti di cedimento da parte sua, perché sa che ormai va avanti così, nonostante la sua rabbia sta cominciando a crescere inevitabilmente. Quindi la prossima inquadratura può essere quella di trovarlo seduto sul letto nella penombra, con le mani nei capelli, in preda al suo senso vittimistico e di impotenza riguardo sia il lavoro, sia la sua compagna e sul suo senso di rivalsa. Soggetto 3: Nell’azienda da tempo c’è una gara per un contratto. In tanti stanno provando ad accaparrarselo, e pur di far questo, si utilizza ogni stratagemma. L’inquadratura può quindi partire su una riunione aziendale dove ognuno espone il suo progetto. Qui si potrà notare anche la differenza dell’uomo protagonista e delle donne che si trovano ad esporre: lui con poca spinta, scherzoso e più preoccupato, mentre una sua collega donna si dimostra più decisa, grintosa, aggressiva e convincente. Da qui una scena successiva in cui il contratto passa alla donna, e altra inquadratura in cui si vede la frustrazione del protagonista per non essere riuscito a tener testa alla sua collega, e il senso di impotenza e vittimismo.

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Bibliografia: Hardy M., Grammatica dell’Essere, Dispense dell’Accademia del Sé, Rimini Monbourquette J., I lati nascosti della personalità, PAOLINE Editoriale Libri, Milano Terragni M., La scomparsa delle donne, Oscar Mondadori, Milano Wikipedia www.cignoneroblackswan.it

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