S C U O L A DI C O U N S E L I N G P E D A G O G I C O R E L AZ I O N A L E S E D E DI PA L E R M O a.a. 2013/2014
ALLA RICERCA DEL FEMMINILE
Candidato S O F I A D E L P U GL I A
Relatori: dott.ssa Liliana Minutoli pr o f . s s a A n n a m a r i a P r i n z i v a l l i
Direttore Scientifico pr o f . M i c h e l H ar d y
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INDICE
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Indice
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Prefazione
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Introduzione
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1. Archetipi
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1.1 La Grande Madre
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1.2 La Luna
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1.3 Il sangue
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1.4
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2.
La Maga Miti
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2.1 Medea, tra mito e metamorfosi empirica
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2.2 Kali e il processo di “rientro�
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2.3 La metamorfosi di Circe
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2.4 Penelope come modello
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3 . Yi n e Ya n g
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4. I principi guida yin
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5. L'essere Madre: dalla maieutica al mondo educativo
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6. L'esperienza: Il Cerchio Magico
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6.1 Introduzione
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6.2 Presentazione
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6.3 Descrizione
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6.3.1 Il nome-gesto
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6.3.2 Le sagome
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6.3.3 L'albero 2
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6.3.4 Il gioco-storia
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6.3.5 L'oggetto simbolico
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6.3.6 Il gioco simbolico
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6.3.7 Maschio e femmina: cosa dicono i bambini
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6.4 Riflessioni
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Conclusioni
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CosĂŹ come sono
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Indicazioni bibliografiche
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Homo sum, nihil humani a me alienum puto Publio Terenzio Afro
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PREFAZIONE Sto seduta sulla sedia, al centro del nostro privatissimo ed emozionante palcoscenico. Hanno sfilato innanzi a me fantomatici personaggi, da una narcisistica Belen a Joe di Piccole Donne, da un'enigmatica Margherita Buy a u n ' i m p r o b a b i l e P r e t t y Wo m a n . . . f i g u r e c h e t r a s u d a n o s e n t i m e n t i e n e l l e loro posture, nel tono di voce, in ogni piccola ruga del loro viso c'è il segno del loro vissuto enigmatico e travagliato che mi commuove e mi ricorda della singolare bellezza del genere umano in generale, e dei miei “compagni di viaggio” in particolare. Respiro forte. Ora è il mio turno. Sento il cuore scoppiare dentro la gabbia toracica. Per giorni ho pensato al “ personaggio da portare “, un personaggio che in qualche modo mi rappresentasse e che sento affine, nell'intimo. Ho tentato più volte di soppiantarlo, ma Lei mi si para innanzi con una forza d'attrazione violenta ed irresistibile che mi turba nel profondo. Ricordo come fosse oggi l'incanto ammaliante, la potente vibrazione provata quando, ancora ragazzina, ho sentito la sua voce tonante echeggiare tra antiche pietre, al calare del sole, nel momento in cui, con l'avvicinarsi delle tenebre, le ombre diventano ancora più scure e i fantasmi del nostro io più remoto prendono vita dinnanzi ai nostri occhi stupiti, senza che noi riusciamo a distogliere lo sguardo. La fiamma del dire ardito, il piglio sicuro, il respiro appassionato, il dolore cieco di un'anima irata e offesa, la caduta, l'inevitabile gesto … Come dice Clarissa Pinkola Estès “ entriamo in una storia attraverso la porta dell'ascolto interiore. La vicenda narrata tocca quel nervo uditivo che corre attraverso la base del cranio giù fino al cervelletto, appena sotto il ponte di Va r i o l o . A l l o r a g l i i m p u l s i u d i t i v i s o n o s p i n t i v e r s o l a c o n s a p e v o l e z z a oppure, si dice, verso l'anima … a seconda del modo in cui si ascolta”. Respiro profondamente e sento annebbiarsi la vista. “ Nessuno deve osare sfidarmi. Io sono potente e posso dare la vita e d i s t r u g g e r e . S o n o v i t t i m a d i m e s t e s s a , d e l l e m i e p a s s i o n i . Vo r r e i f u g g i r e d a me ma è più forte di me … E sono questa … “ Così esordisce Sofia-Medea. E' il seminario “ Io sono … io divento: i copioni personali “, 23 febbraio 2013.
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INTRODUZIONE L'individuazione del tema di questa tesi, invero, è nata dall' esperienza appena descritta che ha suscitato in me l'esigenza forte e pressante di condurre un'ampia riflessione sul concetto di Femminilità, sulla natura del Femminile, su quel Potere Liquido di cui l'essere Donna è portatore sano. Invero il concetto di femminilità è piuttosto ricco di svariate sfumature e al tempo stesso è velato da un alone di affascinante mistero che si manifesta attraverso innumerevoli espressioni simboliche appartenenti all'intera cultura umana che, sin dai tempi più lontani, ha prodotto miti e archetipi, allo scopo di segnare le vie più profonde dell'esistenza. Più volte, tra amiche, riunite attorno ad un tè a chiacchierare di noi stesse, come solo le donne sanno fare, ho avvertito il meraviglioso mistero del femminile, e nelle parole di ciascuna di esse mi è sembrato di cogliere la presenza di un destino comune ma straordinario che lega le donne le une alle altre, pur ognuna mantenendo la sua straordinarietà. Il racconto di ognuna di esse, della sua anima travagliata, del suo ventre che genera vita e talvolta morte, delle sue dolorose lotte interiori, delle sue faticose conquiste, della lenta metamorfosi attraverso la quale essa si riappropria della verità della propria essenza, ha per me un sapore antico che mi emoziona e mi fa sentire indissolubilmente legata a ciascuna di queste magiche creature facenti parte della “tribù” delle donne. Il punto di partenza del presente lavoro è rappresentato dall'analisi di alcuni archetipi e miti legati al Femminile, in quanto gli archetipi e i miti parlano direttamente alla nostra anima, svelandole significati universali che riflettono meccanismi psicologici umani basilari. L'archetipo, in quanto immagine interiore atemporale che agisce sulla psiche umana, ordina il materiale della coscienza in figure determinate innate e impersonali che animano ed originano i comportamenti umani. Gli archetipi sono paragonabili a delle impronte presenti nella psiche come un'eredità genetica appartenente all'intero genere umano. Il mito, a sua volta, attraverso l'esplorazione simbolica, supera il livello meramente personale, per acquisire una forte valenza universale, fornendo elementi validi per l'intera umanità. I miti e gli archetipi, come anche le fiabe e le storie in generale, mi hanno offerto un sapere e una comprensione che mi sono tornati alquanto utili per percorrere quel sentiero che conduce sempre più in profondità verso la conoscenza di me. Il momento di ricerca è stato per me fortemente appassionante, e nell'analisi di alcune figure appartenenti alla mitologia greca che hanno da sempre esercitato su di me un fascino particolare, ho cercato di cogliere analogie e tessere collegamenti con i diversi ruoli empirici e i moti, i n t e g r a t i e c o m p r o m e s s i , c h e d e f i n i s c o n o l a t o t a l i t à d e l m o n d o Yi n . La trattazione è stata naturalmente arricchita da elementi provenienti da riferimenti teorici diversi che mi hanno consentito una visione più ampia degli argomenti d'interesse. Dunque ho proceduto nella descrizione di alcuni concetti empirici e dei 6
principi guida yin che rappresentano le coordinate inconfutabili per un femminile oggettivo, legato a valori assoluti e universali. In particolare ho prestato attenzione e analizzato i principi guida che regolano la maternità secondo l'approccio empirico. Infine ho concluso il presente lavoro con la descrizione del progettoesperimento che ho condotto con bambini e bambine della scuola in cui lavoro come insegnante di scuola primaria, esperienza questa densa di emozioni, sia per me che per i miei alunni che hanno dato mostra di saper vivere con giocosa serenità il proprio corpo e le proprie emozioni. Questo percorso coinvolgente, fatto di letture, ricerche, riflessioni, esperienze e approfondimenti, ha rappresentato una preziosa possibilità di recupero di una visione più ampia del Femminile, in questo mio cammino personale verso una conoscenza consapevole di come stanno veramente le cose, ovvero di quel disegno più ampio che noi chiamiamo Ordine Empirico, e di come io mi collochi in esso.
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Capitolo I
ARCHETIPI
Gli archetipi, secondo una definizione di Jung, sono “modelli funzionali innati costituenti nel loro insieme la natura umana “. Carl Jung teorizza che l'inconscio alla nascita contenga delle impostazioni psichiche innate appartenenti all'intero genere umano, dunque queste impostazioni sono collettive. Jung chiama questo sistema psichico “inconscio collettivo “, distinguendolo dall'inconscio personale, che appartiene all'esperienza personale dell'individuo. La psiche individuale è immersa in questa psiche collettiva che connette tutti gli esseri umani, superando i limiti spazio-temporali, ad un livello sovrapersonale e transpersonale, l'inconscio collettivo. Per Jung l'inconscio collettivo è costituito sostanzialmente da schemi universali innati e impersonali che lui chiama archetipi. Gli archetipi si configurano come forme determinate originarie dalle quali prendono forma le diverse possibilità individuali d'essere, di pensare, di agire e provare emozioni e sentimenti. Per spiegare il concetto di archetipo, concetto oltretutto che venne rivisitato e rivisto innumerevoli volte, Jung utilizza l'esempio del sistema assiale del cristallo di neve: il cristallo è già preformato nella sua configurazione madre, anche senza possedere un'esistenza materiale. Questa esistenza si materializza con l'agglomerarsi degli ioni e delle molecole. Il sistema assiale determina la struttura stereometrica, ma non la forma del singolo cristallo. L'archetipo in egual maniera presenta un nucleo significativo invariabile, che ne determina la maniera di presentarsi in linea di principio, ma non concretamente. Secondo Jung sono rintracciabili sul piano psichico dei motivi tipici che caratterizzano le esperienze fondamentali della vita umana, dal concepimento fino alla morte. Gli archetipi, intesi come schemi dominanti che danno origine e animano i comportamenti umani, sono simili a delle impronte presenti nalla psiche come un'eredità genetica, come un marchio di appartenenza al genere umano. Come esiste una parte filogeneticamente stabile nella struttura biologica dell'uomo, che fa sì che vengano a formarsi i diversi organi, o il tessuto connettivo, secondo caratteristiche comuni alla specie, così sul piano psichico sono rintracciabili dei motivi tipici che caratterizzano le esperienze fondamentali della vita di ciascun uomo. Dunque, secondo Jung, noi ereditiamo un patrimonio genetico simbolico fatto di immagini e rappresentazioni che ciascuno può applicare a se stesso e alla propria vita. Jung individua diversi archetipi che denomina con figure pseudo m i t o l o g i c h e : i l S è , a r c h e t i p o d e l l a c e n t r a l i t à ; i l P u e r, a r c h e t i p o d e g l i a s p e t t i infantili, creativi e salvifici del mondo interiore; il Senex o vecchio saggio; l'Ombra, che è il lato oscuro e più inconscio della natura umana; la Persona, che è la maschera dell'Io in relazione al ruolo e all'identità sociale; la 8
Grande Madre, che è l'archetipo della fusionalità universale; l'Anima/Animus, che riguarda gli aspetti psichici controsessuali, ovvero il femminile che è nell'uomo e il maschile che è nella donna. Ciascuno di questi archetipi è presente nella psiche di ogni essere umano ed il loro recupero ci permette di conoscerci più profondamente e ci aiuta ad espandere la nostra identità.
1.1 LA GRANDE MADRE Gli archetipi sono dunque numerosi, ma tra quelli che mi interessano maggiormente per il recupero del concetto di Femminilità, vi è quello che Jung ha definito “ immagine primordiale “, cioè l'archetipo della Grande Madre. La Grande Madre è un aspetto parziale ma centrale dell'archetipo del femminile e appare relativamente tardi nella storia dell'umanità. Il concetto di Grande Madre sembra sia nato all'incirca nel 7000 a.C., durante il Neolitico Antico, sebbene tracce di questo culto siano già presenti nel Paleolitico. C o m e s c r i v e P. R o d r i g u e z “ l e s t a t u e t t e f e m m i n i l i d e l P a l e o l i t i c o p o t r a n n o essere arte per noi, ma la loro importanza cruciale, risiede nella loro qualità di testimoni muti, oltre che simboli centrali, del primo sistema di credenze religiose strutturate che plasmò la psicologia umana “. Queste figure, fatte di argilla, rappresentavano la Dea Madre come Madre Te r r a , c o n u n a i c o n o g r a f i a s i g n i f i c a t i v a e s u g g e s t i v a c h e c o m p r e n d e v a i grandi seni pieni di latte, gli organi genitali scoperti, i capelli splendidamente velati e un buon numero di braccialetti ai polsi. Il significato simbolico è piuttosto chiaro: questo è l’Essere che genera, crea, alimenta e dona. Eppure, come suggeriscono i suoi bracciali, emblema tradizionale dello stato civile, oltre ad essere una madre è anche una consorte: così, nella sua manifestazione materiale, non solo viene a rappresentare la maternità assoluta ma anche, includendo il ruolo di sposa, la femminilità assoluta. La Grande Madre è una sorta di divinità femminile, alla quale viene attribuita la genesi di tutto il creato; essa è la generatrice del mondo e del cielo, del giorno e della notte; essa governava il ciclo di vita e morte senza nè saggezza nè crudeltà, ma secondo un ordine cosmico ( che tanto mi ricorda per questa sua caratteristica l'Ordine empirico ) che dalla terra genera e alla terra riporta, in un ciclo senza fine. L'uomo primitivo concepiva la divinità come una fusione paradossale di bene e male. Proprio per questo la Dea Madre è stata simboleggiata con la donna serpente, materna e assassina, solare e lunare. Per analizzare e comprendere meglio la complessa figura della Grande Madre colgo le indicazioni fornite da Neumann, il quale suggerisce di partire dall'archetipo dell'uroboro. L'Uroboro è l'immagine del serpente circolare che si morde la coda. Esso simboleggia la situazione psichica originaria, in cui la coscienza e l'io sono ancora indifferenziati. L'uroboro, simbolo primordiale contenente gli 9
opposti, è definito anche il Grande Cerchio, in cui elementi positivi e negativi, maschili e femminili si fondono. In tal senso è simbolo dell'inestricabilità del caos, del primordiale indifferenziato, dell'inconscio e della totalità della psiche. Il serpente circolare, che mordendosi la coda dà vita all'eterno ciclo, racchiude in sé la dualità dell'elemento femminile e di quello maschile. L'arhetipo dell'uroboro è dunque la prefigurazione della Grande Madre, che è per l'appunto costituita da elementi opposti che, compenetrandosi, formano un' unità fatta di opposizioni, di arcaiche ambivalenze tra bene e male. Ecco che si configura l'immagine della Grande Madre, buona e cattiva al tempo stesso. Essa è colei che dona la vita, è il mistero della potenza e della forza procreatrice; è colei che si fa tramite per il traghettamento delle anime da un'altra a questa vita. Essa è il femminile che genera e nutre, che protegge e riscalda. Ma, allo stesso tempo, essa è divoratrice, potendo usare il proprio amore come strumento di potere e di dominio; essa è dunque distruzione e morte. L'archetipo della Grande Madre porta in sè ambivalenze profonde. Da un canto la Grande Madre rappresenta la dea della fertilità, della gravidanza e della nascita; essa è il femminile che dà nutrimento, l'utero della realtà femminile che nutre il mondo. D'altro canto, il carattere negativo del femminile si esprime attraverso la figura simbolica della Madre Te r r i b i l e . I n e s s a l ' u t e r o c h e f e c o n d a e p r o t e g g e a p r e l e f a u c i s p a l a n c a n d o s i nell'abisso dell'oscurità e della morte.
1.2 LA LUNA Nella sua ampia e profonda fenomenologia, l'archetipo del femminile abbraccia e contiene tutto, assumendo il carattere di vaso o uovo cosmico che in silenzioso segreto sviluppa ed esprime tutta la sua potenza creativa. L a G r a n d e M a d r e è a n c h e S i g n o r a d e l Te m p o , i n q u a n t o e s s a g o v e r n a l'alternarsi del giorno e della notte, dei mesi e delle stagioni; essa pertanto è dea lunare, poiche la luna è la manifestazione visibile della temporalità del mondo. Nel mito e in molte leggende la luna rappresenta il principio femminile, così come il sole simboleggia invece il principio maschile. La luna presiede alla notte e regola l'oscurità dell'intuitivo mondo interiore. Essa dunque rappresenta la situazione psichica nella quale l'inconscio, e quindi la femminilità, domina sulla coscienza, ovvero sulla mascolinità. Perciò la luna rispecchia lo stato psichico tipico di ua fase di matriarcato. Considerando l'aspetto luminoso della luna che rischiara il buio della notte, essa esprime l'aspetto profondamente spirituale del femminino. La luna è signora della vita psicologica femminile, dominando sia il ciclo celeste di 28 giorni, che quello terrestre della donna, anch'esso di 28 giorni. La luna è quindi simbolo della vita femminile più intima che ha inizio con le prime mestruazioni, intese come deflorazione spirituale, e richiama i principi di intuitività, emotività e seduzione tipici del mondo femminile, 10
spirituale e creativo. La luna, in tal senso, è simbolo della saggezza femminile, ma anche del mistero di trsformazione e di rinascita ad un livello superiore di spiritualità. Il ciclo lunare è simbolo di uno spirito che cresce e si trasforma: grazie ai processi oscuri dell'inconscio, la donna-luna sta in silenzioso raccoglimento attendendo che con la luna piena emerga la conoscenza come illuminazione. Pertanto il sapere matriarcale-femminile è intuizione emotiva, potere liquido e forza incondizionata, mentre il sapere patriarcale-maschile è logico, esso nasce dall'atto del capire, ed è impegnato sul fronte della vigilanza sistemica. I l m o n d o Yi n p o r t a c o n s è l a f o r z a d e l l a p u r e z z a , g e n e r a n d o c h i a r e z z a e fiducia; essa è spiritualità, dolcezza e leggerezza, qualità di cui la forza yang ha smisurato bisogno, perchè “ la forza incondizionata è l'unica in grado di conferirgli pace e serenità, … riempiendogli l'anima “. Il mondo femminile è portatore di un potere rinvigorente che si espande su chi vi si avvicina, rasserenandolo attraverso la sua sola presenza. “ L a d o n n a Yi n n o n h a b i s o g n o d i c o n f r o n t a r s i c o n i l r e s t o d e l m o n d o p e r conoscere il proprio valore o per aumentare il suo merito, essa crea attorno a sé un centro di gravità permanente – naturalmente, per il semplice fatto di esistere – che attira attraverso la propria luce”.
1 . 3 I L S A N G UE Lo sviluppo psico-biologico del femminile comprende un altro simbolo che è quello del sangue. Va l e l a p e n a r i c o r d a r e c h e p r i m a d e l l ’ e r a p a t r i a r c a l e , p r i m a d e l l ’ i d e a c h e l a donna fosse l’incarnazione degli istinti più bassi, il sangue mestruale era considerato sangue di vita e non di morte. La fertilità della terra, addirittura, era assicurata, nei riti primaverili, dal passaggio delle donne col ciclo che ne risvegliavano il potere generativo attraverso le gocce di sangue che rendevano la terra feconda. In molte antiche cosmologie la razza umana viene creata non dallo sputo e dall’argilla cui il cristianesimo ci ha abituati, bensì dall’argilla e dal sangue, ad opera della Dea. Al tempo in cui le fasi della vita erano vissute con consapevolezza ed il periodo della fertilità veniva celebrato con riti sacri e la donna onorava i propri cicli vitali in quanto momenti magici di scoperta, il menarca rappresentava un momento di profonda introspezione legata alla naturale percezione del proprio corpo. La Dea, nel suo volto di generatrice e madre, era rossa, come rossa era l’ocra che tingeva gli spazi e le figure sacre. Il sangue era ritenuto principio di conoscenza in quanto sostanza primigenia dalla quale ogni forma di vita aveva origine. Per gli antichi il sangue era l’essenza della vita, e il mistero sacro ( ancora oggi il vino si trasforma in sangue di Cristo !), era proprio la trasformazione, che viene operata nel corpo femminile, del sangue in vita. Un tempo, il corpo regolava i ritmi, le emozioni e i cicli di vita della donna. Le faceva sperimentare ciclicamente il disagio, il dolore, l’introspezione, 11
l’estasi, l’espansione, la cura verso gli altri e l' autoaffermazione. Tu t t e l e e t à d e l l a d o n n a e r a n o v i s s u t e c o m e m o m e n t i s a c r i d u r a n t e i q u a l i i l divino si connetteva ad essa con tutto il suo potere creativo. Attraverso l'auto-auscultazione e l'osservazione della Natura, la donna apprendeva il ciclo ritmico del tempo, imparava a vivere in simbiosi con la Te r r a e a c c e d e v a a s t a t i s o t t i l i d i c o s c i e n z a g r a z i e a i q u a l i r i c e v e v a i n s o g n o delle visioni, accogliendo così il ruolo di guida nel cammino iniziatico femminile. Attraverso il sangue la fanciulla si trasforma in donna e poi in madre. Con la nascita del figlio avviene un'altra trasformazione e il sangue diventa latte-cibo. La donna che partecipa con consapevolezza al proprio mistero di trasformazione, matura in sè la preziosa capacità di proiettarsi con consapevolezza verso il mondo esterno, quello socio-economico, che è proprio dell'uomo, del Padre archetipo, il cui compito è quello di produrre sussistenza e offrire sicurezza ai figli e alla moglie.
1.4 LA MAGA La Grande Madre contiene in sè il mistero dell'incarnazione (si pensi alla Ve r g i n e M a r i a ) , d e l l a n a s c i t a e d e l l a r i n a s c i t a . P e r q u e s t o , f i n d a l l ' a n t i c h i t à , alla donna sono stati attribuiti poteri magici, assumendo ora connotazioni positive ora connotazioni negative, come sacerdotessa dunque, ma anche come strega. La donna è perciò la veggente primordiale: sciamana, sibilla, maga, signora dal canto ammaliatore, che legge i segni della natura, dal volo degli uccelli al fruscio del vento tra i rami degli alberi. Ella è esperta di erbe e cure, filtri e pozioni; immersa nel flusso naturale delle cose, conduce una vita concentrata e solitaria, ma profondamente ricca e densa. In essa abita l'armonia degli elementi, ciò che è benevolo, protettivo e tollerante, ma anche ciò che è segreto, occulto e minaccioso; in lei risiedono l'elevatezza e l'abisso, ciò che nutre e ciò che divora, la vita e la morte. Per questa duplice natura la dea Ecate si erge come la maga per eccellenza. Ecate è dea lunare legata ai culti della fertilità. In lei vediamo due aspetti, uno benevolo e protettivo, in quanto presiede ai parti, accorda prosperità e conduce verso la via della purificazione; l'altro terribile e infernale in quanto presiede ai sortilegi e alle apparizioni di fantasmi, spettri e mostri terrificanti. I suoi poteri si manifestano durante la notte, alla luce della luna. Pertanto assurge a potente simbolo dell'inconscio, in cui si agitano fiere e mostri; essa rappresenta l'inferno della psiche.
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Capitolo II
MITI
Citando Jean S. Bolen, “ i miti evocano sentimento e immaginazione e toccano temi che fanno parte del retaggio umano collettivo. I miti greci, come tutte le favole e i miti diversi che si narrano ancora oggi, dopo migliaia di anni, restano attuali e significativi sul piano personale perchè contengono un anello di verità che accomuna l'esperienza umana di tutti “. Attraverso il mito, possiamo dire che l’anima parla e racconta delle proprie eterne esperienze, delle proprie emozioni, della propria vicenda. Il mito racconta, in una formula sempre valida, l’avventura della vita dell’uomo e le sue esperienze nel mondo, che sempre si ripetono uguali a se stesse. Il mito è dunque una sorta di linguaggio corale che esprime la vita archetipica dell’uomo, in una dimensione atemporale e aspaziale. Il mito è il linguaggio dell’anima collettiva di un popolo ed esso va ascoltato ed inteso per comprendere le commozioni dell’anima e la vita interiore dell’uomo.
2 . 1 M E DE A , T R A M I TO E M E TA M O R F O S I E MP I R I C A Profondamente legato all'archetipo della maga è il personaggio di Medea, potente figura femminile della mitologia greca. Eccomi dunque al “nocciolo della questione”, al seme che ha generato questa mia ricerca: è per me come un volermi guardare allo specchio cercando una risposta negli occhi dell'altra. Eppure per trovare ciò che cerco sento il bisogno forte di prendere le distanze, perchè ad entrarci dentro la vista del cuore mi si annebbia e dentro di me è tutto un vortice di emozioni. Medea mi si erge innanzi come una figura ossimorica, profondamente enigmatica, dilaniata com'è tra l'umanità e la mostruosità, tra la luce e l'ombra. Invero Medea compendia in sé le figure della maga, della donna e della madre, sebbene viva questi ruoli in antinomie assolute, con esiti catastrofici. Se da un lato Medea è fiera erede della stirpe del dio Sole, essendo nipote di Helios, d'altro canto ella è vergine maga consacrata ad Ecate, dea dei parti e 13
degli aborti, dei filtri che danno vita e morte. Per questa sua doppia parentela, Medea coincilia in sè attributi appartenenti tanto alla caratterizzazione solare, quanto a quella lunare, coesistendo in lei entrambe le eredità mitiche. Medea vive nella lontana e selvaggia Colchide; ella è una barbara e una maga che, innamoratasi di Giasone, aiuta con le sue arti magiche lui e gli Argonauti, giunti fin lì dalla Grecia, ad impadronirsi del vello d'oro. Innamorata, lo segue nella di lui patria, in compagnia dei loro due figli. Giunta a Corinto Medea è sposa fedele e madre. Ma Giasone, adesso, la vuole abbandonare, allettato dall'idea di sposare Glauce, la giovane figlia del re Creonte. Per vendicare il tradimento, allora, Medea non solo fa morire la giovane Glauce e il padre di lei, ma, in un crescendo di disperazione e crudeltà, uccide anche i propri figli. Dunque, commesso l'atroce delitto, sale sul cocchio del dio Sole e si allontana via. L'azione scenica in Euripide ha inizio proprio subito dopo che il nuovo matrimonio tra Giasone e Glauce è stato celebrato. Di fatto nell'analizzare la figura di Medea prendo in considerazione l'opera di Euripide perchè è di quella che ancora sento dentro il calore bruciante e ne vedo scorrere alcune immagini sullo schermo della mia memoria. La figura di Medea si erge nella mia mente come un esplosivo miscuglio di abilità inventiva e infiammata sensualità, una donna dall'intelligenza pericolosa e dalle emozioni indomabili. Medea è un personaggio dalla ricchezza psicologica straordinaria: in apertura si presenta come un personaggio smarrito, disperato e irato; poi acquista il controllo e con fredda lucidità escogita la sua vendetta: finge di sottomettersi al volere di Creonte e Giasone, che la bandiscono dalla città; dunque prende tempo. Il suo cuore e la sua mente sono dilaniati tra amore materno e spirito di vendetta. Straziante è il tormento di Medea che scivola lentamente nella follia, alternando parole d'amore verso i suoi figli e parole di odio verso Giasone. L'accecata passionalità infine vince sugli affetti. Medea, consumata la tragedia, irride Giasone e torna ad assumere la sua antica veste di principessa barbara, selvaggia e orgogliosa. Invero la vittoria di Medea su Giasone rappresenta la sconfitta del cuore; il suo trionfo è la sua rovina. Medea rappresenta il dramma della donna che, disperata, sola e profondamente ferita, si erge in tutta la sua spietata grandezza, senza timore di raggiungere il fondo dell'abiezione umana. Consumatasi la sua funzione di moglie “salvifica “, Medea vede esaurito il suo ruolo e si trova sostituita dalla giovane Glauce che assicurerà a Giasone un sicuro futuro di ricchezza e potere. Il sacro talamo viene oltraggiato per il desiderio, tutto maschile, di autoaffermazione personale. Il conflitto tra Giasone e Medea diventa dunque anche lo scontro tra la cultura maschile e quella femminile, quella del nomos da un lato, ovvero la legge della città e della razionalità, e quella della physis, la legge dei sentimenti, dall'altro. Medea non accetta l'onta ricevuta, ma ancor di più non accetta l'ingiustizia subita, e così mette in atto il crimine più mostruoso e inaccettabile che un umano possa compiere. Medea diventa la “madre terribile”. Ella diviene l'archetipo di quel lato terribile e mortifero della madre, il lato oscuro e malvagio di una madre che finisce per nutrire sentimenti distruttivi contro la 14
propria prole. In essa viene repressa la parte femminile emotiva e sentimentale ed emerge invece la parte disumana, quella con le mammelle piene di fiele al posto del latte, una madre velenosa invece che nutriente, che uccide i figli per l'emergere incontrollato di sentimenti elementari minacciosi e ingestibili. Medea diviene l'archetipo della natura duale del femminile, portato per natura ad immolarsi in nome del proprio sentire, ma anche saldo e forte nel suo potere naturale di dare e togliere la vita. L'utero che dà la vita diventa utero di morte. La donna che nutre finisce per nutrirsi delle sue stesse creature. “Quando il tesoro della vita più ricca di una donna è stato ridotto in cenere, - sostiene Clarissa Pinkola Estès - la donna è posseduta dalla voracità“. In Medea il femminile e il mostruoso si oppongono per poi coincidere. Il dolore e lo sgomento di Medea sono quelli di chi ha investito tutto in un rapporto e proprio in quello si vede infine tradita. Medea si distingue per la sua dedizione assoluta e totale verso l'uomo che l'ha resa donna, e lotta follemente contro tutto e tutti, dando libero sfogo agli impulsi indomabili e alla disperata debolezza di una donna abbandonata. Medea è una donna profondamente umiliata, una principessa di stirpe divina abbandonata dall'uomo che l'ha usata. Ella è vittima del suo amore per Giasone, per aiutare il quale ha tradito anche i suoi familiari. La perdita dell'amore tocca la corda più fragile del suo cuore gettandola in un senso di sconforto e di solitudine abissali. Giasone costringe Medea a un duro e solitario esilio, infliggendole una totale perdita d'identità. E' come se in Medea la perdita dell'amore si accompagnasse ad un sentimento di morte. Giasone, che è stato l'essere amato per il quale Medea ha abbandonato la proprie terra e sacrificato i propri cari, diventa il nemico. Medea ha perso tutto, le restano i figli che tuttavia rappresentano quel che ancora rimane del suo legame a Giasone. Così la donna innamorata si trasforma in assassina e si vendica colpendo con l'efferatezza propria di una divinità offesa, finendo per togliere la vita ai figli. Medea, non più sposa nè regina nè madre, opta per il ricongiungimento alla sua natura di maga indomita e fiera. Il suo disperato dolore umano la riporta al suo sapere antico e segreto e le ricorda la sua nobile origine di principessa barbara. Nell'estremo tentativo di infliggere una pena senza fine al marito, Medea nega a se stessa la maternità e restaura lo stato di sacerdotessa vergine. Così Medea svanisce dalla scena euripidea, dileguandosi sollevata dal carro del dio Sole. Dal punto di vista empirico, Medea mi sembra interpretare un livello di degrado empirico piuttosto avanzato che sembra andare dal ruolo di finta Ya n g a q u e l l o d i Ya n g a u t e n t i c a . E l l a è u n a v i t t i m a r a b b i o s a d i t i p o y a n g , c o n u n A n i m u s i p e r t r o f i c o e , d u n q u e , u n a c a r i c a Ya n g e c c e s s i v a . In Medea i principi femminili vengono alla fine completamente offuscati. Lei è così amareggiata e delusa e il suo degrado empirico è avanzato ad uno stadio tale che rancore e risentimento sono diventati gli indicatori principali. La rabbia è l'indicatore sistemico imperante che alla fine la anestetizza ai fini emotivi, sviluppando quella che definiamo “l'affinità alla morte”. 15
Invero il suo dolore è diventato così insostenibile che il suo cuore finisce p e r a l i m e n t a r e o d i o , e m o z i o n e c h e s o l o l a d o n n a Ya n g è i n g r a d o d i concepire. M e d e a , c o m e d o n n a f i n t a Ya n g , p o s s i e d e u n a p r e p o n d e r a n t e , s e n o n prepotente, tendenza al controllo, cosìcchè si rivela abilissima nell'apprendere la carica empirica di ciascun momento e, soprattutto, nell'interpretarla a proprio vantaggio. Nel fingere di accettare la decisione di Giasone e Creonte che decretano il suo esilio, Medea si mostra conciliante, ma solo per furbizia, allo scopo di ottenere ciò che vuole. Medea sa controllare e gestire e, infine, punisce; il suo potere sta nella durezza e nella severità, nella spinta e nella determinazione, attingendo al p o t e r e i m p i e t o s o Ya n g , p i u t t o s t o c h e a l l a f o r z a i n c o n d i z i o n a t a y i n . L e i adopera in special modo parametri maschili, illudendosi che tali criteri le appartengano e le spettino di diritto. “Preferirei tre volte imbracciare uno scudo piuttosto che partorire una volta sola”, così si esprime, dopo aver descritto in termini negativi di sudditanza e mancanza di libertà la condizione delle donne. Invece della vivacità, sperimenta la vitalità, per sua natura più impietosa, inquieta e sfidante; così, invece della forza che sostiene, sperimenta la spinta in avanti. L e i i n t e r p r e t a i l r u o l o Ya n g d i p r o p u l s o r e e p e r G i a s o n e h a r a p p r e s e n t a t o una compagna vitale e rassicurante, anche fedele, che gli ha permesso di ottenere tutto ciò che desiderava. Per questo Medea non lo perdona ed esige vendetta, una vendetta crudele. L'alternarsi in lei di vitalità e freddo calcolo la rendono imprevedibile e temuta. Invero ella non possiede uno spazio interiore abbastanza sviluppato e rifiuta completamente il suo diritto/obbligo, in quanto donna, di appropriarsi della propria fragilità. Così il suo notevole debito genera in lei una scissione tra cuore e mente, e il suo sentire si allinea alla coscienza personale, facendo fede a valori controsistemici invece che armonici. Medea applica infine il diritto di restituzione portandolo oltre poiché, ormai priva di scrupoli e freni inibitori, lei “restituisce” più torto di quello che ha ricevuto. Se all'inizio si sente ancora profondamente vittima, una vittima innocente, costretta a difendersi contro un mondo ingiusto che non la rispetta, nella conclusione, il suo moto da “caldo” e impietoso sembra raffreddarsi, a v v i c i n a n d o l a a l r u o l o d e l l a Ya n g a u t e n t i c a , i n c u i i t r a t t i d i v e r s i d e l l ' o m b r a Yi n , o s s i a c a t t i v e r i a , p e r f i d i a e v e n d e t t a , i m p e r a n o a s s o l u t a m e n t e . Il suo dolore è aumentato così vertiginosamente ed è divenuto così insopportabile, che ha finito per generare un nuovo esacerbante sentimento: l'odio, che costituisce per lei l'ultimo baluardo della sua difesa disperata. Tu t t a v i a M e d e a o p e r a a i m i e i o c c h i u n e s t r e m o t e n t a t i v o d i r i t o r n o a s e stessa e alle proprie origini e, allontanandosi sul carro trainato dai serpenti alati, ella cerca di riappropriarsi del suo antico potere di vergine-dea. “Io sono Medea e non rinnego gli atti terribili che ho commesso. Ne sono consapevole. Eppure vorrei spiegarmi. Io ero una volta una dea-maga; vergine fanciulla trascorrevo le mie giornate in una silenziosa solitudine che 16
le mie pozioni e i miei incanti rendevano sopportabile, anzi desiderabile. Poi incontrai Giasone che mi iniziò alla terribile magia dell'amore e, dopo avermi fatto conoscere gioie di cui fino ad allora ero ignara, mi ha usata ed abbandonata come una pezza dismessa e ormai inutile. Presa dallo sconforto, dalla rabbia, da un senso disperato di vendetta, ho fatto quel che ho fatto e che tutti voi sapete. Ho molto pensato e, invero, ho ucciso i miei figli non p e r v e n d e t t a , c r e d o , m a p e r r i s c a t t o . To r n a r e i n d i e t r o e r e s t a u r a r e l ' a n t i c o senso di sacralità, prima che mi rendessi tragicamente vulnerabile, prima che dessi ad altri il potere su di me. I miei due figli altro non erano per me che frutto e testimonianza del tradimento che io avevo messo in atto nei c o n f r o n t i d i m e s t e s s a . . . . M a i p i ù r e n d e r m i v u l n e r a b i l e … Vi v e r e t r i n c e r a t a nella mia corazza”. E' questo il discorso di Sofia-Medea, dopo l'esercitazione relativa al seminario “Io sono .. io divento. I copioni personali”. Perchè ho scelto Medea? “ La rabbia sistemica della donna finta yang diventa tale, poiché ai fini empirici costituisce un'istanza funzionale indispensabile. Essa copre il suo dolore, quello di non aver mai potuto dimostrare alla propria madre il suo amore”. Ricordo come fosse oggi la stanza buia e mia madre al centro del suo letto, isola irraggiungibile di tristezza e dolore , il senso d'impotenza e d'abbandono che mi ha accompagnata per mesi, per anni; il sentimento profondo di non essere nulla, di non valere un sorriso o un abbraccio; la fitta al cuore e alla testa; il desiderio di volare via e dissolvermi, evaporare. Perchè ho scelto Medea? Non perchè mi riconosca nel ruolo di donna finta yang ( questo assolutamente no!), ma è chiaro che dentro mi porto tutto un bagaglio di rabbia verso una madre (e mai al mondo la cambierei!) che nei suoi momenti d'ira e stanchezza si trasformava in una madre terribile che così apostrofava la bambina “Io ti ho dato la vita e io te la levo”. Perchè ho scelto Medea? Per la bambina che prima ascoltava sgomenta e poi pian piano sentiva nel cuore montare la collera ed il risentimento; per il dolore ed il sentimento di riscatto che ho nutrito nei confronti di una madre percepita al tempo stesso debole e minacciosa; per il desiderio disperato di non morire di fame, una fame dell'anima e del cuore, che mi ha spinta a scegliere surrogati distruttivi, a danzare follemente senza controllo, tra baccia maschili e nettari dell'oblio. Perchè ho scelto Medea? Per i miei figli, affinchè non diventino “anime violate”, più di quello che, inevitabilmente, già sono, per il semplice fatto di essere miei, ovvero di essere stati partoriti dal mio utero e vivere sotto la mia influenza, assorbendo e facendosi carico, lentamente e inesorabilmente, del mio debito.
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2 . 2 K AL I E I L P R O C E S S O D I “ R I E NT R O ” A questo punto mi piace presentare tra i miti la figura della dea Kali, forse la Dea più nota del pantheon induista. Essa è la Dea dell'energia femminile attiva e dirompente, dalla potenza inarrestabile, erede dell'antica Dea della morte e della trasformazione. F r a i s u o i n o m i a b b i a m o : B h a i r a v i – l a s p a v e n t o s a , C h a m u n d a – i l k i l l e r, Chandi – l’aggressiva, Jari-Mari – La calda-fredda. Kali è innanzitutto una Dea attiva, la Dea dell'energia e del mutamento, un femminile che è forza e che rappresenta uno degli aspetti di Shakti, l'energia cosmica generatrice. Il nome Shakti viene dalla radice shak, potenzialità, potere di produrre, per cui Shakti è energia e azione, una forza dinamica che non ha inizio nè fine, che si trasforma continuamente restando sempre la stessa; essa è l’eterna danza degli elementi, il movimento degli atomi e dell’universo. Nell'iconografia tradizionale, Kali è raffigurata nera, con pelle e capelli neri, infatti la parola 'kali', in sanscrito, significa “nera”, e, in realtà, anche i suoi sacerdoti vanno vestiti di nero. Esistono invero anche delle forme di Kali porpora, forma questa che viene adorata nelle case indiane e che rapresenta la forma ‘gentile’ o ‘pacificata’ della Dea che viene raffigurata con due delle mani in posizione benedicente. I colori sono estremamente preziosi: il nero è il colore del fango, della terra fertile, della materia fondamentale in cui vengono seminate e crescono le idee; il nero è anche il venir meno della luce, della discesa, è il colore della morte, e, proprio per questo, è anche la promessa del disvelamento del mistero dell'ignoto. Il rosso è il colore del sacrificio, dell'ira, del delitto; ma è anche il colore dell'eccitazione, della vita vibrante, dell'emozione dinamica, della promessa di una prossima rinascita. I capelli di Kali sono sciolti e scompigliati. I capelli, da un punto di vista archetipico, sono simbolo della sessualità , dunque la sua è una sessualità libera, sfrenata e selvaggia. Kali porta al collo una ghirlanda di teste maschili tagliate . Sull’identità delle teste i miti raccontano storie diverse: secondo alcuni miti esse appertengono a demoni, secondo altri a uomini che si sono sacrificati a lei; secondo alcune interpretazioni esse sono i simboli del falso io che la vita spirituale chiede di abbandonare, secondo altre esse sono le lettere dell’alfabeto sanscrito, poiché Kali, tagliando la testa alla parola, ci riporta a quanto la precede, liberandoci. Kali tiene la lingua fuori dalla bocca, grondante sangue (nella maggior parte dei templi, il sangue degli animali sacrificati viene fatto scorrere sulla sua lingua; dove i sacrifici animali sono vietati, viene fatta scorrere una miscela a base di kukkuma rossa). Kali dunque è, essenzialmente, assetata di sangue. Ma sul significato della lingua sporgente è da notare che essa accomuna molte raffigurazioni di dee 'oscure', fra cui le greche Gorgoni, e Medusa in particolare: essa può anche evocare il flusso del sangue mestruale nell’associazione bocca-vulva. Il mito più diffuso legato alla dea è quello in cui Kali appare durante la battaglia che infuria fra i deva e i demoni e, in particolare, fra Durga e i d e m o n i . D u r g a , c h e è v e s t i t a c o m e u n a f a n c i u l l a , m a a g i s c e c o m e u n k i l l e r, è 18
una Dea guerriera che cavalca una tigre, combatte i demoni e ha numerose braccia armate. Rappresenta i principi del sesso e della violenza che fanno girare la grande ruota della vita. Nel mito di Kali, Durga incontra un demone che neppure lei riesce a sconfiggere, perché ad ogni goccia di sangue che cade a terra sorgono altri demoni subito pronti a combattere. Dunque, dal sopraciglio aggrottato di Durga, o - in altre versioni - dall'energia congiunta de i deva, appare Kali, la Dea in grado di sconfiggere tale nemico, in grado di berne immediatamente il sangue prima che esso cada a terra. Questo è un elemento importante: quando tutto è perduto, quando le forze, sia pure divine, non sono sufficienti e la sconfitta si profila inevitabile, a quel punto appare Kali, il volto della Grande Dea che combatte e vince anche quel pericolo. Nel mito più diffuso si narra che Kali, scesa sul campo di battaglia, sconfisse demoni di cui poi bevve il sangue. Nella sua lotta, diede vita a una danza impetuosa che mise in pericolo l'esistenza stessa del mondo. Qui Kali ha in sè esplicitamente il doppio volto della rabbia estrema, intesa come energia che può divenire forza cieca e distruttiva, ma, nello stesso tempo, può proteggere quando ogni altra difesa si rivela inutile. Secondo il mito, a questo punto, Shiva si recò sul campo di battaglia dove Kali imperversava inarrestabile e si trasformò in un bambino piccolo, nascondendosi fra i morti e i feriti. Kali accorgendosi del bambino si fermò, pervasa dall’istinto materno universale femminile che la trasforma nella Dea chiara, dai cui seni scorre il latte per il bimbo. Ella diviene la Madre. Secondo un'altra versione del mito, Shiva, nel tentativo di fermare la danza di Kali, si gettò davanti ai suoi piedi e lei, accorgendosi di calpestare il corpo dello sposo, ritornò in sè e si placò. In questa versione viene sottolineato ed enfatizzato il ruolo di moglie di Kali. Esiste anche un'altra versione del mito che racconta che Kali, dopo aver combattuto e ucciso dei demoni, celebrò la sua vittoria estraendo tutto il sangue dai loro corpi; quindi ebbra della strage si mise a danzare. Inebriata dalla sensazione della carne sotto i suoi piedi, continuò a danzare in modo sempre più frenetico, finché si accorse che Shiva era sotto i suoi piedi e che lo stava uccidendo. Allora per qualche istante rallentò la danza, ma poi, presa da impeto erotico irrefrenabile, riprese a muoversi. In questa versione, Kali riconosce Shiva posto ai suoi piedi e, nel salire su di lui, è presa dal desiderio sessuale e comincia a fare l’amore con lui. Qui l'energia guerriera si trasforma in energia erotica. Si palesa il richiamo all’atto generativo umano come atto di unione tra uomo e donna, in cui il seme viene visto come inerte se non nutrito dal principio femminile. Senza d i l e i a n c h e i l D i o è i n e r t e e p r i v o d i v i t a . L a f o r z a Yi n c o s t i t u i s c e u n a f o r z a i m p a r e g g i a b i l e , “ l ' u n i c a i n g r a d o d i c o n t r a s t a r e e s u p e r a r e q u e l l a Ya n g ” . Kali è dunque un altro aspetto di Shiva. Essi insieme sono i distruttori dell’illusione, dell’irrealtà; Kali, in particolare, rappresenta la morte dell’io, della delirante visione ego-centrata della realtà. Quando l’ego incontra Madre Kali trema di paura, perché l’ego vede in lei la sua prossima scomparsa. Un individuo che è attaccato al suo ego non sarà in grado di ricevere la visione di Madre Kali e dunque non sarà capace di prendere consapevolezza di sè e delle dinamiche di cui è prigioniero inconsapevole, e, di conseguenza, Kali apparirà spaventosa nella sua forma “adirata”. 19
Un’anima matura, che si impegna nella pratica spirituale per rimuovere l’illusione dell’io, vede Madre Kali molto dolce, affettuosa, e traboccante di amore per i suoi figli. L'incontro con Kali costringe ad un incontro allo specchio, ad una nudità assoluta; essa rappresenta la possibilità di riconoscere il proprio lato oscuro, di riconoscerlo dentro di sè e potervi stare dinnanzi a testa alta, sapendo infine di essere scintilla di quella stessa energia pura che è motore di tutto. Rovesciando quelli che sono i suoi attributi principali di fierezza, rabbia e bellicosità, Kali infine si mostra sorridente e benevola, fino ad assumere, talvolta, una carnagione chiara. E' proprio per questa sua duplice caratterizzazione che Kali viene definita come una divinità “calda-fredda”. La trasformazione di Kali mi sembra si possa utilizzare come una meravigliosa metafora di quel passaggio obbligatorio, lento e faticoso, attraverso il quale ciascun individuo coinvolto nel processo di evoluzione personale e consapevole ha bisogno di “agire”. Kali si sporca del brutto e del doloroso insito nella sua ombra; ella sperimenta il lato oscuro della propria vita e attraversa il proprio dolore. Così facendo si sveste della propria spinta rabbiosa e acquisisce quella forza che le permette di convertire ciò che prima era inquinante in spessore umano. Riemergendo dal viaggio nel suo lato buio, ella sviluppa lo spazio del cuore che la rende semplice e luminosa. Solo addentrandoci nei sentimenti sommersi, affrontando la paura, il rancore, la rabbia, il senso di colpa, la vergogna, l'individuo trasforma i propri limiti riuscendo ad entrare nel flusso del fluire sistemico. Immergersi negli aspetti meno piacevoli della nostra anima, senza rimanervi comunque imbrigliati, ci fornisce di quel potere che ci permette di non arretrare innanzi alle nostre paure, e di non cedere sotto il peso di eventi che ci appaiono insostenibili o di persone la cui presenza sentiamo nociva ed inquinante. “Questo principio esprime al meglio la natura dell'essere integrato, la quale – basandosi sulla sinergia delle forze contrapposte – richiede la presenza di un'ombra esaminata e consapevolizata”, poiché un'autentica integrazione concilia e fonde in un moto sistemico luce e ombra, maschile e femminile, forza yang e dolcezza yin. Si tratta di un moto sistemico di rientro attraverso il quale l'individuo, restituendo dignità al proprio dolore e alla propria ombra, comincia a contemplarli nel proprio essere in maniera più consapevole e finisce per conferire, al fine, interezza alla propria persona. “Sia che si tratti della paura sia della rabbia, del proprio senso di colpa o di quello di inadeguatezza, chi ha raggiunto lo stato integrato ha imparato a sostenere il proprio dolore”. Come scrive Miranda Gray in Luna Rossa “ Non girarti indietro a desiderare la luce o perderai i doni delle tenebre. Guarda nell'oscurità, accetta i suoi poteri e vedrai la luce risvegliarsi in essi”. E' così che voltandomi indietro, attraverso alcune esperienze straordinarie fatte nel corso di questi tre anni, ho potuto ripercorrere alcuni momenti della mia vita ritrovando i punti cruciali, i nodi, direi, di dolore e sofferenza il cui fardello per anni ho portato sulle spalle come peso naturale 20
del mio essere. Ho potuto “conoscere l'ombra lungo il cammino, sperimentandola come parte essenziale e inevitabile di me”. Guardando bene gli episodi che hanno contrito e schiacciato la mia anima per anni, ho visto nascere in essi la luce e ho compreso che senza di essi io oggi non sarei quella che sono e dove sono. Ho colto il principio della mia rabbia e ne ho visto affondare profondamente le radici nel dolore e ho sentito come esso fosse un dolore antico, che attraverava i miei anni e gli anni di mia madre, e ho visto la fragilità e la tenerezza in esso sottesi. Ho ringraziato per ogni lumino acceso e ho ringraziato altrettanto per ogni lumino lasciato spento, perchè c'è una luce giusta per illuminare ogni momento che va illuminato e c'è una giusta ombra per oscurare ciò che brillerà a suo tempo; e il sorriso e la serenità di oggi hanno acquisito il sapore di una faticosa e vittoriosa conquista. Come canta de André “ dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
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2 . 3 L A M E TA M O R F O S I D I C I R C E Un'altra celeberrima donna solare (per certi aspetti simile a Medea) è Circe, la cui figura mi ha da sempre attratta per l'atmosfera straordinariamente arcana che la circonda. La sua natura solare ne enfatizza la natura di incantatrice, e proprio dal sole sia Circe che Medea attingono la forza per compiere i loro incantasimi. Circe, in particolare, già nel suo nome, che è il femminile di kirkos, che significa 'cerchio', esprime il legame tra il circolo solare e il cerchio nel quale avviene l'incantesimo. Il nome Circe, invero, è anche il femminile della parola kirkos che indica lo sparviero, uccello rapace il cui volo sulle prede assume movimento circolare; e, poiché la femmina di questo animale è più forte del maschio, esso rappresenta anche la coppia in cui la femmina domina. Circe, in realtà, rappresenta il Femminile misterioso che racchiude in sé aspetti ambivalenti che la fanno, al tempo stesso, dea e donna, pericolosa incantatrice e generosa aiutante, terribile e accogliente, attiva e passiva, solare e lunare (anche lei come Medea, alla quale d'altronde è legata da rapporti di parentela essendo quest'ultima sua nipote). In Circe la duplice natura creatrice e distruttrice emerge nell'ambivalenza continua della sua natura. Il potere accerchiante della maga, come espresso simbolicamente dal suo nome, si manifesta attraverso i suoi incanti d'amore, che riflettono gli aspetti accecanti ed estatici del padre Helios e ribadiscono la sua appartenenza alla stirpe solare. In Circe l'aspetto solare si manifesta anche nell'attività di tessitrice. La tessitura rappresenta la capacità tutta femminile di creare e dare forma alle proprie energie, alle proprie fantasie, alla vita in genere. L'atto del tessere rimanda a quella del legare, dell'annodare le fila del destino, ma anche a quella dell'unione sessuale. E infatti l'incantesimo di Circe ruota specialmente attorno al potere trasformatore dell'eros. In Circe coabitano e si alternano i due aspetti fondamentali dell'archetipo femminile riconosciuti da Neumann, ovvero il carattere femminile elementere e il carattere femminile trasformatore. Il carattere elementare si riferisce al potere accerchiante e totalizzante che tutto contiene, circonda e domina. In questa fase dello sviluppo della coscienza, l'Io non si è ancora sviluppato e sta sotto il potere dell'inconscio. La coscienza e l'Io sono dipendenti ed infantili. La funzione fondamentale del carattere elementare è quella di contenere, sia nella sua connotazione positiva che in quella negativa, come Madre Buona che nutre e protegge, c o m e M a d r e Te r r i b i l e c h e i m p r i g i o n a e s o f f o c a . In effetti nel mito, come ci viene narrato da Omero, Circe, almeno nella prima parte della narrazione, rappresenta questo aspetto del carattere femminile elementare: ella lega e tiene prigionieri i compagni di Odisseo nello spazio ristretto e autosufficiente della sua isola in cui predomina la natura selvaggia. Caduti nella trappola della maga, i compagni di Odisseo rimangono imprigionati in una condizione di oblio in cui la Grande Madre impedisce all'Io di procedere verso uno stato di coscienza. E' la fase originaria della 22
psiche in cui l'Io si rivela assolutamente incapace di giungere alla propria autonomia. I marinai, infatti, vengono trasformati in maiali, creature simbolo della lussuria, dell'ingordigia, dell'ignoranza. L'Io qui subisce la gravitazione dell'inconscio e si identifica appieno con la natura conservatrice del carattere elementare femminile. L'isola stessa, in cui vive e regna la maga, riflette questi aspetti elementari: un luogo misterioso ai confini tra mondi diversi in cui umano, animale e divino si mescolano e si confondono. Il suo palazzo si trova collocato “fra le folte macchie e la selva” dell'isola di Aiaie, una terra selvaggia fuori dalle coordinate spaziali ordinarie, dove non è possibile sapere “dov'è aurora, dov'è tramonto”. Un luogo a sè, dunque, pervaso completamente dalla potenza degli incantesimi di Circe, in cui ogni senso d'orientamento è perduto e i compagni di Odisseo si ritrovano stregati dall'influenza della donna. Aiaie è uno spazio archetipico del carattere primordiale, ai confini del mondo, nel quale Circe vive sola, circondata esclusivamente dalle sue ancelle, le ninfe che, come creature delle sorgenti e delle acque, rappresentano gli aspetti femminili dell'inconscio. In questa prima fase del racconto Circe è la donna svincolata da ogni controllo maschile, che governa il mondo degli istinti, sacrifica il maschile e sottomette gli uomini riducendoli a vivere come animali. In lei si interecciano magia ed eros su di un piano che trascende la sfera umana. Circe, con il suo potere di trasformare gli uomini in bestie, neutralizza e sottomette ogni uomo, in quanto possibile marito, e diviene così emblema dell'aspetto più selvaggio dell'erotismo femminile, il potere seduttivo e spudorato di una donna pericolosa incantatrice. Lo stesso canto ammaliante della maga trae in inganno gli uomini e il potere conturbante della sua voce, che sembra emergere dal profondo dell'inconscio, confonde e illude Odisseo e i suoi amici. Da sapiente incantatrice, Circe disorienta i suoi ospiti, e offre loro sapori umani ed incantesimi divini ( si pensi al ciceone che la maga dà ai marinai). Circe appare qui come una figura liminare che svela e nasconde, ed entra ed esce continuamente dalle diverse dimensioni dell'umano, dell'animale e del divino. Ella è artefice di un potente incantesimo di cui, tuttavia, lei stessa è prigioniera e vittima, poiché la negazione dell'alterità, ovvero l'incapacità di accettare ed accogliere l'altro, le impedisce di trascendere e superare il suo ruolo di incantatrice, e di divenire, dunque, se stessa. Circe rappresenta la condizione della donna non sposata che vive una sensualità istintiva e selvaggia. E' proprio questo, direi, l'aspetto che mi ha sempre maggiormente attirata di Circe, e, in effetti, a pensarci bene, in certi periodi della mia vita, ho giocato a ' fare la Circe', trattando gli uomini come fossero solo istinto e forza sessuale. Ma in vero, nel fare ciò, oggi riconosco di aver negato a me stessa e a loro l'accesso alla parte più bella e più pura di me, e ho permesso loro di tramutarmi in una creatura che negava a se stessa il potere di “sentire”, prigioniera com'ero della mia paura di soffrire. Con l'incontro tra Circe ed Odisseo, il carattere femminile elementare della maga indietreggia, lasciando spazio allo svilupparsi del carattere 23
trasformatore del femminile. La relazione tra l'eroe e la donna porta ad un processo di trasformazione psicologica che coinvolge entrambi. Odisseo, prima di giungere al palazzo di Circe, incontra Hermes che gli d o n a u n p o t e n t e a n t i d o t o , i l m o l y, c h e g l i p e r m e t t e r à d i a n n u l l a r e e neutralizzare gli incantesimi della maga. Inoltre Odisseo riceve da Hermes una serie di istruzioni che annientano il potere della maga la quale inutilmente somministra i suoi 'farmaci' all'uomo, neppure il tocco della sua bacchetta sortisce alcun effetto e non sottomette l'uomo al suo potere. L'uomo riceve, dunque, da Hermes gli strumenti simbolici per avvicinarsi al femminile. Hermes rappresenta qui il trait -d'union che media e mette in relazione il maschile ed il femminile, l'uomo e la dea, il mortale e l'immortale, la coscienza e l'inconscio, due mondi insomma che sono apparentemente incompatibili, ma che in realtà possono incontrarsi ed unirsi. Seguendo i suggerimenti di Hermes, Odisseo sguaina la spada e si lancia su di lei come un guerriero. Circe rimane spaventata e stupita al tempo stesso. Odisseo, scagliandosi contro Circe, incarna l'energia attiva, solare e combattiva dell'uomo, innanzi alla quale la donna non può fare altro che arrendersi e mettere in atto i suoi attributi, prettamente femminili, di accoglienza e ricettività. Ecco realizzarsi la transizione allo stato trasformativo: con l'incontro tra i due personaggi avviene la rottura di un incantesimo e lo stabilirsi di un nuovo equilibrio tra maschile e femminile, tra potenza e amore, tra logos e pathos. Odisseo, spezzando la malia di cui Circe stessa è prigioniera, le permette di accedere alla controparte amorevole che è in lei e che la guida ad una maggiore realizzazione di sè, in quanto donna e in quanto individuo. “ … montiamo sul mio letto sì che, uniti nel letto e in amore, ci possiamo fidare a vicenda”. La donna celebra l'alleanza con l'uomo e rinuncia al suo ruolo matriarcale e accentratore di seduttrice ed ammaliatrice, per divenire pienamente donna e relazionarsi con la controparte maschile all'insegna della fiducia. La metamorfosi trasforma Circe da maga temibile a compagna generosa e sensibile. Dal canto suo, anche Odisseo subisce una trasformazione: si tratta di una 'centroversione' che, usando le parole di Neumann, “combinando, sistematizzando e organizzando, approfondisce la formazione dell'Io e al tempo stesso salda in un sistema unitario i contenuti della coscienza, originariamente dispersi”. Odisseo, comunque, per completare pienamente il processo di sviluppo e di riappropriazione di se stesso, ha bisogno di un'ulteriore esperienza, che è la discesa nell'Ade, ovvero la penetrazione degli abissi ignoti ed oscuri nel proprio inconscio, e, più precisamente, nella propria Ombra. L'integrazione della propria ombra, invero, rappresenta un bisogno innato per ciascun individuo; chi non si permette di accedervi perpetra una pericolosa violazione contro se stesso e contro l'ordine empirico che tutto regola secondo criteri di armonia ed equilibrio universali. Dal punto di vista empirico, ciascun individuo, per il semplice fatto di essere nato maschio o femmina, fa riferimento ad un codice di principi fondamentali che lo guidano ad interpretare al meglio il compito del proprio 24
sesso. Il codice di ogni sesso concepisce i propri principi sia nella luce che nell'ombra, consentendo a ciascuno di esprimersi pienamente. Ogni codice contempla in egual maniera una parte luminosa, che contiene le doti più virtuose riferite al proprio sesso, e una parte ombra, che comprende le caratteristiche più scomode nelle quali nessuno mai vorrebbe riconoscersi. Chiunque cerchi di identificarsi esclusivamente con la parte luminosa e più 'buona' del proprio codice, si rivela come dissociato dal proprio codice e acquisisce debito empirico. Ai fini empirici, dunque, luce ed ombra si equivalgono, rappresentando entrambi un diritto, e pertanto un obbligo, per la persona. Entrambe gli aspetti appartengono alla natura umana e sono i due lati di una stessa medaglia. Accedendo all'interezza del proprio codice, e non soltanto ad una parte circoscritta, si può divenire portatori sani di principi empirici sani. Quindi a ciascun individuo è chiesto, dall'ordine stesso, di sapersi esprimere attraverso l'intera gamma dei principi innati appartenenti al proprio codice. Ciò non significa annegare nei moti ingombranti e voraci della propria ombra, ma vuol dire, accedendovi, imparare a gestirli, senza che li si applichi pedissequamente. In questo viaggio nel viaggio, Circe si rivela di grande importanza poiché fornisce all'eroe preziose indicazioni su come entrare in relazione con gli spiriti. Maschile e femminile dunque tornano a collaborare e cooperare per il raggiungimento di uno stato di equilibrio e armonia. Nel suo viaggio nelle profondità oscure degli inferi, Odisseo incontra la madre Anticlea. L'episodio è di fondamentale importanza, perchè attraverso l'incontro con la figura materna, l'Io cosciente dell'uomo riesce a liberarsi definitivamente del giogo che essa esercita su di esso e intraprende una nuova fase nel processo di riappropriazione di se stesso. In questo contesto Circe rappresenta l'Anima che guida l'eroe attraverso una trasformazione verso la conquista di una vita più autentica ed autonoma. La vicenda di trasformazione di Circe, come già accennato, mi rimanda fortemente a me stessa e al rapporto 'disturbato' che ho vissuto con me stessa, con l'aspetto più fragile del mio femminile, e, conseguentemente, con l'altro sesso. Come Circe, a lungo mi sono resa prigioniera e vittima di me stessa, a causa della mia divorante paura di scoprirmi e, conseguentemente, di mostrarmi una creatura fragile e bisognosa. Nel costante sforzo di difendermi e di rendermi immune al dolore e alla delusione che mi potevano causare gli altri, ho finito per nuocere e mortificare la mia espansività, la capacità di aprirmi all'altro, e ho finito per chiudermi nella mia torre d'avorio. Dunque, per anni, pur cercando e riuscendo a stabilire legami affettivi con diversi uomini, non ho mai permesso a nessuno di loro di giungere veramente a me, e, facendo così, mi sono negata la meravigliosa e straordinaria opportunità di essere me stessa, anche in tutta la mia debolezza. Tu t t o q u e s t o , a d e s s o l o s o , è s t a t o c a u s a t o d a u n ' i m m a g i n e d i m e i n c u i e r a prevaricante la paura di poter essere vittima degli altri o delle situazioni. Questa distorta e fuorviante percezione mi ha giocato spesso dei brutti scherzi, sopratutto sul piano dell’incontro con l'altro. 25
Per me, difatto, è stato sempre difficilissimo arrendermi e accogliere con fiducia ciò che la vita o le persone avevano in serbo per me. Ho sentito sempre il bisogno si sentirmi costantemente padrona di me stessa e della situazione; mi sono sempre barricata dietro una maschera che, se da un canto mi faceva sentire forte e al sicuro, d'altro canto mi privava di essere più vera ed autentica, e mi impediva di concedermi all'altro, nelle mie brutture come nei miei bagliori. Solo nel momento in cui ho 'mollato' sono riuscita, anche se in parte, a mitigare la paura che spesso celavo dietro atteggiamenti aggressivi e sfidanti, e, cosa più importante, a comprendere che la mia parte nascosta era lì che attendeva semplicemente di essere liberata. Per poter favorire in qualche modo il fiorire di questa mia parte nascosta è stato necessario sviluppare faticosamente la capacità di arrendermi, intendendo con questa espressione il non essere continuamente in lotta con la vita e con gli altri. Prendendo coscienza del mio rancore, delle ferite ricevute nell’infanzia, dei conti in sospeso che mi sono trascinata dietro inconsapevolmente così a lungo, sto imparando lentamente ad ammorbidirmi. Imparare l' arrendevolezza, per me, significa giungere alla piena consapevolezza che non è necessario essere in costante lotta con la vita o con l'altro; comprendere intimamente che, in fondo, la mia è stata (e talvolta, ahimè!, è ) una misera lotta che sortisce solo effetti controproducenti e indesiderati. Ho compreso bene come l'incapacità di lasciarmi andare avesse le sue dirette conseguenze sul rapporto con mio marito, anche sull'aspetto più specificamente sessuale dell'amore. E su tutto ciò sto invero lavorando con perseveranza e autenticità. Questo è per me un passaggio cruciale che mi sta permettendo di imparare a lasciarmi andare all’amore e alla vita. Nel momento in cui ho iniziato ad abbassare la testa con umiltà e onestà, ho cominciato a staccarmi dalla necessità di proteggermi e di avere tutto sempre sotto controllo. E quando mi sono liberata, anche se solo in parte, del bisogno di tenere sempre tutto sotto controllo e di difendermi da tutto ciò che è esterno a me, è andata scemando parte della mia aggressività e l'arrogante convinzione di dover avere sempre ragione. Così la mia parte femminile, seppur timidamente ed impacciatamente, si è sentita progressivamente più sicura e , sapendo di non rischiare alcun pericolo, ha fatto capolino e, ogni giorno di più, sta uscendo allo scoperto un po' meno inquinata da sentimenti auto-distruttivi e lesionistici. Tu t t o c i ò c r e d o s i a p o s s i b i l e g r a z i e a l p r o f o n d o l a v o r o i n t e r i o r e c o n d o t t o in questo ultimo periodo della mia vita, grazie alla condivisione con altre persone che stanno percorrendo lo stesso sentiero di ricerca con me che mi hanno rimandato, ciascuna a suo modo, tutte quelle cose di cui altrimenti io non mi sarei mai accorta e resa consapevole. Cose che, per l’appunto, avevano a che fare con la mia aggressività più o meno latente, con i miei atteggiamenti difensivi, con la mia corazza protettiva, con i miei falsi atteggiamenti sfidanti, di indifferenza o distanza, dietro i quali si nascondeva la paura di rivelarmi fragile. E grazie anche a mio marito che con il suo equilibrio e la sua pazienza, la sua posatezza e semplicità, la sua fermezza ed affidabilità mi ha dato la 26
forza ed il sostegno necessari. Attraverso le meditazioni e le diverse attività praticate nel “cerchio palermitano”, aiutata dal gruppo e da chi mi ha fatto sentire il proprio sostegno anche solo con uno sguardo o attraverso la propria mano appoggiata sul mio cuore, sono riuscita in parte a mettere in atto quelle contromisure individuali che mi hanno permesso di liberarmi di tutte le restrizioni che mi auto-imponevo e, di conseguenza, sono riuscita a rendere più sereno e gioioso il rapporto con le persone a me care, ed in particolare con mio marito. Oggi sono consapevole che, riuscendo a far fiorire dentro di sè i principi femminili di arrendevolezza e di accoglienza, le capacità del lasciar andare e del lasciarsi andare, dell’accettazione e della pazienza, del potersi fidare e affidarsi all'altro, certamente è possibile far brillare e splendere il proprio potere femminile. Solo recuperando un’assunzione piena dei principi fondamentali che permeano il femminile, cancellando ogni traccia di paura e presunzione, la donna può esprimere ciò che le è più connaturato e cioè i suoi principi yin fondamentali. Il riuscire a rinunciare ad avere sempre ragione, a difendermi, ad avere il controllo assoluto delle situazioni è per me ogni giorno un faticoso risultato, ma anche un'importantissima premessa.
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2.4 PENELOPE COME MODELLO Cercando tra le donne del mito – maghe, dee, regine e comuni mortali – un esemplare femminile che si avvicinasse ad incarnare i principi guida del codice femminile che vivono nella donna yin integrata, mi è venuta alla mente proprio la fedele moglie di Odisseo. In tempi di donne in carriera e casalinghe disperate, Penelope mi appare come una figura fuori moda, quella che meno sembra sintonizzata sulla sensibilità contemporanea. La sposa fedele e laboriosa è ormai un reperto archeologico, un ricordo scomodo sepolto sotto infiniti strati di polvere e vecchie ragnatele, un archetipo che il sacro furore femminista ha cancellato e ridotto in cenere. Penelope e la sua tela sono sparite sotto l’immagine di una donna forte e autosufficiente che nulla ha più da togliere all'uomo, di cui, talvolta, è diventata triste imitazione. Penelope è la principessa paziente, assennata e onesta, rinchiusa nella torre a tessere al suo telaio, mentre di fuori ci stanno i proci, che gozzovigliano facendo politica. Il mito di Penelope nelle pagine omeriche si apre con il rumore assordante del banchetto dei proci. La confusione vige nel regno. Ulisse, che rappresenta l'ordine, è assente e ha lasciato Itaca priva di autorità e regole, in mano ai proci che con le loro continue richieste di matrimonio cercano di spingere la situazione verso la resa e dunque verso la conferma del disordine vigente. In questa situazione Penelope è relegata nelle sue stanze, intenta a tessere il sudario per Laerte. Il telaio è simbolo del cosmo e rappresenta il moto perpetuo dell’universo. Il subbio superiore rappresenta il cielo, quello inferiore la terra. L'atto del tessere dunque significa partecipare attivamente alla vita del cosmo, unirsi a lui, ricreare l’unità del mondo nella sua diversità, nei suoi opposti. Pertanto il tessere di Penelope assume significati sacri e preziosi. Penelope entrando nell’essenza più intima della tessitura tocca con mano la vita. Penelope si carica il peso del simbolo della tessitrice e nell'economia del racconto ella rappresenta l'equilibrio domestico. Il suo potere liquido si manifesta attraverso la sua capacità di mantenere i fili sottili e invisibili di c h i l a c i r c o n d a . Te s s e n d o u n a s o l i d a r e t e d i s u p p o r t o , s e n z a i l b i s o g n o d i imporsi attraverso un Io in continua richiesta di approvazione, ella crea attorno a sè un centro di gravità permanente. Penelope è, insomma, bella, lavoratrice e saggia: ella è silenziosa, obbediente e rispettosa dell'autorità maschile, e non ha bisogno di confrontarsi attivamente con il resto del mondo per conoscere il proprio valore o per aumentare il suo merito. La figura di Penelope, invero, sebbene occupi poco spazio nel poema omerico, è profondissima e potente. Durante il banchetto, all'inizio dell' Odissea, l'aedo Femio allieta i convitati cantando, sulle note della cetra, il luttuoso ritorno dei guerrieri achei da Tr o i a . Penelope, frattanto, si trova appartata nelle sue stanze, nel luogo più intimo e pulsante, dove ella custodisce i suoi più preziosi segreti, il talamo e il 28
telaio, perni centrali della sua vita interiore. Completamente libera del compito gravoso e impegnativo, e oltretutto incompatibile con il suo codice empirico, di salvaguardia della stirpe (qui r a p p r e s e n t a t a n o n s o l o d a l f i g l i o Te l e m a c o , m a d a l l ' i n t e r o p o p o l o d e g l i achei), Penelope acquisisce maggiore spazio a livello del cuore, dedicandosi all'importante compito di coltivare la sua forza incondizionata. Penelope, dunque, isolata nelle sue stanze, è in raccoglimento, ma un raccoglimento vigile, in attesa ed ascolto. Alle parole prive di ogni sensibilità dell'aedo, Penelope non può fare a meno di sentirsi turbata e presumibilmente risentita (chi non lo sarebbe!), e, tuttavia, recatasi nella sala del banchetto, con tono cortese, seppure addolorato, si rivolge a Femio invitandolo ad intonare canti che narrino di imprese più liete e meno luttuose. Una qualunque altra persona avrebbe di certo usato parole più dure e toni più aggressivi e risentiti, d'altronde Penelope è sempre la padona di casa. Ma Penelope no! Ella, pur riconoscendo la sofferenza che le tormenta il cuore, non cade preda dell'ira e della superbia e con atteggiamento paziente e saggio, recuperando tutta la sua forza interiore, affronta nobilmente i fatti, nel totale rispetto, al tempo stesso, del suo sentire e della situazione. La sua si rivela una forza ferma e posata, che non affronta l'ostacolo di petto, ma in maniera delicata e diplomatica. Ella non ha bisogno della durezza, nè della severità, poiché dispone di uno spazio emotivo in grado di comprendere il dolore. Ella è come il giunco che si piega e non si spezza. Ecco che la figura di Penelope emerge lentamente ma solidamente quale archetipo dei valori femminili dell'introspezione, della sensibilità, della pazienza, dell'accoglienza, della flessibilità. Penelope è una donna delicata e forte ad un tempo e lo dimostra tenendo a freno i proci con i vari espedienti. Penelope ama Odisseo e la sua infinita pazienza e la sua fedeltà fanno di lei un emblema dell'amore coniugale. Ve r s o l a f i n e d e l p o e m a , q u a n d o , d o p o l a p r o v a d e l l ' a r c o , E u r i c l e a , l a f e d e l e nutrice di Odisseo, che lo ha riconosciuto da un'antica cicatrice, corre ad annunciarle il ritorno dell'amato marito, Penelope rimane incredula e sottopone l'uomo all'inganno del talamo. L'uomo, ovviamente, supera la prova e , finalmente, la donna, che ancora una volta ha dimostrato coraggio e forza interiore, può abbracciarlo. Lui è profondamente colpito dalla forza incondizionata di lei, che è l'unica che può dargli pace e serenità, riempiendogli l'anima. Tu t t o s e m b r a c h i u d e r s i i n u n l i e t o f i n e , “ e v i s s e r o f e l i c i e c o n t e n t i ” , m a c o s ì n o n è p e r c h è l ' i n d o v i n o Ti r e s i a h a p r e d e t t o p e r O d i s s e o u n n u o v o viaggio. Invero di quello che accade in questo viaggio nulla c'è dato sapere, tuttavia colpisce la serenità e l'arrendevolezza con cui la donna accoglie e accetta la notizia. Si tratta, mi sembra, dello spirito di sacrificio che sottende uno spazio interiore talmente sviluppato da conferire alla donna la capacità di dedicare a chi ama il proprio servizio. Penelope appare qui assolutamente allineata con il libero fluire delle cose, mostrandosi in tutta la sua autenticità. Ella non sente la spinta a contrastare ogni avvenimento e a lottare contro il destino, rivelando così di possedere una fede profonda nella vita. 29
La sua arrendevolezza non va qui confusa con un atteggiamento di sconfitta, ma essa costituisce un vero atto di forza, poiché la capacità di arrendersi catalizza invero molti talenti yin, come la flessibilità, l'elasticità e la leggerezza. Penelope si rivela dedizione e dolcezza, cura e accoglienza, fragilità e purezza, dimostrando di essere in possesso del principio di armonia, senza il quale non può esistere alcun 'appagamento femminile'.
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Capitolo III
YING E YANG
L A L E G GE D E L L ' I NT E R E Z Z A “ Un tempo gli uomini erano esseri perfetti, non mancavano di nulla e non v’era distinzione tra uomini e donne ... Zeus, invidioso di tale perfezione, li spaccò in due: da allora ognuno di noi è in perenne ricerca della propria metà, trovando la quale torna all’antica perfezione … Nei tempi andati, infatti, la nostra natura non era quella che è oggi, ma molto differente … Era l’ermafrodito, un essere che per la forma e il nome aveva caratteristiche sia del maschio che della femmina … Allora Zeus e gli altri dèi si domandarono quale partito prendere ... Dopo aver laboriosamente riflettuto, Zeus ebbe un’idea ... “ taglierò ciascuno di essi in due “ … Quando dunque gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna delle due parti desiderava ricongiungersi all’altra. Si abbracciavano, si stringevano l’un l’altra, desiderando null’altro che di formare un solo essere … E così evidentemente sin da quei tempi lontani in noi uomini è innato il desiderio d’amore gli uni per gli altri, per riformare l’unità della nostra antica natura, facendo di due esseri uno solo: così potrà guarire la natura dell’uomo. Dunque ciascuno di noi è una frazione dell’essere umano completo originario. Per ciascuna persona ne esiste dunque un’altra che le è complementare, perché quell’unico essere è stato tagliato in due … Queste persone - ma lo stesso, per la verità, possiamo dire di chiunque - quando incontrano l’altra metà di se stesse da cui sono state separate, allora sono prese da una straodinaria emozione, colpite dal sentimento di amicizia che provano, dall’affinità con l’altra persona, se ne innamorano e non sanno più vivere senza di lei - per così dire - nemmeno un istante. E queste persone che passano la loro vita gli uni accanto agli altri non saprebbero nemmeno dirti cosa s’aspettano l’uno dall’altro … evidentemente la loro anima cerca nell’altro qualcosa che non sa esprimere, ma che intuisce con immediatezza … “. E' così che Platone nel Simposio narra la nascita dei sessi ed è proprio da questo mito che hanno origine i due archetipi jungiani di Animus e Anima. Invero, questi due archetipi indicano una precisa dualità della psiche. La psiche comprende in se stessa sia l'energia maschile che quella femminile. Ognuno di noi, pertanto, è 'doppio', e, nella persona ben equilibrata, le polarità di maschile e femminile sono complementari e si integrano, anche se in maniera diversa, a seconda se si sia uomo o donna. In questo senso, ogni uomo ha in sè una donna, e, a sua volta, ogni donna ha in sé un uomo. Jung chiama Animus l'energia maschile presente nella psiche della donna e Anima l'energia femminile presente nella psiche dell'uomo. Anche la psiche, alfine, è duale nelle sue qualità primarie e Animus e Anima sono le polarità psichiche. L'Anima porta alla coscienza il principio di Eros, dell'amore, e 31
pertanto è portatore di qualità quali l'unione, il legame, la protezione, l'accoglienza, la cura, l'affettività; l'Animus porta alla coscienza il principio del logos, del ragionamento, e dunque veicola qualità quali il controllo, la decisione, la ponderazione, il calcolo, l'analisi. Nell'approccio empirico il concetto di Animus viene utilizzato per descrivere la carica yang presente nell'individuo, relativamente al proprio codice empirico: la mancanza di Animus, ovvero un Animus ipotrofico, indica la presenza di una carica debole che caratterizza una persona incapace di collegarsi con i principi attivi yang; mentre un eccesso di Animus, ovvero un Animus ipertrofico, indica la presenza di una carica troppo accentuata ed aperta tipica di un individuo incapace di collegarsi con quella parte femminile indispensabile per lo sviluppo di una personalità empiricamente non compromessa. L'uomo, dopo aver instaurato un rapporto genuino e sano con tutte le sue qualità yang, può, ove empiricamente necessario, accedere a qualità femminili quali la dolcezza, la tenerezza, la commozione. Alla stessa maniera, solo una donna che ha integrato e consolidato la propria carica yin può accedere ai moti guida maschili come il coraggio, l'intraprendenza, la capacità di comando. In altre parole, solo la carica integrata può avventurarsi nell'interpretare la forza opposta. M i p i a c e , a r i g u a r d o , i l l u s t r a r e l ' i m m a g i n e d e l Ta o , p e r c u i l ' i n t e r a e s i s t e n z a è l'unione delle due energie che sono tra di loro complementari e ciascuna d e l l e q u a l i t e n d e v e r s o l ' a l t r a i n u n m o t o d i c o m p e n s a z i o n e , Yi n e Ya n g . I l Ta o ( l e t t e r a l m e n t e l a Vi a o i l S e n t i e r o ) è l a f o r z a f o n d a m e n t a l e c h e s c o r r e a t t r a v e r s o t u t t a l a m a t e r i a , v i v e n t e e n o n v i v e n t e , d e l l ' u n i v e r s o ; Yi n e Ya n g s o n o l e d u e p o l a r i t à d i s e g n o d i v e r s o c h e r a p p r e s e n t a n o i p r i n c i p i fondamentali dell'universo. Ovunque e in tutto, il movimento e la vita n a s c o n o d a l l e i n t e r a z i o n i d e l l o Yi n e d e l l o Ya n g , e d a l v a e v i e n i i n c e s s a n t e che ritma i loro rapporti. Lo yin e lo yang sono principi opposti ma complementari e si consumano e si sostengono a vicenda, sono costantemente mantenuti in equilibrio e nessuna cosa può essere completamente yin o completamente yang, poiché in essa è contenuto il seme per il proprio opposto. Perciò ogni uomo ha dentro di sè una parte femminile, così come ogni donna ha una parte maschile. Lo yin e lo yang hanno radice uno nell'altro; essi sono interdipendenti e hanno origine reciproca; l'uno non può esistere senza l'altro come il giorno non può esistere senza la notte. La loro unione perfetta costituisce l' entelechia dell' universo. È i m p o r t a n t e e v i d e n z i a r e c h e n e l l a f i l o s o f i a Ta o i s t a Yi n e Ya n g n o n h a n n o alcun significato morale, come buono o cattivo, e sono considerati elementi di differenziazione complementari. Allo stesso modo il sistema empirico non riconosce il bene o il male, nè giustifica o condanna secondo i valori etici ai quali il nostro modo di ragionare è soggetto. I d u e p r i n c i p i Yi n e Ya n g v e n g o n o r a p p r e s e n t a t i c o n i l T ' a i C h i T ' u . I n e s s o l'armonia fra gli opposti è simboleggiata dall'uguaglianza delle superfici bianca e nera. La particolare suddivisione ad S fra le due aree fa sì che i p e r i m e t r i d i Yi n e d i Ya n g s i a n o u g u a l i a l p e r i m e t r o d e l l ' i n t e r a circonferenza. I punti nero e bianco che si trovano rispettivamente nell'area c h i a r a e s c u r a s t a n n o a d i n d i c a r e c h e Yi n e Ya n g n o n s o n o a s s o l u t i , m a c h e 32
v i è s e m p r e u n p o ' d i Yi n i n Ya n g e v i c e v e r s a . Il T'ai Chi T'u va pensato in perpetua rotazione, cosa che insieme alla sua forma circolare simboleggia l'evoluzione continua e la ciclicità della natura. I l m o n d o i n t e r o s i c o m p o n e d e i p r i n c i p i Yi n e Ya n g c h e d a s e m p r e s o n o associati risettivamente all'energia femminile e all'energia maschile: da un l a t o l a f o r z a Yi n , c h e è p r i n c i p i o d i f l u i d i t à e m o r b i d e z z a , e d a l l ' a l t r o q u e l l a Ya n g , c h e è p r i n c i p i o d i v i g o r e e v i t a l i t à . Essi sono due orientamenti tanto avversi quanto compensativi ed è soltanto la loro sinergia a comporre l'ordine universale: vita e morte, amore e odio, luce e ombra, gioia e tristezza, sono tutti concetti contrapposti ma intimamente legati tra loro. La loro diversità si basa sulla complementarietà e non sulla separazione, sull'integrazione e non sul contrasto, così da poter garantire l'interezza e la completezza di qualsiasi progetto empirico. Solo così i principi vitali si rafforzano, valorizzando l'altro per la sua diversità. Ciascuno di essi mira ad un rapporto armonico con l'altro, perchè, soltanto attraverso l'integrazione della parte mancante che viene offerta dall'altro, entrambe raggiungono piena completezza ed equilibrio. I p r i n c i p i Yi n e Ya n g r a c c h i u d o n o e i n t e r p r e t a n o a l m e g l i o l ' e s s e n z a d i entrambe i sessi; ogni uomo e ogni donna appartiene al proprio codice empirico che contiene le qualità, i talenti e le inclinazioni universali maschili e femminili. A seconda del proprio sesso biologico ognuno è portatore di una carica primaria che, fin dal momento del concepimento, determina il suo orientamento; ogni individuo eredita, insieme al patrimonio genetico, il codice empirico del proprio sesso. Si tratta di un'eredità importantissima e preziosa, che ci permette di acquisire forma e definizione, chiarezza e naturalezza; essa consente ad ognuno di accedere alla propria matrice. Più ci avviciniamo ad essa, più sperimentiamo la gioia, il benessere, il godimento dell'esistere. All'interno del progetto empirico che sottende la vita, esiste una distinzione di incarichi di cui ciascun sesso si rende responsabile, cosicchè la prole apprenda la sua interezza. Si tratta del ruolo empirico di uomo e donna che ognuno di noi è chiamato ad assumere, per il semplice fatto di aver avuto in dono la vita, ed esso costituisce la responsabilità più grande per ciascun individuo. I n t a l e p r o s p e t t i v a i p r i n c i p i g u i d a Yi n e Ya n g , e s s e n d o s i s e m p r e p i ù raffinati nei milioni di anni di evoluzione, rappresentano gli strumenti d'eccellenza necessari e funzionali per la sopravvivenza della specie umana. Attraverso la loro applicazione in ogni ambito vitale, noi possiamo entrare in contatto con il nostro codice e dunque farci carico di tutte quelle responsabilità, dei diritti e dei doveri che spettano a ciascuno di noi per la semplice appartenenza ad un sesso biologico piuttosto che all'altro, e senza i quali a nessuno di noi sarebbe dato di accedere allo stato di appagamento a cui tutti tendiamo. Ciascuno dei generi è portatore della propria peculiare carica biologica, ovvero la sua matrice d'eccellenza, tuttavia accede anche alla carica opposta e secondaria, indispensabile quanto quella principale, ma di solo supporto.
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Capitolo IV
I PRINCIPI GUIDA YIN Nella società attuale, governata dalle leggi del potere, dell'opportunismo cieco e della lotta per la prevaricazione dei diritti altrui a vantaggio dei propri, in una condizione di vita in cui la donna fieramente indossa i pantaloni al pari di qualsiasi uomo, l'esempio di Penelope risulta alquanto obsoleto e inaccettabile. In un mondo in cui prevalgono i parametri yang a dispetto di quelli yin, è la donna stessa che reclama come propri i principi attivi yang; è la donna stessa a voler essere sempre più forte e indipendente, finendo per aspirare a strategie e qualità yang, invece di valorizzare le proprie. La spinta maschile prepotente e spregiudicata ha abbattuto ogni barriera, negato ogni tabù e annullato ogni regola di buon senso a favore di un nuovo ed imperante dominio dell'arroganza della mente e della superbia dell'individualismo moderno, causando un disequilibrio strutturale. Ognuno vive la propria esistenza secondo criteri e regole personali, dando una forma disarmonica al proprio agire. Vi v e n d o i n u n a s o c i e t à c h e e s a l t a l ' I o s o p r a o g n i c o s a , a n c h e l ' i d e n t i t à femminile ha perso i suoi attributi naturali, allontanandosi e rinnegando il proprio codice, e mai come oggi le donne sono state così colpite da indicatori sistemici come la rabbia e il vuoto interiore. Le donne occidentali hanno così caparbiamente rivendicato l'accesso a un tipo di autorealizzazione maschile che hanno sviluppato infine un animus ipertrofico tale da giungere ad uno stato di alterazione collettiva. Il bisogno moderno, da parte delle donne, di dimostrare costantemente di essere una donna evoluta ed indipendente è espressione di un debito collettivo ingente. Dietro al mancato riconoscimento dell’identità femminile si apre un mondo di modelli sociali di estrema attualità quali lo stereotipo della donna in carriera o quello della spregiudicata sessuale, che rivendica il diritto di usare il proprio corpo a propria totale discrezione. Si tratta invero di modelli che sembrano voler emulare il maschile ma, in realtà, lo superano estremizzandone i contenuti in ragione di un diverso e più totalizzante modo di sentire e vivere le emozioni che è proprio della donna moderna. Questi modelli esercitano sulla donna di oggi, trasgressiva e battagliera com'è, un richiamo fortissimo d'identificazione; ma questa palese deviazione dal codice yin rappresenta un abuso permanente dell'ordine, il quale rispecchia tale disarmonia attraverso l'indicatore di una rabbia sempre crescente. La donna, difatto, si va allontanando sempre di più dal suo codice naturale, va accrescendo il suo debito empirico e, raggiungendo livelli sempre più alti di un'autorealizzazione solo apparente, s'imbatte in un vuoto profondo dell'anima. Mentre la parte femminile reclama questo vuoto interiore, la bambina 34
furiosa governa tutto il suo essere. Ci si trova, in questo modo, di fronte ad uno dei più vistosi paradossi del mondo contemporaneo dove, nonostante il riconoscimento di un ruolo sociale delle donne più importante che in passato, le regole e le modalità di relazione sociale sono ancora improntate ad una cultura decisamente androcratica che segue logiche di potere classiche fondate sulla forza più che sul sentimento. L’ u l t i m a f r o n t i e r a r a g g i u n t a d a q u e s t a t r i s t e m e t a m o r f o s i d e l r u o l o d e l l a donna è rappresentata dall’immagine del corpo femminile divenuto oggetto di attrazione del desiderio degli uomini che contano e che possono soddisfare le aspirazioni di successo e di ricchezza delle donne, le quali, piuttosto che investire sulle proprie qualità innate, le sviliscono e le mortificano costantemente, fino ad atrofizzarle. In tale visione il corpo non è percepito come un bene intimo e prezioso da difendere contro repressioni ed espropri patriarcali, ma viene vissuto come un prodotto ad alto valore estetico da sfruttare e scambiare prima che deperisca, e la cui relazione con l’io è incerta e offuscata. Riappropriarsi delle qualità yin e dei principi guida del femminile mi sembra quindi un atto dovuto, l'unico in grado di ripristinare una situazione di equilibrio e forza gioiosa all'interno di ogni esemplare femminile presente sulla faccia della terra. Si tratta del processo di yinghizzazione che conduce lentamente la donna alla riconquista della propria interezza, attraverso la riappropriazione dei principi guida che sostengono lo yin. La donna yin integrata trova la sua piena espressione nella dolcezza e nell'accoglienza, non nella competizione e nella sfida. Ella sa usare in egual modo forza e dolcezza. Il suo potere liquido nasce dalla capacità di compensare una carica sana yang e ben sviluppata con una morbidezza consistente e onnipresente. Il coraggio dell'essere donna si manifesta nell'accettare e sperimentare la propria fragilità e delicatezza senza la paura di aprirsi. Si tratta di accogliere il proprio lato ombra disponendo di un ampio spazio del cuore. Lo yin ben radicato non ha bisogno di dimostrare la propria carica rabbiosa per farsi rispettare; essa sviluppa il proprio potere senza dover ricorrere a strumenti maschili per sentirsi realizzata. Mantenendosi nel terreno dei principi attivi femminili, la donna li afferma nel proprio vivere ed agire attraverso il sostegno dell'Animus che rappresenta la carica yang femminile naturale e genuina che costituisce il supporto invisibile di ogni moto femminile. La donna yin integrata possiede una spiccata femminilità insieme ad un Animus fermo e ben strutturato. E' proprio grazie a questa sinergia che essa è capace della forza amorevole. La donna yin integrata dispone di uno spazio interiore che le permette di tollerare gli atteggiamenti altrui senza subirli; ella non si vergogna delle proprie lacune e, nell'ammettere le proprie debolezze, sa affidarsi senza entrare in dipendenza; non assume atteggiamenti sfidanti e non si sente in competizione con nessuno poiché non ne ha bisogno. Il suo fare nasce dalla sinergia di atteggiamenti posati e cedevoli e una fermezza sorprendente. La sua gentilezza d'animo le dona luce e purezza e si manifesta attraverso entusiasmo e gioia di vivere. La vivacità e un 35
atteggiamento gioioso permeano il suo fare. La donna yin integrata è immediata e spontanea e sa stupire per la sua spiccata intelligenza emotiva che le conferisce profondità e acutezza di argomentazioni. La donna yin integrata possiede una sorprendente capacità di affidarsi alla vita e percepisce la propria morbidezza come una rete di salvataggio sulla quale poter contare. Ella, non vivendo la vita come minaccia, sa donarsi generosamente con slancio disarmante; e, qualora venisse minacciata, riesce a mostrare la giusta aggressività rientrando immediatamente dopo nella leggerezza del suo essere. La donna yin integrata non teme l'uomo e, attraverso il suo potere liquido, ne riconosce il diritto di guida, sostenendolo attraverso tutti i suoi mezzi yin. Ella, consapevole della propria forza, affianca il proprio uomo non esercitando opposizione continua nè vivendo in sua dipendenza. La donna yin è come un fiore appena sbocciato che inonda il mondo di un profumo ineffabile. Questo fiore, per quanto delicato, è sostenuto da una forza impareggiabile; tuttavia esso ha bisogno di essere innaffiato da un buon giardiniere, in grado di proteggerlo dalle intemperie. La donna, i n f a t t i , a p p o g g i a n d o s i a l l e s t r u t t u r e d i s a l v a g u a r d i a Ya n g , s a d i p o t e r e acquisire maggiore spazio a livello del cuore, potendosi dedicare al suo compito più importante, ossia quello di allevare la sua forza incondizionata. La donna yin integrata sente come manifestazione più alta della sua realizzazione l'espletamento del suo diritto alla maternità. E' infatti nell'ambito familiare e degli affetti che la donna yin integrata trova l'ambiente più consono al suo essere, dove riesce ad accedere alla pienezza delle sue facoltà empiriche.
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Capitolo V
L' ESSERE MADRE: dalla maieutica al mondo educativo
Come ho appena detto, la donna esprime al meglio le proprie strategie vitali all'interno dell'ambito familiare. Daltronde è l'ordine empirico stesso che prevede il diritto alla maternità come quello più importante per ogni esponente femminile. Tu t t a v i a , a i f i n i e m p i r i c i , n o n b a s t a m e t t e r e a l m o n d o p e r e s s e r e m a d r e , poiché esiste una profonda differenza tra l'essere una madre biologica e l'essere una donna che aderisce con consapevolezza al ruolo empirico di madre. La prima è dissociata dalla propria forza empirica, non accede alla matrice d'eccellenza dell'ordine i cui principi attivi yin sono indispensabili per poter adempiere in modo esaustivo il proprio ruolo di madre, e, per tanto, rimanendo ancorata al ruolo di bambina, essa passa alla propria prole una consegna compromessa e alterata; la seconda, aderendo appieno ai moti d'eccellenza del proprio codice, dispone di quella qualità d'amore e di quella saggezza che le permettono di adempiere con pienezza il proprio compito e rispodere alle esigenze del figlio in maniera adeguata. Quando si è assunto il ruolo di adulto, in effetti, ci si può preparare ad una ulteriore evoluzione che è quella che ci consente di poter essere madre (o padre) ai fini empirici, un ruolo questo che non è da intendersi strettamente legato alla maternità (o paternità) biologica, ma costituisce l'espressione più a l t a d e i p r i n c i p i a t t i v i d e l p r o p r i o c o d i c e d ' a p p a r t e n e n z a . Ta l e r u o l o , i n v e r o , rappresenta la matrice d'eccellenza dell'essere femminile (o maschile) all'interno dell'ordine sistemico. Dunque ai fini empirici non è necessario essere genitore biologico per entrare nella forza della madre o del padre; si tratta semmai di un passaggio interiore che consente di giungere allo stadio di massima evoluzione della specie e di entrare nella dimensione più alta ed espressiva del proprio ruolo. Invero la donna yin integrata, in quanto interprete dei principi empirici di accoglienza, cura, potere liquido e forza incondizionata, è per natura portata a trovare appagamento e senso di autorealizzazione nel 'progetto famiglia' e, per quanto l'affermazione nell'ambito professionale possa rivelarsi importante, essa non può eguagliare mai il senso di appagamento realizzato all'interno del proprio nucleo familiare. L'acquisizione di una posizione lavorativa prestigiosa e di potere, un ricco stipendio, lo svolgimento di un'attività intellettuale stimolante o qualsiasi riconoscimento sociale non può in alcun modo dare alla donna quel senso gioioso e sereno di autorealizzazione e pienezza che le può provenire invece dall'accudimento della propria famiglia, e della propria prole in particolare, essendo proprio quest'ultimo il suo compito principale ai fini evoluzionistici e il suo moto empirico primario congenito e innato. La donna integrata è innanzitutto portatrice naturale di uno spiccato spirito 37
di sacrificio e rinuncia. Lo spirito di sacrificio e di rinuncia è un principio yin fondamentale che rappresenta un diritto empirico femminile che appartiene alla forza della madre; esso è il presupposto per la sopravvivenza umana, poichè indispensabile sia nel periodo della gestazione, durante il quale ogni donna 'sopporta' una pancia sempre più pesante ed ingombrante, sia durante il parto, per affrontare il quale è necessario sopportare il dolore fisico ( basti pensare che talvolta la vita della partoriente viene financo messa in pericolo per dare alla luce il nascituro ). Ma lo spirito di sacrificio non si limita al mero ciclo riproduttivo, esso rappresenta una vera e propria metafora per ogni moto femminile che trova in esso la forza per uno slancio vitale di autorigenerazione che radica ancor di più la donna nel proprio yin. La donna yin integrata, per la sua naturale predisposizione alla generosità, alla dedizione ed al sacrificio, ama porsi al servizio degli altri e da esso trae appagamento e soddisfazione. Ella riserva il primo posto delle sue priorità alla famiglia e ad essa si dedica con cura e amore, ricavandovi senso di pienezza e gratificazione, senza per questo, tuttavia, annullarsi o dissolversi nell'altro, essendo ella capace di sostenere la propria dolcezza con la forza incondizionata. La donna integrata offre nutrimento sia fisico che emotivo: ella allatta i suoi bambini, si premura di prepara loro il cibo da consumare quotidianamente, li accoglie con i suoi abbracci, le sue parole o un semplice sguardo, si prende cura di loro, li sostiene e si dedica loro con amore incondizionato. Ella incarna il principio empirico del dare. La donna yin possiede una grande capacità ricettiva, fisica e psicofisica, che si manifesta nelle straordinarie capacità di accoglienza, dedizione e cura che l a c a r a t t e r i z z a n o . Ta l e c a p a c i t à r i c e t t i v a , i n s i e m e a l l a f o r z a c h e s o s t i e n e , fanno di lei il perno della famiglia e il nucleo emotivo al quale i figli si rivolgono per ricevere supporto e sostegno. La donna integrata possiede la capacità di gioire ed entusiasmarsi, di commuoversi ed emozionarsi; ella accede al sentire sistemico e ciò le permette di avere accesso alle energie più sottili e ad un potere intuitivo che la rendono una mamma attenta e 'sensitiva' agli stati emotivi dei propri figli, senza per ciò soffocarli con eccessive preoccupazioni ed atteggiamenti iperprotettivi. La donna yin sa rimanere al suo posto e non invade i diritti empirici altrui; pertanto ella rifugge da assumere posizioni da 'maestrina so tutto', non disapprova minacciando, nè tantomeno offendendo, non avanza pretese possessive, non esercita il proprio controllo e non carica i propri figli di aspettative e proiezioni personali. Il codice yin conferisce alla donna il diritto alla tenerezza e alla spensieratezza, quello di accedere al mondo secondo approcci e modalità ludiche e creative che la liberano dal pesante onere di essere sempre efficace ed efficiente, controllata e controllante. La donna integrata possiede la forza gentile, una morbidezza posata e determinata al tempo stesso, mostrando una splendida sinergia di fermezza e cedevolezza. Ella dispone di uno spazio del cuore più ampio che le permette di accogliere gli atteggiamenti altrui senza subirli. Il suo coraggio viene dal cuore e ciò infonde risolutezza e fermezza a tutto il suo fare, qualità indispensabili e preziose per assolvere al meglio al ruolo di madre. 38
Il ruolo di madre ha esercitato sempre un grande fascino in me e sin da giovanissima ho sentito un imperante desiderio di diventare mamma. Invero il percorso di madre per me ha avuto inizio circa 10 anni fa e mi ha cambiata profondamente, portandomi a scoprire e ad affrontare nuove situazioni e nuovi aspetti di me. Come tutte le mamme, amo immensamente i miei bambini, ma so perfettamente che spesso non sono riuscita ad aiutare i miei figli nel modo in cui avrei voluto e sarebbe stato opportuno. Tr o p p o s p e s s o h o c o n c e n t r a t o l a m i a a t t e n z i o n e e l e m i e f o r z e s u l l a g e s t i o n e e sulla risoluzione di questioni di vita quotidiana, trascurando le molteplici e meravigliose opportunità di divertimento e apprendimento che mi si presentavano innanzi. E' come se avessi anteposto i l fare la mamma all'essere madre, il mero accudimento al confronto sincero e diretto con loro e con le effettive necessità che il momento richiedeva. Osservando i comportamenti dei miei figli, spesso ho avuto la netta e dura sensazione che, come mamma, avrei potuto, in molti casi, fare di meglio . Quante volte, affrontando piccole situazioni conflittuali con loro, mi sono sentita sotto pressione, ho sentito i muscoli del corpo irrigidirsi, il battito cardiaco aumentare e il cervello andare in tilt, non riuscendo più a pensare in modo lucido e reagendo in fine in modo meramente “emotivo”. Quante volte ho provato un senso frustrante di impotenza e disperazione e ho reagito con esplosioni di rabbia, colpendo oggetti o urlando. Quante volte, invorticatami in moti di rabbia, ho finito per dire cose che in realtà non avrei mai voluto dire e per le quali mi sono amaramente pentita e sentita in colpa. So che il più delle volte ho fatto quel che ho potuto, credendo di essere guidata dal mio sincero affetto. Ma questo, in realtà, era sporcato da retaggi del mio passato che non mi permettevano di accedervi liberamente e direttamente, senza filtri inquinanti. Quando ho avuto il mio primo bambino ho cominciato spontaneamente e progressivamente a privilegiare la nuova dimensione di madre rispetto a quella di figlia, e ho avvertito fin da subito come se la vita trascorsa da figlia fosse divenuta come per magia quasi passato e avesse inizio una nuova vita da madre. Questa inaspettata trasformazione è stata accompagnata in me da un senso illusorio di straordinaria conquista e libertà. L'immenso sentimento di gioia provato per il nuovo nato era un tutt'uno con la convinzione di avere inaugurato una nuova stagione della mia vita che aveva rappresentato da sempre, nel mio personalissimo immaginario, un tempo di libertà, spontaneità, autosufficienza e leggerezza . Tu t t a v i a l a m a t e r n i t à s i è r i v e l a t a p e r m e , f i n d a s u b i t o , u n ' e s p e r i e n z a f o r t e e faticosa e una sensazione di profondo tradimento per una realtà taciutami mi ha pervasa. In effetti, devo ammetterlo!, mi ero creata una visione della maternità piuttosto idealizzata. Anche il momento del parto è stato vissuto con la profonda sensazione di aver subito un tradimento da parte di chi, e a dire il vero non so precisamente identificare chi ( mia madre, il ginecologo, l'ostetrica, lo psicologo del corso preparto, la tribù delle donne, la natura, 39
dio, me stessa? ), non mi aveva detto della sofferenza e del dolore che avrei provato. L'essere catapultata improvvisamente nella condizione di mamma è stato per me abbastanza destabilizzante. Inoltre ho fin da subito avvertito una sorta di disagio e senso di inadeguatezza per i quali provavo vergogna e senso di colpa e di cui non osavo parlare con nessuno, ancor di più che mi sono trovata ad affrontare la nuova situazione da sola, essendo il padre di mio figlio assente, per i primi tre mesi di vita di nostro figlio, perchè impegnato fuori, a 800 chilometri di distanza da casa,in un corso di formazione professionale. L'immagine che mi ero creata di me stessa in quanto mamma era infranta e aveva inizio il tortuoso cammino che mi avrebbe condotto alla scoperta dell’aspetto così ambivalente e difficile dell’amore materno, un amore capace di suscitare anche emozioni che sembrano in contrasto con caratteristiche più consone e riconosciute come la tenerezza, la dedizione e la gioia. E' così che ho scoperto via via che ci sono anche le incertezze, i timori, il senso di inadeguatezza e quello di colpa, la stanchezza, l’insofferenza e a volte la collera. Ignoravo, inoltre, che vivere la maternità significasse, tra l'altro, portare in scena la figura della propria madre e aprire dentro di sè un confronto e talvolta anche un contrasto, poichè nella relazione con il proprio figlio si riscoprono e si rivivono in parte anche le proprie esperienze infantili. Nel rapporto con i miei figli ho scoperto di ritrovarmi spesso prigioniera e costretta in un modello di interazione inadeguato e ripetitivo, spesso non compatibile con la relazione di amore e di cura che avevo immaginato per me e per i miei figli. Nel rapporto materno, di fatto, influisce profondamente l’eredità che la figlia riceve dalla propria madre nel suo primo legame con lei, e tale eredità invero mi ha profondamente influenzata sia nella crescita personale che nei rapporti interpersonali. Esserne consapevole mi ha permesso di pormi innanzi ad un importante interrogativo, ovvero se riproporre o meno tale copione anche nella mia identità di madre. Secondo numerosi studi recenti, il modello di attaccamento che viene stabilito con il bambino è in larga misura determinato da quello sperimentato con la figura materna. La relazione genitore-figlio costituisce una parte molto importante ed influente delle esperienze che plasmano in maniera diretta e duratura la personalità del bambino. Intelligenza emozionale, il senso di autostima, le capacità sociali di relazionarsi e comunicare con gli altri si formano sulla base di queste esperienze precoci di attaccamento, che sono a loro volta influenzate direttamente dalle modalità con cui i genitori sono capaci di riflettere sugli accadimenti della loro storia personale. Quando esperienze interne ci impediscono di entrare in collegamento con i nostri figli, la percezione che i bambini hanno delle nostre emozioni può scatenare in loro l'attivazione di stati emozionali difensivi e comportamenti aggressivi o di ritiro che ostacolano ulteriormente la capacità di capire e sentire le loro emozioni. Se nel passato ci sono state carenze, insoddisfazioni, delusioni, può essere utile recuperare queste esperienze per renderle positive attraverso una presa 40
di consapevolezza. Certo, non possiamo cambiare quello che ci è successo da bambini; possiamo però riconoscere i meccanismi attraverso i quali il passato continua ad influenzarci, e, dunque, possiamo tentare di impedirne la ripetizione. Rivisitando i fatti del nostro passato possiamo modificare il nostro modo di pensare a quegli eventi, possiamo darvi un nuovo significato alla luce degli accadimenti presenti. Possiamo cogliere ed analizzare tutte quelle esperienze difficili ed emotivamente significative per integrarle in una visione più ampia e completa di noi stessi che ci consente di muoverci su livelli di coscienza più coerenti. Di recente ho letto del kintsugi, una straordinaria tecnica che i giapponesi utilizzano per riparare vasi, scodelle e oggetti simili lesionati o andati in frantumi, riempiendone le crepe o sigillando tra loro i cocci con oro, argento o altri metalli preziosi. La ceramica rotta acquista così un nuovo aspetto e una nuova vita attraverso le preziose linee dorate o argentate: l'oggetto diventa più prezioso grazie elle sue stesse cicatrici. Tu t t o c i ò m i s e m b r a s e m p l i c e m e n t e f a n t a s t i c o p e r c h è n o i t u t t i s i a m o v a s i d i ceramica che subiamo colpi, crepandoci o andando in frantumi; tutti quanti, cadendo, ci sbecchiamo o ci rompiamo, ciascuno nel suo modo particolarissimo; ma, mettendo in evidenza le nostre linee di frattura con l'oro, possiamo acquistare quell' aspetto unico e irripetibile che solo quell''evento che ci ha segnati ci può conferire. Il kintsugi ci offre una possibilità nuova, sana e costruttiva di vedere le fratture e le ferite, di qualsiasi natura esse siano, e di fare pace con esse. Non esiste spaccatura che non possa essere rimarginata; ad ogni vuoto si può dare un pieno. Non solo: una ferita riparata conferisce al suo portatore un aspetto nuovo, unico e irripetibile; da una ferita possono nascere forme e storie preziose. Normalmente tutti quanti siamo abituati a conferire alle crisi e alle fratture un valore negativo, caricandole di frustrazione, vergogna, sensi di colpa e fallimento, ostinandoci a stare nel dolore e nel travaglio. Il kintsugi ci indica invece la strada della resilienza e ci suggerisce la possibilità di trovare uno sprazzo di luce che ci metta in contatto con tutte le nostre risorse e la forza che andiamo maturando anche proprio grazie alle nostre ferite. Si tratta certo di un processo lento e faticoso, che richiede pazienza e attenzione, ma che ci mostra la via per la saldezza, l'autostima, l'umiltà gioiosa. La vita invero è integrità e rottura insieme; essa è ri-composizione costante ed eterna; essa è inclusione. Affrontare “vecchie storie”, personalmente, mi ha permesso di realizzare nuove forme di integrazione intrapersonale e, grazie al percorso intrapreso tre anni fa, ho compreso che davvero non è mai troppo tardi per cercare di affrontare e dare un senso a esperienze del passato, perchè tentativi di questo genere possono sortire effetti positivi non solo per noi, ma anche per i nostri figli e le persone che ci vivono accanto. Mi è divenuto più chiaro come l'allontanamento dalla propria famiglia d'origine rappresenti un passaggio necessario ed indispensabile che consente alla persona di acquisire uno spazio interiore più ampio e di abbandonare il mero ruolo di figlio per acquisire un'identità personale che la avvicina al 41
ruolo di adulto. Disattendendo le aspettative dei propri genitori in favore del libero sviluppo dei propri talenti e delle proprie propensioni, l'individuo entra nel ruolo dell'adulto e, prestando fede al proprio progetto esistenziale, si assume le proprie responsabilità empiriche. Una maggiore conoscenza e comprensione di me stessa e della mia storia mi ha aiutata a costruire una relazione più soddisfacente con i miei figli, e non solo con loro. La riflessione su me stessa mi ha permesso di liberarmi in parte da reazioni che erano guidate da stati emotivi interni e di accedere a un nuovo e più ampio repertorio di risposte comportamentali verso i miei figli. Innanzitutto, ho imparato che i bambini hanno bisogno di essere amati e rispettati, non gestiti. Recuperando la mia parte bambina, ho imparato a divertirmi con i miei figli, a condividere con loro lo stupore di sentirmi viva e gioiosa , a stare semplicemente con loro. Ho imparato gradualmente a condividere con loro sia i loro momenti di frustrazione e tristezza che quelli di gioia e di eccitazione , alimentando così quel sentimento di empatia che ha favorito un senso di unione tra me e loro che da tempo non avvertivo e di cui sono testimonianza i loro abbracci e sguardi riconoscenti. Pormi al loro stesso livello, partecipare alle loro situazioni, avere un atteggiamento aperto e ricettivo, esprimere curiosità ed entusiasmo per le loro cose, anche semplicemente con il tono della voce, mi ha permesso di entrare un po' più in sintonia con le loro emozioni. Nel corso di questi tre anni di percorso ho imparato che il significato delle nostre interazioni risiede più nei processi che nei contenui dei nostri messaggi e che la comunicazione si basa sulle modalità con cui noi entriamo in sintonia con gli altri. Il modo in cui i messaggi passano da una persona ad un'altra stabiliscono una relazione che è al tempo stesso uno scambio di informazioni e di energia. Molto spesso mi concentravo sul contenuto dei messaggi verbali e non prestavo abbastanza attenzione al coinvolgimento emotivo che creavo nei miei bambini. Pertanto ho sentito il bisogno di imparare gradatamente a controllare i segnali non verbali con i quali spesso e inconsapevolmente comunicavo disapprovazione e rimprovero, e ho imparato ad ascoltare consapevolmente, con il cuore, abbandonando la presunzione di poter sempre dire la mia e insegnare loro qualcosa di giusto. Ho acquisito la consapevolezza che i miei figli non hanno costantemente bisogno di una mia totale disponibilità, ma di sentirmi presente nelle interazioni che richiedono un coinvolgimento emotivo. Faticosamente, ma inesorabilmente, sto imparando a sviluppare la capacità di arrivare a scelte che si traducono in risposte meditate e non più automatiche, poichè, invece di reagire ad una situazione in modo istintivo, è possibile giungere a comportamenti intenzionalmente adeguati, evitando di reagire in maniera eccessiva e incontrollata, causando ulteriori disagio e sofferenza. Sto imparando, ogni giorno di più, a interferire sempre meno nelle loro vite e ad acquisire modalità e strategie 'adulte' , mettendo da parte l' ingombrante peso del mio ego e delle mie aspettative di genitore. Sto imparando a raggiungere un sempre maggiore equilibrio tra flessibilità e 42
definizione di limiti e regole di cui i piccoli hanno bisogno. Ho imparato a sostituire i 'no categorici' con i 'no amorevoli', alimentando così una comunicazione collaborativa e creando i presupposti per successive evoluzioni dell'interazione che lasciano presagire risvolti soddisfacenti sia per me che per i miei bambini. I miei figli mi hanno dato l'opportunità di crescere e di esaminare questioni della mia infanzia lasciate in sospeso: prima di diventare madre, sono stata figlia di mia madre, e questa relazione, con tutti i suoi aspetti contraddittori di amore e contrasto, è sempre stata centrale nella mia vita. Prenderne le distanze ha rappresentato la spinta propulsiva costante al mio tentativo continuo di costruirmi un' identità personale. Riconoscere questi aspetti mi ha permesso di accettarli e di non sentirmi più sopraffatta da limitanti paure e sensi di colpa. L'essere madre mi ha offerto l'opportunità di apprendere punti di vista inediti e di reimpostare in maniera più sana alcune obsolete dinamiche familiari, e mi ha consentito di riparare, anche solo in parte, alcuni 'debiti' c o n t r a t t i n e l l ’ i n f a n z i a . Tu t t o c i ò m i h a p e r m e s s o d i t r a s f o r m a r e i l r a p p o r t o con mia madre da bambino–genitore ad adulto-adulto e di essere apprezzata da mia madre in quanto donna. La condizione di madre, una volta ridefinita, può davvero riconvertirsi in un nuovo sguardo sul mondo, in un nuovo stile comunicativo e comportamentale, in un modo di porsi in relazione con sè e con gli altri che determina una migliore qualità della vita. L’ e n e r g i a c r e a t i v a c h e h o r i s c o p e r t o n e l l ' e s s e r e m a d r e , g r a z i e a l p e r c o r s o d i ricerca interiore intrapreso, mi ha permesso di accedere ad un nuovo modo di vivere la vita e la genitorialità. Sento che oggi, dinnanzi a me, in questo momento, c’è una grande opportunità: continuare a crescere con i miei bambini, proseguendo sempre in avanti nel mio personale cammino di crescita verso l'a cquisizione di una maggiore consapevolezza di ciò che so ora essere la mia interiorità; affrontare la vita come possibilità continua di esplorazione e scoperta, mantenendo un atteggiamento di apertura e disponibilità per la realizzazione della mia pienezza e 'integrazione'. Anche da un punto di vista professionale, in quanto insegnante di scuola primaria, l ’energia creativa ritrovata nella genitorialità, grazie sempre alla preziosa esperienza di crescita personale , mi ha fornito ulteriori strumenti per arricchire la mia dimensione lavorativa e viverla con maggiore consapevolezza e nuova forza. Rappresentanti insigni dell'attivismo pedagogico, quali Claparède, K i l p a t r i c k , D e c r o l y, M o n t e s s o r i , F r e i n e t … , h a n n o r a p p r e s e n t a t o i m i e i modelli di riferimento storico più autorevoli di una didattica per la formazione integrale della personalità, includendo nell'aggettivo integrale anche la dimensione sociale. E queste metodologie non sono altro che il corrispettivo del counseling in pedagogia. Di fatto, oggi ho davvero compreso l'importanza di adottare con i miei alunni le metodologie didattiche che in un modo o nell'altro aderiscano non solo alle caratteristiche cognitive, ma anche a quelle affettive, emotive e sociali dei bambini. Ciò risulta indispensabile per l'accrescimento dell'efficacia dell'esperienza di insegnamento-apprendimento e raggiungere 43
esiti concreti quali, ad esempio, la riduzione e la prevenzione dell'insuccesso scolastico. Solo adesso, dopo le esperienze maturate negli ultimi anni, sento di poter asserire con salda consapevolezza il valore squisitamente formativo dell'esperienza scolastica, che supererebbe il dato meramente acquisitivo a favore di un pieno sviluppo e rispetto della sfera connotativa del soggetto nella sua globalità e integralità se solo prendesse spunto dalle tecniche e dagli strumenti del counseling. La “cultura autentica”, ovvero la formazione dell'individuo, non è fatta semplicemente di contenuti, abilità, informazioni, strategie e metodi, ma essa implica lo sviluppo della “competenza umana” nel rispetto delle condizioni che garantiscono la 'dignità' della persona. L a c a p a c i t à d i e s s e re , a t t r a v e r s o l e t e c n i c h e d e l c o u n s e l i n g , è l a n u o v a u n i t à di misura della qualità di vita di ciascun individuo che, fin dai banchi di scuola (che io abolirei!), va aiutato a comprendere tutto quello che non si può imparare dai libri nè si può calcolare, ovvero la gioia, l'infelicità, la delusione, la speranza, la forza, le emozioni, che sono poi, come dice lo studioso francese Edgar Morin, “la carne dell'esperienza umana”. I contenuti didattici possono così diventare la controprova, attraverso il confronto con le esperienze di personaggi della storia, della letteratura, della scienza, di ciò che l’alunno ha appreso attraverso le sue esperienze personali che lo hanno reso consapevole di se stesso da solo e nella relazione con gli altri. C o m e f u t u r o c o u n s e l o r, o g g i s o n o c o n s a p e v o l e c h e , a v v a l e n d o s i d i u n a s e r i e di tecniche che operano sul fare e sull'esperienza corporea , utilizzando gli strumenti dell’approccio empirico e passando per un sapere rinnovato e fluido capace di offrire completezza alla relazione di aiuto, si può essere davvero in grado di aiutare il proprio interlocutore a gestire la situazione problematica, rendendolo in grado di assumersi le responsabilità delle proprie scelte, di riscoprire in sè utili risorse e potenzialità, e restituendogli infine autonomia e un accresciuto senso di sicurezza e autostima. Attraverso l’accoglienza, l’ascolto, l'empatia, l'intuizione, la capacità comunicativa ed una certa finezza psicologica nel comprendere l'altro, il counselor è in grado di gestire la dimensione affettiva dell’intervento. Durante l’incontro con l'altro avviene di fatto uno scambio emozionale più che verbale, dove assume grande importanza l’espressività che accompagna le parole, espressività fatta di frasi interrotte, di silenzi, sospiri, sguardi, piccoli gesti. L a v o c e , i l t o n o , l a g e s t u a l i t à , p e r i l c o u n s e l o r, d i v e n t a n o u n p r e z i o s o strumento di lavoro che è necessario saper gestire bene per rendere al meglio il proprio compito nella gestione della relazione d'aiuto. La comunicazione, quindi, purché focalizzata sul non giudizio, ma su un rapporto empatico con il proprio cliente, permette di costruire un contesto relazionale intenso ed un rapporto pregnante e significativo. I l c o u n s e l o r, g r a z i e a l l a c o n o s c e n z a d i t e c n i c h e e m e t o d o l o g i e , m a soprattutto andando oltre queste stesse tecniche e metodologie, può diventare esso stesso lo strumento al servizio dell’altro per accompagnare la persona in quel difficile ma meraviglioso percorso di conoscenza di sè necessario ed indispensabile al raggiungimento di una condizione di 44
benessere e di serenità. Qualsiasi professionalità pedagogica, dall'insegnante al counselor pedagogico-relazionale, non può prescindere da tutto ciò. Attraverso l'ascolto empatico, attivo e centrato, attraverso l'attivazione di una dinamica relazionale circolare e reciproca, colui che per professione si occupa di educazione e relazioni farà uso di quella flessibilità e quell'agire dinamico e creativo che gli permetteranno di agire la propria 'professionalità' con fede e passione. I l c o u n s e l o r, a t t r a v e r s o l ' a m o r e v o l e z z a , a c c o m p a g n a l a p e r s o n a a t t r a v e r s o i l proprio deserto per aiutarla a trovare la sorgente di risorse alle quali attingere; la aiuta ad esplorare il suo territorio personale fino a giungere ai confini per uscirne arricchita; perchè nel viaggio all’interno di se stessi ci è dato scoprire che la perfezione (se perfezione esiste!) sta nell’imperfetto, che la risposta sta nell’Amore e che la vera conoscenza di sè ognuno di noi già la possiede. C o m e h a d e t t o Va l e r i o S g a l a m b r o “ l ' o b i e t t i v o d i u n a p e d a g o g i a c h e p u ò definirsi degna di tale nome, è sicuramente quella di pulire l'individuo dalle sovrastrutture culturali e farlo brillare della propria luce interiore, restituendo al soggetto la sua irrinunciabile individualità e integrazione di corpo, mente e spirito” . La possibilità che mi è stata data in questi ultimi tre anni di compiere un lavoro personale che mi ha portata ad entrare in contatto con le mie debolezze ma anche con le mie ricchezze, l'averle guardate e riconosciute, l'essermi sperimentata in continuazione, l'aver sentito e vissuto il cambiamento, l'aver trovato delle strategie utili per tradurre il mio cambiamento in azione, tutto ciò ha fatto sì che oggi io possa sentirmi maggiormente pronta e sicura nell' affrontare e gestire una relazione d'aiuto i n q u a l i t à d i c o u n s e l o r.
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Capitolo VI
L'ESPERIENZA
IL CERCHIO MAGICO DESTINATARI
Gruppo eterogeneo di 12 alunni di scuola primaria, di età compresa tra gli otto e i dieci anni.
FINALITA'
Promozione della conoscenza di sé Miglioramento della comunicazione non verbale Valorizzazione della relazione con l'altro e del confronto reciproco
OBIETTIVI
- sensoriali: promuovere la consapevolezza del proprio modo di percepire la realtà; elaborare semplici tecniche di osservazione ed ascolto del proprio corpo; verbalizzare gli stati fisici personali e individuarne le possibili cause; - emozionali: favorire la conoscenza della propria sfera emozionale; verbalizzare gli stati emozionali personali e individuarne le possibili cause; esprimere pensieri ed emozioni attivando una pluralità di linguaggi; - relazionali: interagire con i compagni; riconoscere comportamenti piacevoli e spiacevoli; cogliere le differenze e le somoglianze comportamentali tra generi
CONTENUTI
ATTIVITA'
METODOLOGIA
Valore del sé e del proprio corpo quale strumento di conoscenza, messaggero di emozioni e strumento di relazione; valore dell'altro e della relazione che lega gli uni agli altri; riflessione tra maschile e femminile Gioco simbolico; gioco di gruppo e in coppie; meditazione guidata; ascolto di brani musicali; movimento libero; disegno libero; brainstorming; intervista; ascolto di storie; … . Modalità interattiva Espressione corporea Valorizzazione del fare e dell'esperienza 46
personale Valorizzazione del potenziale Ascolto di sé Approccio ludico Espressione creativa Laborialità VALUTAZIONE
Osservazione Interviste in gruppo Feedback sotto forma di verbalizzazioni e prodotti
6 . 1 I N T R O D U Z I O NE Le emozioni rappresentano il cibo della vita interiore di ciascuna persona. Esse sono l’energia propulsiva capace di innescare in ciascun individuo comportamenti, azioni, reazioni, relazioni. La qualità della vita di ogni soggetto è influenzata dal modo in cui egli apprende, fin dai primi anni di vita, ad affrontare le proprie emozioni. Sperimentando e decifrando il mondo, il bambino sviluppa dei parametri emotivi personalizzati e unici. Si tratta di un bagaglio personale che porterà con sè tutta la vita e lo influenzerà in ogni sua scelta. Il bambino nasce una prima volta; poi è come se nascesse una seconda volta attraverso un cammino faticoso lungo il quale cerca di darsi un’identità, un corpo, un gesto, la parola, il pensiero, l’emozione, l’immaginazione, la fantasia. Egli crea laboriosamente quel sentimento dell’essere e della rappresentazione del sè che gli è indispensabile per riconoscersi ed essere riconosciuto, per raggiungere una sua autonomia e distinguersi dagli altri individui dalle cui interazioni estrapola progressivamente gran parte dei materiali costruttivi della sua identità personale. Ciascun bambino, subito dopo essersi aperto alla vita con il primo respiro, fin dal primo sguardo ricevuto dalla madre, e ancor prima nell'utero materno, costruisce dentro di sè un'immagine personalissima di se stesso, degli altri e delle relazioni che legano le persone a lui e tra di loro. La fiducia in se stessi e negli altri si sviluppa nel bambino durante i primi anni di vita, attraverso le relazioni primarie che egli instaura con i genitori in primis, e con le altre figure adulte di riferimento poi ( insegnanti, babys i t t e r, z i i … ) . N e l l a r e l a z i o n e c o n g l i a l t r i e n e l l ' a f f r o n t a r e s i t u a z i o n i p i ù o meno problematiche, viene messo in atto durante l'infanzia il processo di copying, ovvero quel processo attraverso il quale ciascun individuo impara ad accedere ad un insieme di strategie cognitive e comportamentali che lo aiutano a fronteggiare la realtà. Gli individui, una volta raggiunta l'età adulta, tenderanno a ripetere il copione appreso da bambini, riproponendo nella vita le strategie infantili, che il più delle volte, si riveleranno inadeguate, se non dannose. E r i c B e r n e , a u t o r e d e l l ' A n a l i s i Tr a n s a z i o n a l e , h a a f f e r m a t o c h e i l b a m b i n o , nei primi quattro anni di vita, redige una sorta di piano di vita inconscio di 47
cui ne vengono già stabilite le parti essenziali e, col passare del tempo, anche i dettagli principali. Si tratta del concetto di 'copione' che Eric Berne ha tratteggiato nelle sue opere in maniera dinamica, dandone definizioni sempre più complesse: “Il destino di ogni essere umano viene deciso da quanto succede dentro la sua testa, dopo che si è confrontato con quanto avviene fuori di essa. Ogni persona pianifica la propria esistenza. […] Ogni individuo decide nella sua prima infanzia la propria vita e la propria morte, e quel programma che si porterà dentro ovunque vada lo chiameremo, d’ora in avanti, copione. […] Un copione è un piano di vita che continua a svilupparsi, dopo essere stato strutturato nella prima infanzia, sotto l’influenza dei genitori; è quella forza psicologica che spinge ogni individuo verso il proprio ‘destino’, sia che lo combatta, sia che sostenga trattarsi del frutto di una sua libera scelta”. “Ogni individuo finisce docilmente coll’avere all’età di cinque o sei anni uno script (copione) o un programma di vita in gran parte dettato dai suoi genitori. Questo programma gli dice come passerà la vita e come finirà: vincitore, non – vincitore, o sconfitto. […] Gli scripts sono destinati a durare una vita intera. Essi si basano su ferme decisioni prese nell’infanzia e da una programmazione parentale che viene continuamente consolidata”. Da queste definizioni emerge l’immagine dell'individuo inteso come l’attore che durante la sua vita segue uno schema comportamentale pre-scritto nei primi anni di vita, da se stesso e dalle figure che per lui sono state di riferimento. Di fatto, la strategia comportamentale assunta nella prima infanzia viene alimentata e rinforzata continuamente dai comportamenti verbali e non verbali dei genitori. Fino a quando il copione consente di far fronte ai compiti evolutivi, l’individuo mantiene un equilibrio psichico che lo fa vivere serenamente; quando invece le strategie consolidate non sono più rispondenti ai bisogni della nuova fase di vita, nasce il disagio psichico. Da adulto, pertanto, l’individuo che mette in scena il proprio copione, si comporta più o meno consapevolmente in modo da rivivere emozioni antiche ed intense. E', per esempio, tipico del bambino, e dunque dell'adulto 'inquinato', evitare il disagio reagendo impulsivamente, dando libero sfogo alla propria frustrazione o alla propria rabbia; l'adulto 'maturo', invece, sa che per affrontare situazioni difficili non è utile, anzi è controproducente, annegare nel disagio o controreagire in maniera eccessiva. L'adulto sa che per far fronte alle diverse situazioni è necessario accettare ed accogliere anche le difficoltà insite nella situazione stessa. Anche da un punto di vista di crescita di genere della persona, tutti gli individui, oltre ad una classificazione biologica naturale (che non è indifferente ma che secondo il sistema empirico ha significati e risvolti fondamentali ), ricevono, attraverso la famiglia e le spinte sociali, un’acquisizione d’identità di genere che comporta l’assunzione di atteggiamenti e modalità peculiari. Invero il fanciullo è come un seme che contiene in sè tutte le potenzialità genetiche della propria specie; la sua crescita e il dispiegarsi di tali potenzialità dipendono da più fattori: dal suolo e dalla presenza o assenza in esso delle sostanze nutritive necessarie, dalla dimensione del vaso che lo 48
contiene, dalla cura o dalla negligenza del giardiniere, dalle condizioni climatiche esterne. Ognuno di noi, fin da piccolissimo, affronta le situazioni della vita in modo diverso, e, a seconda di come ha conosciuto i singoli valori empirici durante l' infanzia , decifra il mondo in maniera assolutamente unica e matura un bagaglio assolutamente personale di parametri emotivi. Così apprendiamo determinate qualità sistemiche senza aver avuto accesso alla loro carica naturale e genuina, finendo per recepirle e applicarle in modo distorto e disarmonico. Inoltre l'individuo, molto spesso, viene privato della possibilità di esprimere le sue emozioni, e queste alla fine lo sopraffanno. Più la nostra mente viene caricata di sentimenti ed emozioni inespresse più aumenta quel disagio che ostacola il cammino verso il raggiungimento di uno stato generale di benessere psicofisico per tutti desiderabile, e ci impedisce di volerci bene, di accettarci per come siamo, di esserci per noi stessi e per gli altri. Si crea così un'inversione dei valori sistemici reali che è all'origine di quel disagio che tutti noi conosciamo, un disagio fatto di paure, insicurezze, bassa autostima, rabbia, aggressività e mille altri atteggiamenti che mettiamo in atto quotidianamente in una condizione di assoluta inconsapevolezza. Si tratta di tutti quegli indicatori sistemici che hanno lo scopo di indicare l'uscita dal sistema da parte dell'individuo. Questo fenomeno di 'deviazione' viene intensificato qualora gli individui di ambo i sessi non dispongono di modelli di riferimento sicuri e attendibili. Uomini e donne, maschi e femmine sono diversi: lo sono innanzitutto per l’elemento biologico ma anche per l’aspetto psicologico, intellettuale ed emotivo. La differenza di genere è la prima delle differenze che caratterizzano gli individui, nell’essere uomo o donna. Il percorso si origina nella dimensione biologica, si articola nelle esperienze, attinge al modello genitoriale e si modifica con l’incontro con gli adulti e con il gruppo dei pari. Queste tappe, se accompagnate educativamente, sviluppano in bambini e bambine la fiducia in sè e la capacità di armonizzare e di relazionare le diverse componenti: la sfera corporea, quella sessuale e quella affettiva. L’ i d e n t i t à d i g e n e r e h a a c h e v e d e r e c o n l a c o n s a p e v o l e z z a d i a p p a r t e n e r e a d un sesso e con la libertà di interpretarne le espressioni più autentiche. Dal punto di vista empirico, l'acquisizione della carica primaria avviene nel grembo materno, fin dal momento del concepimento. Quindi ogni essere umano, ancor prima di vedere la luce, è dotato di tutti i parametri utili per sviluppare i moti empirici appropriati. In altre parole, ciascun nascituro è portatore di una matrice d'eccellenza, come se questa facesse parte di una sorta di bagaglio genetico empirico. Soltanto successivamente, durante la fase dell'attivazione, attraverso la consegna familiare, questa matrice s'inquina. Di fatto il contenuto disarmonico del copione familiare sovrasta la carica del bambino e blocca l'armonico svilupparsi di tutti i principi genuini. In tal modo la matrice d'eccellenza viene progressivamente soffocata sotto il peso dei valori deformanti del debito empirico che va lentamente e inesorabilmente acquistando spessore. Così i principi armonici yin e yang, che rappresentano una sorta di manuale di guida di tutto il nostro sentire e fare, non vengono 49
riconosciuti come tali e i valori distorti della consegna familiare diventano il nuovo punto di riferimento. L'attivazione della carica avviene sempre durante l'infanzia, attraverso il genitore preposto, ovvero il genitore del proprio sesso biologico. Il padre o la madre per il figlio o la figlia diventa il modello di riferimento ai fini empirici e dalla sua capacità di esprimere il proprio maschile o femminile i figli attivano la propria carica, sia essa yang o yin. Quando la qualità della consegna risulta scarsa o comunque insufficiente, il figlio viene privato del suo naturale diritto di crescere e rimarrà relegato al ruolo di 'piccolo', predisponendosi ad assumere un ruolo alterato. Si tratta del principio di rispecchiamento empirico, attraverso il quale il bambino assimila la stessa qualità e quantità di carica del genitore preposto. Ogni bambino, durante l'infanzia, ha bisogno di appropriarsi delle proprie radici maschili per crescere come uomo. Per nutrirsene e farle diventare solide fondamenta, necessita di un rapporto genuino con il padre. Se il bambino non riesce ad accedere a tali radici, una volta grande non sarà in grado di accedere alla propria mascolinità e, per compensare tale mancanza, svilupperà prevalentemente principi yin che guideranno il suo agire e gli impediranno di accedere all'emozione che più contraddistingue la parte yang, la rabbia. Quando le situazioni gli richiederanno di attingere al patrimonio maschile, egli, impotente e impossibilitato, sperimenterà un doloroso senso di inadeguatezza e frustrazione profonde. Allo stesso modo, ogni bambina, durante l'infanzia, ha bisogno di appropriarsi delle proprie radici femminili per crescere come donna. Per nutrirsene e farle diventare solide fondamenta, necessita di un rapporto genuino con la madre, ma anche del consenso del padre. Se la bambina non riesce ad accedere a tali radici yin, una volta grande non sarà in grado di accedere alla propria femminilità e, per compensare tale mancanza, svilupperà prevalentemente principi yang che guideranno il suo agire e la spingeranno a sviluppare l'emozione che più contraddistingue l'altro sesso, la rabbia. Quando le situazioni le richiederanno di attingere al patrimonio femminile, ella sperimenterà un travagliato senso di vergogna e di insoddisfazione. Tu t t a v i a , l a m a t r i c e d ' e c c e l l e n z a n o n v i e n e c a n c e l l a t a c o m p l e t a m e n t e e anche chi sviluppa un ruolo empiricamente alterato rimane portatore di valori che, seppure atrofizzati, rimangono in potenza. Sta all'individuo saperli riscattare attraverso il faticoso e meraviglioso processo di yanghizzazione o yinghizzazione. Ciò detto, comprendo come ogni processo educativo efficace non possa trascurare l’approfondimento di una sorta di 'competenza emotiva di genere' dell'individuo. Il mondo della scuola si configura come un ambito fondamentale per promuovere una cultura di genere orientata al riconoscimento di sè e dell’altro, sviluppando una consapevolezza critica rispetto ai modelli dominanti nella società. Nella scuola è possibile realizzare percorsi di scoperta di sè, che consentono di valorizzare i desideri e le risorse di genere di ciascun bambino e di instaurare relazioni con l’altro basate sul rispetto e l’ascolto reciproci. Formare il bambino oggi significa per me lasciare che le emozioni entrino a 50
pieno titolo nello sviluppo della sua intelligenza così che possa dare colore e qualità ai saperi che attraverseranno la sua formazione. Il ruolo che oggi come insegnante posso svolgere è quello di facilitare gli alunni ad acquisire conoscenze e abilità che favoriscono un sano ed armonico sviluppo dell’individuo anche nelle sue componenti affettive e relazionali, ovvero a prendere consapevolezza delle emozioni proprie e degli altri, e, cosa ancora più importante, a valorizzare le proprie risorse per una 'sana gestione' di se stessi e di autentici rapporti con gli altri. La piena consapevolezza del proprio mondo emozionale permette alle persone di compiere scelte responsabili e soprattutto 'sane' dal punto di vista affettivo e di gestire in modo 'intelligente' tutte le complesse situazioni che la vita relazionale comporta.
6 . 2 P R E S E NTA Z I O N E Ho voluto chiamare il progetto “ Il Cerchio Magico” poiché con la figura del cerchio ho inteso indicare lo spazio privilegiato per l’espressività del bambino, in cui potersi sperimentare liberamente dando voce al proprio corpo e al proprio mondo interiore. Il cerchio è simbolo di pienezza ma anche di continuità e ciclicità. La forma del cerchio simboleggia armonia, completezza e perfezione. Nel contesto di questo progetto l'immagine del cerchio esprime la volontà di creare uno spazio in cui richiamare quelle energie utili a compiere attività corporee e pratiche di meditazione attraverso le quali accedere ad un livello maggiore di consapevolezza del SE'. Il progetto che ho condotto e di cui qui rendiconto, alla luce delle riflessioni sopra esposte, ha preso avvio dalla scoperta consapevole dell'immediato vissuto sensoriale ed affettivo da parte dei bambini, accogliendo ogni libera espressione del loro sentire e trasmettendo la convinzione che tutte le emozioni sono ugualmente importanti, comprese quelle spiacevoli, poiché anch'esse comunicano informazioni essenziali sul vissuto di ogni individuo e gli permettono di mobilitare risorse ed energie per fronteggiare le specifiche situazioni. Riconoscendo le proprie emozioni e le proprie reazioni emotive , sia positive che 'negative', i bambini imparano progressivamente a non esserne più sopraffatti e si sentiranno gradualmente capaci di dominarle, per poterle successivamente trasformare. Il corpo è stato lo strumento privilegiato di conoscenza e di sviluppo di un’affettività e una socialità 'positive '. La vita dei bambini è densa di emozioni ed essi a ttraverso il proprio corpo comunicano affetto, calore, simpatia, amore. Il corpo è gioco, comunicazione, scambio, coinvolgimento. Comunicare attraverso il corpo, ascoltare i desideri degli altri e saper trasmettere i propri è una tensione che 51
ci accompagna per tutta l’esistenza attraverso il perfezionamento delle percezioni sensoriali ed emotive. Preparare i bambini a vivere serenamente il proprio corpo e le proprie emozioni e a sviluppare una corretta consapevolezza della differenza di genere significa incontrare una zona importante della vita di ogni persona. Per fare ciò è necessario abituarli ad un buon contatto fisico con gli altri, insegnando loro ad accrescere il senso di benessere che ne deriva. Nel presente progetto si è dato, pertanto, ampio spazio ad attività mirate ad aumentare la quantità e la qualità degli stati emotivi che creano benessere in coloro che li assumono, intendendo per benessere l'armoniosa coesistenza di corpo, cuore e mente, e si è cercato di costruire nuove forme relazionali con e tra alunni e alunne nel rispetto di un sano sviluppo del loro potenziale emotivo maschile e femminile. Finalità generale del progetto è stata quella di creare un'occasione di costruzione identitaria, in modo tale da gettare le basi per la realizzazione di una relazione autentica e positiva tra i generi, sperimentando nell’incontro con l’altro un’occasione di apprendimento ed educazione al confronto reciproco. Il progetto si è proposto di avviare bambini e bambine, attraverso stimoli e confronti, a vivere il processo di definizione del sé in modo armonioso e educativamente sostenuto. In tale ottica sono state realizzate attività atte a migliorare la conoscenza di sè, il rapporto con gli altri, la differenza di genere. Il percorso fatto è stato occasione per avviare una riflessione sulla declinazione dei ruoli maschile e femminile, e su quanto gli stereotipi ci costringano a fare scelte e tenere comportamenti che spesso non sono in sintonia con i nostri desideri, capacità e caratteristiche più profonde. La finalità generale del progetto esperenziale è stata declinata nei seguenti obiettivi specifici: -sensoriali: promuovere la consapevolezza del proprio modo di percepire la realtà; elaborare semplici tecniche di osservazione ed ascolto del proprio corpo; verbalizzare gli stati fisici personali ed individuarne le possibili cause; -emozionali: r ealizzare attività utili a favorire la conoscenza della propria sfera emozionale; v erbalizzare gli stati emozionali personali ed individuarne le possibili cause; esprimere pensieri ed emozioni attivando una pluralità di linguaggi; - relazionali: interagire con i compagni con scopi diversi; riconoscere i comportamenti piacevoli e/o spiacevoli che contribuiscono ad unire o allontanare le persone; cogliere le differenze e le somiglianze che esistono nelle modalità e nelle strategie comportamentali tra maschi e femmine nella medesima situazione emotiva. Tu t t e l e a t t i v i t à s i s o n o s v i l u p p a t e s e c o n d o m o d a l i t à d i c o i n v o l g i m e n t o attivo dei soggetti; le strategie legate al movimento e all’espressione creativa hanno rappresentato lo strumento prioritario di conoscenza e comunicazione del sè profondo, secondo una metodologia laboratoriale nella quale ciascun bambino è stato invitato ad implicare tutto se stesso nella costruzione dell'esperienza stessa. La partecipazione, in termini emotivi oltre che quantitativi, è stata significativa ed ha reso possibile l’esistenza stessa del laboratorio; lavorare con i bambini è stata un’esperienza immediata e coinvolgente per le energie e l’entusiasmo coinvolti, per la volontà di mettersi in gioco, di raccontare le proprie emozioni, per come ciascun attore ha vissuto l’incontro con il proprio compagno. 52
6 . 3 DE S C R I Z I O NE L'esperienza, della durata di dieci ore distibuite in cinque incontri, ha coinvolto dodici alunni di scuola primaria, dagli otto ai dieci anni d'età. Si è trattato di un gruppo formato da sette bambine e cinque bambini provenienti prevalentemente da famiglie contadine che vivono in un ambiente socio-culturale poco ricco e stimolante, in cui si fa largo uso del d i a l e t t o . Tu t t a v i a , p e r l a m a g g i o r p a r t e d e i c a s i , s i t r a t t a d i g e n i t o r i a t t e n t i ai figli, e di un ambiente culturale dove ancora, forse proprio per la povertà di mezzi, vengono veicolati principi educativi più genuini e meno inquinati rispetto a quelli alimentati in cerchie sociali più “acculturate” e, cosìddette, “evolute”.
6.3.1 IL NOME-GESTO Ho voluto avviare il percorso partendo da alcune attività incentrate sul nome proprio di ciascun partecipante. Il nome, infatti, è la parola più ' importante' che ci accompagna quotidianamente. Nel nome proprio sta l'essenza dell’identità di ciascun individuo, l’immaginario di chi ci ha dato la vita, a volte un pezzo di storia di famiglia, spesso un augurio. Il nome racchiude molte suggestioni; se qualcuno sussurra il nome ad una persona evoca in lei molteplici ricordi e desideri; minime variazioni di tono, di timbro, di rapidità o lentezza nella pronuncia, scatenano sensazioni che riportano indietro nel tempo. Giocare con i nomi propri, valorizzarli, renderli, oltre che scrittura, anche disegno, gioco di suoni e danza è stato molto interessante. Durante il gioco del nome-gesto-suono ogni bambino si è presentato ai compagni traducendo ciascun suono delle lettere o delle sillabe del proprio nome in un gesto, che era collegato alle sensazioni date dalla sonorità delle sillabe o ad aspetti della personalità del soggetto. Ogni bambino, postosi al centro del cerchio, ha tradotto in movimento il proprio nome. In un secondo momento tutti i bambini hanno ripetuto il nome-gesto di ciascun compagno. Una volta appresi i nomi-gesto si sono create delle danze silenziose fra i bambini. Si è dato vita così ad improvvisazioni molto divertenti e piacevoli. Di fatto l'assumere una posizione diversa da quella classica e il cimentarsi con l'impresa di tradurre un contenuto mentale o emotivo nel linguaggio del corpo, fa emergere contenuti e insight inaspettati e diventa uno strumento in più nella comprensione di se stessi. Mi piace qui riferire alcuni esempi di presentazioni inventate dai bambini con i nomi-gesti. GAIA piroetta con sfoggio di grande sorriso, VIVI salto ANA braccia che si allargano , GIU piegamento in basso sulle ginocchia LIA inclinazione della testa sulla spalla destra , MAR movimento delle braccia che ondeggiano TI braccio con dito indice puntato NA movimento delle braccia verso il basso, GIAN passetto veloce con blocco del movimento LUCA lenta piroetta, EMANUEL danza volteggiante, A N N A a u t o - a b b r a c c i o R I TA movimento delle braccia nell'atto di donare, FLA lento movimento del bacino VIA corsa verso l'esterno del cerchio, VINCENZO movimento delle 53
braccia verso l'alto in segno di vittoria.
6.3.2 LE SAGOME Quindi ho proposto il gioco della sagoma : a coppie i bambini si sono aiutati reciprocamente a tracciare, su carta bianca da imballaggio, il contorno del proprio corpo. Ciascun bambino, a turno, si è sdraiato sul foglio in una posizione libera, mentre il compagno segnava sul foglio il confine del corpo; la riproduzione della sagoma è diventa, in alcuni casi, un’immagine alterata con un 'dentro' tutto da inventare. C'e chi ha riempito la propria sagoma in maniera realistica, utilizzando però inventiva nel creare particolari con ritagli di giornale, pezzi di stoffa, fili di lana ecc. , chi ha fatto uso originale dei colori, chi ha riempito la propria sagoma con elementi diversi ( foglie, fiori, cuori , soli …), chi ha usato la ripetizione di uno stesso elemento ( Gianluca ha riempito il proprio corpo di palloni da calcio) , chi ha riempito la sagoma solo parzialmente. Alla fine dell'attività i bambini sono andati in giro per l'aula osservando le sagome realizzate: la maggior parte ha manifestato meraviglia nel vedere le sagome altrui; c'è stato chi si è vergognato di mostrare la propria per paura di ricevere giudizi negativi, chi non ha apprezzato il proprio lavoro, chi ne h a g o d u t o m o s t r a n d o l o c o n v a n t o . Tu t t i , c o m u n q u e , h a n n o e s p r e s s o entusiasmo e divertimento per l'esecuzione dell'attività, chiedendo che i prodotti venissero appesi alle pareti dell'aula.
6.3.3 L'ALBERO Per contattare il proprio sè corporeo ho fatto sperimentare ai bambini il rilassamento attraverso la meditazione visualizzata. Si è trattato di meditazioni, sotto forma di visualizzazioni, o semplici tecniche di respirazione adatte alla loro età, che hanno rappresentato vie d'accesso ad una maggiore presa di consapevolezza di se stessi, al raggiungimento di un livello più alto di concentrazione, di calma e di pace interiori. La meditazione visualizzata in particolare ha favorito in ciascun bambino, anche nei più vivaci, uno stato generale di rilassamento e ha incoraggiato lo sviluppo di un atteggiamento personale più intimistico e spirituale. In realtà i bambini sono creature profondamente spirituali ed hanno un senso della giustizia straordinariamente acuto. Essi stupiscono per la loro sensibilità che esprimono con le loro domande ed osservazioni talvolta disarmanti. Purtroppo però, questa ricchezza si va progressivamente depauperando a causa delle inevitabili interferenze del mondo. I bambini sono per natura meditativi; essi sono autenticamente in grado di vivere il presente con ogni loro senso; se li osserviamo mentre dipingono, disegnano o giocano possiamo notare come essi siano assolutamente concentrati e profondamente immersi nel loro fare, cosicché può anche accadere che non rispondano ai nostri insistenti richiami. 54
La meditazione, invero, è stata presentata ai bambini come un'utile e possibile pausa di cui ciascuno può godere durante lo svolgersi meccanico delle attività quotidiane; in tal modo mi auspico che i bambini possano maturare il gusto del “so-stare” ,ovvero dello stare da solo, anche nel dedicarsi ad attività scolastiche che calmano la mente, come il disegno, la pittura, la coloritura, il ritaglio. La meditazione visualizzata invero è una delle attività cho ho apprezzato per prima tra tutte le attività che ho scoperto durante il percorso triennale della scuola di conselling. Di fatto, sperimentando più volte la tecnica della visualizzazione guidata ho potuto prendere lentamente consapevolezza della mia corporeità e il rilassamento sperimentato mi ha portata all’allontanamento dalle tensioni dal corpo, mi ha aiutata ad imparare la possibilità di calmare la mente e mi ha permesso di percepire il mio corpo sia nelle sue diverse parti che nella sua totalità. Inoltre mi è stato chiaro come, pur utilizzando il corpo costantemente nelle varie azioni quotidianamente, io in realtà non avessi vera coscienza di esso se non qualora mi mandasse segni inequivocabili di stanchezza o malessere. Il rilassamento corporeo mi ha permesso dunque di sperimentare la calma della mente, l’assenza di pensieri, e ho così iniziato a prendere coscienza del mio mentale, dei suoi contenuti, i pensieri, e di come gestirli e lasciarli fluire. L’ a t t o d e l m e d i t a r e , o v v e r o d e l l ’ a b b a n d o n a r e l a mente, ha rappresentato per me la via per reimparare a lasciare che la vita si manifesti così com’è e ad accoglierla in tutte le sue forme straordinarie. La visualizzazione, così, è diventata per me una tecnica di rilassamente che adopero sempre più spesso nei momenti di maggiore tensione o stanchezza. Mi rifugio in un angolo della mia camera, chiudo gli occhi e mi regalo una breve visualizzazione di una decina di minuti che mi allontana dal turbinio di pensieri che mi affollano la mente e mi alleggerisce dallo stress del momento, permettendomi di mettermi in contatto con me stessa e la parte più intima di me. Tr a l e m e d i t a z i o n i v i s u a l i z z a t e q u e l l a c h e m i è a s s a i c a r a e c h e m i è p i a c i u t o proporre è stata quella dell'albero. L’ i m m a g i n e d e l l ' a l b e r o m i p i a c e p a r t i c o l a r m e n t e : l ' a l b e r o , i n n a n z i t u t t o , è stabile: grazie alle sue radici, invisibili ma molto estese, è saldamente ancorato alla terra, è col legato alla terra da un profondo legame di reciproco scambio. Per mezzo delle sue radici l'albero accoglie tutto quello che la terra gli dà, compresi gli scarti e il letame. Al tempo stesso, è continuamente in grado di restituirle ciò di cui la terra ha bisogno, per mezzo delle sue foglie che cadono. Perciò l’albero è anche in grado di lasciare andare pienamente. Lo fa ogni autunno, perdendo tutte le sue foglie. L’ a l b e r o s i t r a s f o r m a c o n t i n u a m e n t e , s e c o n d o l e s t a g i o n i , e s i a d a t t a a l l e diverse circostanze. Con la sua imperturbabile calma, l’albero accoglie tutto: il sole, la pioggia, il vento, gli uccelli e gli insetti. Prima di iniziare l'attività di meditazione dell'albero, ho guidato i bambini a portare la loro attenzione alla respirazione e a modularla attraverso respiri lenti e profondi. Allora li ho invitati a rilassarsi il più possibile, lasciando che i pensieri scivolassero via. Dunque ho chiesto loro di diventare un albero, di sentire i loro piedi come fossero delle radici che scendono nella terra e che servono a fissarsi al 55
terreno, a rendersi solidi e sicuri, e a nutrirsi, prelevando dal terreno l’acqua, il nutrimento di cui si ha bisogno per crescere e vivere. Poi ho chiesto di percepire il busto del proprio corpo come tronco avvolto dalla corteccia che contiene, isola e protegge, e li ho invitati a sentire la linfa che vi scorre dentro, nel cuore. Ho chiesto di protendersi verso l’alto, verso la luce. Li ho invitati a percepire lo spazio intorno e gli altri alberi. Ho chiesto se percepissero poco o molto spazio, e se sentissero altri alberi attorno o si percepissero isolati. Quindi ho chiesto di sentire innalzarsi i rami e di vedere se vi fossero foglie, fiori, frutti, nidi, uccelli o insetti. Infine ho detto loro di restate per un po’ alberi e di sentirsi profondamente connessi con il circostante, percependosi un tutto e una parte del tutto. Attraverso la pratica meditativa sopra descritta ho cercato di guidare i bambini ad abbandonare ogni pensiero e a spostare la propria attenzione su ciò che si sta vivendo nel presente attraverso il proprio corpo. Nel momento di silenzio e di stasi il bambino ha imparato a stare in quel silenzio e in quella stasi. Naturalmente alcuni bambini, i più vivaci, all'inizio hanno mostrato resistenza distraendosi in continuazione, ma questa diffidenza iniziale alfine è stata superata e dal momento di raccoglimento proposto ne sono usciti anch'essi più rilassati e calmi. Alla visualizzazione guidata ho fatto seguire un'attività di disegno nella quale i bambini hanno disegnato ciascuno il proprio albero e gli hanno dato un titolo. Nel momento di condivisione che è seguito ciascun bambino ha verbalizzato le sensazioni vissute durante l'esperienza; le bambine, in particolare, hanno mostrato maggiore coinvolgimento emotivo rispetto ai bambini e nel riferire le proprie emozioni si sono espresse con più prolissità e maggiore entusiasmo; Gaia ha raccontato con stupore di essersi sentita tanto vicina agli altri e di aver provato come una sensazione di unione e comunanza verso gli altri alberi, mentre Martina ha detto di essersi vista sola come albero ma piena di fiori e farfalle che le facevano compagnia e la rendevano allegra.
6 . 3 . 4 I L G I O C O - S TO R I A Accanto alle attività sopra descritte, ho proposto delle attività che hanno preso spunto dall'analisi di alcune strorie. Ci sono storie, infatti, che si trasformano in giochi bellissimi e racconti che sanno dare voce anche alle emozioni più segrete. Approfittando di un lavoro disciplinare sulle fiabe, svolto dalle colleghe di italiano in orario scolastico, ho proposto ai bambini di redarre insieme un elenco delle fiabe note e dei personaggi delle stesse, classificandoli in personaggi maschili e femminili. Ecco l' elenco delle fibe: Cappuccetto Rosso, Biancaneve, Cenerentola, Il Principe Ranocchio, Raperonzolo, Pollicina, Il Gatto con gli sivali, I tre porcellini, La Bella Addormentata, Fata Piumetta, Bella e la Bestia, Hansel e Gretel , La Sirenetta . I personaggi maschili individuati sono stati: il principe, il re, l'orco, il lupo, 56
i nani, il bambino, il cacciatore. I personaggi femminili individuati sono stati: la fanciulla, la principessa, la matrigna, le sorellastre, la strega, la fata. Ho chiesto a ciascun bambino di pensare ad un personaggio che, per un motivo o per un altro, sentiva affine e ho esortato a chiudere gli occhi e a identificarsi lentamente con esso, cercando di rispecchiarne la postura, i gesti, l'espressione del viso, l'andatura, la voce, le parole che questo personaggio avrebbe voluto dire. Dunque, ho invitato i bambini a muoversi nell'aula, portando in giro ciascuno il proprio personaggio. Ognuno ha dato esibizione di sè: fanciulle danzanti e fate con bacchette magiche invisibili, orchi e lupi dispettosi … Ho chiesto ai bambini di muoversi come volessero seguendo il ritmo differente di due musiche, l'una dolce, l'altra tenebrosa. Inizialmente i bambini si sono mossi con un certo imbarazzo, tra risolini e sguardi dubbiosi; poi, emulando i compagni più “coraggiosi” e non avvertendo alcun giudizio da parte di nessuno, si sono esibiti, più o meno timidi, tra piroette e danze a due (talvolta anche a tre) o in movimenti curvi con espressioni accigliate; e chi era allegro e spensierato nella prima musica è divenuto pauroso e insicuro nella seconda; e, viceversa, chi stava sulle sue e un po' a disaglio prima, è divenuto più attivo e spavaldo dopo. Per finire l'attività ho messo sù una musica da ballare e ciascun bambino si è liberato del personaggio, dando libera espressione alla propria energia. E' seguito il momento di condivisione e qui è saltato fuori che la maggior parte dei bambini si è sentita più a proprio agio durante la musica dolce; qualche bambino ha espresso paura nel vedere i compagni aggirarsi con aria minacciosa; qualcun altro ancora ha espresso disagio a interpretare il ruolo che aveva scelto; qualcuno ha detto di aver cambiato personaggio con il cambiare della musica. L'impersonare i personaggi immaginari, buoni e cattivi che fossero, ha aiutato i bambini a rappresentare la loro paura del mondo esterno e dell’ignoto, e ha permesso loro di proiettare tutto questo nel gioco , ricavando da esso sollievo e piacere. Nel gioco il linguaggio corporeo e il contesto dichiarano che si sta facendo per finta, e tutti i partecipanti sono uniti nel piano simbolico e si divertono.
6.3.5 L' OGGETTO SIMBOLICO Anche l’oggetto viene usato a livello simbolico. A tal proposito ho proposto ai bambini alcune attività di trasformazione simbolica di alcuni oggetti, come un “bastone” fatto da ciascun bambino con carta di giornale, e un foglio di carta posto e terra dinnanzi ai piedi. Ho chiesto a tutti i bambini di stare all'inpiedi, tenere in mano un bastone e ognuno, a turno, dire che cosa il bastone potesse diventare. Quindi tutti hanno usato il proprio bastone in tal senso, riproducendo l’azione indicata.. Ad esempio:“Il mio bastone è una scopa” e tutti a spazzare; “Il mio bastone è un telescopio” e allora tutti a guardare il cielo; “Il mio bastone è un gelato “ e tutti a leccare; “Il mio bastone è uno spazzolino da denti” e tutti a strofinare; “Il mio bastone è un 57
ombrello” e tutti sotto l’ombrello; “Il mio bastone è una spada” e tutti a duellare … Lo stesso gioco è stato eseguito con il foglio di carta poggiato a terra . “Il mio foglio è uno zerbino” e via tutti a pulirsi le scarpe; “Il mio foglio è un tappeto volante” e tutti a volare su di esso; “Il mio foglio è un cuscino” e tutti a dormire; “Il mio foglio è un prato fiorito” e tutti già ad odorare; “Il mio foglio è uno skateboard” e tutti a pattinare ... Nell’attività psicomotoria il bambino trova lo spazio ideale per esprimere nel gioco simbolico le proprie paure, tensioni e blocchi attraverso l’azione e giochi fantasiosi in cui può vincere, salvarsi, eliminare il nemico che viene rappresentato in figure che appartengono all’immaginario collettivo, come orchi, streghe, lupi, draghi … I bambini troppo timidi e impacciati nascondono spesso una carica aggressiva che tengono a bada con gran dispendio di energia e conflitto interiore. Aiutarli ad incanalare questa forza in un gioco-storia, che acquisisce per loro significato profondo, può essere importante per conquistare la voglia di lasciar emergere le proprie emozioni più vere. Nel gioco simbolico l’aggressività non è solo sfogo, ma un’azione di senso, percepita come tale da ciascun membro del gruppo. Attraverso il giocostoria si è offerto al bambino l'occasione di sperimentare questo tipo di azione significativa perchè, invero, quando si gioca all’interno di un giocostoria proposto dall’adulto, la situazione ha un suo procedere che prevede un crescendo, ma anche una chiusura, in cui c’è il tempo di parlare, di condividere il proprio sentire e di godere, infine, dell'esperienza vissuta. Il gioco di fatto si sviluppa fino alla sua conclusione e si chiude nel momento ritualizzato della rielaborazione dell'esperienza attraverso la verbalizzazione o l'uso di altri linguaggi, come il disegno. Anche per me il partecipare alle attività corporee del “cerchio palermitano” mi ha fornito utilissime occasioni in cui elaborare pulsioni ed emozioni, senza sentirmi colpevole per ciò che andavo esprimendo. Le diverse attività corporee, soprattutto quelle che mi hanno permesso di entrare in contatto con la mia rabbia, hanno fatto nascere in me il bisogno sempre crescente di recuperare e rielaborare vecchie emozioni, senza per ciò sentirmi in colpa. Di fatto, giocare con il corpo è sempre un’esperienza che implica più livelli di partecipazione, perché coinvolge l’intero essere, e rappresenta per i bambini il modo più forte e naturale per capire, rispondere ad alcune domande e suggerirne di nuove. Attraverso i giochi si è cercato di andare un po’ dentro le emozioni per riuscire a portare l’attenzione dei bambini sulle sensazioni e reazioni personali, in modo da poter approfondire la conoscenza di sè in rapporto al fare da soli e con gli altri.
6.3.6 IL GIOCO SIMBOLICO: L'ORCO COL BASTONE, STREGA RUBA C A S E T T E E D A LT R O A N C O R A Tr a l e a t t i v i t à d i g i o c o p r o p o s t e m e n z i o n o q u e l l a d e l l ’ ” o r c o c o l b a s t o n e “ . Un bambino ha impersonato l' orco cattivo, fornito di un bastone, il bastone 58
fatto di carta di giornale arrotolata. Con voce potente l’orco ha minacciato i compagni dicendo “Sono l’orco col bastone, e vi mangio in un boccone!”; i compagni hanno risposto “Non ci prenderai mai mai!”, e poi sono scappati. L'orco li ha inseguiti dando delle bastonate, sapendo di poter colpire soltanto sul sedere, sulle gambe o sulla schiena. Chi veniva toccato cadeva a t e r r a e l ì r i m a n e v a c o m e o s t a c o l o a l l a c o r s a d e g l i a l t r i . L’ u l t i m o r i m a s t o , senza essere stato colpito, vinceva la partita e si trasformava in orco. Tu t t i i b a m b i n i h a n n o e s p r e s s o i l d e s i d e r i o d i i n t e r p r e t a r e l ’ o r c o , e i n c i ò sono stati accontentati, poiché sperimentare con piacere una parte forte e “cattiva” in un clima di generale divertimento è un'attività potentemente catartica. Un gioco simile è stato quello della strega ruba-casette. È un gioco organizzato in forma di racconto in cui si gioca con il personaggio negativo della strega, il cui intento è quello di rubare la casa (un foglio di giornale) a ciascun bambino. Il gioco è stato realizzato utilizzando una base musicale: quando c’era la musica i bambini andavano passeggiando e la strega rubava le case; il bambino derubato veniva ospitato da altri. Nel procedere del gioco, la strega rincorreva e catturava i bambini, così fino all’ultimo bambino il quale veniva fornito di un bastone magico con il quale andava a liberare tutti i compagni; la strega, al fine, veniva legata tra le urla esultanti di tutti. Altro gioco proposto è stato quello di “picchiare” i sacchi neri di plastica riempiti di carta di giornale, presentati come nemici fantastici da colpire con i bastoni fatti con il rotolo di carta di giornale. Quando il gioco lo richiede, è bello avere un nemico terribile contro cui scatenarsi tutti insieme, e, infatti, nel momento della condivisione i bambini hanno detto di avere provato un fortissimo senso di gioia nel dare colpi e 'bastonate', poiché il piacere provato è stato ulteriormente accresciuto dal fatto di condividerlo con i compagni che, mostrando di provare le stesse emozioni le legittimavano. In realtà, attraverso questa tipologia di attività in cui è richiesto di dare sfogo alle proprie pulsioni aggressive, la rabbia o altri possibili sentimenti negativi si sciolgono per trasformarsi in “vittoria” e immediatamente dopo si crea un'atmosfera di rilassamento che è un misto di stanchezza e senso di soddisfazione. Queste attività più 'movimentate' sono state alternate a momenti più pacati in cui si richiedeva ai bambini di rilassarsi e prestare ascolto a delle s t o r i e . Tr a q u e s t e h o p r o p o s t o q u e l l a d e l m i t o d e l l ' a n d r o g i n o d i P l a t o n e . Dopo averlo commentato insieme ( si è trattato per la maggior parte di domande come “ ma questa storia è vera?” oppure “ e come facevano ad andare in bagno?” o ancora “di che colore erano gli occhi, del maschio o della femmina?” etc.), ho proposto un'attività-gioco che ha richiesto di entrare in contatto l'uno con l'altro. Ho detto ai bambini di correre in ordine sparso e, al segnale di stop, fermarsi e formare delle coppie; dunque ho chiesto loro di eseguire dei comandi che prevedevano di far mettere loro due parti del corpo a contatto, (es. ginocchio-gomito, naso -fronte ...). Ad ogni comando ne succedeva un altro, mentre i bambini eseguivano i movimenti cercando di mantenere sempre il contatto fisico con il compagno. 59
Te r m i n a t o i l g i o c o , c i s i a m o s e d u t i i n c e r c h i o e a d o g n u n o h o c h i e s t o c o m e si fosse sentito entrando in contatto con il compagno del sesso opposto, suggerendo, quando necessario, le parole utili ad esprimere le proprie sensazioni. Le risposte hanno riferito complessivamente di imbarazzo, “emozione” (non specificata), senso di vergogna, divertimento. In effetti, osservando i bambini durante lo svolgersi dell'attività ho notato un certo disagio ad entrare in contatto con l'altro ed un certo impaccio, soprattutto nei maschietti più grandi. Personalmente investigare su ciò di cui il mio corpo ha mantenuto memoria mi ha dato la possibilità di affinare la capacità di leggere i bisogni e i segnali trasmessi sia dal mio corpo che quelli dell'altro, in un fondamentale percorso di presa di consapevolezza di me stessa, per una sana relazione con me e con gli altri. Il toccarsi, l’abbracciarsi, anche solo lo stare vicini, durante le diverse attività, è stata una condizione che io e i miei compagni abbiamo vissuto in modo diverso, alcuni sentendosi infastiditi al semplice tocco dell'altro, altri t r o v a n d o p i a c e r e e s e n s o d i s i c u r e z z a n e l l a r e l a z i o n e c o r p o r e a . Tu t t o c i ò , i n verità, perché, prima di avere un’identità separata e autonoma, siamo stati tutti quanti esseri accuditi che hanno percepito sensazioni corporee diverse, attraverso il contenimento forte o incerto di un abbraccio e la soddisfazione, o mancanza di soddisfazione, dei naturali bisogni di calore, cura e nutrimento. Dal mio canto, ho imparato ad essere un 'animale' più socievole e sociale: ho acquisito la capacità di uscire dal mio guscio protettivo dentro il quale sono rimasta trincerata per anni; ho appreso la libertà di tendere la mano verso l'altro, per chiedere aiuto, per offrire sostegno, o, semplicemente, per il piacere di stare con l'altro; ho vinto la paura della parola, la parola in più, quella che non osavo dire e che rimaneva abortita nella testa, prima ancora che nella gola.
6.3.7 MASCHIO E FEMMINA: COSA DICONO I BAMBINI Per investigare sull'idea che i bambini hanno del maschile e del femminile ho chiesto ai miei alunni di redarre, in attività di brainstorming due liste, una delle qualità “positive e negative” che secondo loro caratterizzano le femmine e l'altra relativa alle qualità “positive e negative” che caratterizzano i maschi. Dunque abbiamo osservato ciò che è emerso dal gruppo femminile e ciò che emerso invece dal gruppo maschile. Le bambine dicono delle femmine che sono: gentili, tenere, generose, fashion, chiacchierone, intelligenti, furbe, curiose, pettegole, calme, prudenti, ordinate, romantiche, vanitose. I bambini dicono dei maschi che sono: forti, sportivi, veloci, agitati, disordinati, scattanti, intelligenti, avventurosi, coraggiosi, spiritosi, vivaci, furbi, generosi . Le bambine dicono dei maschi che sono: forti, movimentati, sportivi, impulsivi, ribelli, chiassosi, arroganti, sbruffoni, maleducati, maneschi, 60
superficiali, pigri, disordinati, spiritosi, mettono le dita dentro al naso, spesso sono spettinati , pensano sempre alle figurine di calcio ma sanno far ridere. I bambini dicono delle femmine che sono: nervose, pettegole, vanitose, presuntuose, deboli, lamentose, chiacchierone, gentili, generose, invidiose, gelose, ficcanaso, spione, si “pitturano” le unghie e per questo si sentono speciali, disegnano sempre cuori con scritto “ti amo”, non sanno mantenere i segreti e litigano sempre tra di loro. Dunque ho chiesto a ciascun bambino quale mestiere gli piacerebbe fare una volta adulto. L e b a m b i n e h a n n o r a c c o n t a t o d i v o l e r f a r e l a m a e s t r a , l a b a b y s i t t e r, l a ballerina, la cantante, la stilista di moda , la parrucchiera , l'estetista, la truccatrice. Le scelte delle bambine sembrano essere orientate a voler rispondere prevalentemente al bisogno di esprimere creatività, di provare piacere in ciò che si fa, di esercitare la fantasia, di avere esperienze concrete, e, in parte, di riscuotere successo e visibilità. Le bambine sembrano mosse principalmente dal piacere che ricavano nello svolgere attività legate al campo artistico (canto, musica, ballo...) e dunque riconducibili a quella zona in cui regna l’espressione di sè. Inoltre le bambine, dichiarando di v o l e r f a r e l e i n s e g n a n t i e l e b a b y s i t t e r, s e m p l i c e m e n t e e s p r i m o n o i l n a t u r a l e desiderio di cura e maternità che ancora non riescono a identificare chiaramente come tale. In conclusione, sembra che per le bambine il lavoro abbia senso a patto che esso consenta loro di portare in scena qualità come fantasia, inventiva, creatività, capacità e desiderio di cura; questo bisogno è rintracciabile anche nei casi in cui le scelte ricadono su professioni che si ritiene vengano opzionate a causa di condizionamenti mediatici e/o socioculturali (ballerina, cantante, stilista). Quello che colpisce è l’esclusione, dagli orizzonti delle scelte, di attività legate alla conduzione di imprese e piani economicamente redditizi o che rispondano all' esigenze di esercitare potere e assumere posizioni di comando. Le bambine sembrano scegliere quelle professioni in cui sarà possibile esprimere una parte autentica di sè e del proprio codice di appartenenza. Alla stessa domanda i bambini hanno risposto di voler fare il calciatore, il p i l o t a d i a u t o d a c o r s a , i l p r o g r a m m a t o r e d i c o m p u t e r, l o s c i e n z i a t o , l'esploratore, il poliziotto, il pompiere , il meccanico, il militare. Dalle risposte date dai bambini emerge una tensione verso l’espressione della spinta in avanti: ai maschietti piacciono i lavori connessi allo sport, alla velocità, alla natura, ma anche al comando, al potere e al guadagno. Dalla discussione collettiva emerge nei maschietti il maggior desiderio, rispetto alle bambine, di avere successo e di guadagnare molto. I bambini che hanno dichiarato di voler fare il calciatore, riferendone in termini mitizzanti ed enfatizzati, hanno spiegato la loro scelta rapportandola al desiderio e al piacere di svolgere l'attività calcistica, come è accaduto per le bambine, ma anche giustificandola con i ricchi guadagni. In conclusione, nelle bambine sembra potersi rintracciare una preponderanza dell'aspetto emozionale rispetto al mondo maschile che dimostra invece maggiore propensione verso gli aspetti fattivi e pratici della realtà, 61
rivelando, invero, l'innata propensione a proprio codice empirico di appartenenza.
riflettere i principi iscritti nel
6.4 RIFLESSIONI Mi sembra evidente, pertanto, come la diversità ontologica tra la natura femminile e quella maschile risulti un presupposto imprescindibile per qualsiasi riflessione sull'educazione alle emozioni e ad un sano sviluppo della persona, e come i l compito di noi adulti sia quello di guidare i bambini ad una presa di consapevolezza delle qualità più genuine del proprio essere, e a riconoscere i propri desideri e a mantenersi ben posizionati su di essi, agevolando in loro il ritorno ad una visione più autentica di sè e del mondo. Altro compito che ci spetta è quello di guidare le bambine e i bambini ad apprendere le strategie utili per una sana gestione delle proprie emozioni. Di fatto il modo di vivere l e emozioni è di fondamentale importanza poiché le emozioni, in quanto tali, possono anche impedire alla persona di realizzare i propri bisogni e desideri, diventando in tal modo emozioni “parassite”, che inquinano e finiscono per soffocare l'individuo. Come sostiene Franco Nanetti, n on tutte le emozioni sono “necessarie” e funzionali; “ci sono emozioni che appartengono alla vita ed emozioni che la uccidono, emozioni che danno linfa alla speranza ed emozioni che ci tolgono energia e ci impediscono di andare avanti”. L’ e m o z i o n e ' p a r a s s i t a ' , i n v e r o , v i e n e a p p r e s a d a l l e f i g u r e d i r i f e r i m e n t o e d incoraggiata nell’infanzia, quando il bambino sperimenta che uno stato d’animo viene preferito ad un altro e che il mettere in atto tale emozione, piuttosto che un'altra, risulta più efficace per il raggiungimento dei propri obiettivi. Ad esempio un bambino durante l’infanzia potrebbe avere imparato che per essere apprezzato deve mostrare gioia e contentezza, rinnegando così emozioni come tristezza e rabbia, che pure hanno il diritto di essere vissute, sebbene nei giusti modi. L’ e m o z i o n e p a r a s s i t a è dunque una sorta di espediente che la persona escogita per affrontare le situazioni di stress; essa, tuttavia, risulta inadatta ad una risoluzione “adulta” dei problemi, poiché i n una persona 'sana' le emozioni vengono vissute in armonia con bisogni e desideri. Ogni vero cambiamento muove dalla presa di consapevolezza prima, e dalla trasformazione poi, delle “conoscenze” emotive che si costruiscono a partire dalle prime esperienze affettive fatte nell'infanzia. Allora un primo compito per ciascun individuo è quello di rendersi consapevole delle emozioni parassite che ci condizionano e di trasformarle in emozioni “ adeguate “ alle situazioni che si vogliono affrontare. Di fatto, il più delle volte le nostre reazioni emotive non dipendono dalla realtà oggettiva dei fatti, ma dal nostro personalissimo modo, spesso inquinato, di valutarla. Si tratta, invero, di vivere le emozioni sapendosi affrancare da quelle che deturpano la nostra vita interiore e che sono di ostacolo alla piena realizzazione della nostra parte più autentica; percepire la realtà sistemica come tale ed accedere alla carica empirica di ciascuna situazione. Di fatto, allineando i propri desideri, le proprie ambizioni e i propri valori a quelli controsistemici, la persona finisce per allontanarsi dal libero fluire 62
senza esserne consapevole. Ed, invero, molte persone istituzionalizzano questi stati di squilibrio sistemico e li adottano come normali, sperimentando così la forza disarmonica come vera ed unica realtà. L'inizio del cambiamento prende avvio dalla messa in discussione di tutti quei meccanismi di pensiero che sono alla base di un modo ingannevole ed illusorio di comportarci ed emozionarci; cogliere le emozioni ed elaborarle affinchè diventino funzionali al nostro benessere, è questa l'operazione indispensabile per procedere lungo il percorso di luce e consapevolezza. Prioritario compito di noi adulti, come educatori e genitori, è pertanto quello di sostenere le bambine e i bambini in un processo di sviluppo e crescita in assonanza coi propri desideri e la propria dimensione affettiva, veri trampolini di lancio per divenire adulti capaci di costruire una sana relazione con sè e di trovare nel mondo la giusta collocazione che compendi armoniosamente le dimensioni personale, relazionale, sociale e professionale.
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CONCLUSIONI Attraverso la stesura di questo scritto, che ha preso avvio dall'esigenza di scoprire il potere femminile e tutti gli attributi che gli sono peculiari, mi sembra di essere giunta a cogliere veramente la straordinaria bellezza di accedere alla matrice femminile e alla più vasta sacralità che sottende l'intera esistenza. L'idea, tutta cognitiva e speculativa del femminile, gradualmente, ha fatto spazio dentro di me al 'sentimento' della presenza femminile. Vi v e r e l ' e s s e n z a d e l f e m m i n i l e è d a v v e r o q u a l c o s a c h e n o i d o n n e a b b i a m o d i m e n t i c a t o . Tr o p p o a l u n g o l a c u l t u r a m a s c h i l i s t a h a s o f f o c a t o e l a c e r a t o i l femminile, deprivandolo della sua naturale saggezza e del suo potere magico legato all'atto stesso della creazione. La donna stessa ha tradito il suo sentire più autentico, assumendo atteggiamenti e strategie maschili. Tu t t a v i a è p o s s i b i l e o g g i r i a b b r a c c i a r e i l p o t e r e f e m m i n i l e . Mi sembra chiaro che per prima cosa sia necessario affrontare il dolore e la rabbia che la sua violazione ha causato in secoli di storia . Accogliere il femminile implica l'atto di accettare la rabbia e il dolore delle ferite inflittegli, ma anche riconoscersi corresponsabili di questo processo di dissacrazione che ci ha condotte a spogliarci delle sacre vesti di divine sacerdotesse per indossare gli abiti più pratici del potere maschile. Di fatto, più la donna si rende libera dai condizionamenti imposti dalla società e da se stessa, più ella si avvicina alla sua condizione ideale; ed ella può avvicinarsi al suo stato ideale soltanto evadendo il proprio debito empirico e aderendo gradualmente al suo codice yin. Per fare ciò è necessario “ entrare in conflitto con la legge dell'ordine”, diritto questo inconfutabile ed indispensabile per la crescita personale. Identificandomi con la sofferenza e piegandomi sotto il suo doloroso peso, o, d'altro canto, proiettando e sfogando sugli altri la mia rabbia, semplicemente sono affondata ancora di più in una condizione che mi ha negato la trasformazione. Più mi sono identificata con il dolore, più, diciamo così, mi sono ammalata di rabbia, cadendo in un tranello fatale. Non possiamo muoverci sul piano del libero fluire se siamo saggiogati da forme di ansietà, paura, rabbia e senso di colpa. Piuttosto, ho compreso che ci è possibile costruire nuove strategie di vita solo a patto di dialogare con le nostre emozioni, con le nostre sofferenze, con i nostri conflitti interiori; è proprio da questo dialogo che ha avuto inizio il mio cammino verso il cambiamento. C i t a n d o M a ya D e v i , s o l o “ l a d o n n a c h e s a r i c o n o s c e r e l a p r o p r i a n a t u r a è libera dall'orgoglio personale e vive l'amore in ogni azione ed in ogni pensiero, giungendo alla piena manifestazione del proprio sè”. La donna, che conosce il sangue e i cicli naturali, che esercita la pazienza e la virtù dell'attesa nella gravidanza, che sperimenta il dolore nel parto, che possiede intimamente il potere di accogliere nel proprio utero e quello di nutrire dai propri seni, può riconettersi al suo femminino per esplorare e far propri i principi guida che le appartengono naturalmente. La donna che onorando se stessa sa onorare chi le sta accanto può divenire la divina sacerdotessa del proprio focolare. 64
Sta a questa donna luminosa e leggera, ma forte e salda nella sua purezza, svelarsi al mondo in tutta la bellezza che sino ad ora è rimasta celata. E' di sicuro una sfida difficoltosa avere pieno accesso alla matrice femminile, ma è straordinario scoprire il potere che ciascuna donna ha di mettere in atto quei cambiamenti significativi che la possono connettere al suo vero potere. Penetrando nel mistero della sofferenza e della sua oscurità ho visto la luce necessaria, quella che può permettermi di riscoprire in me la dolcezza e il perdono, la forza che sostiene e la capacità di accogliere, il potere di offrire nutrimento e amore incondizionato, la presenza e l'intuizione, l'irresistibile seduzione che è in tutto ciò. E' lì, la vedo; so che basta allungare la mano. “Le leggi dell'ordine empirico costituiscono l'unico meccanismo di riferimento per ogni moto esistente, sia dentro che fuori dell'anima … Il loro ordine è scritto a livello di coscienza e permette di accedere ad una scala di valori naturali e sistemici, insiti in ogni essere umano” ed esso rappresenta la condizione empirica naturale e regolare all'interno del libero fluire. “ Il singolo, stando in tali condizioni, si muove nel flusso d'amore, che è il sistema”. Si tratta invero di un sentire intuitivo e spontaneo che nasce ad un livello profondo dell'essere e attraverso il quale l'individuo può accedere alla carica empirica di ciascuna situazione. “In mancanza di tale premessa, la persona è portata ad infrangere le leggi dell'ordine” e, non essendo in grado di percepire la realtà sistemica in quanto tale, rimane “separato dal sentire assoluto e relegato ad un modello personalizzato”. Rivolgerci alla nostra Grande Madre e metterci in suo ascolto; sentire il palpito dell'esistere in ogni cellula del nostro essere; comprendere come o g n i c o s a s i a p a r t e d e l Tu t t o , a n c h e l ' o m b r a e l ' e r r o r e ; c o g l i e r e n e l m o m e n t o presente l'epifania del divino; accogliere con apertura l'ora che avviene; abbracciare la vita nella sua interezza, senza giudizio e senza aspettative; affidarci al libero fluire degli eventi: tutto ciò, e altro ancora, è il miracolo del cambiamento che può essere, e questo io adesso lo so. Una delle verità che in questi ultimi anni ho appreso è che nulla avviene per caso e allora mi piace pensare che il nome che porto con gioia sia un augurio e, invero, una promessa di realizzazione: Sofia come cammino verso l a c o n o s c e n z a ; S o f i a c o m e f o r m a d e l Tu t t o c h e u n i s c e l e p a r t i ; S o f i a c o m e l a divinità interiore che guida la donna verso le trasformazioni più alte. A questo punto del mio cammino sento che è giunto il tempo in cui il 'sentimento' del femminile sta lasciando il posto all' “agire” femminile p e r c h è , c o m e s c r i v e v a A . J o d o r o w s k y, “ s o l o n e l l ' a z i o n e c o n c r e t a i l p r o p r i o mistero può essere interpretato”. Quando cambiamo davvero, profondamente, il nostro fare, ovvero il “corpo vissuto”, accompagna e svela il nostro cambiamento. Così come é accaduto a me, che guardandomi allo specchio oggi ritrovo riflessi nel mio sguardo antichi bagliori infantili di vivacità e giocosità, e, camminando per la strada dell'esistere, non sento più la schiena curva, schiacciata dal peso insostenibile delle mie paure, del mio senso di inadeguatezza, della mia insicurezza, del mio anelito all'abbandono. Come sostiene Franco Nanetti “solo quando il nostro sentire si traduce in gesto, e il nostro pensare si tramuta in una nuova postura, e il tono della nostra voce suona diverso e gli occhi emanano una luce nuova, allora vuol 65
dire che il miracolo del cambiamento è avvenuto. Sta a noi renderlo solido e permanente�. E' questo l'augurio che faccio a me e alle persone che, in un modo o nell'altro, io amo!
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Così come sono
Ci sono Così come sono E vado al di là Bambina furiosa Impaurita guerriera Ho tra le dita una bacchetta fatata E' una spirale Nuoto nell'aria Vago per acqua Foglia avvizzita Una scintilla di fuoco brucia alle gambe Il ventre batte la terra Per divorarla Un suono ancestrale accompagna il ritmo dei nonpensieri Scopro compagni e compagne Sono simili a me E c'è un abisso Una favilla fugge alla memoria Sale al cielo a rammentarmi Della stella Dolcissima stella Ringrazio il leone divoratore E le sue fauci spalancate Che mi hanno permesso di essere Così come sono Veggente del tempo presente Ballo danze uterine Sento le urla di anime in pena Gatti sepolti col respiro di sabbia Segreti meschini e indicibili Frantumi di vetro per terra Mi specchio e mi vedo Così come sono Abbracci Abbracci di pietra Abbracci di creta Abbracci di pianto Abbracci d'incanto 67
Abbraccio e mi sento CosĂŹ come sono Creatura spezzata Uomo vestito di rosa Donna di ferro ammantata Combatto Mi struggo Distruggo Mi guardo Mi temo Mi penso Mi svelo Mi scopro Mi celo Mi accetto Mi amo Mi voglio CosĂŹ come sono
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INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
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