LIBERA UNIVERSITÀ DI STUDI PSICOLOGICI EMPIRICI
Michel Hardy - Counselor in Discipline Psicologiche Empiriche -
LA RABBIA FEMMINILE NELL’ANALISI EMPIRICA
Carmela GABRIELE
Tesi LUMH e F.A.I.P. - 10-11 Giugno 2011
Indice Introduzione ........................................................................................................... 3 1.
2.
3.
4.
Capitolo 1 ............................................................................................................ 6 1.1
Intanto la rabbia si è fatta grande ....................................................... ......6
1.2
Quando nasce la rabbia femminile .............................................................7
1.3
La rabbia femminile, la visione empirica.................................................... 8
Capitolo 2 .......................................................................................................... 12 2.1
Il mito di Medusa ....................................................................................... 12
2.2
Responsabilità e innocenza ....................................................................... 13
2.3
I due poli della rabbia: forza vitale e forza distruttrice ............................ 15
2.4
La rabbia: principio maschile per eccellenza ............................................ 16
2.5
La rabbia femminile ................................................................................... 17
2.6
Il volto dell’ira....................................................................................... ......18
2.7
Rabbia e dolore .................................................................................... ......21
2.8
L’indicatore empirico della rabbia .......................................................... ......24
2.9
L’energia dell’ira.........................................................................................25
2.10
La rabbia yang e la tristezza yin.............................................................. ......26
2.11
L’accesso all’amore .............................................................................. ......27
Capitolo 3 .......................................................................................................... 28 3.1
La leggenda di Lilith ............................................................................... ......28
3.2
La vergine nera, la luna nera ................................................................... ......31
3.3
Alla riscoperta della Dea ...............................................................................33
3.4
Il lato ombra .................................................................................................33
3.5
La rabbia e il lavoro sul corpo................................................................. ......36
Capitolo 4 .......................................................................................................... 38 4.1
Fuori dal sentiero battuto ...................................................................... ......38
Ringraziamenti ........................................................................................................... 41 Bibliografia .................................................................................................................42
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Introduzione Al giorno d’oggi alcune teorie su sesso e genere sono arrivate a concludere che il corpo con cui si nasce conta poco o niente. Quello che conta è il sesso “astratto”, il genere a cui si sceglie di appartenere, slegandosi dal corpo biologico. Una gran libertà, la vera libertà sessuale di potersi scegliere un genere a piacimento, una deriva dal corpo biologico al traino di una volontà che tutto può. Pare però che queste teorie non siano mai riuscite a spiegare in modo convincente perché e a chi convenga slegarsi dal corpo. Che cosa ci si guadagna? Un cyborg ce lo si immagina sempre solo, rabbioso, incattivito dall’infelicità, più maschio che femmina. In effetti sembrerebbe che tutto quanto si stacca dal corpo diventa quasi sempre maschio. È questo l’approdo di tanto girovagare tra corpi e identità. Se c’è un sesso per il quale si è sempre pensato che lo slegame fosse conveniente è il sesso femminile. Di slegarsi dal proprio corpo alla maggior parte degli uomini è sempre interessato poco. Loro stanno benissimo così, vengono alla luce in un mondo tagliato a misura, trovano la loro lingua già fatta, escono dall’alvo materno per infilarsi direttamente nell’assoluto, comandano, guadagnano molti soldi e fanno tutto quello che gli pare. Tolta la fatica iniziale di staccarsi dal corpo della madre - fatica che pure nella loro vita non finisce mai - per loro finora è sempre stato tutto molto più semplice. Se l’uomo resta saldamente piantato nel suo genere, la donna si perde nei vagabondaggi. Nascere donna non è mai stato visto come un grande affare. Più precisamente alle donne non sono mai stati dati il tempo e l’agio necessari a cogliere l’opportunità che è nascere donne. Costruire un mondo a partire dai loro corpi e dal loro modo di intendere la realtà, così diverso da quello maschile. Andarsene, diventare nomadi, per le donne è diventato quasi un obbligo. Se vogliono ottenere qualche facilitazione e qualche sconto, se vogliono godere di qualche opportunità, le donne non hanno bisogno di staccarsi soltanto dal corpo
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della madre, ma anche dal loro stesso corpo e da ciò che potrebbe significare. Portarsi via a se stesse e infilarsi nella pelle degli uomini: questo è il prezzo da pagare. Da circa un secolo esiste un mercato in cui questo scambio è praticabile: essere meno donne possibile per poter accedere all’assoluto maschile, per poter frequentare i posti degli uomini, per guidare enormi SUV e guadagnare - quasi quanto loro. La condanna a essere donna non è più inappellabile. La madre di tutte le opportunità - per la quale dovremmo essere grate - si chiama emancipazione. Emancipazione vuol dire non essere più schiave. Si tratta, però, di capire bene di quale schiavitù si sta parlando: dell’oppressione che è toccata alle donne, ridotte a inerte materia prima della fulgida impresa maschile? O è il nostro stesso sesso a farci schiave, fintanto che non ce ne liberiamo? Nel rivendicare l’uguaglianza con l’uomo, la donna corre il rischio di raddoppiare la propria esclusione dalla società e dalla cultura. Forse così otterrà un posto sociale e culturale, ma spesso al prezzo di conformarsi a norme e a valori che non le sono propri. Forse ormai la differenza femminile è sul punto di estinguersi? Le ondate dell’emancipazione e dell’empowerment toccano anche le lande più remote del pianeta. Non c’è quasi più nessuna che voglia prendersi la briga di essere una donna. Siamo diventate tutte veri uomini: gli uomini che avremmo sognato di sposare. Tutte veri uomini senza nemmeno sapere come sarebbe essere vere donne. È il più imponente tra tutti i fenomeni di globalizzazione, la definitiva riduzione del due all’uno, all’unico conveniente tra i due sessi. Le ragazze nascono già pari, si comportano socialmente e sessualmente come maschi, vanno allo stadio e fanno carriera. La maternità è under-attack, prima o poi un utero di plastica ci dispenserà del tutto dall’incomodo. Il patriarcato non serve più, è morto, e nemmeno noi ci sentiamo troppo bene. Come sarebbe un mondo tagliato a misura di donna, come sarebbero le città, come si lavorerebbe, come si vivrebbe, come sarebbe scandito il tempo e come sarebbe organizzato lo spazio?
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La nostra cultura è costruita a partire da valori maschili e i valori della soggettività femminile sono in larga parte ancora sconosciuti e da coltivare. Un gran lavoro, ma forse il lavoro che oggi c’è da fare. Se non ci si fa prendere dall’ansia, se si fa quel po’ di silenzio che serve, se si fanno tacere le risposte ripetitive, se non ci si rifugia nelle soluzioni di sempre e ci si mette in ascolto con fiducia, può essere che le cose, che i valori della soggettività femminile, vengano avanti da soli, che nel vuoto si generi ciò che si è cercato. Tenere aperto un po’ di vuoto, non lasciare che tutto venga saturato, e portare un po’ di pazienza. L’emancipazione è al suo climax e a questo punto tocca scegliere. Non è questione di andare avanti o tornare indietro. La questione è se rilegarsi a sé, se salvare la propria differenza femminile o slegarsene definitivamente. È la più grossa questione politica che le donne hanno da affrontare: politica perché ha a che fare con la felicità e l’infelicità di tutti. Anche degli uomini. Vediamo quanta solitudine e quanta violenza può esserci in un mondo fatto di soli uomini e di loro omologhi, in cui la speranza costituita dalle donne, dalla loro capacità di fare perdere peso alle cose, di vincere la gravità e la dittatura dell’utile vengono progressivamente meno, in cui le donne spuntano occasionalmente fuori solo come zombie di un’umanità perduta o come un paio di tette di silicone. Vediamo cosa significa avere tutti i diritti tranne quello alla propria identità sessuale. Vediamo anche gli uomini smarriti, infelici, affamati, impotenti, pieni di paura, violenti. La scomparsa delle donne genera la depressione del mondo. Le donne stanno diventando veri “maschi”. Sognano anche il loro stesso sogno, cancellare la differenza sessuata. Starsene in pace tra loro, tra uguali: questo è il sogno degli uomini, da sempre. È diventato anche quello delle donne a quanto pare, visto che anche noi stiamo diventando uomini. L’altro sappiamo amarlo solo quando è a nostra immagine, e perciò dagli uomini, per amarli, pretendiamo che a loro volta diventino un po’ donne, in un vortice di degenerazione, in un gioco di specchi deformanti.
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Capitolo 1 1.1 INTANTO LA RABBIA SI E’ FATTA GRANDE All'inizio del tredicesimo secolo a.C., gli Elleni invasori avevano conquistato la Grecia, distrutto i templi in cui venivano venerate le dee, strappato le maschere alle sacerdotesse e sostituito alle potenze femminili dei ed eroi. In seguito, nei loro miti, i Greci rappresentarono questo momento del trionfo maschile sulle potenze femminili delle tenebre con l'immagine di Perseo che solleva la testa recisa di Medusa. A distanza di quindici secoli, Medusa è tornata, e la sua rabbia è penetrata in una cultura più allargata. In prima pagina grazie alla pubblicità che i media hanno riservato a casi famosi, la rabbia femminile ha annunciato la propria presenza: alla cassa del supermercato, nella cabina elettorale, in camera da letto, nei programmi televisivi, all'università, alle riunioni pre-elettorali, a colazione con le amiche. Le donne di ogni età cominciano a cogliere l'energia e la potenza concentrate nella loro rabbia. Se la mitologia, la letteratura e la cultura popolare presentano talvolta immagini di donne arrabbiate, il comportamento delle donne vere è stato dettato da fortissimi divieti imposti all'espressione di qualsiasi sentimento aggressivo, nelle molteplici sfumature che vanno dalla collera al furore. Abituate fin dalla più tenera infanzia a starsene buone, le donne sono abili nel mascherare la loro rabbia, e spesso la nascondono dietro alla malattia fisica o mentale (la rabbia femminile si esprime nelle fobie e negli attacchi di panico. Può camuffarsi nella manipolazione, nel comportamento passivo-aggressivo, nella stanchezza cronica o nelle minacce di suicidio). Una donna arrabbiata può arrivare al punto di mostrarsi sempre sorridente, o di sviluppare una strategia volta a compiacere tutti quanti la circondano - salvo se stessa. Oggi sta emergendo una nuova generazione di ragazze e donne in collera. Come mai soltanto ora le donne cominciano a essere in contatto con i loro sentimenti di rabbia? Che cosa nella vita contemporanea ha esasperato la vita emotiva delle donne, sicché la collera risulta intensificata e sempre presente?
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Le donne sperimentano la rabbia in tutti gli spazi in cui si trovano: a casa, per la strada, sul posto di lavoro, in camera da letto e in sala di consiglio. Alcune sono arrabbiate perché non si sentono più al sicuro - mentre fanno jogging nel parco o guidano l’auto o si aggirano per casa. Altre provano rabbia per le rughe, perché si rendono conto che stanno invecchiando. Molte provano rabbia per gli stupri all’interno delle università o per gli stereotipi sessuali. Per un numero ancora maggiore la rabbia nasce dalla dipendenza da un uomo. In questa società dominata dal maschio, le donne non sanno gran che di Medusa, come mai è diventata il simbolo delle tenebre femminili e della furia. È tempo di guardare Medusa come la guardiana del segreto reame della rabbia femminile. Le donne si mostrano riluttanti all’idea di restituire lo sguardo a Medusa, di confrontarsi direttamente con la loro rabbia, poiché chi la guarda negli occhi non ne rimane pietrificata, bensì vedrebbe in quei tratti torturati lo specchio della sua sofferenza. Una rabbia indifferenziata e indiscriminata può contaminare e distruggere l’intera esistenza di una donna. Ma la donna che intraprende il viaggio per tornare a Medusa esplorandone la storia e comprendendo la realtà della sua rabbia comincia a capire quale strumento possente ha in suo possesso. La rabbia è la via maestra verso l’asserzione di sé, verso un più profondo sviluppo psicologico e il benessere emotivo.
1.2 QUANDO NASCE LA RABBIA FEMMINILE, la visione psicologica In gran parte i ricercatori concordano nel dire che la rabbia è un’emozione che si sviluppa nel bambino tra i quattro e i sei mesi di età, ed emerge contemporaneamente alla capacità di riconoscere causa ed effetto. Sembra che la vera rabbia faccia la sua prima comparsa soltanto quando il bambino diventa consapevole di sé come persona distinta dalla madre, di solito tra i diciotto e i ventiquattro mesi (periodo in cui i bambini cominciano a sperimentare un senso chiaro della loro individualità e della loro separazione). Le ferite più profonde sono inflitte quando un bambino viene trascurato o non riconosciuto quale essere umano distinto. Quando non ne viene riconosciuta
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l’autonomia, interiorizza la ferma convinzione di essere privo di qualità e spregevole, di essere in un certo senso biasimato per la sua inadeguatezza. Recuperare il senso di sicurezza e di piacere sperimentati nello stretto rapporto con il corpo materno è una ricerca naturale per entrambi i sessi. A tutti capita di desiderare quel calduccio, di ripetere quella prima fusione, fatta di sicurezza e tepore, con il grembo materno e con le calde braccia della mamma. Il mancato soddisfacimento del desiderio di intimità con la madre è una fonte di rabbia per bambine e bambini. Il maschio adulto troverà una compensazione a questa perdita, ma la donna adulta è per sempre espulsa dall’unione con la madre, il primo amore della sua vita. Il suo percorso psico-sessuale è più complesso di quello di un fratello. Per la ragazza la separazione dalla madre per lo più inizia quando si libera della sudditanza erotica al proprio sesso e trasferisce sul sesso opposto i desideri sessuali infantili. La madre diventa allora un territorio proibito, non un oggetto d’amore ma una rivale, una il cui corpo è più grande e armonioso. Alla rabbia che le bambine provano nei confronti della madre si accompagna il senso di colpa. Possono contemporaneamente aver voglia di lottare contro di lei ed essere consapevoli di quanto sono da lei dipendenti. Prese nella contraddizione, con quel loro desiderio di respingerla e volerla accanto, crescendo, le bambine hanno un atteggiamento conflittuale nei confronti dei loro confini e dei loro affetti. Quando la bambina si separa di più dalla madre, stabilisce tra loro uno spazio emotivo. Quando diventa donna, se ha veramente elaborato questa separazione, possiede il senso della propria integrità.
1.3 LA RABBIA FEMMINILE, LA VISIONE EMPIRICA Oggi si incontrano spesso donne che esprimono una spiccata dose di aggressività. In tale maniera dimostrano il proprio allontanamento dal codice empirico. Dove regna la rabbia femminile la donna si rivela come dissociata dai principi guida Yin, soffrendo immensamente di tale separazione. Per quanto giustifichi con ogni mezzo il suo essere donna, utilizzando qualità femminili
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minori per coprire i propri buchi emotivi, si tratta soltanto di un atto di disperazione. In tal senso ogni atteggiamento schizzato, aggressivo o sprezzante è sempre segno di un debito originario ingente, sia per il sesso maschile che per quello femminile, ma in maniera più accentuata se si tratta di una donna. Ogni donna rabbiosa dimostra di aver già lasciato la propria “casa” Yin, in quanto è catalizzata dall’ombra maschile. Così la sola presenza di un moto aggressivo prevalente evidenzia il suo debito. Quando l'anima è costretta a sopportare un forte dolore, solitamente per un moto d’amore interrotto, si chiude in se stessa e abbandona il fluire armonico. Questa è una chiusura che provoca l’interruzione di ogni collegamento con l’amore, e di conseguenza l’allontanamento dal libero fluire. Si realizza quando un movimento d’amore tra due persone s’interrompe, in particolar modo nei casi di abbandono o di tradimento. Questa circostanza si verifica in primo luogo nelle famiglie in cui il bambino non ha ricevuto una qualità d’amore sufficiente. L’incapacità dei genitori di amare e di onorare i propri figli costituisce un debito per ambedue le parti. Infatti, esso si apre non soltanto verso chi infrange le regole ma anche verso chi ne subisce le conseguenze poiché il sistema non riconosce né vittima né carnefice, ma solamente persone responsabili in misura uguale. Ciò si verifica anche se i genitori hanno dato tutto l’affetto che erano in grado di dare, ma esso non corrispondeva ai parametri previsti dall’ordine. Così il bambino vive l’abuso di un suo diritto naturale, sperimentando da quel momento il distacco dall’ordine. Da questo momento il bambino accumulerà debito, il quale potrà essere estinto soltanto dopo il periodo dell’adolescenza, ossia una volta che il soggetto è entrato nel ruolo empirico dell’adulto, dal momento in cui la persona è in grado di affrontare il proprio stato di separazione, a prescindere se usufruirà o meno di tale possibilità. Soltanto entrando nel ruolo empirico dell’adulto, infatti, può generare la forza e lo spazio interiore per poter contenere il dolore. Durante tutto il periodo della separazione il debito si manifesta attraverso un dolore profondo, che viene coperto attraverso le strategie di compensazione. Questo processo è evidenziato dall’ordine attraverso appositi indicatori empirici, nel tentativo di rispecchiare al singolo la sua realtà empirica. Nel caso dei moti d’amore interrotti, l’indicatore è costituito dalla rabbia che l’interessato sperimenta in modo diverso secondo il ruolo di
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compensazione acquisito. Se il ruolo si distingue attraverso un eccesso Yang (l’uomo Yang alterato, la donna Yang), la rabbia diventa la sua spinta principale. Qualora, invece, mostra una sovrabbondanza Yin (donna Yin alterata, uomo Yin), l’indicatore in questione viene rifiutato e rimosso, e il singolo si nega ogni spinta rabbiosa. Il più delle volte il debito viene tramandato dai genitori (gli indicatori empirici preposti, generano con il tempo moti emotivi predominanti che deviano la vita del singolo). Ogni nuova generazione si ritrova il debito originario della propria stirpe, arricchito da quello delle generazioni precedenti. Questo incremento si compie qualora i suoi predecessori non abbiano evaso l’accumulo precedente durante l’iter della propria vita. In questa maniera ciascuna generazione aggiunge la propria parte di debito, nonostante la possibilità di poterlo anche “ripulire”. Ogni riscatto può avvenire soltanto percorrendo la strada della risoluzione empirica. Ciò che la madre e il padre non sono in grado di affrontare viene subappaltato direttamente alla generazione successiva e così avanti fino alla sua risoluzione. Con il passare del tempo ogni figlio si ritrova con un ammontare disarmonico maggiorato, essendo costretto a convivere con i suoi sintomi disagevoli e avendo l’obbligo di riscattarli. L’alterazione del proprio ruolo empirico avviene – nella maggioranza dei casi - già nelle generazioni passate. Così ogni donna Yang ha ereditato la propria rabbia già dalla madre la quale a sua volta l’ha appresa dalla propria, e così avanti fino alla fonte di tale inversione. La presenza dell’indicatore della rabbia riporta sempre un debito arretrato. In presenza di un debito non evaso si accentua anche il livello di sfiducia verso la vita, verso se stessi e verso gli altri. Non sentendosi più appoggiati dal flusso vitale, il rifiuto verso una presa di coscienza riguardo al proprio stato empirico, aumenta ulteriormente. Qualora la resistenza a riconoscere il proprio debito si protragga per lungo tempo - per anni o decenni - permanendo nei ruoli o nelle strategie di compensazione, si verifica un altro fenomeno irreversibile: l’indurimento dell’anima. L’indurimento si verifica qualora un debito di dimensioni ingenti rimanga inevaso per periodi prolungati, mentre la persona si esime dal volerlo riscattare. L’inizio di tale processo si rivela attraverso un progressivo aumento del moto rabbioso fino a raggiungere livelli elevati.
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DA DONNA FINTA YIN A DONNA FINTA YANG: uno dei ruoli più predisposti all’indurimento è quello della vittima rabbiosa, di prassi accompagnato anche dalla sindrome della brava bambina. In questo caso, la persona evita accuratamente di prendere atto del suo debito, rifugiandosi dietro una maschera fatta di sorrisi, gentilezza e accondiscendenza, fino a quando non è più in grado di sottrarsi alla propria rabbia omicida e tende verso l’indurimento dell’anima. PASSAGGIO DALLA DONNA FINTA YANG A YANG AUTENTICA: con il protrarsi di questa sintomatologia, la rabbia prende sempre più spazio nella vita di una donna, fino a diventare una donna Yang, nella sua forma espressiva più forte in cui l’astio per il mondo, per gli uomini e per se stessa è diventato irreversibile. Ogni vittima rabbiosa diventa tale in quanto nasce da una donna Yin alterata che è destinata, con il tempo, a diventare una donna Yang. È sempre il debito di base a impedire alla persona il rientro nell’ordine, in quanto volerlo evadere vorrebbe dire rivedere tutte le false certezze e le strategie che ne derivano, soprattutto quelle d’amore. Il rifiuto di affrontare il proprio campo di responsabilità viene accompagnato, inoltre, da una percezione crescente di diffidenza, di scetticismo e di insofferenza. Sentimento, questo, che innesta un circolo vizioso tra il rifiuto di voler risalire alla causa del proprio disagio e tra i suoi sintomi. Uno dei segni più riconoscibili di chi sta sperimentando il ruolo della vittima rabbiosa costituisce il largo uso di critica e giudizio. Tali atteggiamenti costituiscono un notevole disimpegno per il dolore e per la rabbia accumulata, essendo la loro naturale valvola di sfogo.
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Capitolo 2
2.1 IL MITO DI MEDUSA Medusa era la più bella tra le ancelle di Atena i fili d’oro della sua chioma catturavano la luce del sole e incorniciavano la rara bellezza del suo volto. Era la nipote mortale di Gea dea della terra. Molti giovani di belle speranze la corteggiavano. Ma lei diffidava. E quando la volle il dio del mare Poseidone, ancora rifiutò. Dicono alcuni che si presentò a lei come vigoroso stallone. La trasformò in giumenta e se la prese nel boschetto sacro ad Atena. Altri raccontano semplicemente dello stupro di una fanciulla perpetrato da un dio implacabile, nel tempio di una dea.
La storia di Medusa inizia là dove tutte le storie di tutte le donne cominciano: al tempo in cui sono belle, giovani e innocenti. Tuttavia per molte donne tutto ciò
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diventa una sorta di condizione esistenziale che implica sospensione dello sviluppo e mancanza di crescita emotiva. Queste donne, come Alice nel Paese delle Meraviglie, cascano nella tana del coniglio e continuano a vedere tutto rosa, impreparate al mondo reale. L’infantilismo delle donne è promosso dalla cultura in generale, ed è incoraggiato dai miti e dalle fiabe.
2.2 RESPONSABILITA’ E INNOCENZA Le responsabilità individuali costituiscono una delle tematiche che l’essere umano affronta con maggiore difficoltà. Intorno a tale argomento si aggirano i suoi auto-inganni più originali, le sue convinzioni più disperate e le resistenze più nascoste, tutte atte a non fargli percepire il peso della sua colpa. Infatti, quest’ambito evidenzia anche una delle fonti più consistenti per l’acquisizione di nuovi debiti, specialmente per chi ha superato l’età biologica del bambino. Quando avviene un’infrazione dell’ordine, ciascuna persona coinvolta è tenuta ad affrontate la piena carica di responsabilità, come se fosse stato l’unico coinvolto. Questo vale nella stessa misura sia per il carnefice sia per la vittima. Ogni persona è tenuta ad affrontare le piene conseguenze a prescindere dal fatto che abbia aderito per propria volontà o se sia stata coinvolta casualmente. L’ordine non esclude le sue co-responsabilità per il semplice fatto di non essere stato consenziente e non concede attenuanti perché non si è avuta altra scelta o perché si è stati costretti. Nonostante il sistema riconosca la differenza tra un evento fortuito e un’azione premeditata, non è tuttavia in grado di prosciogliere nessuno per la mancanza del proprio consenso. L’ordine non distingue tra un aborto eseguito dopo un gesto d’amore o uno indotto dopo una violenza carnale, ma riconosce soltanto il diritto alla vita del nascituro; esso non discerne tra un omicidio in guerra o un incidente d’auto, in quanto in entrambe le situazioni le persone coinvolte sentiranno le stesse conseguenze sul livello della propria coscienza; l’ordine non distingue tra chi ha partecipato a una rapina da protagonista e tra chi ha investito un ruolo minore, e si sente meno coinvolto.
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L’ordine non è in grado di differenziare tra la responsabilità di una donna che vende il proprio corpo per denaro e l’innocenza violata di chi è stata costretta. Ai fini delle responsabilità empiriche non c'é differenza tra chi commette l’atto e tra chi lo subisce, dal momento che entrambi sono coinvolti nella stessa dinamica e l’uno non potrebbe esistere senza l’altro. Per questo l’ordine considera coinvolto anche chi guarda l’atto senza intervenire o chi si trova casualmente sul luogo del delitto, assegnando le responsabilità personali di conseguenza. Ciascuna delle parti acquisisce la propria responsabilità empirica, essendo costretta a prenderne atto e - in un secondo momento - a evaderla. Essa gli viene puntualmente riportata attraverso gli indicatori appositi (nel caso di Medusa l’indicatore empirico preposto è la rabbia incalzante) per quanto si possa illudere che la questione non lo riguardi. Si esime da una sana presa di responsabilità, illudendosi di poter evitare - in tal maniera, - la perdita della propria innocenza. Essa costituisce lo status-quo più rassicurante per ogni bambino, di cui sente un bisogno assoluto. Tuttavia l’innocenza non appartiene ai diritti degli adulti. Infatti, con l’inizio dell’adolescenza l’individuo perde questo diritto, che viene sostituito dalla sua spinta naturale verso la purezza. Si tratta di uno stato ben diverso dall’innocenza, che obbliga la persona ad assumersi delle precise responsabilità per poter raggiungere tale condizione d’essere. Spesso, però, anche la purezza viene scambiata - per difetto – per un atteggiamento infantile e sprovveduto, destinato a svanire con la crescita. Spesso, agli adulti, è richiesto un comportamento diverso, ossia quello di sapersi contraddistinguere attraverso atteggiamenti di furbizia, scaltrezza e malizia. Il moto della purezza, invece, contrasta questa richiesta e favorisce il genuino atteggiamento di apertura e fiducia previsto dall’ordine. Esso si manifesta in chiave differente per i due sessi e ciò che costituisce la purezza per il codice Yin corrisponde alla chiarezza per quello Yang. L’agire femminile, infatti, si differenzia da quello maschile per la sua mancanza di calcolo e della continua ricerca del proprio vantaggio. Tale differenza fa parte di una pulizia interiore, tipica del codice Yin e contrapposta alla funzionalità empirica del codice Yang, che a volte può farla apparire addirittura ingenua. Davanti ad una decisione da prendere o una scelta da compiere, essa non sceglie in base alla propria convenienza, bensì in base all’integrità empirica di cui lei è
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custode. Un assetto vitale, sovrastato da una mente commerciale è incline a ogni compromesso pur di raggiungere la propria convenienza. Ciò genera l’inquinamento dell’anima, che infrangendo il moto della purezza renderà necessario dover affrontare gli indicatori sistemici preposti al proprio debito: la propria rabbia e la propria paura. Fino a quando, però, la persona rimane in balia della propria necessità di sentirsi innocente, evitando l’attrazione dell’ombra, non potrà mai entrare in tale forza. Non “sporcandosi le mani” attraverso un accesso consapevole alla propria rabbia arretrata, alle strategie della propria paura e al proprio senso di abbandono, rimane imprigionata nella paura di crescere. Soltanto esplorando le strategie di auto-boicottaggio si avvicina alla propria ombra, risalendo ai propri limiti e ai tabù personali. Così, le brave bambine e i bravi bambini non sanno prendersi le responsabilità e questa condizione accumula un debito che rimarrà intatto fin quando non saranno loro stessi a sostenere il ruolo che l’ordine naturale prevede per ogni persona adulta. Ogni avvicinamento alla zona d’ombra esige l’abbandono del proprio stato d’innocenza, costringendo la persona ad accostarsi al proprio arretrato empirico. Così entra in contatto con le sue ferite nascoste, la rabbia, la colpa e l’amore mancato, risalendo lentamente alle qualità delle strategie di auto-boicottaggio. Così l’abbandono della propria innocenza costituisce una necessità empirica di primo rango in ogni processo di crescita, trattandosi di un movimento interiore per poter affermare i propri principi.
2.3 I DUE POLI DELLA RABBIA: FORZA VITALE E FORZA DISTRUTTRICE L’uomo accede a una forza primaria che gli dona vitalità e dinamismo. Essa determina ogni sua spinta in avanti ed è responsabile di ogni suo slancio, sia fisico sia emotivo. Un forza in grado di garantire e custodire alcuni dei suoi diritti fondamentali, quello di esistere, di essere ciò che si è, dell’auto-realizzazione, di esprimersi liberamente. Inoltre costituisce la piattaforma per la carica sessuale.
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Tale forza conferisce la consapevolezza di potersi alzare in piedi e dire NO, qualsiasi sia la situazione da cui ci si sente minacciati. Rende capaci di proteggere chi si ama, senza esitare, di difendere ciò in cui si crede, le proprie convinzioni, la propria fede, il credo personale, senza dover soccombere o chinare la testa a causa del senso di impotenza. Questa forza utilizza i binari energetici della rabbia, li strumentalizza e li veicola. È un’energia travolgente orientata interamente verso il progetto vita e la sua espansione. Il suo moto è insaziabile, il principio della sua dinamica implacabile e la sua forza non ha limiti. La prerogativa empirica prevede che anche l’energia più vitale si collochi nel dualismo dell’ordine. Così essa è costituita da due forze contrapposte, che insieme determinano la sua completezza. La stessa forza che conferisce al progetto vita la sua spinta per eccellenza, scalpitante ed esuberante nella parte luce, si rivela altrettanto dinamica e spietata in quella d’ombra. Da un lato costituisce il moto più potente dell’esistenza e dall’altro si trasforma nella sua minaccia più grande. Essa accede allo stesso impeto, alla stessa forza, alla stessa spinta portentosa, ma la mette a disposizione di meccanismi diversi, come quello della vendetta, della rivalsa o dell’oppressione. Questa forza sottomette e fa percepire un sottile piacere nel sentire in difficoltà le proprie vittime, nella stessa maniera in cui non conosce pietà, né perdono. La rabbia conferisce il diritto di parlare al proprio sostegno, di poter sostenere le proprie scelte e le proprie responsabilità, ancor di più quando si rivelano come scomode e pesanti. Nello stesso tempo abbatte ogni diritto facendo nascere l’intolleranza, il razzismo e la discriminazione e concependo la violenza, l’accanimento, ogni tipo d’invasione e perfino lo stupro. Sembra un paradosso eppure è la pura realtà delle cose. Ciò che da un lato costituisce la base per poter gioire dalla vita, delle sue infinite risorse e della sua abbondanza, dall’altra è atta a distruggerla.
2.4 LA RABBIA: PRINCIPIO MASCHILE PER ECCELLENZA Il moto della rabbia detiene il principio maschile per eccellenza, essendo la dinamica trainante e dominante di ogni moto Yang. L’uomo è la figura preposta
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dall’ordine a esprimere il principio della vitalità e la rabbia ha il compito di conferirgli forza e determinazione, slancio e tenacia, vigore e prestanza. Essa determina il principio di ogni spinta in avanti, della penetrazione non soltanto sessuale, e del superamento dei limiti. Il moto rabbioso, essendo il miglior alleato del sentire maschile, è indispensabile per il raggiungimento di queste mete. La sua forza forma la carica primaria maschile ed è la base per poter declinare anche le qualità Yang più nobili e pacifiche, come la protezione, la tutela, la clemenza o la pietà. Ma senza il contatto con la potenza di tale moto, l’infinita gamma di qualità maschili non ha la possibilità d’esprimersi. Essa è quella forza di sottofondo sempre presente e percepibile in potenza, anche nei momenti di quiete.
2.5 LA RABBIA FEMMINILE Il moto rabbioso non fa parte della carica femminile primaria, ma la donna vi accede attraverso quella secondaria. Ciò esprime la sua natura diversa, quella di potersi manifestare al meglio attraverso qualità empiriche differenti dall’uomo. Grazie al suo potenziale Yin, può fare a meno del moto rabbioso come spinta principale. Se l’uomo ne necessita vitalmente, la donna è portatrice di una forza diversa che è in grado di contrapporsi alla spinta maschile. Tale principio, dimostrandosi in maniera esplicita durante il rapporto sessuale, ha a che fare con la sua forza di sostegno. Si tratta di un potere tipicamente femminile che, al contrario di quanto molti pensano, sviluppa una forza pari a quella maschile. Essa costituisce un caposaldo Yin che pervade ogni espressione del suo essere, conferendole una forza diversa ma equiparabile. Nel caso opposto lei verrebbe schiacciata e lesa, essendo vittima e sottomessa durante ogni atto sessuale, invece di occupare il ruolo di una degna partner. Ed è questa la legge sistemica per eccellenza, tutelare l’equilibrio tra l’atto del dare e quello del ricevere per garantire l’uguaglianza delle parti. La donna Yin riconosce la rabbia maschile come tale, la sente e la onora, ma si distingue proprio per le sue qualità e doti diverse. Esse si basano su un principio complementare, ossia quello di poter accogliere e acconsentire invece di
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spingere e aggredire. In tale contesto la rabbia perde la sua funzionalità imperante, mettendosi a disposizione della donna come un fedele cane pastore sa fare con il proprio padrone. Anche la parte femminile possiede una sua carica rabbiosa, in grado di essere utilizzata in ogni situazione in cui la parte Yin, quella trainante, si sente in pericolo. Così, ogni mancanza di rispetto, ogni incomprensione o senso d’ingiustizia, come anche minacce per se stessa e per chi ama, attivano il collegamento diretto con tale forza, sguinzagliando il cane interiore per proteggere e difendere i suoi valori più preziosi.
2.6 IL VOLTO DELL’IRA Atena, dea della saggezza e della guerra, era una vergine; vide violare il proprio tempio nascondendo il divino disgusto dietro allo scudo. Poi la furia spazzò via la divina sua ragione, e trasformò in drago la fanciulla devastata. Dalle morbide spalle di Medusa spuntarono orribili ali, le mani delicate divennero bronzei artigli, zanne stavano là dove i bianchi denti un tempo brillavano, la lunga lingua penzolava sul mento. In luogo dei morbidi, lucidi capelli, serpi e vipere si contorcevano e circondavano i tratti una volta deliziosi di Medusa. E la dea mise infine uno sguardo negli occhi di Medusa, uno sguardo che mutava gli uomini in pietra.
Medusa, di grande bellezza, era ammirata e corteggiata, e prima della trasformazione in Gorgone venerava e onorava la dea Atena. La caduta nell’esperienza mostruosa fu improvvisa e inaspettata: Poseidone, il potente dio del mare, sedusse la giovane Medusa sotto mentite spoglie. Gli inganni del dio sono una parte fondamentale del mito in quanto egli rappresenta, in termini simbolici, una fonte importante della rabbia di Medusa: Poseidone è un incantatore, e la donna ingenua manca spesso di quella sana paura che è necessaria per una valutazione realistica del pericolo.
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La rabbia costituisce l’indicatore empirico più evidente ed esplicito, innestando dinamiche differenti da tutti gli altri indicatori dell’ordine. Eppure tutti hanno un denominatore comune, ovvero segnalare un’infrazione dell’ordine. Quindi, con la comparsa della rabbia, l’ordine tenta di riparare la violazione avvenuta, mettendo la persona in condizioni di potersi riconoscere nel conflitto creatosi. Il rifiuto, la paura e la resistenza a togliere alla rabbia il proprio posto legittimo, costringono l’ordine ad aumentare l’intensità della sua segnalazione. Più la persona tenta di nascondere questo moto, più esso lievita e aumenta proporzionalmente. Più fa finta di non percepire rancori, di non avere subito o di non sentire sentimenti di vendetta, più l’indicatore rabbioso aumenta la propria spinta. Ma certe donne si gustano appieno la loro rabbia e il potere e l’attenzione che ne derivano, e se ne inebriano. Questa sorta di dipendenza dalla rabbia produce il cliché della donna arrabbiata, della creatura simile a Medusa. Le rabbiadipendenti deliberatamente predispongono scenari che consentono loro di sostenere sia la rabbia che il controllo. Altre donne, invece, anche presto nella vita, imparano a usare la rabbia per farsi valere, definendosi “fortunate”. L’aspetto di una donna è fondamentale per la sua identità. Medusa, la bella fanciulla trasformata in mostro, rappresenta i poli estremi della bellezza e del grottesco, e la sua trasformazione è portatrice di un messaggio, di un avvertimento: se si comporta in modo conveniente è una bellezza, se diventa troppo assertiva o arrabbiata, è un demone. Medusa era indifesa, attonita, confusa di vergogna per quel che non aveva commesso, disgustata dal suo aspetto grottesco, terrorizzata perché con uno sguardo poteva pietrificare chi amava. Volò in esilio sulle disgustose ali e abbandonò il suo orrendo Io su un’isola triste, orribilmente, pietosamente gemendo ai venti piangendo la perduta innocenza, la bellezza, la sacralità. Corrotta da un dio, resa deforme da una dea, mutava in pietra i marinai che si avvicinavano per osservare la sua orrenda forma, e affogavano nel mare, loro tomba. Piegandosi sulle acque nere
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vide il deforme riflesso del suo dolore. Talvolta spaventava persino se stessa.
Nella storia, nell’arte, nella mitologia e nella cultura popolare gli uomini arrabbiati, da Achille e Ercole a Rocky e a Terminator, sono non a caso considerati degli eroi. Le donne arrabbiate, per contro, sono streghe e demoni, e entrambi i sessi nutrono profonde paure nei confronti della collera femminile. Le mitologie di tutto il mondo sono piene di immagini di collera femminile. La visione della ferocia delle donne in quanto incarnazione di poteri occulti, di irrazionalità, delle forze caotiche e selvagge della natura (come la Natura medesima) costantemente si ripete come un fatto della vita. Per secoli le donne sono state considerate delle streghe. Demonizzate erano tendenzialmente le donne ribelli, invase dall’ira. La rovina di Medusa terrorizza le donne perché rispecchia le loro peggiori paure su come possono apparire o sembrare quando sono in collera. Le donne tendono a vedere nell’espressione della collera una minaccia per i loro rapporti, il loro aspetto, il loro senso di sicurezza e i legami che le vincolano. Nella collera una persona stabilisce un’automatica solitudine, esprime la sua autonomia e spezza le barriere della dipendenza. Per molte donne, l’idea stessa della solitudine è intollerabile e inibisce dunque l’espressione di reali sentimenti di rabbia. Ma le donne che reprimono la collera, non ne parlano né la esprimono, spesso scoprono che si mostra sui loro volti o nei loro corpi a dispetto dei tentativi di nasconderla: la fronte aggrottata, la ruga profonda tra le ciglia, la mascella rigida, le labbra rivolte all’ingiù, il sorriso troppo accentuato che pare una smorfia, o il brincio costante: una trasformazione medusea. Per Freud la testa di Medusa con quella corona di serpenti, con quei tratti distorti, con uno sfregio per bocca, evoca gli “spaventevoli genitali della madre”. La paura della sessualità femminile adulta è una condizione maschile antica quanto attuale. In antropologia si esprime nell’immagine della “vagina dentata” che interpreta in senso letterale l’angoscia sessuale del maschio.
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2.7 RABBIA E DOLORE Ogni dinamica rabbiosa nasconde un dolore, celato e non ammesso a livello della propria coscienza personale. Perché è sempre esso alla base di ogni debito empirico, costituendo l’unica ragione pratica per la sua mancata estinzione. Questo si verifica perché la donna tende, per sua natura, a evitarlo in ogni sua forma sia fisica che emotiva. È più facile sopportare la rabbia del dolore, trattandosi di un’energia più malleabile, in quanto meno penetrante e profonda. In tal caso essa costituisce la sua facciata, una deviazione sistemica, avente lo scopo di non mettere l’individuo in contatto con il proprio dolore nascosto. I suoi moti nascondono sempre, dietro la loro apparenza dinamica e aggressiva, un contenuto lacerante, ragione per cui non sono stati evasi come tali. Essa costituisce una copertura emotiva utile a creare una separazione da esso, ed è questo l’unico scopo della rabbia sistemica. Essa si dimostra più gestibile del dolore che l’ha originata e così l’evoluzione della specie predilige il suo moto aggressivo a una continua minaccia lacerante, come quella del dolore. In questo modo il singolo riesce a convertire la sua ferita emotiva, legata sempre al proprio debito di base, in un movimento che non lo terrorizza in ogni istante. La carica aggressiva compie apparentemente il contrario, trasformando la forza incontrastabile di un dolore tagliente in potenziale diretto in avanti, ossia all’attacco. Così ogni moto di rabbia sistemica nasconde sempre le lacrime mai piante, il dispiacere non affrontato e le consapevolezze scomode evitate. Il mondo antico venerava le donne “vecchie” in quanto ricettacoli di santità e veggenza: esse erano oracoli, sibille, veggenti e profetesse che avevano accesso al mondo dell’invisibile degli spiriti e dei misteri. Venivano nutrite e venerate e il loro ruolo era considerato fondamentale per lo sviluppo delle generazioni successive. La donna che ha integrato la propria carica rabbiosa, evadendo il proprio debito e ricollegandosi alle proprie radici Yin accedendo al proprio dolore, riporta nella sua vita qualità e doni quali l’intuizione, la creatività, la spiritualità, la forza incondizionata dell’amore.
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Invece, alla radice dell’angoscia che le donne provano di fronte alla vecchiaia c’è l’atteggiamento occidentale nei confronti dell’età: l’obiettivo è restare giovani. Nell’era delle immagini siamo sempre più preoccupate della superficie. Più donne hanno più denaro e potere e possibilità e riconoscimento legale di quanto sia mai accaduto in passato, ma in termini di come sentiamo noi stesse fisicamente, forse davvero stiamo peggio delle nostre nonne non liberate. Recenti ricerche mostrano chiaramente che all’interno della maggioranza di donne occidentali controllate, attraenti e riuscite nel lavoro c’è una segreta vita sotterranea che avvelena la nostra libertà. Mescolata a concetti di bellezza c’è un’oscura vena di odio di sé, ossessioni fisiche, terrore di invecchiare e paura del controllo perduto. La donna vive la sua rabbia con la stessa legittimazione dell’uomo e non s’interroga se tale suo moto sia giusto o sbagliato per lei. Non lo sente appartenente a un sesso biologico specifico, ancor meno al suo opposto. Ogni interprete Yin che vive una spinta emotiva rabbiosa, la percepisce come moto naturale e spontaneo, non ponendosi nessun quesito sull’argomento. Anzi, al giorno d’oggi, si trovano spesso più donne “incazzate” che uomini rabbiosi, fatto legato alla loro alterazione sistemica. Essa costituisce il prezzo per aver rinunciato a un’ampia parte dei principi empirici Yin e di aver costretto anche l’uomo a uscire dal suo maschile. D’altronde tale passaggio si è reso necessario dopo migliaia d’anni di debito collettivo che entrambi i sessi hanno acceso. La disinvoltura con la quale ogni donna Yang sprigiona la sua rabbia verso la vita, se stessa e l’altro sesso, è indicativa del suo stato d’essere. La stessa percepisce questa conquista come un arricchimento, un suo diritto indelebile e una sua libertà acquisita. Oltre questo suo sentire, però, non riconosce la rabbia come indicatore empirico, atto a segnalare il suo ingente debito. Nasconde spesso la sua alterazione dietro l’immagine della donna di carattere, di razza, che porta i pantaloni e ama la sua autonomia. Una donna Yin invece, come anche quella Yin alterata, necessita di poter sentire la spinta rabbiosa non in se stessa ma nel suo partner, condizione necessaria per potersi legare a lui. La donna Yang, invece, al contrario delle altre due forme, teme ed evita completamente tale spinta maschile.
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Portando l’elmo, la bisaccia e la roncola di Ermes, indossando i sandali alati, Perseo raggiunse in volo l’isola di Medusa. Mentre le due sorelle Gorgoni dormivano, Medusa batteva le sue orribili ali e lacerava il cielo con le stridule grida e i serpenti del capo sibilavano e sbattevano le bronzee zanne. Perseo, disegnando grandi cerchi nel cielo, guardando lo scudo rispecchiante, indossando l’elmo dell’invisibilità, piombò sul suo destino. Colpendo all’indietro, decapitò la temibile Medusa. Riuscì a fenderne pelle e ossa e tendini. Poi, afferrando il trofeo per i capelli di serpenti, si allontanò con la bisaccia piena. Finiva così la sofferenza di Medusa. La sola protesta era il sibilo dei serpenti.
Dal V secolo a.C. in poi il mito di Medusa fu accolto da Ovidio e da altri scrittori quale simbolo del momento storico in cui gli Elleni avevano invaso l’antica Grecia e il patriarcato aveva trionfato sul culto della dea. Medusa rappresenta quegli aspetti della donna che costituiscono una minaccia per la cultura maschile: la sua sessualità e la sua rabbia. Il mito raggiunge il momento culminante quando Perseo con un sol colpo decapita Medusa. Con la sua vittoria egli non si limita a conquistare i poteri matriarcali ma sottomette anche la potenza sessuale femminile. Perseo giunge all’isola delle Gorgoni ben armato per scoprire che la donna che vuole uccidere sta dormendo. La Medusa addormentata è la metafora per la donna arrabbiata in stato di inconsapevolezza: è una donna vulnerabile a qualsiasi colpo, e che passivamente consente agli altri di controllare il suo destino. Questa donna è spaventata dalle forti emozioni, teme il cambiamento, le critiche della società e le spaccature nella sua esistenza. Le donne inconsapevoli, però, non si accorgono di tenere gli occhi chiusi sui pericoli di sfruttamento e i segni di manipolazione.
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2.8 L’INDICATORE EMPIRICO DELLA RABBIA Nel mito la trasformazione di Medusa si conclude allorché la sua testa diventa un emblema sullo scudo di Atena. Riportata in miniatura sull’armatura della dea, la testa di Medusa simboleggia il posto giusto dell’ira nella vita di una donna e leggittima il lato oscuro e aggressivo della natura femminile. L’ira medusea è l’arma segreta di Atena: ne protegge i confini e la collega alle passioni del suo nucleo fondamentale. La donna che accetta la sua capacità di arrivare all’ira e all’aggressività comincia anche a reclamare il proprio potere. Conoscere la propria rabbia è il primo passo che una donna ha da compiere nel lungo viaggio verso la comprensione di sé. La rabbia, in ogni caso, genera debito, e ogni debito si manifesta attraverso la comparsa di indicatori empirici. Essi costituiranno, fino all’estinzione del debito, i binari del proprio sentire, generando un vero e proprio vortice emotivo. Questo vortice è in grado di plasmare l’interezza delle sensazioni della donna, generando le sue percezioni e le sue emozioni a prescindere dalla realtà empirica, come se la sua realtà fosse passata per un filtro che tinge l’acqua della sorgente a prescindere dalla fonte originaria. L’indicatore della rabbia genera moti emotivi differenti da quello della paura, e il senso di colpa – indicatore empirico preciso – crea sensazioni diverse da quello della tristezza. In altre parole, all’interno della stessa situazione diversi portatori di debiti possono vivere sensazioni diametralmente opposte. Così non è più la carica empirica della situazione stessa, bensì la natura del debito a conferire le percezioni al singolo, alterando l’interezza del suo piano sensoriale. I moti di rabbia si esprimono attraverso un tipo di carattere collerico o aggressivo, in grado di evidenziare rancore, risentimento, astio, invidia e attacchi di panico. Le infrazioni ripetute si basano su convinzioni profonde del singolo acquisite attraverso la consegna familiare. Essi, nel tempo, creano attitudini e modi di procedere che sono percepiti come “normali”, ma che in realtà violano le leggi dell’ordine nonostante la loro ignoranza. Abitudini contro-sistemiche, queste, che non vengono percepite come forza arrogante da chi le esercita, e di conseguenza non sono avvertite né comprese. L’ordine non tiene conto di
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quanto la persona sia cosciente o incosciente nel mettere in atto un comportamento che infrange le sue leggi, e si limita a contrassegnarlo come debito personale. Quanto più il soggetto sperimenta la pressione emotiva, causata dalla presenza degli indicatori preposti, tanto più sviluppa strategie di difesa e di rimozione. Secondo la natura del debito, l’ordine utilizza l’una o l’altra emozione guida secondo l’infrazione avvenuta, aumentando la sua presenza nella vita del singolo: più forte è la sua presenza, più grande risulta il debito non evaso. Tale debito predispone la sua personalità, generando il suo carattere e i ruoli di compensazione. La rabbia è uno degli degli indicatori empirici Yang: le espressioni della rabbia di ogni tipo, di abuso e di aggressività. Col persistere della sua presenza, il carattere della persona vira verso atteggiamenti collerici o che dimostrano ingenti quantità di rabbia nascosta. Anche la permalosità vi appartiene, così come la suscettibilità e l’essere irritabile di una persona.
2.9 L’ ENERGIA DELL’IRA Si racconta che, quando Medusa fu decapitata, il sangue sgorgando dall’arteria del collo diede nascita a Pegaso, il cavallo alato della creatività, e a Crisaore, l’Uomo dalla Spada d’oro. Dal sangue dei serpenti si effusero fluidi medicamentosi e anche il veleno che provoca la guerra. Perfino sullo scudo di Atena, l’emblema della Medusa diffonde il terrore tra tutti i nemici. Quando Perseo posò il capo di Medusa sul bordo dell’acqua, le felci delicate e le erbe marine ne sentirono il potere e si trasformarono in filigrane di prezioso corallo. E certi poeti raccontano che Atena, ascoltando il sibilo nei capelli di Medusa, inventò l’arte della musica.
A parlarci delle proprietà magiche dei fluidi corporali di Medusa sono Ovidio e altri poeti. Alcuni raccontano che quando le fu recisa la testa, il flusso del sangue
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si divise in due correnti: il sangue che colava dal lato destro portava tristezza e morte a tutto quanto lambiva, mentre il sangue che usciva dal sinistro era un fluido che ridava la vita. Le proprietà magiche del sangue di Medusa possono essere viste come le qualità negative e positive delle energie sprigionate dalla rabbia: da questo enorme serbatoio può scaturire un deserto di serpenti velenosi o un profluvio di energia sovraccaricata. Dal collo di Medusa, dopo che Perseo le ebbe mozzato la testa, uscirono due creature. La prima è Crisaore, possente guerriero e simbolo di forza, l’altro è Pegaso, il cavallo alato, lo spirito della creatività. Crisaore rappresenta la forza interiore della donna, da cui può trarre coraggio per confrontarsi con la sua ira per comprenderne il potere enorme quale catalizzatore del cambiamento. Il cavallo alato simboleggia la fuga nei regni dell’immaginario e dello spirituale. Nel linguaggio cifrato dei miti e della religione, la nascita di Pegaso segnala un più elevato livello di consapevolezza. Perseo poggia la testa di Medusa su un letto di alghe marine e di delicate felci, e le oscure erbe bevono i fluidi magici della Gorgone. Steli, foglie e viticci si trasformarono in pietre semipreziose, scrive Ovidio, mentre le erbe avvizzite si trasformarono in filigrane di corallo. Questo ulteriore aspetto del mito ci dice che la collera può trasformarsi e trasformare. Può volgere la natura grezza in qualcosa di prezioso e permanente, così come fanno gli artisti quando creano dipinti, poesie, musica.
2.10 LA RABBIA YANG E LA TRISTEZZA YIN Se la rabbia sta alla base di ogni dinamica maschile, essendo parte integrante dell’ombra Yang, la tristezza domina il mondo femminile, essendo la sua risposta naturale a ogni input “negativo”. In mancanza di un debito empirico, quindi nella sua condizione d’eccellenza, uno stimolo “negativo” suscita nella donna Yin un moto di tristezza mentre l’uomo Yang si vede “cadere” in un atteggiamento di sfida. L’ordine empirico prevede che sia soltanto il ruolo Yang a reagire attraverso il suo moto aggressivo, prevedendo per l’altro sesso atteggiamenti differenti, più consoni al suo ruolo. Ed è così che la donna Yin integrata sente
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tristezza là dove il suo compagno percepisce un moto d’aggressione, essendo la stessa il principio del suo essere femminile. Così la rabbia non è un tema per la donna Yin, avendo degli strumenti empirici differenti a disposizione. Dove si incontrano donne con una carica aggressiva percepibile, ossia donne con una spinta vitale molto forte, donne in carriera ovvero impegnate in dinamiche di sfida e di competizione, si evidenzia la loro posizione sistemica alterata. Nella stessa maniera i membri di sesso femminile che sentono un costante bisogno di eccellere, di coprire il ruolo della prima della classe o di farsi valere in un mondo maschile, non appartengono al genere della donna Yin integrata.
2.11 L’ACCESSO ALL’ AMORE Sapersi relazionare con la propria tristezza si rende indispensabile per poter vivere atteggiamenti sentimentalmente pieni e appaganti. Essendo la tristezza l’emozione più vicina al tabù empirico della morte, costituisce la componente maggiore di ogni depressione, struggimento o sofferenza. La profondità e la disponibilità a non proteggersi, conferiti dall’accesso alla propria tristezza, costituiscono la porta d’accesso per poter vivere rapporti di coppia soddisfacenti. Allo stesso modo costituisce anche l’apertura verso tutto il mondo Yin, sottolineando la sua natura onirica ed emotiva. Esso comprende, oltre tanti altri principi, tutte le sue forme espressive e creative, come la poesia, l’arte figurativa e l’intera gamma delle scienze umanistiche. La tristezza è la culla delle belle arti, dalla letteratura alla filosofia e delle sue riflessioni e introspezioni. Essa scandisce il tempo in maniera diversa, più lenta e ponderata, creando lo spazio per le domande più importanti dell’esistenza e favorendo un avvicinamento alla propria spiritualità. Essa non ha nulla a che fare con le religioni e le loro proposte di fede, bensì con la scoperta di una propria esigenza personale legata a domande universali e incolmabili.
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Capitolo 3 3.1 LA LEGGENDA DI LILITH “Io sono Lilith-Iside, l’anima nera del Mondo”. Il modello della Femminilità Terribile è apparso poligeneticamente in quasi tutte le civiltà antiche: si va dalla Dea indiana Kali “incoronata di ossa” alla cinese Regina Madre dell’Ovest Xi Wangmu, dalla Nekbet egizia che smembra e divora i cadaveri alle 64 terrifiche Yogini del Saktismo tantrico, dalla frigia Cibele che esigeva la castrazione
dei
figli-fedeli
alle
Walchirie germaniche portatrici di morte, fino a elaborazioni più recenti ma ugualmente efficaci, come la Regina della Notte nel Flauto magico, paradigma della Femminilità in rivolta contro
il
rappresentato
potere dal
maschile
Mago-patriarca
Sarastro. Limitandoci alla tradizione greca incontriamo, quali contenitrici mitiche della dea ferale, personaggi semidivini - come Clitennestra o Medea - e soprannaturali, fra cui la “cagna nera” Ecate, le Erinni, le Arpie, le Empisa dalle terga d’asino, le Lamie, le Furie, la vipera-serpente Echidna, le Sirene, la già discussa Medusa, le guerriere Amazzoni e le stesse Persefone & Demetra: la prima per la caratterizzazione della sua natura, la seconda per la violenta reazione alla
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scomparsa della figlia, circostanza che la induce, le che è Madre-donatrice-di-vita, a trasformarsi in Demone di siccità e desolazione. Con l’avvento del monoteismo biblico si assiste a un’ultima incarnazione esplicita della Femminilità Terribile, nella figura di Lilith, che, Dea ormai tramontata, assume la maschera di una Demone degli Inferi, strangolatrice di neonati e profanatrice del seme maschile. Il suo nome, temuto e maledetto perché sinonimo di lussuria, significa “civetta”, animale che fu venerato in epoca preistorica quale ricorrente travestimento della Dea e in seguito demonizzato dalle società patriarcali sulla falsa riga di quel rovesciamento che subirono quasi tutti i simboli della primordiale Divinità femminile. È proprio grazie all’ambiguità terminologica fra personaggio e rapace che molte versioni della Bibbia hanno potuto oscurare l’unica presenza biblica di Lilith (Isaia 34,14), traducendone il nome con quello dell’animale corrispondente e evitando così il confronto, sia pure verbale, con questa semi-dea alla quale la tradizione ebraica ha attribuito connotati nefasti. Mentre per la medesima ragione, ma con ottica culturale ovviamente diversa, Lilith è stata oggi recuperata da femministe e neofemministe come controfigura mitica, in virtù della sua impavida ribellione prima al despota Adamo, poi allo stesso Dio che l’aveva creata. Del mito lilithiano si parla nel testo kabbalistico Alfabeto di ben Sirah (XI secolo), dove Lilith viene presentata come la donna posta accanto ad Adamo prima di Eva, intendendo così giustificare la contraddizione esistente fra due brani della Genesi relativi alla Creazione. In Genesi 1,27 si legge infatti che Dio nel quinto giorno “creò l’uomo a sua immagine. [...] Maschio e femmina li creò” (nascita simultanea e quindi paritaria di uomo e donna), mentre poco dopo si dice che estrasse la femmina dall’uomo (subordinazione metafisica dell’una rispetto all’altro). Che non si trattasse della prima donna lo si deduce peraltro anche dall’esclamazione di Adamo, che si rallegra di come stavolta sia “ossa delle mie ossa e carne dalla mia carne” (Genesi 2,23). La leggenda, dunque, racconta che durante i loro primi incontri amorosi Lilith si dimostrò insofferente alla posizione imposta da Adamo, con la donna sotto e l’uomo sopra, ma quando cercò di convincere lo sposo a cimentarsi nell’opposta variante erotica lui non volle saperne, convinto della propria radicale supremazia.
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Lilith appare fin da subito come una figura tutt'altro che remissiva, che ben presto si rifiuta di soggiacere ad Adamo, affermando di essere stata creata uguale a lui, e per questo viene da lui respinta. L'Alfabeto di Ben-Sira riporta il diverbio nato tra i due in questi termini: «Ella disse "Non starò sotto di te", ed egli disse "E io non giacerò sotto di te, ma solo sopra. Per te è adatto stare solamente sotto, mentre io sono fatto per stare sopra"».
A quel punto Lilith reagì nell’unico modo a lei possibile: pronunciando il nome di Dio ne ottenne un paio d’ali con cui volò via, abbandonando per sempre il Paradiso Terrestre. Stabilitasi sulle rive del Mar Rosso, cambiò del tutto vita, si circondò di creature notturne, si dette al libero amore con i diavoli e - rifiutato l’invito di Javhè a tornare nell’Eden - trovò un compagno più adatto a lei in Samaele, che la mitologia ebraica identifica con lo stesso serpe tentatore di Eva (il quale l’avrebbe messa incinta di Caino). Comunque, non ebbe un unico figlio, bensì numerosissimi. Di vita breve però, visto che Dio uccideva 100 lillim (i diavoletti folli partoriti da Lilith) al giorno. Lei allora, pazza di dolore e implorante occasioni di vendetta, ottenne dai tre angeli che Dio aveva inviato alla sua ricerca, il potere di agire sui neonati per un tempo stabilito: 8 giorni per i maschi e 20 per le femmine, e tempo illimitato per qualunque prole illegittima. Fu così che Lilith venne successivamente trasformata nella Strega per eccellenza, coacervo di ogni malvagità e fonte di ogni tentazione sessuale, dato che questa era ormai considerata un male secondo i nuovi modelli etici diffusi nelle coscienze dal monoteismo. I tratti fisici con cui fu raffigurata nella tradizione ebraica parlano chiaro: Lilith, come le Sirene ammaliatrici, possiede ali e al pari di loro ha capelli lunghissimi, tipico attributo della lussuria nel simbolismo iconografico. Così, delle due primeve donne di cui parlano le leggende ebraiche, la più antica Lilith, selvaggia, libera e ribelle - è stata per secoli rimossa o approcciata in forma morbosa dall’immaginario collettivo, mentre l’altra, la dolente Eva, ha trovato un posto al sole. Ma per Adamo le cose andarono di nuovo storte, perché fu proprio Eva, con la sua dannata sete di conoscenza, a fargli perdere per sempre l’Eden e a destinargli una vita di duro lavoro e infinite sofferenze sulla Terra. Tant’è che da
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quell’episodio l’Uomo, deluso per la seconda volta, trasse una radicale convinzione: l’identità fra Donna e Male (il proprio, ovviamente).
3.2 LA VERGINE NERA, LA LUNA NERA A contribuire all’aspetto demoniaco di Lilith è il fondersi di varie culture e resoconti che spaziano dalla mitologia sumero-accadica, in cui Lilith è il nome della "vergine nera" che prende dimora in un albero piantato dalla dea Inanna e viene poi messa in fuga dall'eroe Gilgamesh, a quella babilonese in cui Lilitu è il componente femminile di una potente triade demoniaca. Nella sua figura si riflettono anche quelle di altre creature demoniache, quali la greca e serpentina Lamia, letterale divoratrice di uomini, e la sua antesignana Lamassu, mezza donna e mezza mucca. Da questo brodo primordiale, emerge la Lilith che sta al confine tra il giorno e la notte, tra l'umano e l'animale, tra il divino e il demoniaco, e che si erge a predatrice non solo sessuale, ma assetata anche di sangue e seme. Lilith è colei che rapisce i neonati, nel tempo, ella è stata identificata come progenitrice di ogni genere di stirpi, da quella dei jinn ai succubi e incubi per terminare con gli onnipresenti vampiri. Forte di questa ambivalenza di significato, Lilith è anche vista come un valore positivo nelle religioni neopagane, soprattutto quelle di forte stampo femminista, che le riconoscono l'originale aspetto di donna libera e di diritto pari all'uomo. Così come i miti che la riguardano, anche le rappresentazioni di Lilith sono mutevoli. Sebbene venga in genere definita come una donna di tale bellezza da essere irresistibile, ella compare di volta in volta come una donna coperta di peli (o per meglio dire non depilata, cosa che potrebbe rappresentare un altro simbolo del suo non voler compiacere l'uomo), dotata di artigli al posto dei piedi o di corpo serpentino (come Lamia), nonché delle ali che avrebbe acquisito al momento di lasciare l'Eden. La leggenda, la figura, o spesso anche il solo nome di Lilith ricorrono in numerose espressioni dell'umana creatività. Diversi sono i cicli vampirici, sia letterari che di altro genere, come il gioco di
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ruolo Vampiri: la masquerade (in cui viene detta sorella e amante incestuosa di Caino e Abele) che la vedono quale fonte o origine dei succhiatori di sangue. C.S. Lewis, ne Le Cronache di Narnia, la cita quale antenata della Strega Bianca, nemica del leonino messia Aslan, mentre nella serie televisiva Supernatural è il primo dei demoni creati da Lucifero, nonché la principale antagonista per un paio di stagioni dei fratelli Winchester. Nell'anime Neon Genesis Evangelion le viene invece attribuita la maternità della razza umana. Questi sono solo alcuni, pochissimi esempi, poiché il "tema" di Lilith ricorre in libri, canzoni e altro ancora.
Quale che sia l'origine di Lilith, la sua fine appare segnata. Da Zohar 3:19a si apprende infatti che "Quando l'Altissimo, santificato sia il nome Suo, causerà la distruzione dell'empia Roma, e la muterà in rovine per l'eternità, ivi Egli invierà Lilith, e lascerà che infesti tali rovine, poiché ella è la rovina del mondo." Come ha ben sintetizzato lo psico-mitologo francese Jacques Bril nel suo studio su Lilith: ”il culto severo del Dio maschile, Yahvè, ha relegato negl’Inferi l’immagine imponente e ad un tempo commovente della dea primitiva. Eva sarà la donna del nuovo ambiente storico sociale. Privata di ogni carattere divino ella sarà, al contrario, la causa della caduta dell’uomo e le sue nefandezze renderanno necessario il sacrificio di un Dio Salvatore”.
Ricadute delle “prime colpe” di queste donne - Lilith e Eva - hanno percorso la storia occidentale come una valanga, investendo il genere femminile con un inarrestabile processo di mortificazione del ruolo delle donne, sia sociale sia metafisico. Inarrestabile e violento, se si pensa che uno dei motivi addotti dalla Santa Inquisizione per spiegare la prevalenza di Streghe piuttosto che di Stregoni come prede della Caccia era appunto la derivazione delle femmine dalla specie sessuale di Eva, la peccatrice. Colei che nello schema mitico cristiano solo la diafana figura della Madre-Vergine aveva potuto riscattare.
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3.3 ALLA RI-SCOPERTA DELLA DEA Secondo le varie mitologie, tutte risalenti a poche migliaia di anni fa (cioè in epoca già patriarcale), Lilith è un demone, moglie di demoni e madre di demoni (i Lilim). Perciò è stata spesso associata alle streghe, in senso negativo. Ma è la mitologia ebraica che ci consente di far luce sulla visione che abbiamo di lei: Lilith è l’archetipo della donna libera, non sottomessa all’uomo e al suo egoismo, non condizionata dalle sue imposizioni e dai suoi ricatti. Naturalmente l'uomo - nelle cui mani stava allora e sta tuttora il potere - di fronte a tale ribellione non poteva fare altro che screditarla e, appunto, demonizzarla. Le donne libere di tutti i tempi, da un certo punto in poi, subirono questa stessa sorte e vennero trasformate in megere vecchie e brutte, in Meduse, Ecati e in temibili "Lune Nere". Il mito di Lilith risale ai tempi in cui la Terra vide il passaggio, avvenuto circa 60008000 anni fa, da una società di tipo matrifocale (cioè incentrata sul focus della madre) a una società patriarcale (cioè basata sul dominio maschile); ossia quando la donna perse il suo ruolo e il suo valore. In questo nuovo ordinamento non c'era più posto neanche per le divinità femminili, e tanto meno per la Dea vera e propria, che venne rinnegata, demonizzata e infine dimenticata. Tant'è vero che il cristianesimo ha un Padre e un Figlio generato - ai primordi - senza alcuna Madre. Anche Lilith è associata alla Luna Nera. Questo perché prima di tutto rappresenta la parte rimossa (e quindi buia e nascosta) di ogni donna: quella parte intuitiva, istintiva e selvaggia, seducente e colma di energia, imprevedibile e ingovernabile dall'uomo. Ma all'uomo una simile creatura fa paura e, invece di integrarla in sé e nella propria cultura, la combatte e la respinge nell'«inferno».
3.4 IL LATO OMBRA La donna, più si è permessa di accedere alla propria fragilità, alla paura e alla tristezza che caratterizzano l’ombra Yin, meno viene inghiottita dal loro vortice. L’integrazione della propria ombra costituisce un bisogno innato che
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non richiede alla sua portatrice alcun benestare e nessun consenso, ma persiste per il semplice fatto che essa ci sia. Nessuna donna può illudersi di essere soltanto buona e innocente poiché un tale inganno sarebbe già segno di un degrado considerevole. Anche la donna integrata ha bisogno della sua ombra, poiché l’ombra è il rovescio della stessa medaglia che dall’altro lato contiene le qualità femminili più ambite. Ciò che la distingue come donna integrata è il fatto di saper sperimentare quella parte senza comunque perdersi in essa. Solo in presenza di un debito ingente e con l’avanzare della metamorfosi empirica alcuni lati ombra si rafforzano e diventano indicatori sistemici. La donna YIN ALTERATA e la FINTA YIN, vive maggiormente l’ombra femminile, si “perde” e si “dissolve” in essa. La donna FINTA YANG o YANG AUTENTICA, si distingue attraverso il suo rifiuto assoluto verso l’ombra yin, prediligendo a tutti i costi l’ombra yang.
I sintomi comportamentali
dell’eccesso Yin - a prescindere del sesso biologico del suo portatore - sono la paura, la tristezza, il senso di colpa, critica e giudizio, vendetta, cattiveria1. Ma ogni donna ha bisogno di sperimentare la “tentazione” della forza Yang (nella stessa maniera in cui l’uomo necessita di avvicinarsi alle strategie di apertura Yin). Tuttavia la tendenza è quella di voler scegliere le qualità da integrare, sia riguardo al proprio maschile che al proprio femminile. Così la donna si avvicina soltanto alla parte Yang che meno la spaventa, cancellando tutta quella che invece le fa paura e, anzi, la terrorizza. In questa maniera ciascuna donna alterata costruisce una sua visione personalizzata e soggettiva degli uomini, scambiandola con la realtà. Così stabilisce cosa sarebbe giusto che l’uomo “dovrebbero” fare, pensare, e di come avrebber bisogno d’essere. Di conseguenza, in funzione delle stesse sue difficoltà, definisce anche cosa è giusto o sbagliato. Si avvicina a ciò che le sembra ambibile e che entra nei suoi piani, nella stessa maniera in cui rifiuta categoricamente ciò che la spaventa. Ma tale visione è fatta su misura, secondo la propria somiglianza e immagine, rispettando soltanto i propri limiti e la sua alterazione sistemica, invece del
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i sintomi comportamentali dell’eccesso Yang, invece, sono la rabbia latente, la durezza, la
severità, l’essere calcolatore, sviluppo ipertrofico della parte mentale, ego esaltato, formalità eccessiva, efficientismo, sfida e competizione, pigrizia.
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codice empirico reale. Nonostante la visione soggettiva di ogni donna, è necessario che essa si accosti alla sua luce come all’ombra, in quanto è quest’ultima a donarle la forza della sua carica secondaria. Qualora, però, si avvicinasse troppo, ossia sviluppasse i principi Yang in maniera ipertrofica dovendo compensare una carica primaria debole, essa rimane “inquinata” dalla sua forza. Da quel momento è il potere maschile, l’esercitazione del controllo, dell’autorità e della forza prevaricatrice, a veicolare il suo interesse vitale, scostandola sempre di più dal libero fluire. Così predilige l’espressione di se che rispecchia le sue “scelte evolute”, ignara che non sono scelte ma solo la spinta del proprio bisogno. Si tratta del bisogno di coprire il suo dolore, insito nella sua separazione dallo Yin. Da questo istante mette i suoi talenti e le sue qualità femminili al servizio di un abuso permanente. Facendo così, la sua posizione all’interno dell’ordine perde di confine e definizione, non essendo più funzionale al progetto empirico di base. E come ogni moto disfunzionale nell’evoluzione della specie, il sistema tende a eliminarlo. Così l’ordine innesta dei meccanismi empirici per isolare la specie “malata”, evitando la sua riproduzione, fino a quando essa si estingue naturalmente. Nel frattempo gli rispecchia il proprio debito che – attraverso gli indicatori empirici - investe l’intero assetto emotivo attraverso il suo disagio, il vuoto interiore, la rabbia, e il senso di abbandono. Tutto ciò descrive il caso della donna Yang che, disponendo di una rabbia enorme, la focalizza sul sesso maschile. Un atteggiamento che, anche in caso di rapporti sporadici o legami morbosi, porta alla sua segregazione affettiva, in quanto si auto-esclude da ogni rapporto armonico. Essa usa la propria seduzione ai soli fini dell’auto-realizzazione, sostituendo così la sua accoglienza naturale. Ella riserva la propria attenzione solamente a chi più le interessa o da chi può ottenere vantaggi, aspettandosi sempre qualcosa in cambio. Ogni donna Yang commercializza la propria creatività e intuizione, vendendo i propri doni al miglior offerente. In questo modo, e in tanti altri, viola in continuazione il proprio codice femminile, che come principio guida dominante prevede la sua forza incondizionata. Essa diventa calcolatrice, predilige i giochi di potere che porta avanti usando tutta la sua saggezza empirica, la sua sensibilità e capacità intuitiva. Ma è pur sempre la sfida e la
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competizione con il mondo Yang che alimenta il suo moto, inibendo contemporaneamente ogni sua auto-realizzazione nell’ambito femminile.
3.5 LA RABBIA E IL LAVORO SUL CORPO Negli ultimi anni sempre più fitta è diventata la schiera di professionisti che hanno riconosciuto l’importanza e esplorato la connessione mente-corpo. Quando siamo arrabbiate, siamo consce di esserlo ma la rabbia opera nell’oscurità della mente inconscia e del corpo inconscio, e necessita di esser portata alla luce. Uno dei modi più efficaci per esumare l’ira e liberarne l’energia tossica è il lavoro sul corpo. Passare da uno stato alterato a uno integrato comporta per ogni persona un passaggio doloroso, denominato come “Terapia della Rabbia”. Tale termine descrive un arco di tempo circoscritto, all’interno del quale il singolo utilizza la propria rabbia arretrata per estinguere il proprio debito empirico. In tale senso, di vera e propria terapia si tratta, anche se assomiglia più a una guarigione naturale e spontanea. Per entrambi i gruppi, questo significa tornare indietro nel tempo, al momento dell’acquisizione del debito di base, ossia al dolore che ha impedito lo sviluppo di una carica primaria sana. Durante la Terapia della Rabbia avviene una trasformazione di tale dolore. L’unico suo scopo costituisce il rientro della persona nel sistema, un passaggio risolutivo che la porta da un ruolo empirico alterato verso la propria matrice d’eccellenza. Per poter compiere questo, i membri di entrambi i gruppi devono deporre i propri ruoli compensatori, gli stessi che per un’intera vita li hanno protetti proprio da quel dolore. Infatti, rimanendo all’interno di questi ruoli sarebbero impossibilitati d’accedere a tale passaggio, in quanto l’unica loro funzione è proprio quella di evitare il contatto con il dolore. Per la donna Yin alterata, come anche per l’uomo Yin, questo implica il doversi avvicinare all’indicatore empirico più temuto, ovvero alla loro rabbia repressa. Ma tale avvicinamento non costituisce un atto gestibile, sottostando alle proprie preferenze di un accostamento più o meno lento e graduale, in quanto l’impatto con la rabbia risulta totalizzante. La scelta iniziale, quella di voler affrontare il proprio debito, costituisce un atto consapevole e intenzionale che il singolo
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prende a monte e con largo anticipo. Ma dal momento in cui entra nella sua fase risolutiva, ogni ulteriore procedere prescinde dalla sua volontà. In ogni caso precede sempre un inizio di elaborazione empirica, riguardo al proprio stato empirico, ed è solo questo ad avvicinarlo alla rabbia in maniera automatica e graduale. Esiste così un punto di “rottura”, in cui queste due figure non possono più nascondere la loro rabbia, accumulatasi nel tempo. Questo vale, chiaramente, per il gruppo Yin alterato, che blocca tale moto interiore da sempre. Quello Yang alterato, invece, avendo bisogno d’entrare nella propria tristezza, nella paura rinnegata e nel senso di colpa represso, non può accedere alla forza rabbiosa. Ed è per questo motivo che stenta a entrarvi, in quanto la paura genera una forza differente da quella della rabbia. Essa risulta meno pressante, come sensazione, per quante sia più estesa e allargata, ed è per questo motivo che l’uomo la può coprire con più facilità. La sensazione rabbiosa si avvicina maggiormente a uno strumento a punta, tagliente e perforante, che nel gruppo Yin con l’andare del tempo si apre il proprio varco. Se questo avviene al di fuori di un percorso evolutivo, in quanto una vittima rabbiosa non riesce più ad arginare la spinta rabbiosa, si tratta di un’esplosione senza ulteriore possibilità di un rientro empirico. Qualora, invece, ciò avvenga all’interno di un processo di crescita personale, tale passaggio può essere contenuto e gestito. Ed è proprio quello il movimento decisivo, attraverso il quale la persona esce dalla sua posizione sistemica alterata e rientra nel libero fluire.
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CAPITOLO 4 4.1 FUORI DAL SENTIERO BATTUTO Oggi, faticosamente, si procede alla riscoperta del volto femminile di Dio. Da una parte se ne occupa il cosiddetto "nuovo paganesimo", dall'altra è l'antroposofia a muoversi in questa direzione. Ma nonostante i cambiamenti avvenuti negli ultimi decenni, tuttora viviamo in una società assolutamente maschile, dominata da tre grandi religioni patriarcali, dalle quali i miti antichi sono stati filtrati e trasformati. Così i capelli di Medusa ora suscitano orrore, mentre un tempo simboleggiavano semplicemente la saggezza femminile. Il serpente, infatti, rappresenta quasi sempre la saggezza e la conoscenza (non a caso era uno degli emblemi di Atlantide). Ma i problemi della donna, antichi come il genere umano, si presentano in modo nuovo e diverso da generazione a generazione, secondo il grado di cultura prevalente e l’interesse e la comprensione che queste cose sollevano. In conseguenza del nuovo atteggiamento che la società ha preso di fronte all’amore e alle manifestazioni sessuali, gli uomini e le donne oggi sono costretti a far fronte a certi problemi personali in modo più diretto e più cosciente di prima, quando questi problemi erano regolati da norme e da convenzioni sociali. In ogni epoca l’individuo tende a essere il fantoccio e spesso anche la vittima del suo tempo. I problemi umani rimangono fondamentalmente gli stessi attraverso le età, ma la forma e il costume cambiano. Si verifica un movimento ritmico, piuttosto a spirale che ciclico. Il punto che rappresenta l’oggi si sposta nel senso del circolo, ma anche lungo una linea, passando da un livello di coscienza a un altro, in un progresso evoluzionistico; una linea, in apparenza diritta, che forse non è altro che l’arco di un cerchio più largo. Così si possono distinguere due movimenti: un’evoluzione della coscienza umana dalla primitività originaria all’antichità e poi all’epoca moderna, e un mutamento relativamente più rapido di costume di decade in decade. Il primo movimento è lungo e lento. A ogni generazione il punto sembra ancora fermo perché il mutamento nel giro di una
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generazione è infinitesimale. Il secondo movimento è in confronto più rapido perché il suo periodo può essere calcolato per decadi anziché per migliaia di anni. In quest’ultimo movimento il mutamento che si verifica nel giro di una generazione è normalmente minimo, basta appena per far deplorare ai vecchi i modi della gioventù e per indurli a dire che non capiscono più come va il mondo. Ma di tanto in tanto una forma culturale cambia improvvisamente dall’oggi al domani con violenza rivoluzionaria. In questo caso si verifica uno strano fenomeno nel corso di una generazione: quei valori che i genitori e i nonni avevano tenuto come loro più sacro retaggio, invece di essere modificati, vengono completamente rovesciati; ciò che i vecchi amavano diventa una bestemmia per i figli. Un mutamento rivoluzionario del genere ha avuto luogo nel nostro secolo come nel costume morale e sessuale con un crescendo che ha inizio dal tempo della grande guerra. In ogni caso, per quanto possiamo sentirci apprensivi, spaventati, depressi o rabbiosi, il moto che predomina la nostra anima è sempre l’amore. Per quanto ci troviamo in una condizione di affanno, soffrendo per la mancanza di nutrimento, la nostra anima non ne viene afflitta. Per quanto possa essere ritirata, non sapendo più reggere il peso del dolore arretrato, essa è comunque al sicuro. Dipende esclusivamente da noi se, strada facendo, ci rendiamo o non rendiamo disponibili a voler estinguere il debito che sta all’origine del nostro distacco dall’ordine. Nel frattempo, tuttavia, sperimentiamo uno stato di separazione che si manifesta attraverso una profonda solitudine. Noi tentiamo di farla tacere attraverso progetti compensatori di ogni tipo, per renderci conto ben presto che nessuno ha la forza di poter contrastare il flusso d’amore mancante. Progetti, questi, che hanno come unico scopo quello di contrastare temporaneamente il disagio profondo attraverso emozioni surrogate. In primo luogo utilizziamo i successi professionali, ma anche il progetto famiglia può costituire una “strategia di rimozione” efficace. Infatti i figli sono in grado di riempire il vuoto interiore, per quanto questo effetto sia temporaneo e circoscritto. Anche la propria tendenza verso il sociale o il volontariato ha lo stesso effetto, cercando un senso maggiore per il distacco dell’anima.
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La compensazione di questo vuoto rimane l’impegno principale dell’esistenza, in cui i successi professionali raggiunti o il bene fatto agli altri sono soltanto semplici escamotage. Tali risultati costituiscono strumenti di distrazione a breve termine come, in maniera più blanda, lo possono essere anche una ricca vita sociale, un fitto calendario di impegni mondani o il circondarsi continuamente di persone ed eventi. Tuttavia, anche sommergendo il nostro debito sotto le macerie emotive di successi o intrattenimenti vari, percepiamo un beneficio soltanto durante le massime punte adrenaliniche. Ci si può sentire soli in mezzo a migliaia di persone ed essere insoddisfatti di sé e della propria vita nonostante una carriera brillante, una famiglia numerosa o il benessere materiale. Forse è venuto il momento di diventare grandi. Forse è questo il prezzo da pagare, per levarci da questo pantano di infelicità: crescere e imparare tutti, donne e uomini, a convivere con le differenze, accettando che l’altro non sia solo una nostra immagine deformata, ma una possibilità di essere che è fuori di noi, che non capiremo mai del tutto e non potremo mai possedere, davanti alla quale ci toccherà a un certo punto fermarci per accettare l’estraneità che ci separa, il silenzio, il mistero, la verginità dell’uno di fronte all’altra. E non fare altro che ammirare. È ora che l’infanzia del genere umano finisca, che diventiamo tutti adulti e che smettiamo di voler ridurre tutto a uno, che facciamo diventare adulto il mondo, che ne facciamo finalmente un mondo del due.
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Ringraziamenti Desidero ringraziare me stessa, in un tentativo “convulso” di chiudere i cerchi della mia vita... Con un piede nel ieri e uno nel domani, proseguo il mio viaggio riportandomi nell’oggi... E – come spesso sono solita fare - volgendo lo sguardo verso il cielo, chiedo alla vita: “sorprendimi.”
Per il sostegno, l’incoraggiamento, e l’amore, Grazie Mamma, Grazie Papà. Grazie Sabrina. Grazie Oriana.
E Grazie Michel, per aver scritto la “Grammatica del Sé”, che dona splendore e onore alla donna e all’uomo, nella complessa semplicità del nostro essere umani.
Carmela
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Bibliografia
Hardy Michel, La Grammatica dell’Essere, Dispense dell’Accademia del Sé, Bologna, 2009 Morganti Monica, La Rabbia delle Donne – come trasformare un fuoco distruttivo in energia vitale, FrancoAngeli/Le Comete, Milano, 2006 Morganti Monica, Il fuoco della rabbia – percorsi terapeutici tra Oriente e Occidente, Armando Editore, 2004 Terragni Marina, La scomparsa delle donne, Mondadori, 2008 Selene Ballerini, Il Corpo della Dea, ATANOR, 2003 Mary Valentis e Anne Devane, Donne che non hanno paura del fuoco, Edizione Frassinelli, 1996
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