LUMH LIBERA UNIVERSITÀ DI STUDI PSICOLOGICI MICHEL HARDY FAIP FEDERAZIONE
delle
ASSOCIAZIONI
ITALIANE
PSICOTERAPIA
- Counselor in Discipline Psicologiche Empiriche -
IL “PO STO LEGITTI MO” AC C E DE RE AL P ROP RIO P OS TO CO N L ’ APP RO C CIO E MPIRIC O
Dora De Stefano
Giugno 2012
di
... e in questo modo, con un misto di riserva e di audacia, di sottomissione e di rivolta ben concertate, di esigenze estreme e di concessioni prudenti, ho finito per accettare me stesso.
“Le memorie di Adriano� Marguerite Yourcenar
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I N D I C E
Pag. INTRODUZIONE
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1. L’APPROCCIO EMPIRICO
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2. IL POSTO LEGITTIMO
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3. VIVERE FUORI DAL PROPRIO POSTO:
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3.1 Senso di inadeguatezza
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3.2 Senso di colpa
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3.3 Separazione da sé, separazione dagli altri
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3.4 Paura
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3.5 Rabbia
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3.6 Ipertrofia della mente (la compensazione empirica)
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4. OGNI COSA AL SUO POSTO:
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4.1 Le forze Yin e Yang e la compensazione armonica come movimento esterno all’uomo
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4.2 Il codice Yin e il codice Yang nell’approccio empirico
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4.3 La compensazione armonica interna
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3
Pag. 5. LONTANO DAL PROPRIO POSTO
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5.1 La compensazione disarmonica dell’assetto emotivo
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5.2 La metamorfosi empirica
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5.3 I ruoli alterati
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5.4 I ruoli alterati femminili
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5.5 I ruoli alterati maschili
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6. IL PERCORSO PER TORNARE AL PROPRIO POSTO
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6.1 Il coraggio della verità
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6.2 Essere disponibili al dolore
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6.3 Rendersi consapevoli
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7. I MACIGNI DA RIMUOVERE
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7.1 Riconoscere la propria rabbia e affrontarla
54
7.2 Recuperare le radici
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7.3 Il campo familiare
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7.4 Il debito di base
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7.5 Riscattare il debito e accettare “il testimone”
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8. PROSEGUENDO NEL PERCORSO
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8.1 Dare vita al corpo
66
8.2 Ridimensionare il potere della mente
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8.3 Eliminare la critica e il giudizio
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8.4 Nutrire l’anima
76
4
Pag. 9. IN CIMA ALLA VETTA
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9.1 Provare amore per se stessi
78
9.2 Accedere alla capacità di sentire
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9.3 Accogliere ciò che è
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9.4 Vivere nel libero fluire
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10. LA MIA ESPERIENZA CON L’APPROCCIO EMPIRICO
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RINGRAZIAMENTI
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BIBLIOGRAFIA
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INTRODUZIONE C’era una volta una bambina solitaria, seria, immersa nei suoi pensieri, con la costante percezione di sentirsi incompresa, lontana, sola. All’età di quattro anni il suo divertimento più grande era giocare con le ombre che la luce del sole lasciava sui gradini delle scale che portavano a casa. Pomeriggi senza fine, trascorsi in piena solitudine a dare un volto e fantasticare su tutti quei giochi di luce. Poi finalmente la salvezza: la scuola. E, con essa, un “posto” in cui sentirsi, esprimersi, valere. Era orgogliosa di essere la prima della classe, con tanti apprezzamenti e “10 e lode” a profusione. Ma, nonostante tutto, i lunghi pomeriggi continuavano ad accompagnarla nella solitudine delle letture e dei pensieri senza sosta. Non è la trama di un romanzo strappalacrime (alla Oliver Twists per intenderci) o ancor meno il prologo di una favola new-age, ma è ciò che ho vissuto e che torna alla mia mente ogni qualvolta i ricordi vanno ad agganciare gli anni della mia prima infanzia: la sensazione costante di non essere amata, di non essere accettata, di essere “fuori posto”. Nata in una famiglia numerosa, con il padre a lavorare e la madre troppo oberata dai suoi doveri per poter dedicare a ciascuna figlia la dovuta attenzione, ero stata l’ultimogenita fino all’età di sette anni quando, con la nascita di Alessandra, mi era stato scippato il ruolo della “più piccola”. Fin dalla più tenera età, ricordo di aver percepito mia madre e le sorelle come
un “blocco unico”, distante e impenetrabile. Mia madre,
sensibile e severa, schiva e fortissima, era un enigma per me. Donna
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introversa, orgogliosa, annullatasi nel matrimonio e nella maternità. Aveva contratto una seria malattia durante la mia gestazione, e secondo i medici al momento del parto era altissima la probabilità che una di noi due non sarebbe sopravvissuta. I giorni precedenti la mia nascita aveva pulito a fondo tutta la casa per lasciare in ordine, in caso non fosse tornata. Quante giornate angosciose avrà vissuto al pensiero di lasciare i suoi figli orfani .... Non conto più le volte in cui ho pensato che la sua inconfessabile e giustificatissima paura sia stata la strada maestra che mi ha sradicato con ineluttabile forza dal mio posto. Le sorelle: mi sentivo
diversa da tutte loro, incapace di parlarci o
ascoltarle. Non mi piacevano le loro bambole, non capivo la loro complicità, e a tratti scampavo alla mia solitudine – che sentivo “imposta” – nel rapporto con mio fratello Luigi, anagraficamente più vicino. Era il mio unico compagno di giochi. Mi appropriavo del suo triciclo, gli rubavo i trenini, giocavo con il go-kart ... mi immedesimavo così tanto nel ruolo di maschio al punto di pretendere di vestirmi con i suoi vestiti e indossare le sue stesse scarpe! Mi stava stretto il ruolo di “femmina”e lo rifiutavo con tutte le mie forze: per allontanarmene giocavo a pallone con i maschietti, organizzavo giochi acrobatico-atletici nel cortile sotto casa fortemente temuti dai partecipanti - ovviamente solo maschi -,
partivo per “esplorazioni” in
campagna (in cui puntualmente perdevamo l’orientamento) dove mio fratello, stufo, sarebbe tornato di corsa a casa ed io avrei proseguito ad oltranza per “andare all’avventura”. Ma nonostante tutto questo attivismo, la sensazione di solitudine era sempre lì, ancorata alla mia anima. Nell’età cosiddetta adulta, mentre le scelte professionali sono state tutte all’insegna del “successo”, quelle sentimentali sono state plasmate
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dal non voler imitare in alcun modo il modello materno. Sono stati anni in cui il cuore gonfio di solitudine e la ben nota sensazione di non avere un
posto hanno dominato la mia vita interiore fino a quando ho finalmente compreso che occorreva buttar via la maschera. Attraversando dolori, sbagli e delusioni è venuta lentamente alla luce una donna adulta e consapevole, che imparato a prendere in mano la sua vita e a rassicurare quella bambina desiderosa d’amore. Non è stato facile. Il percorso di conoscenza e di riappacificazione con se stessi è lungo e accidentato, affascinante e doloroso, esaltante e carico di promesse. Due passi avanti e uno indietro, cadute e accelerazioni improvvise, pause di riflessione e rincorse liberatorie. Proprio come un percorso di montagna. Amo la montagna e la gioia di camminare. Quando si parte e non si pensa alla vetta, ché è troppo lontana. Sarebbe un atto di superbia pensarci. Ci si incammina e basta, assaporando idealmente il gusto della conquista e della soddisfazione che ti aspetta. Chiudo gli occhi e accolgo le sensazioni: il silenzio, il freddo pungente, il sole che spunta dietro ai picchi mentre il cielo cambia i suoi colori. Le rocce, la sensazione di potenza, lo spaziare dello sguardo lontano. La libertà di confrontarsi con difficoltà, tornanti e discese ... in fondo con la paura: quel brivido, quella vertigine che avvolge le gambe e inebria nelle prove più dure. E, come traguardo, la possibilità di essere autentici e liberi. Fin dai primi momenti dedicati alla scrittura di questa tesina, ho percepito la straordinaria analogia tra il percorso di crescita interiore e il percorso di montagna. Entrambi richiedono perseveranza, impegno, e la volontà di superare i propri limiti.
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Cosa ho messo nel mio zaino nel percorso verso il mio posto? Sul fondo, ben piazzate, tutte le esperienze vissute, piacevoli e meno piacevoli; al centro, anni di lento avvicinamento a me stessa con gli strumenti dello yoga, della bioenergetica, del reiki, del canto, della psicoterapia. Sulla sommità l’approccio empirico, che ha letteralmente polverizzato le false certezze che l’ego si ostinava a trattenere. Il “fare” come molla per vivere a livello esperienziale i propri conflitti rapportandosi alla propria matrice di eccellenza, è stata la strada maestra per raggiungere la consapevolezza.
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1. L’APPROCCIO EMPIRICO La matrice di riferimento del presente lavoro è la “Grammatica dell’Essere”, approccio empirico elaborato da Michel Hardy. In questo capitolo vengono illustrati sinteticamente i principi fondanti di tale approccio, per elaborare nei capitoli successivi il concetto di “posto legittimo” e il percorso necessario per accedervi. Nel corso della storia l’uomo ha elaborato un sistema di regole di natura sociale, legislativa, scientifica e religiosa ispirandosi ai canoni dell’ordine
naturale.
Questo
sistema
di
regole
stabilisce
divieti,
concessioni, diritti e obblighi che riguardano ambiti specifici ma sono spesso slegati da un contesto generale in cui far convergere le sue varie componenti. La teoria dell’ordine sistemico di Michel Hardy prende a riferimento il sistema che da sempre regola ogni movimento e moto vitale al di là delle regole stabilite dall’uomo, e spesso proprio in contrasto con esse. Il sistema riconosce la funzionalità come esclusivo criterio per determinare l’evoluzione delle cose, ed è governato dal principio di causaeffetto. Le sue dinamiche rappresentano la vita in tutte le sue espressioni: dalla nascita alla morte, passando per tutti gli atti vitali insiti nel concetto evolutivo della specie, del tempo e dell’universo. L’ordine empirico 1 ha parametri senza tempo e determina tutto ciò che è, sia nel mondo materico sia in quello sottile, integrando e utilizzando le leggi della natura come moti principali. L’ordine gestisce
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I termini “ordine empirico”, “sistema empirico”, “ordine sistemico” sono utilizzati in modo equivalente poiché con essi si intende l’armonia naturale a cui giungono effettivamente tutte le situazioni e i rapporti quando vengono rispettati i principi del sistema stesso.
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altresì le dinamiche nascoste (i moti dell’anima) insite in ogni tipo di rapporto che l’uomo stabilisce con se stesso e con gli altri. Il sistema non ha inizio né fine ma esclusivamente un processo di trasformazione all’interno del proprio fluire. Essere in armonia con l’ordine equivale a vivere nel “libero fluire” e porta l’uomo ad uno stato che Michel Hardy definisce integrato: colui che non infrange l’ordine non accumula debito e vive nell’assenza di ogni conflitto. La sua anima non conosce sentimenti di paura, rabbia o rancore ed è collegata al flusso sistemico essendone parte integrante: per questo vive una grande sofferenza quando è costretta a scollegarsi. Il sistema prevede per ogni individuo dei ruoli empirici, che variano a seconda del periodo biologico di vita, che racchiudono in sé i diritti e i
doveri che l’individuo è chiamato ad assolvere. Ogni ruolo
empirico ha la sua matrice di eccellenza, vale a dire gli elementi oggettivi che rappresentano il copione ideale per ciascun ruolo in rapporto ad una determinata situazione vitale. I ruoli vanno di pari passo con la vita biologica dell’individuo e con i molteplici aspetti della sua vita personale. Il primo ruolo di base è quello del bambino, seguono poi l’adulto, l’anziano e i sottoruoli di moglie, marito, padre, madre (i principali), zia, nipote, collega, e tantissimi altri. A monte dei ruoli di base la biologia presenta i due ruoli primari di uomo o donna. Le leggi sistemiche si rivelano solo dopo il loro compimento in quanto l’ordine riconosce soltanto ciò che il singolo mette effettivamente in atto e ignora le intenzioni che, in quanto tali, sono soltanto atti inespressi. L’ordine non giudica l’uomo ma lo obbliga a prendersi responsabilità precise per le sue azioni; non lo prevarica, poiché non ha
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una personalità da difendere; non lo punisce, ma lo riporta ad uno stato di “debito” ogni qualvolta l’uomo vìola le sue regole. L’ordine tende all’equilibrio naturale, per cui ogni moto empirico viene
risolto
dalla
legge
di
compensazione:
essa
si
verifica
indipendentemente dall’individuo e si sostanzia nei meccanismi nascosti con cui la coscienza personale rimuove i traumi emotivi accumulati nel corso della vita. Attraverso la coscienza personale si aggira lo stato di sofferenza con meccanismi di autoinganno che però allontanano l’individuo dal proprio sentire e quindi dal libero fluire. Strutturato sul principio del libero arbitrio, l’ordine lascia l’uomo libero di sbagliare e di prendere decisioni disarmoniche; gli indicatori empirici (rabbia, paura, senso di colpa, tristezza) sono lo strumento con cui il sistema, a fin di bene, segnala all’individuo l’avvenuta infrazione per permettergli di individuarla e porvi rimedio. L’emozione guida che chiamiamo indicatore
attivo
è un
meccanismo compensativo per nascondere e camuffare gli indicatori passivi che hanno un peso analogo o anche maggiore. Chi vive la sua vita nella modalità rabbiosa cerca di soffocare la paura e l’inquietudine, mentre chi si lascia guidare dalla paura rinnega la propria spinta rabbiosa. Gli indicatori attivi sono i moti predominanti del proprio carattere, quelli passivi costituiscono la propria parte più repressa, ovvero il lato ombra. Con l’aumento delle violazioni delle leggi sistemiche l’individuo si allontana dal modello “integrato” per assumere un ruolo “alterato”: più ingente è il suo debito più velocemente egli degenera attraverso dinamiche invisibili di deterioramento all’interno della metamorfosi empirica, di cui tratteremo oltre. Un assunto di base dell’approccio esperienziale di Michel Hardy è che non è possibile sanare il debito attraverso un mero percorso
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intellettivo, poiché i principi del sistema possono essere acquisiti e fatti propri soltanto dopo averli “sentiti”. Soltanto attraverso il “fare” l’individuo può confrontare il proprio “falso” sentire con un sentire nuovo, in linea con i parametri dell’ordine, dandosi così la possibilità di diminuire il divario fra la sua realtà personale e la realtà empirica. Nei vari seminari del percorso empirico, da “La terapia della rabbia” al “Linguaggio dell’anima” al “Teatro del sé” – solo per citarne alcuni – ogni partecipante è chiamato a mettere in gioco parti di sé inedite, aspetti della personalità mai rivelati neppure a se stesso, emozioni ignote. Soltanto in quei momenti di forte sollecitazione il corpo riesce ad esprimere tutto ciò che l’ego tenta disperatamente di nascondere, lasciando venire a galla quelle verità che fino a quel momento la persona aveva nascosto con cura in fondo al suo essere. Nel “provvidenziale” momento di crisi l’individuo riesce a contattare la parte di sé più autentica: quando si dà il permesso di farla esprimere (pianto, sfogo di rabbia, sentimenti repressi, oppure sensazione di leggerezza, amore, gioia) può avere inizio il processo di “ristrutturazione” del suo sistema emotivo-corporeo. Tutti i seminari del percorso, pur affrontando tematiche diverse, vanno nella stessa direzione: permettere a ciascuno di prendere coscienza, ognuno con i suoi tempi, delle proprie strategie vitali e ripulire il proprio piano sensoriale. Il lavoro di gruppo amplifica la potenza dell’approccio empirico, in quanto lo scambio e il confronto con gli altri agevola e rafforza il riconoscimento di ogni parte di sé e la presa di contatto con le proprie strategie corporee e sensoriali.
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2. IL POSTO LEGITTIMO L’ordine concepisce ogni suo principio sotto forma di diritto. I diritti empirici sono strutturati su dinamiche nascoste, tutelando ogni necessità e bisogno dell’individuo senza manifestarsi apertamente, e rivelano la propria esistenza solo nel caso di una loro violazione. Ognuno avverte l’esistenza di tali leggi per il solo fatto che esse esistono e sono alla base di ogni bisogno vitale. Il posto legittimo si manifesta come il diritto ad “essere” poiché l’ordine sistemico lo contempla: un bambino è al suo posto legittimo quando riceve una degna qualità di amore, un adulto (uomo o donna) è al suo posto legittimo quando ha ricevuto integra la consegna del codice del proprio sesso biologico, una azione è al suo posto legittimo quando è allineata ai parametri dell’ordine e l’individuo se ne assume le responsabilità. L’individuo che riesce a vivere nell’armonia che il sistema ha in sé in quanto portatore delle regole delle dinamiche evolutive accede ad una serenità naturale e si lascia trasportare dalla corrente: sta nel libero fluire, nel suo posto legittimo. Ogni persona ha il diritto di vivere nell’armonia e sentire di “essere al proprio posto”. Vive al “proprio posto” chi non è condizionato dal peso del debito accumulato nel tempo e può sperimentare uno stato di serenità che gli permette di restare collegato al proprio sentire anche quando l’ambiente lo contrasta. La felicità dell’uomo non è qui intesa come soddisfacimento dei suoi desideri materiali bensì è data dalla qualità delle sue percezioni, ossia da come riesce a vivere tutti gli avvenimenti della sua vita. Più il piano sensoriale di un individuo è allineato al sentire sistemico, più egli ha la
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capacità di distinguere le occasioni “giuste” da quelle “ingannevoli”, di saper effettuare delle scelte o di trovare la “giusta distanza” a prescindere dal contesto che lo circonda. Molto spesso però l’individuo è “anestetizzato” poiché il predominio della parte razionale ostacola la qualità del suo sentire: il conflitto tra i moti dell’ordine e gli schemi personali genera l’aumento degli indicatori con cui il
sistema
segnala
le
infrazioni
avvenute.
E
così
la
persona,
inconsapevolmente, si allontana sempre di più dal suo posto legittimo poiché la rabbia, le paure, le aspettative personali vanno ad imporsi sui suoi moti genuini. Anche le azioni dell’uomo hanno un posto legittimo all’interno del sistema, rappresentato dalla matrice di eccellenza,
insita in ogni
situazione, ovvero una scala di valori che contiene i parametri oggettivi del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto. Ogni azione ha una carica empirica - armonica o disarmonica a seconda se sia in linea o meno con le leggi dell’ordine - e rivela la sua natura quando si confronta con la matrice di eccellenza. Poiché il sistema non prevede definizioni o concetti inflessibili che costituirebbero un limite al libero fluire, la matrice di eccellenza pur conservando il suo valore profondo, si modula ad ogni contesto interpretandolo al meglio, assumendo un significato diverso in relazione al momento e alle condizioni in cui si svolge.
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3. VIVERE FUORI DAL PROPRIO POSTO E’ motivo di profondo dolore per ogni persona attraversare la propria vita con la percezione di non essere amata per il solo fatto di esistere, di non riuscire ad esprimere appieno se stessa e le proprie potenzialità, nell’impossibilità di sentirsi collegata all’armonia naturale. Proviamo ad analizzare cosa vive l’individuo sradicato dal suo posto legittimo.
3.1 Senso di inadeguatezza Il senso di inadeguatezza colpisce chi non ha molta stima di sé o chi l'ha persa, e si lascia sopraffare dagli altri e dagli eventi della vita. E’ quella sensazione di non sentirsi mai all'altezza, di esser sempre fuori posto, ovunque si è, come se gli altri fossero sempre migliori di noi.! Perché spesso ci sentiamo inadeguati, sbagliati, pieni di carenze, mentre gli altri ci appaiono perfettamente adattati, sempre capaci di gestire le relazioni sociali, e anche simpatici nei loro piccoli difetti, al punto che siamo sempre pronti a perdonare tutti, tranne che noi stessi?!! Da bambini impariamo ad adattarci all'ambiente dove cresciamo; i nostri familiari sono il nostro primo riferimento, e in qualche modo intuiamo di dipendere totalmente da loro. Il piccolo uomo è fragile, incapace di sopravvivere senza i genitori: non potrebbe nutrirsi, scaldarsi, aver cura di sé. Diversamente dalle altre specie, quella umana è particolarmente soggetta al pericolo di vita in assenza di accudimento. !I bisogni dell'uomo non sono solo di natura concreta: cibo, acqua. Noi abbiamo strutturalmente bisogno di calore umano, riconoscimento,
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affetto: l’ordine sistemico lo contempla come un nostro diritto. La nostra sopravvivenza è fortemente collegata alla prossimità affettiva: è stato dimostrato che il neonato è in grado di riconoscere la madre dall'odore e dal ritmo del battito cardiaco, e istintivamente la predilige a qualsiasi altra figura. Il bambino piccolo impara presto ad assumere dei comportamenti adattati all'ambiente, in modo da garantirsi il riconoscimento e l'affetto dei genitori. E' un processo alla base dell'educazione: “se io divento come tu
mi vuoi, ho la certezza di non esser rifiutato”.!! Per vari motivi, a volte slegati dalla qualità della genitorialità, spesso il bambino va incontro ad un iperadattamento, che finisce col diventare disfunzionale. Il "come tu mi vuoi" prende il sopravvento sullo sviluppo dell'identità, e la persona non si impossessa della normale capacità di auto-riconoscimento, necessario ad un sano sviluppo dell'autostima.! Frequentemente, l'eccessiva dipendenza dal giudizio dell'altro prende una forma inversa, di ribellione e rifiuto: apparentemente dà la sensazione di prendere le distanze dalle richieste ambientali, e dà l'illusione di differenziarsi, ma in realtà essa è solo l'altra faccia della dipendenza che impedisce il libero sviluppo dell'identità. !Il senso di inadeguatezza che ne deriva è legato alla sensazione di non esser mai "abbastanza" bravi, adattati, educati, vivaci, brillanti, a seconda delle richieste del passato.! Chi si sente inadeguato ha un grande bisogno di essere considerato e amato, e spesso molte coppie fondano il loro relazionarsi sul desiderio di ricevere dal partner quello che non si è avuto da piccoli. Tali rivendicazioni sono insensate, destinate a restare frustrate e ad alimentare un forte rancore verso il coniuge che ci delude. Per uscire da questo circuito doloroso che si autoalimenta, è necessario riprendere contatto con se stessi e con le proprie risorse, per
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sganciarsi dal giudizio degli altri e trovare il proprio modo di autoguardarsi.!
3.2 Senso di colpa Il senso di colpa è una emozione che permette di contenere le pulsioni distruttive e di prendere coscienza della sofferenza dell'altro. Identificato in questa modalità può avere anche sfumature costruttive, perché mette in guardia qualora si stiano oltrepassando i limiti, costringe ad una messa in discussione e ad un'assunzione di responsabilità. Il senso di colpa, sperimentato spesso da ogni persona sensibile e responsabile, è un meccanismo della coscienza che, se non è deformato, segnala un disagio e ci rimprovera quando facciamo qualcosa che infrange il nostro codice morale, perseguitandoci fino a quando non ci attiviamo per rimediare con un gesto riparatore. Cercare di "evitare" il senso di colpa significa comportarsi in modo da evitare di fare del male ad un'altra persona. Il senso di colpa è una reazione naturale ad una nostra azione cattiva, illecita, crudele o disonesta: una volta riconosciute le proprie responsabilità e prese le misure correttive, il campanello d'allarme della mente ha terminato la sua funzione. Il sentimento di colpevolezza nasce dal nostro "giudice interiore" che ci mette di fronte agli insegnamenti che abbiamo ricevuto dai nostri genitori, dalla religione e dalla regole sociali, come se si dovesse pagare un prezzo in termini di sofferenza interiore per avere osato desiderare qualcosa di vietato. Infatti basta solo aver pensato di violare una "regola" per vivere una sensazione di disagio, per non sentirsi più la coscienza
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pulita. Il bambino impara molto presto a sentirsi in colpa per non aver soddisfatto le aspettative degli altri e spesso quando è spettatore di un divorzio, di una malattia o di una sofferenza dei genitori, si convince di essere responsabile, come se effettivamente tutto ciò che è doloroso o "negativo" fosse, per qualche ragione, colpa sua. Il sentimento di colpevolezza può celare un senso di onnipotenza ("è
tutta colpa mia!"), una specie di volontà di controllo sugli altri e su ciò che si vive, un meccanismo perverso che ci costringe a vivere nella dipendenza, lasciando agli altri il potere di liberarci. La maggior parte delle persone che si sentono "colpevoli" soffrono, in qualche modo la paura dell'abbandono, il timore di perdere un amore o l'approvazione degli altri. Il sentimento di colpevolezza infatti induce ad adottare una certa condotta in funzione della fedeltà al gruppo di riferimento, al di fuori del quale ci si sentirebbe persi. La possibilità di fare una scelta fuori dal coro spaventa ed è forte la tentazione di rimanere fedeli al gruppo rinunciando a se stessi e alla propria vera identità. Crescere vuol dire anche liberarsi dai condizionamenti e dalla paura di infrangere imposizioni e regole, adottando un comportamento rispettoso verso il gruppo, ma senza rinunciare a sé. Alcune madri sono esperte nel far leva sui sensi di colpa dei figli e sanno, meglio di chiunque altro, come ottenere da loro quello che vogliono, riuscendo a colpirli proprio là dove sono più vulnerabili. Frasi taglienti, apparentemente innocue, creano mostruosi sensi di colpa, malessere e senso di inadeguatezza e hanno il potere di trasformare il figlio in un "bambino cattivo”. L'operazione più difficile per un figlio è quella di comprendere profondamente che è la propria mamma ad attivare una manipolazione, e che non è lui ad avere torto. E' difficile proprio perché la madre che colpevolizza lo fa da sempre,
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e ormai il senso di colpa si è completamente impossessato del figlio che fatica a vedere il vero e proprio abuso di potere che la madre mette in atto. Da adulto, si vedrà costretto ad affrontare la paura di essere rifiutato se non soddisfa puntualmente i bisogni della madre.
3.3 Separazione da sé, separazione dagli altri Più aumentano le violazioni delle leggi empiriche più l’anima si chiude in se stessa tentando di difendersi da ogni ulteriore dolore e si distacca dal libero fluire.
Nello stesso tempo subentra anche una
separazione evidente tra la persona e le sue qualità empiriche Yin o Yang2. La separazione altera tutti gli atteggiamenti e le strategie vitali, anche se l’individuo sente erroneamente di mettere in atto qualità assolute. Tale condizione di separazione
a volte viene vissuta in forma
rabbiosa, a volte invece in maniera più sottomessa e vittimistica, a seconda delle proprie strategie di compensazione. Ciò porta una profonda solitudine, che non significa essere soli ma sentirsi soli, e si verifica dovunque la persona si trovi: tra amici, all’interno di una coppia, o in mezzo ad una folla. Si tratta di un vuoto interiore, che si manifesta attraverso l’impossibilità di nutrire l’anima.
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Secondo il Thao, i due poli opposti dell’universo, maschile e femminile, che non possono fare a meno l’uno dell’altro e si rincorrono in modo perpetuo, a simboleggiare il continuo evolversi e trasformarsi dell’universo.
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La persona “anestetizzata” quasi sempre non è consapevole di tale separazione, e vive nell’illusione di avere uno stato di presenza forte e articolata. Procede in maniera “automatica” ma non è in grado di percepire moti reali, sia come genitore che come uomo, donna, marito o in qualsiasi altro ruolo empirico. Mettendo in atto un’ampia serie di strategie di rimozione grazie alle quali non riconosce le proprie “patologie”, l’individuo estromesso dall’ordine adotta moti surrogati che formano, con l’andare del tempo, un vero e proprio copione. Parliamo dei ruoli compensatori, ossia degli alibi mentali escogitati dalla coscienza personale nel tentativo di proteggere l’individuo dalla sua disperazione. Talvolta, per non sentire il vuoto della propria vita affettiva, la persona si rifugia dietro una molteplicità di impegni sociali e attività lavorative in grado di assorbirla completamente. Con il passare del tempo tali strategie di compensazione vengono talmente assorbite nel proprio
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bagaglio personale da essere scambiate per il proprio carattere e la propria personalità. Chi è separato dall’ordine vede velocemente crescere uno stato di insoddisfazione e di aspettative tradite all’interno della coppia, che puntualmente attribuisce al partner di turno. I rapporti alterati presentano diverse forme di patologie riguardo ai legami affettivi; possono trasformarsi in un rapporto di co-dipendenza emotiva, attraverso la continua richiesta di nutrimento, o si manifestano attraverso un atteggiamento morboso che oscilla tra odio e amore.
3.4 Paura La paura è un’emozione primaria di difesa comune sia alla specie umana sia a molte specie animali, ed è causata da una situazione di pericolo che può essere reale.
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La paura può essere anticipata dalla previsione di un pericolo, evocata da un ricordo o prodotta dalla fantasia. Spesso è accompagnata da reazioni organiche di cui è responsabile il sistema nervoso autonomo, che ha il compito di preparare l’organismo alla situazione di emergenza attraverso atteggiamenti di lotta e fuga. La paura può assumere varie forme, che vanno dalla fobia - quando si riferisce ad oggetti o animali non considerati paurosi -, all’angoscia che indica una certa situazione di attesa del pericolo, che può essere sconosciuto -, allo spavento, che designa lo stato di chi si trova di fronte a un pericolo senza esservi preparato. A livello sistemico, la paura è un indicatore empirico, inteso come moto interiore autonomo e auto-rigenerante, che costituisce il binario del sentire della persona fino a quando il proprio debito non viene estinto. Nel momento in cui la paura perde la
funzione sana e vitale di
“campanello d’allarme” e diventa la compagna costante del sentire dell’individuo, essa rappresenta l’espressione di uno stato vitale alterato, in cui la persona si sente minacciata anche in situazioni che in realtà non recano alcuna minaccia. Il debito personale accumulato è diventato talmente ingombrante che la persona legge la realtà non più per quella che è effettivamente, ma con la lente di ingrandimento della sua paura, della sua angoscia, della sua scarsa autostima, spesso della sua depressione. Quanto più la persona sperimenta la pressione emotiva causata dall’indicatore della paura, tanto più sviluppa strategie di rimozione e di difesa, assumendo il ruolo della “vittima” che non è capace di parlare a proprio sostegno, non si sente a suo agio tra le persone e vive una percezione di solitudine persistente. La vittima si pone in modo prevalentemente passivo, è in continua esitazione, e ogni suo approccio
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con il mondo evidenzia il suo senso di inferiorità e di non merito, per quanto possa far finta del contrario.
3.5 Rabbia La rabbia è una emozione improvvisa, travolgente, “precoce”, tanto da poter essere sperimentata anche dai bambini in tenera età. Essa è caratterizzata da una tendenza all’azione: quando siamo arrabbiati viviamo una tensione che sentiamo di dover scaricare al più presto per ritrovare uno stato di benessere. Una frustrazione e una costrizione sia fisica che psichica possono far nascere una reazione rabbiosa, infatti ci si arrabbia quando qualcuno o qualcosa si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno.
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Al pari della paura, anche la rabbia è un’emozione primaria dell’uomo ed è indispensabile per la sua sopravvivenza, perché gli permette di reagire ad un’ingiustizia o a qualcosa che lo mette realmente in pericolo. Può essere utilizzata in modo costruttivo se dà energia ad una richiesta basata sui propri desideri. E’ importante imparare ad esprimere la propria rabbia perché in questo modo ci si può avvicinare ai propri bisogni reali, esprimere se stessi e costruire relazioni più autentiche. Quando la rabbia però non è legata ad uno specifico momento, ma diventa la modalità primaria di rapportarsi alle situazioni che la vita ci mette di fronte, essa perde la sua funzione sana e vitale di affermazione del proprio io. La persona emotivamente “obbligata” a rapportarsi con aggressività esprime un debito personale ingente, allo stesso modo di chi vive la vita accompagnato dalla paura. Il suo sentire alterato lo porta ad affrontare la vita con reazioni che vanno dalla rabbia all’ira, alla collera, alla permalosità, adottando il ruolo di “carnefice” e dimostrando in tal modo la sua separazione dal sistema. Il carnefice si sente al sicuro esclusivamente se esercita il suo copione di aggressore. Per quanto soffra per la sua aggressività che semina il vuoto intorno a sé, non può fare a meno di affrontare il mondo sempre pronto all’attacco, non accettando di sentirsi disarmato. In questo modo il suo copione alterato è la causa della sua sofferenza e al contempo la sua sicurezza più importante.
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3.6 Ipertrofia della mente (la compensazione empirica) L’individuo “integrato” sperimenta un sentire assoluto che gli permette di interpretare ogni situazione per ciò che essa realmente comporta e di agire e reagire conseguentemente, senza la necessità di dover togliere o aggiungere nulla. Se tale sentire assoluto è mancante, la mente tenta di capire laddove il sentire non più in grado di accedere, “elaborando” tutto ciò a cui non riesce a risalire spontaneamente: si tratta di una vera e propria sostituzione di facoltà sensoriali con quelle intellettive.
Parliamo di
compensazione empirica, atta a garantire la sopravvivenza dell’uomo, nascondendo tutto ciò che il singolo non riuscirebbe a sopportare altrimenti, in quanto lo porrebbe dinanzi ai propri limiti.
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L’individuo che ha un piano sensoriale alterato affida alla mente il compito di decifrare la realtà, ma la mente agisce con arroganza, pretendendo di essere sempre nel giusto. Ciò crea l’illusione di avere il controllo della propria vita, per il semplice fatto di percepire una data situazione come tale, pretendendo che essa sia reale. Con il tempo però tale superbia della mente porta all’accumulo di un arretrato empirico ingente, che si manifesta con malessere, sia fisico che psichico o emotivo. Se da un lato la compensazione empirica rafforza le strategie vitali dell’uomo, evitandogli il confronto diretto con ciò che gli procurerebbe dolore, dall’altro gli impedisce di poter risalire alle proprie carenze emotive e alle ferite acquisite, allontanandolo da una possibilità di guarigione.
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4. OGNI COSA AL SUO POSTO
La forza immanente della natura che si manifesta in tutte le sue più composite manifestazioni ci rimanda alle verità e ai principi inconfutabili dell’ordine sistemico.
4.1 Le forze Yin e Yang e la compensazione armonica come movimento esterno all’uomo I termini Yin e Yang hanno un’origine molto antica (IV secolo a.C.) e probabilmente
la
loro
nascita
si
deve
all’osservazione
empirica
dell’alternanza dei fenomeni naturali, come giorno/notte, caldo/freddo, luce/ombra; infatti la loro espressione grafica contiene nello Yin l’elemento che richiama l’ombra sul versante freddo della montagna, e nello Yang l’elemento “Sole” che evoca la luce sul versante soleggiato del monte.
Si m bolo del Th ao
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Secondo la tradizione, lo Yin e lo Yang sono soffi cosmici che si alternano e si mescolano incessantemente. Il vento invece rappresenta il “Chi” emanato dal Cielo e la pioggia non è altro che il suo discendere sulla Terra. Oscurità
e
luce,
analogamente,
sono
ulteriori
espressioni
fisiche
dell’energia cosmica. Nell’uomo, il Chi si trova in una forma grezza che include i liquidi sessuali e l’energia psichica ad essi collegata. L’energia circola attraverso “canali” speciali (i meridiani energetici) e insieme al sangue dà nutrimento agli organi vitali e regola il flusso Yin/Yang, determinando lo stato di salute fisica e spirituale dell’individuo. L’ordine sistemico, per mezzo dei suoi due principi dinamici fondamentali Yin/Yang – un movimento tra coppie di poli opposti e complementari l’uno all’altro - mantiene l’ordine naturale delle cose e consente all’incessante processo di trasformazione nell’universo di realizzarsi. Yang, ovvero il polo positivo della coppia di opposti, è connesso alla mascolinità, al movimento, al calore e alla luce; Yin, il principio negativo, è collegato alla femminilità, alla passività, al freddo e all’oscurità. Le forze Yin e Yang lottano continuamente tra di loro per prevalere l’una sull’altra, ma soltanto la loro compensazione ed integrazione permette di giungere all’armonia naturale. Così come i giorni e le notti si alternano gradualmente, lo Yang cresce con il progredire delle ore diurne e declina lentamente con il crepuscolo mentre contemporaneamente la proporzione di Yin aumenta. Allo stesso modo si compenetrano le stagioni nel corso della progressione dei mesi: con l’equinozio di primavera i due principi (giorno/notte, freddo/caldo) si equilibrano. Poi i giorni si allungano, lo Yang comincia a crescere e raggiunge la sua massima espansione con il solstizio d’estate. A quel punto la durata del giorno diventa via via più breve fino a riequilibrarsi con la notte nell’equinozio d’autunno. Tocca poi
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allo Yin predominare fino alla notte del solstizio d’inverno, per poi decrescere e ritrovarsi in perfetto equilibrio con lo Yang al momento dell’equinozio di primavera dell’anno seguente. Ogni essere, ogni espressione del cosmo, ogni fenomeno della natura è un punto di equilibrio tra Yin e Yang: quando c’è armonia tra Yin e Yang nell’universo tutto procede in modo spontaneo e tra gli uomini regnano felicità e pace. Nel momento in cui si verificano degli sbilanciamenti energetici (insufficienza di Yin, insufficienza di Yang, eccesso di Yin, eccesso di Yang), l’equilibrio e l’armonia s’incrinano e l’energia comincia a circolare in modo disordinato, caotico e pericoloso, scatenando da un lato malattie e squilibri psichici nell’uomo, dall’altro catastrofi naturali nell’ambiente – come il diluvio (eccesso di Yin) o la siccità (eccesso di Yang). Il principio dell’attrazione fra i poli opposti Yin e Yang trova la sua applicazione nell’attrazione fisica tra i due sessi biologici, l’attrazione tra il genere maschile e quello
femminile. L’attrazione fra gli amanti che si
attirano grazie alla tensione vitale tra i loro poli empirici opposti porta al concepimento di una nuova vita, in quanto entrambi portano un potenziale energetico
indispensabile
l’uno
all’altro.
Il
meccanismo
della
compensazione della forza maschile e di quella femminile permette una convivenza armoniosa fra i due sessi, che è l’unica garanzia di una crescita sana della prole, indispensabile per la sopravvivenza della specie. I talenti dello Yin e dello Yang, le loro qualità empiriche, le loro virtù, ma anche i difetti e le mancanze svolgono una precisa funzione all’interno della coppia. Entrambi sono portatori di qualità empiriche differenti ma sinergiche, condizione indispensabile ai fini di ogni rapporto funzionale. Soltanto rimanendo nei rispettivi ambiti l’uomo e la donna possono entrare in un rapporto di compensazione anziché di competizione, trovando
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ciascuno il suo posto all’interno della coppia, permettendosi così di vivere in armonia con le leggi dell’ordine e sperimentare la pienezza dell’essere uomo o dell’essere donna.
4.2 Il codice Yin e il codice Yang nell’approccio empirico Un principio cardine dell’approccio empirico è rappresentato dall’assunto che, analogamente a quanto avviene per la materia, le dinamiche e le espressioni dell’universo che sono contenute dalle forze Yin e Yang, così anche per l’individuo sono i codici Yin e Yang a definire i moti, i comportamenti e le emozioni insiti nei due ruoli biologici. Il codice è composto da principi guida, ovvero le qualità più significative da cui scaturiscono tutti gli altri principi attivi. La totalità dei principi e delle strategie del codice discendono dai “moti di base” che sono la “spinta in avanti” per il codice Yang e la “forza che sostiene” per il codice Yin, energie esplicitate al meglio nell’atto sessuale.
Il codice Yin appartiene alla femmina e ha come principi guida l’amore incondizionato, l’accoglienza, la cura, la morbidezza, la dedizione, l’arrendevolezza, la fiducia, la forza di sacrificio nonché uno spiccato lato sensoriale, introspetttivo, estetico e spirituale. Il suo codice
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le dà il diritto alla maternità (la massima espressione dell’autorealizzazione femminile), alla propria forza incondizionata, fragilità, purezza, tenerezza, il diritto ad essere poco razionale e ad avere parametri maggiormente sensoriali, la spontaneità, la fantasia, una certa dose di leggerezza e di frivolezza. Oltre alla parte luce, la parte ombra del codice Yin dà alla femmina il diritto di avere paura (l’equivalente della spinta rabbiosa del maschio), di essere triste, perfida, vendicativa, poco determinata, tendente a subire, con difficoltà a sostenere le proprie opinioni.
Il codice Yang appartiene al maschio e ha come principi guida il diritto di essere guerriero (spinta all’azione), di fare la guida al proprio nucleo familiare, di esprimersi attraverso la concretezza e la progettualità (il fare), o di farsi valere attraverso la propria autorità ed autorevolezza. Il suo codice gli dà diritto alla autorealizzazione al di fuori del nucleo familiare, di proteggere e difendere chi ama, di accedere alla propria autorità, al potere, unitamente al diritto di essere calcolatore, spigoloso, brusco, prepotente, interessato. Nello stesso tempo, in aggiunta a questa parte luce, il diritto all’ombra conferisce al maschio la rabbia, l’aggressività, l’arroganza, la durezza, la superficialità, l’abuso di potere, la possessività, la gelosia, la sfrontatezza, la durezza, il sarcasmo.
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4.3 La compensazione armonica interna La stessa compensazione che avviene al di fuori dell’individuo creando l’attrazione con un’altra persona avviene anche su un piano interiore. All’interno di ogni individuo, infatti, esistono una parte maschile e una parte femminile che si compensano e si sostengono in maniera sinergica. Il proprio sesso biologico costituisce la parte principale, formando la carica primaria che è bilanciata e sostenuta da quella dell’altro sesso sotto forma di carica secondaria. Ogni donna porta con sé un patrimonio Yin inerente al suo sesso biologico, ma che necessita
contemporaneamente di una carica Yang
(definita da Jung “Animus”) per potersi muovere nella vita in modo pieno ed autosufficiente. Allo stesso modo ogni maschio, portatore naturale di un patrimonio Yang, ha bisogno di integrare la propria carica primaria con quella Yin (definita da Jung “Anima”) per essere armonico. Entrambe fanno parte dell’interezza dell’uomo e hanno bisogno di svilupparsi in maniera sequenziale, lasciando la precedenza alla carica primaria. Soltanto l’espressione e la sinergia di entrambe le cariche permetterà forza ed equilibrio ad ogni essere maschio o femmina. Entrambi i sessi, nonostante i confini precisi tra il ruolo Yin e quello Yang, hanno bisogno di saper accedere anche al codice empirico dell’altro, per quanto in maniera ed entità diversa. Se la persona non accede alla propria carica secondaria non è in grado di sostanziare neanche quella primaria, ed esprime pertanto una carica vitale scarsa e priva di energia. Il maschio e la femmina centrati nelle loro rispettive cariche primarie e
secondarie
vengono
identificati
nell’approccio
empirico
“integrati” e rappresentano modelli di eccellenza della loro specie.
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come
Quando l’individuo è in equilibrio, quando percepisce se stesso e il mondo esterno con un sentire pulito, quando avverte la reale carica empirica di ogni cosa e agisce in armonia con essa, si può definire “integrato”. L’uomo yang integrato e la donna yin integrata hanno acquisito una carica primaria e secondaria piena e ben sviluppata durante l’infanzia, sono in grado di riconoscere i parametri armonici in maniera intuitiva e spontanea, rimanendo così sempre in contatto con il proprio codice, sia nella luce sia nell’ombra. L’uomo yang integrato e la donna yin integrata sono modelli sani, non alterati: sono al loro “posto legittimo”, in grado di poter entrare in relazioni autentiche ed appaganti e di poter accedere al libero fluire.
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5. LONTANO DAL PROPRIO POSTO 5.1 La compensazione disarmonica dell’assetto emotivo Non sempre i codici Yin e Yang sono integrati nella persona in modo corretto. Quando i moti emotivi predominanti deviano dal suo codice di base, l’individuo tradisce il proprio progetto di vita e perde ogni legittimazione all’interno del sistema. Non è al suo posto legittimo. La donna che ha acquisito
moti
dominanti
maschili
e
l’uomo
che
si
esprime
prevalentemente attraverso qualità femminili non rispettano la matrice di eccellenza del proprio codice. Qualora la carica primaria di una persona si evolva in maniera non integra e sufficiente, il meccanismo della compensazione empirica porta la carica secondaria a prendere il posto vacante. In questo modo la persona viene “inquinata” e deviata nel proprio codice di base, vale a dire che sviluppa un maschile o femminile debole e ciò si riverbera sul suo intero stato vitale. Essa viene influenzata al punto che i principi guida del proprio sesso vengono spesso “sopraffatti” e degradati dai principi sostitutivi, dando vita a veri e propri ruoli alterati e ibridi. I modelli femminili e maschili non seguono più un iter naturale ed organico, ma cercano di interpretare al meglio nuove esigenze e ruoli sociali. Questo processo è particolarmente incoraggiato dalla cultura moderna che ha perso il concetto dell’inclusione, dell’accettazione di tutto quello che non brilla a prima vista. L’efficienza esasperata, l’ambizione, la competizione, l’inseguire modelli esteriori e il raggiungimento del successo a tutti i costi hanno allontanato sempre più l’uomo e la donna dalle loro qualità naturali e la loro funzione all’interno dell’ordine.
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Qualora la carica primaria e quella secondaria non siano integrate l’uomo e la donna, indipendentemente dal sesso biologico, presentano un’alterazione – Ying o Yang – a seconda di ciò che binario del proprio sentire li porta a percepire come moto prevalente. Ogni principio attivo Yin e Yang non esercitato si trasforma in debito poiché compromette il mondo emotivo della persona, allontanandola dalla sua matrice originaria e portandola a scegliere per compensazione un partner a sua volta “alterato”.
5.2 La metamorfosi empirica La mancata integrazione della carica primaria con quella secondaria genera un aumento del debito che l’individuo non radicato nel suo sesso biologico accumula. Nel tempo tale accumulo lo porta, secondo un andamento sistemico prestabilito, a subire una trasformazione del suo carattere a causa di un inevitabile degrado del suo profilo emotivo. Tale trasformazione, definita “metamorfosi empirica” accade a prescindere dalla volontà della persona e si sostanzia in dinamiche invisibili di deterioramento indotte dal catalizzatore empirico della rabbia. Con l’aumentare del debito l’individuo sperimenta ruoli alterati passando da un ruolo all’altro, attraverso gli stadi intermedi della vittima rabbiosa. Dalla donna yin alterata o dall’uomo yin si giunge fino al ruolo estremo, senza ritorno, della donna yang o dell’uomo yang alterato.
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La metamorfosi empirica può durare un’intera vita e l’unico modo per fermarla, riportando l’individuo nel libero fluire, è rappresentato dal riscatto del proprio debito. Nell’ambito del processo di risoluzione del debito l’indicatore passivo prende il sopravvento e la parte Yin o Yang carente può emergere, creando un bilanciamento e il conseguente avvicinamento ad una situazione di equilibrio. Portare alla luce l’indicatore passivo è una forte leva che permette di accedere ad una percezione corretta della vita, di abbandonare le strategie compensative, di dissolvere il vortice emotivo obbligato e di avvicinarsi alla propria carica primaria: soltanto in questo modo l’uomo si riavvicina al suo patrimonio Yang e la donna inizia a valorizzare le sue caratteristiche Yin.
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5.3 I ruoli alterati I ruoli alterati si dividono in due grandi gruppi: quelli con l’eccesso di carica Yang (Yang alterato) e quelli con l’eccesso di carica Yin (Yin alterato). L’indicatore genuino dell’eccesso Yang è la rabbia, la cui presenza (come anche ogni tentativo di reprimerla) identifica il suo portatore come appartenente a tale gruppo. I portatori di un eccesso Yang rivestono il ruolo del “carnefice”, tendono ad atteggiamenti compulsivi generalmente legittimati come irascibilità ed irruenza, o atteggiamenti invasivi e prevaricanti. Il carnefice ha l’aggressività come indicatore attivo, mentre l’indicatore passivo è rappresentato dalla paura, qualità del codice Yin che ha rinnegato e rimosso. L’indicatore genuino dell’eccesso Yin è la paura, unita alla tristezza con una forte tendenza alla malinconia. I portatori di un eccesso Yin rivestono il ruolo di “vittima” e subiscono la vita in modo più o meno palese. L’indicatore passivo della vittima è rappresentato dalla rabbia e dalla forza, qualità del codice Yang che ha rinnegato e rimosso. Chi detiene un’eccedenza Yin rappresenta il ruolo femminile, chi invece è portatore di un eccesso Yang incarna il ruolo maschile, a prescindere dal proprio sesso biologico. L’ordine contempla anche una terza figura, quella della “vittima rabbiosa”. Tale ruolo esiste sia in versione femminile che maschile, e segnala sempre un processo di trasformazione in atto. Tutti i membri del gruppo Yin alterato sperimentano una grande quantità di rabbia che, costituendo il loro indicatore passivo, è temuta e rinnegata per tutta la vita. Se l’individuo insiste a non voler vedere e affrontare la propria spinta
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aggressiva, con il passare del tempo la rabbia è destinata ad aumentare, trasformando inesorabilmente coloro che prima si distinguevano per il loro eccesso Yin, portandoli all’interno di un ruolo alterato Yang. In ogni caso, tutti i ruoli empirici alterati non possono fare riferimento in maniera sana né alla carica primaria né a quella secondaria, poiché se una è compromessa anche l’altra non si può sviluppare in maniera autentica. Essi sono “orfani empirici”, ossia di individui ai quali è mancato il sostegno che scaturisce dalle radici genitoriali.
5.4 I ruoli alterati femminili
Donna yin alterata La bambina che ha ricevuto dall’eredità materna una consegna debole e compromessa non può accedere pienamente alla sua carica primaria. Non avendo ricevuto nutrimento adeguato a livello emotivo, il suo sviluppo si è bloccato nella fase adolescenziale e non le consente di attingere in maniera sana dal codice yin e di acquisire i principi guida femminili. La donna yin alterata ostenta i principi yin in modo eccessivo, sia nell’aspetto che nei comportamenti dimostrandosi dolce, attenta, dedita alla famiglia e accogliente con tutti. Potrebbe per questo apparire una yin integrata, soltanto che quest’ultima utilizza le sue qualità femminili come espressione della sua forza, mentre la yin alterata usa la sua carica femminile come difesa per nasconderne le carenze.
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La donna yin alterata è priva del sostegno della carica secondaria, yang. Tende a subire la vita perché non capace di dire no e manca della forza vitale e della spinta genuina; anche nella sfera sessuale presenta una libido debole o addirittura inesistente che la porta a subire il rapporto con il partner. Riveste il ruolo di “brava bambina” al fine di ricevere consensi, si esprime con il “sì automatico”, non ponendosi mai in atteggiamenti in cui dovrebbe esprimere le sue opinioni. Ha troppa paura di porsi in contrasto con gli altri ed evita accuratamente tutti gli argomenti scomodi e i contesti in cui è chiamata a prendere una posizione. Ritenendo che per ottenere l’amore occorra necessariamente soddisfare bisogni e desideri altrui, la donna yin alterata esprime in modo forzato le sue doti femminili: è accondiscendente, dolce e disponibile in un modo eccessivo al punto da diventare invadente, quasi stucchevole. E’ convinta di dare troppo, sia nei rapporti interpersonali che in amore; nella coppia non si sente mai corrisposta in maniera appagante ritenendo di non essere ricambiata a sufficienza rispetto a tutto quello che lei dà. Vive rapporti affettivi di dipendenza e crea a sua volta dipendenza da sé, tende a fare tutto in prima persona per poter successivamente “presentare il conto”. Tutti questi atteggiamenti da vittima la portano ad accumulare una rabbia sempre maggiore che, aumentando il suo debito empirico, la fanno passare nel ruolo della vittima rabbiosa e accedere al ruolo di finta yin.
Donna finta yin In maniera impercettibile, la rabbia e il rancore accumulato nello stato alterato agiscono da indicatore passivo e vanno ad aggiungersi alla
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paura e al senso di colpa che sono gli indicatori attivi della donna yin alterata. Nasce così nella donna finta yin un sentimento di rivalsa sempre più forte che però è sempre mascherato dall’immagine della “brava bambina” vittima innocente, dolce e disponibile che usa ancora l’eccesso di amore come valore di scambio. In realtà nei suoi atteggiamenti cominciano ad evidenziarsi stonature e dissonanze che sono una diretta conseguenza della sua incapacità di controllare la spinta rabbiosa sempre più forte. L’aggressività che comincia a spuntare dalle pieghe più nascoste della sua personalità poco si concilia con il senso di colpa, per cui la donna finta yin evidenzia un comportamento altalenante fra atteggiamenti aggressivi ed altri più accondiscendenti, fra la tendenza alla critica e il giudizio (valvola di sfogo che lei però tenta di occultare) e improvvise esplosioni di dolcezza. Con il crescere della spinta rabbiosa, la donna finta yin sperimenta una vita sessuale più piena e soddisfacente, superando il senso di colpa e vivendo con maggiore libertà la sua vita intima. La donna finta yin è vittima e carnefice allo stesso tempo: il suo io diventa ipertrofico grazie al senso di onnipotenza conferitogli dalla rabbia, ma nel profondo lei si sente ancora una ragazza inerme costretta a difendersi da un mondo cattivo. Ritiene che siano sempre gli altri a farle del male, e che lei sia costretta a colpire soltanto per non soccombere.
Donna finta yang Dal punto di vista sistemico, la donna finta yang è la vittima rabbiosa progredita che tende a coprire la propria fragilità attraverso la maschera
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aggressiva. Utilizza la forza maschile per difendersi, ma a livello profondo è ancora una bambina innocente e spaventata. La donna finta yang vive un forte conflitto interiore poiché ha bisogno di salvare la sua innocenza e non può sentirsi “cattiva”, ma nello stesso tempo non è più in grado di trattenere la sua rabbia ormai uscita allo scoperto. Con il tempo la tendenza a subire della finta yin si trasforma in spinta ad agire: la donna finta yang diventa quindi più intraprendente e decisa, assumendo atteggiamenti autenticamente maschili che le servono per difendersi nel mondo. La donna finta yang è comunque capace di esprimere doti femminili, come la cura e l’amore anche se in genere si aspetta qualcosa in cambio. Nella sfera affettiva si dimostra autonoma e indipendente, e attrae un partner finto yin del quale compensa la mancanza di sicurezza. Una volta che la relazione è consolidata, la donna finta yang rivela tutta la sua fragilità e la dipendenza, sebbene sia portata a delegittimare e denigrare il partner dimostrando così tutta la sua ostilità verso il maschile. La donna finta yang è sempre pronta a combattere, sempre pronta all’azione, impossibilitata a fermarsi. La sua vita è organizzata fin nei minimi dettagli al fine di tenere tutto sotto controllo. Il suo bisogno di predominio la porta a scegliersi un partner disposto a farsi maltrattare, anche se vorrebbe per sé un partner forte. Questo non fa che aumentare il suo livello di rabbia, ma la sua dipendenza emotiva è troppo grande e non le consente di abbandonare il partner. La donna finta yang a livello profondo sente fortemente il suo essere donna, e per questo ha sviluppato grandi capacità seduttive, ma in realtà è segregata nel proprio femminile. Grazie alla sfida continua riesce a liberarsi delle inibizioni che nascondevano un desiderio di vendetta non soltanto
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verso il maschile ma anche verso il femminile per il quale prova un grande rancore.
Donna yang La donna yang rappresenta l’ultimo stadio della metamorfosi empirica e dal quale è impossibile fare ritorno: essa ha sostituito completamente le caratteristiche yin con quelle yang. Pur mantenendo spesso un aspetto esteriore seduttivo e femminile, la donna yang si è allontanata del tutto dalla sua capacità di donare amore, tipica qualità yin, ed è sprofondata completamente nel lato ombra. La donna yang ha bisogno di soddisfare uno smisurato bisogno di vendetta; la sua anima ha subìto un indurimento irreversibile, si è totalmente
chiusa
per
difendersi
dal
dolore
e
si
è
distaccata
completamente dall’ordine. La donna yang spesso indossa la maschera di donna gentile, evoluta e disponibile e rivela una grande abilità di stratega per soddisfare la sua sete di vendetta. A tal fine, utilizzando tutti i principi ombra sia yin che yang senza alcuno scrupolo, essa mette in atto strategie di vendetta e di
annientamento
delle
persone
che
ritiene
ostili.
E’
un’esperta
manipolatrice, e spesso attira l’altro nella sua trama con il suo fascino e la sua generosità al fine di delegittimarlo e togliergli ogni autonomia e dignità. La donna yang è spavalda fino a sfiorare comportamenti autolesivi e dimostra spesso un forte disprezzo per la vita. A livello professionale, raggiunge i massimi livelli di eccellenza e posizioni di potere grazie alle sue modalità prive di scrupoli e di rispetto per gli altri.
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5.5 I ruoli alterati maschili
Uomo yin Come per la donna yin alterata, l’uomo yin manca del modello genitoriale sano di riferimento e presenta una carica primaria debole. L’uomo yin subisce la vita e sperimenta come condizione principale il dubbio e l’indecisione, la difficoltà a prendersi le proprie responsabilità e a sostenere le proprie opinioni. Analogamente alla donna yin alterata, l’uomo yin vive un forte senso di inferiorità che spesso tenta di camuffare in senso opposto, vergognandosi di manifestare le sue carenze e le sue debolezze. La mancanza di spinta vitale e l’incapacità di sostenere la carica aggressiva tipica dello yang costringe l’uomo yin ad assumere un copione virile fittizio per sostenere il quale si circonda di status symbol importanti e un abbigliamento particolarmente ricercato. L’uomo yin si arrabbia raramente, è simpatico senza avere mai il coraggio di essere diretto, è un buon amico ma non sempre è in grado di sostenere l’altro nelle difficoltà a causa della sua mancanza di progettualità e decisionalità. Presenta una spiccata sensibilità e dolcezza, unita
ad
una
grande
capacità
di
adattamento
e
un’eccessiva
accondiscendenza. Analogamente alla donna yin alterata, l’uomo yin tende a non trasgredire le regole, a comportandosi da “bravo bambino” e nella professione tende a scegliere ruoli in cui non siano previste responsabilità dirette ma esecuzione di ordini.
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Nella vita affettiva tende a prediligere un legame madre-figlio, per cui si sente attratto da una donna forte che gli dia sicurezza, una donna finta yang o yang, da cui dipende completamente. La sua timidezza e incapacità di sentirsi degno lo portano a dare più che a ricevere, ritenendo ciò un atto di amore. In realtà egli non può accedere a questo sentimento in quanto la sua sfera sensoriale è totalmente bloccata dalla paura, e anche la sua vita sessuale spesso è caratterizzata da problemi di chiusura.
Uomo finto yin L’uomo finto yin rappresenta la naturale evoluzione dell’uomo yin. Egli non si sente più puro e innocente come l’uomo yin ma inizia invece a percepire rabbia e un forte desiderio di rivalsa per ciò che ritiene, a causa del suo stato alterato, ingiustizie subite. Il finto yin cerca di mantenere in apparenza le sue caratteristiche yin e di mascherare la sua rabbia, ma con il passare del tempo ciò diventa sempre più difficile: accanto ai comportamenti dolci e gentili si affiancano improvvisi moti di stizza e di ribellione accompagnati da ansia, nervosismo e permalosità. Egli stesso si vergogna di tali “fuoriuscite” di rabbia e cerca di esprimere la sua irritazione soprattutto nelle situazioni in cui sente di avere il controllo. La naturale evoluzione dell’uomo finto yin lo porta a passare nel ruolo di vittima rabbiosa, e in tale condizione egli ha sempre maggiori difficoltà a nascondere il suo essere autentico. A livello affettivo, l’uomo finto yin è portato a scegliere una donna finta yang che lo rassicuri con la sua sicurezza e svolga nella coppia il ruolo maschile di guida.
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L’uomo finto yin tende ad essere moralista e dispensatore di verità, ma spesso lascia irrisolte problematiche affettive e di relazione, in particolare criticando a spron battuto la partner da cui è totalmente dipendente. L’uomo finto yin è dominato dalla paura che frena ogni sua spinta vitale unitamente all’ansia, alla malinconia e alla tristezza per la sua mancanza di forza propositiva. L’aumento della rabbia e del senso di rivalsa porta il finto yin lungo l’inevitabile passaggio dallo stato yin allo stato yang. E’ questo il passaggio più significativo della metamorfosi empirica che si svolge all’insegna della “mascolinizzazione” e lo porta nel ruolo del finto yang.
Uomo finto yang Questo importante passaggio vede il finto yin guadagnare maggiore stabilità e acquisire un nuovo potere, più vicino alle sue radici empiriche. Pur se ancora alterata, questa fase lo avvicina allo stato di yang integrato. In realtà il finto yang è un uomo yin che si traveste da “macho” e ostenta una
forza
maschile
che
ancora
non
è
in
grado
di
sostenere
autenticamente, ma che ha cominciato a “fiutare” dandosi il permesso di esprimere la propria rabbia. L’uomo finto yang ha un grande bisogno di rivalsa che non riesce più a contenere; ha bisogno di esaltare il suo potere di guida e spesso, pur con grande dispendio di energia e anche a discapito della sua salute, tende a forzare i suoi limiti. L’uomo finto yang è un uomo di successo, sia nel lavoro che a livello sociale, iperattivo con forte attitudine al controllo; spesso non ha scrupoli e usa tutto ciò che è in suo potere per manifestare la sua virilità. Il finto
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yang cura molto la sua immagine esteriore cui affida il compito di testimoniare il suo successo. Rispetto all’uomo finto yin, l’uomo finto yang adotta un diverso strumento di difesa, sempre al fine di nascondere la sua paura originaria: si “lancia” nel ruolo maschile, e in tal senso potrebbe essere scambiato per l’uomo yang integrato, almeno a livello di immagine esteriore. In realtà tali comportamenti nascondono un morboso bisogno di affetto e grande tristezza e angoscia (indicatori passivi dell’ombra yin), a testimonianza che il finto yang non ha ancora radicato nel profondo i principi attivi del codice yang e non ha integrato in modo sano la carica secondaria. Lo stato di finto yang è l’ultimo punto dal quale è possibile tornare indietro e intraprendere il percorso di recupero dello yang integrato, prima di sprofondare nel baratro dello yang alterato da cui non c’è ritorno.
Uomo yang alterato I dittatori e i carnefici di ogni epoca rappresentano lo stato estremo di alterazione, lo yang alterato. L’uomo yang alterato ha spazzato via ogni ragionevolezza e senso della misura. E’ completamente anestetizzato dalle sue emozioni, la sua anima ha subito un indurimento irreversibile sviluppando un livello di cinismo e freddezza da non avere più rispetto per niente e nessuno. L’enorme stato di sofferenza e di disagio hanno portato lo yang alterato a blindare la sua anima dentro una cecità che gli impedisce ogni compassione e ogni sentimento. L’uomo yang alterato ha sviluppato il suo dolore trasformandolo in una mente diabolica e spietata che sfida la morte e soddisfa la propria brama di vendetta senza porsi più alcun limite e in totale assenza di scrupoli.
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Il potere esercitato con cinismo e in spregio della sofferenza altrui, il disprezzo totale delle regole e della vita umana sono gli unici principi che regolano la vita dello yang alterato, che sfida la morte ad ogni suo moto in un meccanismo perverso ai limiti della follia.
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6. IL PERCORSO PER TORNARE AL PROPRIO POSTO
Torniamo alla metafora della montagna, ai suoi percorsi, ai suoi misteri. Abbiamo finalmente deciso: siamo pronti ad affrontare il sentiero, e lo faremo con grande umiltà e rispetto. La prima operazione da fare è preparare lo zaino con l’attrezzatura, senza la quale non sarebbe possibile muovere neanche un passo. Abbiamo bisogno di metterci dentro tutto, e prevedere anche qualche indumento di ricambio, in caso di improvvisi rovesci e cambiamenti di clima: in montagna si va preparati, non si può improvvisare. Analogamente, per affrontare il nostro percorso empirico di crescita abbiamo bisogno di essere equipaggiati perfettamente, per far fronte alle difficoltà inevitabili e ai momenti di sconforto che rischiano di far vacillare la nostra determinazione ad andare avanti. Cominciamo a riempire il nostro zaino, vediamo cosa è indispensabile portare.
6.1 Il coraggio della verità Quando il sistema personale dell’individuo si discosta pesantemente dai valori empirici del libero fluire, egli non percepisce più il bene e il male come tali, e spesso confonde questi due moti. Si sente attratto da moti morbosi e allo stesso tempo rifiuta movimenti armonici poiché li ritiene non adatti a sé, e con il tempo tende ad essere dominato da tali deviazioni. Non è facile districarsi in questo groviglio di comportamenti alterati, azioni e reazioni empiricamente inadatte o fuorvianti; soprattutto non è facile cogliere i segnali che la nostra coscienza ci invia per farci capire che siamo su una rotta sbagliata. Tendiamo a rimuovere fino a quando,
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schiacciati dal peso del nostro debito, troviamo il coraggio di mettere in discussione il nostro modo di stare al mondo, partendo dalle ferite emotive più dolorose. Il coraggio della verità arriva quando ci rendiamo conto che non vogliamo più veder scorrere la nostra vita in una direzione sempre più lontana da quello che vorremmo, che tendiamo a ripetere sempre gli stessi comportamenti e a porre in essere situazioni deviate, attribuendo il perché di tutto questo agli altri, alla sfortuna o al destino.
Il coraggio di guardare le cose come stanno: osservare la nostra vita da molto vicino, come fa l’entomologo con l’insetto davanti alla sua lente di ingrandimento .... Il coraggio ci dà la forza di guardare le nostre ferite, che partono da lontano, consentendoci di togliere quell’infinità di maschere che via via
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abbiamo cucito sulla nostra pelle: la brava bambina, la prima della classe, la simpaticona, il maschiaccio, la donna seduttiva, la donna in carriera, la campionessa dell’efficienza, la donna autosufficiente a qualsiasi costo. Il primo passo della rinascita e dell’avvicinamento alla parte autentica e vitale del nostro essere è il coraggio di ammettersi di aver toccato il fondo e che continuare questa recita è troppo dispendioso.
6.2 Essere disponibili al dolore Affrontare il dolore è un’esperienza ardua e al limite della nostra comprensione. E’ un salto nel buio e nelle ferite profonde che ci portiamo addosso da sempre, da quando abbiamo coscienza di noi, dalla nostra infanzia. Il nostro debito è diventato per noi una seconda pelle, un “destino” da accettare e portare sulle spalle. Quando l’ingente quantità di debito ci obbliga a gettare via la maschera, siamo costretti a vivisezionare il nostro dolore, e nel farlo abbiamo bisogno comunque di deporre sull’altare sacrificale i nostri malesseri fisici, emotivi, o psichici. Siamo così costretti ad ammettere che i nostri genitori ci hanno dato una qualità di amore insufficiente ai fini empirici, che la consegna familiare ereditata è stata malsana. Siamo obbligati a rivedere tradimenti ed abbandoni subiti, dolori che noi stessi abbiamo inflitto, responsabilità empiriche per azioni o non-azioni verso noi stessi o verso gli altri. Siamo chiamati a smantellare la montagna di atteggiamenti deviati che nel corso della vita, giorno dopo giorno, abbiamo accumulato e occultato tenacemente. E’ questa l’unica via per poter imparare ad accettare e neutralizzare il dolore che ci ha portato fuori strada; e, ancor più importante, abbiamo
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bisogno di comprendere che questo processo necessita di tempo per essere integrato e trasformato. Aumentando lo spazio del cuore impareremo anche a contenere il nostro dolore e anche il dolore degli altri senza
spaventarci.
Soltanto
le
esperienze
emotivamente
forti
e
impegnative ci fanno progredire nella consapevolezza e ci permettono di ampliare il campo di azione delle nostre potenzialità vitali.
6.3 Rendersi consapevoli Affrontare la risoluzione del proprio debito porta con sé la necessità di assumersi le proprie responsabilità. Il sistema contempla vari ruoli che ciascuno di noi può interpretare nel corso della sua vita, passando dal ruolo di base del figlio o della figlia a quello dell’adulto. Quello del figlio è l’unico ruolo per cui non sono previste responsabilità attive: rientrando nella categoria del “piccolo”, il figlio ha soltanto diritti. Molto spesso accade però che il nostro debito ci costringa a rimanere nel ruolo di figlio anche quando la nostra età biologica ha superato di gran lunga tale fase, in cui invece saremmo chiamati ad entrare nel ruolo dell’adulto. Rendersi
consapevoli
comporta
la
necessità
di
rinunciare
all’innocenza (tipica del bambino) e prendere atto delle azioni compiute facendosi carico dei propri errori.
Siamo chiamati a rispondere anche
delle azioni mancate, a prescindere se lo volessimo o meno: non possiamo nasconderci dietro il gruppo, la famiglia, o nucleo nel quale siamo inseriti in quanto l’ordine prevede esclusivamente responsabilità individuali. Siamo responsabili anche se siamo stati coinvolti in un’azione senza che fossimo d’accordo, per non aver avuto la forza di tirarci indietro e
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affermare la nostra volontà : per ogni carnefice pronto a recare dolore e violenza c’è sempre una vittima che non riesce a parlare a proprio sostegno e badare alla propria difesa. Diventando consapevoli delle conseguenze delle nostre azioni o delle nostre azioni mancate, siamo costretti ad alzare lo sguardo e riconoscere finalmente tutti gli alibi che la nostra mente ha confezionato nel tempo.
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7. I MACIGNI DA RIMUOVERE
Lo zaino è pronto. Si parte. Il sentiero si snoda davanti a noi con i suoi molteplici tornanti, che ovviamente non siamo in grado di vedere: siamo tenuti ad affrontarli uno ad uno, quando si paleseranno dinanzi a noi. E’ fondamentale accantonare il pensiero del tempo che impiegheremo per raggiungere la vetta, perché questo ci distoglierebbe dal vivere appieno l’esperienza in cui ci stiamo avventurando. Il passo è lento e cadenzato e il respiro è collegato: la mente, il cuore e il corpo sono accordati all’unisono. Ecco il primo tornante, alla fine di questo viale ....
7.1 Riconoscere la propria la rabbia e affrontarla Non è facile riconoscere la rabbia, quel segnale che ci avverte che qualcuno ci sta facendo del male, violando i nostri diritti impedendoci di soddisfare adeguatamente i nostri bisogni e desideri. Le donne soprattutto, con l’educazione ricevuta nella famiglia e nella società, non sono mai state incoraggiate a riconoscere la propria rabbia e a manifestarla apertamente. Sono state educate per essere buone mogli e buone madri, tranquillizzare la famiglia e mettervi pace, risolvere ogni genere di guaio, accontentando, proteggendo e placando gli animi delle persone che stanno loro attorno. E’ difficile sentire la propria rabbia perchè il solo riconoscere di essere in collera potrebbe portare ad un rifiuto o alla disapprovazione da
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parte degli altri. E allora, per paura di perdere l’amore, impariamo a trattenerla . Perché si accumula la rabbia? Il bambino che non si sente amato prova rabbia perché subisce il reato più grave contro quello che la sua memoria ha codificato come diritto indelebile e fondamentale, ovvero quello di essere amato per il solo fatto di esistere. Anche il bambino educato senza regole, in maniera troppo permissiva, vive questo stato come mancanza d’amore. Il bambino che si sente abbandonato vive l’impotenza che genera il profondo senso di ingiustizia che è alla base della spinta rabbiosa, analogamente al bambino che subisce maltrattamenti e che per questo non può accedere al suo diritto di vivere il suo spazio interiore con l’intensità e i passaggi giusti. Prova rabbia il bambino che per guadagnarsi l’amore dei genitori è costretto ad essere il più bravo, il più intelligente, il più efficiente rispetto agli altri. Oltre a vivere l’ansia di essere sempre il primo della classe, sperimenta una notevole quantità di rabbia che lo costringe
ad un
atteggiamento sempre sfidante nei confronti del mondo, sempre pronto ad essere più bravo di chiunque e mai convinto di esserlo abbastanza. Prova rabbia il bambino il cui padre ha abusato della propria autorità e non gli ha permesso di codificare l’atteggiamento autoritario come segno d’amore nei suoi confronti, bensì come separazione tra loro. Il bambino vivrà o nel pieno impedimento ad accedere alla propria forza maschile che evoca terrore e risentimenti mai superati - o seguirà fedelmente le orme del padre, rivelandosi aggressivo e brutale nello stesso modo. Prova rabbia la vittima, che non sa accettare le esperienze della propria vita come fatti contingenti e li rifiuta non riuscendo ad integrarli. La vittima non si prende mai le responsabilità delle sue azioni e vive la vita
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con frustrazione, amarezza e rancore che si autoalimentano a livello profondo del proprio inconscio e si tramutano sempre in rabbia arretrata. Non perdonando se stessa, non lasciando andare le situazioni che hanno generato i traumi, la vittima rimane intrappolata in una prigione emotiva, senza nessuna via di fuga. Riuscire a “sentire” la grande quantità di rabbia che abita dentro di noi è la prima tappa del nostro percorso di consapevolezza, che ci porterà a comprendere le strategie vitali che abbiamo messo in atto nella nostra vita. Affrontare la propria rabbia arretrata permette di trasformarla in forza costruttiva e in atteggiamenti propositivi, non trattandola più quindi come un’emozione negativa ma come una insostituibile sorgente di forza vitale, che allontana la paura e
permette di riappropriarsi del proprio
equilibrio emotivo. L’approccio empirico consente di portare in superficie la rabbia arretrata che viene poi espulsa utilizzando adeguati ed efficaci metodi di rilascio emotivo; il corpo è l’attore principale di questo processo di purificazione, in cui la rabbia viene richiamata dalle profondità del nostro essere e scaricata all’esterno. Mediante diverse tecniche corporee di autoascolto è possibile successivamente elaborare ed integrare la scarica emozionale. Facendo leva sulla rabbia arretrata del singolo, l’approccio empirico tende a ristabilire l’equilibrio naturale della propria appartenenza biologica. Non è un percorso che si esaurisce in un’unica tappa ma necessita di svariati appuntamenti nel
tempo,
per
svuotare
definitivamente il “serbatoio” di rabbia arretrata.
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completamente
e
Per l’uomo, entrare in contatto con la propria parte aggressiva equivale ad avvicinarsi al proprio patrimonio emotivo Yang. Ripristinare tale
energia
non
significa
introdurre
nella
propria
quotidianità
atteggiamenti aggressivi e violenti, ma attingere alle parti positive del potenziale maschile (affrontare una situazione, prendere delle decisioni). Anche la donna ha bisogno di risolvere il problema della propria rabbia arretrata. Anche se questo può sembrare una contraddizione, per poter accedere integralmente alla sua parte più ricettiva e femminile la donna ha bisogno di allearsi al principio Yang rappresentato dall’emozione della rabbia. Fino a quando la figlia non ha risolto i suoi conflitti con i genitori non può accedere ai valori Yin poiché rimane intrappolata nella rabbia, tipica della eredità Yang.
7.2 Recuperare le radici
"Sembra che al giorno d'oggi all'uomo stiano veramente crescendo le ali, tanto si vola in alto; il progresso e la scienza stanno facendo passi da gigante ma contemporaneamente a tutto ciò purtroppo aumentano le guerre, le catastrofi ambientali e le paure dell'uomo. Le ali ci sono, mancano le radici". (da “Senza radici non si vola”, Bertold Ulsamer) Le nostre radici familiari costituiscono un’entità importante da affrontare ed assimilare. L’approccio empirico si ispira al metodo delle “Costellazioni familiari” dello psicoterapeuta Bert Hellinger e alla terapia sistemica della
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famiglia. La terapia sistemica aiuta a scoprire le dinamiche nascoste che legano una persona alla propria famiglia, offrendo l’occasione di conoscere meglio la propria realtà e quella degli altri membri familiari e indicando un modo più appropriato e soddisfacente di rapportarsi a loro. Le costellazioni familiari sembrano provare che ogni famiglia, ogni stirpe, ha un proprio campo cosciente con il quale si può entrare in contatto per avere importanti informazioni su ciò che disturba o favorisce l’equilibrio nelle relazioni affettive. Le costellazioni familiari si basano sulla partecipazione di svariate persone, in grado di rappresentare il campo di influenza di una famiglia: esse aiutano l’individuo a scoprire le dinamiche nascoste che lo legano agli altri membri familiari e spesso lo obbligano a vivere a sua insaputa il destino di uno di loro.!! L’approccio sistemico tende a restituire ad ogni persona la propria dignità, spesso reintegrando nel sistema coloro che sono stati condannati, esclusi o dimenticati, in modo che possano anche sostenere l’evoluzione degli altri. Le persone presenti alle costellazioni sentono che c’è qualcuno o qualcosa che le tocca nell’intimo e le aiuta a riconoscere e ad assecondare i moti più profondi del cuore, nel pieno rispetto della dignità e del destino di ogni membro della famiglia o del sistema a cui appartengono, in sintonia con ciò che è.! L’approccio empirico - attraverso una sorta di mappa fisico-emotiva dalla quale ricostruire le dinamiche interne di gruppo e personali – permette di esplorare e comprendere i rapporti familiari. Una volta riconosciuto il legame esistente con essa e una volta viste e condivise chiaramente le responsabilità è possibile staccarsi dalla propria famiglia e sentirne la forza alle spalle. Solo a quel punto la persona si può alleggerire e può dedicarsi a sé stessa, non più oppressa e prigioniera del passato.
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7.3 Il campo familiare L’approccio empirico considera la famiglia come un sistema o campo energetico relazionale, governato da regole precise che si perpetuano nel tempo, nel corso di generazioni. Possiamo paragonare la famiglia ad un sistema dinamico, dove ad una disarmonia avvenuta in un certo momento segue una reazione tesa a ristabilire l’equilibrio. Accade così con i sentimenti non espressi, con i sensi di colpa o con i membri della famiglia allontanati ingiustamente. I nuovi arrivati percepiscono quel tipo di energia, la accolgono e la vivono, possono provare gli stessi sentimenti o assumere comportamenti simili ai propri antenati, spesso restando attaccati tutta la vita a comportamenti che di fatto non sono i loro. Bert Hellinger definisce questo fenomeno “irretimento”. L’irretimento agisce al di sotto della consapevolezza e si verifica allorché un componente della famiglia interpreta un ruolo non suo, ma quello di una persona che energeticamente ha lasciato un “vuoto”. I bambini possono rimanere irretiti fino all’età adulta nei rapporti con questi familiari, ed a questo si possono far risalire fenomeni quali depressioni, sensi di colpa, disturbi psichici o anche la tendenza al suicidio. Causa di irretimento può essere, ad esempio, la morte precoce di un membro della famiglia, crimini e colpe gravi, destini particolari e abbandoni. Queste energie rappresentano un marchio a livello inconscio, per la propria evoluzione ed i propri sentimenti; Hellinger definisce “anima” la parte inconscia che fa in modo che i valori ed i destini dei predecessori continuino ad agire in un’altra persona, a vibrare in lei, spingendola a realizzare quel dato destino. La vita fluisce ai figli tramite i genitori, ma ognuno è responsabile del proprio destino, ed in una condizione armonica nessuno può prendere il
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posto di un altro. Per Bert Hellinger: «ciò che accade per amore e che
grazie all’amore viene conservato, può essere annullato solo nell’amore». In una famiglia i figli portano su di sé energie ed irretimenti sempre e solamente per amore. I motivi della compromissione del rapporto fra padri e figli derivano in genere dal sistema di origine: una causa sistemica importante è data, per quanto possa sembrare stupefacente, dai compagni precedenti dei genitori; talvolta può accadere che un ex partner venga “sostituito” inconsapevolmente da un figlio, e ciò crea grandi problemi relazionali qualora non si ripristina l’ordine dovuto. Essere genitori è un atto di grande responsabilità, nei rapporti di coppia i genitori dovrebbero sempre prendersi la responsabilità delle loro azioni, riconoscendo in modo consapevole quanto di bello e di meno bello è stato da loro condiviso, lasciando così i figli fuori da ogni decisione riguardante il loro stare insieme come coppia. L’uomo che non rispetta la sua donna non potrà rispettare il principio femminile neanche in sua figlia. Un figlio fa sì che si costituisca un legame molto forte per la coppia, ma è fondamentale comprendere che l’amore per il partner viene prima dell’amore per il figlio. Là dove il figlio è nato dall’unione della coppia, in caso di separazioni la gerarchia dei valori si modifica. Se compare un nuovo partner, l’amore per il figlio ha la precedenza sull’amore per il nuovo partner. Se non si segue tale ordine si andrà incontro ad un insanabile discordia.
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7.4 Il debito di base
Chiunque abbia possibilità di studiare l’effetto di una madre dotata di genuino amore per se stessa, può vedere che non c’è niente di più utile che dare a un bambino l’esperienza di ciò che è amore, gioia, felicità, che solo può ricevere il bambino amato da una madre che ama se stessa."!
(da “L’arte di amare”, Erich Fromm) La violazione del diritto legittimo del bambino di essere amato, di essere al suo posto nel ruolo di “piccolo” si trasforma in debito e da adulto lo porterà ad avere attrazione per l’ombra, mentre se avrà ricevuto una degna qualità di amore sarà attratto dai moti dell’amore.
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Di solito il bambino acquisisce il debito per l’incapacità dei genitori di potergli donare una qualità d’amore sufficiente ai fini empirici. I genitori possono insegnare al figlio soltanto ciò che essi stessi hanno appreso dai loro genitori. Quando il figlio nasce da una coppia alterata, ovvero proviene da un rapporto di co-dipendenza, neanche lui potrà accedere all’amore quando sarà grande. La cosa più preziosa che i figli prendono dai propri genitori, a prescindere da chi essi siano e da cosa potrebbero aver fatto, è la possibilità di vivere. Ricevendone la vita, i bambini acquisiscono i loro genitori, che sono per loro i soli possibili. I figli non possono aggiungere, sottrarre o scartare nulla dalla vita che ricevono, ed è altrettanto impossibile che i genitori aggiungano o trattengano alcunché quando donano se stessi ai propri figli. Tra le cose che i genitori non devono dare ai figli, e che i figli non devono accettare, ci sono i debiti, le malattie, gli obblighi, il carico di situazioni pesanti, le ingiustizie patite e perpetrate. E’ compito dei genitori proteggere i figli dagli effetti negativi di queste cose, e i figli devono poter contare sul fatto che i genitori affronteranno il proprio destino nel modo che riterranno più opportuno. I bambini si comportano come se l’amore non possa prevedere alcuna differenza tra loro e i genitori,
e l’essere diversi possa invece
portare alla separazione e alla perdita. Questo assunto inconscio sull’amore fa nascere nel bambino il bisogno istintivo di stabilire un forte legame con i genitori attraverso la somiglianza. Spesso i bambini piccoli imitano apertamente i loro genitori, a volte anche nella sofferenza; in tal modo, pur trattandosi di un processo inconscio, essi perpetuano le sventure dei genitori copiando i loro comportamenti.
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Talvolta i figli sono portati a prendersi cura dei genitori facendosi carico dei loro problemi. Ma ciò è dannoso poiché, comportandosi come loro e cercando di dare invece di ricevere (diritto empirico di ogni bambino), invertono il flusso degli scambi, e senza volerlo, alimentano la sofferenza. L’amore si realizza al meglio nella famiglia in ciascuno ha il suo ruolo: i genitori fanno i genitori e i figli fanno i figli. Talvolta i figli temono di avere lo stesso destino dei genitori pur amandoli. Esternamente li rifiutano sforzandosi di essere diversi da loro ma, segretamente, li emulano attirando situazioni di vita in cui fanno un’esperienza simile a ciò che i genitori hanno vissuto. L’ordine del dare e del ricevere di una famiglia viene stravolto quando i genitori non hanno avuto abbastanza dai loro genitori, o quando come coppia hanno avuto pochi scambi. Allora si aspetteranno che siano i figli a soddisfare i loro bisogni emotivi, costringendoli a sentire il peso di questa responsabilità.
7.5 Riscattare il debito e accettare “il testimone” Il debito di base costituisce una matrice empirica ben precisa, in quanto collega l’individuo sia all’ombra che all’eredità della stirpe. Per riscattarlo, egli ha bisogno di allontanare la sua paura di rivivere lo stesso abbandono del passato. Non è facile accettare la realtà e prendere atto che i nostri genitori senza esserne consapevoli - ci hanno ferito rendendoci insicuri, timorosi, deboli o al contrario aggressivi oltre ogni ragionevolezza. Occorre avere la forza dell’adulto per contenere tale sentimento, e finché restiamo bloccati nel ruolo empirico del figlio continuiamo ad incolpare i nostri genitori,
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anche se abbiamo abbondantemente superato quell’età. In questo modo non possiamo accedere all’amore: l’amore adulto – a differenza dell’amore del piccolo che è sempre basato sulla pretesa e sul bisogno - si basa sull’accettazione. Prendendo il coraggio di vedere le cose per come realmente sono, sapremo trasformare il nostro bisogno nella capacità stare al nostro posto. Vedremo i fallimenti dei nostri genitori, i loro limiti e le loro delusioni, augureremo loro di affrontare il proprio destino come meglio possono e comprenderemo che hanno fatto quello che potevano essendo anche loro obbligati da un forte debito. Aprendo il cuore alla compassione, ci inchineremo dinanzi a loro per ristabilire l’equilibrio e l’ordine. Saremo finalmente in grado di andare oltre, e godere della vita che da loro è passata a noi. In quel momento avremo risolto il nostro debito con l’accettazione di tutto ciò che ci ha tramandato la nostra stirpe, nel bene e nel male.
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Grazie all’amore saremo capaci di invertire la rotta della nostra stirpe: il testimone che prenderemo in mano sarà più “pulito” e chi lo riceverà da noi avrà una vita senza debito arretrato. Una volta riscattato il debito, i nostri comportamenti – non più obbligati - si modificheranno e ciò contribuirà a portare chiarezza nei rapporti familiari generando nuova energia che si riverbererà positivamente in tutta la famiglia. Arriviamo al perdono, dopo essere passati dalla consapevolezza del debito, alla sua accettazione, alla sua risoluzione. Perdoniamo i genitori e perdoniamo noi stessi per essere stati incastrati per così lungo tempo nella spirale di risentimento e aspettative tradite. Il perdono ci renderà finalmente liberi.
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8. PROSEGUENDO NEL PERCORSO 8.1 Dare vita al corpo Lo stile di vita attualmente prevalente a livello sociale ci ha portato ad essere sempre più dissociati dal nostro corpo. La vita del corpo è il sentire: sentirsi vivo, vibrante, buono, eccitato, irato, triste, gioioso, soddisfatto. E’ la mancanza del sentire o la confusione riguardo a questo aspetto che porta la sofferenza. La cultura “civilizzata” ha generato e alimentato in modo sempre crescente la dicotomia fra corpo e mente. E la maggior parte delle culture hanno dovuto sviluppare un modo per mantenere il flusso vibrante della vita del corpo, contrastando le esigenze opposte della vita intellettuale. Una delle vie principali adottate dalle culture occidentali per mobilitare e lanciare una sfida al corpo è stata quella dello sport; i Greci, che furono i primi a capire l’importanza della vita del corpo, davano un’importanza enorme all’attività sportiva. Oggi purtroppo l’atteggiamento legato al corpo è pesantemente incrostato di considerazioni legate all’io: la soddisfazione dello sport passa in secondo piano rispetto alla soddisfazione che l’io trae dalla vittoria. La competizione, la pulsione dell’io al successo spesso negano direttamente il valore di stimolazione e liberazione del corpo. E’ necessario invece mantenersi costantemente in contatto con il proprio corpo per mantenere la vita: esercizi di bioenergetica, di yoga, di respirazione possono contribuire a promuovere l’espressione di sé, a schiudere la vita interiore del corpo alimentando al tempo stesso la sua estensione nel mondo. Emozioni e desideri, aspettative e proiezioni, pensieri ed abitudini hanno sempre un duplice aspetto: sono vissuti dal corpo e dalla mente. In
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ogni emozione c’è una parte corporea, in ogni pensiero succede qualcosa sul livello scheletrico, muscolare, ormonale ed organico. Il corpo ha binari emotivi, istinti, abitudini, fame, intuizioni, voglie, intelligenza corporea, strategie del nostro fare. Il corpo comunica con esitazione, agitazione, rabbia, tristezza, letargia, percezioni, movenze, sentire, fame, sudore, voglie ...
Per capire ciò che accade quando reprimiamo le emozioni, è necessario comprendere di più riguardo alla circolazione di energia nel corpo. Nell’arte medica cinese dell’agopuntura, antica di 5.000 anni, la teoria è che ogni organo produce un tipo di energia specifica, chiamata “Chi”. Questo “Chi” è trasportato nelle migliaia di cellule e tessuti di tutto il corpo, e questo processo è compiuto attraverso un elaborato sistema conosciuto come “meridiani”, che possono essere quindi considerati come
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percorsi di energia attraverso il corpo. L’essenza dell’energia è differente a seconda di quale organo la produce: l’energia del fegato, ad esempio, ha una specifica vibrazione rispetto alla vibrazione dell’energia dei reni. Il concetto più interessante che possiamo imparare dalla medicina tradizionale cinese è quanto siano connessi gli organi e le emozioni. Le emozioni
irrisolte
si
riverberano
sugli
organi
e
sui
tessuti
che
corrispondono e sono collegati ad essi: ad esempio, una frustrazione prolungata e mal gestita può portare come conseguenza calcoli alla cistifellea o malattie alla cistifellea. Nel percorso di riavvicinamento e di “riscoperta” del nostro corpo possiamo stabilire un appuntamento quotidiano, al mattino o alla sera, in cui proviamo a guarire i nostri disturbi fisici o problemi emotivi e blocchi attraverso tecniche di acupressione e stimolazione dei meridiani. Ciò aiuterà il “Chi” a circolare attraverso il corpo e a portare in equilibrio l’energia degli organi. Picchiettando o massaggiando i vari meridiani possiamo focalizzarci sul disturbo fisico o sul problema emotivo e possiamo associare una affermazione specifica, ripetuta per ogni meridiano. “Io amo e accetto completamente me stesso con la mia paura
al livello più profondo, fin dalla prima volta che ho sperimentato questa paura, e ora scelgo di lasciar andare questa paura e tornare completamente nel mio potere di fiducia.” Questa frase di entrata, sempre uguale, sarà adattata alla emozione o alla qualità relativa ad ogni meridiano (rigidità, rabbia, frustrazione, mancanza di autostima, dubbio, ecc.). Al pari di un mantra, essa arriverà direttamente al nostro cervello, rappresentando un potente messaggio positivo.
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Imparare a “sentire” le parti del proprio corpo Alleniamoci a percepire il cuore, che meccanicamente è una pompa ma emotivamente è la sede dei nostri sentimenti, il canale di comunicazione con gli altri e dell’affettività. Com’è il nostro cuore? Aperto al mondo o chiuso e distante? Riusciamo a percepire le nostre mani, le nostre braccia che si protendono per toccare? L’amore che nasce dal cuore fluisce nelle mani, che sono fortemente cariche di energia: basti pensare al tocco dolce, tenero e carezzevole della mano materna. Un altro canale di comunicazione fra il cuore e il mondo passa per la vita e per la pelvi, per arrivare agli organi genitali, al sesso. E’ di primaria importanza rendersi consapevoli delle tensioni muscolari croniche che bloccano il libero fluire dell’espressione dell’energia vitale e dei sentimenti, comprendendo il momento in cui il corpo attua strategie di apertura o al contrario di chiusura. Come ci poniamo nei confronti del mondo? Con la testa ben ferma, le spalle morbide, il torace aperto, il bacino in avanti, le articolazioni sciolte, i piedi ben piantati per terra? O al contrario, con le mandibole contratte, le spalle e i trapezi in tensione, il collo rigido, il torace chiuso, il corpo proteso in avanti (in difesa), il diaframma bloccato, le cosce in tensione e l’articolazione del ginocchio contratta?
Lavorare sul proprio respiro La respirazione muta in base alle emozioni che proviamo: l’ansia blocca il respiro, l’ira e la passione lo accelerano, la concentrazione nella lettura o nella meditazione lo rallenta, la stanchezza o la noia impongono uno sbadiglio, indice della necessità per il corpo di assorbire un quantitativo supplementare di ossigeno, cioè di energia.
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Imparando a respirare a fondo e ad espirare - svuotando bene addome e torace - ci verrà naturale anche inspirare a fondo. Ci potremo allora appropriare della corrente di energia che entra nel nostro corpo. Assorbendola, saremo pronti ad affrontare con calma e determinazione anche le situazioni più difficili. La respirazione è un atto automatico, ma la possiamo controllare con la nostra
volontà:
impareremo
quindi
ad
aumentare
la
nostra
consapevolezza, le nostre difese immunitarie e conosceremo meglio noi stessi.
Affinare i nostri cinque sensi Con il tatto ci impadroniamo delle cose e stabiliamo una relazione con gli altri, accettando o meno di entrare in contatto; la vista, importante per la consapevolezza,
ci
può
permettere,
oltre
al
“vedere”,
anche
di
comprendere. L’olfatto, canale raffinatissimo, ci collega istantaneamente alle emozioni: un profumo, un odore possono realizzare nella mente una serie di reazioni inaspettate, risvegliandoci all’uso di sensi considerati di ordine inferiore ma che ai primordi della vita hanno avuto una importanza fondamentale (si pensi al neonato che con l’olfatto sente il profumo del seno materno, sua fonte di vita). L’olfatto ci guida nell’attrazione sessuale con altre persone, nel momento in cui avviene il riconoscimento olfattivo di sostanze prodotte dall’organismo e liberate attraverso i pori della pelle. Anche l’udito può essere allenato a discernere le vibrazioni che possono arrivare o meno dentro di noi. Possiamo decidere di escludere tutto quello che non ci serve sentire, concentrandoci solo sui rumori o suoni che ci fanno sentire in armonia con la natura e con noi stessi. Acquisire la conoscenza della nostra voce.
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Com’é la nostra voce? Il gioco delle domande per scoprire la nostra voce è un importante passaggio verso la consapevolezza. Parliamo con una una voce piatta, “grigia”, oppure con una voce “a colori”, simbolo di un’ampia modalità di autoespressione e di una ricca vita interiore? La nostra voce ha un tono unico, monocorde, che denota un carattere spento e con poca vitalità, oppure invece ha varietà nella gamma dei toni, indice di energia e coraggio nell’affrontare il mondo? Con quanto volume parliamo? Parliamo a voce alta perché vogliamo essere ascoltati oppure ci nascondiamo perché non abbiamo il coraggio di far uscire la nostra voce e di portarci quindi al centro dell’attenzione?
Porre attenzione al nostro rapporto con il cibo Il rapporto con il cibo ci dice qualcosa della nostra capacità di relazionarci: non sentirsi mai sazi di cibo è come non sentirsi mai sazi dell'amore che ci donano gli altri, giudicato sempre insufficiente. Si crea una grande dipendenza dagli altri e soprattutto una grande mancanza di fiducia e autostima, si mangia per riempire vuoti di affetti e ci si sente in colpa subito dopo per non riuscire ad aderire ai canoni dettati dalla società in tema di immagine. E’ importante imparare a gustare un pasto come momento di puro piacere, selezionando con cura quello di cui il nostro corpo ha bisogno, e onorando gli alimenti che andranno a nutrirci.
La “scoperta” del nostro corpo rappresenta la strada maestra per riappropriarci della nostra vita ed è il più bel dono che ciascuno di noi può fare a se stesso. Attraverso l’osservazione delle sue molteplici ed affascinanti modalità di espressione possiamo permetterci di ritornare alla
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centralità del corpo inteso come l’espressione tangibile della creazione e sentirci nuovamente collegati all’energia del libero fluire.
8.2 Ridimensionare il potere della mente Mentre il corpo si esprime attraverso le strategie del fare, la mente si esprime attraverso i pensieri e le parole. Mentre il corpo non mente, la mente, spesso, mente. Partendo da questo assunto, possiamo affermare che per arrivare a “sentire” e “percepire” in modo autentico è
necessario come prima
istanza mettere a tacere la mente. Non è un’impresa facile, perché la mente riveste un’importanza grande nella nostra vita, e la sua attività non conosce sosta. Nelle società occidentali soprattutto, la tendenza generale degli ultimi decenni verso un’autonomia e un individualismo sempre maggiori ha portato fra l’altro ad una minore disponibilità alla solidarietà e ad una maggiore competitività che a volte può diventare brutale, come ad esempio in ambiti universitari o lavorativi. Questa esasperazione dell’intelligenza razionale ha generato la pericolosa illusione che l’intelletto da solo potesse fungere da timone nella nostra vita: ma ormai ben sappiamo che la mente ha una visione parziale e fallace della realtà, e che i suoi limiti vanno necessariamente integrati con i moti della sfera emotiva, corporea e sensoriale. La persona che presenta un sentire alterato non percepisce la realtà per quello che essa rappresenta realmente, e di conseguenza agisce e reagisce in modo inappropriato. Essa tenta di “capire” laddove il sentire non è più capace di accedere, ”inventando” tutto ciò a cui non riesce a
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risalire spontaneamente. Talvolta la mente aggiunge o toglie qualcosa di suo, e devia in questo modo il senso armonico della situazione stessa. In questa modalità alterata la mente si rafforza sempre più e consolida la sua pretesa di voler interpretare la realtà con i soli mezzi intellettivi, rifiutando ogni dubbio riguardo alla propria attendibilità. Ciò non fa altro che allontanare l’individuo dal libero fluire per continuare a fare “di testa propria”, aumentando il suo debito. Nel percorso empirico di evoluzione personale, lungo i vari tornanti del sentiero che ci avvicina al nostro posto c’è una tappa molto importante, ed è quella in cui la persona acquisisce la capacità di riconoscere il momento in cui la mente razionale prende il sopravvento su quanto essa non vuole vedere. Procedendo nella sua crescita, l’individuo ha imparato a dare fiducia al suo corpo e a rispettare i suoi segnali e si lascia guidare, si affida alle sue sensazioni con molta fluidità. Ha acquisito la capacità di entrare in contatto con il suo respiro: è dunque in grado di porsi in ascolto con il desiderio di dare attenzione a tutte le percezioni e le vibrazioni che arrivano da ogni punto del suo essere. Ha imparato ad essere onesto con se stesso e ad assumersi le responsabilità delle sue azioni o non-azioni. La lezione è molto chiara: perché dirsi bugie quando poi queste presentano inesorabilmente il conto? Accade allora che la persona riesce a percepire in un lasso di tempo sempre più breve se
si sta auto-
ingannando aggiustandosi la versione dei fatti, e il perché questo sta accadendo: in quel momento è libera di scegliere se affrontare o meno ciò che si cela dietro questo inganno.
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8.3 Eliminare la critica e il giudizio Esiste una importante differenza fra la parola “critica” e la parola “opinione”: la prima è gratuita e ha una valenza in genere accusatoria, mentre la seconda è un atto di confronto e viene fornita solo su richiesta, all’interno di un contesto che lo richiede. La critica si rivela come tale quando viene esplicitata senza che la situazione lo richieda, invadendo in questo modo lo spazio altrui senza avere avuto il permesso per questo. Non esiste la critica costruttiva: la critica è sempre negativa, non solo per gli altri, ma anche per se stessi perché interferisce gratuitamente con la sensibilità altrui e propria. Molte persone hanno fatto di critica e giudizio un modo di vita.
A prescindere dai critici di professione, non interessanti ai fini della presente trattazione, ci sono persone che hanno un bisogno - quasi vitale di criticare e giudicare sempre, in qualsiasi situazione. Tale atteggiamento
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rivela un debito di base ingente: chi critica e giudica “a prescindere” è in costante atteggiamento di difesa, vive adottando strategie di chiusura, e ha bisogno della prontezza per controbattere ai presunti attacchi altrui. Questo tipo di approccio induce normalmente la persona ad aspettarsi sempre il peggio dagli altri, interpretando ogni moto nei propri confronti come un probabile affronto. Un proverbio popolare recita “Il gatto della dispensa quello che fa
degli altri pensa” ... Un’affermazione semplice,
come lo sono tutti i
proverbi, ma estremamente veritiera ed efficace. Così, coloro che vedono dietro ogni azione di un altro la tendenza ad imbrogliare sono tendenzialmente sempre pronti a ingannare a loro volta; le persone che interpretano abitualmente male il comportamento altrui, evidenziandone la visione più negativa, hanno la tendenza essi stessi a comportarsi in tale maniera. Chi vede sempre un doppio senso a scopo sessuale dietro ogni affermazione altrui compensa in tal modo la propria insoddisfazione in tale ambito. In tutte queste situazioni spesso la persona avverte la presenza del proprio debito come un peso insostenibile, per quanto sia pronto ad usarlo a proprio vantaggio; ma la sua assoluta necessità di controllo, la negazione del libero fluire non fanno altro che aumentare il suo debito. Coloro che tendono sempre a criticare e giudicare gli altri adottano anche verso se stessi lo stesso atteggiamento: anche questo è indice di un debito ingente, in cui la rigidità e l’inflessibilità denotano separazione da sé e mancanza di compassione verso le proprie debolezze o mancanze.
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8.4 Nutrire l’anima Un’altra fondamentale tappa del percorso di avvicinamento al proprio posto è rappresentata dal nutrimento dell’anima, che ha bisogno di essere alimentata e fortificata con amore e costanza per potersi sentire legittimata e rafforzata. Abbiamo visto come il nostro corpo, che è un sistema energetico, venga intaccato dalla tossicità di pensieri negativi, dalle emozioni negative irrisolte, dai copioni personali che portiamo avanti a nostra insaputa e che ci allontanano dalla nostra essenza. Occorre prendere confidenza con la nostra parte spirituale, e anche se indubbiamente questo prenderà del tempo, è bene non lasciarsi intimorire dalla mancanza di confidenza e approcciare con amore e determinazione.
Sarà possibile sperimentare nella nostra vita equilibrio, gioia vera, armonia e amore incondizionato quando i nostri corpi fisico, mentale, emozionale e spirituale saranno allineati su un livello di frequenze superiori, più “sottili”.
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Riallineare le nostre frequenze significa fare un’operazione simile all’accordare le corde di uno strumento fino ad ottenerne il suono perfetto. Più elevate sono le frequenze che emettiamo, più autentiche saranno le esperienze di vita che saremo in grado di attirare. E’ auspicabile inserire nella nostra routine giornaliera uno spazio dedicato alla meditazione,
un appuntamento fisso con noi stessi – ad
esempio la mattina appena svegli - in cui sia possibile estraniarci dal contesto familiare e delle incombenze pratiche di tutti i giorni. E’ di fondamentale importanza essere costanti, non farsi distrarre dagli agenti esterni, dal suono del telefono, dai familiari, dall’idea di “non farcela”: con il tempo e la pazienza saremo in grado di acquisire la pratica e i risultati non tarderanno ad arrivare. La meditazione, pratica antica usata da migliaia di anni per rilassare il corpo fisico, calmare le emozioni e zittire la mente, è uno dei mezzi più potenti per stare nel grande silenzio dentro di noi, ogni giorno. Oltre a facilitare un riallineamento effettivo dell’energia, la meditazione ci permette di aprirci alla nostra guida interiore, di imparare ad ascoltare la quieta voce del nostro sé divino, fino a sentirla forte e chiara. Attraverso la meditazione entriamo in contatto con il nostro respiro, ci colleghiamo con l’universo al di fuori di noi, e possiamo relazionarci con i nostri cinque sensi, uno ad uno; usando l’immaginazione possiamo creare delle visualizzazioni, esattamente come accade ad un pittore a cui viene data una tela bianca. La nostra immaginazione - il pennello e i colori - è semplicemente uno strumento, un mezzo per un fine. Qualsiasi cosa su cui ci focalizziamo avrà la possibilità di crescere e manifestarsi, alla stregua di semi che piantiamo oggi per la nostra realtà di domani.
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9. IN CIMA ALLA VETTA
Ho lasciato l’ultimo tornante alle mie spalle, sono giunta alla fine del sentiero! Il corpo è tramortito dalla fatica, le gambe sono malferme per la stanchezza, ma sotto la pelle ogni cellula del mio corpo esulta per la gioia e la soddisfazione di essere arrivata fin qui. Dalla vetta si distende un paesaggio di una bellezza che toglie il fiato: i profili delle montagne si stagliano contro il sole, grappoli di nuvole si rincorrono in una danza incessante, corsi d’acqua corrono a nutrire la terra per poi finire in mare... ****************
Sono tante e preziose le consapevolezze che ho acquisito nel mio appassionante percorso di crescita per ritornare al mio posto attraverso l’approccio empirico. Sento con certezza che le porterò con me, sempre.
9.1 Provare amore per se stessi L’individuo che sta al proprio posto ha appreso l’amore per se stesso, che è l’unica chiave per interpretare l’armonia e la completezza del libero fluire. Non possiamo entrare in contatto con l’immensità della creazione e con le altre creature che la compongono se non proviamo un sincero amore per noi stessi, unito al rispetto e all’accettazione. E’ fin troppo facile per ciascuno di noi accettare la nostra parte “luce”, la parte di noi di cui siamo fieri e che esibiamo senza remore. Essa
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contiene i nostri talenti e le qualità empiriche che più si avvicinano ai principi genuini del nostro essere: l’amore, la gioia di vivere, l’entusiasmo. Più difficile è accettare il rovescio della medaglia, la nostra parte “ombra”. Essa si sostanzia nei moti legittimi della cattiveria, perfidia, paura, aggressività, violenza, prepotenza, a seconda del proprio sesso biologico. La parte ombra viene percepita come troppo minacciosa o insopportabile, motivo per cui si tende a nasconderla, se ne ha troppa paura. Allontanando la sua ombra, l’individuo rinnega una parte di sé senza comprendere che essa gli appartiene tanto quanto la parte luce, e soprattutto lo riguarda da vicino perché è l’espressione dei nodi non risolti del suo vissuto. L’individuo che è al suo posto legittimo ha realizzato uno dei principi fondamentali dell’ordine empirico, quello dell’inclusione: egli ha avuto il coraggio di attraversare la propria ombra, consapevole che ciò gli avrebbe arrecato dolore e disorientamento, ed è riuscito ad accettarla per quello che è. Rientrati al proprio posto non ci si può esimere dall’acquisire il proprio potere personale, per quanto grande possa essere la paura di prenderlo in mano. Essere in possesso del proprio potere significa saper parlare a proprio sostegno, sempre, avendo però potuto evolvere la propria coscienza. Significa prendersi lo spazio senza invadere, ma con la convinzione di meritarlo. Colui che è al proprio posto è finalmente uscito dalla gabbia del perfezionismo a tutti i costi, e ha accompagnato con fermezza alla porta il suo giudice interiore. Ha compreso che la perfezione è un alibi che paralizza ogni tentativo di fare e qualsiasi espressione dei suoi potenziali talenti, e che l’essere umano è unico nella sua imperfezione.
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La persona che ha appreso l’amore per se stesso ha imparato a portare a termine i suoi progetti: ha superato l’angoscia della perdita che vive il bambino quando termina un compito a lui affidato ed è diventato un
adulto costante e perseverante nella realizzazione dei suoi obiettivi, sperimentando così un senso di pienezza e di autorealizzazione.
9.2 Accedere alla capacità di sentire Recuperare il proprio sentire è la conditio sine qua non per tornare in ascolto di se stessi e per mettere a tacere la mente. In un’epoca di ipertrofia mentale come la nostra, in cui ogni aspetto della nostra vita viene passato al setaccio della mente razionale e della connessa velocità di pensiero, la strada per ritrovare il proprio “posto” passa per la tappa obbligata del controbilanciamento della mente e del suo delirio di onnipotenza.
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E’ fondamentale per la propria sopravvivenza ridimensionare la presenza assillante della mente e ristabilire un equilibrio tra essa e le altre componenti della propria coscienza. La mente deve tornare al suo posto quello dell’intelligenza analitica - accanto al quale è necessario coltivare e far crescere l’intelligenza empirica, che può compensarla, essendo alla base di ogni nostro fare, di ogni moto interiore e relazionale. La persona che sperimenta l’unione ha raggiunto l’armonia con se stessa, passando per la disciplina del corpo, della mente, dell’intelligenza e della coscienza. Ha la consapevolezza di sé e la porta con naturalezza nel mondo esterno a sé: si percepisce come un organismo sano e vivo, parte del corpo dell’umanità intera.
9.3 Accogliere ciò che è Accogliere ciò che è, accettando senza giudicare anche le proprie parti di ombra: questa è l’unica condizione in grado di generare uno stato naturale di serenità e di pace interiore, a prescindere dalle circostanze esterne. Soltanto chi ha integrato la propria ombra è capace di non farsi inghiottire da essa e di vivere forme di entusiasmo e di leggerezza, riuscendo a trarre le proprie risorse da una profonda fiducia nel fluire della vita. L’individuo che ha affrontato e risolto il proprio debito sistemico riesce a sentirsi vivo, dinamico e grato verso la vita, poiché è in grado di accettare i propri limiti sia fisici che morali. Accogliere ciò che è significa affrontare l’esistenza senza troppe aspettative, atteggiamenti morbosi o compulsivi, perché la persona ha già scoperto e debellato le proprie strategie di autoinganno. Essa riesce a
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mantenere l’equilibrio tra la mente, la sua forza totalizzante e gli spazi del proprio sentire, e non cade nella trappola della paura o della rabbia.
9.4 Vivere nel libero fluire L’individuo che è al “suo posto” all’interno dell’ordine armonico sperimenta la condizione del libero fluire, ossia dell’equilibrio naturale, e vive il senso di appagamento che gli deriva dall’amore, la massima e più naturale espressione di ogni slancio vitale alla base degli atti dell’individuo. La condizione di pienezza e di gioia di vivere si riflette in tutti gli ambiti della sua esistenza, e l’individuo è in grado “naturalmente” di rispettare l’ordine.
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Nell’approccio empirico il concetto di amore non viene inteso solo nella sua accezione romantica di legame affettivo e sentimentale, ma essenzialmente come disponibilità della persona a mettere in atto strategie di apertura e di flessibilità. Imparare a perdonare, lasciare andare le situazioni o le persone che ci hanno ferito, e accettare gli altri come sono, e non fingere di apprezzare qualcosa che in realtà non ci piace. Allargando lo spazio del cuore, coltivando l’ascolto attivo e l’empatia, potremo imparare a contenere le nostre emozioni per essere in grado a nostra volta di contenere le emozioni altrui senza farci travolgere. L’amore rende possibile coltivare l’arte della fiducia e della pazienza, concedendo alle nostre consapevolezze di maturare dentro noi stessi con i nostri tempi. Cercando di sperimentare il “qui e ora possiamo vivere e godere del nostro presente, senza farci distrarre dal passato o da proiezioni per il futuro. Diciamo completamente “sì” all’esperienza che stiamo facendo nel momento in cui la facciamo e rimaniamo immersi nel presente. Impariamo dai bambini che si immergono completamente nei loro giochi dimenticandosi di sé. “Io sono”, e non “io sono stato” o “io sarò”. Nella prima affermazione c’è già tutto, il nostro corpo fisico unito alla scintilla del divino, in quanto ogni essere umano è unico e perfetto nella sua imperfezione. Come afferma Wayne Dyer: “C’è già un David di Donatello in ognuno di
noi, basta liberarlo del marmo in eccesso”.
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Espandere la nostra coscienza individuale fino a sentirci
parte
dell’universo, l’immenso mondo della forma nel quale, giorno dopo giorno, ci troviamo a pensare e a respirare. Cercare di andare oltre la nostra storia individuale per confluire in un organismo più grande e sentirsi parte integrante di esso. Vivere la nostra dimensione di unicità e nello stesso tempo sentire di appartenere insieme agli altri alla medesima totalità, pensando all’umanità come un unico essere a noi stessi come singole componenti collegate fra loro.
Come affermava Albert Einstein: “Un essere umano è una parte del tutto che chiamiamo “Universo”, una parte limitata nello spazio e nel tempo. Egli sperimenta se stesso, i propri pensieri e sentimenti, come qualcosa di separato dal resto, in una sorta di illusione ottica della coscienza. Questa illusione è una sorta di prigione che ci restringe ai nostri desideri individuali e all’affetto per le poche persone che ci sono vicine. Abbiamo il compito di liberarci da questa prigione allargando il cerchio della compassione fino ad abbracciare tutte le cose viventi e l’intera natura nella sua bellezza.”
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10. LA MIA ESPERIENZA CON L’APPROCCIO EMPIRICO Il percorso con l’approccio empirico elaborato da Michel Hardy e i rispecchiamenti che ne derivano mi ha portato, come ho già affermato in precedenza, moltissime consapevolezze e ha ripulito la mia anima da tutta la cenere che si era depositata negli anni. Tuttavia, le resistenze sono dure a morire. A conclusione di questo mio lavoro, chiedo ancora qualche istante alla pazienza del lettore per raccontare l’ultimo tranello che la mia coscienza mi ha teso, liberandomi per sempre quando ho saputo disinnescarlo. Qualche anno fa, ad un passo dalla scrittura della tesina conclusiva, ho di colpo interrotto il mio percorso. Pur consapevole e grata all’universo per aver messo lungo la mia strada Michel Hardy, senza un vero perché ritenevo fosse arrivato il momento di volgere lo sguardo altrove. Credevo che, rispetto a tutte le importantissime consapevolezze sostanziali acquisite, scrivere e discutere una tesina fosse a quel punto una pura formalità. Dietro un comportamento che fino a quel momento avevo ritenuto naturale e istintivo si celava uno schema di autoboicottaggio che partiva da molto lontano nella mia infanzia.
Quando avevo dodici anni e ottime possibilità nell’atletica leggera, in una gara di mezzofondo, ad un passo dal traguardo e in netto vantaggio sulle avversarie, mi fermai di scatto e mi sedetti per terra con le braccia incrociate aspettando che la concorrente successiva, a decine di metri di distanza, mi sorpassasse incredula e vincesse al mio posto.
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A nulla servirono le urla con cui l’allenatrice mi incitava ad alzarmi e finire la corsa. Io vedevo solo mio padre, impassibile accanto a lei, e lo guardavo con occhi trionfanti e sfidanti. Lui - come sempre di fronte ai miei successi -
non mi avrebbe fatto nessun complimento per la mia
“scontata” vittoria. E allora perché concorrere? Perché sentire l’ennesimo pugno allo stomaco al suo solito commento: “Hai fatto la quarta parte del tuo dovere”? Basta, stavolta decidevo io. Non mi interessava il riconoscimento del mondo esterno, mi bastava sapere che ero in grado di vincere. Dopo una lunghissima gestazione, l’ultimo sprint del percorso è stato folgorante e mi ha fatto comprendere perché tante volte nella mia vita avevo evitato di “chiudere” i miei percorsi e delle false giustificazioni che mi davo. La svolta è arrivata quando ho sentito che non mi calzava più il ruolo di figlia: non volevo più ripetere lo schema della bambina che si distrae con mille cose e custodisce gelosamente i suoi talenti tenendoli tutti per sé. Desideravo invece agire da donna adulta che porta a termine i suoi progetti, “chiude” il cerchio e si rigenera con l’energia di tale scelta. Portare a termine il percorso significava onorare me stessa per l’impegno, la dedizione e il coraggio messi in campo. Non
potevo
assolutamente
immaginare
come,
da
questa
consapevolezza, potessero per incanto scaturirne tante altre, al pari di semi lanciati nella terra, piantati, germogliati e fioriti in un colpo solo. Sento il carattere definitivo di quest’ultimo passaggio: ho accettato ed integrato la mia parte ombra, riconoscendo che spesso la mia prima reazione è la paura di non essere all’altezza delle aspettative, e ho sentito che quella parte andava ascoltata, non evitata. La parte donna, adulta,
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cresciuta dentro di me in questi anni – e che alimento con grande cura – si è fatta spazio ed è arrivata per rassicurarmi. Si è messa al mio fianco con dolce fermezza, suggerendomi di lasciar vivere la mia parte autentica.
“non mi interessa che tu sia brava, mi interessa che tu sia vera” . Questa percezione sottile ma decisa è diventata la mia alleata, sostenendomi e donandomi la possibilità di accedere finalmente ad una dimensione molto più naturale e gratificante. Oggi posso affermare che la scrittura di questa tesina è stata “esperienziale” e non poteva essere diversamente, visti gli anni di lavoro con Michel Hardy che tanto mirabilmente mi ha insegnato a “sentire”. Agli inizi del percorso empirico mi sentivo enormemente “in credito” con la vita in tutti i campi: affettivo, lavorativo, nei rapporti interpersonali, sia con i familiari che con gli amici. Come abbiamo visto nel diagramma relativo alla metamorfosi empirica, ero nel ruolo della vittima rabbiosa. La psicoterapia classica mi aveva aiutato a far luce sui diversi aspetti della mia vita fornendomi delle chiare risposte. Esse però restavano per
me
ancora
acquisizioni
“teoriche”;
l’orgoglio,
la
rabbia,
il
perfezionismo, il senso di sfida che permeavano i miei atteggiamenti erano ancora presenti. L’approccio empirico, ponendo al centro della sua metodica l’esperienza e il “sentire” come molla per ripercorrere e rivivere i propri conflitti, mi ha portato ad entrare in contatto con i miei fantasmi attraverso il corpo, strumento principe per sperimentare le emozioni. Il corpo è entrato direttamente nelle mie zone d’ombra e mi ha fatto percepire in modo “totale” le mie difficoltà.
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Ora che il percorso mi ha indicato chiaramente qual’è il mio posto, scopro con grande piacere che la scrittura di questa tesina non rappresenta soltanto un traguardo ma è per me una nuova affascinante partenza. Chiuso un cerchio, se ne stanno aprendo tanti altri in un moto concentrico, a prescindere dalla mia volontà. Sta affiorando una sconosciuta ed entusiasmante sensazione di creatività unita al desiderio di “dare” agli altri, di emozionare. Se una delle qualità Yin è il dare forma alla struttura, sono pronta. Sento e vivo con grande naturalezza questa forza inarrestabile che si è messa in moto e che reclama il suo diritto di “plasmare” un contenuto che la mia vita ha reso molto denso e variegato e altro non chiede se non di essere rivelato.
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RINGRAZIAMENTI
Dal profondo del cuore, un ringraziamento immenso a Michel, che con amore e rispetto mi ha svelato una formidabile modalità per avvicinarmi al mio mondo interiore e risolvere i miei conflitti. Ho avuto almeno tre vite prima di quell’estate del 2002 che mi ha portato ad incrociare la mia strada con la sua. Questa nuova vita è la più bella e la più vera di tutte, non voglio cambiarla per niente al mondo! Grazie Michel per aver sostenuto le mie ribellioni e grazie per la tua pazienza. Qualche volta l’ho messa a dura prova, specie nell’approccio con la tecnologia ... Grazie a Giorgio, il mio compagno che l’universo mi ha concesso di incontrare in quello che per me è il “tempio” della consapevolezza, la sede di Ischia dove d’estate si svolgono i villaggi estivi della LUMH. La sua delicata fermezza, il suo appoggio costante e sincero, il suo amore mi hanno permesso di espandere i miei orizzonti e la mia sicurezza. La sua anima, la sua musica fanno il resto. Grazie Giorgio di essere al mio fianco. Grazie a tutte le persone che ho incontrato lungo il percorso, con le quali ho condiviso momenti intensissimi e unici, di gioia come di sofferenza, svelando gli aspetti più profondi ed autentici dei nostri cuori.
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Ognuno di loro mi ha donato qualcosa, tanti granelli di sabbia che sono andati ad appoggiarsi l’uno sull’altro dando vita ad una immensa distesa di anime sorridenti. Grazie a tutte le persone che fanno parte della mia vita, dai familiari, agli amici, alla vicina di casa ultranovantenne che mi sorride e mi augura ogni bene tutte le volte che mi sente arrivare dalle scale. Grazie a me.
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BIBLIOGRAFIA
La grammatica dell’essere – Michel Hardy Bioenergetica – Alexander Lowen I due volti dell’amore – Bert Hellinger Riconoscere cio che è – Bert Hellinger Intelligenza emotiva – Daniel Goleman Credere per vedere – Wayne Dyer La formula per la vita - Roy Martina L’albero dello yoga – B.K.S. Iyengar
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