Agency ai fini empirici - Raffaella GIRARDELLO

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LUMH LIBERA UNIVERSITA’ DI STUDI PSICOLOGICI EMPIRICI MICHEL HARDY F.A.I.P. FEDERAZIONE ASSOCIAZIONI ITALIANE DI PSICOTERAPIA

Agency o la sindrome di co-dipendenza affettiva ai fini empirici

di Girardello Raffaella

TESI D’ESAME Counselor in Discipline Psicologiche Empiriche


A Elena, l'amore pi첫 grande della mia Vita

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INTRODUZIONE Non si sceglie di avere una persona accanto per peggiorare la propria vita, ma per migliorarla; e se l'amore non porta a questo non è amore o è un amore “malato”. Osho

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La “dipendenza affettiva” è una delle dipendenze più difficili da capire, di cui rendersi conto, la meno tangibile: la persona che ne è affetta infatti non dipende né da droghe, né da alcool, né da cose, dipende da un cuore, da una speranza, da una presenza, da una persona. 

Che cos'è la dipendenza affettiva?

Chi è il dipendente affettivo?

Come si diventa dipendente affettivo?

Cosa alimenta la dipendenza affettiva?

E soprattutto come si esce dalla dipendenza affettiva?

L'intento della mia tesi è dare delle risposte a queste domande ed analizzare in chiave empirica alcune esperienze mie e di persone che ho incontrato lungo il mio percorso, iniziato alcuni anni or sono, presso la LUMH. Nel ricercare il tema da sviluppare ho incontrato profonde resistenze personali che mi bloccavano fino a farmi credere che era un argomento che non sarei mai riuscita a sviscerare; ma, contemporaneamente, quando cercavo altri temi, questo delle dipendenze affettive “sentivo” che mi apparteneva sopra ogni altro. Ho deciso allora di lasciarmi andare, di accettare tutte le mie perplessità e di partire con fiducia per questo “viaggio”. Mi sono resa conto di quante sfaccettature possa contenere l'amore nella sua espressione vitale e quanto possa diventare un disagio quando sfocia nella Agency, o strategia di non scelta. Quando si distolgono le proprie attenzioni dalle esigenze del proprio essere, per far piacere o adeguarsi alle esigenze dell'altro …..SI PAGA. L' Agency porta a sviluppare nei rapporti interpersonali strategie di “codipendenza” o “dipendenza affettiva”. La co-dipendenza è un doloroso gioco a due dove il dipendente vive un amore

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ossessivo, che lede la propria dignità, mentre l'indipendente fugge, perché incapace di accettare il rischio di amare. Abbiamo quindi uno che insegue e l'altro che scappa e molto spesso, quando il dipendente si stanca di inseguire e tenta di andarsene, i ruoli si invertono dando origine ad un meccanismo perverso dal quale è molto difficile uscire. Il rapporto di coppia si basa sul libero fluire del sentimento d'amore stabilito all'interno del codice empirico; i due partner coprono dei ruoli

specifici ed

interdipendenti che nell' Agency si deviano, perché sono portatori di una qualità affettiva “non sana” e legata al bisogno interiore d'affetto. In questo caso l'amore cambia connotazione in bisogno, perché l'amore è libertà mentre l'essere affetto da “dipendenza” trasforma il sentimento in un “mal d'amore” che affligge e distrugge.

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MAL D’AMORE “Se mai vi è capitato di essere ossessionate da un uomo, forse vi è venuto il sospetto che alla radice della vostra ossessione non ci fosse l’amore, ma la paura; noi che amiamo in modo ossessivo siamo piene di paura: paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, o abbandonate, o annichilite. Offriamo il nostro amore con la speranza assurda che l’uomo della nostra ossessione ci protegga dalle nostre paure; invece le paure e le ossessioni si approfondiscono, finché offrire amore nella speranza di essere ricambiate diventa la costante di tutta la nostra vita. E, poiché la nostra strategia non funziona, riproviamo, amiamo ancora di più. Amiamo troppo. Robin Norwood

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L’amore, nelle sue diverse forme di attaccamento e nelle sue manifestazioni più positive e più sane, rappresenta una importante capacità e, al contempo, un naturale e profondo bisogno di ogni essere umano. Talvolta, tuttavia, la frustrazione o l’assenza di esperienze serene di questo sentimento umano, frequenti nell’attuale società ricca di rapporti instabili, possono generare un disconoscimento o una negazione di questo bisogno, che rappresenta invece un importante ingrediente di un sano sviluppo psicofisico e di una buona salute mentale e fisica nella vita adulta. Quando un rapporto affettivo diventa un “legame che stringe” o, ancor peggio, una “dolorosa ossessione” in cui si altera stabilmente quel necessario equilibrio tra il “dare” e il “ricevere”, l’amore può trasformarsi in un’abitudine a soffrire fino a divenire una vera e propria “dipendenza affettiva”, un disagio psicologico che è in grado di vivere nascosto nell’ombra anche per l’intera vita di una persona, ponendosi tuttavia come la radice di un costante dolore e alimentando

spesso

altre

gravi

problematiche

psicologiche,

fisiche

e

relazionali. Una premessa è d’obbligo quando si parla di dipendenza affettiva: ognuno di noi è dipendente in qualche misura dagli altri, tutti noi abbiamo bisogno di approvazione, empatia, di conferme e ammirazione da parte degli altri, per sostenerci e per regolare la nostra autostima. La vera indipendenza non è né possibile né auspicabile. L'essere umano è portatore di due cariche empiriche ( lo Yin e lo Yang) complementari tra loro ed inscindibili; l'essere umano non è creato per vivere completamente solo, ma in sinergia ed armonia con altri esseri umani; se l'essere umano vivesse quale “eremita” non sarebbe in armonia con quanto previsto dal codice empirico e dalla sua natura. L'essere in relazione con gli altri rappresenta uno stato naturale ed armonico per l'essere umano; la dipendenza affettiva, quando questo avviene, può raggiungere una forma così estrema da diventare patologica. Le persone dipendenti sono schive e inibite, quando sono sole si sentono

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indifese: vivono nel terrore di essere abbandonate e sono letteralmente sconvolte quando qualche relazione stretta finisce. Una delle maggiori studiose di questo tipo di problematica è stata Robin Norwood , conosciuta ad un grande pubblico di lettori proprio per via di diverse opere su questo tema, tra cui la più nota dal titolo “Donne che amano troppo”. Nel suo libro l’autrice sottolinea le caratteristiche familiari, emozionali e le modalità tipiche di pensiero delle donne co-dipendenti. Sebbene alcuni autori utilizzino i termini di “mal d’amore”, “intossicazione d’amore” (o “intossicazione psicologica”) e “droga d’amore” tutti come sinonimi della “dipendenza affettiva”, in realtà vanno fatte alcune importanti distinzioni al fine di non patologizzare processi che possono essere transitori e perfino normali in alcune fasi della vita di relazione. “Mal d’amore” è un termine generico che indica una sofferenza che può essere legata ad uno stato affettivo e di interesse verso un “oggetto d’amore” non disponibile o di cui ancora non si conosce la disponibilità o, infine, di cui non si conoscono alcune caratteristiche che sono alla base di fiducia, stabilità e serenità della vita affettiva. Di

conseguenza,

è

possibile

che

questo

stato

di

malessere

sia

temporaneamente normale in seguito alla delusione del rifiuto e quindi alla notizia di una non reciprocità, che si pone come una ferita narcisistica e come uno smacco all’autostima, ma esso può essere altrettanto consueto (ma non necessario) nella fase iniziale di una relazione, soprattutto in quella più accesa e più passionale dell’innamoramento, prima che il rapporto si stabilizzi intorno ad alcuni “punti sicuri”. Quando si parla invece di “intossicazione d’amore” si fa riferimento ad una tendenza psicologica e comportamentale che può coincidere con la dipendenza affettiva: una condizione relazionale negativa che è caratterizzata da una assenza cronica di reciprocità nella vita affettiva e nelle sue manifestazioni all’interno della coppia, che tende a stressare e a creare nei “donatori d’amore a senso unico” malessere psicologico o fisico, piuttosto che benessere e

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serenità. Tale condizione, nella migliore delle ipotesi, potrebbe essere interrotta per ricercare un nuovo stato di serenità. Qualora ciò risulti impossibile si è soliti parlare di “dipendenza affettiva” o anche di “droga d’amore”.

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RICONOSCERE LE DIPENDENZE AFFETTIVE L'amore, che può essere definito una “droga”, è uno stato affettivo che in una coppia è destinato a portare alla distruzione della relazione. Esso si instaura in “coppie disfunzionali”, ossia in contesti relazionali-affettivi in cui in genere uno dei partner mostra segni di dipendenza verso l’altro. In alcuni casi la dipendenza è reciproca, e ciò genera una costruzione a due del disagio, e viene identificata come co-dipendenza. Possono essere distinte tre principali caratteristiche della “dipendenza affettiva” , che la connotano come una forma di “dipendenza”. 

La prima di esse è il piacere connesso alla droga d’amore , definito anche ebbrezza , ovvero la sensazione di euforia generata dalla presenza dell'amato e dal bisogno della sua gratificazione rispetto ai propri comportamenti.

La seconda caratteristica, è la tolleranza:

consiste nel bisogno di

aumentare la quantità di tempo da trascorrere in compagnia del partner,

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rinunciando al tempo autonomo proprio e dell’altro e ai contatti con l’esterno della coppia. L’assenza della persona da cui si dipende porta ad uno stato di prostrazione e di disperazione che può essere interrotto solo dalla sua presenza tangibile. 

Infine la perdita dell'IO che porta all'annullamento di sé a favore dell'altro, perdita di lucidità e presenza al mondo reale. Con questo il dipendente tende a idealizzare il partner perdendo la percezione della sua reale identità.

L’amore

dipendente,

conseguentemente,

si

mostra

con

le

seguenti

caratteristiche: 

è ossessivo e tende a lasciare sempre minori spazi personali;

è parassitario e basato su continue richieste di devozione e di rinuncia da parte del partner;

è caratterizzato dalla stagnazione e dall’autoassorbimento, ossia da una tendenza a ripiegarsi su se stesso e a chiudersi alle esperienze esterne per paura del cambiamento, soffocando qualsiasi desiderio o interesse personale in nome di un amore che occupa il primo posto nella propria vita.

La dipendenza affettiva colpisce soprattutto il sesso femminile, sono persone che hanno una scarsa autostima, sono insoddisfatte della propria vita e hanno una cattiva immagine di sé, per questa ragione tendono a scegliere partner problematici; sono convinte di non poter essere amate per quello che sono e, visto che non sono amate, si accontentano di essere indispensabili, anzi fanno di tutto per diventarlo. A volte, la dipendenza, può essere associata a disturbi post-traumatici da stress legati ad abusi o maltrattamenti, tanto da far pensare che siano tali eventi a far sviluppare forme affettive dipendenti. Più precisamente, il motivo, per cui esiste una grande differenza nella tendenza della dipendenza affettiva a manifestarsi più nelle donne che negli uomini, è l’esistenza di un diverso funzionamento psichico tra i due sessi e, in

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particolare, la presenza di una tendenza degli uomini a reagire diversamente ai traumi subiti rispetto alle donne. Una persona dipendente cerca il senso del proprio valore nell'approvazione degli altri. Alla base della dipendenza c'è sicuramente un problema di autostima: la dipendenza nasce da un cattivo rapporto con le figure di riferimento. Ciò porta ad un cattivo rapporto con se stessi, ad uno scarso amore per sé, al bisogno costante di appoggiarsi o di farsi sostenere da qualcosa o da qualcuno. La convinzione è che non siamo capaci di dire nulla e neanche di farci amare. La dipendenza è considerata una debolezza. Ecco perché i maschi non la manifestano chiaramente come le donne. I maschi continuano anche da adulti ad interagire con le cose, non con le persone. Quando non sono stati amati abbastanza e quando sono stati abbandonati, sviluppano una serie di dipendenze rivolte più alle cose che alle persone. I maschi, più delle donne, possono diventare alcolisti o tossicodipendenti. Molti diventano violenti, maneschi, ricatteranno e mortificheranno la persona che temono li abbandoni, lo faranno mostrandosi forti e facendo sentire l'altro sempre più debole e inadeguato. La dipendenza affettiva maschile diviene legittimata e “mascherata” da altri fattori: la gelosia, la rabbia e il rancore. Nelle donne, invece, si tende generalmente a rivivere ciò che si è subito, riproducendo le carenze o le violenze, nel tentativo illusorio di controllarle e di riscattarsi dal passato. Più l'amato tiene le distanze più il dipendente si attacca, sentendosi rifiutato e ignorato. Questo lo porta ad un profondo stato di inadeguatezza. Il dipendente è disposto a tutto pur di essere amato; a causa della sua scarsa autostima, giustifica e spesso si sente responsabile del cattivo comportamento del suo partner. Se il partner non lo rispetta, lo umilia, lo tradisce sente che questo dipende dal fatto di essere poco interessante, di non valere e di essere indegno

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d'amore e inconsciamente impara che il modo per meritare amore è proprio questo: UMILIAZIONE E NON RISPETTO = AMORE.

Bisognerebbe stare insieme soltanto perché si sta bene “con” e invece molto spesso si sta insieme perché si sta male “senza”. Solo se hai sconfitto la paura della solitudine sarai capace di amare. Solo se ami la solitudine, ogni momento vissuto con l'altro diventa una scelta d'amore. Osho

Nella dipendenza affettiva esistono elementi distintivi della vita emotiva interiore :  bisogno di sicurezza;  tendenza a riconoscere solo i bisogni dell'altro.  l’amare l’altro diventa spesso una forma di sofferenza: il benessere

emotivo, a volte anche la salute e la sicurezza, vengono messi a repentaglio per il benessere dell’altro;  troppa energia vitale e' impiegata nell’amare o nel ricevere amore e

approvazione, poca ne rimane nel raggiungimento di obiettivi personali;  le persone con difficoltà affettiva non riescono a prendersi cura di sé, a

creare degli spazi per la propria crescita personale, perché sempre prese da qualche problema del partner che richiede la loro attenzione e la loro

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energia vitale;  un atteggiamento negativo verso il Sé, per cui si ha un pensiero del tipo:

“io sono cattivo, gli altri sono buoni, mi trattano male per colpa mia, devo cercare di accattivarmeli”;  profondo senso di inadeguatezza;  convinzione che per essere amate devono sempre essere diligenti, amabili,

sacrificarsi per l’altro per poter ricevere il suo amore, anche quando questo vuol dire farsi male; 

la paura di cambiare: pieni di timore per ogni cambiamento, essi impediscono lo sviluppo delle capacità individuali e soffocano ogni desiderio e ogni interesse;

ossessione di bisogni irrealizzabili ed aspettative non realistiche;

convinzione che occupandosi sempre dell'altro la relazione diventa stabile e duratura.

Ciò che spaventa maggiormente il dipendente affettivo non è essere preso in giro, avere “le corna” o venire umiliato, bensì far fronte a quell'insopportabile rischio dato dalla possibilità dell'abbandono. La persona dipendente tenta allora di camuffare con destrezza la gelosia, per evitare di allontanare l'essere amato; nasconde la paura, i dubbi e le inquietudini, gioca a fare l'indipendente, ma dentro gli ribolle l'insicurezza. Quando si è dipendenti affettivi la gelosia, raddoppiata dalla paura di perdere l'altro, triplicata da una scarsa autostima, è una continua tortura interiore. Non è detto che tutti questi mali coesistano, ma quando si incontrano sono un pesantissimo fardello! Le situazioni di delusione e risentimento che si possono verificare li precipitano nella paura che il rapporto non possa essere stabile e duraturo, ed il circolo vizioso riparte, a volte addirittura "amplificato". Non ci si rende conto che l’amore

richiede

onestà

e

integrità

personale

perché

l’amore

é

accrescimento reciproco, uno scambio reciproco tra persone che si amano.

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un


Gli affetti che comportano paura e dipendenza, tipici della dipendenza affettiva, sono invece destinati a distruggere l’amore. Spesso, anche se non sempre e necessariamente, la persona amata é irraggiungibile per colui o colei che ne dipende. Anzi, in questi casi si può affermare che la dipendenza affettiva si fonda sul rifiuto; se non ci fosse, paradossalmente, il presunto amore non durerebbe. Infatti, la dipendenza si alimenta del rifiuto, della negazione di Sè, del dolore implicito nelle difficoltà e cresce in proporzione inversa alla loro risolvibilità. Quello che incatena nella dipendenza affettiva é l’ingiustificata, assurda, sconsiderata presunzione di farcela. La presunzione di riuscire prima o poi a farsi amare da chi proprio non vuole saperne di amarci o di amarci nel modo in cui noi pretendiamo.

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DEBITO EMPIRICO DI BASE E COSCIENZA PERSONALE L'individuo, fin dalla nascita, acquisisce un debito di base. Tale debito si sviluppa nei primi anni di vita con il rapporto tra lui e i genitori, a seconda della qualità e della quantità d'amore ricevuto. Ogni mancanza o insufficienza d’amore influenzerà il futuro della persona nei rapporti affettivi e in tutte le sue strategie vitali. Egli inconsciamente tenderà a ripetere le strategie vissute nella famiglia, perché ogni individuo acquisisce la consegna famigliare tramandata dai genitori, che a loro volta l'hanno ricevuta dalla loro Stirpe. Per quanto i genitori abbiano il desiderio di dare affetto al proprio figlio, spesso non sono in grado di generare una qualità e una quantità d'amore sufficiente

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al fini empirici. Infatti quando un figlio nasce da una coppia alterata, proveniente da un rapporto di co-dipendenza, neanche lui da adulto riuscirà ad accedere all'amore genuino. Tutto quello che i genitori sono in grado di insegnare al figlio è ciò che loro stessi hanno appreso da piccoli dai loro genitori. A volte succede che quando il debito empirico personale dei genitori è molto grande, anche se loro hanno desiderio di manifestare l'affetto, spesso non ci riescono e rimangono bloccati, facendo sentire

al figlio poca

considerazione e un senso di non merito; altre volte succede che genitori troppo ansiosi scambino la paura con l'amore, limitando le normali esperienze di vita del loro figlio, rendendolo insicuro e facendogli sentire un senso di invasione; altre volte ancora può accadere che tendano a responsabilizzare troppo il figlio, pretendendo da lui l'autonomia, quando ancora è troppo presto, facendogli sentire un senso di trascuratezza e di abbandono. Questi comportamenti sono solo alcuni esempi e tutti infrangono i diritti empirici del bambino. Infatti il diritto empirico primario di ogni essere umano, quando viene al mondo, è quello di essere amato e se questo non accade si genera dolore = debito empirico. Ogni volta che si infrange un diritto empirico si crea un dolore che fa aumentare il debito. Le nostre potenzialità di base al momento del concepimento sono sempre integre, ossia la nostra forza primaria è sempre intatta e completa, infatti tutti siamo collegati al nostro codice empirico di base: il codice yin per le femmine e il codice yang per i maschi. Tuttavia con l'andare del tempo, già nella pancia della madre, i suoi condizionamenti cominciano a delimitare queste facoltà di base, plasmandole secondo il suo debito personale. Ogni bambino, nel momento della nascita, viene dotato di una matrice d'eccellenza che contiene tutte le strategie vitali possibili di cui l'Umanità

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dispone. Durante la fase dell'attivazione la matrice d'eccellenza si inquina, mentre la consegna famigliare si instaura, e sovrasta la matrice stessa, attivando soltanto i principi sistemici previsti dal copione famigliare e bloccando tutti i principi genuini. Da quel momento, il bambino incomincerà a sentire come sbagliato ciò che ai fini empirici sarebbe funzionale, generando un sentire alterato e non più reale. L'attivazione della carica empirica avviene durante l'infanzia e attraverso il genitore del proprio sesso biologico, il quale passa la sua carica primaria e diventa

il

modello

di

riferimento

ai

fini

sistemici

(rispecchiamento

empirico). Insieme alla carica primaria, passata dal genitore dello stesso sesso biologico, il genitore del sesso opposto

passa al figlio la carica secondaria che gli

servirà per bilanciare il suo assetto emotivo e sentirsi stabile nel proprio codice empirico di appartenenza. Il bambino assimila sia la stessa qualità che la stessa quantità della carica del genitore preposto, “clonandolo” ai fini empirici. Qualora il genitore sia mancante o portatore di una carica debole, il figlio non è più in grado di acquisire l'energia necessaria per radicarsi nel proprio sesso biologico, predisponendosi in un ruolo alterato. Essere in un ruolo alterato significa essere portatori di debito empirico; il debito è costituito da quanto passato dai genitori o consegna familiare (carica primaria e secondaria non sana e genuina) e quello generato nella propria vita. All'interno della consegna familiare ci sono tutti i moti, attitudini, credenze, azioni contro-sistemiche della propria stirpe costituite da un copione o coscienza personale che può contrastare le leggi dell'ordine naturale. La Coscienza personale è il sistema individuale, si riferisce alla parte interiore dell’’uomo e comprende tutto ciò

che l’individuo ha imparato durante la sua

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vita, specialmente durante i primi anni della sua infanzia e dai quali ha ricavato i suoi valori e le sue strategie vitali. Se il Sistema empirico e la Coscienza personale sono in sintonia e la persona riconosce e applica le leggi sistemiche, è in grado di sentire benessere e appagamento, mentre se i due sistemi (empirico e individuale) sono in contrasto succede che la persona si allontana dal libero fluire e di conseguenza il debito empirico aumenterà, facendogli sentire malessere e sofferenza. L’essere umano trova molte difficoltà nel riconoscere le regole del sistema, perché è convinto di avere acquisito dalla società e dalla propria famiglia principi giusti riguardo a tutto ciò che lo circonda e quindi tali principi ora formano il suo carattere e le sue convinzioni più profonde. La coscienza personale tende a difendere tutto ciò, cercando di conservare e proteggere tutti i meccanismi che ha imparato anche se risultano disarmonici e non tengono conto del valore empirico. Il debito empirico può essere riscattato solo da “grande”: per prima cosa è necessario

diventarne

consapevole,

la

seconda

fase

è

l’accettazione

e

l’approvazione del debito stesso; essenziale è permettersi di accedere al dolore che esso comporta e soltanto poi trasformarlo a poco a poco con le necessarie difficoltà. Tale processo richiede tempo e determinazione, poiché intacca le fondamenta della consegna familiare, prima individuando e poi destrutturando le strategie contro-sistemiche per poterle, poi, ricostruire attraverso il confronto empirico con la matrice d’eccellenza. Ogni persona alterata ha bisogno di affrontare questi passaggi per poter trasformare la propria Vita, perché solo in questo modo è possibile riscattare il proprio debito empirico e di conseguenza quello della propria Stirpe. Il riscatto avviene solamente intraprendendo un cammino di crescita personale, esperienziale basato sul sentire. Chi si avvicina all’integrazione ha attraversato un processo doloroso e

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tormentato che gli ha reso possibile superare le sue resistenze interiori per permettergli di elaborare le varie fasi della propria Vita. Tra le caratteristiche della storia personale e familiare, condivise da chi è coinvolto in un problema di “dipendenza affettiva”, ci sono: 

la provenienza da una famiglia in cui sono stati trascurati, soprattutto nell’età evolutiva, i bisogni emotivi della persona.

Una storia familiare caratterizzata da carenze di affetto autentico che tendono ad essere compensate attraverso una identificazione con il partner, un tentativo di salvare lui/lei che in realtà coincide con un tentativo interiore di salvare se stessi.

Una tendenza a ri-attribuirsi nella propria vita di coppia, più o meno inconsapevolmente, un ruolo simile a quello vissuto con i genitori che si è tentato a lungo di cambiare affettivamente, in modo da poter riprovare a ottenere un cambiamento nelle risposte affettive pressoché inesistenti ricevute nella propria vita (definito “testimone” in chiave empirica o passaggio “debito empirico” dai genitori ai figli).

Un bisogno di controllare in modo ossessivo la relazione e il partner, che viene nascosto dietro un’apparente tendenza all’aiuto dell’altro, dovuto all'assenza nell'infanzia di un sensazione di sicurezza.

Famiglie in cui i bisogni emotivi non vengono riconosciuti. Il bisogno di affetto e amore vengono trascurati, ma cosa più invalidante, vengono ignorate le percezioni e i sentimenti dell’individuo fin dall’infanzia, che di conseguenza tende ad adattare le sue percezioni a quello che gli viene detto dalle sue figure di riferimento. Gli esiti sono la perdita della fiducia in sé stessi e nelle proprie percezioni, che da adulti comporta l’incapacità a discernere tra le situazioni e/o le persone che possono arrecare danno (congelamento delle emozioni in chiave empirica).

Presenza di violenza tra i genitori e/o tra genitori e figli.

Comportamento sessuale scorretto da parte di un genitore verso una bambina o un bambino, che può andare dalla seduttività fino all’abuso sessuale (genera un profondo senso di colpa nel bambino che si identifica

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quale generatore di abuso/violenza). 

Presenza costante di litigi e tensioni.

Lunghi periodi di tempo in cui i genitori rifiutano di parlarsi tra loro.

Un genitore incapace di avere rapporti normali con altri membri della famiglia e che li evita di proposito, dando loro la colpa del suo isolamento.

Abuso di alcol o di altre droghe.

Genitori in competizione tra loro o con i loro figli.

Comportamenti compulsivi, bisogno irresistibile di continuare a mangiare, lavorare, pulire, giocare d’azzardo, spendere, ecc. Questi comportamenti coatti sono come droghe, processi patologici progressivi; tra i molti effetti dannosi, distruggono e impediscono contatti sinceri e intimità nella famiglia.

Genitori che hanno atteggiamenti o valori conflittuali o manifestano comportamenti contraddittori l’uno in competizione con l’altra per ottenere la complicità dei bambini.

Estrema severità in fatto di denaro, religione, lavoro, uso del tempo, manifestazioni di affetto, sesso, politica ecc.. Una qualsiasi di queste ossessioni può precludere i contatti e l’intimità, perché non si dà importanza ai rapporti, ma all’obbedienza delle regole.

Le famiglie disturbate possono avere problemi diversi, ma tutte hanno in comune un effetto sui figli: sono tutti bambini in qualche modo sminuiti nella loro capacità di comprendere i sentimenti propri e altrui e di mettersi in relazione con gli altri. In particolare nel rapporto instaurato durante l'infanzia con i genitori, se quest'ultimi hanno lasciato insoddisfatti i bisogni infantili costringendo i bambini, i cui bisogni d’amore rimanevano inappagati, ad adattarsi imparando a limitare i loro bisogni. Questo processo di limitazione può portare al formarsi di pensieri del tipo: “I miei bisogni non hanno importanza” o “non sono degno di essere voluto bene”. Da adulti, questi "bambini non amati” dipendono dagli altri per quanto concerne il proprio benessere psico-fisico e la soluzione dei loro problemi. Vivono nella paura di essere rifiutati, scappano dal dolore, non hanno fiducia nelle loro capacità e si giudicano persone non degne d’amore.

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Inoltre quanto più i suddetti bisogni rimangono insoddisfatti all'interno del legame significativo infantile (quello madre-bambino), tanto più tale legame si rinnova immodificato nei confronti delle nuove figure di riferimento: il partner in questo caso. Allo stesso tempo più una relazione deve adempiere ad esigenze basilari di protezione e di sicurezza, tanto più forte è il legame che si sviluppa e tanto maggiori sono le minacce potenziali che possono provenire da qualsiasi situazione esterna che metta in discussione tale legame. A tali minacce si tende a reagire, all'inizio, con atteggiamenti d'aggressività nei confronti delle persone che mettono in pericolo la relazione o con altri atteggiamenti comportamentali che tendono comunque a proteggerla.

Di fronte ad un genitore freddo e non affettivamente disponibile, il bambino potrebbe mantenere il suo equilibrio affettivo cercando di minimizzare un comportamento dipendente verso un genitore che ha queste caratteristiche, con tutti gli effetti negativi che può comportare questo tipo di attaccamento verso la figura adulta. Nel contesto dell'equilibrio, questa condizione potrebbe essere adattativa in quel momento, ma quel comportamento d'equilibrio potrebbe portare il bambino ad uno sviluppo emozionale deviante e condurlo a problemi emotivi e comportamentali, compresa la scelta di partners non disponibili affettivamente.

Ricerche sul campo hanno riscontrato, ad esempio, che le ragazze che hanno un rapporto conflittuale con il proprio padre e non vengono sostenute da parte sua, hanno maggiori probabilità di coinvolgersi in relazioni affettive patologiche. Un'insana relazione uomo-donna vissuta all’interno della famiglia sembrerebbe influenzare lo sviluppo delle scelte affettive femminili inducendo le donne, che hanno vissuto quest’esperienza negativa con il proprio padre, alla scelta di partners devianti. Anche donne che hanno vissuto una relazione affettiva deviante con il proprio padre, fatta di abusi sessuali e psicologici, risultano più fragili rispetto a quelle che invece hanno avuto una relazione serena ed appagante con il proprio genitore. La fragilità di queste donne sembrerebbe condurle verso relazioni affettive in cui elemosinano attenzioni e continue

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conferme da parte del proprio partner perché quando l’altro non c’è, il suo pensiero non basta a rassicurarle. Le persone affette da dipendenza affettiva non hanno avuto con la figura paterna un rapporto di stima e di scambio amorevole generando così un'immaturità psicoaffettiva. Un padre problematico per vari motivi non permette al figlio una facile identificazione. Lo stesso dicasi per una figura materna iperprotettiva che crea confusione affettiva nel figlio. Quest'ultimo svilupperà distacco verso il padre contrapposto alla madre che verrà vissuta come accogliente, ma crescendo l'iperprotezione della madre diventerà invasione della sfera emotiva, generando il bisogno di allontanarsi dalla figura materna vissuta come soffocante. È importante sottolineare che tutte le persone dipendenti affettivamente possono condividere, realmente o attraverso il proprio vissuto psicologico, tali realtà personali e familiari. Ciò che conta, infatti, è la percezione affettiva e il vissuto emotivo soggettivo conservato nella propria infanzia, anche se qualche volta questo non coincide con la presenza oggettiva di carenze e violenze e quindi con le attenzioni ricordate dai genitori delle persone che manifestano sintomi e conseguenze della dipendenza affettiva. I pensieri e i vissuti emotivi nella “dipendenza d’amore” sono principalmente connotati da tendenza a sottovalutare la fatica del partner nell'aiutare la persona amata al punto da raggiungere, senza percepirlo in tempo, livelli elevati di stress psicofisico: 

terrore dell’abbandono che porta a fare cose anche impensabili pur di evitare la fine della relazione;

tendenza ad assumersi abitualmente la responsabilità e le colpe della vita di coppia;

autostima estremamente bassa e una conseguente convinzione profonda di non meritare la felicità;

tendenza a nutrirsi di fantasie legate a come potrebbe essere il proprio rapporto di coppia se il partner cambiasse, piuttosto che basarsi su

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pensieri legati al rapporto attuale e reale; 

propensione a provare attrazione verso persone con problematiche e disinteresse verso quelle equilibrate, degne di fiducia, che invece suscitano noia.

L'amore non è un bisogno,ma è un traboccare... L'amore è un lusso...è abbondanza..... Significa possedere così tanta vita che non sai più cosa farne, quindi la condividi... Significa avere nel cuore infinite melodie da cantare.. che qualcuno ascolti o no è irrilevante... Anche se nessuno ascolta hai bisogno di cantare... hai bisogno di danzare la tua danza..... (Osho)

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LA CO-DIPENDENZA Una particolare forma di “dipendenza affettiva” è quella che è stata definita “codipendenza”; inizialmente era osservata nelle relazioni di coppia tra alcolisti o tossicodipendenti per lo stretto legame con la dipendenza fisica da sostanze o cose. Storicamente la co-dipendenza ha radici risalenti alla prima metà del '900 ed il termine entra nel mondo della scienza istituzionale americana all'inizio degli anni '80 dal campo delle dipendenza da sostanze, in seguito alla sistematica osservazione e riconoscimento da parte dei clinici di anomalie comportamentali in familiari (e più generalmente in famiglie) di alcolisti.

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Derivato dal concetto di co-alcolismo, coniato con riferimento ai gruppi Dodici Passi il concetto di co-dipendenza ha avuto ampia fortuna e diffusione negli anni '80 e '90 tra operatori dedicati al trattamento dell'alcolismo prima e delle dipendenze in generale poi, per designare in un unico vocabolo l'insieme delle caratteristiche comuni a partner e famigliari di persone dedite a comportamenti da abuso, sia rispetto alle sostanze che alle relazioni. Uno sviluppo parallelo, se non precedente, si è avuto in campo psicoterapeutico, soprattutto con riferimento alla teoria sistemica e con lo sviluppo delle terapie di gruppo, in particolare dei gruppi che mutuavano interamente o in parte la filosofia e gli strumenti propri degli Alcolisti Anonimi, anticipati nel campo dell'auto-aiuto dalla nascita nel '75 degli ACIoA (Adulti Childrens of Alcholist) e circa 10 anni dopo dei CoDA (Co-Dipendents Anonymous). Altri apporti ed influenze sono arrivati da più recenti teorizzazioni in campo psicologico, ed infine da correnti di pensiero ascrivibile al campo sociologico, come quello femminista, orientato ad osservare e descrivere cambiamenti connessi al ruolo di genere. Si comprende quindi come, data la disomogeneità dei contributi, vi possano essere in ambito scientifico difficoltà di interpretazione nel descrivere la codipendenza. Così come per altri fenomeni risalta il contrasto tra una diffusa e affermata “cultura popolare” della co-dipendenza, comprovata da spazi e sezioni dedicati all'argomento in molte librerie degli Stati Uniti (basti ricordare, uno per tutti, il best seller della Norwood “Donne che amano troppo”), il proliferare di gruppi di trattamento specifici che operano su programma simili ai “Twelve-step Programs”, derivati da quelli familiari degli Alcolisti Anonimi ed il relativo ritardo della comparsa della co-dipendenza tra gli argomenti di interesse del mondo scientifico. Attualmente la corrente di pensiero comune definisce co-dipendenza quando un individuo fa in modo che una persona sia influenzata in modo eccessivo dal suo comportamento ed al contempo cerca di controllare in modo eccessivo quello stesso comportamento.

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Il concetto di co-dipendenza nasce nel campo della tossicodipendenza ed alcolismo. Si notava come molti partner degli alcolisti e tossicodipendenti tendevano sia a ripetere copioni passati (la presenza di un genitore della stessa dipendenza del partner) che a mettere al centro della propria vita la salvezza ed il benessere dell'altro. Esaminando la co-dipendenza in chiave empirica si arriva a definirla una vera e propria patologia psicologica, cronica e progressiva. In questi casi i codipendenti necessitano di relazionarsi con persone dipendenti per una insana forma di benessere. Scelgono ad esempio un alcolista, perché quest'ultimo necessita anche di un “salvatore”, e dipenderà dal co-dipendente. Anzi, a volte, se riescono nel loro ruolo di salvatori la relazione finisce, e cercano subito un altro da salvare. Nello specifico le caratteristiche del co-dipendente sono: 

concentrano la loro vita sugli altri

la loro vita dipende dagli altri

cercano la felicità fuori da sé

aiutano gli altri invece di se stessi

desiderano la stima e l'amore degli altri

controllano i comportamenti altrui

cercano di cogliere gli altri in errore

anticipano i bisogni altrui

sono attratti dalle persone bisognose d'aiuto

attribuiscono agli altri il proprio malessere

si sentono responsabili del comportamento altrui

subiscono i comportamenti altrui che non avrebbero sopportato in precedenza

avvertono sintomi d'ansia e depressione

hanno una paura ossessiva di perdere l'altro

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sviluppano sensi di colpa per i comportamenti sbagliati dell'altro

provengono spesso da famiglie con esperienza di codipendenza

La co-dipendenza può essere

anche

caratterizzata

come

una relazione

disfunzionale di tipo simbiotico. Tale tipo di relazione si viene a creare quando uno o entrambi cercano nell'altro la compensazione delle proprie carenze, dei propri bisogni insoddisfatti, al fine di sostenersi reciprocamente. Ad esempio chi è maggiormente istintivo cerca persone che hanno sviluppato l'aspetto razionale e viceversa. In questo modo ci si illude che l'altro è fondamentale per il proprio equilibrio in quanto compensa le nostre carenze. Se uno dei due decide di evolvere, cioè di superare o compensare i propri bisogni, l'altro si sente inevitabilmente tradito e abbandonato, in quanto sente il venir meno di quella relazione che lo faceva sentire al sicuro. Infatti questo tipo di relazione disfunzionale, come tutte le relazioni simbiotiche, non prevede cambiamenti, ma equilibrio, staticità e dipendenza. Per superare tale relazione disfunzionale bisogna innanzitutto riconoscere l'esistenza di bisogni insoddisfatti che causano tali comportamenti errati e poi cambiare il proprio modo di relazionarsi con gli altri. Utile è citare la parabola di Gesù su Marta e Maria. Maria se ne stava seduta a conversare con Gesù ed i suoi discepoli, Marta ordinava in casa e cucinava. Ad un certo punto Marta incominciò a sbattere i piatti accusando Maria di non fare nulla, lamentandosi di dover fare tutto da sola mentre la sorella chiacchierava. Gesù, inaspettatamente per Marta, rimproverò proprio lei. Per Gesù Maria si stava comportando bene, era lei che aveva ragione. Perché per Gesù l'importante era stare con le persone, pensando un pò anche a se stessi, non solo preoccuparsi di cucinare per loro.

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Nella co-dipendenza si commette l'errore di sostenere “l'altro dipendente” a scapito di se stessi, e lo stesso sostegno che si fornisce spesso è di tipo materiale, non attento alle esigenze interiori dell'altro. La co-dipendenza è cercare di possedere a tutti i costi un'altra persona nell'illusione di far tacere quella fastidiosa voce appollaiata sulle nostre spalle che continuamente dice che non si vale, che non si combinerà niente di buono, che senza di lei/lui non si può vivere oppure, al contrario, che lei/lui impedisce la propria realizzazione ed è soffocante con le sue continue richieste di attenzione. Sì, perchè nella co-dipendenza i protagonisti sono sempre due: in cui

uno

fugge e l'altro insegue. Accanto al bisognoso infatti c'è l'in-dipendente, il quale sviluppa una dipendenza non diretta, che nasce dall'incapacità di lasciarsi andare a rischio dell'amore, che pone continuamente paletti alla relazione, calcolando tutti i rischi possibili e immaginabili prima di aprire un piccolo spiraglio del suo cuore. Il dipendente tende a essere un mendicante d'affetto, mentre l'indipendente assume le caratteristiche dell'orso che sta in disparte, oppure del colibrì che non sta mai fermo, comunque di una persona che dà l'idea di essere inafferrabile. Anche quando c'è, non c'è veramente. I dipendenti si innamorano puntualmente di chi fugge o si nega, lagnandosi di non essere abbastanza amati. Ognuno sembra essere alla ricerca del suo opposto. Ogni co-dipendente porta in sé un giudice interiore che lo condanna e lo rimprovera, per il quale la propria vita non è mai all'altezza delle possibilità di felicità, di libertà, di autoaffermazione che il sogno del bambino gli aveva promesso. Così affida la propria felicità ad un'altra persona, pretendendo ciò che non può essere imposto: l'amore. Cerca fuori di sé il colpevole. Ma quando felicità o infelicità non dipendono più dalle proprie scelte e dalle loro conseguenze, ma dalle scelte di qualcun altro allora la sofferenza è garantita. La

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salvezza è scoprire ed affrontare la verità: l'origine della sofferenza non è nella relazione, bensì dentro se stessi. Incamminandoci verso noi stessi, prendiamo coscienza di ciò che siamo e di quanto valiamo, affrontando la nostra paura. Ci riappropriamo delle attenzioni che in precedenza avevamo accordato all'altro. Ci prendiamo tutto il tempo per conoscerci ed apprezzarci vivendo la nostra solitudine e possiamo scegliere, qui e ora, di trasformare tutte quelle ore trascorse ad angosciarci ed a costruirci scenari negativi; ne abbiamo proprio bisogno! Ognuno è responsabile del proprio percorso e della scelta dei propri strumenti. Prendere coscienza che una situazione è insostenibile, dolorosa e inaccettabile, rappresenta un'ottima occasione di compiere un primo passo verso l'autonomia, cioè di responsabilizzarsi, di compiere le proprie scelte, anche se all'inizio, magari, si ha l'impressione di essere maldestri. Al fine di individuare i tratti distintivi del disturbo co-dipendente di personalità si può fare riferimento ai quattro criteri di Cermak (1986) che possono essere riassunti come segue: 

Tendenza ad investire continuamente la propria autostima nel controllo

di

e

degli

altri,

benché

vengano

sperimentate

conseguenze negative. 

Propensione ad assumersi responsabilità altrui o di situazioni non controllabili, pur

di soddisfare

i bisogni del partner,

fino

a

disconoscere i propri. 

Presenza di stati d’ansia e mancata percezione dei confini tra sé e l’altro.

Abituale coinvolgimento in relazioni con persone con disturbi di personalità, dipendenze, disturbi del controllo degli impulsi o codipendenti.

È importante completare il quadro sintomatologico della co-dipendenza,

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sottolineando che alle precedenti caratteristiche possono associarsi alcuni dei seguenti sintomi secondari: 

depressione;

comportamenti ossessivi e fissazione del pensiero;

abuso di sostanze o di alimenti (in particolare di dolci);

abusi fisici o sessuali nella propria storia attuale o passata;

tendenza a non chiedere aiuto e a non riconoscere per lungo tempo il problema;

insonnia.

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BRAVA BAMBINA E SALVATORE Due sono le figure che può assumere il co-dipendente: 

la brava bambina o agent classico

il salvatore

La brava bambina o agent classico presenta una carenza di Animus, quindi appartengono al gruppo degli Yin. Si può riconoscere da queste caratteristiche: 

si scusa sempre

non è mai controcorrente

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ha difficoltà nel dire NO

SI' automatico

non sa entrare in conflitto

si adegua sempre

strategia di NON SCELTA

passa inosservata

sente un grande senso di colpa e vergogna

fa la vittima in maniera conscia o inconscia

tende a non difendere le proprie opinioni

manca di autostima

ha un sorriso stampato

è sempre gentile, premurosa, rispettosa, amichevole …

è simpatica e non si arrabbia mai (strategie di difesa)

ha una posizione fisica in avanti o indietro (barriera energetica)

ha pelvi arretrate (evita la passione)

fa l'amore e mai il sesso (il sesso è vissuto come vergogna)

ha poca vitalità (sente spesso stanchezza e scarica le sue energie consumandole per trattenere)

Segni evidenti si possono già riscontrare nella fase prenatale perché i bambini indesiderati non mostrano la loro presenza già nella pancia della mamma (non

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scalciano, si muovono poco, non sentono il diritto di espandersi per “non disturbare”). Questo è dovuto dall' atteggiamento dei genitori: preoccupazioni, indecisioni se tenere o no il bambino, paura del futuro. L'individuo che ha percepito tutte queste indecisioni e paure dai genitori, avvertirà un senso di colpa molto profondo che lo accompagnerà per tutta la vita. L'Agent tende a ricreare la dipendenza che aveva con la madre quando ancora era nel suo grembo. La strategia di dipendenza si manifesta nel corpo attraverso l'indicatore della rabbia, in quanto senza accorgersene subisce la vita. La rabbia non rimossa si manifesta nel corpo con strategie di compensazione: a livello sessuale l'uomo ha difficoltà di erezione, mentre la donna sperimenta la mancanza di libido. L'Agent fa solo l'amore, mai sesso, perché vive la sessualità con vergogna. Non sta mai dentro di sé, ma è sempre fuori e tende a dar via il suo potere personale; non sa scegliere, si “fa andare sempre bene tutto” pur di non prendersi la responsabilità della scelta stessa. Non ha mai bisogno di nulla per sé stesso, ma cerca sempre di soddisfare le esigenze dell'altro: se sta bene l'altro di conseguenza sta bene anche lui; questo perché ha difficoltà nel ricevere, pensa di non meritare (il senso di colpa è alla base di tutto). Evita lo scontro, è capace di dire solo di “sì”, indipendentemente dalla situazione e dal proprio sentire, da cui è scollegato, perché è incapace di sostenersi. E' continuamente attento a soddisfare i bisogni dell'altro per guadagnarsi il suo amore.

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Ha paura di sentire le sue emozioni e compensa con il cercare di capire ed ogni cosa che fa è legata al dovere; un dovere pratico per fare qualche cosa per l'altro. Il suo sentire è legato al dolore, alla sua parte ombra, nella quale si sente a suo agio, mentre nella luce e nella gioia si anestetizza, perché il piacere lo fa sentire in colpa. L'agent soffre di mancanza di autenticità, sa indossare la maschera che ogni circostanza gli richiede: è così scollegato che non sa chi è. Nella coppia sostituisce il partner con la figura del genitore. Il salvatore possiede un'Anima debole. La sua figura appartiene al gruppo degli Yang. Le caratteristiche del salvatore sono: -

regge gli altri, fa loro del bene, si cura molto del prossimo

entra in contatto emotivo solo con chi sta male ed ha problemi; porta abilmente l'attenzione sui loro handicap che vuole curare perché è ciò di cui ha bisogno; è sempre coinvolto in storie di vittime come vittima

trova solo partner che stanno male, che hanno bisogno di lui, che può accendere sessualmente o salvare. Questo gli dà POTERE che esercita sull'altro mantenendo lo stato di bisogno nell'altro per non rompere lo stato di necessità (CURA = POTERE)

sommerge col suo fare, gestisce la vita del partner, non CHIEDE mai ma FA

Il Salvatore è apparentemente altruista, ma in lui si trovano sia la cura che il potere; fa in modo di diventare la vittima della vittima che egli stesso si sceglie. Crea e mantiene stati di necessità in modo da poter innestare e alimentare dipendenza.

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Il suo bisogno di sentirsi importante e indispensabile, lo porta a fare di tutto per trovare qualcuno da salvare: è assolutamente convinto che solo lui può risolvere i problemi di chi gli sta accanto. Riesce con le sue strategie ad invadere l'altro fino al punto di gestirlo completamente senza chiederne il permesso, perché si sente in diritto di farlo; lui sa esattamente cosa è bene per il partner! Prende tutte le incombenze e le responsabilità su di lui per far del “bene” all'altro, che ha interesse a non far crescere ed evolvere, perché vuole solo dominarlo. Nonostante tutto il salvatore tende a lamentarsi di non avere il tempo da dedicare a sé stesso e a ciò che gli piace fare, perché troppo preso dai problemi del partner. Egli tende a dare molto, per poter avere finalmente quel riconoscimento e quell'amore che da piccolo non ha sentito sufficientemente adeguato al suo bisogno. Tende quindi a ricreare situazioni che gli rispecchiano e che ha bisogno di risolvere: la riconciliazione con i propri genitori per rinforzare le proprie radici che sono carenti. Quello che mostra al mondo sono le sue doti di grande e instancabile lavoratore con attitudini al potere, iperattivo, generoso, autoritario, virtuoso e nobile, comprensivo e giusto, profondo e forte. Dietro la maschera, in realtà, si nascondono la sua arroganza, la debolezza, l'angoscia, la rabbia, il suo grande bisogno di affetto e purtroppo a lungo termine egli soccomberà sotto i propri sforzi e avendo un Anima debole, la rabbia lo porterà a disprezzare le Donne.

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LE COPPIE ALTERATE I principi yin e i principi yang che creano l'attrazione tra due persone, oltre che all'esterno, agiscono e si compensano anche al loro interno. Esistono cosÏ una parte maschile e una parte femminile interiore che si sostengono e si compensano in maniera sinergica. I principi del proprio sesso biologico costituiscono la parte predominante, formando la carica primaria che è bilanciata e sostenuta dall'altra sotto forma di carica secondaria. Ogni donna porta in sÊ un patrimonio yin, ma necessita contemporaneamente di

una

carica

yang

(chiamata

da

Jung

Animus)

per

poter

essere

autosufficiente. Nello stesso modo, ogni uomo, portatore naturale di un patrimonio yang, ha bisogno di integrare la propria carica principale con quella yin (chiamata da Jung Anima) per essere armonico. Entrambe le cariche fanno parte dell'interezza della persona e hanno bisogno di svilupparsi in maniera sequenziale, lasciando la precedenza alla carica primaria. Se la carica primaria si sviluppa in maniera non sufficiente e integra, si verifica

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obbligatoriamente il meccanismo di compensazione empirica. Così costringe la carica secondaria a prendere il posto vacante facendosi “inquinare” e deviare nel proprio codice di base. In questo caso sviluppa un maschile o un femminile debole che si manifesta sull'intero stato vitale dell'individuo. La persona viene influenzata a tal punto che i principi guida del proprio sesso vengono spesso sopraffatti e degradati dai principi sostitutivi, dando adito a veri e propri ruoli alterati. Nel caso della co-dipendenza ci troviamo di fronte a relazioni distorte e malsane generate da disarmonie nelle relazioni interpersonali. I disagi emotivi condizionano la percezione reale del proprio “sentire” che è in risonanza col vissuto, passato, esperienze infantili dell'individuo e quanto è chiamato “amore” rappresenta invece l'espressione del proprio “bisogno”, per colmare il vuoto emotivo interiore che l'adulto anagrafico sta sperimentando nella propria vita. Il disagio emotivo che tiene uniti i membri della coppia porta gli stessi a rivestire i ruoli di “vittima e carnefice”, così definiti nell'approccio empirico, strettamente legati e dipendenti uno dall'altro. Un modello anomalo tra i modelli relazionali è la coppia alterata formata da un uomo Yang alterato e una donna Yin alterata. Ciò che li lega è quanto definito nell'approccio empirico il “debito” reciproco. La donna riveste il ruolo della vittima dichiarata e l'uomo quello del carnefice, così la parte femminile si sottomette a quella maschile subendola e accumulando in seguito l'indicatore sistemico della rabbia. Il senso d'inferiorità accomuna i partner sentendosi ambedue inadeguati nel proprio essere maschile e femminile; la donna Yin alterata tenta di coprire il compagno sfoggiando un eccesso del suo Yin, mentre l'uomo Yang alterato lo nasconde dietro uno Yang esuberante e inviolabile. Non essendo sostenuti da una carica secondaria bilanciata, tutte e due evitano la propria parte “mancante”; così l'uomo Yang alterato sente la minaccia dalla sua parte più

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femminile nella stessa maniera in cui disprezza la donna. La donna Yin alterata invece, non essendo in contatto coi principi attivi maschili, è terrorizzata dal mondo degli uomini e dai suoi principi aggressivi. Ambedue però sentono un'attrazione forte e morbosa l'uno verso l'altra causata dalla legge della compensazione empirica. Il funzionamento empirico si basa sull'equilibrio tra le sue forze principali che costituiscono anche il suo moto di base, quello tra “dare e ricevere” e l'eterna dinamica tra essi. Un principio che si rivela in ogni rapporto umano, di qualsiasi natura

o

intensità

esso

sia,

attraverso

il

contrasto

naturale

e

la

contrapposizione, riportando in evidenza l'eccesso dell'uno piuttosto che dell'altro. La coppia alterata può essere formata dall'uomo Yang alterato e dalla donna Yin alterata oppure da due vittime rabbiose (uomo finto Yang donna finta Yin), ossia da chi ostenta un maschile apparentemente forte e dalla brava bambina che rinnega sia la propria rabbia che la sua forza, nascondendole dietro ad una falsa innocenza. Il catalizzatore tra i due è proprio la rabbia celata della donna, senza questa carica nascosta l'uomo finto Yang rimarrebbe indifferente, percependola troppo mielosa; lui, in fondo, fa finta di essere un uomo forte ed indipendente, mentre sta cercando una partner sulla quale appoggiarsi senza perdere la propria dignità di maschio. Apparentemente costituisce un modello per molti altri in cui lui sfoggia un alone di virilità e sensibilità maschile, mentre lei appare un interprete ideale delle radici Yin; in realtà la donna finta Yin è l'evoluzione del degrado della donna Yin alterata che percepisce una carica rabbiosa terribile e insistente che lentamente si fa spazio dentro di lei e sfoggia un carattere abbandonato dietro il quale però nasconde una personalità terribilmente invasa. La finta Yin non essendo controbilanciata da un Animus forte (o carica secondaria) esprime le sue doti femminili soltanto come una corazza protettiva perdendo così di sostanza reale. L'uomo finto Yang invece, per quanto possa sembrare indipendente ed

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autonomo, necessita di una eccessiva cura e attenzione all'interno della coppia. E' anche lui portatore di un carattere dai tratti abbandonati, ha bisogno di sentirsi al centro dell'attenzione. Lui vive perciò così un rapporto di dipendenza a tutti gli effetti senza però accorgersi del suo reale bisogno. Apparentemente è lui a gestire la relazione mostrandosi forte e autonomo, ma nell'ambito affettivo dipende completamente dalla propria compagna. Non sa ammettere questo stato di bisogno che nasconde in forma di disprezzo verso il femminile. L'inadeguatezza dell'uomo finto Yang fa diventare la donna finta Yin la parte più forte nella coppia: se la Yin alterata ha bisogno di rifugiarsi a volte nella sofferenza o perfino nella morte per farsi valere nei confronti dell'uomo Yang alterato, la finta Yin, nonostante sia separata dalla sua carica secondaria, è saldamente ancorata al suo lato femminile. L'uomo finto Yang ha bisogno di esaltare il proprio ruolo di guida all'interno della coppia e di sentirsi riconosciuto in tale copione. Se nella coppia Yang alterato e Yin alterato domina sempre il carnefice, avendo ormai un'anima indurita e inquinata, nella coppia finto Yang e finto Yin è sempre la vittima a dominare la relazione; sebbene apparentemente subisca il proprio partner è lei a plasmare le sorti della coppia a medio e lungo termine. Nonostante le apparenze di perfetto equilibrio tra i partner è la rabbia femminile a gestire le dinamiche relazionali all'interno della coppia. A volte il processo di degrado all'interno di una relazione si stabilizza, mantenendo i partner nei propri debiti e la relazione sfocia in una coppia congelata. Essi rimangono intrappolati nella loro situazione precaria e dolente generando una latente forma di insofferenza dell'uno verso l'altro. I partner di una coppia alterata non sono in grado di generare un amore valido ai fini armonici, ma formano sempre una relazione di co-dipendenza. In questo modo trovano una forma di bilanciamento tra la mancanza di appagamento, generato da un partner non collegato coi principi empirici, e

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l'incapacità di poter stare senza di lui. Il degrado a cui vanno incontro li renderà una coppia congelata ed i membri diventeranno finta donna Yin e finto uomo Yang, due espressioni diverse dello stesso stato empirico ossia del ruolo della vittima rabbiosa. Tale coppia crea sempre un rapporto di “odio e amore”. Viene a mancare ogni rispetto per chi si credeva di amare e ciò che rimane sono frecciate sprezzanti, ciniche allusioni, rimproveri, critiche, accuse oltre che un rinfacciare continuo. Questo comportamento coinvolge tutti e due i partners, facendo in modo che si lamentino l'uno dell'altro, senza però prendersi le proprie responsabilità empiriche. Il loro debito cresce in maniera esponenziale, portando la persona verso un indurimento dell'anima, qualora non riesca ad uscire dalla dipendenza e staccarsi da questo rapporto morboso e patologico. Un'altra alterazione all'interno delle coppie è costituita dalla coppia inversa formata da uomo finto yin e donna finta yang. Si compensano e si bilanciano nel carattere equilibrandosi l'un l'altro e conferendosi un senso di completezza e sicurezza. Oltre ad essere compensativi hanno bisogno di riconoscersi nell'affinità dell'ombra e si rispecchiano nello stato di vittima rabbiosa e quindi nella loro paura. La compensazione avviene per la rabbia, l'affinità per la paura. La paura evidenzia l'affinità del loro debito comune. Nella coppia inversa la donna esercita il ruolo maschile, per quanto sia soltanto una copertura per le sue ferite, mentre l'uomo quello femminile, nonostante cominci a sentire la propria rabbia. Lei vorrebbe che lui coprisse il ruolo di capofamiglia, ma lui invece non sente la forza necessaria per assumersi le responsabilità, che la sua partner gestisce; infatti la donna finta yang vorrebbe (almeno a parole) far a meno del posto di guida assunto, ma lui non ne vuole

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ancora sapere, nonostante senta crescere la propria rabbia; inoltre in lei cresce il desiderio di far cadere la propria maschera di guida facendosi riconoscere nella sua fragilità. Ogni donna, seppur alterata, possiede il diritto empirico di “appoggiarsi” ad un portatore di carica yang genuina, ma non riconosce le sue strategie di autoboicottaggio che la fanno entrare in sfida e non le permettono d'affidarsi. Entrambi sono portatori di un bambino interiore ferito e sfiduciato, ragione per cui non sono in grado di accedere al proprio codice primario. A livello interiore percepiscono la sfasamento dei ruoli, ma rimangono intrappolati nei propri schemi di difesa perché la compensazione empirica li unisce,ma non li appaga: lei persevera nell'atteggiamento di controllo, pur sentendo il desiderio di “appoggiarsi”, lui percepisce la propria impotenza di fronte alla difficoltà di prendersi le responsabilità che accresce il suo senso di inadeguatezza. Una coppia atipica è la coppia sforzata, donna finta yin e uomo finto yin; il catalizzatore principale che li unisce è la paura, non si compensano nella carica aggressiva, perché assente in entrambi: la carica attiva di entrambi è la paura e la passiva è la rabbia nascosta. Ai fini empirici la coppia è sempre in balia degli eventi, entrambi dimostrano un alto livello di ansia, angoscia e preoccupazione. Sono due bambini che sentono di non meritare nulla al di fuori della loro “piccola felicità”, si sentono al riparo solo all'interno della loro coppia, si fanno ingannare dall'apparente comprensione reciproca, dalla delicatezza e sensibilità che sono capaci di dimostrarsi: sono al pari di due cuccioli che si rifugiano nella loro relazione come unico luogo sereno. Il loro rapporto equivale ad un'assicurazione sulla vita in cui cercare conforto, ma nel tempo li priva della compensazione naturale e l'unione degrada: la gentilezza iniziale diventa contrasto, critica, lamentela. Essendo in balia dei propri indicatori sistemici, trionfa la paura e non si

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compensano e il rapporto sembra non avere via di scampo: da un lato percepiscono il senso del bisogno e dall'altro l'insofferenza ed avversione per il partner. Spesso vivono sotto lo stesso tesso come separati in casa, ma l'idea dell'abbandono li terrorizza. Al contrario della coppia sforzata, la coppia guerriera è formata da uomo finto yang e donna finta yang. Il catalizzatore che li accomuna è la paura, ma all'esterno mostrano rabbia e forza che, non essendo integrata in modo sano e genuino, diventa esplosiva. L'uomo finto yang percepisce nella sua partner sia la sfida che la sensazione di sollievo e pace, illudendosi di potersi appoggiare senza la paura di essere rifiutato o non compreso, di svelarsi per quello che è realmente: un uomo fragile e bisognoso. La donna finta yang sogna un compagno con una forza autentica in grado di contenerla e sul quale potersi appoggiare e finalmente potersi rilassare e rientrare nel “proprio posto”. In comune hanno una forza apparente esterna ed un bisogno di leggerezza nel dimostrare

la

propria

fragilità:

entrambi

si

sentono

vittime,

pur

non

ammettendolo. L'illusione di potersi “aggrappare” all'altro e passare le responsabilità della coppia fa esplodere la rabbia di cui sono portatori: subentra la critica, giudizio, rimproveri da parte della donna, l'uomo si sente minacciato e risponde con aggressività e durezza. Lui si sente tradito, rifiutato, offeso; lei si sente oppressa dal peso del controllo e responsabilità e tradita nel suo bisogno di protezione. Entrambi, senza ammetterlo a se stessi, hanno bisogno di mantenere “potere”, “dominio” all'interno della coppia.

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il


I RUOLI EMPIRICI E LA COPPIA I ruoli empirici sono l'espressione della nostra poliedricità empirica che si manifesta nel bisogno assoluto di entrare in rapporti sociali appaganti. Ogni tipologia di rapporto fa parte di una matrice naturale dell'ordine che ci offre una illimitata scelta di ruoli per relazionarci con gli altri, noi stessi e con il mondo. Il sistema prevede diversi ruoli che costituiscono moti funzionali all'evoluzione della specie: donna, uomo, padre, madre, figlio, moglie, amico, marito, amante, fidanzato etc., così come il leader, l'eroe, il carnefice, la vittima, il traditore e così via. Ogni ruolo contiene sia le espressioni sane e funzionali che quelle morbose e patologiche perché entrambi fanno parte dello stesso ruolo e sono una la variante possibile dell'altra, garantendo in tale maniera sempre la possibilità di scelta. L'appagamento profondo verso la vita è determinato nel sistema dalla sperimentazione di più ruoli sistemici a seconda dell'età. Il codice empirico di ciascun ruolo contiene le coordinate sistemiche, ossia un preciso modello comportamentale di riferimento. Tale matrice contiene tutti gli atteggiamenti più funzionali per il suo compimento definendo lo standard di tutto il suo fare. La matrice è contenuta nell'essere umano in modo naturale, ma non sempre

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l'individuo riesce a conformarsi alla matrice stessa perché il suo modo di “fare” è contaminato da atteggiamenti acquisiti durante la sua crescita anagrafica. I diversi ruoli prevedono l'acquisizione dei principi Yin e Yang come punto di partenza per l'essere umano; l'ordine ne prevede l'assorbimento di entrambi costituendone una carica primaria legata al sesso di appartenenza (che crea il senso di radicamento) ed una secondaria, ossia quella del sesso opposto, che ne definisce i confini ed i limiti naturali. I principi Yin e Yang sono contenuti nella matrice a cui l'essere umano fa riferimento in modo naturale, ma vengono acquisiti negli anni di crescita tramite l'esempio

dei genitori. I passaggi

possono essere contaminati da deviazioni nei modi di “fare” creando “debiti empirici”, che l'ordine permette, ma ne richiede la risoluzione per rientrare e riavvicinarci alla matrice. I principi primari del proprio sesso sono assimilati entro i primi dieci anni di vita, solo in una seconda fase vengono elaborati i principi secondari, di norma dopo il periodo dell'adolescenza ossia tra i 25 e i 35 anni di età; in caso contrario gli stessi inquinano le sue radici biologiche, deviando il suo maschile o femminile che si ripercuoterà all'interno della coppia. L'ordine riconosce la condizione integrata come unica forma genuina, ossia una perfetta sinergia tra forza Yin e forza Yang. Per quanto l'uomo Yang integrato e donna Yin integrata costituiscano i modelli empirici di riferimento, l'ordine concepisce anche forme espressive diverse. I primi si distinguono per il pieno accesso al codice, equivalente al libero fluire, mentre tutti gli altri per la dissociazione da esso. Tutti i ruoli empirici alterati evidenziano un'esuberanza dell'una o dell'altra parte. Questo eccesso squilibra sempre le due parti generando due cariche deboli e compromesse. I ruoli alterati si dividono in tre gruppi principali: prevalenza della carica Yang, eccesso della carica Yin e le vittime rabbiose. L'alterazione dei ruoli si ripercuote sia nella vita personale dell'individuo che all'interno della coppia invertendo o deviando i ruoli rappresentati; nel caso della coppia si mette in atto un gioco di compensazione dei ruoli legati alla carica eccessiva o debole dei membri della coppia, essendo entrambi portatori di una carica secondaria insufficiente ed una

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primaria debole e compromessa. Nel caso di uomo Yin e donna Yang, che sono figure empiriche compromesse, i loro ruoli costituiscono l'opposto empirico; tutto ciò porta ad una inversione dei ruoli nella coppia poiché la carica aggressiva di una donna Yang è superiore a quella di un uomo Yin nonostante quest'ultimo appartenga al sesso maschile; lei entra nel ruolo Yang appropriandosi delle responsabilità e dei principi guida della coppia, mentre lui entra nel ruolo Yin per quanto continui a sentirsi come parte maschile. Nel caso dell'uomo Yang alterato e donna Yin alterata si compensano e si attraggono nella stessa maniera. Lui è portatore di un maschile esuberante e recepisce il richiamo di un femminile

della stessa portata, ma mancano

dell'integrazione opposta; mancano di equilibrio e confini. Lui non sopporta il proprio femminile, mentre lei teme il proprio maschile costituendo così la classica coppia che si distingue attraverso l'abuso dell'autorità maschile. Nel caso delle vittime rabbiose, o forme ibride (finto uomo Yin e donna finta Yang / donna finta Yin e uomo finto Yang), trattasi di ruoli intermedi ossia di forme più attenuate di alterazione. Tutti i ruoli empirici alterati avvertono la mancanza di ambedue le cariche non potendo contare né su una né sull'altra. Se soltanto una è compromessa anche l'altra non può svilupparsi in maniera genuina; ai fini sistemici la persona è orfana, priva di sostegno, emotivamente in balia di due cariche insufficienti e compromesse, mettendo in evidenza il bisogno di colmare un vuoto interiore. In ogni forma empiricamente deviata l'Anima si è ritirata dal flusso sistemico essendone costretta da un dolore arretrato troppo ingombrante ed è per questo motivo che non può accedere all'amore, poiché estromessa dal libero fluire delle cose. La persona scambia l'amore come uno stato di “bisogno”, sia che si tratti di attaccamento morboso, di co-dipendenza o di falsa vendetta verso l'altro sesso. Ogni ruolo alterato si evidenzia attraversa la presenza di un indicatore empirico

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dominante; l'ordine concepisce indicatori attivi e passivi. Ciascuno tende ad identificarsi con i propri moti emotivi dominanti: il carnefice si riconosce nella propria aggressività, il ribelle nella sua rabbia, la vittima nella paura, la brava bambina nel senso di colpa, basando l'interezza delle proprie strategie vitali su quell'indicatore. Esso diventa un catalizzatore per tutte le sue convinzioni, atteggiamenti e modi di fare affinché si possa identificare completamente con tale ruolo. Nonostante siano gli indicatori attivi quelli mostrati, è solo attraverso quelli passivi che ogni ruolo alterato può riscattarsi e rientrare nel libero fluire. Gli indicatori passivi contengono le tematiche più temute e nascoste che hanno bisogno di essere integrate con l'andare del tempo. In ogni coppia alterata ciò che viene percepito come amore rappresenta in realtà uno stato di convenienza: il loro legame assomiglia più a uno stato di bisogno che ad una scelta consapevole. In chiave empirica si tratta dell'esatto opposto dell'amore, ovvero di una condizione di dipendenza affettiva. I portatori di un eccesso di Yin tendono al possesso, mentre l'eccedenza di Yang al predominio. Questo stato di dipendenza emotiva esclude ogni possibile trasformazione sino a quando il singolo non recupera la propria carica mancante evadendo il proprio debito. Ciascun ruolo alterato sa accedere soltanto alla fase dell'innamoramento scambiandola per amore; l'amore vero inizia quando la fase dell'innamoramento si conclude, portando la coppia verso moti più appaganti e sereni; quando il trasporto iniziale si quieta la coppia scivola automaticamente nell'amore consapevole. L'amore consapevole si basa sui valori personali del singolo, i quali hanno bisogno di essere accettati e approvati dal partner a un livello profondo sia nella luce che nell'ombra; in caso contrario il rapporto si incrina facendo aumentare l'insofferenza e rendendo necessaria la separazione, essendo l'unica soluzione reale che l'ordine prevede per una coppia alterata. Il rimanere all'interno della coppia alterata fa aumentare il debito personale, aumentare la paura di non farcela da soli ed avere troppo bisogno; la coppia

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vive l'incapacità di contenere il dolore della separazione, rifiuta le proprie responsabilità sistemiche, non affrontando l'unica conseguenza possibile, ovvero la sua fine. Ogni

tipologia di coppia alterata fa capo al ruolo della coppia anti-sistemica,

non in linea con quanto previsto dall'ordine sistemico. Riguarda le coppie ufficiali, marito e moglie, ma anche tutte le forme ufficiose di convivenza. Tutte riportano la stessa alterazione tra le parti, ossia l'applicazione errata dei valori Yin e Yang, causando così un forte spostamento dei valori, delle aspettative e dei modelli di coppia. Un'alterazione che interpreta il debito collettivo della società moderna in cui si assiste ad una difficoltà crescente dello “stare in coppia” che l'essere umano sta vivendo e sperimentando ai giorni nostri. La mutazione dei ruoli tra il sesso maschile e femminile che si è creato ed alimentato negli anni (dal movimento dell'emancipazione femminile degli anni '70 in poi) fa parte di un processo di compensazione, atto a riequilibrare un dislivello energetico creatosi tra le parti durante l'evoluzione della specie e rispecchia un'antica repressione dell'uno verso l'altro e l'aumento del debito collettivo che si è creato.

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TRASFORMAZIONE – Sciogliere le catene Il principale problema nella risoluzione delle dipendenze affettive è certamente l’ammissione

di

avere

un

problema.

Esistono,

infatti,

dei

confini

estremamente sottili tra ciò che in una coppia è normale e ciò che, nell’abitudine cronica, diviene dipendenza. La difficoltà nell’individuazione del problema risiede anche nei modelli di amore che, come si è detto, una persona affettivamente dipendente conserva nella propria memoria e che fanno ritenere determinati abusi e sacrifici di sé come “normali” in nome dell’amore. Spesso, paradossalmente, è la “speranza” che fa sopravvivere il problema e che tende a cronicizzarlo: la speranza in un cambiamento impossibile, soprattutto in un contesto relazionale in cui si sono consolidati, e persino pietrificati, dei ruoli e dei copioni da cui è, più o meno, impossibile uscire. Così l’inizio del cambiamento

arriva

quando

si raggiunge

il fondo

e

si sperimenta

la

disperazione, che rappresenta la possibilità di sotterrare le illusioni che hanno nutrito a lungo il rapporto patologico.

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Ci si può avvalere del supporto psicologico individuale, a volte può essere necessaria una psicoterapia, ma ciò che è certamente utile per velocizzare e stabilizzare i miglioramenti è il confronto in gruppo tra persone che vivono lo stesso problema perché ciò consente di prendere un impegno con gli altri, davanti agli altri e di cominciare a riconoscere le distorsioni della realtà, grazie alle somiglianze della propria vita con la vita altrui che consentono di vincere le difese che non permettono di vedere la verità sulla propria storia personale. Gli altri del gruppo diventano importanti specchi e, insieme, si possono ritrovare la voglia, le motivazioni e le possibilità per uscire da relazioni tossiche e spesso anche molto pericolose che sono le fondamenta della propria infelicità. Tu non sei le tue strategie acquisite. Esse costituiscono soltanto ciò che hai imparato dalla vita. Proprio per questo motivo riesci ad esprimerti tanto quanto questi modelli del tuo agire ti permettono di manifestarlo verso gli altri. Sono loro che ti collegano al tuo mondo esterno e comunque sia si possono cambiare. Tarando le tue strategie su ciò che tu vuoi compiere, cambiano anche le tue esperienze, le persone che attiri e i risultati del tuo operato. L'approccio empirico del Prof. Michel Hardy, la frequentazione dei seminari esperienziali previsti dal percorso, mi hanno permesso di osservare le dinamiche relazionali che mettevo in atto e di portare alla luce la mia realtà di coppia, affrontare le difficoltà e portare trasformazione nella mia vita. Ho iniziato ad integrare la carica secondaria carente sino a poter sostenere il dolore che mi teneva lontano dal libero fluire; la metamorfosi delle dinamiche, per quanto lenta e progressiva, mi aiuta a sentirmi collegata alla mia matrice Yin di appartenenza avvicinandomi ad uno stato di integrazione in atto.

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“La mia felicità sono io, non tu, non soltanto perché tu puoi essere fugace, ma anche perché tu vuoi che io sia ciò che non sono. Io non posso essere felice quando cambio soltanto per soddisfare il tuo egoismo. E non posso sentirmi felice quando mi critichi perché non penso i tuoi pensieri, e non vedo come vedi tu. Mi chiami ribelle. Eppure ogni volta che ho respinto le tue convinzioni tu ti sei ribellato alle mie. Io non cerco di plasmare la tua mente. So che ti sforzi di essere te stesso. E non posso permettere che tu mi dica cosa devo essere… Perché sono impegnata ad essere me.” Leo Buscaglia –

IL CAMBIAMENTO Iniziare un viaggio … staccarsi da quello che non si vuole più per raggiungere quello che si vuole essere … si parte con l'entusiasmo della nuova meta … si viaggia con la paura del non sapere cosa ti aspetta … nella valigia il tuo sogno rinchiuso che freme per potere essere libero … nei pensieri una sola frase: ESSERE CAPACI DI ESSERE Lailly Daolio

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USCIRE DALL'AGENCY Si può uscire dalla co-dopendenza ricostruendo la propria identità, autostima, imparando ad essere UNO senza aggrapparsi agli altri, riempiendo la propria esistenza di se stessi, con l'amore e la cura di sé; soddisfacendo i propri bisogni, prendendosi la responsabilità di accudirsi, diventando buoni genitori di se stessi, raggiungendo la consapevolezza di essere degni di meritarsi il meglio che la Vita può offrire. Tutto questo, però, richiede una grande fede, uno sforzo maggiore del semplice ripetere a se stessi di cambiare; quando si sta cercando veramente di cambiare non si perde tempo a parlarne: si è troppo occupati a farlo. Il vero cambiamento richiede una resa che è simile, per certi versi, ad una crocifissione. La Vita consiste nel prendere coscienza e crescere, spesso questi processi

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vengono resi molto dolorosi perché non vengono accettati. Il vero recupero avviene quando smettiamo di situare il problema al di fuori di noi e dentro qualcun altro; spesso è necessario imparare a fare il contrario di quello che si è sempre fatto! Quando si riconosce e si accetta che si è fatto tutto e solo per l'altro, trascurando se stessi, si ha bisogno di attraversare il vuoto per entrare successivamente nella rabbia e trasformare il SI' automatico in NO automatico (Controagency).

Questo

passaggio

è

importantissimo,

perché

dando

la

possibilità alla rabbia di manifestarsi si può accedere al dolore, alla tristezza e successivamente diventa possibile integrare tutto questo metabolizzandoli e trovando il posto e lo spazio: simile ad un pendolo che oscilla da un lato all'altro per cercare il suo posto sino a quando lentamente rallenta e ingloba tutti i lati per diventare il tutt'uno al centro. Amare se stessi abbastanza per vincere la dipendenza è un requisito essenziale per amare un'altra persona; si può imparare a vivere la coppia liberamente, gestendo amore e potere interiore: dare per il piacere di dare, sentendolo. Sentire quando è sì e quando è no, quando è troppo o troppo poco. Sentire il libero arbitrio dentro di sé avendo la consapevolezza di ogni scelta. Si può imparare a stare dentro di sé, rimanendo in contatto ed agendo fuori di sé; ci sono varie tecniche di respirazione che permettono il controllo della mente, inoltre collegarsi con il proprio respiro permette di entrare in contatto fisico con l'altro senza timidezza, paura o controllo. La creatività è molto importante, perché ci porta ad esprimere ciò che siamo. Crearsi una vita piena di interessi di cui potersi occupare e risponderne in prima persona, è una “terapia” quotidiana di cui prendersi carico. Si tratta di un cammino lungo e faticoso,

sicuramente ci saranno frequenti

ricadute e giornate buie, ma piano piano è possibile imparare a contenersi e a prendersi cura del nostro Bambino Interiore. Si può imparare a stare bene con sé stessi, sentirsi completi, esseri armoniosi e creativi, amandosi, perdonandosi ed accettandosi pienamente per ciò che si è.

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Nasciamo soli, moriamo soli, a volte ci incontriamo con l'altro, ma poi è necessario essere in grado di tornare soli, occorre imparare ad accettare questa condizione e farne una ricchezza, per questa avventura affascinante che è il Viaggio nella Conoscenza di sé.

“Finché abbiamo bisogno dell'altro, non abbiamo la capacità di stare soli e godere l'immensa ricchezza che lo stare soli fa scaturire. Il nostro Centro è il Luogo dove solo Noi possiamo andare, luogo dove troviamo il nostro soddisfacimento. Ma l'Amore vero non è una fuga dalla solitudine, l'Amore vero è uno stare soli che trabocca. Uno è così felice nell'essere con se stesso che vorrebbe condividere. La felicità vuole sempre condividere. E' troppa, non può essere contenuta, come il fiore non può contenere la sua fragranza, deve essere emanata.” Osho

La Felicità non è vincolata dal raggiungimento dei desideri materiali dell'Essere Umano, né deriva dalla realizzazione dei suoi sogni, bensì dalla sua “qualità del sentire”, ossia da come riesce a vivere la loro realizzazione. Michel Hardy

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ESEMPI DI TESTIMONIANZE “ Sono una donna che vive una esperienza sulla dipendenza affettiva che, nel mio caso, è stata soprattutto dipendenza psicologica dalla mia famiglia. Sono una donna di 39 anni e non mi sarei mai fatta delle domande se cinque anni fa, alla rottura di una relazione durata circa 14 anni, mi resi conto che non riuscivo a superare quel lutto, non riuscivo ad accettare il distacco da qualcuno che analizzando le cose profondamente, in fondo, non aveva altro legame con me che una sorta di mutuo soccorso, che improvvisamente nel momento in cui lui non aveva più bisogno di appoggiarsi a me, aveva messo in discussione. Premetto che durante i 14 anni di fidanzamento-relazione io ero ingrassata di 16 kg e nonostante le diete, la ginnastica e tante terapie non riuscivo a dimagrire che di pochi chili. Il mio metabolismo si era fermato così come io avevo fermato il mio progresso interiore in quella relazione. Più mi legavo a lui attraverso cose materiali (acquisto di una casa, dell’auto etc.) più mi gonfiavo e

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alienavo dal resto del mondo. La perdita di questo legame è stata per mesi da me rifiutata, mi ero chiusa in me stessa. I miei genitori, persone molto concrete e materiali, non riuscivano a darmi quel sostegno morale, anzi pretendevano da me una scelta definitiva (lui non ha mai deciso in maniera definitiva, mi lasciava per poi riavvicinarsi più e più volte) che io non riuscivo a fare. Il primo vero consiglio che ho accettato è stato da mio fratello: “va a vivere per conto tuo e cerca di farti aiutare se non ce la fai da sola”. Ancora lo ringrazio per questo, mi sono sentita amata da lui per la prima volta. Dopo aver capito che cosa mi aveva legata a quest’uomo e aver preso coscienza che anche io volevo un tipo di relazione diversa, un’affinità con l’altro che non avevo mai preteso nella mia vita, ho incominciato a notare quelli che erano i miei problemi e a volerne capire l’origine. C’è voluto un percorso di psicoterapia di due anni e un altro anno di studi da parte mia per arrivare a comprendere. La mia storia di disadattamento e insicurezza, sfiducia di me stessa era incominciata a 3 anni di età ca. Ero una bambina molto sensibile e vivevo un particolare momento della mia vita, figlia unica fino a quel momento, avevo tanto desiderato un fratellino ed il mio desiderio si stava avverando. La mia mamma stava per partorire ed io non vedevo l’ora di vedere la faccia di quel nuovo venuto. Io che non riuscivo a staccarmi da mia madre neanche per un’ora, ero riuscita ad accettare la sua lontananza, il mio sradicamento da casa per stare con la nonna ed i miei zii in attesa di quella cosa nuova. Ero felice. Poi qualcosa turbò la mia serenità. Una sera vidi qualcosa che non capivo (avevo visto qualcuno toccare, palpeggiare mia zia che era in età puberale -13 anni) non potevo sapere se ciò che avevo visto era bene o era male, ma sapevo che io non lo avrei permesso a me, sentivo che c’era qualcosa di sbagliato e non capivo. Dopo questo fatto parlando con uno dei miei zii gli dissi che non volevo più dormire con mia zia e quando lui mi chiese perché, gli raccontai cosa avevo visto. Lui cercò di

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minimizzare e la sera dopo dormii con lui e quella cosa finì nel dimenticatoio.

Qualche giorno dopo però ricordo di aver assistito ad un litigio di mio nonno con mia nonna, non sò di cosa discutessero né riuscivo a ricordare se qualcuno mi avesse chiesto qualcosa. Sò solo che mia nonna difendeva qualcuno. Poi un’immagine mi aveva terrorizzato: qualcuno sopra di me, che mi teneva con le braccia alzate e che mi minacciava, mi diceva che ero bugiarda e cattiva, anzi che ero gelosa e che se avessi raccontato di nuovo quella cosa me l’avrebbe fatta pagare. Ero molto piccola e ciò che sto riportando è ciò che ho ricordato in psicoterapia, i ricordi prima del percorso terapeutico erano solo di questa grande litigata in cui io mi sentivo coinvolta, ma non ricordavo altro. Dopo 1 anno di terapia ricordai quello che ho riportato. Dopo due anni e mezzo sono arrivata a scoprire chi mi aveva fatto del male, una persona che era quasi una figura genitoriale per me, sia per età, che per la considerazione di cui godeva (era il primo figlio maschio) mio zio. Ho dovuto prima ricordare, poi perdonare la rabbia che avevo nei confronti di mia madre, a cui imputavo di non avermi saputa proteggere, e di non avermi creduta nel momento in cui le avevo raccontato. È stata dura ed è stato ancora più pesante ammettere che due anni più tardi ho emulato ciò che avevo visto, coinvolgendo una mia cugina. Lo feci senza nascondermi e mia zia (la madre) vedendo il mio comportamento mi disse che quelle cose erano sbagliate tra due bambine, che un giorno avrei trovato un marito che mi avrebbe spiegato. Non mi turbò la sua spiegazione e trovai il coraggio di dire a lei ciò che non avevo più il coraggio di raccontare a nessuno. Lei mi abbracciò e mi disse che quella persona aveva sbagliato e che io non dovevo fare lo stesso errore. Per la prima volta mi sentii compresa, desiderai che quella fosse mia madre. Mia zia ne parlò con mia madre (lo so perché ascoltai di nascosto); mia madre prima cercò di imputare la cosa alle fantasie dei bambini, poi vista l’insistenza le rispose che forse anche lei si era fatta suggestionare. Premetto che mia zia, una persona molto sensibile, all’epoca viveva un momento difficile della sua vita matrimoniale ed era arrivata a pensare di lasciare il marito; da nessuna

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delle sue sorelle aveva avuto appoggio morale, anzi tutte le dicevano che avrebbe dovuto sopportare la situazione (erano i primi anni ‘70 e il divorzio non era contemplato come via d’uscita). A distanza di tre anni da questo avvenimento, il giorno della mia prima comunione, la mia felicità era offuscata solo dal fatto che non potevano parteciparvi mio fratello, confinato a casa di nonna con il morbillo, e proprio mia zia che era ricoverata in una clinica. Durante la festa mi appartai e scrissi una lunga poesia di morte: una madre chiede ad un angelo perché gli ha portato via il suo figlio migliore e l’angelo risponde che è proprio perché è il migliore che glielo ha tolto. Mi sentivo strana, era un giorno felice eppure i miei pensieri erano pieni di morte. Il giorno dopo lo squillo del telefono ci svegliò, risposi io, gli altri dormivano. Dall’altro capo del filo il marito di mia zia che non aveva capito che non era mia madre ad avergli risposto. Ricordo solo che ho urlato, mia zia era morta. Stracciai quella poesia, per me significava come un aver decretato la sua morte o averla percepita e non essere stata in grado di aiutarla. Mi sentivo ormai sola, persa, inutile ma nonostante tutto reagii. Sono andata a ricercare i miei vecchi diari

di

allora

e

ho

scoperto

quanto

ho

scritto,

quanto

ho

cercato

inconsciamente l’aiuto degli altri. Ma nessuno poteva aiutarmi, non mia madre che doveva lottare con i propri sensi di colpa, non mio padre che era assente e tutto preso dal garantire alla famiglia il benessere economico. E poi di nuovo a 10 anni sempre con mia cugina ci tocchiamo di nuovo e stavolta mentre eravamo sotto la custodia di mia nonna, inconsciamente volevo una reazione da lei, perché capivo che era lei il problema, non solo per me, ma anche per mia madre, mia zia, tutti i figli. Mia nonna reagì con violenza e messa a parte mia madre della cosa mi giudicarono e condannarono entrambe inchiodandomi alle mie responsabilità, facendomi sentire in colpa perché ero più grande, perché mia cugina era orfana. Quindi, in età preadolescenziale ero arrivata alla considerazione che la colpa era in me, che ciò che mi aveva turbata non era responsabilità dell’adulto, ma

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del bambino. Ciò mi ha portata a considerare gli uomini mostri, soprattutto quanto più mi piacevano. Mi ha portato a scegliere ciò che non mi piaceva, per una sorta di autopunizione. Il fatto di non essere stata creduta mi aveva convinto che non ero degna di fiducia, che ero bugiarda e quindi a che serviva essere sinceri? E sono stata una grande bugiarda, una di quelle che inventa una vita parallela e sa farsi credere dagli altri. Ma nonostante questo, ho saputo reagire. Dentro di me le cose che erano accadute avevano lasciato una ferita sanguinante, ma apparentemente ero una figlia modello: studiosa, socievole, piena di interessi artistici. I primi sintomi del malessere sono emersi nei rapporti con i ragazzi: mi mettevo in competizione con loro, volevo dimostrare di avere più carattere e forza di loro. E poi il confronto con mia madre: difficile che ciò che piaceva a me riscontrasse la sua approvazione. La relazione che poi ho portato avanti per tanti anni è nata proprio per fare un dispetto a lei. Ma nel corso del tempo, inconsciamente, mi rendevo conto che stavo facendo una scelta molto più vicina a lei che non a me, l’uomo che avevo scelto era molto simile a mio padre: un uomo che lasciava tutte le decisioni a me. In realtà avevo deciso di conformarmi a ciò che mia madre aveva voluto per sé. Non l’avrei mai ammesso allora, ma ora lo so, mandavo giù non solo cibo in quegli anni, ma tutta la mia delusione e disperazione. Ci è voluto tempo e ce ne vorrà ancora molto per riuscire a sapermi proteggere. Perché è questo il mio problema, non sò proteggermi da chi mi vuol bene. È come se, inconsciamente, delego la responsabilità di protezione a qualcun altro. La bambina che voleva essere protetta fa fatica a ribellarsi alle imposizioni degli adulti che pur amandola le fanno del male, con le parole o con i gesti. Ma saperlo mi rende più lucida per comprendere i miei comportamenti e, - a fatica, anche costringendomi a prendere posizioni forti - ho imparato a non far intromettere nessuno nelle mie scelte, nella mia vita personale. Un’altra conseguenza era il rendermi conto che non avevo un rapporto reale e positivo con il mio corpo, che ero come spezzata: da una parte c’era la mia anima, la mia mente che accettavo e di cui ero fiera, dall’altra il mio corpo che non

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accettavo, che non sentivo mio. Oggi peso circa 20 kg in meno e mangio ciò che mi fa piacere e bene mangiare. Il cibo non è più un mattone per riempire la pancia che non vuole sentirsi vuota perché altrimenti sente l’eco di ciò che le manca o le è mancato, ma è piacere, è occuparmi di me. Durante questi anni ho incontrato un uomo che viveva, come me, un disagio. Ci siamo sfiorati, ci siamo fatti del male, ci siamo lasciati e ci siamo ritrovati. Non sò dove ci porterà tutto questo e forse non voglio neanche saperlo, voglio solo vivere in modo consapevole, saper godere della gioia senza aspettarmi con terrore il dolore. Donare il mio amore ma saper mantenere il mio centro, cioè me stessa, ciò che fa bene per me, ciò che io desidero. Essere consapevole che l’altro può condividere con me, ma non può riempire il desiderio della bambina che non si è sentita amata. Quella bambina prima o poi riuscirà a guardare negli occhi suo zio e a non odiarlo più, riuscirà a capire che una persona apparentemente tanto sicura di sé e moralmente normale le ha fatto del male e chissà se si è rimproverata molte volte. Se qualcuno solo dieci anni fa mi avesse detto che custodivo un mistero dentro di me, gli avrei risposto che non c’era niente di misterioso in me, che tutto era chiaro e limpido e che mi sentivo perfettamente conscia di ciò che facevo. Oggi so che non era così, che ho negato ripetutamente a me stessa la possibilità di buttare fuori ciò che mi portavo dentro, che ho continuato imperterrita senza farmi domande finché tutte le mie certezze (un uomo) sono crollate davanti a me; ed è lì che ho preso coscienza che non era possibile che fondassi la mia vita su quella di un’altra persona, che ho deciso di trovare la vera persona su cui fondare la mia vita, che la riempisse e completasse: ossia dare spazio, valore e attenzione a me stessa.” Giorgia 39

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ANALISI EMPIRICA DELLA TESTIMONIANZA DI GIORGIA La testimonianza riportata da G. denota una profonda analisi psicologica avvenuta all'interno di un percorso terapeutico, che mette in luce i meccanismi presenti in un rapporto di co-dipendenza (sia nel rapporto col partner ma soprattutto in famiglia). Nell'esposizione del processo di consapevolezza avvenuto in G. ho trovato spunti per un'analisi empirica del suo vissuto. G. è una donna di 39 anni e si trova empiricamente nel periodo in cui una donna è nel passaggio al ruolo di adulta, passo che non le è permesso perché il suo stato emotivo non è in linea con l'età anagrafica prevista dal sistema per entrare nella fase adulta, ma è ancora aggrappata alla fase bambina in richiesta, in dipendenza dagli altri; ha bisogno di prendersi carico delle sue responsabilità ed affrontare il dolore sorto da bambina e così celato dentro di lei. La violenza subita da piccola, quando era nella fase naturale di donna Yin alterata, gli esempi femminili presenti nella famiglia portatori di cariche Yin deviate e non sane, hanno bloccato la sua naturale crescita ed hanno dato inizio ad un degrado empirico ed al sorgere di debiti empirici di cui è portatrice. Le emozioni naturali sono state schiacciate dalla paura di non essere compresa, dal senso di colpa, di inadeguatezza, di solitudine. La profonda sensibilità che le fa sentire il pericolo della morte vicina, ma anche la paura di averla in qualche modo richiamata (la poesia sulla morte e la morte della zia il giorno successivo), le fa vivere un profondo senso di colpa. La morte ai fini empirici è l'unico tabù previsto dal sistema e sperimentarne la presenza emotiva in tenera età blocca l'evoluzione naturale delle emozioni stesse. In tutta la sua crescita personale l'emozione di base è la paura, emozione

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trainante del codice Yin che essendo vissuta all'eccesso, non equilibrato svia: il suo modo di affrontare la vita, il suo “sentire” la vita e fa da catalizzatore al suo modo di agire e porsi nelle relazioni. La paura la porta a trovare modi per difendersi dagli altri che si esprimono nel corpo: ingrassando, sono “sbagliata” e mi rendo non attraente; mi sento sola e non capita, riempio il mio vuoto col cibo; non mi sento amata e cerco un compagno che ha “bisogno” di amore; nasconde la sua sensibilità che le crea problemi con la spinta della competizione e della forza col mondo maschile, per potersi difendere da coloro che considera “mostri”. L'ordine prevede l'assunzione della carica Yin primaria (perché legata al sesso biologico di appartenenza)

e della carica Yang secondaria (legata al sesso

opposto) quale integrazione naturale. La spinta e competizione utilizzata per difesa, la fanno avvicinare al codice secondario Yang in modo distorto, essendo anche “orfana” della carica genuina Yang di un padre assente, e vivere la relazione affettiva con il partner in modo dipendente. La paura non riconosciuta porta ad un bisogno emotivo di nasconderla dimostrando d'essere forte, ben piazzata fisicamente; all'interno di una relazione ha bisogno di concretezza che poi non riesce a sostenere, così come il partner vive la stessa insicurezza e si appoggia per poi allontanarsi in un continuo “tira e molla”, perché il concretizzare un legame porta all'assunzione di responsabilità che entrambi non sono in grado di sostenere.

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“Ero una bambina timida e complessata, per mascherare e compensare questi miei stati d'animo facevo di tutto

per attirare l'attenzione degli altri

mostrandomi simpatica e spavalda. Mia madre, molte volte, mi ripeteva che mio padre avrebbe voluto un figlio maschio, perciò io mi comportavo da maschio per compiacergli: andavo a caccia e a pesca con lui, anche se non mi piaceva molto, e facevamo tante altre cose insieme. In questo modo sono diventata la “cocca di papà” iniziando ad occupare sempre più spazio e cercando di prendere anche quello di mia madre nelle piccole cose. Il rapporto con mia madre era abbastanza freddo, non mi sentivo considerata né vista e non ho nessun ricordo di gesti affettuosi da parte sua. Lei era più attenta a mia sorella più piccola che le dava più soddisfazioni e alla quale è rimasta molto legata tuttora. A scuola non andavo molto bene, anzi, studiare non mi piaceva e ricordo che quando mia madre mi interrogava sulla lezione, io le ripetevo sempre la stessa, tanto lei non se ne accorgeva.

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Prendevo brutti voti, ma non me ne importava, anzi quasi li esibivo con orgoglio. Quando avevo 14 anni il mio adorato papà si ammalò gravemente rimanendo semi-paralizzato e spesso poco lucido di mente. Mi crollò il mondo addosso, ero disperata, sentivo affondare ogni certezza e piano piano lo sentivo sempre più lontano da me. C'era, ma non c'era più per me! Una domenica, mentre ero al cinema con delle amiche, lo vidi entrare nella sala e subito dopo accendersi una sigaretta; aveva sempre fumato molto e la causa del suo male era proprio quella, per questo i medici glielo avevano proibito. Ricordo la mia incredulità, ricordo quanto sono stata male, non riuscivo a smettere di guardarlo, sentivo una strana sensazione alla quale non riuscivo a dare un nome. Solo ora comprendo: mi sentivo tradita. Solo ora comprendo quanta rabbia ho sentito in quel momento, rabbia nei suoi confronti, rabbia perché sentivo la sua debolezza, la sua mancanza di volontà verso quel vizio così dannoso per lui. Sentivo che non voleva prendersi la responsabilità di guarire per amore della sua famiglia. Sentivo rabbia perché non gli importava di me tanto da voler tornare “normale”! Tutta quella rabbia, a quell'età era soffocata dal dolore, dall'impotenza e dalla delusione. Mi ricordo inoltre che verso i 15 anni andavo alle festicciole che organizzavano gli amici, nessuno mi invitava a ballare ed io facevo regolarmente da “tappezzeria”, questo mi faceva soffrire moltissimo. Le rare volte che un ragazzo si accorgeva di me, nel raccontarlo a mia madre mi faceva notare che era solo per interesse. A 16 anni decisi che ero stanca di essere ignorata; da qualche tempo mi

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piaceva molto un ragazzo veramente bello e ambito da tutte le ragazze della mia città. Dopo vari tentativi riuscii a conoscerlo ed ottenere il mio primo appuntamento con Dario! Ero felicissima, incominciammo ad uscire, ma lui frequentava anche altre ragazze, facendomi rimaner male, arrabbiare, ma decisi di tener duro sperando che lui alla fine scegliesse me. E così fu infine! Furono anni in cui la felicità si alternava alla tristezza, perché lui spesso si sentiva insoddisfatto e arrabbiato con il mondo intero e scaricava su di me tutte le sue tensioni. Io ero innamorata e per lui avrei accettato qualsiasi cosa, però dentro non mi sentivo serena come pensavo ci si sentisse quando si è innamorati. All'età di 18 anni, mentre mio padre era ancora in vita, rimasi incinta. Dopo averlo detto in famiglia e dopo essermi sentita insultata in tutti i modi, decisi di abortire. Una sera mio padre cessò di soffrire e spirò tra le mie braccia. Ricordo che sentii un senso di liberazione, per lui e per me: mi faceva molto male vedere un uomo, pieno di vita e temperamento quale era stato, diventare giorno dopo giorno apatico e impotente a causa della sua malattia; inoltre il dolore per la sua morte copriva quello legato alla decisione dell'aborto. Passa il tempo e la relazione con Dario prosegue, ma le cose non cambiano; lo amo, continuo a sentire tristezza dentro, ma non posso dire nulla, perché la mia famiglia sosteneva che non era il ragazzo per me ed io essendo orgogliosa, non potevo ammettere di avere sbagliato e che loro avessero ragione. Dopo qualche anno non ce la faccio più e decido di lasciarlo. Lui allora incomincia a seguirmi, lo trovo dappertutto, è disperato, dice che non può vivere senza di me. L'anno dopo ci sposiamo. Sono stata felice, lavoravamo insieme, uscivamo spesso, avevamo amici. Lui si occupava di tutto, sceglieva per me ed io piano

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piano mi sono adagiata a questa situazione che, onestamente, mi faceva comodo. L'unica cosa che non andava bene nel nostro matrimonio, a parte il suo carattere autoritario, era il non riuscire a rimanere incinta e soddisfare il suo grande desiderio d'avere un figlio. Iniziamo a fare una serie di visite specialistiche, e lui incomincia ad insistere anche per una eventuale adozione. Io non me la sentivo, però dico di sì. Dopo qualche mese, finalmente resto incinta. Nasce il mio bambino ed io sono al culmine della gioia. Adoro il mio bambino, mi sento realizzata come donna e sopratutto felice per aver donato un figlio all'uomo che amo. Poco dopo la nascita del nostro bimbo, lui incomincia ad uscire, non sta quasi mai a casa, ci trascura, è sempre fuori per lavoro e per cose sue. Mi assale un malessere strano, che oggi posso definire depressione, sono sempre stanca e faccio fatica a seguire il bimbo, il lavoro e la casa. Vengo a sapere da lui stesso che frequenta altre donne, e che una di queste, quella per lui più importante, aspetta un figlio suo. Mi chiede aiuto. Io lo ascolto per ore, mi racconta tutto, come se fossi un' amica e non sua moglie. Sono sconvolta e soffro tantissimo, ma lo ascolto, lo sostengo e lo aiuto. In quel periodo è successo di tutto, il bimbo non è mai nato e la loro relazione è durata per molto tempo. Io ho sopportato tutto in silenzio, ho tenuto tutto segreto per difenderlo, per difendere me stessa e mio figlio. Mi sono umiliata quando gli chiedevo di restare a casa con noi, mentre lui usciva per andare da lei. Mi sono umiliata quando con la morte nel cuore lo ascoltavo, mentre lui quasi con orgoglio mi parlava di lei. Mi diceva di stare al mio posto, perché lui non ci avrebbe lasciati. Lo amavo e pensavo di fare la cosa giusta. Sono passati molti anni e credevo che il tempo potesse cancellare o almeno attenuare tutte quelle sofferenze, ma purtroppo non è stato così. Certe ferite

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restano dentro di te e ti lacerano il cuore. Un giorno una cara amica mi ha presentato una persona speciale e oggi frequento un gruppo di crescita personale. Ho compreso che l'amore non è questo. L'amore non è sofferenza e umiliazione, ma gioia, condivisione e rispetto. Oggi ho trovato il coraggio di staccarmi da lui e credo di aver fatto la scelta migliore, per me e per mio figlio; ora, lentamente, un passo dopo l'altro, mi sto riappropriando della mia vita pur osservando quanto sia faticoso uscire da una co-dipendenza così forte e profonda, ma voglio dimostrare a mio figlio che nella vita si può sbagliare e lasciarsi abbagliare dai sogni, ma nella vita c'è sempre un'altra

possibilità,

una

nuova

occasione;

è

necessario

prendersi

la

responsabilità di fare la scelta che più ti sembra giusta ed appropriata rispettando se stessi e soprattutto amando se stessi.” Benedetta P.

ANALISI EMPIRICA DELLA TESTIMONIANZA DI BENEDETTA In questa seconda testimonianza trovo alcuni punti in comune con la prima: la stessa tipologia di famiglia, il senso di inadeguatezza della protagonista, il bisogno di legarsi a qualcuno per essere riconosciuti e sentirsi importanti e necessari che contraddistinguono le relazioni di co-dipendenza. Quello che mi ha colpito in questa testimonianza è il “tradimento”, tema che si ripete nella vita di Benedetta: la morte del padre è vissuta come un “tradimento” nei confronti del suo bisogno d'essere protetta; il “fumare” nonostante la malattia è un “tradimento” all'ideale del buon padre di famiglia; la figura del padre viene ricercata nel compagno che ripete il cliché della sua vita: la tradisce con altre donne. Nella testimonianza anche il tema “aborto” si ripete: quello personale all'età di 18 anni e quello successivo, dopo la nascita del figlio, frutto del tradimento del marito. Ai fini empirici l'aborto crea un debito molto pesante nei confronti del

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sistema: aver violato l'unico tabù sistemico, la morte, l'unico non riscattabile. Il debito è attribuito ad entrambi i partner in quanto co-responsabili e complici della violazione effettuata. La figura femminile copre il ruolo dell'agent classico (brava bambina) mentre la figura maschile quella del salvatore. A fronte di un processo di compensazione, previsto dall'ordine all'interno del sistema, le due figure si cercano e si inseguono, instaurando un rapporto interdipendente tra loro che è difficile rompere e sciogliere: sono così necessari uno all'altro da rappresentare l'esatta metà della mela. All'inizio della relazione è quindi questo bisogno di compensazione che attira i due partner: entrambi sono portatori di un debito empirico notevole che fa in modo che la loro parte “ombra” si attragga. Pertanto la “brava bambina”, che utilizza le ribellioni adolescenziali per essere vista e dimostrare che anche lei esiste, ha bisogno del “salvatore” che la rapisca sul suo cavallo bianco e le offra il suo posto nel mondo al fianco del “principe” al pari di una “principessa”. Instaurata la coppia, nel tempo è necessario che entrambi i partner crescano e diventino adulti come coppia: il passo successivo naturale è prendersi la responsabilità di se stessi e crescere come persone rispettando il proprio essere in condivisione con l'altro. Non essendo entrambi portatori sani della propria carica primaria e tanto meno della carica secondaria, questo passaggio alla fase “adulta” è compromesso e difficoltoso. Cosa avviene quindi nella coppia? La coppia si “congela” nelle loro posizioni individuali mantenendo le dinamiche di compensazione e co-dipendenza per stare in piedi: la (bloccata nella sua

paura di vivere)

donna

si appoggia all'uomo

finta Yin

finto Yang

(prevaricatore e portatore di rabbia) insofferente nei confronti della vita. La dinamica compensatoria potrebbe rimanere in essere sino alla fine dei loro giorni

se non fosse per un fattore improvviso scatenante sopraggiunto: il

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desiderio di riscattare la propria vita nella figura femminile la porta a cercare una via d'uscita. L'ordine crea sempre situazioni in cui è possibile evadere il proprio debito sistemico accumulato, tranne quello legato alla violazione del tabù sistemico. L'incontro col gruppo di crescita offre alla figura femminile l'opportunità di fare nuove scelte, che la stanno portando a diventare consapevole della sua dipendenza affettiva, e prendere finalmente tra le mani la sorte della sua vita. Quello che appare chiaro nei protagonisti è la loro “luce” e “ombra” che sono in contrapposizione ma che si attraggono. Nella figura maschile, ad esempio, il suo mostrarsi al mondo deciso, determinato, sicuro, intraprendente, costruttivo, aggressivo (lato luce = ciò che mostro all'esterno) nasconde la difficoltà a sostenere le emozioni, i sentimenti subappaltandoli alla partner e scaricandoli su di lei per alleggerirsi la coscienza (lato ombra = senso di colpa non riconosciuto). Così facendo la responsabilità per ogni decisione

a livello emotivo è scaricata e consente di non sentire la

“colpa”, mentre per la partner cresce il senso del dovere e l'attaccamento morboso. In questo si crea la co-dipendenza: il bisogno. Nella figura femminile il lato luce visibile al mondo è rappresentato dall'essere disponibile, servizievole, buona e comprensiva, che si adatta alle circostanze, che si sacrifica, non ha bisogno di autoaffermarsi; tutto questo nasconde la sua mancanza di autostima, la paura nei confronti degli altri, il sentirsi inadeguata, incapace, non meritevole (lato ombra). Lo stesso copione utilizzato da bambini viene riproposto ed usato da grandi: la donna non vista dalla madre da bambina, delusa dal padre, non è considerata da grande dal marito e lei permane nell'emozione dell'abbandono, del tradimento e del sentirsi sola nel mondo. Da qui nasce la sua dipendenza dagli altri: ha bisogno di qualcuno che si accorga di lei e questo dolore nascosto dentro di lei diventa la sua parte “ombra” che attira il partner. Dentro di sé si sente così sola che è disposta a tutto pur di non perderlo: di fronte alla

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richiesta da parte del marito di “comprendere” il suo egocentrismo di fronte alle donne, è disposta a subire tutto per sentirsi “indispensabile”, perché solo così può essere amata. Si creano dei giochi all'interno della coppia, in cui uno subisce e l'altro si accanisce, che paiono a

volte forti e perversi nel loro

manifestarsi emotivo, dinamiche che li rende dipendenti e copre il legame così stretto di responsabilità date all'altro e sensi di colpa non assunti. La co-dipendenza è un insieme di meccanismi profondi e nascosti difficili da riconoscere sino a quando si rimane legati all'interno della coppia: uno è così necessario all'altro da non accorgersi del male che ci si procura reciprocamente.

La solitudine è l'indipendenza che presenta il conto. Elisabeth Carli

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RINGRAZIAMENTI La stesura di questa tesi è stata per me profonda e importante, tanto da definirla IL SEMINARIO FINALE; avendo affrontato l'argomento, con la preparazione e la frequentazione di tanti anni passati presso l'Accademia di Michel Hardy, mi sento di aver acquisito un bagaglio di nozioni e di esperienza che mi hanno fatto

“vedere” tante dinamiche mie e di altri che prima

sicuramente non sarei riuscita ad interpretare e a comprendere. La conclusione di questo mio percorso di crescita personale è stata per me la realizzazione di un sogno ed il riscatto della mia Vita. Desidero ringraziare tutte le presone che sono entrate e uscite dalla mia Vita, per molti anni o solo per poco tempo: tutti siete stati importanti e avete lasciato ricordi indelebili nel mio Cuore. Grazie a tutti coloro che ho conosciuto durante gli anni del mio percorso personale, Anime che non ho più rincontrato, ma che hanno lasciato la loro traccia dentro di me. Ringrazio la mia cara Amica Giancarla per l'incoraggiamento, l'aiuto e il sostegno che amorevolmente mi ha regalato. La tua amicizia è davvero preziosa! Grazie alla “Tribù delle Donne” per le nostre condivisioni e per la nostra complicità; la nostra Sorellanza è stata molto intensa e profonda, ma anche gioiosa e giocosa. Grazie al “Cerchio degli Uomini” dai quali mi sono sempre sentita onorata e protetta; è stato bello, per me, scoprire quanto siete meravigliosi!

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Voglio esprimere la mia gratitudine a

Michel, grazie di cuore per la tua

presenza, la tua comprensione, la tua fiducia, ma anche per i tuoi modi bruschi che a volte mi hai riservato, e dei quali avevo bisogno per crescere. Grazie per esserci sempre! Infine, voglio ringraziare me stessa, per essermi data questa opportunitĂ , per essere quella che sono e per aver iniziato questo bellissimo rapporto d'Amore con me. Sono fiera di me!

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INDICE

-

Introduzione

Pag.

3

-

Pag.

5

-

Mal d’amore

Pag.

6

-

Pag.

9

-

Riconoscere le dipendenze affettive

Pag. 10

-

Pag. 15

-

Debito di base e coscienza personale

Pag. 16

-

Pag. 24

-

La co-dipendenza

Pag. 25

-

Pag. 31

-

Brava bambina e salvatore

Pag. 32

-

Pag. 36

-

Le coppie alterate

Pag. 37

-

Pag. 43

-

I ruoli empirici e la coppia

Pag. 44

-

Pag. 48

-

Trasformazione – sciogliere le catene

Pag. 49

-

Pag. 51

-

Uscire dall’agency

Pag. 52

-

Pag. 54

-

Esempi di testimonianze

Pag. 55

-

Pag. 70

-

Ringraziamenti

Pag. 71

-

Pag. 72

73


BIBLIOGRAFIA

Articolo “Dipendenza affettiva”

di Dott.ssa Monica Monaco –

pubblicato su Internet 

Articolo “Origini di una dipendenza affettiva” di Dt. R. Cavaliere – pubblicato su Internet

“La grammatica dell'essere” del Professor Michel F. Hardy (Volume I – II – III – IV – V – VI)

“Dire basta alla dipendenza affettiva” di Marie-Chantal Deetjens

“ Vivere Amare Capirsi” di Leo Buscaglia

“Verso il vero amore” di Marie Lise Labonté

“L'Amore (im)perfetto di Annalisa Balestrieri

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