MANUALE PRATICO - Rifrazione e prescrizione lenti

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Refrazione e prescrizione lenti Manuale pratico

© Copyright FGE srl

ISBN 978-88-83125-63-77

Ristampa Febbraio 2023 - FISSO

Prima edizione Gennaio 2022

FGE srl

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Luigi Mele

Medico Chirurgo - Oculista

U.O.C. Oculistica, U.O.S.D. Trapianti Corneali - Università degli Studi della Campania

“Luigi Vanvitelli” Ministero della Salute USMAF-SASN - Napoli

Andrea Piantanida

Medico Chirurgo - Oculista

Centro Oculistico Lariano - Cernobbio - Como

Mario Bifani

Medico Chirurgo - Oculista

U.O.C. Oculistica, U.O.S.D. Trapianti Corneali - Università degli Studi della Campania

“Luigi Vanvitelli” Ministero della Salute USMAF-SASN - Napoli

Introduzione 7 1 Ametropie sferiche ed astigmatismo 9 1.1 Introduzione 9 1.2 La miopia: introduzione e definizione 10 1.3 Ipermetropia e sua classificazione 15 1.4 Astigmatismo: introduzione e definizione ...................................................... 17 2 Fase preliminare 21 2.1 Anamnesi 21 2.2 Esame esterno 23 2.3 La biomicroscopia 24 2.4 L’oftalmometria ............................................................................................................. 26 2.5 La schiascopia 28 2.6 L’autorefrattometria 31 2.7 Punto prossimo di visione nitida 33 3 Fase preliminare: test aggiuntivi 35 3.1 Test di Hirschberg 35 3.2 Dominanza oculare 36 3.3 Cover test 37 3.4 Tecnica di Von Greafe 38 3.5 Punto prossimo di convergenza 39 4 Fase della refrazione 41 4.1 Il posizionamento del portalenti 41 4.2 La centratura delle lenti di prova 42 4.3 Il visus per lontano ..................................................................................................... 43 4.4 Il visus per vicino 46
Indice
5 Refrazione monoculare 49 5.1 Compensazione della miopia 49 5.2 Compensazione dell’ipermetropia 49 5.3 Compensazione dell’astigmatismo con il quadrante per astigmatici 51 5.4 Compensazione dell’astigmatismo con il cilindro crociato di Jackson 54 6 Fase del bilanciamento della correzione 59 6.1 Test bicromatico 59 6.2 Test dei cilindri crociati 61 6.3 Punto prossimo di accomodazione 62 6.4 Luci di Worth 63 6.5 Test al filtro rosso 63 6.6 Il bilanciamento percettivo 64 6.7 La tollerabilità della lente 65 7 Presbiopia ................................................................................................................................ 67 7.1 Variazioni del cristallino e dell’accomodazione con l’avvento della presbiopia 67 7.2 La presbiopia 68 7.3 Classificazione della presbiopia 69 7.4 Eziologia della presbiopia 69 7.5 Fattori che influenzano l’insorgenza della presbiopia 70 7.6 Sintomatologia soggettiva 72 7.7 Determinazione dell’addizione 73 7.8. Verifica dell’addizione 75 8 La refrazione in età pediatrica 79 8.1 Validità 79 8.2 Accomodazione 81 8.3 Cicloplegia 84 9 Fase della prescrizione 89 9.1 Quale tipologia di lente consigliare 89 9.2 La compilazione della ricetta 93 Bibliografia 97

Introduzione

La prescrizione di una lente oftalmica che corregga adeguatamente il vizio refrattivo, che sia bilanciata nonché agevolmente tollerata da parte del paziente, rappresenta uno dei fondamentali obiettivi della pratica oftalmologica.

I processi che sottendono alla visione si basano su principi estremamente complessi e caratterizzati dall’interazione di più apparati organici e la psiche, la cui conoscenza, analisi e valutazione rientrano nell’affascinante capitolo dell’Ottica Fisiopatologica.

Il Manuale Pratico di Refrazione e Prescrizione Lenti rappresenta per il lettore uno strumento di agevole consultazione per realizzare una prescrizione lenti corretta ed adeguata a poter soddisfare le esigenze del paziente.

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Ametropie sferiche ed astigmatismo

Quotidianamente il professionista della visione si confronta con le più svariate condizioni nosologiche ed è sempre più professionalmente motivato ad approfondire la propria conoscenza scientifica nella diagnosi e cura di quelle condizioni morbose che magari costituivano, fino a quel momento, una parte marginale della propria formazione professionale.

Accanto a questi momenti però, spesso ancor prima di aver concretamente idea di quale potrà essere il cardine dello specifico percorso diagnostico, l’operatore della visione si trova ad affrontare altri tipi di problematiche, spesso di scarso spessore motivazionale, quali l’identificazione di un vizio di rifrazione e la prescrizione delle lenti.

Tali fasi della visita, che spesso vengono assimilate maggiormente ad incombenze, vengono il più delle volte gestite in tempi ristretti, motivati dal carico di lavoro a raggiungere gli obiettivi prescrittivi quanto prima. Andando però a sviscerarne le fasi e le differenti problematiche di fronte a cui potrà trovarsi, il professionista si accorgerà di quanto anche ciò che svolgiamo routinariamente rientri in un cadenzato schema diagnostico-terapeutico che è parte integrante della nostra specifica formazione.

Lo scopo di questo manuale non è dunque quello di illustrare didatticamente quali siano le fasi di visita che portino alla prescrizione lenti, bensì vuole essere un percorso informativo e descrittivo dei momenti del nostro quotidiano, con l’obiettivo di portare lo specialista della visione ad una lettura interessata.

1.1 Introduzione

In caso di ametropie sferiche l’occhio presenta un eccesso o un difetto di potere.

L’occhio emmetrope con una distanza piano principale/retina di 22,2 mm ha un po-

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Introduzione

5.1 Introduzione

di ametropie sferiche l’occhio presenta un eccesso o un difetto di potere. abbiamo calcolato nel quartocapitolo,l’occhio emmetrope con una distanza principale/retina di 22,2 mm ha un potere di 60,00 dt, mentreil potere di un ametrope si può calcolare con la seguente formula: occhio ametrope = P. occhio emmetrope + Ametropia

In caso di ametropie sferiche l’occhio presenta un eccesso o un difetto di potere. Come abbiamo calcolato nel quartocapitolo,l’occhio emmetrope con una distanza piano principale/retina di 22,2 mm ha un potere di 60,00 dt, mentreil potere di un occhio ametrope si può calcolare con la seguente formula: P. occhio ametrope = P. occhio emmetrope + Ametropia

tere di 60,00 dt, mentre il potere di un occhio ametrope si può calcolare con la seguente formula: P. occhio ametrope = P. occhio emmetrope + Ametropia

Poiché

Poiché P n f 2 ' => ' .. 2 f n e Po e quindi:

5.Ametropie sferiche ed astigmatismo

e quindi:

n f 2 ' => ' 2 f n e Po e quindi: A f n aoP ' ...

miopia:introduzione e definizione

Capitolo

5.2La miopia:introduzione e definizione

1.2 La miopia: introduzione e definizione

5–Ametropie sferiche ed astigmatismo

La miopia rappresenta la situazione refrattiva nella qualeil fuoco immagine di un oggetto posto all’infinito si forma prima della retina,ad occhio disaccomodato

Mele, C. Gallenga, P. Perri

Introduzione

miopia rappresenta la situazione refrattiva nella qualeil fuoco immagine di un posto all’infinito si forma prima della retina,ad occhio disaccomodato La focale dell’occhio miope è più corta della lunghezza del bulbo e quindi la relazione seguente: pp/r

(Fig.1). La focale dell’occhio miope è più corta della lunghezza del bulbo e quindi è vera la relazione seguente:

f’ < d pp/r

La miopia rappresenta la situazione rifrattiva nella quale il fuoco immagine di un oggetto posto all’infinito si forma prima della retina, ad occhio disaccomodato (Fig.1). La focale dell’occhio miope è più corta della lunghezza del bulbo e quindi è vera la relazione seguente:

f’ < d pp/r

caso di ametropie sferiche l’occhio presenta un eccesso o un difetto di potere. Come abbiamo calcolato nel quartocapitolo,l’occhio emmetrope con una distanza piano principale/retina di 22,2 mm ha un potere di 60,00 dt, mentreil potere di un occhio ametrope si può calcolare con la seguente formula: occhio ametrope = P. occhio emmetrope + Ametropia

Occhio miope

Fig.1: Occhio miope

5.2La miopia:introduzione e definizione

“Miopia” deriva dalla parola greca che significa “occhio strizzato, contratto”, in quanto il soggetto miope tende a strizzare gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco le immagini sulla retina. Affinché l’occhio miope possa avere l’immagine nitida sulla retina è necessario che la radiazione ottica non provenga dall’infinito, ma da una distanza finita che varia al variare dell’entità della miopia. Questo concetto trova spiegazione nel fatto che l’oggetto e l’immagine relativa sono punti coniugati. La miopia è l’ametropia più studiata, probabilmente perché riveste un’importanza sociale rilevante, in quanto, anche valori bassi (ad es. Am. = –0,50 dt) limita la visione. Generalmente può insorgere nelle varie fasi della vita, sebbene con eziologia diversa. Tuttora non se ne conosce con certezza il meccanismo d’insorgenza, salvo alcune forme particolari indotte da alterazioni patologiche (ad es.: nelle cataratte nucleari l’ametropia è conseguente ad un aumento di indice del nucleo).

“Miopia” deriva dallaparola greca che significa "occhio strizzato, contratto", in il soggetto miope tende a strizzare gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco immagini sulla retina. Affinché l’occhio miope possa avere l’immagine nitida retina è necessario che la radiazione ottica non provenga dall’infinito, ma da distanza finita che varia al variare dell’entità della miopia. Questo concetto spiegazione nel fatto che l’oggetto e l’immagine relativa sono punti coniugati.La miopia è l’ametropia più studiata, probabilmente perché riveste un’importanza sociale rilevante,inquanto,anche valori bassi (ad es. Am.= +0,50 limita la visione. Generalmente può insorgere nelle varie fasi della vita, con eziologia diversa. Tuttora non se ne conosce con certezza il

miopia rappresenta la situazione refrattiva nella qualeil fuoco immagine di un oggetto posto all’infinito si forma prima della retina,ad occhio disaccomodato (Fig.1). La focale dell’occhio miope è più corta della lunghezza del bulbo e quindi vera la relazione seguente: d pp/r

“Miopia” deriva dallaparola greca che significa "occhio strizzato, contratto", in quanto il soggetto miope tende a strizzare gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco le immagini sulla retina. Affinché l’occhio miope possa avere l’immagine nitida sulla retina è necessario che la radiazione ottica non provenga dall’infinito, ma da una distanza finita che varia al variare dell’entità della miopia. Questo concetto trova spiegazione nel fatto che l’oggetto e l’immagine relativa sono punti coniugati.La miopia è l’ametropia più studiata, probabilmente perché riveste un’importanza sociale rilevante,inquanto,anche valori bassi (ad es. Am.= +0,50 dt) limita la visione. Generalmente può insorgere nelle varie fasi della vita, sebbene con eziologia diversa. Tuttora non se ne conosce con certezza il

: Occhio miope

“Miopia” deriva dallaparola greca che significa "occhio strizzato, contratto", in quanto il soggetto miope tende a strizzare gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco immagini sulla retina. Affinché l’occhio miope possa avere l’immagine nitida

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10 Refrazione e prescrizione lenti
- Ametropie sferiche ed astigmatismo
Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
Capitolo
Mele,
Gallenga,
Perri
5–Ametropie sferiche ed astigmatismo L.
C.
P.
A f n aoP ' 2
Capitolo 5–Ametropie
Mele, C. Gallenga,
Perri
sferiche ed astigmatismo
P.
P
2
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Poiché P n f 2 ' => ' 2 f n e Po e quindi: A f n aoP ' ... 2
Figura 1 Occhio miope

1.2.1 Genetica della miopia

La complessità dell’embriogenesi dell’occhio si rileva anche nella genesi della miopia, i cui pathways peraltro non sono ancora completamente delucidati. Sotto l’indirizzo del “master control gene” universale Pax 6, per lo sviluppo dell’occhio, agiscono una cascata di geni che hanno alleli favorenti l’insorgenza della miopia. Alcuni regolano la trasmissione degli impulsi nervosi (GRIA4: Glutamate receptor ionotropic AMPA4 [AMPA (alpha-amino-3-hydroxy-5- methyl-1-4-isonxazole-propionate) sensitive glutamate receptor: neurotrasmettitore predominante nel cervello dei mammiferi]; altri il metabolismo dell’acido retinoico (RDH5), sintetizzato nella retina ma fortemente espresso anche nella coroide e coinvolto nella crescita dell’occhio: codifica un enzima per la catena corta della famiglia deidrogenasi/reduttasi, funge da catalizzatore per la fase finale della biosintesi dell’11-cis retinaldeide, cromoforo universale dei pigmenti visivi; altri ancora controllano il rimodellamento della matrice extracellulare come il Bone Morphogenetic protein 2 gene (BMP2), che codifica il ligando per il Transforming Growth Factor-Beta (TGF-Beta) per il reclutamento ed attivazione della preproteina che viene processata per proteolisi a subunità dell’omodimero legato al disulfide correlato allo sviluppo di osso e cartilagine e che ne controlla l’architettura; Laminin subunit alpha2 (LAMA2) esprime la laminina, componente essenziale della membrana basale, identificata come mediatore dell’adesione, migrazione ed organizzazione cellulare nello sviluppo embrionale, interagente con le altre componenti della matrice, le cui mutazioni sono identificate come causa congenita della distrofia muscolare da deficit di merosina; lo sviluppo dell’occhio con geni homeobox SIX6 e Protease Serina 56 (PRSS56) sul cromosoma 2, dei quali era già noto il coinvolgimento rispettivamente dell’anoftalmia, nel glaucoma e nella microftalmia. I vettori di questi geni aumentano fino a 10 volte il rischio di sviluppare miopia. L’alterazione del collagene sclerale nell’area dello stafiloma di Scarpa era stata prioritariamente dimostrata al microscopio elettronico da Garzino (1956), nella Clinica Oculistica dell’Università di Torino diretta da Riccardo Gallenga: gli studi genetici hanno confermato il bersaglio, identificando un mosaico di geni attivi su domini coinvolti nel puzzle miopico. La mutazione di APLP2 (Amyloid precursor- like protein 2), localizzato sul braccio lungo del cromosoma 11q2.4, con dominio extracellulare dimerico per legami a rame, zinco, collagene ed eparansolfato, induce un eccesso di produzione della proteina che causerebbe allungamento del bulbo oculare; LEPREL1, localizzato sul braccio lungo del cromosoma 3 (3q28), codifica una prolina idrolasi (prolyl 3-hydroxylase 2: P3H2), enzima essenziale per la modificazione finale del collagene oculare indebolito.

1 - Ametropie sferiche ed astigmatismo 11

COL 1A1 (Collagen Type I Alpha 1)localizzato sul braccio lungo del cromosoma

17q21.3-22.1, genera istruzioni per la produzione di collagene tipo I, che provvede a rinforzare e sostenere molti tessuti umani, cartilagine, osso, tendini, pelle e sclera; le molecole di procollagene vengono processate da enzimi della matrice per creare collagene maturo, riarrangiandosi in lunghe e sottili fibrille che formano interazioni stabili di cross-linking negli spazi extracellulari, realizzando fibre molto resistenti.

RaSGRF1rs 2969336 (CC vs CG+GG, p = 0.03) è associato a miopia elevata nei modelli recessivi in eterozigosi (CG vs GG, p = 0.04), ma non in altri modelli. RaSGRF1, studiato al Kings College di Londra e confermato all’Erasmus Medical Center di Rotterdam su oltre 13.000 soggetti, è un Ra specific guanine e nucleotide-releasing factor 1, presente nella retina e nei neuroni dell’ippocampo, fondamentale per la funzione retinica e per la memorizzazione delle immagini, agisce con una cascata di reazioni bilanciate dello switch del complesso rasGTP (attiva i segnali a valle) e rasGDP (inibisce i segnali a valle) e correla con lo sviluppo miopico.

Secondo Peduzzi (2000) la miopia semplice è trasmessa soprattutto con modalità autosomica dominante, fortemente condizionata da fattori ambientali (prolungato sforzo accomodativo, particolarmente in ambiente mesopico), come adattamento migliorativo per l’aumentata richiesta di performance per vicino correlato alla scolarizzazione: correla infatti con un incremento miopico da 0% nella generazione ‘’wild’’ analfabeta al 30% in F 3 alfabetizzata, un tempo troppo breve per un possibile ruolo di variazione genetica, pur in presenza di significative variazioni etniche, ma esprime un vantaggio per la visione per vicino perché permette di economizzare in termini di energia e migliorare in termini di rendimento; la miopia patologica viene trasmessa con modalità autosomica recessiva, meno influenzata da fattori ambientali. Balacco Gabrieli ha individuato nel cross-talk retina/asse diencefalo-ipofisario una possibile componente neuroendocrina.

1.2.2 Classificazione della miopia

Vengono riportate in ordine cronologico una rassegna delle classificazioni più significative:

1. in base alle modalità della progressione della miopia (F.C. Donders, 1864)

– miopia stazionaria: generalmente di tipo lieve (1.50 - 2.00 dt) che non progredisce nel corso della vita

– miopia temporaneamente progressiva: progredisce nei primi anni di vita poi rimane costante (es: 3.00 dt a 10 anni, 7.00 dt a 20 anni, poi si stabilizza)

– miopia permanentemente progressiva: miopia di tipo elevato che continua ad

1 - Ametropie sferiche ed astigmatismo 12 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida -
Mario Bifani

aumentare nel corso della vita (es: 3.00 dt a 10 anni, 7.00 dt a 20 anni, 9.00 dt a 70 anni)

2. in base alle alterazioni indotte dalla miopia (Duke - Elder, 1949)

– miopia semplice: ametropia nella quale non vengono riscontrate alterazioni del fondo oculare; di solito insorge entro i 4 e 7 anni d’età e la sua progressione tende a ridursi dopo l’adolescenza

– miopia degenerativa: forma di ametropia che si associa a degenerazioni del polo posteriore, le quali in casi estremi possono portare alla cecità

3. in base al fattore prevalente che induce miopia (Emsley, 1953)

– miopia assiale: nella quale l’errore refrattivo è imputabile ad una lunghezza anomala del bulbo oculare

– miopia rifrattiva: nella quale l’errore refrattivo è imputabile ad un potere del sistema diottrico oculare anomalo; questa a sua volta può essere ulteriormente suddivisa in:

I. da indice: quando è dovuta ad una alterazione dell’indice di rifrazione di uno o più mezzi diottrici oculari (es. cataratta nucleare)

II. da curvatura: quando è dovuta ad una alterazione della curvatura di uno o più mezzi diottrici oculari

III. da posizione: causata principalmente dalla profondità della camera anteriore, la quale dipende dalla posizione del cristallino rispetto agli altri mezzi diottrici oculari

4. in base alle entità ed alle alterazioni del fondo oculare (Curtin, 1985)

– miopia fisiologica (lieve, semplice o benigna): dovuta ad una mancanza di correlazione tra potenza del sistema e lunghezza del bulbo, pur avendo entrambi i parametri valori nella normalità; fanno parte di questa categoria miopie fino a 3.00 dt.

– miopia intermedia (media o modesta): situazione in cui la lunghezza del bulbo oculare è superiore al range di normalità (> 25 mm), ma non si riscontrano alterazioni del fondo oculare; fanno parte di questa categoria le miopie tra 3.00 e 5.00 dt (in assenza di alterazioni del fondo anche miopie fino a 10.00 dt)

Queste prime due categorie possono essere a loro volta suddivise in base all’età di insorgenza:

1 - Ametropie sferiche ed astigmatismo 13
Fino a 3.00 dt Da 3.00 a 5.00 dt Da 5.00 a 8.00/10.00 dt Olre 10.00 dt Fisiologica Fisiologica/intermedia Intermedia/patologica Patologica dpp-r < 22 mm dpp-r da 22 a 25,5 mm dpp-r da 25,5 a 32,5 mm dpp-r > 32,5 mm

I. miopia congenita – quando è presente alla nascita e scompare nei primissimi mesi di vita (si riscontra circa nel 6% dei neonati)

II. miopia giovanile o infantile o acquisita – quando si sviluppa tra i 5 e i 12 anni di età; la miopia aumenterà tanto più velocemente quanto più precoce è stata la sua insorgenza

III. miopia tardiva – si sviluppa dopo i 15 anni, cioè in una fase dove lo sviluppo sia oculare che generale si è concluso; le persone che sviluppano questo tipo di miopia sono prevalentemente persone che svolgono la maggior parte del loro lavoro da vicino

– miopia patologica (elevata o maligna): situazione in cui la lunghezza del bulbo risulta molto lontana dai valori medi (> 32 mm) associata a tutta una serie di complicazioni patologiche del fondo oculare

5. in base alla teoria dello sviluppo miopico (McBrien – Bames, 1984)

teoria statistico-biologica: l’ametropia rappresenta, statisticamente, una normale variazione biologica di una componente fisiologica

– teoria dell’uso-abuso: la miopia è vista come un adattamento ad una situazione di uso eccessivo della visione da vicino

– teoria dell’emmetropizzazione: quando il processo di emmetropizzazione è disturbato da un feedback negativo che influenza il processo di messa a fuoco, può manifestarsi miopia

6. in base all’età di insorgenza della miopia (Grosvenor, 1987)

– miopia congenita: nonostante molti bambini nascano miopi questa classificazione include solo quelli in cui la miopia persiste durante l’infanzia ed è presente all’inizio della scuola (circa il 2%)

– miopia ad insorgenza precoce o giovanile (youth onset): si evidenzia durante il periodo di tempo compreso tra i 6 anni e tutta l’adolescenza (20 anni); durante questo periodo la percentuale cresce dal 2% a 6 anni fino al 20% a 20 anni

– miopia ad insorgenza adulta precoce (early adult onset): fa la sua comparsa nel periodo che va dai 20 ai 40 anni e la percentuale sale al 30%

– miopia ad insorgenza adulta tardiva (late adult onset): si presenta dopo i 40 anni e la percentuale tende ad aumentare durante gli ultimi anni di vita.

1.2.3 Sintomi e segni della miopia

I sintomi che generalmente lamenta il soggetto miope sono:

– acuità visiva bassa per lontano

– buona acuità visiva per vicino

1 - Ametropie sferiche ed astigmatismo 14 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele -
Andrea Piantanida - Mario Bifani

– astenopia: più precisamente mal di testa, dolori sopraciliari, dolori dei bulbi oculari, in quanto, in alcuni studi, è stato rilevato la presenza di accomodazione anomala nell’occhio miope, in parte dovuta ad uno squilibrio tra accomodazione e convergenza.

Invece l’operatore come segni può notare la tendenza del soggetto a strizzare le palpebre, una certa midriasi e, nei casi di miopia più elevata, esoftalmo (eccessiva sporgenza dell’occhio verso l’esterno). Altresì, in caso di miopia elevata e di eccessivo allungamento assiale, possono essere più facilmente presenti alterazioni del fondo oculare, evidenziabili con un esame oftalmoscopico.

Inoltre, durante la rifrazione possiamo notare:

– ridotta AV per lontano,

– buona AV per vicino,

– PP più vicino rispetto al coetaneo emmetrope,

PR a distanza finita,

miglioramento dell’AV con foro stenopeico. In funzione dell’acuità visiva presente, a meno che non scenda al di sotto di 1/10, può essere calcolato all’incirca il difetto refrattivo; ogni 0,25 dt di miopia il nostro occhio perde circa 1/10 di visione.

Esempi:

AV 2/10 ~ 2,00 dt; AV 5/10 ~ 1,25 dt;

AV 8/10 ~ 0,50 dt

5.Ametropie sferiche ed astigmatismo 94

1.3 Ipermetropia e sua classificazione

5.3Ipermetropiaesue classificazione

L’ipermetropia è quella ametropia in cui, con l’accomodazione completamente rilassata, la focale dell’occhio è maggiore della distanza piano principale/retina (Fig. 2), quindi un oggetto posto all’infinito forma la sua immagine dietro la retina.

L’ipermetropia è quella ametropia in cui, con l’accomodazione completamente rilassata, la focale dell’occhio è maggiore della distanza piano principale/retina (Fig.2), quindi un oggetto posto all’infinito forma la sua immagine dietro la retina

f’ > d pp/r

f’ > d pp/r

Questa condizione si realizza nei seguenti casi: quando il potere della cornea e/o del cristallino è inferiore al normale

1 - Ametropie sferiche ed astigmatismo 15
F’
Fig.2: Occhio ipermetrope
(ipermetropia
refrattiva),
Figura 2 Occhio ipermetrope

Questa condizione si realizza nei seguenti casi:

– quando il potere della cornea e/o del cristallino è inferiore al normale (ipermetropia rifrattiva),

– quando il cristallino è troppo lontano dalla cornea, cioè quando la camera anteriore è più profonda della norma,

– quando la lunghezza antero-posteriore dell’occhio è inferiore al normale (ipermetropia assiale),

– quando il cristallino è assente.

L’ipermetropia può essere suddivisa in:

– congenita,

– acquisita,

– fisiologica (massimo 0,50 dt).

L’ipermetropia congenita è presente fin dalla nascita e generalmente perdura durante i primi 6-7 anni di vita, successivamente invece può manifestarsi una riduzione del difetto grazie all’allungamento assiale del bulbo dovuto all’accrescimento, che addirittura può andare a sfociare in miopizzazione. L’ipermetropia acquisita invece si può manifestare in qualunque momento nell’arco della vita, in particolare dopo i 45 anni, a causa della riduzione dell’accomodazione. Il soggetto ipermetrope non corretto compie costantemente un determinato sforzo accomodativo che gli occorre per mettere a fuoco gli oggetti all’infinito. Inoltre, nella visione a distanza finita (all’interno dei 6 metri), lo sforzo accomodativo risulta essere maggiore rispetto al soggetto coetaneo emmetrope della quantità dell’ametropia stessa; quindi tale sforzo aumenta in proporzione diretta con l’ipermetropia da compensare e la distanza dell’oggetto osservato. A causa di questa eccessiva attività il muscolo ciliare del giovane ipermetrope acquista un determinato tono fisiologico il quale fa si che una certa quantità di accomodazione rimanga permanentemente esercitata, non potendo più essere rilasciata volontariamente.

L’ipermetropia può essere classificata, in base alla sua entità, in:

– bassa, fino alle 3,00 dt

– media, tra le 3,25 e le 5,00 dt

– elevata, maggiore alle 5,00 dt.

L’ipermetropia può essere suddivisa in:

1. manifesta; quella parte di ametropia che corrisponde alla massima lente positiva che permette la massima acuità visiva, praticamente il valore che si misura con la rifrazione.

2. latente; quella parte di ipermetropia che non si può misurare senza l’uso dei ci-

1 - Ametropie sferiche ed astigmatismo 16 Refrazione e prescrizione lenti Luigi
-
Mele
Andrea Piantanida - Mario Bifani

cloplegici, poiché rimane nascosta sotto forma di accomodazione tonica a livello del muscolo ciliare, cioè dovuta ad un aumento del tono fisiologico del muscolo ciliare.

Inoltre l’ipermetropia manifesta può essere classificata in base all’entità di ametropia rapportata alla quantità di potere accomodativo disponibile in:

1. facoltativa; che corrisponde alla parte di ipermetropia che può essere compensata mediante l’accomodazione. A causa della graduale perdita di PA (potere accommodativo) con l’età, l’ipermetropia che in gioventù non era stata evidenziata, perché mascherata dal potere accomodativo, gradualmente diventa assoluta.

2. assoluta; è data da quella lente oftalmica che misura quella parte di ipermetropia che l’accomodazione non riesce a correggere.

Quindi possiamo considerare che:

se PA ≥ A, iperm. facoltativa, AV buona (AV > 10/10)

se PA < A, ipermetropia in parte facoltativa e in parte assoluta, AV < 10/10

– se PA = 0, ipermetropia assoluta, AV < 10/10.

1.3.1 Sintomi e segni dell’ipermetropia

I sintomi che generalmente lamenta il soggetto ipermetrope sono:

– buona acuità visiva da lontano,

– difficoltà nella visione da vicino (a seconda dell’età),

– astenopia, più precisamente mal di testa, dolori sopraciliari, dolori dei bulbi oculari, arrossamento, lacrimazione e bruciore agli occhi soprattutto a fine giornata. L’esaminatore può notare una diffusa iperemia congiuntivale e una miosi. Inoltre durante la rifrazione possiamo notare:

– buona AV per lontano,

AV per vicino che varia a seconda del PA disponibile,

punto prossimo più lontano rispetto al coetaneo emmetrope.

1.4 Astigmatismo: introduzione e definizione

L’astigmatismo è il terzo tipo di ametropia e a differenza delle altre due è caratterizzato dal fatto che i raggi luminosi che entrano all’interno dell’occhio non vanno a fuoco tutti nello stesso punto, ma su due piani focali differenti. I sistemi diottrici astigmatici non presentano simmetria di rivoluzione rispetto all’asse ottico ed ogni sezione presenta una curvatura diversa (Fig. 3).

I meridiani nei quali la curvatura è maggiore e minore possiedono rispettivamente il minore ed il maggiore potere diottrico; questi sono i “meridiani principali”. La diffe-

1 - Ametropie sferiche ed astigmatismo 17

renza di potere tra i due meridiani principali rappresenta l’astigmatismo del sistema. Se l’oggetto è posto all’infinito in corrispondenza dei due piani focali, si formano due “linee focali”; se l’astigmatismo è regolare, sono ortogonali tra loro ed ognuna è ortogonale al meridiano che la genera, quindi la linea focale orizzontale è generata dal meridiano verticale e quella verticale dal meridiano orizzontale. Un sistema astigmatico con diaframma di forma circolare, come l’occhio con il suo diaframma pupillare, forma un fascio di raggi rifratti che assumono la forma di una conoide, la “conoide di Sturm” (Fig. 4). La distanza tra le linee focali viene detta “intervallo di Sturm” ed è proporzionale all’entità dell’astigmatismo.

5.Ametropie sferiche ed astigmatismo 96

5.4 Astigmatismo: introduzione e definizione

L’astigmatismo è il terzo tipo di ametropia e a differenza delle altre dueè caratterizzato dal fatto che i raggi luminosi che entrano all’interno dell’occhio non vanno a fuoco tutti nello stesso punto,ma su due piani focali differenti. I sistemi diottrici astigmatici non presentano simmetria di rivoluzione rispetto all’asse ottico ed ogni sezione presenta una curvatura diversa (Fig. 3).

1.4.1 L’astigmatismo oculare

Quando il sistema diottrico oculare presenta astigmatismo, le radiazioni luminose provenienti dall’esterno formano immagini sfuocate, qualunque sia la sezione del conoide che va a focalizzarsi sulla retina. Si associa spesso alla miopia ed all’ipermetropia ed è un’ametropia di natura quasi esclusivamente rifrattiva.

Vediamo nel dettaglio quali sono le fonti eziologiche di tale difetto refrattivo:

1. Astigmatismo corneale: principalmente è a carico della superficie corneale anteriore, in quanto è sufficiente una modesta differenza di curvatura tra i meridiani principali della cornea per avere un astigmatismo importante. Il valore medio dell’astigmatismo che si crea è circa 0,50 - 1,00 dt secondo regola (meridiano verticale più potente). Per quanto riguarda la superficie posteriore, l’astigmatismo che può generare è di entità trascurabile, circa 0,25 – 0,50 dt contro regola.

2. Astigmatismo interno (a carico del cristallino): le superfici del cristallino mediamente presentano un astigmatismo contro regola di circa 0,25 – 0,50 dt.

5.4 Astigmatismo: introduzione e definizione

L’astigmatismo è il terzo tipo di ametropia e a differenza delle altre dueè caratterizzato dal fatto che i raggi luminosi che entrano all’interno dell’occhio non vanno a fuoco tutti nello stesso punto,ma su due piani focali differenti. I sistemi diottrici astigmatici non presentano simmetria di rivoluzione rispetto all’asse ottico ed ogni sezione presenta una curvatura diversa (Fig. 3).

3. Astigmatismo dinamico: è un astigmatismo, o la variazione di esso, conseguente all’azione accomodativa necessaria per guardare a distanza ravvicinata.

condizione molto rara e generalmente non supera le 0,25 dt.

I meridiani nei quali la curvatura è maggiore e minore possiedono rispettivamente il minore ed il maggiore potere diottrico; questi sono i “meridiani principali”. La differenza di potere tra i due meridiani principali rappresenta l’astigmatismo del sistema. Se l’oggetto è posto all’infinito in corrispondenza dei due piani focali, si formano due “linee focali”; se l'astigmatismo è regolare, sono ortogonali tra loro ed ognuna è ortogonale al meridiano che la genera,quindi la linea focale orizzontale è generata dal meridiano verticale e quella verticale dal meridiano orizzontale. Un sistema astigmatico con diaframma di forma circolare, come l’occhio con il suo diaframma pupillare, forma un fascio di raggi rifratti che assumono la forma di una conoide, la “conoide di Sturm” (Fig. 4). La distanza tra le linee focali viene detta “intervallo di Sturm” ed è proporzionale all’entità dell’astigmatismo.

Fig.3:

I meridiani nei quali la curvatura è maggiore e minore possiedono rispettivamente il minore ed il maggiore potere diottrico; questi sono i “meridiani principali”. La differenza di potere tra i due meridiani principali rappresenta l’astigmatismo del sistema. Se l’oggetto è posto all’infinito in corrispondenza dei due piani focali, si formano due “linee focali”; se l'astigmatismo è regolare, sono ortogonali tra loro ed ognuna è ortogonale al meridiano che la genera,quindi la linea focale

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Mario Bifani
È una
sferiche ed astigmatismo 96
Figura 4 Conoide di Sturm
5.Ametropie
Sistema diottrico astigmatico in cui R1 R 2 Fig.3: Sistema diottrico astigmatico in cui R1 R 2 Fig.4: Conoide di Sturm Figura 3 Sistema diottrico astigmatico in cui R1 ≠ R2

4. Astigmatismo retinico: può derivare dalla toricità della retina conseguente ad uno stafiloma miopico, oppure potrebbe essere la conseguenza di un intervento chirurgico di cerchiaggio eseguito in presenza di distacco di retina.

5. Astigmatismo patologico: l’astigmatismo può essere causato da patologie quali il cheratocono, lo pterigio, il calazio, cicatrici corneali ecc.; in questi casi generalmente si risconta un astigmatismo di tipo irregolare.

1.4.2 Classificazione dell’astigmatismo

5.Ametropie sferiche ed astigmatismo 98

Una suddivisione fondamentale, soprattutto ai fini della possibilità di compensazione, è quella che si basa sulla regolarità dei mezzi diottrici oculari. Ed allora avremo:

menisco lacrimale tra lente e superficie corneale in grado di regolarizzare il sistema.

Un’altra classificazione è legata alla conformazione dei meridiani corneali:

– Astigmatismo regolare: è la situazione in cui le superfici diottriche dell’occhio non presentano né irregolarità di curvatura né distribuzione irregolare di indice di rifrazione. In questo caso avremo dei meridiani principali ortogonali tra loro e che daranno origine a due linee focali. L’occhio generalmente presenta questo tipo di astigmatismo.

Astigmatismo secondo regola: il meridiano verticale è più potente e quindi più curvodi quello orizzontale;in questo caso la focale orizzontale sarà più vicina ai piani principali.Siparla di meridiano verticale quando questo è compreso tra 70° e 110° (tolleranza di 20°).

Astigmatismo contro regola: il meridiano orizzontale è più potente e quindi più curvo di quello verticale, così che la focale verticale sarà più vicina ai piani principali.Per meridiani orizzontalisi considerano quelli compresi tra 0° e 20° e tra 160° e 180° (tolleranza di 20°).

Astigmatismo obliquo: condizione in cui i meridiani principali sono obliqui, compresi tra 110°/160° e 20°/70°.

Oltre a questo l’astigmatismo può essere classificato in funzione della posizione delle focali rispetto alla retina:

a.atigmatismo ipermetropico semplice;una focale è sulla retina l’altra si trova dopo di essa

b.atigmatismo ipermetropico composto;entrambe le focali sono posizionate oltre la retina

c.atigmatismo misto; una focale èprima l’altra è dopo la retina

– Astigmatismo irregolare: solitamente viene definito come quella condizione nella quale i meridiani principali non sono ortogonali tra loro; sarebbe più preciso parlare di situazione in cui il sistema diottrico oculare presenta delle irregolarità di curvatura o di distribuzione di indice (non omogeneità). A volte le irregolarità sono così marcate, come nel cheratocono avanzato, che non possiamo neanche parlare di meridiani principali; in questi casi non sono presenti due linee focali ed ovunque si sezioni il fascio rifratto si trovano figure di diffusione irregolari. Mancando di regolarità l’unica possibilità per compensare in modo soddisfacente questo tipo di astigmatismo è l’utilizzo delle lenti a contatto fisicamente rigide, le quali fanno si che si formi un menisco lacrimale tra lente e superficie corneale in grado di regolarizzare il sistema.

Un’altra classificazione è legata alla conformazione dei meridiani corneali:

d.atigmatismo miopico semplice;una focale è sulla retinal’altra si trova prima diessa

e.atigmatismo miopico composto; entrambe le focali sono posizionate prima della retina.

Quando vogliamo catalogare un astigmatismo per poter capire la disposizione delle focali rispetto alla retina dobbiamo integrare quest’ultimaclassificazione con quella precedente. Per ognuno di questi casi quindidovremo specificare se l’astigmatismo è secondo o contro regola oppure se è obliquo.

1 - Ametropie sferiche ed astigmatismo 19
Fig.5: Posizionamento focali a livello retinico in caso di astigmatismo
Infine,a
seconda del valore di astigmatismo,possiamo avere: Figura 5 Posizionamento focali a livello retinico in caso di astigmatismo

– Astigmatismo secondo regola: il meridiano verticale è più potente e quindi più curvo di quello orizzontale; in questo caso la focale orizzontale sarà più vicina ai piani principali. Si parla di meridiano verticale quando questo è compreso tra 70° e 110° (tolleranza di ± 20°).

– Astigmatismo contro regola: il meridiano orizzontale è più potente e quindi più curvo di quello verticale, così che la focale verticale sarà più vicina ai piani principali. Per meridiani orizzontali si considerano quelli compresi tra 0° e 20° e tra 160° e 180° (tolleranza di ± 20°).

– Astigmatismo obliquo: condizione in cui i meridiani principali sono obliqui, compresi tra 110°/160° e 20°/70°.

Oltre a questo l’astigmatismo può essere classificato in funzione della posizione delle focali rispetto alla retina:

a. satigmatismo ipermetropico semplice; una focale è sulla retina l’altra si trova dopo di essa

b. astigmatismo ipermetropico composto; entrambe le focali sono posizionate oltre la retina

c. astigmatismo misto; una focale è prima l’altra è dopo la retina

d. astigmatismo miopico semplice; una focale è sulla retina l’altra si trova prima di essa

e. astigmatismo miopico composto; entrambe le focali sono posizionate prima della retina.

Quando vogliamo catalogare un astigmatismo per poter capire la disposizione delle focali rispetto alla retina dobbiamo integrare quest’ultima classificazione con quella precedente. Per ognuno di questi casi quindi dovremo specificare se l’astigmatismo

è secondo o contro regola oppure se è obliquo.

Infine, a seconda del valore di astigmatismo, possiamo avere:

– astigmatismo debole: compreso tra 0 ed 1,00 dt

– astigmatismo medio: compreso tra 1,00 e 2,00 dt

– astigmatismo elevato: superiore alle 2,00 dt.

1.4.3 Sintomi dell’astigmatismo

A seconda del tipo di astigmatismo e del suo valore diottrico la sintomatologia può essere molto diversa, in quanto valori molto bassi possono essere asintomatici. In soggetti con valori di astigmatismo più alti possiamo avere:

– visione sfuocata sia da lontano che da vicino,

– cefalea,

– bruciore agli occhi e lacrimazione.

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Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani

2 Fase preliminare

2.1 Anamnesi

Ogni qualvolta ci approcciamo all’esecuzione di una visita oculistica abbiamo innanzitutto la necessità di comprendere il caso oggetto d’esame. Ogni paziente infatti, carico di quelle esigenze che lo rendono determinato a raggiungere il soddisfacimento delle proprie necessità visive, pone innanzi alla sua visita i suoi personali obiettivi, tendendo in qualche modo a voler gestire lui stesso il proprio percorso diagnostico. È dunque compito del medico farsi spazio all’interno della delicata fase del primo contatto con il paziente allo scopo di rendere il suo discorso un ordinato susseguirsi di determinanti informazioni cliniche, senza però mai influenzarne le modalità espressive ed il contenuto spontaneo, dedicando il giusto tempo al dialogo considerando la possibilità di riprenderlo in qualsiasi momento in cui emergesse la necessità di approfondirne qualsivoglia elemento.

L’Anamnesi non è dunque semplicisticamente il momento della raccolta delle informazioni cliniche già note al paziente, ma costituisce il momento cardine nel percorso che porterà alla valutazione del problema ed all’identificazione della specifica ed appropriata soluzione.

Un corretto percorso anamnestico mirato ad effettuare un esame visivo, si articola nei seguenti punti:

Motivo della visita

– Situazione visiva attuale

– Anamnesi personale

– Anamnesi familiare

Il motivo della visita è normalmente il fattore di massima focalizzazione, costituendo di fatto il problema a cui dare in primis risposta. È però fondamentale considerare che potrebbe non essere il vero problema da risolvere. È infatti necessario indagare la possibilità sia che ci siano problemi aggiuntivi a quello lamentato dal paziente, ma-

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gari sottostimati dallo stesso, ovvero che la polisintomatologia lamentata sottenda un problema unico di fondo, da ricercare sia in propria che altrui competenza specialistica. Ad esempio un paziente giovane che lamenta saltuaria riduzione del visus in particolari ore del giorno, magari in correlazione ai pasti, potrebbe presentare uno stato pre diabetico.

Valutare la situazione visiva attuale significa interfacciarsi con i disagi con cui il paziente si trova a convivere quotidianamente. Tali circostanze possono essere ricondotte ad alterazioni funzionali, come difficoltà nella lettura o nella percezione delle distanze, affezioni patologiche, quali dolore intraoculare o senso di annebbiamento, discomfort oculare, come pesantezza oculare durante le ultime ore del giorno, o semplicemente disturbi del visus, sia da lontano che da vicino. Si passa poi all’anamnesi personale, momento cruciale della fase precoce della visita medica oculistica, in cui lo specialista della visione ha modo di conoscere il substrato su cui il problema visivo lamentato va a sussistere.

Un modesto calo del visus, ad esempio, avrà una valenza differente in relazione al tipo di attività lavorativa svolta e avrà un significato diverso a seconda delle eventuali patologie sofferte. Nell’anamnesi personale va differenziata una componente sanitaria ed una occupazionale. Nella prima va indagata la situazione sanitaria pregressa e attuale del paziente, utile per comprendere eventuali secondarismi a livello visivo, sia di tipo organico che funzionale. Va posta indagine quindi per patologie sistemiche che possano comportare un certo grado di compromissione oculare, come il diabete, l’ipertensione arteriosa, la sclerosi multipla, ecc. o il cui trattamento possa ripercuotersi negativamente sul distretto oculare, quali il trattamento con idrossiclorochina nel paziente artritico, la terapia corticosteroidea prolungata per qualsivoglia patologia. Inoltre vanno ricercate eventuali situazioni oculari occorse nel passato ma che possano aver compromesso a medio e lungo termine la funzione visiva.

Si pensi ad esempio a traumi oculari occorsi a seguito di incidenti sportivi o esiti di una cheratocongiuntivite erpetica.

Si passa poi all’anamnesi occupazionale, necessaria a conoscere il tipo di attività a cui il paziente è sottoposto, comprendendo in ogni circostanza le necessità visive del soggetto e le abilità visive necessarie per svolgere al meglio le proprie attività.

Ad esempio un lavoratore di precisione da vicino sarà soggetto ad un importante tono accomodativo e per tempi prolungati, o ancora la guida notturna necessita il mantenimento di una stabilità nella visione centrale. Oltre al lavoro però va indagata anche l’eventuale attività ludica e sportiva praticata dal paziente. Un giocatore di

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Mele -
lenti Luigi
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basket dovrà ad esempio mantenere delle competenze visive dinamiche oltre ad una giusta integrazione visivo-motoria. In ultimo l’anamnesi familiare è utile per indagare su eventuali condizioni visive a carattere eredo familiare, quali ametropie astigmatiche, oltre a situazioni sistemiche di particolare interesse oculare, quali diabete o patologie autoimmuni.

permette di porre in evidenza condizioni di alterazione della fisiologia oculare, sia correlate a problematiche locali, la cui tempestiva diagnosi può evitare danni maggiori al paziente (si pensi al glaucoma, al distacco di retina, ecc.) ovvero conseguenze sulla collettività in caso di patologie contagiose, sia che costituiscano epifenomeno di una condizione sistemica (si pensi ad un paziente con esoftalmo, indicatore di malattia di Basedow (Fig. 1), o con ptosi palpebrale serale, altamente indicativa di una forma miastenica).

2.2 Esame esterno

permette di porre in evidenza condizioni di alterazione della fisiologia oculare, sia correlate a problematiche locali, la cui tempestiva diagnosi può evitare danni maggiori al paziente (si pensi al glaucoma, al distacco di retina, ecc.) ovvero conseguenze sulla collettività in caso di patologie contagiose, sia che costituiscano epifenomeno di una condizione sistemica (si pensi ad un paziente con esoftalmo, indicatore di malattia di Basedow (Fig. 1), o con ptosi palpebrale serale, altamente indicativa di una forma miastenica).

uno sgabello senza braccioli o schienale, in quanto potrebbero alterare la posizione spontanea della testa. Inoltre va controllata la posizione del capo durante le fasi di controllo dell’acutezza visiva da lontano, notando soprattutto l’eventuale diversa posizione del capo durante l’esame dell’occhio destro e sinistro.

Costituisce il primo momento d’indagine da effettuare nell’approccio oculistico. Spesso si tende a sottovalutare l’importanza di tale fase d’esame, quasi a relegare l’obiettività oculare ad un marginale campo di applicabilità. L’esame esterno dell’occhio, invece, ci permette di porre in evidenza condizioni di alterazione della fisiologia oculare, sia correlate a problematiche locali, la cui tempestiva diagnosi può evitare danni maggiori al paziente (si pensi al glaucoma, al distacco di retina, ecc.) ovvero conseguenze sulla collettività in caso di patologie contagiose, sia che costituiscano epifenomeno di una condizione sistemica (si pensi ad un paziente con esoftalmo, indicatore di malattia di Basedow (Fig. 6), o con ptosi palpebrale serale, altamente indicativa di una forma miastenica).

L’iter valutativo della condizione oculare comincia con l’osservazione generale del paziente, dunque già durante la raccolta anamnestica, in cui egli progressivamente si mette a suo agio, siamo capaci di cogliere quei compensi posturali che pone in essere automaticamente allo scopo di adattarsi ad una malattia o disfunzione, tali da indurre posture viziate. Il principale atteggiamento di interesse visivo è rappresentato dalla posizione anomala del capo: cd. torcicollo oculare (Fig. 2).

Tale condizione si presenta spesso nella pratica clinica e può avere evidente impatto sulla funzione visiva, anche perché in tali soggetti risulta complessa la scelta della più adeguata geometria della lente nonché in termini di centratura. Al fine di indagare al meglio tale condizione va innanzitutto osservato l’atteggiamento del paziente durante la deambulazione, nonché nella posizione seduta, dove dovrà preferirsi

L’iter valutativo della condizione oculare comincia con l’osservazione generale del paziente, dunque già durante la raccolta anamnestica, in cui egli progressivamente si mette a suo agio, siamo capaci di cogliere quei compensi posturali che pone in essere automaticamente allo scopo di adattarsi ad una malattia o disfunzione, tali da indurre posture viziate. Il principale atteggiamento di interesse visivo è rappresentato dalla posizione anomala del capo: cd. torcicollo oculare (Fig. 2). Tale condizione si presenta spesso nella pratica clinica e può avere evidente impatto sulla funzione visiva, anche perché in tali soggetti risulta complessa la scelta della più adeguata geometria della lente nonché in termini di centratura. Al fine di indagare al meglio tale condizione va innanzitutto osservato l’atteggiamento del paziente durante la deambulazione, nonché nella posizione seduta, dove dovrà preferirsi

uno sgabello senza braccioli o schienale, in quanto potrebbero alterare la posizione spontanea della testa. Inoltre va controllata la posizione del capo durante le fasi di controllo dell’acutezza visiva da lontano, notando soprattutto l’eventuale diversa posizione del capo durante l’esame dell’occhio destro e sinistro. Inoltre bisogna osservare se tale posizione dipenda da asimmetrie cranio facciali, un problema specifico da prendere in considerazione soprattutto durante la scelta della montatura, incoraggiando l’orientamento del paziente verso varianti che consentano un certo grado di duttilità tale da poter modellarne le parti, in particolar modo le aste.

Inoltre bisogna osservare se tale posizione dipenda da asimmetrie cranio facciali, un problema specifico da prendere in considerazione soprattutto durante la scelta della montatura, incoraggiando l’orientamento del paziente verso varianti che consentano un certo grado di duttilità tale da poter modellarne le parti, in particolar modo le aste.

Nello specifico della valutazione oculare, l’esame esterno si completa con l’ispezione. È preferibile incominciare con una valutazione a luce ambiente, per osservare i margini, il colore, l'integrità e motilità palpebrale, la motilità oculare e la posizione dei bulbi oculari. Successivamente, per un esame più dettagliato, ci si può avvalere dell’ausilio dell’esame con lampada a fessura e della biomicroscopia.

Nello specifico della valutazione oculare, l’esame esterno si completa con l’ispezione. È preferibile incominciare con una valutazione a luce ambiente, per osservare i margini, il colore, l'integrità e motilità palpebrale, la motilità oculare e la posizione dei bulbi oculari. Successivamente, per un esame più dettagliato, ci si può avvalere dell’ausilio dell’esame con lampada a fessura e della biomicroscopia.

L’iter valutativo della condizione oculare comincia con l’osservazione generale del paziente, dunque già durante la raccolta anamnestica, in cui egli progressivamente si mette a suo agio, siamo capaci di cogliere quei compensi posturali che pone in essere automaticamente allo scopo di adattarsi ad una malattia o disfunzione, tali da indurre posture viziate. Il principale atteggiamento di interesse visivo è rappresentato dalla posizione anomala del capo: torcicollo oculare (Fig. 7).

1.3 LA BIOMICROSCOPIA

1.3 LA BIOMICROSCOPIA

Il concetto di biomicroscopia è già insito nella denominazione, stando ad identificare la tecnica di esame dei tessuti oculari vitali (Fig. 3).

Il concetto di biomicroscopia è già insito nella denominazione, stando ad identificare la tecnica di esame dei tessuti oculari vitali (Fig. 3).

Tale tecnica, eseguita per mezzo di lampada a

Tale tecnica, eseguita per mezzo di lampada a

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Manuale Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche Fig. 1 Paziente con esoftalmo
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Fig. 2 Torcicollo oculare Manuale Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche Fig. 1 Paziente con esoftalmo Fig. 2 Torcicollo oculare Figura 6 Paziente con esoftalmo Figura 7 orcicollo oculare

Tale condizione si presenta spesso nella pratica clinica e può avere evidente impatto sulla funzione visiva, anche perché in tali soggetti risulta complessa la scelta della più adeguata geometria della lente nonché in termini di centratura. Al fine di indagare al meglio tale condizione va innanzitutto osservato l’atteggiamento del paziente durante la deambulazione, nonché nella posizione seduta, dove dovrà preferirsi uno sgabello senza braccioli o schienale, in quanto potrebbero alterare la posizione spontanea della testa. Inoltre va controllata la posizione del capo durante le fasi di controllo dell’acutezza visiva da lontano, notando soprattutto l’eventuale diversa posizione del capo durante l’esame dell’occhio destro e sinistro. Inoltre bisogna osservare se tale posizione dipenda da asimmetrie cranio facciali, un problema specifico da prendere in considerazione soprattutto durante la scelta della montatura, incoraggiando l’orientamento del paziente verso varianti che consentano un certo grado di duttilità tale da poter modellarne le parti, in particolar modo le aste. Nello specifico della valutazione oculare, l’esame esterno si completa con l’ispezione. È preferibile incominciare con una valutazione a luce ambiente, per osservare i margini, il colore, l’integrità e motilità palpebrale, la motilità oculare e la posizione dei bulbi oculari. Successivamente, per un esame più dettagliato, ci si può avvalere dell’ausilio dell’esame con lampada a fessura e della biomicroscopia.

2.3 La biomicroscopia

Il concetto di biomicroscopia è già insito nella denominazione, stando ad identificare la tecnica di esame dei tessuti oculari vitali (Fig. 8).

Tale tecnica, eseguita per mezzo di lampada a segmento anteriore durante le fasi precoci dell’esame visivo, nonché per studiare la sussistenza e la natura di qualsiasi problematica oculare. La tecnica viene inoltre utilizzata per il monitoraggio d’uso di lenti a contatto. Possono essere distinti vari tipi di illuminazione quando si valuta il segmento anteriore, ciascuno utilizzato con finalità differenti. La prima di queste è l’illuminazione diffusa, con cui si ottiene una buona immagine complessiva dell’occhio, ma non nei minimi dettagli. Può essere utile per osservare l’intera estensione di un infiltrato corneale, la presenza di pieghe nella membrana di Descemet, l’eventuale presenza di vasi sanguigni in aree anomale, quali la cornea. Inoltre viene utilizzata per la valutazione diretta di palpebre, ciglia, caruncole, vasi sclerali. Per scendere maggiormente nel dettaglio, il fascio di luce viene ridotto e direzionato così da ottenere la sezione ottica, che permette di studiare, procedendo antero-posteriormente: lo strato lacrimale (meglio se tinto con fluoresceina), la componente epiteliale (considerata generalmente come uno spazio otticamente vuoto), la membrana di Bowman

2 - Fase preliminare 24 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida -
Mario Bifani

fessura, viene utilizzata per esaminare palpebre e segmento anteriore durante le fasi precoci dell’esame visivo, nonché per studiare la sussistenza e la natura di qualsiasi problematica oculare. La tecnica viene inoltre utilizzata per il monitoraggio d’uso di lenti a contatto. Possono essere distinti vari tipi di illuminazione quando si valuta il segmento anteriore, ciascuno utilizzato con finalità differenti. La prima di queste è l’illuminazione diffusa, con cui si ottiene una buona immagine complessiva dell'occhio, ma non nei minimi dettagli. Può essere utile per osservare l'intera estensione di un infiltrato corneale, la presenza di pieghe nella membrana di Descemet, l'eventuale presenza di vasi sanguigni in aree anomale, quali la cornea. Inoltre viene utilizzata per la valutazione diretta di palpebre, ciglia, caruncole, vasi sclerali. Per scendere maggiormente nel dettaglio, il fascio di luce viene ridotto e direzionato così da ottenere la sezione ottica, che permette di studiare, procedendo anteroposteriormente: lo strato lacrimale (meglio se tinto con fluoresceina), la componente epiteliale (considerata generalmente come uno spazio otticamente vuoto), la membrana di Bowman (più brillante), lo stroma (zona un po' grigia granulare a bassa potenza, che mostra le fibre nervose, corpuscoli aracnoidei e altre componenti anatomiche a potere superiore). La sezione ottica viene utilizzata per evidenziare ispessimenti, diradamenti e distorsioni nel profilo corneale (come ad esempio accade

(più brillante), lo stroma (zona un po’ grigia granulare a bassa potenza, che mostra le fibre nervose, corpuscoli aracnoidei e altre componenti anatomiche a potere superiore). La sezione ottica viene utilizzata per evidenziare ispessimenti, diradamenti e distorsioni nel profilo corneale (come ad esempio accade nel cheratocono), per determinare la profondità di corpi estranei (espressa in percentuale di spessore) o aree di opacità nella sostanza corneale. Tramite la sezione ottica possiamo vedere una vasta fetta di stroma; l’angolo tra il microscopio e braccio di illuminazione può infatti essere aumentato. Il fascio luminoso è diretto in modo che la parte superiore entri nella parte inferiore della pupilla. Ciò consente di avere aree scure immediatamente superiori come sfondo. Nel caso in cui si evidenziasse un chiarore sarebbe indicativo di uno stato patologico. Altro tipo di illuminazione diretta è il parallelepipedo, con il quale è possibile avere una visione ampia della superficie anteriore e posteriore della cornea. Procedendo antero-posteriormente con il parallelepipedo è possibile determinare irregolarità della superficie anteriore mediante la riflessione speculare, verificare l’integrità della sostanza propria corneale, effettuare un esame della superficie endoteliale. Inoltre, in corso di panoramica generale della cornea, possono essere messe in evidenza opacità corneali, cicatrici, abrasioni, nebulose, vasi sanguigni e le pieghe nella membrana di Descemet. In ultimo abbiamo la retroilluminazione, in cui la luce viene focalizzata su una struttura più profonda come l’iride, cristallino o retina mentre il microscopio è focalizzato per studiare una struttura più anteriore, nel caso specifico, la cornea (Fig. 9). Tale esame è particolarmente utile per studiare i depositi su membrana di Descemet, eventuali vasi che abbiano invaso la cornea, e le irregolarità epiteliali come una distrofia della membrana basale (Fig. 10). Nel corso dell’esame le alterazioni corneali appariranno scure su sfondo chiaro, ad esempio, le cicatrici, il pigmento e le raccolte ematiche. Alcune lesioni al contrario tenderanno a

fessura, viene utilizzata per esaminare palpebre e segmento anteriore durante le fasi precoci dell’esame visivo, nonché per studiare la sussistenza e la natura di qualsiasi problematica oculare. La tecnica viene inoltre utilizzata per il monitoraggio d’uso di lenti a contatto. Possono essere distinti vari tipi di illuminazione quando si valuta il segmento anteriore, ciascuno utilizzato con finalità differenti. La prima di queste è l’illuminazione diffusa, con cui si ottiene una buona immagine complessiva dell'occhio, ma non nei minimi dettagli. Può essere utile per osservare l'intera estensione di un infiltrato corneale, la presenza di pieghe nella membrana di Descemet, l'eventuale presenza di vasi sanguigni in aree anomale, quali la cornea. Inoltre viene utilizzata per la valutazione diretta di palpebre, ciglia, caruncole, vasi sclerali. Per scendere maggiormente nel dettaglio, il fascio di luce viene ridotto e direzionato così da ottenere la sezione ottica, che permette di studiare, procedendo anteroposteriormente: lo strato lacrimale (meglio se tinto con fluoresceina), la componente epiteliale (considerata generalmente come uno spazio otticamente vuoto), la membrana di Bowman (più brillante), lo stroma (zona un po' grigia granulare a bassa potenza, che mostra le fibre nervose, corpuscoli aracnoidei e altre componenti anatomiche a potere superiore). La sezione ottica viene utilizzata per evidenziare ispessimenti, diradamenti e distorsioni nel profilo corneale (come ad esempio accade

nel cheratocono), per determinare la profondità di corpi estranei (espressa in percentuale di spessore) o aree di opacità nella sostanza corneale. Tramite la sezione ottica possiamo vedere una vasta fetta di stroma; l'angolo tra il microscopio e braccio di illuminazione può infatti essere aumentato. Il fascio luminoso è diretto in modo che la parte superiore entri nella parte inferiore della pupilla. Ciò consente di avere aree scure immediatamente superiori come sfondo. Nel caso in cui si evidenziasse un chiarore sarebbe indicativo di uno stato patologico. Altro tipo di illuminazione diretta è il parallelepipedo, con il quale è possibile avere una visione ampia della superficie anteriore e posteriore della cornea. Procedendo antero-posteriormente con il parallelepipedo è possibile determinare irregolarità della superficie anteriore mediante la riflessione speculare, verificare l’integrità della sostanza propria corneale, effettuare un esame della superficie endoteliale. Inoltre, in corso di panoramica generale della cornea, possono essere messe in evidenza opacità corneali, cicatrici, abrasioni, nebulose, vasi sanguigni e le pieghe nella membrana di Descemet. In ultimo abbiamo la retroilluminazione, in cui la luce viene focalizzata su una struttura più profonda come l'iride, cristallino o retina mentre il microscopio è focalizzato per studiare una struttura più anteriore, nel caso specifico, la cornea (Fig. 4). Tale esame è particolarmente utile per studiare i depositi su membrana di Descemet, eventuali vasi

nel cheratocono), per determinare la profondità di corpi estranei (espressa in percentuale di spessore) o aree di opacità nella sostanza corneale. Tramite la sezione ottica possiamo vedere una vasta fetta di stroma; l'angolo tra il microscopio e braccio di illuminazione può infatti essere aumentato. Il fascio luminoso è diretto in modo che la parte superiore entri nella parte inferiore della pupilla. Ciò consente di avere aree scure immediatamente superiori come sfondo. Nel caso in cui si evidenziasse un chiarore sarebbe indicativo di uno stato patologico. Altro tipo di illuminazione diretta è il parallelepipedo, con il quale è possibile avere una visione ampia della superficie anteriore e posteriore della cornea. Procedendo antero-posteriormente con il parallelepipedo è possibile determinare irregolarità della superficie anteriore mediante la riflessione speculare, verificare l’integrità della sostanza propria corneale, effettuare un esame della superficie endoteliale. Inoltre, in corso di panoramica generale della cornea, possono essere messe in evidenza opacità corneali, cicatrici, abrasioni, nebulose, vasi sanguigni e le pieghe nella membrana di Descemet. In ultimo abbiamo la retroilluminazione, in cui la luce viene focalizzata su una struttura più profonda come l'iride, cristallino o retina mentre il microscopio è focalizzato per studiare una struttura più anteriore, nel caso specifico, la cornea (Fig. 4). Tale esame è particolarmente utile per studiare i depositi su membrana di Descemet, eventuali vasi

2 - Fase preliminare 25
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Manuale Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche Fig. 3 Biomicroscopia Fig. 4 Esame al microscopio della cornea
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Manuale Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche Fig. 3 Biomicroscopia Fig. 4 Esame al microscopio della cornea Figura 8 Biomicroscopia Figura 9 Esame al microscopio della cornea

Manuale

disperdere la luce apparendo più chiare del fondo scuro, come l’edema epiteliale ed i precipitati corneali.

che abbiano invaso la cornea, e le irregolarità epiteliali come una distrofia della membrana basale (Fig. 5). Nel corso dell’esame le alterazioni corneali appariranno scure su sfondo chiaro, ad esempio, le cicatrici, il pigmento e le raccolte ematiche. Alcune lesioni al contrario tenderanno a disperdere la luce apparendo più chiare del fondo scuro, come l'edema epiteliale ed i precipitati corneali.

2.4 L’oftalmometria

Manuale Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche che abbiano invaso la cornea, e le irregolarità epiteliali come una distrofia della membrana basale (Fig. 5). Nel corso dell’esame le alterazioni corneali appariranno scure su sfondo chiaro, ad esempio, le cicatrici, il pigmento e le raccolte ematiche. Alcune lesioni al contrario tenderanno a disperdere la luce apparendo più chiare del fondo scuro, come l'edema epiteliale ed i precipitati corneali.

1.4 L’OFTALMOMETRIA

1.4 L’OFTALMOMETRIA

Utilizzando l’oftalmometro di Javal-Schiötz (Fig. 6) è possibile misurare le alterazioni del raggio di curvatura anteriore della cornea, dunque il differente grado di astigmatismo corneale . Tale strumento sfrutta le proprietà della cornea di comportarsi come uno specchio convesso, dunque proiettando delle mire luminose su tale superficie, valutando la distanza tra le componenti dell’immagine da essa riflessa, che varia in rapporto all’immagine proiettata, alla distanza dal vertice corneale (fattori noti, prefissati dallo strumento), è possibile calcolare il raggio di curvatura corneale. L’indagine dunque è utile sia per ottenere dei valori corneali obiettivi che possono essere convertiti nell’equivalente potere diottrico, sia per valutare l’eventuale stato patologico della cornea

Utilizzando l’oftalmometro di Javal-Schiötz (Fig.

6) è possibile misurare le alterazioni del raggio di curvatura anteriore della cornea, dunque il differente grado di astigmatismo corneale . Tale strumento sfrutta le proprietà della cornea di comportarsi come uno specchio convesso, dunque proiettando delle mire luminose su tale superficie, valutando la distanza tra le componenti dell’immagine da essa riflessa, che varia in rapporto all’immagine proiettata, alla distanza dal vertice corneale (fattori noti, prefissati dallo strumento), è possibile calcolare il raggio di curvatura corneale. L’indagine dunque è utile sia per ottenere dei valori corneali obiettivi che possono essere convertiti nell’equivalente potere diottrico, sia per valutare l’eventuale stato patologico della cornea

in relazione all’eventuale asimmetria delle mire riflesse. Lo strumento, il cheratometro a mire mobili, è costituito da un microscopio e due mire montate su un arco sotteso dalla base del microscopio, che possono essere mobilitate grazie ad una cremagliera. Le due mire sono tra loro dissimili, una infatti è di colore rosso, di forma rettangolare e a margini netti, l’altra di colore verde, è conformata pressoché a dardo sul decorso del quale sono tracciati degli scalini. Entrambe le mire sono segnate al centro da una linea nera, denominata Linea di fede. Tutto lo strumento può ruotare intorno al proprio asse, così da permettere un'esplorazione totale della superficie corneale (Fig. 7).

Utilizzando l’oftalmometro di Javal-Schiötz (Fig. 11) è possibile misurare le alterazioni del raggio di curvatura anteriore della cornea, dunque il differente grado di astigmatismo corneale. Tale strumento sfrutta le proprietà della cornea di comportarsi come uno specchio convesso, dunque proiettando delle mire luminose su tale superficie, valutando la distanza tra le componenti dell’immagine da essa riflessa, che varia in rapporto all’immagine proiettata, alla distanza dal vertice corneale (fattori noti, prefissati dallo strumento), è possibile calcolare il raggio di curvatura corneale. L’indagine dunque è utile sia per ottenere dei valori corneali obiettivi che possono essere convertiti nell’equivalente potere diottrico, sia per valutare l’eventuale stato patologico della cornea in relazione all’eventuale asimmetria delle mire riflesse. Lo strumento, il cheratometro a mire mobili, è costituito da un microscopio e due mire montate su un arco sotteso dalla base del microscopio, che possono essere mobilitate grazie ad una cremagliera. Le due mire sono tra loro dissimili, una infatti è di colore rosso, di forma rettangolare e a margini netti, l’altra di colore verde, è conformata pressoché a dardo sul decorso del quale sono tracciati degli scalini. Entrambe le mire sono segnate al centro da una linea nera, denominata Linea di fede. Tutto lo strumento può ruotare intorno al proprio asse, così da permettere un’esplorazione totale della superficie corneale (Fig. 12).

in relazione all’eventuale asimmetria delle mire riflesse. Lo strumento, il cheratometro a mire mobili, è costituito da un microscopio e due mire montate su un arco sotteso dalla base del microscopio, che possono essere mobilitate grazie ad una cremagliera. Le due mire sono tra loro dissimili, una infatti è di colore rosso, di forma rettangolare e a margini netti, l’altra di colore verde, è conformata pressoché a dardo sul decorso del quale sono tracciati degli scalini. Entrambe le mire sono segnate al centro da una linea nera, denominata Linea di fede. Tutto lo strumento può ruotare intorno al proprio asse, così da permettere un'esplorazione totale della superficie corneale (Fig. 7).

Nell’eseguire l’esame si invita il paziente a fissare un punto luminoso posto al centro dell’obiettivo. L’operatore identifica attraverso il suo oculare le mire riflesse sulla superficie corneale, le accosta per il margine mediale e ricrea la linea di fede accostandone le due metà. Già in questa fase è possibile riconoscere accostamenti patologici tra le mire. Se infatti le mire si sovrappongono e le linee di fede si intersecano anziché collimare, il quadro potrebbe essere indicativo di un'irregolarità corneale che difficilmente trova una correzione ottica utile, come il cheratocono. Una volta allineate le mire si procede alla rotazione dello strumento ortogonalmente

Nell’eseguire l’esame si invita il paziente a fissare un punto luminoso posto al centro dell’obiettivo. L’operatore identifica attraverso il suo oculare le mire riflesse sulla superficie corneale, le accosta per il margine mediale e ricrea la linea di fede accostandone le due metà. Già in questa fase è possibile riconoscere accostamenti patologici tra le mire. Se infatti le mire si sovrappongono e le linee di fede si intersecano anziché collimare, il quadro potrebbe essere indicativo di un'irregolarità corneale che difficilmente trova una correzione ottica utile, come il cheratocono. Una volta allineate le mire si procede alla rotazione dello strumento ortogonalmente

2 - Fase preliminare 26 Refrazione e prescrizione
Luigi
lenti
Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
11
Fig. 5 Distrofia della membrana basale
11
Fig. 6 Oftalmometro di Javal-Schiötz Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche Fig. 5 Distrofia della membrana basale Fig. 6 Oftalmometro di Javal-Schiötz Figura 10 Distrofia della membrana basale Figura 11 Oftalmometro di Javal-Schiötz

Manuale Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche

rispetto alla posizione di partenza e si va a valutare il comportamento delle mire. Se restano collimate perfettamente, i due meridiani principali della cornea presentano la medesima curvatura, dunque risulterebbe assente alcun tipo di vizio astigmatico. In realtà potrebbe risultarne in ultimo un lieve astigmatismo contro regola, vista la fisiologica toricità della cornea. Nel caso in cui le mire si sovrappongano ci troviamo di fronte ad un astigmatismo secondo regola, in cui l’asse prossimo ai 90° risulta più potente di quello a 180°.

Già dal grado di sovrapposizione è possibile stimare l’entità dell’astigmatismo, che cresce di 1 diottria per ogni scalino della mira verde sormontato dalla rossa. Per un valore accurato è però necessario annotare i poteri in diottrie dei due meridiani e stimare l’astigmatismo corneale valutando la differenza tra le due misurazioni. Se invece le due mire si allontanano ci troviamo di fronte ad un astigmatismo contro regola, in cui il meridiano tendente ai 180° ha un potere maggiore rispetto all’ortogonale.

In questo caso, mancando la sovrapposizione, risulta difficile effettuare una stima dell’astigmatismo, ma risulta necessario rapportare i due valori ottenuti dalla misurazione per ottenere il grado di astigmatismo corneale stimato.

Nell’eseguire l’esame si invita il paziente a fissare un punto luminoso posto al centro dell’obiettivo. L’operatore identifica attraverso il suo oculare le mire riflesse sulla superficie corneale, le accosta per il margine mediale e ricrea la linea di fede accostandone le due metà. Già in questa fase è possibile riconoscere accostamenti patologici tra le mire. Se infatti le mire si sovrappongono e le linee di fede si intersecano anziché collimare, il quadro potrebbe essere indicativo di un’irregolarità corneale che difficilmente trova una correzione ottica utile, come il cheratocono. Una volta allineate le mire si procede alla rotazione dello strumento ortogonalmente rispetto alla posizione di partenza e si va a valutare il comportamento delle mire. Se restano collimate perfettamente, i due meridiani principali della cornea presentano la medesima curvatura, dunque risulterebbe assente alcun tipo di vizio astigmatico. In realtà potrebbe risultarne in ultimo un lieve astigmatismo contro regola, vista la fisiologica toricità della cornea. Nel caso in cui le mire si sovrappongano ci troviamo di fronte ad un astigmatismo secondo regola, in cui l’asse prossimo ai 90° risulta più potente di quello a 180°.

Già dal grado di sovrapposizione è possibile stimare l’entità dell’astigmatismo, che cresce di 1 diottria per ogni scalino della mira verde sormontato dalla rossa. Per un valore accurato è però necessario annotare i poteri in diottrie dei due meridiani e stimare l’astigmatismo corneale valutando la differenza tra le due misurazioni. Se invece le due mire si allontanano ci troviamo di fronte ad un astigmatismo contro regola, in cui il meridiano tendente ai 180° ha un potere maggiore rispetto all’ortogonale.

Tale esame dunque risulta imprescindibile nella prescrizione lenti, anche se i risultati ottenuti vanno sempre soppesati. Infatti l’oftalmometria studia solo una piccola parte della cornea, corrispondente ai 3-4 mm centrali, dandoci scarse o nulle informazioni sulle regioni periferiche. Inoltre l’astigmatismo risultante dall’esame è riferibile esclusivamente alla componente corneale, dunque non ci informa delle altre componenti interne che potrebbero influire sulla correzione finale.

1.5 LA SCHIASCOPIA

La schiascopia è una metodica oggettiva di eccellenza che ci permette di valutare l’effettivo stato refrattivo del bulbo oculare. Data la sua oggettività, nell’esame

In questo caso, mancando la sovrapposizione, risulta difficile effettuare una stima dell’astigmatismo, ma risulta necessario rapportare i due valori ottenuti dalla misurazione per ottenere il grado di astigmatismo corneale stimato. Tale esame dunque risulta imprescindibile nella prescrizione lenti, anche se i risultati ottenuti vanno sempre soppesati. Infatti l’oftalmometria studia solo una piccola parte della cornea, corrispondente ai 3-4 mm centrali, dandoci scarse o nulle informazioni

2 - Fase preliminare 27
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Fig. 7 Superficie corneale con cheratometro a mire mobili Fig. 8 Schiascopio Figura12 Superficie corneale con cheratometro a mire mobili

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sulle regioni periferiche. Inoltre l’astigmatismo risultante dall’esame è riferibile esclusivamente alla componente corneale, dunque non ci informa delle altre componenti interne che potrebbero influire sulla correzione finale.

2.5 La schiascopia

La schiascopia è una metodica oggettiva di eccellenza che ci permette di valutare l’effettivo stato refrattivo del bulbo oculare. Data la sua oggettività, nell’esame della rifrazione, permette di rilevare gli eventuali vizi refrattivi indipendentemente dalla partecipazione dell’utente, pertanto l’indagine diventa fondamentale quando si esaminano soggetti non collaboranti come i bambini, o soggetti che hanno difficoltà a porsi innanzi ai più usuali strumenti oftalmici, come pazienti allettati o non deambulanti. Paragonato all’autorefrattometria ha il vantaggio di evitare le ipercontrazioni accomodative dovute alla consapevolezza della vicinanza della mira di fissazione. Lo schiascopio, costituito di regola da un manico e una testina, si differenzia in due tipologie, la variante a specchio piano, in cui il sistema osservante è formato da uno specchio piano forato che permette l’osservazione del riflesso retinoscopico e un sistema di illuminazione che può essere asporto con un fascio di luce circolare, e la variante a striscia (Fig. 13), in cui la radiazione luminosa emessa è una fessura

rispetto alla posizione di partenza e si va a valutare il comportamento delle mire. Se restano collimate perfettamente, i due meridiani principali della cornea presentano la medesima curvatura, dunque risulterebbe assente alcun tipo di vizio astigmatico. In realtà potrebbe risultarne in ultimo un lieve astigmatismo contro regola, vista la fisiologica toricità della cornea.

Nel caso in cui le mire si sovrappongano ci troviamo di fronte ad un astigmatismo secondo regola, in cui l’asse prossimo ai 90° risulta più potente di quello a 180°.

Già dal grado di sovrapposizione è possibile stimare l’entità dell’astigmatismo, che cresce di 1 diottria per ogni scalino della mira verde sormontato dalla rossa. Per un valore accurato è però necessario annotare i poteri in diottrie dei due meridiani e stimare l’astigmatismo corneale valutando la differenza tra le due misurazioni. Se invece le due mire si allontanano ci troviamo di fronte ad un astigmatismo contro regola, in cui il meridiano tendente ai 180° ha un potere maggiore rispetto all’ortogonale.

In questo caso, mancando la sovrapposizione, risulta difficile effettuare una stima dell’astigmatismo, ma risulta necessario rapportare i due valori ottenuti dalla misurazione per ottenere il grado di astigmatismo corneale stimato.

Tale esame dunque risulta imprescindibile nella prescrizione lenti, anche se i risultati ottenuti vanno sempre soppesati. Infatti l’oftalmometria studia solo una piccola parte della cornea, corrispondente ai 3-4 mm centrali, dandoci scarse o nulle informazioni sulle regioni periferiche. Inoltre l’astigmatismo risultante dall’esame è riferibile esclusivamente alla componente corneale, dunque non ci informa delle altre componenti interne che potrebbero influire sulla correzione finale.

1.5 LA SCHIASCOPIA

La schiascopia è una metodica oggettiva di eccellenza che ci permette di valutare l’effettivo stato refrattivo del bulbo oculare. Data la sua oggettività, nell’esame

2 - Fase preliminare 28 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
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Fig. 7 Superficie corneale con cheratometro a mire mobili Fig. 8 Schiascopio Figura 13 Schiascopio

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prodotta da una lampadina a filamento, che ha spessore regolabile e può essere ruotata attorno all’asse dello strumento; la striscia luminosa, ruotata opportunamente, permette cosi di determinare con maggior precisione l’asse dell’eventuale astigmatismo. La schiascopia può essere statica, per tutti i tipi di vizio di rifrazione da lontano, dunque senza accomodazione, o dinamica, per la rifrazione da vicino. Per la corretta esecuzione della schiascopia statica facciamo in prima battuta guardare all’esaminato l’ottotipo unidecimo bicromatico per annullare l’accomodazione e si osserva l’occhio dell’esaminato con l’omonimo occhio dell’esaminatore, ad una distanza di 50 cm (Fig. 14).

lontano, dunque senza accomodazione, o dinamica, per la refrazione da vicino. Per la corretta esecuzione della schiascopia statica facciamo in prima battuta guardare all’esaminato l’ottotipo unidecimo bicromatico per annullare l’accomodazione e si osserva l’occhio dell’esaminato con l’omonimo occhio dell’esaminatore, ad una distanza di 50 cm (Fig. 9).

Prima di cominciare l’esame, è necessario apporre una lente di compensazione sull’occhio da esaminare per annullare la distanza di lavoro. Per una distanza di 50cm utilizzeremo la lente +2D mentre per 67 cm una lente +1.50D. Fatto questo, con la luce disposta ad asse di 90°, eseguendo piccoli movimenti da destra verso sinistra, sull’occhio potranno verificarsi tre casi (Fig. 15):

1. Nessun tipo di ombre: punto neutro emmetrope;

Prima di cominciare l’esame, è necessario apporre una lente di compensazione sull’occhio da esaminare per annullare la distanza di lavoro. Per una distanza di 50cm utilizzeremo la lente +2D mentre per 67 cm una lente +1.50D. Fatto questo, con la luce disposta ad asse di 90°, eseguendo piccoli movimenti da destra verso sinistra, sull’occhio potranno verificarsi tre casi (Fig. 10):

2. L’ombra segue lo spostamento della luce dello strumento: ombra concorde ipermetropia;

1. Nessun tipo di ombre: punto neutro emmetrope;

2. L’ombra segue lo spostamento della luce dello strumento: ombra concorde ipermetropia;

3. L’ombra non segue lo spostamento della luce dello strumento: ombra discorde miopia.

della refrazione, permette di rilevare gli eventuali vizi refrattivi indipendentemente dalla partecipazione dell’utente, pertanto l’indagine diventa fondamentale quando si esaminano soggetti non collaboranti come i bambini, o soggetti che hanno difficoltà a porsi innanzi ai più usuali strumenti oftalmici, come pazienti allettati o non deambulanti. Paragonato all’autorefrattometria ha il vantaggio di evitare le ipercontrazioni accomodative dovute alla consapevolezza della vicinanza della mira di fissazione. Lo schiascopio, costituito di regola da un manico e una testina, si differenzia in due tipologie, la variante a specchio piano, in cui il sistema osservante è formato da uno specchio piano forato che permette l’osservazione del riflesso retinoscopico e un sistema di illuminazione che può essere asporto con un fascio di luce circolare, e la variante a striscia (Fig. 8), in cui la radiazione luminosa emessa è una fessura prodotta da una lampadina a filamento, che ha spessore regolabile e può essere ruotata attorno all’asse dello strumento; la striscia luminosa, ruotata opportunamente, permette cosi di determinare con maggior precisione l’asse dell’eventuale astigmatismo. La schiascopia può essere statica, per tutti i tipi di vizio di refrazione da

3. L’ombra non segue lo spostamento della luce dello strumento: ombra discorde miopia. Nel caso in cui durante l’esame non dovesse essere utilizzata la lente di lavoro, i casi posso cambiare e potremmo avere:

Nel caso in cui durante l’esame non dovesse essere utilizzata la lente di lavoro, i casi posso cambiare e potremmo avere:

2 - Fase preliminare 29
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Fig. 9 Schiascopia statica Fig. 10 Esame con lente di compensazione Figura 14 Schiascopia statica Figura 15 Esame con lente di compensazione

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1. Ombra concorde: miopia inferiore alla distanza di lavoro, ipermetropia, emmetropia;

1. Ombra concorde: miopia inferiore alla distanza di lavoro, ipermetropia, emmetropia;

2. Ombra discorde: miopia superiore alla distanza di lavoro.

In questi ultimi due casi dovremmo andare a calcolare ortogonalmente sugli assi il valore ottenuto così da poter annullare la distanza lavoro. A seconda dell’ombra che viene rilevata e quindi del vizio refrattivo metteremo delle lenti compensative sull’occhialino di prova o in alternativa delle apposite stecche graduate (Fig. 11 e Fig. 12) finché non troveremo il punto neutro che corrisponderà al valore del vizio refrattivo. Per verificare la presenza di un eventuale astigmatismo la luce va ruotata ortogonalmente ed i movimenti saranno dall’alto verso il basso. Se il punto neutro fosse sempre lo stesso dell’asse a 90° non è presente astigmatismo ma se così non fosse il nuovo valore va registrato e va ricavata la corretta combinazione sfero-cilindrica. Se ad esempio abbiamo un valore schiascopico di +4,25D a 90° e +1,00D a 180°, il valore dell’astigmatismo risultante sarà +3,25D Ax 90°.

la midriasi e garantire una più agevole visione del riflesso retinico. L’osservatore deve porsi sempre in allineamento orizzontale rispetto al soggetto esaminato, così da permettere al fascio di luce di essere proiettato esattamente nel polo posteriore e soprattutto che coinvolga l’area maculare, condizione necessaria per ottenere successivamente un'ottimale correzione ottica. Durante l’esame la distanza di lavoro deve essere di 50 cm o meglio 66 cm, cui dovrà essere applicata una lente di compensazione rispettivamente di +2,00D e di +1,50D.

1.6 L’AUTOREFRATTOMETRIA

2. Ombra discorde: miopia superiore alla distanza di lavoro. In questi ultimi due casi dovremmo andare a calcolare ortogonalmente sugli assi il valore ottenuto così da poter annullare la distanza lavoro. A seconda dell’ombra che viene rilevata e quindi del vizio refrattivo metteremo delle lenti compensative sull’occhialino di prova o in alternativa delle apposite stecche graduate (Fig. 16 e Fig. 17) finché non troveremo il punto neutro che corrisponderà al valore del vizio refrattivo. Per verificare la presenza di un eventuale astigmatismo la luce va ruotata ortogonalmente ed i movimenti saranno dall’alto verso il basso. Se il punto neutro fosse sempre lo stesso dell’asse a 90° non è presente astigmatismo ma se così non fosse il nuovo valore va registrato e va ricavata la corretta combinazione sfero-cilindrica. Se ad esempio abbiamo un valore schiascopico di +4,25D a 90° e +1,00D a 180°, il valore dell’astigmatismo risultante sarà +3,25D Ax 90°.

Durante l’esecuzione di questo esame, semplice nei materiali ma con un’importante curva di apprendimento, è necessario tenere a mente alcuni punti fermi. Innanzitutto l’intensità luminosa dell’ambiente di lavoro dovrà essere molto bassa, così da favorire la midriasi e garantire una più agevole visione del riflesso retinico. L’osservatore deve porsi sempre in allineamento orizzontale rispetto al soggetto esaminato, così da permettere al fascio di luce di essere proiettato esattamente nel polo posteriore e soprattutto che coinvolga l’area maculare, condizione necessaria per ottenere successivamente un’ottimale correzione ottica. Durante l’esame la distanza di lavoro deve essere di 50 cm o meglio 66 cm, cui dovrà essere applicata una lente di compensazione rispettivamente di +2,00D e di +1,50D.

Durante l’esecuzione di questo esame, semplice nei materiali ma con un'importante curva di apprendimento, è necessario tenere a mente alcuni punti fermi. Innanzitutto l’intensità luminosa dell’ambiente di lavoro dovrà essere molto bassa, così da favorire

L'autorefrattometria è un sistema diagnostico computerizzato usato per determinare il vizio refrattivo di un occhio in maniera oggettiva . Lo strumento impiegato per tale fine è l’autorefrattometro. La tecnica nasce più di 30 anni fa allo scopo di determinare rapidamente lo stato di refrazione negli occhi in esame senza che il paziente possa influenzare il procedimento, così da ottenere in breve tempo, migliorando la compliance del paziente, dati oggettivi che costituiranno i presupposti per la successiva correzione soggettiva della refrazione. La tecnica si sviluppa sulla base del principio del classico schiascopio, per mezzo del quale in base allo spostamento dell’ombra rispetto ad una lente convergente anteposta all’occhio è possibile conoscere il valore dell’ametropia.

2 - Fase preliminare 30 Refrazione e
prescrizione
lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
14
Fig. 11 Utilizzo di occhialino di prova con lenti compensative Fig. 12 Stecche graduate Figura 16 Utilizzo di occhialino di prova con lenti compensative Figura 17 Stecche graduate

2.6 L’autorefrattometria

L’autorefrattometria è un sistema diagnostico computerizzato usato per determinare il vizio refrattivo di un occhio in maniera oggettiva. Lo strumento impiegato per tale fine è l’autorefrattometro. La tecnica nasce più di 30 anni fa allo scopo di determinare rapidamente lo stato di rifrazione negli occhi in esame, senza che il paziente possa influenzare il procedimento, così da ottenere in breve tempo, migliorando la compliance del paziente, dati oggettivi che costituiranno i presupposti per la successiva correzione soggettiva della rifrazione. La tecnica si sviluppa sulla base del principio del classico schiascopio, per mezzo del quale in base allo spostamento dell’ombra rispetto ad una lente convergente anteposta all’occhio è possibile conoscere il valore dell’ametropia.

L’autorefrattometro funziona mediante la proiezione di un fascio di radiazione infrarossa sul fondo dell’occhio a cui fa seguito la valutazione del relativo comportamento; viene usata la radiazione infrarossa perché rende più confortevole l’esame e permette di evitare la miosi pupillare riflessa che sarebbe inevitabilmente provocata dalla radiazione visibile. La mira di fissazione può essere interna allo strumento oppure essere esterna ovvero ambientale (ottotipi, diapositive o filmati). L’autorefrattometro a mira interna è progettato per minimizzare il rischio di errore dovuto all’accomodazione prossimale; il soggetto che guarda la mira all’interno dello strumento, che otticamente è posta all’infinito, è consapevole che tale mira non è realmente all’infinito e attiva una quantità, seppur minima, di accomodazione che rende maggiormente negativi i valori sferici espressi dalla misura. Anche altri fattori, come la dimensione della pupilla o l’illuminazione ambientale, possono influire sul risultato dell’autorefrattometria. Il software dello strumento permette varie funzioni accessorie quali la misurazione della distanza interpupillare, la valutazione della trasparenza dei mezzi diottrici, la valutazione di lenti intra-oculari in situ (IOL) e l’identificazione di edemi corneali indotti da lenti a contatto.

Dunque lo strumento è costituito da tre principali componenti:

– la sorgente ad infrarossi, che emette il fascio luminoso che verrà riflesso dal complesso coroide-sclera;

la mira di fissazione, dotata di un sistema di defocusing per mezzo del quale l’immagine interna allo strumento, verso cui l’occhio in esame protende, viene ciclicamente posta a fuochi diversi così da mettere a riposo l’accomodazione del paziente, evitando così di indurre necessariamente la cicloplegia,

l’optometro di Badal, che valuta la relazione lineare tra distanza e rifrazione tenendo fissa la grandezza dell’immagine.

2 - Fase preliminare 31

Esistono tipi differenti di autorefrattometro, basati su principi di funzionamento differenti; alcuni strumenti analizzano la qualità dell’immagine riflessa sulla base della lunghezza assiale dell’occhio attraverso la lente di Badal, altri sfruttano il principio di Scheiner, in cui i raggi riflessi convergenti provenienti dall’oculare vengono visualizzati attraverso due distinte aperture simmetriche, altri ancora il principio analogo alla retinoscopia in cui viene valutata la velocità e la direzione del riflesso. In ogni caso l’autorefrattometro mediante sistemi polarizzati ed un tamburo rotante analizza contestualmente almeno tre meridiani e applicando la formula del Seno al quadrato [sf+(cl x sin2 90)] determina il potere refrattivo minimo e massimo, ossia dei piani focali principali, risalendo così alla combinazione sfero-cilindrica con una discreta precisione. Negli ultimi tempi, allo scopo di rendere i dati refrattometrici sempre più affidabili, sono stati introdotti sul mercato strumenti sempre più sofisticati, nei quali vengono potenziate alcune caratteristiche e risolte alcune problematiche così da ottenere dei valori refrattivi sempre più sovrapponibili al dato soggettivo. Pertanto viene introdotto il metodo di riflessione dell’immagine circolare, grazie al cui sistema, basato sulla riflessione di un’apposita lente circolare, l’area analizzata passa ad un diametro di 4 mm, rispetto ai 2,5 mm dei tradizionali autorefrattometri, ottenendo un dato più realistico e molto più simile a quello soggettivo. Ancora i classici LED infrarossi vengono sostituiti da diodi super luminescenti (SLD), fornendo un’immagine più nitida e chiara di quella ottenuta con un LED tradizionale, permettendo inoltre di effettuare rilevazioni anche in presenza di opacità delle varie strutture oculari. Negli ultimi anni inoltre, per ampliare ulteriormente la gamma di pazienti esaminabili, sono stati introdotti autorefrattometri binoculari, strumenti che alla distanza di 1 metro rilevano lo stato refrattivo, il diametro pupillare, l’accomodazione, la distanza interpupillare e la deviazione di sguardo, attraverso la combinazione di luce infrarossa, videoretinoscopio e telecamera CCD che monitorizza i movimenti degli occhi durante la misurazione.

Il principale vantaggio dell’autorefrattometria è dato dalla rapidità di esecuzione e di acquisizione dei valori di ametropia del paziente, sostituendosi in alcuni casi alla tradizionale schiascopia, per l’abbattimento dei tempi di esame e la considerevole facilità di esecuzione, ed alla oftalmometria, fornendo valori di astigmatismo totale, dunque non solo corneale.

Molti però tendono a sovrastimare il potenziale diagnostico dell’autorefrattometria, dimenticando spesso di validare i dati ottenuti mediante le classiche fasi della diagnostica optometrica.

Infatti l’autorefrattometria, pur essendo universalmente considerata un valido stru-

2 - Fase preliminare 32 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani

mento nello screening pediatrico di primo livello, se eseguita con una corretta cicloplegia, oltre che nella valutazione dei pazienti adulti, specie se strabici o sottoposti a chirurgia rifrattiva, fornisce dati che vanno sempre interpretati criticamente, essendo documentata un’ipercorrezione delle miopie ed ipocorrezione delle ipermetropie, specie per valori refrattivi bassi, oltre ad una scarsa precisione dell’asse relativamente alla componente astigmatica. In conclusione dunque l’autorefrattometria deve essere considerata un valido aiuto diagnostico nell’identificare il vizio di rifrazione del singolo paziente, permettendoci di ottenere in breve tempo e facilmente una base oggettiva utile per la successiva correzione soggettiva dell’ametropia, la quale pertanto è facilitata ma non sostituita (Fig. 18).

2.7 Punto prossimo di visione nitida

Costituisce il punto più vicino a cui un paziente riesce ancora ad avere una visione nitida dell’oggetto presentatogli. Tale indagine ha lo scopo di porre in evidenza difetti accomodativi di vario ordine, ma soprattutto condizioni di presbiopia, caratterizzata da un progressivo allontanamento del punto prossimo di visione nitida. Per la corretta esecuzione di questo esame bisogna, rispetto ai precedenti, aumentare l’illuminazione della stanza di visita, portandola ad una luce ambiente, così da facilitare la visione della mira di fissazione. L’esecuzione dell’esame prevede il posizionamento della mira all’altezza del mento, per evocare una posizione di visione quanto più paragonabile a quella di lettura, portata dunque a 20° più in basso rispetto alla posizione principale di sguardo. Da questo punto lo strumento viene fatto progressivamente avanzare verso la radice del naso, mantenendo però l’allineamento binoculare. Si invita dunque il paziente ad identificare soggettivamente il punto in cui incomincia a perdere la visione nitida della mira posta in esame. Per una corretta esecuzione del test è necessario porre la mira ad una distanza di almeno 60 cm dagli occhi e va fatta scorrere ad una velocità inizialmente di 4 cm al secondo, successivamente, giunti ad almeno 40 cm, di 2 cm al secondo per poi ridurla ad 1 cm in prossimità del punto prossimo. L’esame va eseguito sempre sulla stessa linea, per evitare che il paziente perda la fissità di sguardo durante l’esecuzione del test. Inoltre, vista la forte componente soggettiva, occorre somministrare il test più volte in modo da ottenere un risultato quanto più affidabile. Il punto prossimo di visione viene misurato nella distanza tra la radice del naso ed il punto in cui il paziente incomincia a perdere la nitidezza dell’immagine. Per tale fine in commercio esistono appositi strumenti composti, oltre che dalla mira di fissazione, da metri flessibili (Fig. 19). Tale valore risulta predittivo delle capacità accomodative del paziente; basterà infatti al termine

2 - Fase preliminare 33

refrattiva, fornisce dati che vanno sempre interpretati criticamente, essendo documentata un'ipercorrezione delle miopie ed ipocorrezione delle ipermetropie, specie per valori refrattivi bassi, oltre ad una scarsa precisione

cicloplegia, oltre che nella valutazione dei pazienti adulti, specie se strabici o sottoposti a chirurgia refrattiva, fornisce dati che vanno sempre interpretati criticamente, essendo documentata un'ipercorrezione delle miopie ed ipocorrezione delle ipermetropie, specie per valori refrattivi bassi, oltre ad una scarsa precisione

mira di fissazione. L’esecuzione dell’esame prevede il posizionamento della mira all’altezza del mento, per evocare una posizione di visione quanto più paragonabile a quella di lettura, portata dunque a 20° più in basso rispetto alla posizione principale di sguardo. Da questo punto lo strumento viene fatto progressivamente

evocare una posizione di visione quanto più paragonabile a quella di lettura, portata dunque a 20° più in basso rispetto alla posizione principale di sguardo. Da questo punto lo strumento viene fatto progressivamente

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dell’esame dividere 100 per il valore ottenuto al test, cosicché ad esempio un valore di 20 cm come punto prossimo di visione nitida corrisponderà ad una capacità accomodativa di 5,00D (100/20). L’esame può essere effettuato sia in binoculare che in monoculare. Qualora risulti una differenza tra i due occhi maggiore di 3 cm, il sistema oculare sarebbe da considerarsi non bilanciato. Se il paziente in esame è presbite, va consigliato un adeguamento refrattivo dell’occhio con il punto più distante; in caso contrario andrà approfondita la patogenesi di tale anisometropia.

2 - Fase preliminare 34 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida -
Bifani
Mario
Fig. 13 Autorefrattometria
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Fig. 14 Esame del punto prossimo di visione nitida con metro flessibile Fig. 13 Autorefrattometria Fig. 14 Esame del punto prossimo di visione nitida con metro flessibile Figura 19 Esame del punto prossimo di visione nitida con metro flessibile Figura 18 Autorefrattometria

PRELIMINARE: TEST AGGIUNTIVI

3 Fase preliminare: test aggiuntivi

sezione precedente, studio della fronte, l’impiego essere intesi come valido ausilio nella che il paziente

abbisognevole

infatti si esegue indirizzata verso proprietà speculari denominati immagine ambo gli occhi, permettendo eventuali asimmetrie necessario che fronte al paziente identificabile riflessi non tendono ad essere nasalmente. Nel caso in potremmo trovarci di sottenderebbero regola l’occhio con quello più deviato. test può darci per specifiche dalla posizione luminosa nei evidenza zone

dove sussiste una perdita di simmetria. Il test è utile ad identificare l’occhio fissante, a stimolare l’attenzione soprattutto nei bambini. Inoltre ci dà informazioni circa la centratura delle lenti, soprattutto le progressive, nei soggetti affetti da strabismo (Fig. 15).

Otre ai test e agli esami illustrati nella sezione precedente, può risultare necessario, per il corretto studio della problematica visiva che ci troviamo di fronte, l’impiego di ulteriori test, che non devono essere intesi come routinari, ma possono costituire un valido ausilio nella ricerca ed evocazione di vizi o fastidi che il paziente possa manifestare.

2.2 DOMINANZA OCULARE

3.1 Test di Hirschberg

È un test di facile attuazione in quanto non abbisognevole di particolare strumentazione. Tale test infatti si esegue con una semplice sorgente luminosa che, indirizzata verso il viso del paziente, sfruttando le proprietà speculari della cornea, evocherà dei riflessi denominati immagine di Purkinje. Tale immagine, presente in ambo gli occhi, verrà confrontata dall’una all’altra parte, permettendo all’operatore della visione di valutare eventuali asimmetrie. Per la corretta esecuzione del test è necessario che l’esaminatore si ponga esattamente di fronte al paziente e proietti la luce verso l’asse bipupillare, identificabile nella radice del naso. Normalmente i riflessi non sono perfettamente centrati, ma tendono ad essere simmetricamente decentrati nasalmente. Nel caso in cui sussistano dei decentramenti potremmo trovarci di fronte a differenti gradi di asimmetria che sottenderebbero differenti tipologie di strabismo, dove di regola l’occhio con il riflesso maggiormente decentrato è quello più deviato. È inoltre importante sottolineare che il test può darci informazioni sull’allineamento oculare

Per dominanza oculare si intende quel fenomeno fisiologico, secondo alcuni biologicamente determinato, attraverso il quale in visione binoculare esiste un’attività preferenziale di un occhio rispetto al controlaterale. Il test qui illustrato ha lo scopo di identificare l’occhio fissatore, ossia quello dominante durante la fissazione, così da permettere all’operatore della visione di focalizzare la propria attenzione correttiva su quell’occhio in caso di ametropie importanti. Gli strumenti per eseguire tale test sono semplici ma allo stesso tempo efficaci e possono essere rappresentati dalla tavola di plexiglas od opaca forata, costituita da un pannello grande circa quanto un foglio A4 al cui centro sussiste un foro di 2 cm di diametro, il tubo, un cilindro opaco lungo non meno di 20 cm e con diametro di circa 2 cm, e la lente neutra, normalmente presente nelle nostre cassette di prova, che non interponendosi con l’immagine di fondo, costituisce la scelta più fisiologica.

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Prescrizione di Lenti Oftalmiche
Fig. 15 Soggetti affetti da Strabismo Figura 20 Soggetti affetti da Strabismo

anche per specifiche posizioni dello spazio. Quindi partendo dalla posizione primaria è possibile spostare la sorgente luminosa nei diversi settori visivi così da mettere in evidenza zone dove sussiste una perdita di simmetria. Il test è utile ad identificare l’occhio fissante, a stimolare l’attenzione soprattutto nei bambini. Inoltre ci dà informazioni circa la centratura delle lenti, soprattutto le progressive, nei soggetti affetti da strabismo (Fig. 20).

3.2 Dominanza oculare

Per dominanza oculare si intende quel fenomeno fisiologico, secondo alcuni biologicamente determinato, attraverso il quale in visione binoculare esiste un’attività preferenziale di un occhio rispetto al controlaterale. Il test qui illustrato ha lo scopo di identificare l’occhio fissatore, ossia quello dominante durante la fissazione, così da permettere all’operatore della visione di focalizzare la propria attenzione correttiva su quell’occhio in caso di ametropie importanti.

Gli strumenti per eseguire tale test sono semplici ma allo stesso tempo efficaci e possono essere rappresentati dalla tavola di plexiglas od opaca forata, costituita da un pannello grande circa quanto un foglio A4 al cui centro sussiste un foro di 2 cm di diametro, il tubo, un cilindro opaco lungo non meno di 20 cm e con diametro di circa 2 cm, e la lente neutra, normalmente presente nelle nostre cassette di prova, che non interponendosi con l’immagine di fondo, costituisce la scelta più fisiologica.

Allo scopo di eseguire questo test il paziente viene posto in ambiente normalmente illuminato e lo si invita a porre la propria attenzione verso una mira, preferibilmente puntiforme, posta lontano. Successivamente si consegna lo strumento scelto al paziente e lo si invita a porre la propria attenzione visiva sulla mira, osservandola però attraverso il foro libero dello strumento, avendo cura di reggerlo a braccia distese.

Se dunque abbiamo optato per la tavola, il paziente dovrà guardare ed anteporre il foro alla propria fissazione, se si userà il tubo dovrà fissare attraverso il cilindro, se ci sarà la lente, sarà attraverso questa che il paziente dovrà fissare. Una volta stabilizzata la fissazione si occludono alternativamente gli occhi e, invitando il paziente a mantenere la posizione, gli si chiede se osserva nell’uno o nell’altro momento la perdita della centralità dell’immagine fissata, permettendoci di comprendere quale sia l’occhio dominante.

Limite principale del test è rappresentato dalla collaborazione del paziente, che potrebbe avere difficoltà già nell’apprendere la corretta sequenza di azioni alla base dell’esame.

3 - Fase preliminare: test aggiuntivi 36 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele -
Piantanida -
Andrea
Mario Bifani

Allo scopo di eseguire questo test il paziente viene posto in ambiente normalmente illuminato e lo si invita a porre la propria attenzione verso una mira, preferibilmente puntiforme, posta lontano. Successivamente si consegna lo strumento scelto al paziente e lo si invita a porre la propria attenzione visiva sulla mira, osservandola però attraverso il foro libero dello strumento, avendo cura di reggerlo a braccia distese. Se dunque abbiamo optato per la tavola, il paziente dovrà guardare anteporre il foro alla propria fissazione, se si userà il tubo dovrà fissare attraverso il cilindro, se ci sarà la lente, sarà attraverso questa che il paziente dovrà fissare. Una volta stabilizzata la fissazione si occludono alternativamente gli occhi e, invitando il paziente a mantenere la posizione, gli si chiede se osserva nell’uno o nell’altro momento la perdita della centralità dell’immagine fissata, permettendoci di comprendere quale sia l’occhio dominante.

2.3 COVER TEST

Per tale motivo è buona norma somministrare più volte il test al paziente, così da ottenere in ultimo un risultato quanto più attendibile (Fig. 21).

3.3 Cover test

Allo scopo di eseguire questo test il paziente viene posto in ambiente normalmente illuminato e lo si invita a porre la propria attenzione verso una mira, preferibilmente puntiforme, posta lontano. Successivamente si consegna lo strumento scelto al paziente e lo si invita a porre la propria attenzione visiva sulla mira, osservandola però attraverso il foro libero dello strumento, avendo cura di reggerlo a braccia distese. Se dunque abbiamo optato per la tavola, il paziente dovrà guardare anteporre il foro alla propria fissazione, se si userà il tubo dovrà fissare attraverso il cilindro, se ci sarà la lente, sarà attraverso questa che il paziente dovrà fissare. Una volta stabilizzata la fissazione si occludono alternativamente gli occhi e, invitando il paziente a mantenere la posizione, gli si chiede se osserva nell’uno o nell’altro momento la perdita della centralità dell’immagine fissata, permettendoci di comprendere quale sia l’occhio dominante.

2.3 COVER TEST

Costituisce il principale e più semplice test per valutare lo stato neuromuscolare degli occhi allo scopo di porre in evidenza eventuali difetti di allineamento degli assi visivi, che a seguito della compensazione di fissazione potrebbero essere mascherati. Il test è oggettivo e, siccome al paziente è richiesto esclusivamente di fissare una mira morfoscopica e luminosa, può essere somministrato anche a soggetti non collaboranti. Lo strumento da impiegare è il semplice occlusore, opaco o meglio traslucido (Fig. 22), in quanto ci permette di ottenere in un’unica somministrazione differenti valori predittivi o diagnostici. Per la corretta esecuzione dell’esame il paziente viene posto in camera a luce ambiente, generalmente seduto, e lo si invita a fissare una mira posta in lontano. Il test può essere eseguito per fasi differenti o semplificato in un’unica sequenza di azioni. Pertanto potremmo avere (Fig. 23):

Un cover test di copertura (cover), mirato principalmente a slatentizzare eterotropie oculari;

Limite principale del test è rappresentato dalla collaborazione del paziente, che potrebbe avere difficoltà già nell’apprendere la corretta sequenza di azioni alla base dell’esame.

Costituisce il principale e più semplice test per valutare lo stato neuromuscolare degli occhi allo scopo di porre in evidenza eventuali difetti di allineamento degli assi visivi, che a seguito della compensazione di fissazione potrebbero essere mascherati. Il test è oggettivo e, siccome al paziente è richiesto esclusivamente di fissare una mira morfoscopica e luminosa, può essere somministrato anche a soggetti non collaboranti. Lo strumento da impiegare è il semplice occlusore, opaco o meglio traslucido (Fig. 17), in quanto ci permette di ottenere in un'unica somministrazione differenti valori predittivi o diagnostici. Per la corretta esecuzione dell’esame il paziente viene posto in camera a luce ambiente, generalmente seduto, e lo si invita a fissare una mira posta in lontano. Il test può essere eseguito per fasi differenti o semplificato in un'unica sequenza di azioni. Pertanto potremmo avere (Fig. 18):

Costituisce il principale e più semplice test per valutare lo stato neuromuscolare degli occhi allo scopo di porre in evidenza eventuali difetti di allineamento degli assi visivi, che a seguito della compensazione di fissazione potrebbero essere mascherati. Il test è oggettivo e, siccome al paziente è richiesto esclusivamente di fissare una mira morfoscopica e luminosa, può essere somministrato anche a soggetti non collaboranti. Lo strumento da impiegare è il semplice occlusore, opaco o meglio traslucido (Fig. 17), in quanto ci permette di ottenere in un'unica somministrazione differenti valori predittivi o diagnostici. Per la corretta esecuzione dell’esame il paziente viene posto in camera a luce ambiente, generalmente seduto, e lo si invita a fissare una mira posta in lontano. Il test può essere eseguito per fasi differenti o semplificato in un'unica sequenza di azioni. Pertanto potremmo avere (Fig. 18):

Un cover test di scopertura (uncover), mirato alla slatentizzazione di eteroforie oculari;

• Un cover test di copertura (cover), mirato principalmente a slatentizzare eterotropie oculari;

• Un cover test di copertura (cover), mirato principalmente a slatentizzare eterotropie oculari;

• Un cover test di scopertura (uncover), mirato alla slatentizzazione di eteroforie oculari;

– Un cover test alternante, che dopo i precedenti ci fa ulteriore evidenza dell’eventuale deviazione presente.

Per tale motivo è buona norma somministrare più volte il test al paziente, così da ottenere in ultimo un risultato quanto più attendibile (Fig. 16).

Limite principale del test è rappresentato dalla collaborazione del paziente, che potrebbe avere difficoltà già nell’apprendere la corretta sequenza di azioni alla base dell’esame.

Spesso però nella pratica, tenuto presente anche della bassa incidenza di strabismo nella popolazione generale, il test viene eseguito in maniera unificata, con una conversione alla forma classica differenziata solo nel caso in cui si evidenzi una qualche

Per tale motivo è buona norma somministrare più volte il test al paziente, così da ottenere in ultimo un risultato quanto più attendibile (Fig. 16).

• Un cover test di scopertura (uncover), mirato alla slatentizzazione di eteroforie oculari;

• Un cover test alternante, che dopo i precedenti ci fa ulteriore evidenza dell’eventuale deviazione presente.

• Un cover test alternante, che dopo i precedenti ci fa ulteriore evidenza dell’eventuale deviazione presente.

3 - Fase preliminare: test aggiuntivi 37
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Manuale Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche Fig. 16 Test dominanza oculare
19 Manuale Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche
Fig. 17 Esame con occlusore Fig. 16 Test dominanza oculare Fig. 17 Esame con occlusore Figura 21 Test dominanza oculare Figura 22 Esame con occlusore

deviazione assiale. Dunque, posto il paziente in fissazione primaria, si incomincia occludendo un occhio e visionando eventuali movimenti dell’occhio scoperto nello stesso momento il cui l’altro viene occluso. Possono verificarsi varie condizioni, ossia che l’occhio non si muova affatto, configurandosi un quadro di ortotropia, che l’occhio abbia un piccolo movimento di rifissazione, che sottenda una microtropia o una ortotropia con visus compromesso da un lato, ancora potremmo osservare un netto movimento di recupero di fissazione, che non aveva in precedenza essendo deviato, identificandosi un quadro di strabismo manifesto. Stabilito dunque se l’occhio sia strabico o meno, si procede alla sequenza di scopertura dell’occhio, assicurandosi di aver mantenuto la copertura almeno per 4 secondi, per consentire all’occhio coperto di raggiungere la propria posizione di riposo. In questa fase l’occlusore va rimosso rapidamente e si osserva nell’occhio finora coperto eventuali movimenti mentre riprende la fissazione binoculare. Anche in questo caso possiamo avere differenti risultati, ossia nessun movimento, confermando una ortoforia, movimento di recupero della fissazione, in cui l’occhio, finora in posizione deviata per via dell’interruzione fusionale, torna in fissazione foveale, configurandosi un quadro di eteroforia, movimento di recupero provocato, in cui l’occhio torna in fissazione solo se l’operatore lo invita a farlo, in un quadro di eteroforia-tropia, l’occhio rimane deviato anche con piccoli movimenti di recupero insufficienti, in un quadro di fragilità binoculare.

Una volta stabilita dunque la presenza o meno di una foria nell’occhio osservato, possiamo ripetere il test per l’adelfo e ripetere la sequenza di copertura e successiva scopertura dell’occhio.

3.4 Tecnica di Von Graefe

Costituisce il test dissociante per eccellenza nella qualificazione e quantificazione dell’eventuale eteroforia orizzontale e costituisce il test di gran lunga più utilizzato nella pratica clinica. Per l’esecuzione del test bisogna porre il paziente in luce ambiente, seduto, proteso a fissare una mira morfoscopica. Con entrambi gli occhi aperti si pone un prisma, da preferirne uno a base alta di almeno 8DP, sull’occhio identificato come dominante e si chiede al paziente cosa sia cambiato nell’immagine verso cui poneva lo sguardo (Fig. 24). Il test si basa sull’anteposizione di un prisma a potere superiore alle capacità fusionali dell’occhio. Per tale motivo nell’anteporre il prisma all’occhio in esame verrà sempre percepito uno sdoppiamento della mira di fissazione di tipo verticale, ossia il paziente incomincerà a vedere due mire, una posta sopra l’altra. A questo punto sarà necessario chiedere al paziente se le due

3 - Fase preliminare: test aggiuntivi 38 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida -
Mario Bifani

nell’occhio finora coperto eventuali movimenti mentre riprende la fissazione binoculare. Anche in questo caso possiamo avere differenti risultati, ossia nessun movimento, confermando una ortoforia, movimento di recupero della fissazione, in cui l’occhio, finora in

del mento lungo la linea mediana, per evocare una

nell’immagine verso cui poneva lo sguardo (Fig. 19).

posizione di visione quanto sovrapponibile a quella di lettura, portata dunque a 20° più in basso rispetto alla posizione principale di sguardo. Da questo punto lo strumento viene fatto progressivamente avanzare verso la radice del naso e si invita il paziente ad identificare

Il test si basa sull’anteposizione di un prisma a potere superiore alle capacità fusionali dell’occhio. Per tale motivo nell’anteporre il prisma all’occhio in esame verrà sempre percepito uno sdoppiamento della mira di fissazione di tipo verticale, ossia il paziente incomincerà a vedere due mire, una posta sopra l’altra. A questo punto sarà necessario chiedere al paziente se le due righe sono perfettamente allineate, in un quadro di ortoforia, o se la riga inferiore sia spostata verso l’uno o l’altro lato, permettendoci di evidenziare uno stato rispettivamente di exoforia, in cui la mira risulta spostata dal lato opposto dell’occhio in esame, e di esoforia, nel caso in cui la mira sia spostata omolateralmente. Una volta evidenziata l’una o l’altra foria si procede alla quantificazione della stessa, sostituendo il prisma ad alta base con prismi

viene misurato ed il punto in singolarità dell’immagine. esistono appositi mira di fissazione,

righe sono perfettamente allineate, in un quadro di ortoforia, o se la riga inferiore sia spostata verso l’uno o l’altro lato, permettendoci di evidenziare uno stato rispettivamente di exoforia, in cui la mira risulta spostata dal lato opposto dell’occhio in esame, e di esoforia, nel caso in cui la mira sia spostata omolateralmente. Una volta evidenziata l’una o l’altra foria si procede alla quantificazione della stessa, sostituendo il prisma ad alta base con prismi progressivamente più deboli, fino a trovare il corretto allineamento oculare. I limiti di questo test sono molteplici, quali la variabilità di misura su cui incide fortemente anche l’inclinazione del prisma rispetto all’asse oculare di riferimento. Pertanto piccole variazioni del posizionamento della base prismatica potrebbero dare risultati altamente falsati.

3.5 Punto prossimo di convergenza

Costituisce il punto più vicino a cui un paziente riesce a vedere ancora come singolo l’oggetto presentatogli durante la visione binoculare. Tale indagine ha lo scopo di porre in evidenza difetti accomodativi di vario ordine, ma soprattutto di valutare e quantificare la massima convergenza positiva volontaria. Per la corretta esecuzione di questo esame bisogna aumentare l’illuminazione della stanza di visita, portandola ad una luce ambiente, così da facilitare la visione della mira di fissazione. L’esecuzione dell’esame prevede il posizionamento della mira all’altezza del mento lungo la linea mediana, per evocare una posizione di visione quanto sovrapponibile a quella di lettura, portata dunque a 20° più in basso rispetto alla posizione principale di sguardo. Da questo punto lo strumento viene fatto progressivamente avanzare verso la radice del naso e si invita il paziente ad identificare soggettivamente il punto in cui incomincia a perdere la visione singola della mira posta in esame, ma incomincia a

3 - Fase preliminare: test aggiuntivi 39
20
Fig. 19 Tecnica di Van Graefe o esame con prisma Fig. 20 Punto prossimo Fig. 18 Cover test Figura 23 Cover test Figura 24 Tecnica di Van Graefe o esame con prisma

vederne due (Fig. 25). Per una corretta esecuzione del test è necessario porre la mira ad una distanza di 50 cm dagli occhi e si avvicina la mira con una velocità di circa 6 cm al secondo per poi ridurla a 2 cm al secondo dalla distanza di circa 15 cm dalla radice del naso invitando il paziente a sforzarsi di mantenere la mira singola e ad esprimere verbalmente il momento in cui dovesse perdere questa fissità. Nel corso dell’esame andremo a stressare particolarmente la convergenza del paziente, che però verrà fisiologicamente revertita al termine del test ed alla ripresa della normale visione per lontano. L’esame va eseguito sempre sulla stessa linea, per evitare che il paziente perda la fissità di sguardo durante l’esecuzione del test. Inoltre, vista la forte componente soggettiva, occorre somministrare il test più volte in modo da ottenere un risultato quanto più affidabile. Il punto prossimo di convergenza, analogamente a quello di visione nitida, viene misurato nella distanza tra la radice del naso ed il punto in cui il paziente incomincia a perdere la singolarità dell’immagine. Per tale fine in commercio esistono appositi strumenti composti, oltre che dalla mira di fissazione, da metri flessibili.

3 - Fase preliminare: test aggiuntivi 40 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
21 avanzare
ad identificare
verso
mira di fissazione, da metri flessibili.
Fig. 20 Punto prossimo di convergenza Figura 25 Punto prossimo di convergenza

4 Fase della refrazione

Superate le fasi che dobbiamo considerare come preliminari, nel corso delle quali riusciamo ad ottenere informazioni generali sullo stato globale della visione del paziente, si passa alla vera e propria fase della rifrazione, in cui si dovrà scegliere insieme al paziente quale sarà la migliore correzione per lui. Pertanto non focalizzeremo la nostra attenzione esclusivamente sul potere delle lenti da prescrivere, che da solo cosituisce una piccola parte del percorso ottico da eseguire. Infatti anche una lente di potere ottimale per la correzione dell’ametropia del paziente potrebbe essere difficilmente tollerata dallo stesso se dovessimo trovarci di fronte a condizioni di eteroforia misconosciuta o ancor peggio non presa in considerazione. Pertanto le lenti ed il loro potere costituiscono il punto finale di un esame visivo completo e la loro individuazione deve necessariamente essere il risultato di una valutazione ponderata dei fattori che possono concorrere a caratterizzare l’intera funzione visiva del paziente che, come si diceva inizialmente, ha necessità di trovare sollievo ai propri disturbi.

In questo capitolo entreremo nel merito dell’esame refrattivo, esaminando le varie fasi che si susseguono fino alla fase della ricettazione.

4.1 Il posizionamento del portalenti

Prima di entrare nel merito specifico delle fasi che porteranno all’identificazione del vizio refrattivo e la sua correzione, bisogna effettuare un’operazione che, per quanto possa sembrare banale ed automatica, potrebbe inficiare notevolmente il risultato ottico ottenuto, ossia il posizionamento del portalenti.

I criteri con cui il portalenti va regolato sono correlati principalmente alla centratura ed all’angolo pantoscopico. La centratura si ottiene da ciò che facciamo routinariamente, ovvero dalla regolazione della lunghezza della stecca a tempiale, dalla regolazione dell’altezza dei cerchi della montatura regolando la lunghezza del supporto

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3.2 LA CENTRATURA DELLE LENTI DI PROVA

3.2 LA CENTRATURA DELLE LENTI DI PROVA

Una volta regolato il portalenti si procede alla fase di centratura, necessaria a garantire il miglior risultato visivo ottenibile con le lenti che verranno progressivamente inserite.

Una volta regolato il portalenti si procede alla fase di centratura, necessaria a garantire il miglior risultato visivo ottenibile con le lenti che verranno progressivamente inserite.

3.3 IL VISUS PER LONTANO

3.3 IL VISUS PER LONTANO

nasale e la distanza orizzontale tra i due supporti circonferenziali, così da garantire il corretto studio del visus. Per agevolare questa operazione è possibile avvalersi di croci di riferimento, presenti in ogni portalenti, sincerandosi che, a fine regolazione, i centri pupillari siano perfettamente allineati con l’intersezione degli assi delle croci. Oltre alla posizione frontale del portalenti, va posta medesima attenzione alla posizione laterale.

La centratura si ottiene da ciò che facciamo routinariamente, ovvero dalla regolazione della lunghezza della stecca a tempiale, dalla regolazione dell’altezza dei cerchi della montatura regolando la lunghezza del supporto nasale e la distanza orizzontale tra i due supporti circonferenziali, così da garantire il corretto studio del visus.

La centratura si ottiene da ciò che facciamo routinariamente, ovvero dalla regolazione della lunghezza della stecca a tempiale, dalla regolazione dell’altezza dei cerchi della montatura regolando la lunghezza del supporto nasale e la distanza orizzontale tra i due supporti circonferenziali, così da garantire il corretto studio del visus.

Entriamo a questo punto nella fase predominante di tutta la visita oculistica, quella in cui tutti gli esami preliminari finora effettuati dovranno trovare giusta collocazione tra oggettività e soggettività, al fine di identificare la giusta lente da prescrivere al paziente.

Entriamo a questo punto nella fase predominante di tutta la visita oculistica, quella in cui tutti gli esami preliminari finora effettuati dovranno trovare giusta collocazione tra oggettività e soggettività, al fine di identificare la giusta lente da prescrivere al paziente.

Infatti piccole e modeste variazioni dell’inclinazione del portalenti possono creare disallineamenti tra il centro ottico e la lente, che risulterebbe o più distante dall’occhio in alcuni punti, o inclinata al punto da introdurre variazioni prismatiche non quantificabili ed aberrazioni ottiche notevoli.

Per tale ragione va regolato l’angolo pantoscopico, che dovrà essere pari a zero nel momento in cui l’occhiale di prova viene posto in maniera tale che il piano delle lenti sia perpendicolare al piano di sguardo, così da mantenere coassiali i centri ottici delle lenti progressivamente inserite nello strumento.

Per agevolare questa operazione è possibile avvalersi di croci di riferimento, presenti in ogni portalenti, sincerandosi che, a fine regolazione, i centri pupillari siano perfettamente allineati con l’intersezione degli assi delle croci (Fig. 21 e Fig. 22).

Per agevolare questa operazione è possibile avvalersi di croci di riferimento, presenti in ogni portalenti, sincerandosi che, a fine regolazione, i centri pupillari siano perfettamente allineati con l’intersezione degli assi delle croci (Fig. 21 e Fig. 22).

Il test posto in essere è assolutamente soggettivo, prevede un’ampia collaborazione da parte del paziente così da verificare la corretta ametropia e la sua specifica correzione. Il controllo del visus per lontano viene effettuato canonicamente in ambiente a bassa illuminazione e avvalendosi di un ottotipo a mire morfoscopiche o a contrasto, a seconda del caso, e di una cassetta lenti. Tale momento clinico può agevolmente essere differenziato in tre fasi successive, quali:

Il test posto in essere è assolutamente soggettivo, prevede un’ampia collaborazione da parte del paziente così da verificare la corretta ametropia e la sua specifica correzione. Il controllo del visus per lontano viene effettuato canonicamente in ambiente a bassa illuminazione e avvalendosi di un ottotipo a mire morfoscopiche o a contrasto, a seconda del caso, e di una cassetta lenti. Tale momento clinico può agevolmente essere differenziato in tre fasi successive, quali:

4.2 La centratura delle lenti di prova

Una volta regolato il portalenti si procede alla fase di centratura, necessaria a garantire il miglior risultato visivo ottenibile con le lenti che verranno progressivamente inserite.

• la fase monoculare, in cui viene valutato il vizio refrattivo di ogni occhio preso singolarmente, protendendo al raggiungimento del corretto valore di emmetropizzazione;

• la fase monoculare, in cui viene valutato il vizio refrattivo di ogni occhio preso singolarmente, protendendo al raggiungimento del corretto valore di emmetropizzazione;

La centratura delle lenti si ottiene dalle manovre descritte nel paragrafo precedente così da garantire un corretto esame del visus.

Provveduto a questo siamo pronti alla fase vera della rifrazione, visus per lontano e per vicino, tenendo a mente che negli occhiali di prova le lenti sferiche vanno posizionate nelle scanalature poste dietro all’anello di montatura, così da riprodurre la distanza a cui la maggior parte delle ditte produttrici lavorano, misurata nei 12-14 mm, mentre le lenti cilindriche vanno poste anteriormente, dunque nelle scanalature dell’anello, così da permettere, attraverso la rotazione dello stesso, di individuare l’asse esatto di correzione.

Provveduto a questo siamo pronti alla fase vera della rifrazione, visus per lontano e per vicino, tenendo a mente che negli occhiali di prova le lenti sferiche vanno posizionate nelle scanalature poste dietro all’anello di montatura, così da riprodurre la distanza a cui la maggior parte delle ditte produttrici lavorano, misurata nei 12-14 mm, mentre le lenti cilindriche vanno poste anteriormente, dunque nelle scanalature dell’anello, così da permettere, attraverso la rotazione dello stesso, di individuare l’asse esatto di correzione.

• la fase di bilanciamento, anche definito test del bilanciamento percettivo, in cui viene identificata l’eventuale differenza sferica che rende quanto più simile la percezione visiva tramite i due occhi, permettendoci un avvicinamento verso l’ametropia prescrivibile;

Per agevolare questa operazione è possibile avvalersi di croci di riferimento, presenti in ogni portalenti, sincerandosi che, a fine regolazione, i centri pupillari siano perfettamente allineati con l’intersezione degli assi delle croci (Fig. 26 e Fig. 27).

• la fase di bilanciamento, anche definito test del bilanciamento percettivo, in cui viene identificata l’eventuale differenza sferica che rende quanto più simile la percezione visiva tramite i due occhi, permettendoci un avvicinamento verso l’ametropia prescrivibile;

• la fase binoculare, in cui saggiando la soggettività binoculare e valutando l’intervallo di percezione da lontano, riusciamo ad identificare il potere delle lenti soggettivamente tollerato dal paziente.

• la fase binoculare, in cui saggiando la soggettività binoculare e valutando l’intervallo di percezione da lontano, riusciamo ad identificare il potere delle lenti soggettivamente tollerato dal paziente.

4 - Fase della refrazione 42 Refrazione e prescrizione
lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
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Manuale Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche
Fig. 21 Centratura delle lenti di prova
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Fig. 22 Centratura delle lenti di prova Manuale Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche Fig. 21 Centratura delle lenti di prova Fig. 22 Centratura delle lenti di prova Figura 26 Centratura delle lenti di prova Figura 27 Centratura delle lenti di prova

Provveduto a questo siamo pronti alla fase vera della rifrazione, visus per lontano e per vicino, tenendo a mente che negli occhiali di prova le lenti sferiche vanno posizionate nelle scanalature poste dietro all’anello di montatura, così da riprodurre la distanza a cui la maggior parte delle ditte produttrici lavorano, misurata nei 12-14 mm, mentre le lenti cilindriche vanno poste anteriormente, dunque nelle scanalature dell’anello, così da permettere, attraverso la rotazione dello stesso, di individuare l’asse esatto di correzione.

4.3 Il visus per lontano

Entriamo a questo punto nella fase predominante di tutta la visita oculistica, quella in cui tutti gli esami preliminari finora effettuati dovranno trovare giusta collocazione tra oggettività e soggettività, al fine di identificare la giusta lente da prescrivere al paziente.

Il test posto in essere è assolutamente soggettivo, prevede un’ampia collaborazione da parte del paziente così da verificare la corretta ametropia e la sua specifica correzione. Il controllo del visus per lontano viene effettuato canonicamente in ambiente a bassa illuminazione e avvalendosi di un ottotipo a mire morfoscopiche o a contrasto, a seconda del caso, e di una cassetta lenti. Tale momento clinico può agevolmente essere differenziato in tre fasi successive, quali:

– la fase monoculare, in cui viene valutato il vizio refrattivo di ogni occhio preso singolarmente, protendendo al raggiungimento del corretto valore di emmetropizzazione;

– la fase di bilanciamento, anche definito test del bilanciamento percettivo, in cui viene identificata l’eventuale differenza sferica che rende quanto più simile la percezione visiva tramite i due occhi, permettendoci un avvicinamento verso l’ametropia prescrivibile;

– la fase binoculare, in cui saggiando la soggettività binoculare e valutando l’intervallo di percezione da lontano, riusciamo ad identificare il potere delle lenti soggettivamente tollerato dal paziente.

In tutte queste fasi è opportuno tenere a mente quale sia la condizione rifrattiva di partenza, dunque risulta essere necessario aver effettuato con accortezza tutti quei test preliminari poc’anzi elencati che ci permettono di avere un dato oggettivo di partenza, necessario per il raggiungimento della corretta soggettività.

Inoltre applicare una correzione oggettiva, seppur provvisoria, ha l’immediato vantaggio di garantire al paziente una lettura rapida e quasi senza incertezze dell’intera tavola ottotipica.

4 - Fase della refrazione 43

Pertanto la condizione rifrattiva di partenza deve essere considerata come una condizione probabile, ricavata da almeno un test oggettivo, costituendo ad ogni modo una base valida per la creazione della lente definitiva. Un test da cui efficacemente si può partire è rappresentato dalla schiascopia da lontano, da cui oggettivamente ricaviamo le diottrie della correzione da applicare. È buona norma però provvedere fin da subito ad un iniziale e leggero annebbiamento, semplicemente aggiungendo al potere stimato una lente sf + 2.00D. Lo scopo di tale procedura è quello di spostare le focali ottiche in una posizione leggermente anteriore rispetto alla retina inducendo così un annebbiamento che il paziente difficilmente riuscirà a migliorare con l’accomodazione, la quale se messa in atto comprometterebbe il risultato finale. L’obiettivo primario della valutazione ottica dovrà essere quello di portare il paziente ad un visus di almeno 4/10 fin da subito, successivamente si revertirà l’annebbiamento e si protenderà alla correzione ottimale. È necessario sottolineare che un eventuale annebbiamento troppo marcato, che induca pertanto un visus inferiore ai 2/10, potrebbe inficiare la qualità della pratica, in quanto il paziente, vedendo troppo annebbiato, attiverebbe comunque un’accomodazione che andrebbe a vanificare l’annebbiamento stesso. Dunque per esemplificazione, nel caso in cui un test oggettivo dia una correzione stimata di sf -1.50 = cil -1.00 ax 180, si inizierà il test visivo con sf +0.75 = cil -0.75 ax 180, così da ottenere l’esatto annebbiamento tale da tener sotto controllo l’accomodazione.

4.3.1 L’annebbiamento

Costituisce una metodica essenziale per identificare la lente specifica per il paziente. Fisiologicamente infatti l’occhio tende a sopperire ad eventuali ametropie mediante un grado variabile di accomodazione, che spesso è tale da comportare dei risultati visivi completamente distanti dalla reale necessità correttiva. Tale condizione, seppur molto più frequente nel paziente giovane ed ipermetrope, in cui potremmo avere ad un test oggettivo anche la simulazione di un vizio miopico, può essere presente anche nel vizio miopico ed astigmatico. È pertanto buona norma provvedere sempre ad un certo grado di annebbiamento, soprattutto nelle fasi iniziali del controllo del visus, così da ottenere immediatamente delle stime. Addizionando una lente sf + 2.00D infatti potremmo ottenere un peggioramento del visus con capacità residua di circa 3/10, oppure un miglioramento. In tal caso si connoterà un vizio ipermetropico che trova immediato giovamento nella lente attuale, che dovrà essere subito ulteriormente addizionata di almeno sf + 2.50D, per evitare di interferire con la procedura di annebbiamento. Con l’occhiale di prova abbiamo diverse possibilità di provvede-

4 - Fase della refrazione 44 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani

re all’annebbiamento. Possiamo infatti anteporre lenti positive e progressivamente ridurne il potere, sfilando la maggiore ed allocando la minore, possiamo utilizzare degli appositi flipper sferici oppure, sempre con lente positiva di partenza, si aggiungono lenti negative ad incremento successivo. Tale metodica assicura spesso il risultato migliore.

Nella corretta sequenza quindi, anteposta la lente sferica positiva di annebbiamento, si invita il paziente a leggere la tavola ottotipica, auspicando il raggiungimento di un visus di circa 3/10. Successivamente si antepone una lente sf - 0.50D e si invita il paziente a continuare nella lettura. Si procede dunque analogamente, continuando ad anteporre lenti sferiche negative o, in alternativa, sostituendo la lente positiva con una di potere progressivamente minore. Tale pratica sarà portata avanti fino a quando non si otterrà il miglior visus del paziente in esame.

È buona norma informare adeguatamente il paziente, avvisandolo che si sta sottoponendo ad uno specifico controllo che prevede un iniziale sfuocamento delle immagini al fine di raggiungere la correzione ottica ideale ad una performance visiva adeguata.

4.3.2 Il forame stenopeico

In talune circostanze è possibile che, nonostante i risultati dei test e la dedizione dell’operatore, non si riesca a raggiungere l’acutezza visiva ottimale.

In tali situazioni è possibile avvalersi del forame stenopeico che, incrementando la profondità del fuoco, riduce l’errore refrattivo, consentendoci di discriminare un problema organico alla base del visus non ottimale, da un mero errore di correzione.

La sequenza d’esame viene fatta in monoculare, si invita il paziente a focalizzare l’ultima riga dell’ottotipo che riesce a distinguere e si antepone all’occhio in esame il forame stenopeico, avendo cura che il foro centrale della lente cada perfettamente in corrispondenza dell’asse pupillare.

A questo punto si invita il paziente a continuare a leggere il tabellone, valutando l’eventuale miglioramento o peggioramento. Può infatti verificarsi che:

– il visus migliori di almeno un decimo; in tal caso va ricercata un’inesattezza nella correzione oftalmica, valevole di nuovo controllo mediante test oggettivi;

– il visus non migliori nonostante un miglioramento del contrasto; in questo caso la correzione stimata rappresenta la migliore correzione possibile per il paziente;

– il visus resti uguale o peggiori; in tal caso la causa va ricercata in problemi di natura organica, non rifrattiva, dunque opacità del cristallino, un’irregolarità dei mezzi diottrici, un’ambliopia.

4 - Fase della refrazione 45

4.4 Il visus per vicino

Una volta stabilita la migliore correzione dell’ametropia nella visione a distanza, è opportuno passare all’identificazione di eventuali problematiche nel visus per vicino. I pazienti che primariamente necessitano di una correzione per vicino sono i soggetti che si avviano verso la presbiopia, dunque pazienti che, già in fase anamnestica, lamenteranno il disturbo che, in talune condizioni costituisce il motivo cardine della visita.

È però opportuno sottolineare che la correzione per vicino va sempre a giustapporsi ad una condizione di emmetropia, risultando pertanto imprescindibile dalla valutazione ed eventuale correzione del visus per lontano. Esistono diverse metodologie che possono portare all’identificazione della corretta lente per vicino, tutte fondate sul razionale che la lente più confortevole è da ricercare in quell’intervallo compreso tra la lente meno positiva, in grado cioè di far vedere nitido il testo in lettura, e la lente più positiva, quella al limite della nitidezza di lettura. All’interno di questo intervallo di visione nitida si ricercherà il valore medio prescrivibile. Tale intervallo va ricercato con il test di accomodazione relativa positiva e negativa.

4.4.1 Accomodazione relativa positiva

È il test il cui scopo è quello di identificare la lente addizionale positiva con cui il paziente incomincia a percepire come nitide le righe della mira per vicino. La pratica è abbastanza semplice. Dalla lente di partenza per la correzione per lontano, si somministra al paziente il testo di lettura e lo si invita, senza sforzarsi, ad osservarne i contenuti. A questo punto si anteporranno a coppia lenti positive a potere diottrico crescente, fino a quando il paziente incomincerà a riferire di vedere nitido. A tal punto il valore di correzione sferica raggiunto va annotato, ma non immediatamente prescritto.

4.4.2 Accomodazione relativa negativa

Costituisce l’immediato seguito del test per la ricerca dell’accomodazione relativa positiva ed ha lo scopo di identificare l’ultima lente capace di garantire una visione nitida del testo di lettura.

La procedura parte dunque dall’accomodazione relativa positiva, continuando a somministrare addizioni sferiche alla lente ottenuta. È necessario procedere molto lentamente, interrogando spesso il paziente sulla condizione visiva attuale e sulla nitidezza delle lettere in esame. Si procede all’incremento sferico fino al momento in cui il paziente incomincia a percepire un discreto annebbiamento.

4 - Fase della refrazione 46 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani

A questo punto si è trovato l’intervallo di lenti con cui il paziente riesce ad ottenere un’immagine nitida da vicino. La prescrizione finale sarà data dal valore medio ottenuto dalle due misurazioni, semplicemente sommando i due valori di accomodazione relativa e dividendo per due. Se ad esempio si evidenzia un’accomodazione relativa positiva di +2.00D ed una negativa di +4.00D, il valore della lente da addizionare alla correzione di base sarà +3.00D.

Nella pratica clinica però esiste un metodo ancor più semplice per identificare l’addizione per vicino da prescrivere al paziente. Si è stimato infatti che la necessità di un’addizione si manifesta intorno ai 45 anni ed aumenta progressivamente fino ai 65 anni. Sulla base di tale considerazione si è stimato che la prima correzione da apportare al giovane presbite sia +1.00D, con un incremento di +0.50D per ogni 5 anni, tenendo presente che l’addizione massima non dovrebbe superare + 3.00D.

4 - Fase della refrazione 47

5 Refrazione monoculare

5.1 Compensazione della miopia

La miopia viene sempre compensata con la minima lente negativa che da la massima acuità visiva. In funzione dell’acuità visiva presente, almeno che non scenda al di sotto di 1/10, si può circa calcolare il difetto refrattivo considerando che ogni 0,25 dt di miopia il nostro occhio perde circa 1/10 di visione; quindi: AV 2/10 ~ 2,00 dt - AV 5/10 ~ 1,25 dt - AV 8/10 ~ 0,50 dt di miopia.

Esempio:

Si sceglie la lente di -3,00 dt, perché è la minima correzione negativa che fornisce il massimo visus. Per una corretta rifrazione è consigliabile aumentare il potere della lente negativa con intervalli di 0,25 in 0,25 dt. In caso, però, di miopie medio-elevate il lavoro risulta essere troppo prolisso, quindi è consigliabile iniziare inserendo lenti di potere più elevato e passare successivamente a quelle di 0,25 dt, nel seguente modo:

AV < 2/10: inserire lenti con variazione di -1,00 in -1,00 dt

– 2/10 ≤ AV ≤ 6/10: inserire lenti con variazione di -0,50 in-0,50 dt

– AV > 6/10: inserire lenti con variazione di -0,25 in -0,25 dt.

5.2 Compensazione dell’ipermetropia

L’ipermetropia viene sempre compensata con la maggiore lente positiva, in quanto l’occhio ipermetrope è meno potente di quello emmetrope, che da la massima acuità visiva (ipermetropia manifesta).

49
AV naturale < 1/10 Sf –2,50 dt 9/10 Sf –1,00 dt 3/10 Sf –2,75 dt 10/10 Sf –1,50 dt 5/10 Sf –3,00 dt 12/10 Sf –2,00 dt 7/10 Sf –3,25 dt 12/10 Sf –2,25 dt 8/10 Sf –3,50 dt 12/10

Esempio:

AV naturale 10/10

Sf. +0,50 d 10/10 Sf. +1,75 dt 10/10

Sf. +1,00 dt 10/10 Sf. +2,00 dt 10/10

Sf. +1,50 dt 10/10 Sf. +2,25 dt 9/10

Si sceglie la lente di +2,00 dt, perché è la massima correzione positiva che fornisce il miglior visus.

5.2.1 Metodiche di misura dell’ipermetropia

Sfuocamento

Lo sfuocamento è un metodo refrattivo monoculare. Si miopizza il soggetto esaminato ponendogli davanti una lente positiva, ad esempio un soggetto emmetropizzato con una lente di +1,00 dt possiamo miopizzarlo con una lente di +3,50 dt, comunque si metterà una lente positiva tale che l’acuità visiva scenda a 2-3/10. A questo punto iniziamo a diminuire la potenza della lente chiedendo ogni volta al soggetto esaminato di leggere l’ottotipo e inducendo così un rilassamento forzato del cristallino; ovviamente l’occhio non va mai lasciato senza lente, altrimenti rientra in gioco tutta l’accomodazione, quindi prima si inserisce la nuova lente, di gradazione inferiore, e poi si toglie quella precedente. Se esiste un ipermetropia latente troveremo un visus massimo con una lente di valore più alto di quella usata per gli occhiali. Nella maggior parte dei casi il valore trovato non può essere utilizzato per correggere l’ametropia, in quanto scaturito da una disaccomodazione forzata del cristallino.

Recessione

La recessione è una metodica rifrattiva binoculare. Si pone il soggetto ad 1m dall’ottotipo e gli mettiamo delle lenti positive che gli permettano di vedere le lettere corrispondenti ad una AV di 10/10. Si fa poi allontanare l’esaminato dall’ottotipo finché non vede più le lettere, quindi diminuiamo il potere della lente stessa a passi di 0,25 in 0,25dt fino a quando non rivede le lettere; si continua questo procedimento raggiungendo i 6 metri di distanza con il massimo visus.

Sfuocamento inverso

Lo sfuocamento inverso è un metodo refrattivo monoculare che viene utilizzato in quei soggetti che hanno un potere accomodativo limitato. Iniziamo aumentando il potere positivo della lente di 0,25 in 0,25dt fino a raggiungere il massimo visus.

Esempio:

AV naturale 5/10

5 - Refrazione monoculare 50 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani

Sf. +0,25 dt 6/10 Sf. +1,00 dt 9/10

Sf. +0,50 dt 7/10 Sf. +1,25 dt 10/10

Sf. +0,75 dt 8/10 Sf. +1,50 dt 9/10

Una volta ottenuto questo peggioriamo la visione aggiungendo +0,75 dt all’ultima lente che migliora il visus oppure aggiungendo +0,50 dt alla prima lente che peggiora il visus. A questo punto iniziamo a diminuire la potenza della lente chiedendo ogni volta all’esaminato di leggere l’ottotipo e inducendo così un rilassamento forzato del cristallino, fino a riportare l’AV a 10/10. Come in tutti i metodi di misura dell’ipermetropia tutte le volte che si cambia il potere della lente si dovrà prima inserire la nuova lente e poi togliere la lente più potente, in modo da non fare mai accomodare il soggetto.

5.3

Compensazione dell’astigmatismo con il quadrante per astigmatici Un metodo per l’evidenziazione e la compensazione dell’astigmatismo è il quadrante per astigmatici (Fig. 28), che viene utilizzato una volta determinato il valore sferico che permette di ottenere la miglior acuità visiva (best vision sphere, BVS). Generalmente questo test utilizza una raggiera nella quale ogni riga, o gruppo di righe, identifica e consente di valutare la capacità visiva del soggetto in quella direzione. La raggiera può essere composta da 12 strisce o, più frequentemente, da una serie di 3 strisce nere ad una distanza di circa 2 primi di arco e disposte ad intervalli di 30° l’una dall’altra. Molte volte i raggi sono indicati con numeri da 1 a 12, come il quadrante di un orologio, in modo da facilitare l’esame o meglio la risposta dell’esaminato. I numeri presenti in corrispondenza di ogni raggio indicano il suo orientamento in gradi secondo il sistema TABO, quindi con lo 0 nasale per l’occhio destro e con lo 0 temporale per quanto riguarda l’occhio sinistro, con l’avvertenza che, trovandosi il quadrante nello spazio di fronte al soggetto, la posizione dei punti 0° e 180° deve essere speculare rispetto all’occhio o a quella della montatura di prova (Fig. 29).

Il test viene svolto in visione monoculare, con la BVS inserita; viene invitato il soggetto a riferire quale sia, se c’è, la riga vista meglio e le possibili risposte possono essere tre:

1. tutte le linee sono viste nitide allo stesso modo,

2. tutte le linee sono viste sfuocate allo stesso modo,

3. una linea viene vista più nitida rispetto alle altre. Sia nel primo che nel secondo caso si possono fare le seguenti ipotesi:

– occhio non astigmatico,

– occhio astigmatico con il disco di minima confusione sulla retina.

5 - Refrazione monoculare 51

Per distinguere questi due nuovi casi basta aggiungere lenti sferiche positive (mediamente +0,50 - +0,75 dt); se dopo tale aggiunta il soggetto riferisce sempre di vedere le linee tutte ugualmente nitide o sfuocate siamo di fronte ad una ametropia sferica. Se, invece, con l’aggiunta, il soggetto giunge alla preferenza di una linea allora siamo di fronte ad un astigmatismo non corretto; in questo ultimo caso infatti la lente positiva aggiunta porta verso un astigmatismo miopico semplice. Nel terzo caso invece, in cui il soggetto riferisce fin da subito di vedere una linea meglio delle altre, anche senza aggiunta positiva, siamo sicuramente di fronte ad un astigmatismo, in cui orientata come linea vista meglio, troveremo la focale più vicina alla retina, mentre alla linea vista più sfuocata corrisponderà la focale più lontana dalla retina stessa. Alcune volte può succedere che i soggetti riferiscano di vedere meglio non una sola linea, ma due; ciò significa che uno dei due meridiani principali è intermedio tra le due linee.

5.3.1 Procedura d’esame con il quadrante per astigmatici

La corretta procedura per l’utilizzo del quadrante per astigmatici è la seguente:

1. misura dell’AV naturale (senza correzione oftalmica o lenti a contatto);

2. ricerca della BVS, ovvero la lente sferica negativa più piccola o la lente sferica positiva più grande che dà il massimo dell’AV;

3. presentare il quadrante per astigmatici e mettere delle lenti positive tali da far portare una focale sulla retina ed una nel vitreo (condizione di ast. miopico semplice);

4. inserire il cilindro negativo con asse in direzione corrispondente alla linea vista peggio dal soggetto. Continuare ad aumentare il valore del cilindro fino a quando il soggetto non dice di vedere le linee del quadrante tutte uguali (Fig. 30).

5.3.2 Esempio pratico

Un soggetto con una BVS di -2,50 dt sull’OD riferisce, di fronte ad un quadrante per astigmatismo, la visione di figura 31.

Riprendendo ciò che abbiamo detto in precedenza, ci troviamo nella terza condizione, quindi a questo punto, lavorando con un occhiale di prova o con il forottero, iniziamo ad inserire gradualmente lenti cilindriche negative con asse in corrispondenza della linea vista più annebbiata, fino a raggiungere l’uguaglianza di tutte le linee. Se, per esempio, con la lente sferica di –2,50 dt e una lente cilindrica di –0,75 dt il soggetto riferisce di vedere tutte le linee allo stesso modo, la sua rifrazione sarà:

sf –2,50 cil –0,75 ax 150°

5 - Refrazione monoculare 52 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida -
Bifani
Mario

9.Refrazione monoculare 150

La raggiera può essere composta da 12 strisce o, più frequentemente, da una serie di 3 strisce nere ad una distanza di circa 2 primi di arco e disposte ad intervalli di 30° l’una dall’altra. Molte volte i raggi sono indicati con numeri da 1 a 12, come il quadrante di un orologio, in modo da facilitare l’esame o meglio la risposta dell’esaminato. I numeri presenti in corrispondenza di ogni raggio indicano il suo orientamento in gradi secondo il sistema TABO, quindi con lo 0 nasale per l’occhio destroe con lo 0 temporale per quanto riguarda l’occhio sinistro, con l’avvertenza che, trovandosi il quadrante nello spazio di fronte al soggetto, la posizione dei punti 0° e 180° deve essere speculare rispetto all’occhio o a quella della montatura di prova(Fig.2).

Sia nel primo che nel secondo caso si possono fare le seguenti ipotesi: occhio non astigmatico, occhio astigmatico con il disco di minima confusione sulla retina. Per distinguere questi due nuovi casi basta aggiungere lenti sferiche positive (mediamente +0,50-+0,75 dt); se dopo tale aggiunta il soggetto riferisce sempre di vedere le linee tutte ugualmente nitide osfuocatesiamo di fronte ad una ametropia sferica. Se, invece, con l’aggiunta,il soggetto giunge alla preferenza di una linea allora siamo di fronte ad un astigmatismo non corretto; in questo ultimo caso infatti la lente positiva aggiunta porta verso un astigmatismo miopico semplice.Nel terzo casoinvece, in cui il soggetto riferisce fin da subito di vedere una linea meglio delle altre, anche senza aggiunta positiva, siamo sicuramente di fronte ad un astigmatismo, in cuiorientata come linea vista meglio, troveremo la focale più vicina alla retina, mentre alla linea vista più sfuocata corrisponderà la focale più lontana dalla retina stessa.Alcune volte può succedere che i soggetti riferiscano di vedere meglio non una sola linea, ma due; ciò significa cheuno dei due meridiani principali è intermedio tra le due linee.

9.3.1 Procedura d’esame con il quadrante per astigmatici

La corretta procedura per l’utilizzo del quadrante per astigmatici è la seguente:

1.misura dell’AV naturale (senza correzione oftalmica o lenti a contatto);

La raggiera può essere composta da 12 strisce o, più frequentemente, da una serie di 3 strisce nere ad una distanza di circa 2 primi di arco e disposte ad intervalli di 30° l’una dall’altra. Molte volte i raggi sono indicati con numeri da 1 quadrante di un orologio, in modo da facilitare l’esame o meglio la dell’esaminato. I numeri presenti in corrispondenza di ogni raggio indi orientamento in gradi secondo il sistema TABO, quindi con lo 0 nasale per l’occhi destroe con lo 0 temporale per quanto riguarda l’occhio sinistro, c che, trovandosi il quadrante nello spazio di fronte al soggetto, la posizione dei punt 0° e 180° deve essere speculare rispetto all’occhio o a quella della prova(Fig.2).

2.ricercadella BVS, ovvero la lente sferica negativa più piccola o la lente sferica positiva più grande che dà il massimo dell’AV;

3.presentare il quadrante per astigmatici e mettere delle lenti positive tali da far portare una focale sulla retina ed una nel vitreo (condizione di ast. miopico semplice);

Fig.2:Quadrante per astigmatici con relativa specularità o proiezione nello spazio dei vari meridiani dei due occhi

con relativa specularità o proiezione nello spazio dei vari meridiani dei due occhi

4.inserire il cilindro negativo con asse in direzione corrispondente allalinea vista peggio dal soggetto. Continuare ad aumentare il valore del cilindro fino a quando il soggetto non dicedi vedere le linee del quadrante tutte uguali (Fig.3).

Il test viene svolto in visione monoculare, con la BVS inserita; viene invitato il soggetto a riferire quale sia, se c’è, la riga vista meglioe le possibili risposte possono essere tre:

1.tutte le lineesono viste nitide allo stesso modo,

2.tutte le linee sono viste sfuocate allo stesso modo,

3.una linea viene vista più nitida rispetto alle altre.

Il test viene svolto in visione monoculare, con la BVS inserita; vie soggetto a riferire quale sia, se c’è, la riga vista megl possono essere tre:

1.tutte le lineesono viste nitide allo stesso modo,

2.tutte le linee sono viste sfuocate allo stesso modo,

3.una linea viene vista più nitida rispetto alle altre.

5 - Refrazione monoculare 53 9.Refrazione monoculare 149
Fig.1: Alcune tipologie di quadrante per astigmatici Fig.2:Quadrante per astigmatici con relativa specularità dei due occhi Fig.1: Alcune tipologie di quadrante per astigmatici Figura 28 Alcune tipologie di quadrante per astigmatici Figura 29 Quadrante per astigmatici Fig.3: Varie visioni al quadrante per astigmatismo Figura 30 Varie visioni al quadrante per astigmatismo

Esempio pratico

soggetto con una BVS di -2,50 dt sull’OD riferisce, di fronte ad un quadrante astigmatismo, la visione di figura4.

Visione schematica di un soggetto davanti al quadrante per astigmatismo. Il soggetto riferisce maniera nitida la linea a 60°, cioè la numero 11

Riprendendo ciò che abbiamo detto in precedenza, siamo nel terzo caso, quindi a punto, lavorando con un occhiale di prova o con il forottero, iniziamo ad gradualmente lenti cilindriche negative con asse in corrispondenza della vista più annebbiata, fino a raggiungere l’uguaglianza di tutte le linee. Se, per esempio,con la lente sferica di –2,50 dt e una lente cilindrica di –0,75 dtil soggetto di vedere tutte le linee allo stesso modo, la sua refrazionesarà: cil –0,75 ax 150°.

5.4 Compensazione dell’astigmatismo con il cilindro crociato di Jackson

9.4Compensazione dell’astigmatismo con il cilindro crociato di Jackson

Il cilindro crociato (c.c.) è una lente particolare che viene usata durante l’esame refrattivo soggettivo per determinare l’entità e la direzione dell’astigmatismo presente in un occhio. Il cilindro crociato è composto da una lente bicilindrica con potenze, in valore assoluto, uguali, ma di segno opposto, ed un’impugnatura che permette facilmente di ruotare la lente e quindi di invertire la posizione dei due cilindri davanti all’occhio (Fig. 32).

cilindro crociato (c.c.) è una lente particolare che viene usata durante l’esame refrattivosoggettivo per determinare l’entità e la direzione dell’astigmatismo in un occhio. Il cilindro crociato è composto da una lente bicilindrica con in valore assoluto, uguali, ma di segno opposto, ed una impugnatura che permettefacilmente di ruotare la lente e quindi di invertire la posizione dei due davanti all’occhio(Fig.5).

Molto importanti sono anche i riferimenti presenti sulla lente, solitamente di colore rosso in corrispondenza dell’asse del cilindro negativo e di colore bianco o nero o verde in direzione dell’asse del cilindro positivo. Il cilindro crociato è molto importante durante la rifrazione, poiché permette di determinare l’entità dell’astigmatismo e di valutare con elevata precisione l’asse. I cilindri crociati più utilizzati sono quelli ± 0,25 dt e ± 0,50 dt, ma in commercio si possono trovare le seguenti versioni:

± 0,12 con sferocilindrica sf + 0,12 cil - 0,25 e trasposta sf - 0,12 cil + 0,25 ± 0,25 con sferocilindrica sf + 0,25 cil - 0,50 e trasposta sf - 0,25 cil + 0,50

± 0,50 con sferocilindrica sf + 0,50 cil - 1,00 e trasposta sf - 0,50 cil + 1,00

± 0,75 con sferocilindrica sf + 0,75 cil - 1,50 e trasposta sf - 0,75 cil + 1,50 ± 1,00 con sferocilindrica sf + 1.00 cil - 2,00 e trasposta sf - 1.00 cil + 2,00

5.4.1 Utilizzo del cilindro crociato per l’evidenziazione del potere e dell’asse del cilindro correttore

Per la scelta del cilindro crociato da utilizzare bisogna tenere conto dell’acuità visiva (AV) che l’esaminato raggiunge con la BVS. Se l’AV è ~5-6/10 si può utilizzare il cilindro crociato di ± 0,25 dt, mentre se l’AV è minore si inizia con quello di ± 0,50 dt

5 - Refrazione monoculare 54 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
Cilindro crociato di Jackson Figura 31 Visione schematica di un soggetto davanti al quadrante per astigmatismo. Il soggetto riferisce di vedere in maniera nitida la linea a 60°, cioè la numero 11

Fig.4: Visione schematica di un soggetto davanti al quadrante per astigmatismo. Il soggetto riferisce vedere in maniera nitida la linea a 60°, cioè la numero 11

9.Refrazione monoculare 152

e successivamente si passa a quello immediatamente inferiore. La calibratura finale eventualmente può anche essere fatta con il c.c. di ± 0,12 dt.

Riprendendo ciò che abbiamo detto in precedenza, siamo nel terzo caso, quindi a questo punto, lavorando con un occhiale di prova o con il forottero, iniziamo ad inserire gradualmente lenti cilindriche negative con asse in corrispondenza della linea vista più annebbiata, fino a raggiungere l’uguaglianza di tutte le linee. Se, per esempio,con la lente sferica di –2,50 dt e una lente cilindrica di –0,75 dtil soggetto riferisce di vedere tutte le linee allo stesso modo, la sua refrazionesarà: –2,50 cil –0,75 ax 150°.

Molto importanti sono anche i riferimenti presenti sulla lente, solitamente di colore rosso in corrispondenza dell’asse del cilindro negativo e di colore bianco o neroo verdein direzione dell’asse del cilindro positivo. Il cilindro crociato è molto importante durante la refrazione, poiché permette di determinare l’entità dell’astigmatismo e di valutare con elevata precisione l’asse.I cilindri crociati più utilizzati sono quelli ± 0,25 dt e ± 0,50 dt, ma in commercio si possono trovare le seguenti versioni:

Le mire ottotipiche da utilizzare sono le seguenti (Fig. 33):

– lettere dell’ottotipo: si invita il soggetto a guardare una letterina (preferibilmente rotondeggiante, come la O o la C o la D) corrispondente ad una acuità visiva 2-3/10 inferiore a quella raggiunta con la BVS,

– anelli di Landolt: si presenta un anello di Landolt, sempre più grande rispetto a quelli della massima AV raggiunta,

9.4Compensazione dell’astigmatismo con il cilindro crociato di Jackson

± 0,12 con sferocilindrica sf + 0,12 cil -0,25 e trasposta sf -0,12 cil + 0,25

± 0,25con sferocilindrica sf + 0,25 cil -0,50 e trasposta sf -0,25 cil + 0,50

± 0,50 con sferocilindrica sf + 0,50 cil -1,00 e trasposta sf -0,50 cil + 1,00

± 0,75 con sferocilindrica sf + 0,75 cil -1,50 e trasposta sf -0,75 cil + 1,50

– mira a punti: questa mira è stata progettata appositamente per l’utilizzo del il cilindro crociato; è composta da una serie di punti neri che sottendono un angolo di 2’ disposti a griglia.

± 1,00 con sferocilindrica sf + 1.00 cil -2,00 e trasposta sf -1.00 cil + 2,00

Per utilizzare correttamente il cilindro crociato è necessario che il disco di minima confusione si trovi sulla retina, quindi che le due focali si trovino alla stessa distanza

9.4.1 Utilizzo del cilindro crociato per l’evidenziazione del potere e dell’asse del cilindro correttore

cilindro crociato (c.c.) è una lente particolare che viene usata durante l’esame refrattivosoggettivo per determinare l’entità e la direzione dell’astigmatismo presente in un occhio. Il cilindro crociato è composto da una lente bicilindrica con potenze, in valore assoluto, uguali, ma di segno opposto, ed una impugnatura che permettefacilmente di ruotare la lente e quindi di invertire la posizione dei due cilindri davanti all’occhio(Fig.5).

Per la scelta del cilindro crociato da utilizzare bisogna tenere conto dell’acuità visiva (AV) che l’esaminato raggiunge con la BVS. Se l’AV è 5-6/10 si può utilizzare il cilindro crociato di ± 0,25 dt, mentre se l’AV è minore si inizia con quello di ± 0,50 dt esuccessivamente si passa a quello immediatamente inferiore. La rifinitura finale eventualmente puòanche essere fatta con il c.c. di ± 0,12 dt. Le mire ottotipiche da utilizzare sono le seguenti (Fig.6): letteredell’ottotipo: si invita il soggetto a guardare una letterina (preferibilmente rotondeggiante, come la O o laCo laD) corrispondente ad una acuità visiva 2-3/10 inferiore a quella raggiunta con la BVS, anelli di Landolt: si presenta un anello di Landolt, sempre più grande rispetto a quelli della massima AV raggiunta, mira a punti: questa mira è stata progettataappositamenteper l’utilizzo delil cilindro crociato; ècomposta da una serie di punti neri che sottendono un angolo di 2’ disposti a griglia.

5 - Refrazione monoculare 55
Fig.5: Cilindro crociato di Jackson Figura 32 Cilindro crociato di Jackson Fig.6: Vari tipologiedi mire utilizzate con il cilindro crociato Figura 33 Varie tipologie di mire utilizzate con il cilindro crociato

diottrica da essa. Una volta stabilita la lente sferica equivalente, BVS, si procede nel seguente modo:

– si pone il cilindro crociato davanti all’occhio del soggetto con assi orientati a 90° e 180° (Fig. 34a), poi verrà ruotato attorno al suo manico di 180°, in modo da invertire il segno del cilindro presente sui due meridiani. Proponendo le due posizioni del cilindro crociato il soggetto dovrà riferire con quale delle due vede la mira meno deformata, cioè meglio. La posizione preferita dovrà essere annotata tenendo in considerazione l’asse del cilindro negativo, indipendentemente dal tipo di lente sferica, poiché, lavorando con cilindri negativi, siamo in grado di tenere sotto controllo l’accomodazione.

– Si ripete la stessa azione precedente, posizionando, però gli assi del cilindro crociato con assi 45° e 135° (fig. 34b), anziché 90° e 180°, e di nuovo si fa scegliere una delle due posizioni.

Per utilizzare correttamente il cilindro crociato è necessario che il disco di minima confusione si trovi sulla retina,quindiche le due focali si trovino alla stessa distanza diottrica daessa. Una volta stabilita la lente sferica equivalente, BVS, si procedenel seguente modo:

si pone il cilindro crociato davanti all’occhio del soggettocon assi orientati a 90° e 180° (Fig. 7a), poiverrà ruotato attorno al suo manicodi 180°,in modo da invertireil segno del cilindro presentesui due meridiani.Proponendo le due posizioni del cilindro crociato il soggetto dovrà riferire con quale delle due vede la mira meno deformata, cioè meglio. La posizione preferita dovrà essere annotata tenendo in considerazione l’asse del cilindro negativo, indipendentemente dal tipo di lente sferica, poiché, lavorando con cilindri negativi, siamo in gradodi tenere sotto controllo l’accomodazione.

Se il soggetto, per esempio, al punto 1 ha preferito l’asse del cilindro negativo a 180° ed al punto 2 a 135° si potrà dedurre che l’asse del cilindro correttore sarà compreso tra 135° e 180° e si potrà inserire davanti alla BVS la sferocilindrica risultante dal cilindro crociato utilizzato con asse intermedio. Utilizzando il cilindro crociato di ±0,25, nell’esempio, si inserirà sf +0,25 cil -0,50 con asse intermedio alle due posizioni preferite, 155° - 160°. Ovviamente la sfera di +0,25dt si sommerà algebricamente alla BVS, oppure possiamo inserire semplicemente un cil – 0,25 ax …. e variare la sfera solo se il soggetto accetta un incremento del cilindro stesso (ogni variazione cilindrica di 0,50 dt variamo la sfera di 025 dt per mantenere inalterato l’equivalente sferico).

Si ripete la stessa azione precedente, posizionando, però gli assi del cilindro crociato con assi45° e 135° (fig. 7b),anziché 90° e 180°, e di nuovo si fa scegliere una delle due posizioni.

Fig.7:Il cil. crociato verrà prima posizionato (a) con ax 90° e 180° e verrà ruotato attorno al suo manico in modo che inverta il segno del cilindro presente nelle due direzioni, dopo si posizionerà (b) con ax 45° e 135°

Figura 34 Il cilindro crociato verrà prima posizionato (a) con ax 90° e 180° e verrà ruotato attorno al suo manico in modo che inverta il segno del cilindro presente nelle due direzioni, dopo si posizionerà (b) con ax 45° e 135°

Se il soggetto,per esempio, al punto 1 ha preferito l’asse del cilindro negativo a 180° ed al punto 2 a 135° si potrà dedurre che l’asse del cilindro correttore sarà compreso tra 135° e 180° e sipotrà inserire davanti alla BVSla sferocilindrica risultante dal cilindro crociato utilizzato con asse intermedio.Utilizzando il cilindro

crociato di ±0,25, nell’esempio, si inserirà sf +0,25 cil -0,50con asseintermedio

5 - Refrazione monoculare 56 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
9.Refrazione monoculare 153

Esempi per l’inserimento del primo cilindro sull’occhiale di prova o sul forottero:

– il soggetto preferisce la posizione dell’asse negativo prima a 90° (tra 90 e 180°) e a 135° (tra 45° e 135°) => inserisco: cil – 0,25 ax 110°

– il soggetto preferisce la posizione dell’asse negativo prima a 90° (tra 90 e 180°) e a 45° (tra 45° e 135°) => inserisco: cil – 0,25 ax 70°

– il soggetto preferisce la posizione dell’asse negativo prima a 180° (tra 90 e 180°) e a 135° (tra 45° e 135°) => inserisco: cil – 0,25 ax 160°

– il soggetto preferisce la posizione dell’asse negativo prima a 180° (tra 90 e 180°) e a 45° (tra 45° e 135°) => inserisco: cil – 0,25 ax 20°.

Una volta inserito il primo cilindro posizioniamo il cilindro crociato con l’impugnatura parallelamente o perpendicolarmente all’asse del cilindro correttore inserito, in modo che gli assi del cilindro crociato si trovino a 45° di distanza dall’asse del cilindro correttore stesso (Fig. 35). Si eseguirà la rotazione del cilindro crociato attorno al manico per ottenere due immagini tra le quali il soggetto deve scegliere la più nitida. In conseguenza della scelta, quella preferita corrisponderà alla posizione dove il cilindro negativo fornisce, sommandosi al cilindro correttore, un cilindro risultante con direzione più vicina a quella dell’astigmatismo refrattivo presente.

Quindi:

1. si ruoterà il cilindro correttore di circa 10° in direzione dell’asse del cilindro negativo del cilindro crociato (riferimento rosso o segno -) nella posizione preferita dal soggetto. Se avessimo utilizzato un cilindro correttore positivo la rotazione sarebbe stata fatta in direzione dei riferimenti bianchi o neri o del segno +,

2. si ripeterà la stessa operazione spostando il manico del cilindro crociato in corrispondenza del nuovo asse del cilindro correttore, fino a quando il soggetto non apprezzerà differenze tra le due posizioni. Ovviamente avvicinandosi all’esatta direzione dell’asse gli spostamenti saranno via via inferiori.

Una volta definito l’asse del cilindro correttore si va a ricercare l’esatto potere nel seguente modo:

- Si posizionerà il cilindro crociato con i riferimenti di uno dei due assi paralleli all’asse del cilindro correttore (Fig. 36). In questo modo ruotando il cilindro crociato si otterrà in una posizione l’aumento del cilindro correttore, mentre nell’altra una riduzione.

- Se il soggetto sceglierà la posizione in cui i riferimenti rossi o il segno - sono paralleli al cilindro correttore negativo, se ne aumenterà la potenza ricordandosi di modificare anche la componente sferica; se la posizione preferita sarà invece quella

5 - Refrazione monoculare 57

distanza dall’asse del cilindro correttore stesso (Fig. 8). Si eseguirà la rotazione del cilindro crociato attorno al manico per ottenere due immagini tra le quali il soggetto deve scegliere la più nitida. In conseguenza della scelta, quella preferita corrisponderà alla posizione dove il cilindro negativo fornisce, sommandosi al cilindro correttore, un cilindro risultante con direzione più vicina a quella dell’astigmatismo refrattivopresente.

Fig.8: Il controllo dell’asse si effettua posizionando il manico del cilindro crociato parallelo o perpendicolare all’assedel cilindro correttore

Quindi:

Figura 35 Il controllo dell’asse si effettua posizionando il manico del cilindro crociato parallelo o perpendicolare all’asse del cilindro correttore

si ruoterà il cilindro correttore di circa 10° in direzione dell’asse del cilindro negativo del cilindro crociato (riferimento rosso o segno -) nella posizione preferita dal soggetto. Se avessimo utilizzato un cilindro correttore positivo la rotazione sarebbe stata fatta in direzione dei riferimenti bianchi o neri o del segno +, si ripeterà la stessa operazione spostando il manico del cilindro crociato in corrispondenza del nuovo asse del cilindro correttore, fino a quando il soggetto non apprezzerà differenze tra le due posizioni. Ovviamente avvicinandosi all’esatta direzione dell’asse gli spostamenti saranno via via inferiori.

-Se il soggetto sceglierà la posizione in cui i riferimenti rossi o il segno paralleli al cilindro correttore negativo, se neaumenterà la ricordandosi di modificare anche la componente sferica; se la posizione preferita saràinvece quella con i riferimenti bianchi o nerio verdi oi paralleli all’asse del cilindro correttore negativo, si ridurrà la sua potenza.

con i riferimenti bianchi o neri o verdi o i segni + paralleli all’asse del cilindro correttore negativo, si ridurrà la sua potenza.

-Saranno ripetute le stesse operazioni fino a quando il soggetto non percepirà differenze in seguito alla rotazione del cilindro crociato.

- Saranno ripetute le stesse operazioni fino a quando il soggetto non percepirà differenze in seguito alla rotazione del cilindro crociato. Dobbiamo constatare che, se è di più facile e veloce utilizzo il quadrante per astigmatici, è sicuramente più preciso il metodo del cilindro crociato; questo infatti permette di definire con esattezza potenza ed asse del cilindro.

Dobbiamo constatare che, se è di più facile e veloce utilizzo il quadrante astigmatici, è sicuramente più preciso il metodo del cilindro crociato; questo permette di definire con esattezza potenza ed asse del cilindro.

volta definito l’asse del cilindro correttore si va a ricercare l’esatta potenza nel seguentemodo:

-Si posizionerà il cilindro crociato con i riferimenti di uno dei due assiparalleli all’asse del cilindro correttore (Fig. 9). In questo modo ruotando il cilindro crociato si otterrà in una posizione l’aumento del cilindro correttore, mentre nell’altra una riduzione.

5 - Refrazione monoculare 58 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
9.Refrazione monoculare
Figura 36 Valutazione del potere del cilindro correttore Fig.9: Valutazione del potere del cilindro correttore

6 Fase del bilanciamento della correzione

Giunti a questo punto, partendo dall’anamnesi, passando per test oggettivi, fino ad arrivare alla valutazione soggettiva del paziente, siamo arrivati ad ottenere quella che si potrebbe considerare la miglior correzione ottenibile. Spesso però è ancora possibile migliorare la qualità visiva, la tollerabilità e la sua stessa soddisfazione. Per tale motivo in questa sezione verranno illustrati quei test fondamentali per ottenere il corretto bilanciamento della correzione ottica da prescrivere al paziente.

6.1 Test bicromatico

Il test bicromatico è un test di verifica e bilanciamento della correzione prevista per il paziente con lo scopo di valutare l’effettiva posizione del fuoco d’immagine rispetto al piano retinico.

È un test che può presentare differenti impieghi, infatti può essere attuato in prima battuta, per orientarsi verso la condizione rifrattiva del soggetto, in assenza di un test oggettivo, nel corso del test soggettivo e, nel caso specifico, al termine della visita quale verifica dell’adeguatezza della prescrizione finale. Tale circostanza appare quella razionalmente più utile, in quanto il test dovrebbe prevedere la correzione già della componente astigmatica.

L’ottotipo necessario per tale test è costituito da lettere, o mire di altra natura, nere collocate su sfondi rosso e verde giustapposti (Fig. 37).

Il test ha lo scopo di valutare l’adeguatezza della correzione in funzione della tollerabilità del paziente. Infatti il razionale è correlato alla differente percezione delle mire sui diversi sfondi, ovvero le mire su sfondo rosso vengono viste meglio nel paziente con un residuo miopico, mentre quelle su sfondo verde vedono una percezione migliore in pazienti con residuo ipermetropico. La differente percezione dipende dalla differente lunghezza d’onda delle due varianti cromatiche, maggiore per il rosso (circa 700 nm) e minore per il verde (circa 500 nm). Tale differenza di circa 200 nm fa sì che

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per orientarsi soggetto, in assenza soggettivo e, quale verifica Tale circostanza quanto il test della componente costituito da lettere, sfondi rosso e l’adeguatezza della del paziente. differente percezione mire su sfondo con un residuo vedono una

invita ad identificare le mire che, secondo lui, appaiono più nitide. È importante sottolineare il concetto della nitidezza, non della chiarezza, in quanto tale termine, seppur simile, può portare il paziente ad identificare le mire che appaiono più luminose.

le due varianti cromatiche vadano fisiologicamente a cadere in due punti differenti della retina che, nella giusta correzione, dovranno essere equidistanti dal piano retinico, così da garantire al paziente una visione altrettanto nitida di entrambe le mire. L’esame va eseguito al termine della valutazione soggettiva e con una illuminazione che deve quanto possibile essere ridotta alla percezione scotopica. Posto il paziente di fronte all’ottotipo bicromatico, lo si invita a prestare attenzione alla riga a cui era stato stabilito il limite della propria acuità visiva. A questo punto lo si invita ad identificare le mire che, secondo lui, appaiono più nitide. È importante sottolineare il concetto di lettere nitide distinguendolo dal concetto di lettere chiare, in quanto il paziente tende ad identificare le mire che appaiono più luminose. Dunque il soggetto potrà riferirci quadri differenti di visione, in particolare:

– non avverte alcun tipo di differenza, in tal caso la correzione appare perfettamente bilanciata;

– vede meglio le lettere su sfondo rosso, tale circostanza si verifica se la correzione presenta un residuo miopico, nel qual caso è opportuno addizionare una sf - 0.25D ed interrogare nuovamente il paziente sulla differente percezione;

– vede meglio le lettere su sfondo verde, in questo caso la correzione presenta un residuo ipermetropico, rilevandosi opportuno addizionare una sf + 0.25D ed interrogare nuovamente il paziente sulla differente percezione.

Tale test, per quanto utile possa essere, presenta però dei limiti correlati a variabili che ne possono inficiare l’attendibilità. Innanzitutto, siccome il razionale si basa sul principio dell’aberrazione cromatica delle ottiche oculari, che fisiologicamente si riduce nel paziente anziano, l’attendibilità della percezione di tali pazienti può essere falsata. Inoltre può inserirsi nella soggettività dell’esame anche una variabile psicologica, magari correlata alla preferenza di un colore rispetto all’altro. Infine, il test è difficilmente applicabile a pazienti con discromatopsia, che in ogni caso potrebbero avvertire una differente percezione delle due mire.

6 - Fase del bilanciamento della correzione 60 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
27
Fig. 23 Ottotipo Figura 37 Ottotipo

Prescrizione di Lenti Oftalmiche differenti di differenza, in tal caso perfettamente bilanciata; sfondo rosso, tale correzione presenta è opportuno interrogare differente percezione; sfondo verde, in presenta un residuo opportuno addizionare nuovamente il percezione. presenta però possono inficiare razionale si basa sul ottiche oculari, paziente anziano, pazienti può essere soggettività dell’esame correlata alla Infine, il test discromatopsia, una differente supporto per compensazione ottica essere considerato bilanciamento, mai test oggettivi l’oftalmometria, accurati.

rappresentato da una lente superficie ed il disposti con asse

6.2 Test dei cilindri crociati

ortogonale l’uno rispetto all’altro e l’identificazione del negativo è resa agevole da due linee rosse collocate lungo l’asse della lente, mentre per il positivo i colori sono variabili tra il verde, il bianco e il nero. Esistono diverse combinazioni di poteri per i cilindri crociati, quella però di gran lunga più utilizzata è la ± 0.25D che, anteposta all’occhio già emmetropizzato, provoca un astigmatismo misto di 0.50D. oltre a questa ci sono combinazioni ± 0.50D e ± 0.75D, ma trovano un impiego più marginale (Fig. 24).

somministra nuovamente il test, procedendo fino a che il paziente non noterà più alcuna differenza (Fig. 25). Fin qui abbiamo raffinato l’asse dell’astigmatismo, protendendo al raggiungimento del valore esatto. Per rafforzarne invece il potere bisogna posizionare il cilindro crociato con asse parallelo a quello della lente montata e, sempre invitando il paziente a fissare le mire ottotipiche, si ribalta il cilindro, invitando il soggetto a valutare l’immagine migliore.

I cilindri crociati costituiscono un valido supporto per la determinazione della corretta compensazione ottica dell’astigmatismo. Questo esame deve essere considerato esclusivamente come un test di bilanciamento, mai dunque da utilizzare preliminarmente, dove test oggettivi molto più validi, quali la schiascopia e l’oftalmometria, permettono di ottenere risultati più accurati.

Lo strumento da impiegare è rappresentato da una lente bicilindrica con cilindro positivo su una superficie ed il negativo sull’altra. I due cilindri sono disposti con asse ortogonale l’uno rispetto all’altro e l’identificazione del negativo è resa agevole da due linee rosse collocate lungo l’asse della lente, mentre per il positivo i colori sono variabili tra il verde, il bianco e il nero. Esistono diverse combinazioni di poteri per i cilindri crociati, quella però di gran lunga più utilizzata è la ± 0.25D che, anteposta all’occhio già emmetropizzato, provoca un astigmatismo misto di 0.50D. oltre a questa ci sono combinazioni ± 0.50D e ± 0.75D, ma trovano un impiego più marginale (Fig. 38).

4.3 PUNTO

Per procedere correttamente al test è necessario innanzitutto aver raggiunto nel paziente quella che, sulla base dei test oggettivi e della soggettività, rappresenta la miglior correzione. Dunque si invita il paziente a focalizzare sull’ottotipo la riga corrispondente ai 5/10 (o comunque alla metà del miglior visus raggiunto) e si antepone alla lente cilindrica valutata il cilindro crociato, portando gli assi a 45° rispetto all’asse del cilindro in sede. Successivamente si procede al ribaltamento del cilindro e si chiede al paziente in quale condizione presenti la visione migliore. Se non esprime alcuna preferenza, la correzione astigmatica è già ottimale, altrimenti si sposterà l’asse della lente astigmatica di 5-10° in direzione del cilindro. Si riposiziona il cilindro in maniera corretta e si

Se non c’è differenza la lente è già giusta, se invece la visione è migliore con il cilindro posto a linee rosse parallele, si aggiunge al cilindro di base -0.25D, qualora invece fosse preferito il crociato positivo, dovrà essere ridotto il potere negativo della base. Anche in questo caso si procede con il test fino al raggiungimento di uguaglianza tra le due immagini. Accorgimento importante del test è la stabilità. Siccome infatti i cilindri sono montati su un supporto con manico, è necessario garantire la stabilità e la corretta posizione del cilindro crociato rispetto alla lente di base, per evitare di inficiare il test. Per tale motivo può rivelarsi utile aiutarsi magari poggiando delicatamente anche solo un dito sul viso del paziente, per garantire maggiore stabilità. Esistono inoltre condizioni particolari, quali astigmatismi irregolari, in cui l’utilizzo dei cilindri crociati può dare risultati di scarsa utilità ed attendibilità.

Per procedere correttamente al test è necessario innanzitutto aver raggiunto nel paziente quella che, sulla base dei test oggettivi e della soggettività, rappresenta la miglior correzione. Dunque si invita il paziente a focalizzare sull’ottotipo la riga corrispondente ai 5/10 (o comunque alla metà del miglior visus raggiunto) e si antepone alla lente cilindrica valutata il cilindro crociato, portando gli assi a 45° rispetto all’asse del cilindro in sede. Successivamente si procede al ribaltamento del cilindro e si chiede al paziente in quale condizione presenti la visione migliore. Se non esprime alcuna preferenza, la correzione astigmatica è già ottimale, altrimenti si sposterà l’asse della lente astigmatica di 5-10° in direzione del cilindro. Si riposiziona il cilindro in maniera corretta e si somministra nuovamente il test, procedendo fino a che il paziente non noterà più alcuna differenza (Fig. 39). Fin qui abbiamo raffi-

Nei paragrafi test oggettivi i punti più prossimi mantenere la Tali valori però dunque trovano riferimento a È necessario per bilanciare dal punto prossimo test del push-up. la massima ampiezza emmetropizzato. costituito da vicino, montata valutare la distanza. Dalla lente che si avvicina progressivamente una velocità a riferire quando annebbiamento sforzarsi di stressare l’accomodazione, momento in Tale valore costituirà Tale risultato Esistono infatti una stima del in relazione punto prossimo dell’età del anni il valore può ulteriormente

immediatamente cui D=100/cm, cm=100/D. Dunque stimato in centimetri

6 - Fase del bilanciamento della correzione 61
Fig. 24 Cilindri incrociati Figura 38 Cilindri incrociati Figura 39 Test dei clindri crociati Manuale Pratico di Prescrizione Fig. 25 Test dei clindri incrociati

nato l’asse dell’astigmatismo, protendendo al raggiungimento del valore esatto. Per rafforzarne invece il potere bisogna posizionare il cilindro crociato con asse parallelo a quello della lente montata e, sempre invitando il paziente a fissare le mire ottotipiche, si ribalta il cilindro, invitando il soggetto a valutare l’immagine migliore. Se non c’è differenza la lente è già giusta, se invece la visione è migliore con il cilindro posto a linee rosse parallele, si aggiunge al cilindro di base -0.25D, qualora invece fosse preferito il crociato positivo, dovrà essere ridotto il potere negativo della base. Anche in questo caso si procede con il test fino al raggiungimento di uguaglianza tra le due immagini.

Accorgimento importante del test è la stabilità. Siccome infatti i cilindri sono montati su un supporto con manico, è necessario garantire la stabilità e la corretta posizione del cilindro crociato rispetto alla lente di base, per evitare di inficiare il test. Per tale motivo può rivelarsi utile aiutarsi magari poggiando delicatamente anche solo un dito sul viso del paziente, per garantire maggiore stabilità. Esistono inoltre condizioni particolari, quali astigmatismi irregolari, in cui l’utilizzo dei cilindri crociati può dare risultati di scarsa utilità ed attendibilità.

6.3 Punto prossimo di accomodazione

Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come, durante i test oggettivi della fase preliminare, sia possibile valutare i punti più prossimi agli occhi a cui il paziente riesce a mantenere la visione nitida e la convergenza.

Tali valori però esulano spesso dalla vita quotidiana, dunque trovano scarsa applicabilità pratica, facendo riferimento a punti molto distanti dalla visione ordinaria. È necessario dunque ottenere un ulteriore parametro per bilanciare utilmente la correzione, rappresentato dal punto prossimo di accomodazione o anche definito test del push-up. Lo scopo del test è quello di valutare la massima ampiezza accomodativa nel paziente già emmetropizzato. Anche in questo caso lo strumento è costituito da una mira, generalmente per la visione per vicino, montata su un metro flessibile, necessario per valutare la distanza.

Dalla lente che garantisce l’emmetropizzazione dunque, si avvicina progressivamente la mira verso gli occhi, ad una velocità di circa 1-2 cm/sec e si invita il paziente a riferire quando incomincia a percepire il primo annebbiamento dell’immagine. Invitare il paziente a sforzarsi di mantenere l’immagine nitida invitandolo a comunicare il momento in cui perde definitivamente il fuoco.

Tale valore costituirà il punto prossimo di accomodazione. Tale risultato va messo a confronto con il valore atteso. Esistono infatti delle formule che ci permettono di

6 - Fase del bilanciamento della correzione 62 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani

avere una stima del valore del punto prossimo di accomodazione in relazione all’età del paziente. Tale formula vede il punto prossimo di accomodazione uguale a 181/3 dell’età del paziente. Dunque se il paziente ha 45 anni il valore stimato sarà 1815=3D. Questo valore può ulteriormente essere convertito in centimetri (dato immediatamente spendibile) secondo la formula per cui D=100/cm, da cui per formula inversa si ricava cm=100/D. Dunque per il paziente in esame il valore stimato in centimetri sarà 100/3=33 cm circa.

6.4 Luci di WORTH

Per procedere alla corretta somministrazione del test, bisogna anteporre alla lente in uso i filtri anaglifici, posizionando di regola la lente rossa sull’occhio dominante e la lente verde sull’occhio adelfo (Fig. 40). A questo punto si somministrano le luci di Worth al paziente a fuoco lontano, dunque a circa 4 metri e si chiede quante luci egli veda, indipendentemente dal colore di queste. Successivamente si mostrano le stesse luci per vicino, a circa 30 cm, e si chiede nuovamente quante luci egli veda. Si ripete il test per almeno 10 volte, registrando ogni volta eventuali variazioni nel numero di mire luminose percepite. Il test è di grande utilità per valutare l’efficienza visiva fusionale, soprattutto in quei soggetti che, per attività professionali, passano continuamente dalla visione lontano a quella vicino, ad esempio autotrasportatori, insegnanti, studenti. Se durante il test il paziente dovesse riferire di vedere 5 luci, ciò indicherebbe una capacità fusionale non perfettamente performante, condizione che potrebbe anche inficiare la soddisfazione per la lente proposta. Di fronte ad un risultato negativo va però soppesata la veridicità della risposta. Infatti le luci di Worth sono quattro, due verdi orizzontali, una bianca e una rossa sulla verticale, ed il paziente viene preparato con i filtri anaglifici; per tale ragione esso percepirà le luci verdi con l’occhio dominante (che possiede il filtro rosso), la luce rossa con l’adelfo (che ha filtro verde) e la luce bianca con ambo gli occhi. È possibile che il paziente riferisca di percepire cinque luci, condizione che in realtà dipende dalla percezione di una colorazione sia verde che rossa nella luce bianca. Chiedere pertanto se le luci sono tutte separate o sono sovrapposte l’una all’atra. Nel caso in cui la risposta rimanga alterata anche dopo la ripetizione del test, sarà necessario confermare ulteriormente con il test al filtro rosso.

6.5 Test al filtro rosso È un test che ci permette di avere ulteriore conferma circa la stabilità fusionale della visione binoculare, sia per lontano che per vicino.

6 - Fase del bilanciamento della correzione 63

Manuale Pratico di Prescrizione di Lenti Oftalmiche

4.4 LUCI DI WORTH

Il test è finalizzato all’identificazione della fusione binoculare, valutando ossia la stabilità fusionale, dunque la qualità della visione binoculare nel passaggio repentino da vicino a lontano e viceversa.

Si pone uno spot luminoso alla distanza che si vuole indagare e si invita il paziente a fissarlo, chiedendogli fin da subito quante luci egli veda, così da escludere immediatamente una diplopia al naturale. Stabilita la condizione di partenza si antepone un filtro rosso all’occhio dominante e si chiede cosa egli veda (Fig. 40). Nella condizione ordinaria il paziente dovrebbe percepire una sola luce, di colore tendente al rosa oppure alternante tra il bianco e il rosso, quadro che identifica il test come superato. Nel caso in cui egli percepisca due luci separate, ciò indica l’assenza di fusione, condizione che sottende la presenza di diplopia. In base alla posizione delle luci che egli percepisce è possibile comprendere se trattasi di una eso o exoforia (Fig. 41).

Nel caso in cui il test risulti superato, si può ulteriormente indagare sul mantenimento della fusione nelle altre posizioni dello spazio, facendo ruotare la mira e valutando la variazione del colore della stessa ed il numero di mire percepite. È buona norma durante l’esecuzione del test inviare il fascio di luce verso il mento del paziente, così da non abbagliare la regione maculare.

6.6 Il bilanciamento percettivo

la veridicità della risposta. Infatti le luci di Worth sono quattro, due verdi orizzontali, una bianca e una rossa sulla verticale, ed il paziente viene preparato con i filtri anaglifici; per tale ragione esso percepirà le luci verdi con l’occhio dominante (che possiede il filtro rosso), la luce rossa con l’adelfo (che ha filtro verde) e la luce bianca con ambo gli occhi. È possibile che il paziente riferisca di percepire cinque luci, condizione che in realtà dipende dalla percezione di una colorazione sia verde che rossa nella luce bianca. Chiedere pertanto se le luci sono tutte separate o sono sovrapposte l’una all’atra. Nel caso in cui la risposta rimanga alterata anche dopo la ripetizione del test, sarà necessario confermare ulteriormente con il test al filtro rosso.

4.5 TEST AL FILTRO ROSSO

È un test che ci permette di avere ulteriore conferma circa la stabilità fusionale della visione binoculare, sia per lontano che per vicino.

Un test fondamentale, da effettuare appena prima della prescrizione delle lenti, è il test del bilanciamento percettivo, che mette a confronto il visus bioculare per bilanciare il visus ottenuto all’esame soggettivo monoculare.

Per procedere alla corretta somministrazione del test, bisogna anteporre alla lente in uso i filtri anaglifici, posizionando di regola la lente rossa sull’occhio dominante e la lente verde sull’occhio adelfo (Fig. 26). A questo punto si somministrano le luci di Worth al paziente a fuoco lontano, dunque a circa 4 metri e si chiede quante luci egli veda, indipendentemente dal colore di queste. Successivamente si mostrano le stesse luci per vicino, a circa 30 cm, e si chiede nuovamente quante luci egli veda. Si ripete il test per almeno 10 volte, registrando ogni volta eventuali variazioni nel numero di mire luminose percepite. Il test è di grande utilità per valutare l’efficienza visiva fusionale, soprattutto in quei soggetti che, per attività professionali, passano continuamente dalla visione lontano a quella vicino, ad esempio autotrasportatori, insegnanti, studenti. Se durante il test il paziente dovesse riferire di vedere 5 luci, ciò indicherebbe una capacità fusionale non perfettamente performante, condizione che potrebbe anche inficiare la soddisfazione per la lente proposta. Di fronte ad un risultato negativo va però soppesata

Si pone uno spot luminoso alla distanza che si vuole indagare e si invita il paziente a fissarlo, chiedendogli fin da subito quante luci egli veda, così da escludere immediatamente una diplopia al naturale. Stabilita la condizione di partenza si antepone un filtro rosso all’occhio dominante e si chiede cosa egli veda (Fig. 27). Nella condizione ordinaria il paziente dovrebbe percepire

Tale test di bilanciamento può essere effettuato in vari modi, di cui i principali sono il bilanciamento con dissociazione prismatica e con dissociazione polarizzata, il primo si avvale dell’anteposizione alla lente scelta di prismi dissociatori, il secondo di lenti polarizzate.

6 - Fase del bilanciamento della correzione 64 Refrazione e prescrizione lenti Luigi
Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
Figura 41 Percezione della posizione delle luci Figura 40 Test al flltro rosso
30
Fig. 26 Luci di Worth Fig. 27 Test al flltro rosso

Si pone il paziente, in illuminazione ambiente, a visionare la riga dell’ottotipo corrispondente alla metà della sua capacità percettiva, di regola 5/10, e si annebbiano entrambi gli occhi con una lente sf +1.00D, così da rendere le mire annebbiate ma ancora percepibili. A questo punto vengono posti sul portalenti due prismi di potere 3.00 DP a basi verticali contrapposte e si procede ad un progressivo disannebbiamento, riducendo il potere delle lenti di 0.25D per volta in entrambi gli occhi, chiedendo al paziente se percepisce ugualmente sfuocate le due immagini. Se un’immagine fosse

più chiara dell’altra si incrementa la sfera di +0.25D, protendendo ad eguagliare la percezione nei due occhi.

Al termine del test si valuterà se c’è o meno un’anisometropia tra i due occhi in bioculare, cercando di ricavarne la correzione migliore.

Nella medesima maniera si procede anche per il test di dissociazione polarizzata, con la differenza che qui vengono impiegate lenti polarizzate.

6.7 La tollerabilità della lente

Costituisce la fase finale del test refrattivo generale, in cui lo specialista della visione ha la possibilità, non solo di verificare l’effettiva correttezza dei dati desunti dai test oggettivi e dalla soggettività, ma anche di rapportare tali valori ad elementi correlati alla postura ed al movimento del paziente, valutandone la compensazione ottica.

La migliore pratica prevede che, una volta stabilita la correzione posta sull’occhiale di prova, si inviti il paziente ad alzarsi ed a raggiungere la posizione primaria. Mentre il paziente resta in piedi, lo si invita a ruotare la testa ed a guardarsi intorno, così da valutare l’integrazione tra sistema visivo ed equilibrio. Qualora il paziente avvertisse instabilità o altre sensazioni sgradevoli, conviene modificare il valore della lente da prescrivere. In caso di accettazione del test, si invita il paziente a camminare nella stanza, così da permettere lo scivolamento delle immagini sul piano retinico e rafforzare ulteriormente l’associazione visuo-vestibolare. Potrebbe succedere che il paziente avverta disagi di vario tipo, che impongono un aggiustamento della correzione prevista. Se ancora tutto procede positivamente, si invita il paziente a muovere il capo nelle varie direzioni durante la deambulazione. Se anche qui il paziente non avverte fastidi, si può considerare idonea la lente prescritta. Altra possibilità di valutazione è quella di valutare la percezione di oggetti posti oltre i 6 metri, in campo visivo libero dalle pareti dello studio. In questo modo andremo a saggiare anche la risposta della periferia retinica a questa nuova condizione visiva.

6 - Fase del bilanciamento della correzione 65

Anche in questo caso qualsiasi tipo di disagio possa lamentare il paziente impone la rivalutazione della lente prescritta.

È opportuno sottolineare che spesso anche modeste variazioni della base sferica nei due occhi possono migliorare sensibilmente la tollerabilità dell’occhiale prescritto.

6 - Fase del bilanciamento della correzione 66 Refrazione e prescrizione
lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani

7 Presbiopia

7.1 Variazioni del cristallino e dell’accomodazione con l’avvento della presbiopia

Variazioni del cristallino e dell’accomodazione con l’avvento della presbiopia

Il cristallino (Fig. 42), mezzo diottrico oculare responsabile dell’accomodazione, con l’invecchiamento riduce progressivamente la capacità di modificare la propria curvatura; ciò provoca una diminuzione del potere accomodativo e conseguentemente un allontanamento del punto prossimo dall’occhio.

cristallino (Fig.1), mezzo diottrico oculare responsabile dell’accomodazione, con l’invecchiamento riduce progressivamente la capacità di modificare la propria ciò provoca una diminuzione del potere accomodativo e conseguentemente un allontanamento del punto prossimo dall'occhio. riduzione dell’ampiezza accomodativa inizia nell’adolescenza e continua fino 60 anni, dopodiché il piccolo valore accomodativo residuo è prevalentemente dovuto alla profondità di campo dell’occhio, che non ad una reale accomodazione.

La riduzione dell’ampiezza accomodativa inizia nell’adolescenza e continua fino all’età di 60 anni, dopodiché il modesto valore accomodativo residuo è prevalentemente dovuto alla profondità di campo dell’occhio, che non ad una reale accomodazione.

Questo comportamento del sistema accomodativo è da ritenersi del tutto normale e comincia a creare problemi di affaticamento e sfuocamento visivo nei lavori a distanza ravvicinata mediamente nella quinta decade della vita.

comportamento del sistema accomodativo è da ritenersi del tutto normale e a creare problemi di affaticamento e sfuocamento visivo nei lavori a ravvicinata mediamente nella quinta decade della vita.

cristallino

67
11.Presbiopia
171
Capitolo 11–Presbiopia Mele, M. Piovella
presbiopia
Figura 42 Il cristallino

7.2 La presbiopia

La presbiopia colpisce le persone generalmente a partire dai quaranta/quarantacinque anni ed interessa la visione per vicino e poco dopo anche quella a distanze intermedie. Non può essere considerata un vero e proprio difetto della vista, ma un processo fisiologico legato all’età. Dopo i 40 anni infatti l’occhio normale (emmetrope) continua a vedere bene da lontano, ma perde progressivamente la possibilità di vedere a distanza ravvicinata (Fig. 43).

Ciò accade,poiché con il passare degli anni la capacità del cristallino di assumere la curvatura adatta affinché le immagini vadano a fuoco sulla retina guardando da vicino diminuisce e conseguentemente risulta più difficile mettere a fuoco gli oggetti vicini, infatti solitamente i primi problemi vengono avvertiti nella lettura.

La parola “presbiopia”, dal greco “occhio vecchio”, è un termine che è stato coniato da F.C. Donders nel 1864 e sta ad indicare la situazione in cui l'ampiezza accomodativa non è più sufficiente a permettere una visione nitida e confortevole alla distanza ravvicinata abituale. Dalmomento che la riduzione del potere accomodativo è fisiologica, non possiamo includere la presbiopia tra le ametropie.

La definizione di presbiopia sopra scritta non fa riferimento ad un limite preciso d’ampiezza accomodativa sotto alla quale si può veramente parlare di presbiopia.

Ciò accade, poiché con il passare degli anni la capacità del cristallino di assumere la curvatura adatta affinché le immagini vadano a fuoco sulla retina guardando da vicino diminuisce e conseguentemente risulta più difficile mettere a fuoco gli oggetti vicini, infatti solitamente i primi problemi vengono avvertiti nella lettura. La parola “presbiopia”, dal greco “occhio vecchio”, è un termine che è stato coniato da F.C. Donders nel 1864 e sta ad indicare la situazione in cui l’ampiezza accomodativa non è più sufficiente a permettere una visione nitida e confortevole alla distanza ravvicinata abituale. Dal momento che la riduzione del potere accomodativo è fisiologica, non possiamo includere la presbiopia tra le ametropie. La definizione di presbiopia sopra scritta non fa riferimento ad un limite preciso d’ampiezza accomodativa sotto alla quale si può veramente parlare di presbiopia. Ciò è dovuto al fatto che le problematiche non dipendono solo dal valore d’accomodazione disponibile, ma anche dalle esigenze visive della persona. Ad ogni modo si può adottare una definizione clinica di presbiopia, considerando presbiti tutti i soggetti che hanno un’ampiezza accomodativa inferiore alle 4,00 dt. La scelta di questo limite non è arbitraria, ma si basa sulla considerazione che le attività “da vicino” si svolgono di media ad una distanza di 40 cm (x), alla quale occorre un’accomodazione (Acc.) così calcolabile:

Ciò è dovuto al fatto che le problematiche non dipendono solo dal valore d’accomodazione disponibile, ma anche dalle esigenze visive della persona.Ad ogni modo si può adottare una definizione clinica di presbiopia, considerando presbiti tutti i soggetti che hanno un’ampiezza accomodativa inferiore alle 4,00 dt. La scelta di questo limite non è arbitraria, ma si basa sulla considerazione che le attività “da vicino” si svolgono di media ad una distanza di 40 cm (x), alla quale occorre un’accomodazione (Acc.) così calcolabile:

metri x Acc 50,2 4,0 1 1 .

Per avere una visione confortevole a tale distanza, il soggetto non potrà esercitare tutto il potere accomodativo di cui dispone, ma al massimo potrà utilizzare il “potere accomodativo confortevole” (P.A.conf), che può essere considerato pari ai

7 - Presbiopia 68 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
172
11.Presbiopia
Fig.2: Il soggetto presbite
dt
Affinché il potere accomodativo confortevole sia di 2,50 dt, l’ampiezza Figura 43 Il soggetto presbite

Ciò è dovuto al fatto che le problematiche non dipendono solo dal valore d’accomodazione disponibile, ma anche dalle esigenze visive della persona.Ad ogni modo si può adottare una definizione clinica di presbiopia, considerando presbiti tutti i soggetti che hanno un’ampiezza accomodativa inferiore alle 4,00 dt.

La scelta di questo limite non è arbitraria, ma si basa sulla considerazione che le attività “da vicino” si svolgono di media ad una distanza di 40 cm (x), alla quale occorre un’accomodazione (Acc.) così calcolabile:

metri x Acc 50,2

Per avere una visione confortevole a tale distanza, il soggetto non potrà esercitare tutto il potere accomodativo di cui dispone, ma al massimo potrà utilizzare il “potere accomodativo confortevole” (P.A.conf), che può essere considerato pari ai 2/3 del potere accomodativo totale, quindi:

Per avere una visione confortevole a tale distanza, il soggetto non potrà esercitare tutto il potere accomodativo di cui dispone, ma al massimo potrà utilizzare il “potere accomodativo confortevole” (P.A.conf), che può essere considerato pari ai 2/3 del potere accomodativo totale, quindi:

3 2 .) .(. A P conf A P

Affinché il potere accomodativo confortevole sia di 2,50 dt, l’ampiezza accomodativa (P.A.) dovrà essere: Affinché il potere accomodativo confortevole sia di 2,50 dt, l’ampiezza accomodativa (P.A.) dovrà essere:

11.Presbiopia

In definitiva, il soggetto non presenterà problemi nella visione da vicino fino a quando la sua ampiezza accomodativa non scenderà sotto le 4,00 dt.

In definitiva, il soggetto non presenterà problemi nella visione da vicino fino a quandola sua ampiezza accomodativa non scenderà sotto le 4,00dt.

Questo solitamente avviene tra 42 e 48 anni ed è in questa la fascia d’età che le persone cominciano a lamentare disturbi nella visione a distanza ravvicinata. Per superare queste difficoltà i soggetti presbiti necessitano di una addizione per vicino, ossia di un’aggiunta di potere positivo, da sommare all’eventuale correzione per lontano, che renda la visione da vicino nitida e confortevole.

Questo solitamente avviene tra 42 e 48 anni ed è in questa la fascia d’età che le persone cominciano a lamentare disturbi nella visione a distanza ravvicinata. Per superare queste difficoltà i soggetti presbiti necessitano di una addizione per vicino, ossia di un’aggiunta di potere positivo, da sommare all’eventuale correzione per lontano, che renda la visione da vicino nitida e confortevole.

11.3 Classificazione della presbiopia

I soggetti presbiti possono presentare delle caratteristiche notevolmente diverse tra loro, quindi possiamo classificare la presbiopia in:

7.3 Classificazione della presbiopia

-Presbiopia incipiente; che rappresenta lo stadio iniziale della presbiopia, in cui compaiono i primi sintomi astenopici o di difficoltà visiva ed il soggetto riesce ad avere una visione nitida ma non confortevole, in quanto deve utilizzare una quantità d’accomodazione maggiore del proprio potere accomodativo confortevole.

I soggetti presbiti possono presentare delle caratteristiche notevolmente diverse tra loro, quindi possiamo classificare la presbiopia in:

– Presbiopia incipiente; che rappresenta lo stadio iniziale della presbiopia, in cui compaiono i primi sintomi astenopici o di difficoltà visiva ed il soggetto riesce ad avere una visione nitida ma non confortevole, in quanto deve utilizzare una quantità d’accomodazione maggiore del proprio potere accomodativo confortevole.

-Presbiopia manifesta; è quellafase nella quale il soggetto dispone ancora di una certa quantità d’accomodazione, ma questa non è sufficiente a garantirgli una visione nitida da vicino, il soggetto quindi ha una visione sfuocata e necessita dell’addizione anche se possiede un certo valore di potere accomodativo residuo.

-Presbiopia assoluta; indica la situazione in cui il potere accomodativo del soggetto è pressoché assente, quindi solitamente si verifica dopo i 60 anni d’età.

– Presbiopia manifesta; è quella fase nella quale il soggetto dispone ancora di una certa quantità d’accomodazione, ma questa non è sufficiente a garantirgli una visione nitida da vicino, il soggetto quindi ha una visione sfuocata e necessita dell’addizione anche se possiede un certo valore di potere accomodativo residuo.

11.4 Eziologia della presbiopia

La presbiopia è un malfunzionamento dell’occhio legato in modo specifico all’età; con l’avanzare degli anni, infatti, la lentedell’occhio(cristallino) perde le proteine, si secca e si indurisce, perdendo di flessibilitàe causando visione sfuocata.

Presbiopia assoluta; indica la situazione in cui il potere accomodativo del soggetto è pressoché assente, quindi solitamente si verifica dopo i 60 anni d’età.

7.4 Eziologia della presbiopia

Riferendosi alle cause che portano all’insorgenza della presbiopia occorre distinguere le situazioni normali da quelle in cui la riduzione del potere accomodativo deriva da una patologia.Nel primo caso le cause della perdita di accomodazione vanno ricercate nelle variazioni che intervengono durante la vita a cristallino, zonula di Zinn e muscolo ciliare (Fig.3).

La presbiopia è un malfunzionamento dell’occhio legato in modo specifico all’età; con l’avanzare degli anni, infatti, la lente dell’occhio (cristallino) perde le proteine, si

7 - Presbiopia 69
dt
4,0 1
1 .
..
173 dt conf A P A P 75,3 50,2 2 3 .) .(. 2 3
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secca e si indurisce, perdendo di flessibilità e causando visione sfuocata. Riferendosi alle cause che portano all’insorgenza della presbiopia occorre distinguere le situazioni normali da quelle in cui la riduzione del potere accomodativo deriva da una patologia. Nel primo caso le cause della perdita di accomodazione vanno ricercate nelle variazioni che intervengono durante la vita a cristallino, zonula di Zinn e muscolo ciliare (Fig. 44).

Il cristallino continua a crescere per tutta la vita di circa 0,02 mm all’anno; l’occhio, invece, smette di crescere all’arrivo della pubertà. Il cristallino perde di “accomodazione”, che consiste nell’aggiustamento della curvatura necessaria per consentire la visione di oggetti vicini. Per quanto riguarda il muscolo ciliare numerosi studi hanno messo in evidenza che la sua funzionalità non diminuisce fino all’età di 60 anni; anzi, nelle prime fasi della presbiopia, si riscontra un’ipertrofia di tale muscolo, dovuta probabilmente all’eccessivo sforzo necessario per vedere nitidamente da vicino. Complessivamente si può affermare che la riduzione fisiologica del potere accomodativo è causata soprattutto dalle variazioni a carico del cristallino e della sua capsula, mentre risulta scarso il contributo dato a questo processo dal muscolo ciliare.

7.5 Fattori che influenzano l’insorgenza della presbiopia

Ci sono fattori che possono ritardare od anticipare la comparsa della presbiopia, tra cui i principali sono:

– fattori geografico-ambientali; più alta è l’esposizione ai raggi ultravioletti più è veloce il processo d’invecchiamento del cristallino.

– fattori nutrizionali e stato di salute

11.Presbiopia

– errore refrattivo; in caso di ipermetropia non corretta o sottocorretta il punto prossi-

174

cristallino continua a crescere per tutta la vitadi circa0,02 mm all’anno; l’occhio,

Il cristallino perde di

7 - Presbiopia 70 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
Cristallino, zonula di Zinn e muscolo ciliare invece, smette di crescere all’arrivo della pubertà. Figura 44 Cristallino, zonula di Zinn e muscolo ciliare

la seguente correzione di un soggetto miope:

-6,00

-6,00

occhiali: lenti a contatto:

Distanza di lavoro = 33 cm

In caso di lenti a contatto:

che un emmetrope per vedere nitido a 33 cm dovrebbe accomodare (Acc. = 1/d(in metri) 1/0,33 = 3,00 dt). notare, quindi, che il miope con l’utilizzo di lenti oftalmiche sarà avvantaggiato,perché dovrà accomodare meno dell'emmetrope e dell'ipermetrope. vantaggio, ovviamente, scompare nel momento in cui il miope decide di lenti a contatto;se ciò avviene in una fase di presbiopiaincipientesi determinare un peggioramento della visione da vicino tale da far rifiutare correzione.

Consideriamo che un emmetrope per vedere nitido a 33 cm dovrebbe accomodare di 3,00 dt (Acc. = 1/d(in metri) 1/0,33 = 3,00 dt).

Si può notare, quindi, che il miope con l’utilizzo di lenti oftalmiche sarà avvantaggiato, perché dovrà accomodare meno dell’emmetrope e dell’ipermetrope. Questo vantaggio, ovviamente, scompare nel momento in cui il miope decide di passare alle lenti a contatto; se ciò avviene in una fase di presbiopia incipiente si può determinare un peggioramento della visione da vicino tale da far rifiutare questo tipo di correzione.

7.6 Sintomatologia soggettiva

Il primo segnale d’allarme di sospetta presbiopia è la necessità di allontanare dagli occhi gli oggetti che si stanno guardando. Quando si rende inevitabile distanziare dagli occhi il giornale che si sta leggendo, per esempio, è molto probabile che una persona sia presbite. Nella fase incipiente, ad esempio, il soggetto lamenterà disturbi astenopici che insorgono principalmente verso sera a causa della stanchezza accumulata durante la giornata lavorativa, mentre quando si arriva alla fase manifesta lamenterà una perdita di visione nitida alle brevi distanze, cioè non riuscirà più a leggere ed ad infilare il filo nell’ago.

Quindi possiamo avere:

Annebbiamento per lontano; si manifesta occasionalmente e soprattutto in persone che lavorano a distanza ravvicinata (PC) ed è tipico del soggetto con presbiopia incipiente, il quale per ottenere visione nitida a distanza ravvicinata deve compiere un’elevata stimolazione del muscolo ciliare, questo fatto può provocare un lieve spasmo accomodativo che si traduce in pseudo-miopia (di norma non superiore a 0,50 dt).

– Affaticamento visivo; il soggetto presbite non corretto o sottocorretto riferisce di essere costretto a “sforzare” i propri occhi quando svolge le attività da vicino, ciò provoca l’insorgenza di disturbi astenopici caratterizzati da mal di testa, bruciore degli occhi, nausea e sonnolenza.

– Annebbiamento per vicino; è il sintomo più caratteristico del soggetto presbite ed indica che il potere accomodativo è sceso sotto al valore necessario per avere visione nitida e confortevole. Il soggetto cerca di superare il problema aumentando

7 - Presbiopia 72
Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
33,0 dt acc Sf 59,2 33,0 1 013 6 1 013 6 1 00,3 33,0 1 0 6 1 0 6 1 dt acc Sf

la distanza d’osservazione, sempre che l’attività svolta glielo consenta; può anche ricorrere ad un’illuminazione più forte diretta verso l’oggetto di sguardo, che provoca una miosi ed un aumento della profondità di fuoco ed inoltre migliora l’illuminamento e quindi la sensibilità della retina.

7.7 Determinazione dell’addizione

L’addizione per vicino è l’entità di potere positivo, da sommare all’eventuale correzione per lontano, che permette al soggetto la visione da vicino nitida e confortevole. Si determina dopo aver ultimato l’esame refrattivo per lontano, compreso il bilanciamento dell’accomodazione.

Tecniche per determinare l’addizione:

– esame dell’ampiezza accomodativa,

– tabelle,

– minimo positivo e massimo positivo.

Inoltre l’addizione deve essere bilanciata tra i due occhi mediante alcuni test:

controllo dell’intervallo di visione nitida,

reticolo a croce e cilindro crociato,

bicromatico.

11.Presbiopia

7.7.1

Determinazione

dell’addizione secondo Bennon

11.7.1Determinazione dell’addizione secondo Bennon

177

Secondo Bennon per la determinazione dell’addizione deve essere fatto l’inverso della distanza di visione nitida per vicino e poi sottrarre un valore corrispondente alla metà dell’accomodazione totale:

Secondo Bennon per la determinazione dell’addizione deve essere fatto l’inverso della distanza di visione nitida per vicino e poisottrarre un valore corrispondente alla metà dell’accomodazione totale:

Esempio (1):

Distanza di visione 33 cm (3,00 dt)

Esempio (1):

P.A. => 3,00 dt

Distanza di visione 33 cm (3,00 dt)

P.A.confortevole => 1,50 dt

P.A. => 3,00 dt

Lente necessaria 3,00 - 1,50 = +1,50 dt

P.A.confortevole => 1,50 dt

Esempio (2):

Distanza di visione 40 cm (2,50 dt)

Lente necessaria 3,00 -1,50 = +1,50 dt

P.A. => 4,00 dt

P.A.confortevole => 2,00 dt

Lente necessaria 2,50 - 2,00 = +0,50 dt

Esempio (2):

Distanza di visione 40 cm (2,50 dt)

P.A. => 4,00 dt

P.A.confortevole => 2,00 dt

Lente necessaria 2,50 -2,00 = +0,50 dt

11.7.2Determinazione dell’addizione secondo Bennet Secondo Bennet invece deve esserecalcolato l’inverso della distanza di visione nitida per vicino e sottrattoun valore corrispondente a 2/3 dell’accomodazione totale:

7 - Presbiopia 73

P.A. => 3,00 dt

P.A.confortevole => 1,50 dt

Lente necessaria 3,00 -1,50 = +1,50 dt

P.A. => 4,00 dt

P.A.confortevole => 2,00 dt

Lente necessaria 2,50 -2,00 = +0,50 dt

11.7.2Determinazione dell’addizione secondo Bennet

7.7.2 Determinazione dell’addizione secondo Bennet

Secondo Bennet invece deve essere calcolato l’inverso della distanza di visione nitida per vicino e sottratto un valore corrispondente a 2/3 dell’accomodazione totale:

Secondo Bennet invece deve esserecalcolato l’inverso della distanza di visione nitida per vicino e sottrattoun valore corrispondente a 2/3 dell’accomodazione totale: Esempio (1): Esempio (2):

Esempio (1):

Distanza di visione 33 cm (3,00 dt)

Distanza di visione 33 cm (3,00 dt)

Distanza di visione 40 cm (2,50 dt)

P.A. => 3,00 dt

P.A. => 3,00 dt

P.A.confortevole => 2,00 dt

P.A.confortevole => 2,00 dt

Lente necessaria 3,00 - 2,00 = +1,00 dt

P.A. => 4,00 dt

P.A.confortevole => 2,50 dt

Lente necessaria 3,00 -2,00 = +1,00 dt Lente necessaria 2,50 -2,50 = 0,00 dt

Esempio (2):

Distanza di visione 40 cm (2,50 dt)

P.A. => 4,00 dt

P.A.confortevole => ~2,50 dt

Lente necessaria 2,50 - 2,50 = 0,00 dt

NO ADD

7.7.3 Tabelle

11.7.3Tabelle

11.7.3Tabelle

Le tabelle sottostanti possono aiutare a determinare l’addizione da prescrivere ad un soggetto; queste sono state calcolate seguendo le formule di Bennet (tab.1) e Bennon (tab.2).

Letabelle sottostantipossono aiutare a determinare l’addizione da prescrivere ad un soggetto;queste sono state calcolateseguendo le formule di Bennet (tab.1)e Bennon(tab.2).

Letabelle sottostantipossono aiutare a determinare l’addizione da prescrivere ad un soggetto;queste sono state calcolateseguendo le formule di Bennet (tab.1)e Bennon(tab.2).

11.7.4Determinazione dell’addizione secondo il metodo del minimo positivo e massimo positivo

11.7.4Determinazione dell’addizione secondo il metodo del minimo positivo e massimo positivo

Per determinare l’addizione conil metodo del minimo e del massimo positivo dobbiamo, dopo aver emmetropizzato il soggetto per lontano, così procedere: fissare la distanza di visione per vicino,

Per determinare l’addizione conil metodo del minimo e del massimo positivo dobbiamo, dopo aver emmetropizzato il soggetto per lontano, così procedere: fissare la distanza di visione per vicino,

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Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
NOADD
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7.7.4 Determinazione dell’addizione secondo il metodo del minimo positivo e massimo positivo

Per determinare l’addizione con il metodo del minimo e del massimo positivo dobbiamo, dopo aver emmetropizzato il soggetto per lontano, così procedere:

– fissare la distanza di visione per vicino,

– aggiungere all’eventuale correzione per lontano lenti positive di 0,25 in 0,25 dt fino alla visione nitida, (minimo positivo),

– continuare con lenti positive fino allo sfuocamento (massimo positivo).

L’addizione da adottare sarà il potere intermedio tra i due valori.

Esempio: Distanza 33 cm

Min pos. +1,00 dt

Max pos. +1,50 dt --> Add. da prescrivere +1,25 dt.

7.8 Verifica dell’addizione

7.8.1 Controllo dell’intervallo di visione nitida

Per verificare l’intervallo di visione nitida dobbiamo:

– inserire nell’occhiale di prova la correzione per vicino determinata fino a questo punto,

– dare in mano al soggetto una tavola di lettura chiedendogli di posizionarla alla distanza abituale di lettura (o di lavoro) invitandolo ad osservare i caratteri più piccoli,

– chiedere al soggetto di avvicinare l’ottotipo fino al punto in cui i caratteri cominciano a diventare sfuocati (rileviamo la distanza),

– chiedere al soggetto di allontanare l’ottotipo fino al punto in cui vede sfuocato (rileviamo la distanza) (Fig. 45).

Questo test ha una notevole rilevanza pratica: consente di verificare e dimostrare l’intervallo di spazio in cui funzionerà l’occhiale che prescriveremo. Inoltre possiamo, in base alla risposta soggettiva, effettuare gli opportuni ritocchi. La possibilità di avvicinare l’ottotipo di qualche centimetro ci conferma la presenza di una riserva accomodativa, condizione necessaria per avere visione confortevole.

7.8.2 Verifica dell’addizione con reticolo a croce e cilindro crociato

Per verificare l’addizione con il reticolo a croce e cilindro crociato si inserisce un valore di addizione determinato con uno dei metodi descritti in precedenza, si posiziona il reticolo a croce alla distanza abituale di lavoro del soggetto e si inserisce monocu-

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Questo test ha una notevole rilevanza pratica:consente di verificare e dimostrare l’intervallo di spazio in cui funzionerà l’occhiale che prescriveremo. Inoltre possiamo,in base alla risposta soggettiva,effettuare gli opportuni ritocchi. La possibilità di avvicinare l’ottotipo di qualche centimetro ci conferma la presenza di una riserva accomodativa,condizione necessaria per avere visione confortevole.

11.8.2 Verifica dell’addizione con reticolo a croce e cilindro crociato

larmente il cilindro crociato ± 0,50 dt con asse negativo a 90° in modo da introdurre un astigmatismo secondo regola (Fig. 46).

A questo punto si chiede al soggetto quali linee vede più nitide:

Per verificare l’addizione con il reticolo a croce e cilindro crociato si inserisce un valore di addizione determinato con uno dei metodi descritti in precedenza,si posiziona il reticolo a croce alla distanza abituale di lavoro del soggetto esi inserisce monocularmente il cilindro crociato 0,50 dt con asse negativo a 90° in modo da introdurre un astigmatismo secondo regola (Fig. 5).

se vede entrambe le linee allo stesso modo significa che l’addizione è ben bilanciata,

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– se vede meglio le linee orizzontali significa che l’addizione è scarsa, quindi dovremmo aggiungere lenti positive,

Fig.5: Verifica add. con cil. crociato 0,50 dt e reticolo a croce questo punto si chiede al soggetto quali linee vede più nitide: se vede entrambe le linee allo stesso modo significa che l’addizione è ben

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Fig.4: Controllo dell’intervallo di visione nitida; A –add. corretta, B –add. scarsa, C –add. elevata Figura 45 Controllo dell’intervallo di visione nitida; A – add. corretta, B – add. scarsa, C – add. elevata Figura 46 Verifica add. con cil. crociato ± 0,50 dt e reticolo a croce

– se vede meglio le linee verticali l’addizione è eccessiva, quindi dovremmo aggiungere lenti negative.

Si modifica opportunamente l’addizione fino a quando il soggetto non vedrà differenze tra le linee verticali e quelle orizzontali; nel caso non si raggiunga l’uguaglianza si lascia la preferenza per le linee orizzontali.

7.8.3 Verifica dell’addizione con il test bicromatico

Per verificare l’addizione con il test bicromatico si deve inserire un valore di addizione determinato con uno dei metodi descritti in precedenza. Si posiziona l’ottotipo retroilluminato alla distanza abituale di lavoro in condizioni di visione scotopica e si chiede al soggetto su quale sfondo i caratteri sono più nitidi (Fig. 47).

A. Se vede i simboli ugualmente nitidi in entrambe le parti, la radiazione gialla va a fuoco esattamente sulla retina, quindi il soggetto è perfettamente compensato per quanto riguarda l’addizione.

B. Una preferenza per i simboli della parte rossa, indica che la radiazione gialla va a fuoco prima della retina, quindi il soggetto ha una addizione troppo elevata.

A questo punto si chiede al soggetto quali linee vede più nitide: se vede entrambe le linee allo stesso modo significa che l’addizione è ben bilanciata, se vede meglio le linee orizzontali significa che l’addizione è scarsa, quindi dovremmo aggiungere lenti positive, se vede meglio le linee verticali l’addizione è eccessiva, quindi dovremmo aggiungere lenti negative. Si modifica opportunamente l’addizione fino a quando il soggetto non vedrà differenze tra le lineeverticali e quelle orizzontali;nel caso non si raggiunga l’uguaglianza si lascia la preferenza per le linee orizzontali.

11.8.3 Verifica dell’addizione con il test bicromatico

C. Una preferenza per la parte verde, indica che la radiazione gialla va a fuoco oltre la retina, quindi il soggetto ha una addizione troppo bassa. Anche se teoricamente il test bicromatico può risultare semplice ed efficace, come detto nel Cap. 6, mostra dei limiti con le persone anziane, in cui il cristallino ingiallito assorbe o diffonde maggiormente le radiazioni blu/verdi, ne consegue una preferenza per la parte rossa.

Per verificare l’addizione con il test bicromatico si deve inserireun valore di addizione determinato con uno dei metodi descritti in precedenza. Si posiziona l’ottotipo retroilluminato alla distanza abituale di lavoro in condizioni di visione scotopica esi chiede al soggetto su quale sfondo i caratteri sono

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Fig.5: Verifica add. con cil. crociato 0,50 dt e reticolo a croce più nitidi (Fig. 6). Fig.6: Verifica add. con il test bicromatico da vicino Figura 47 Verifica add. con il test bicromatico da vicino

8 La refrazione in età pediatrica

L’esame della rifrazione in età pediatrica si basa prevalentemente su tecniche oggettive. La peculiarità positiva delle tecniche oggettive risiede nel fatto che esse non richiedono una partecipazione attiva da parte del soggetto esaminato, fornendo così un dato non dipendente dal suo atteggiamento e dalle sue risposte. Il dato oggettivo a volte può però essere l’unico rilevabile (bambini piccoli, persone con ritardo mentale, individui scarsamente collaboranti, soggetti ospedalizzati e/o non trasportabili...), da qui la necessità di applicare delle tecniche sufficientemente precise ed accurate al fine di individuare in maniera la più corretta possibile la misura della rifrazione. Le tecniche refrattive oggettive sono prevalentemente due: l’esame del riflesso rosso e la schiascopia statica. Sia l’analisi del riflesso rosso sia la schiascopia, per essere attendibile e valida, devono essere eseguiti seguendo una metodologia precisa. Qualsiasi misura si rilevi è necessario, sempre e comunque, fare i conti con una certa quantità di errore; l’adozione di un metodo ben definito e la consapevolezza dei possibili errori nei quali si può incorrere nel corso dell’esecuzione è una premessa indispensabile per poter attribuire validità alle misure rilevate ed efficacia alle scelte compensative che ne conseguono. Da tenere presente che stiamo esaminando soggetti piccoli di età e che spesso nella clinica quotidiana molti di noi si trovano a dovere fare diagnosi anche senza la cicloplegia.

8.1 Validità

Non possiamo applicare una tecnica di misura prescindendo dal concetto di validità della misura stessa. La validità di un metodo di misura designa la sua capacità di valutare il vero stato della caratteristica che stiamo valutando, nel nostro caso la misura del difetto visivo presente. Il concetto di validità si estrinseca in alcune precisazioni della validità stessa.

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8.1.1 Validità di criterio

La validità di criterio indica genericamente la possibilità di usare un criterio esterno per saggiare la validità del test rispetto ad esso. Nell’analisi della rifrazione possiamo ad esempio considerare come criterio esterno da correlare la capacità di alternare in un paziente strabico, o la capacità di fissazione in un paziente con ametropia elevata o ambliopia.

La validità di criterio poi si divide a sua volta in validità predittiva (usa la probabilità di un comportamento futuro come criterio) e validità concorrente (usa la somiglianza con altri test come criterio).

8.1.2 Validità predittiva

La validità predittiva indica quanto un risultato a un test è correlato a un particolare comportamento o evento futuro (connessi in linea teorica col test) riguardante il soggetto. L’utilizzatore del test può quindi ipotizzare uno o più comportamenti futuri che secondo lui hanno a che vedere col risultato al test e fare delle ricerche per confermarne la validità predittiva riferita a quei comportamenti. Per esempio, se un test serve a selezionare personale per un particolare ruolo lavorativo, ha senso indagare se, a distanza di tempo, il personale scelto grazie al test ha avuto effettivamente successo in quel ruolo, caso in cui viene confermata un’alta validità predittiva del test per quel particolare ruolo. Riguardo a un test d’intelligenza, se ne può per esempio verificare la validità predittiva riferita al futuro successo scolastico, o riferita al futuro successo lavorativo o in ambito sentimentale. Nella determinazione del difetto refrattivo può ad esempio avere senso considerare il guadagno nell’acutezza visiva in un paziente ambliope che ha risolto il problema grazie all’analisi effettuata col test stesso.

8.1.3 Validità concorrente

La validità concorrente indica la correlazione tra risultati al test in esame e risultati ad altri test che misurano lo stesso costrutto (ad esempio si possono correlare i risultati ottenuti con l’analisi del riflesso rosso del fundus per la quantificazione dei difetti rifrattivi e la cicloplegia) e o costrutti diversi (ad esempio la mancanza di fissazione o della capacità di alternare in un paziente strabico la cui misura del difetto visivo risulta uguale nei due occhi). Nel primo caso si parla di validità convergente e ci si aspetta una correlazione alta, mentre nel secondo caso si parla di validità discriminante e ci si aspetta una correlazione la più bassa possibile.

Per specificare meglio si parla di validità concorrente quando sia la misura sia l’accertamento dello stato di cose avvengono contemporaneamente, si parla di validità

8 - La refrazione in età pediatrica 80 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani

concorrente convergente quando due test ottengono un risultato simile della misura che sto esaminando, mentre si definisce validità concorrente discriminante se non posso correlare il risultato della misura che sto esaminando con il vero stato di cose che sto osservando.

La validità del metodo che stiamo usando risulta pertanto un aspetto estremamente importante nella diagnosi dei difetti visivi presenti poiché l’esame della rifrazione si propone differenti obiettivi:

1. l’accertamento dell’esistenza di un’ametropia unilaterale o bilaterale e valutarne l’entità, anche se a volte in modo approssimativo, allo scopo di poter inferire da questi dati l’esistenza di un’ambliopia possibile e di poterne stimare la probabile gravità

2. la determinazione di una correzione del difetto refrattivo ed eventualmente effettuare una misura dell’acutezza visiva con correzione, per consentire l’accertamento di un’ambliopia e di stabilirne l’entità

3. la prescrizione della correzione esatta dell’ametropia presente indispensabile per il corretto trattamento dell’eventuale ambliopia presente

8.2 Accomodazione

Uno dei problemi che ci si deve porre nell’analisi rifrattiva è la presenza dell’accomodazione. Essa consiste nella funzione che modifica il potere del cristallino in modo da consentire la messa a fuoco sulla retina di oggetti situati a differenti distanze dall’occhio e di conseguenza adeguare il diottro oculare alla vergenza dei raggi luminosi che lo attraversano. La contrazione del muscolo ciliare cui è collegato il cristallino determina un aumento del potere di quest’ultimo (accomodazione positiva), mentre un rilasciamento del muscolo ciliare determina una diminuzione del potere del cristallino (accomodazione negativa). Tali movimenti del muscolo ciliare sono su base riflessa e difficilmente possono essere gestiti volontariamente. Il meccanismo dell’accomodazione pertanto è prevalentemente influenzato da stimoli esterni presenti nella quotidianità di ciascuno di noi. Lo sfuocamento delle immagini determina un cambio di curvatura del cristallino e quindi del suo potere per ottenere un’immagine nitida sulla retina e consentire una visione distinta. La convergenza o la divergenza sono capaci di mettere in atto l’accomodazione: la convergenza aumenta il potere diottrico del cristallino (accomodazione positiva) mentre la divergenza ottiene una diminuzione del potere diottrico dello stesso (accomodazione negativa). Infine la vicinanza apparentemente prossimale di un oggetto induce la necessità riflessa di una accomodazione positiva nonostante l’immagine non si presenti sfuocata o non sia stata messa in gioco la convergenza.

8 - La refrazione in età pediatrica 81

In ultimo va considerata la presenza del cosiddetto tono accomodativo. In assenza di stimoli visivi il muscolo ciliare si trova in stato di contrazione “tonica” di un valore diottrico superiore di circa 1 / 1,5 diottrie rispetto a quello ottenibile in massima accomodazione negativa. Tale situazione viene inibita dall’effetto dei cicloplegici che annullano il valore diottrico tonico di 1 / 1,5 diottrie il quale a sua volta viene ripristinato una volta terminato l’effetto del cicloplegico.

8.2.1 Accomodazione binoculare

A meno che non sussistano condizioni anormali l’accomodazione risulta uguale nei due occhi. Solo nei casi di anisometropia invece l’occhio dominante determina la quantità di accomodazione presente che viene distribuita in egual misura anche nell’occhio dominato in caso di visione binoculare. Differente sarà invece la situazione in visione monoculare dove possiamo aspettarci un’ampiezza accomodativa anche differente tra i due occhi qualora la trasmissione degli stimoli avvenga meno bene da un lato rispetto all’altro o quando sussistano in un occhio condizioni anomale legate al cristallino od al muscolo ciliare che impediscono l’attuarsi di una accomodazione proporzionale all’impulso ricevuto. Prima però di diagnosticare una differenza accomodativa tra i due occhi è bene ricordarsi di eseguire la misura con una correzione ottica che sia stata bilanciata e che consenta una perfetta compensazione del difetto refrattivo eventualmente presente.

Che importanza ha il tono accomodativo nella pratica clinica quotidiana ai fini dell’esame dei difetti rifrattivi? Se non si considera la necessità di eliminare o per lo meno di ridurre ai minimi termini tale tono accomodativo, l’analisi della misura dei difetti rifrattivi risulterà alquanto imprecisa e poco accurata. È noto infatti come il tono accomodativo sia di lieve entità negli anziani e nei miopi specie se miopi elevati, al contrario esso è presente in quantità discreta negli ipermetropi ed ancora in maggiore entità nei giovani e nei bambini. L’evitare il blocco dell’accomodazione per la pigrizia di utilizzare i cicloplegici può indurre il medico oculista in gravi e grossolani errori di valutazione del difetto visivo presente specie nell’età pediatrica: non è giustificabile pertanto una prescrizione di lenti correttive senza cicloplegia quando ci si trovi di fronte ai bambini o a giovani pazienti con difetti rifrattivi ipermetropici ed astigmatici.

8.2.2 Ampiezza accomodativa

Il punto prossimo di un occhio rappresenta la distanza minima a cui un soggetto percepisce immagini nitide utilizzando tutta l’accomodazione di cui dispone e corri-

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sponde al fuoco coniugato della macula dell’occhio stesso in condizioni di massima accomodazione.

Il punto remoto di un occhio rappresenta la distanza massima sul quale convergono i raggi provenienti dalla macula dopo avere attraversato il diottro oculare. Nell’occhio emmetrope il punto remoto corrisponde all’infinito in quanto il fuoco principale del diottro oculare corrisponde esattamente alla posizione della regione maculare retinica, ed i raggi che escono dal diottro oculare risultano paralleli. Nell’occhio miope la distanza che separa la macula dal diottro oculare risulta invece maggiore della distanza focale di questo, per cui i raggi che provengono dalla zona maculare arrivano al diottro oculare con una vergenza negativa inferiore al potere positivo del sistema diottrico cornea-cristallino per cui escono con una vergenza positiva. Tale meccanismo farà convergere i raggi ad una distanza inferiore a quella dell’occhio emmetrope, per cui non avremo più un punto remoto posizionato all’infinito, bensì il punto remoto sarà situato ad una distanza reale situata di fronte al bulbo oculare. Nella miopia per cui il punto remoto è reale e si trova tanto più vicino all’occhio tanto più elevato è il difetto miopico. Nell’occhio ipermetrope al contrario avremo che i raggi maculari escono dal bulbo divergenti poiché la loro vergenza negativa sarà maggiore del potere positivo del sistema diottrico cornea-cristallino per cui non riesce ad essere totalmente compensata ed è quindi come se insorgessero da un punto situato dietro alla regione maculare. Da ciò si deduce come il punto remoto nell’ipermetropia sia virtuale e posizionato al di dietro del bulbo oculare stesso. Sia il punto prossimo sia il punto remoto possono essere misurati con una misura lineare che indica la distanza che lo separa dal bulbo oculare, o con le diottrie che equivalgono all’inverso di tale distanza espressa in metri. La differenza del valore diottrico del punto prossimo e del punto remoto rappresenta l’ampiezza accomodativa, ossia la variazione di potere che il cristallino è capace di attuare. Sappiamo bene come l’ampiezza accomodativa si riduca progressivamendativa nei bambini in età scolare ma si può evincere dai dati attualmente presenti in letteratura che l’ampiezza accomodativa media in età pediatrica risulta subire una progressiva diminuzione (Figura 48) fino ai 10 anni per poi attestarsi su valori di poco superiori alle 14 diottrie con un andamento caratterizzato da lievi variazioni (Tabella 3), mentre nessun dato è riferibile ai bambini della prima infanzia.

Per evitare che l’accomodazione intervenga a viziare i risultati degli esami della rifrazione è consigliabile utilizzare i cicloplegici.

8 - La refrazione in età pediatrica 83

8.3 Cicloplegia

È noto come l’attività dell’accomodazione influenzi la situazione rifrattiva modificandola anche significativamente causando un aumento del potere del cristallino con conseguente neutralizzazione e/o diminuzione delle ipermetropie ed aumento delle miopie. L’utilizzo dei cicloplegici consente di eliminare questo inconveniente. È necessario ricordare come tutti i cicloplegici siano dei midriatici ma non tutti i midriatici siano dei cicloplegici. La midriasi si instaura prima della cicloplegia e dura più a lungo di

8 - La refrazione in età pediatrica 84 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani
ETÀ A.A. MEDIA 5 16,82 6 17,25 7 15,79090909 8 15,90909091 9 14,78333333 10 14,93846154 11 16,49166667 12 13,86363636 13 12,47272727 14 12,91666667 15 13,8 16 14,8
Figura 48 Andamento dell’ampiezza accomodativa media nell’infanzia Tabella 3 Ampiezza accomodativa media per età

quest’ultima per cui il diametro pupillare non è indice della situazione accomodativa raggiunta in seguito all’instillazione del cicloplegico. Quando si instilla un collirio cicloplegico l’ampiezza accomodativa si riduce progressivamente fino ad arrivare a valori minimi. Le tempistiche e la durata del blocco cicloplegico variano a seconda del tipo di molecola che viene utilizzata. È opinione comune che l’atropina ottenga risultati molto migliori rispetto alle altre molecole sintetiche attualmente in commercio, ma ciò non corrisponde al vero, almeno nella pratica quotidiana; l’utilizzo del ciclopentolato o della tropicamide può benissimo sostituire i dati ottenuti con l’atropina. È infatti oramai quasi del tutto abbandonato l’utilizzo dell’atropina sia per motivi di maneggevolezza sia per gli effetti collaterali che essa può causare. Comunque sia solo raramente i cicloplegici riescono a provocare una paralisi totale del muscolo ciliare bensì ne riducono al livello minimo l’attività in modo da consentire una certa quota di accomodazione residua altrimenti detta ampiezza accomodativa residua che può arrivare anche a valori discretamente elevati, circa 3-4 diottrie, e di cui bisogna tenerne conto, quando la cicloplegia non viene eseguita in maniera ottimale.

Generalmente l’utilizzo dei colliri cicloplegici determina, se ben utilizzati secondo degli schemi standardizzati, un ampiezza accomodativa residua di circa 1 diottria, 1 diottria e mezza. Differente è l’effetto sul tono accommodativo. Purtroppo non esiste nessun metodo per controllare al momento dell’esame in cicloplegia come sia il tono accomodativo. Si può solo inferire tale dato dall’ampiezza accomodativa residua considerando che se l’accomodazione è in qualche modo ancora in grado di funzionare deve essere presente anche il tono accomodativo, proporzionalmente a quest’ultima.

La quantificazione della quota di ampiezza accomodativa in età pediatrica può essere eseguita solo in maniera indiretta. Dopo aver trovato in schiascopia la correzione che neutralizza l’ombra pupillare si attrae l’attenzione del piccolo paziente su una mira lontana: la comparsa di un’ombra diretta indica che il paziente ha rilasciato una certa quota di accomodazione residua che aveva esercitato, lo stesso dicasi se si attrae l’attenzione su una mira vicina. La comparsa di un’ombra inversa dimostra che il paziente ha esercitato un certo grado di accomodazione. La quota di accomodazione residua si evince dal calcolo della differenza tra le lenti che neutralizzano le ombre per lontano e per vicino con il metodo testè descritto.

Al fine di evitare che tale situazione possa compromettere la prescrizione è consigliabile aggiustare di 1 D la correzione cicloplegica in atropina e di 0,5 D in ciclopentolato e tropicamide.

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Infine vale la pena ricordare che prima di intraprendere l’esame della rifrazione è importante controllare che il cicloplegico abbia fatto il suo effetto considerando, oltre a quanto detto poco sopra, anche l’entità della midriasi, pur essendo quest’ultima un segno relativamente poco congruente con l’entità della cicloplegia, la dinamica pupillare residua eventualmente presente, indice di una cicloplegia ancora insufficiente e ricordarsi che i pazienti con iride molto pigmentate rispondono meno efficacemente ai cicloplegici, per cui in questi casi vale la pena considerare di aumentarne dosaggio

Le molecole che più vengono impiegate possono essere riassunte nello schema seguente:

– Ciclopentolato: instillare una goccia per occhio a distanza di 5 minuti l’una dall’altra per due volte; effetto massimo dopo 30 minuti e dura circa 60 minuti. Eseguire misura della rifrazione tra 30 e 60 minuti dall’ultima instillazione. Accomodazione residua 1D (sempre < 2D).

Tropicamide: instillare una goccia per occhio a distanza di 10 minuti l’una dall’altra per tre volte, ha un’efficacia minore del precedente, effetto massimo dopo 20 minuti e dura circa 15 minuti. Eseguire misura della rifrazione tra 20 e 30 minuti dall’ultima instillazione. Accomodazione residua 2D, midriasi molto marcata.

– Atropina: instillare una goccia per occhio a distanza di 10 minuti l’una dall’altra per due volte al dì per tre giorni precedenti la visita; è il più efficace ma oramai il meno usato, effetto massimo dopo 1-3 ore e dura 12-24 ore, recupero della accomodazione in 10-15 giorni. Accomodazione residua < 1D.

L’esame della rifrazione eseguito in cicloplegia presenta sia dei vantaggi sia degli svantaggi. Ogni qual volta si applica l’esame in cicloplegia bisogna considerare attentamente entrambe le cose per non incorrere in banali errori di valutazione che possono compromettere la prescrizione corretta, ma non bisogna mai dimenticare che la cicloplegia risulta il punto cardine nella prescrizione degli occhiali nei bambini, senza la quale difficilmente si potranno risolvere adeguatamente i problemi rifrattivi e tutto ciò che ne consegue in termini di recupero dell’ambliopia.

Vantaggi della cicloplegia

1. elimina cause di errore dovute alla accomodazione (aggiustare di 1D la correzione cicloplegica in atropina e di 0,5D in ciclopentolato o tropicamide)

2. consente l’esame schiascopico della regione maculare (osservare le ombre entro 4 mm di diametro)

3. è l’unico mezzo per valutare la rifrazione fino a 4-5 anni

4. consente la valutazione dell’entità del tono accomodativo basale.

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Bifani
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Svantaggi

1. la cicloplegia è una condizione anomala, il ripristinarsi del tono accomodativo basale può essere causa di errore nella valutazione dell’entità e dell’asse dei piccoli astigmatismi

2. una cicloplegia incompleta determina errori di valutazione e conseguentemente errori di prescrizione

3. la midriasi indotta rende più difficile la schiascopia per l’intervento di aberrazioni periferiche ed ombre che disturbano l’esecuzione dell’esame, per cui vanno sempre e solo osservate le ombre entro i 4 mm centrali

4. può creare disturbi soggettivi.

8.3.1 Effetti collaterali dei cicloplegici

I colliri e le pomate utilizzate per la cicloplegia non sono scevri da possibili effetti collaterali anche se le pomate presentano minori possibili effetti collaterali. L’applicazione di un cicloplegico può dar origine ad una reazione allergica locale che si manifesta con le caratteristiche di una dermato-congiuntivite allergica. Possono anche verificarsi sintomi legati ad una intossicazione sistemica, pur se quasi sempre di lieve entità: arrossamento del volto, secchezza delle fauci,tosse stizzosa, tachicardia, febbricola. I sintomi testè descritti sono tipici della somministrazione di atropina e non richiedono trattamento, ma solo la sospensione della somministrazione. La comparsa di tali sintomi consente comunque l’esecuzione dell’esame della rifrazione in quanto sono un segno indiretto di un’efficace cicloplegia che si accompagna ad una intossicazione generale.

Raramente possono presentarsi anche sintomi di natura psichica: il più lieve è la sonnolenza associata a rush cutaneo. Molto di rado si può osservare agitazione motoria, incoordinazione dei movimenti, delirio ed allucinazioni visive; il paziente fatica a stare in piedi ed appare molto intontito. Tali disturbi sono più tipici degli alcaloidi naturali quali l’atropina ma possono comparire anche con l’utilizzo del ciclopentolato, molecola che può passare la barriera ematoencefalica. Poiché i piccoli pazienti hanno una barriera incompleta si sconsiglia l’uso del ciclopentolato sia nei bambini al di sotto dei 3 anni sia nei soggetti cerebropatici o con storia di epilessia o semplici convulsioni febbrili, o nei casi in cui l’anamnesi non sia raccoglibile. Si sconsiglia l’uso del ciclopentolato anche nei bambini affetti da trisomia 21 dove è preferibile utilizzare la tropicamide 1% collirio. In genere i disturbi regrediscono spontaneamente nel giro di 24 ore, ma se ne può accelerare la risoluzione somministrando un sedativo. Raramente e solo nei casi di grave intossicazione si può somministrare quale antidoto

8 - La refrazione in età pediatrica 87

un parasimpaticomimetico, ad esempio fisiostigmina salicilato fiale. La fisostigmina salicilato può essere somministrata sia per via endovenosa sia per via intramuscolare. La dose iniziale di 0,5-1,2 mg può essere seguita da una seconda dose qualora non si osservi nessuna risposta dopo 30 minuti. La velocità di somministrazione non dovrebbe essere superiore a 1mg/min.

8 - La refrazione in età pediatrica 88 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele -
Andrea Piantanida - Mario Bifani

9 Fase della prescrizione

Al termine di tutte le fasi finora analizzate, dal primo contatto con il paziente al bilanciamento della lente raggiunto, giunge il momento della prescrizione, la tappa finale che costituisce non solo ciò che il paziente porterà a casa di quest’incontro con noi, ma anche l’anello di congiunzione tra chi ha avuto il contatto con il paziente e chi dovrà costruire, come un vestito su misura, la lente perfetta per lui. Per tale motivo la fase della prescrizione riveste un ruolo fondamentale a conclusione di tutto il percorso diagnostico-terapeutico ed anche piccole inesattezze potrebbero vanificarne l’accuratezza e la fidelizzazione nei confronti del medico oculista.

9.1 Quale tipologia di lente consigliare

Il momento della scelta della lente da acquistare spesso viene considerato dallo specialista della visione come un momento marginale, dettato più da scelte estetiche ed economiche del paziente anziché un valore aggiunto frutto dei nostri consigli.

Bisogna però tener presente che in questo modo si rischierà di prestare scarsa o nulla attenzione al tipo ed alla qualità della lente, rischiando così di inficiare la qualità della lente e, di conseguenza, il grado di soddisfazione del paziente stesso.

Per tali ragioni il medico oculista ha il dovere di istruire il paziente nella scelta della tipologia di lente ed il tipo di trattamento superficiale a cui, sulla base soprattutto dell’anamnesi e le abitudini di vita, sia consigliabile far sottoporre l’occhiale.

Cominciamo innanzitutto dai materiali costitutivi della lente. Le lenti oftalmiche possono essere prodotte in diversi materiali, quali il vetro crown, il vetro flint, il CR-39, il policarbonato, il lantanio e il Trivex. Ciascuno di questi materiali presenta delle caratteristiche diverse, che si adattano in maniera differente ad ogni tipo di condizione prescrittiva. I materiali infatti si differenziano per:

– indice di rifrazione, ossia la capacità del materiale di rifrangere la luce, dove ad alto indice corrisponde miglior qualità visiva;

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– densità, ossia il peso espresso in g/cm3, dove a più alta densità corrisponde più alto peso della lente;

– numero di Abbe, valore relativo alla dispersione ottica del materiale, dove a più basso numero di Abbe corrisponde più elevata dispersione ottica, dunque maggior aberrazione cromatica.

Ad oggi la maggior parte delle lenti sono prodotte in vetri organici o in materiali ad alto indice di rifrazione, ma è sempre lo specialista che, soppesato il rapporto tra le varie caratteristiche, indirizza il paziente alla scelta del materiale. Se ad esempio viene prescritta una prima lente ad un bambino, si preferirà un materiale che possa essere resistente agli urti e leggero, dunque materiali plastici che, nonostante la maggior aberrazione cromatica, rispondono alle caratteristiche di resistenza e leggerezza. Se al contrario la lente è per un paziente adulto già portatore di lenti da vista, lo si potrà indirizzare verso materiali ad alto indice, con bassa densità, quindi basso peso, ed elevato numero di Abbe, così da ottenere una qualità visiva ottimale. Oltre al materiale costitutivo della lente, è importante indirizzare il paziente sul tipo di trattamento superficiale da applicare. La presenza o meno di tali trattamenti, infatti, modifica fortemente la qualità della visione. È ovvio però che non tutti i pazienti necessitano di trattamenti superficiali e non tutti hanno bisogno dello stesso trattamento. Per tale ragione anche qui interviene lo specialista della visione che potrà non solo consigliare, ma anche prescrivere, il trattamento superficiale più adatto alle esigenze visive del proprio paziente. Un paziente che ad esempio, guidi molto soprattutto durante le ore notturne, avrebbe sicuri benefici nel prevedere un trattamento antiriflesso, o ancora un paziente che lavori molto al computer potrebbe giovarsi di un trattamento superficiale a luce blu. Per facilitare il compito del consiglio della lente da scegliere, sono stati prodotti dei supporti informatici basati sulla realtà aumentata, capaci di consentirci di mostrare in tempo reale al paziente quali sarebbero i vantaggi nella scelta dell’una o dell’altra lente, trattamento o geometria. Tali supporti costituiscono una grande ed importante innovazione tecnologica, trasformando il momento del consiglio lenti da un disinteressato susseguirsi di informazioni ad una vera e tangibile esperienza di vita.

È indubbio che consigliare una specifica lente oftalmica significhi per il medico oculista entrare in un ambito molto complesso, spesso interamente delegato all’Ottico, con il rischio di compiere degli errori e vanificare il processo svolto.

Con l’obiettivo di supportare il medico oculista in questa fase molto importante per la soddisfazione del proprio paziente, la Società Italiana di Ottica Fisiopatologica

(S.I.O.F.), in collaborazione con il Comitato Scientifico della Fondazione Salmoiraghi

9 - Fase della prescrizione 90 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani

& Viganò, ha definito e realizzato un supporto operativo costituito dalle Tavole Occupazionali.

Le tavole Occupazionali sono finalizzate a supportare la prescrizione medica della migliore tipologia di lente oftalmica e eventuale trattamento, per un paziente pediatrico e, in funzione delle diverse attività svolta da un paziente adulto.

Le tavole sono riportate nella Appendice 1 e sono state realizzate anche come Supporto Operativo, della dimensione di una tavola ottotipica, disponibile gratuitamente a seguito di richiesta alla S.I.O.F. o alla Fondazione Salmoiraghi & Viganò. Di seguito riportiamo le Linee Guida S.I.O.F., presenti in forma schematizzata nelle tavole Occupazionali, relative a Lenti Oftalmiche e Trattamenti da proporre in relazione alle principali attività svolte da soggetti adulti o pediatrici

9.1.1 Lenti Oftalmiche

Lente Monofocale

Lente con un solo potere diottrico che garantisce, quindi, una visione ottimale ad una sola distanza quale lontano, intermedio o vicino.

La lente monofocale costituisce la lente di riferimento per un bambino miope e nel caso di un paziente pediatrico la variabile da considerare è costituita dall’indice della lente, che si raccomanda di prescrivere nel seguente modo al variare delle diottre.

– Fino a tre diottrie: è preferibile una lente con indice 1,53 quale soluzione ottimale sia in interno che in esterno.

– Fino a 6 diottrie: è preferibile una lente con indice 1,60 quale soluzione ottimale sia in interno che in esterno.

– Oltre 6 diottrie: è preferibile una lente con indice 1,67 o 1,74 quale soluzione ottimale sia in interno che in esterno.

Lente Monofocale HD

Lenti costruite medianti algoritmi produttivi che consentono un controllo della asfericità punto per punto.

Garantiscono una definizione visiva ed una ampiezza di campo nettamente superiori alle lenti tradizionali. Costituiscono la correzione ottimale per l’adulto miope, ipermetrope e/o astigmatico o per il primo presbite (39-43 anni) per la guida dell’autovettura. Per il primo presbite sono la migliore soluzione per attività sportive ed il tempo libero.

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Lente Monofocale evoluta da lontano

Associata alla geometria della monofocale tradizionale per lontano, presenta una digressione del potere diottrico da +0.53 a +0.88 nella porzione inferiore della lente. Sono indicate nei giovani o primi presbiti per garantire un supporto alla accomodazione/convergenza (tipo A) e ridurre l’affaticamento visivo durante l’uso delle apparecchiature digitali (tipo B).

Costituiscono la correzione ottimale per lo svolgimento di varie attività e per diversi difetti visivi: per il presbite consolidato nella guida dell’autovettura; per il miope, ipermetrope, astigmatico o primo presbite che svolga attività professionali quali l’insegnante o l’impiegato, l’artigiano, la casalinga, il musicista o il videoterminalista.

Monofocale evoluta da vicino

Lente associata alla geometria della monofocale tradizionale per vicino presentano una digressione di potere diottrico verso l’alto compreso tra -0.75 e -1.50. Sono indicate nei presbiti che saltuariamente usano il videoterminale.

Lente Indoor

Le lenti Indoor o da interno sono progettate per essere utilizzate nella visione a distanze intermedie per consentire l’efficienza visiva nelle attività a breve e media distanza.

Costituiscono la correzione ottimale per il presbite consolidato che svolga attività professionali quali il lavoro in ufficio, l’artigiano, il musicista o il videoterminalista.

Lenti Progressive

Lenti a diverso potere diottrico che garantiscono una visione nitida a tutte le distanze, particolarmente valide se realizzate con tecnologia free form. Costituiscono la correzione ottimale per il presbite consolidato nello svolgimento di attività sportiva o nel tempo libero.

9.1.2 Trattamenti

Antiriflesso

Finalizzato ad annullare i riflessi della superficie della lente responsabili di difficoltà della visione.

Costituisce il trattamento ottimale per tutti i soggetti, adulto o bambino, e per tutte le attività svolte e va sempre consigliato in qualsiasi situazione.

9 - Fase della prescrizione 92 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida -
Mario Bifani

Fotocromatico

Trattamento attraverso il quale si realizza un progressivo scurimento della lente sotto l’azione dei raggi UV che ritorna allo stato chiaro in presenza di calore. È finalizzato alla riduzione dell’abbagliamento ed al blocco delle radiazioni UV con conseguente protezione delle strutture oculari.

Costituisce il trattamento ottimale per lo sport ed il tempo libero nei soggetti adulti e, in virtù delle intrinseche capacità protettive nei confronti delle radiazioni UV, andrebbe consigliato anche ai bambini.

Polarizzato

Consente di filtrare solo i raggi luminosi perpendicolari alla lente, bloccando tutti gli altri. È finalizzato alla eliminazione dei riflessi con conseguente aumento del contrasto. Costituisce il trattamento ottimale per lo sport ed il tempo libero nei soggetti adulti.

Anti UV

Finalizzato ad impedire il passaggio delle radiazioni elettromagnetiche appartenenti allo spettro dell’ultravioletto, fortemente dannose per le strutture oculari.

È doveroso consigliarne l’uso a tutti i pazienti, adulti e bambini, impegnati in attività lavorative, sportive o del tempo libero all’aperto a causa della maggiore esposizione alle luce solare che rappresenta la principale fonte di emissione delle radiazioni ultraviolette tipo A, B e C.

Luce Blu

Trattamento finalizzato al blocco della radiazione blu, emessa principalmente dai LED e dalle apparecchiature digitali, mediante la presenza di specifici pigmenti. Costituisce il trattamento più indicato per il lavoro in ufficio, dove l’illuminazione è prevalentemente affidata ai LED, per il videoterminalista assiduo sottoposto alle emissioni da parte dei moderni monitor, nonché per il bambino, oramai utilizzatore di smartphone e tablet.

9.2 La compilazione della ricetta

Al termine di tutto il percorso si giunge alla fase della compilazione della ricetta, in cui tutto ciò che si è fatto, annotato e testato, viene messo nero su bianco, trasformando l’incontro con il paziente in un documento ufficiale. La chiarezza e la fluidità con cui tale documento sarà redatto costituiranno la linea guida su cui l’ottico potrà costruire la lente perfetta per il paziente, rappresentando oltretutto, per noi stessi al prossimo controllo, la traccia di ciò che si è evinto alla visita precedente.

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Nella redazione della ricetta spesso ci avvaliamo di ricettari prestampati in formato A5, minime dimensioni quindi e scarsissima versatilità della registrazione di dati e test effettuati.

Dal punto di vista grafico la ricetta dovrà riportare in alto i riferimenti del medico chirurgo oculista, la data della visita, il nome e cognome del paziente nonché la sua età. Nella zona centrale sarà presente una tabella divisa in due settori, una per l’occhio destro ed una per l’occhio sinistro con annessa scala graduata, da 0° a 180°, relativa all’asse del cilindro. In ogni settore la tabella sarà costituita da tre colonne, relative alla lente sferica, alla lente cilindrica ed all’asse del cilindro; nonché da quattro righe relative alla specifica dell’utilizzo per lontano, a permanenza, per vicino e del prisma. La riga per lontano farà riferimento all’uso di lenti da utilizzare dai 3 m fino ai 60 m e dovrà essere contestualmente associata alla registrazione della lente per vicino la quale garantirà una visione dai 30 cm ai 60 cm, riportandone il valore nella riga per vicino. Nel caso in cui non fosse presente presbiopia si provvederà a registrare i dati nella sola riga a permanenza relativa ad un utilizzo omnicomprensivo. Operativamente si riporteranno i valori diottrici della migliore correzione, ottenuta con i diversi test refrattivi, nei singoli campi di riferimento quali sfera, cilindro e asse del cilindro. È molto importante indicare chiaramente, ed in modo leggibile, il segno +/- anteposto al valore diottrico della lente sferica e/o cilindrica così come va posta molta attenzione alla sezione dell’asse della lente cilindrica. Tale valore viene espresso in gradi e deve essere contestualmente confermato attraverso una linea/freccia disegnata sulla scala graduata. Il sistema di posizionamento dell’asse del cilindro viene oggi universalmente definito secondo il sistema TABO (Technischer Ausschuss fur Brillenoptik), che consiste nell’indicare l’angolo in gradi che l’asse della lente cilindrica forma con il meridiano orizzontale nella metà superiore di una circonferenza ideale; questo angolo va da 0° a 180°, collocando, quindi, il valore 0° sul meridiano orizzontale in corrispondenza dell’orecchio sinistro.

Praticamente lo 0° sarà posizionato alla destra dell’esaminatore e la registrazione dell’angolo avverrà in senso antiorario.

L’universalità del sistema TABO deriva dal fatto che tutte le apparecchiature diagnostiche atte a rilevare l’astigmatismo (autorefrattometri, autocheratometri, topografi ecc.) utilizzano tale sistema rendendo merito della inutilizzabilità del vecchio sistema di rilevazione, in uso peraltro solo in Italia, quale il sistema internazionale. È da segnalare infatti che già da più di 7 anni è possibile scaricare on line il software della ricettazione elettronica con sistema TABO presente sul sito SOI alla voce SoiLens.

Andranno inoltre registrate tutte le informazioni utili all’ottico al fine di confezionare

9 - Fase della prescrizione 94 Refrazione e prescrizione lenti Luigi Mele - Andrea Piantanida - Mario Bifani

la lente più adatta al paziente indicandone la tipologia in base alle Linee guida descritte nel paragrafo 9.1 ed alle Tavole Occupazionali edite da Salmoiraghi & Viganò. Oltre a ciò dobbiamo ricordare che la nostra ricetta dovrà illustrare all’ottico quale sia non solo la lente da realizzare ma anche l’occhiale. Infatti se un paziente dovesse presentare asimmetrie facciali o atteggiamenti viziati del capo, sarà opportuno indicare che la montatura dovrà essere dotata di maggior duttilità, tale da poter essere meglio modellata su quell’habitus che abbiamo identificato.

Per maggiori informazioni si rimanda al Manuale Pratico di Montature ed al Manuale Pratico di Montature Pediatriche, entrambi pubblicati dalla Fondazione Salmoiraghi & Viganò.

Altro valore importante da verificare e registrare è la distanza interpupillare, parametro fondamentale, soprattutto nel caso in cui si voglia prevedere l’acquisto di lenti multifocali o progressive. Questo parametro, reperibile con interpupillometro o semplicemente con un righello durante il test di Hirschberg, va sempre calcolato e registrato, nonostante spesso sia l’ottico a provvedere nuovamente al rilevamento di questo importante dato. In ultimo, ma non per questo banale, la storia clinica del paziente, la sua anamnesi, possono dire tanto sul paziente e ulteriormente confermare quelle che sono state le scelte ottiche da noi disposte.

In riferimento a quelle che sono le disposizioni normative, c’è da sottolineare che una ricetta medica è un atto pubblico redatto da un esercente servizio di pubblica necessità. Pertanto anche la semplice prescrizione lenti va datata, firmata e timbrata, in modo da rendere identificabile il medico e salvaguardare lui stesso da problemi che possano in qualsiasi momento occorrere. Sarebbe opportuno però che ciascun professionista provvedesse alla redazione di una propria matrice di ricetta, dando il giusto spazio ad ogni esame oggettivo e soggettivo che egli, nella sua pratica ed esperienza clinica, ritenga opportuno eseguire routinariamente su ogni paziente. Al riguardo, per fornire un supporto operativo al medico oculista, insieme alla tavole Occupazionali la Società Italiana di Ottica Fisiopatologica (S.I.O.F.) ed il Comitato Scientifico della Fondazione Salmoiraghi & Viganò hanno elaborato un nuovo ricettario che riflette tali Linee Guida. Il ricettario è una funzione digitale e gratuita, presente sul portale www.fondazionesalmoiraghievigano.it, area “Servizi” denominata “compila ricetta”, stampabile in formato A4 e personalizzabile con le intestazioni del proprio studio, per la prescrizione di lenti oftalmiche e di lenti a contatto.

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