Woyzeck cercle rassegna stampa

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9 maggio 2013


8 maggio 2013


8 maggio 2013


8 maggio 2013



Woyzeck, viaggio itinerante in una tragedia

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maggio 9th, 2013

Va in scena, dal 9 al 12 maggio, partendo da Galleria Toledo e passando per altre location della città, la rappresentazione della tragedia incompiuta di Buchner. Quando il luogo è l’opera stessa. Il collettivo CERCLE porta a Napoli una propria rivisitazione dell’opera Woyzech, che lo scienziato George Buchner lasciò incompiuta per morte prematura. Questo elemento, che potrebbe apparire superficiale ai fini della messinscena, è di fatto la prima pietra di questo esperimento. Il regista Souphiène Amiar, in un incontro di qualche giorno fa, ci ha detto come sia proprio la struttura aperta dello scritto di Buchner ad aver concesso il tipo di lavoro sperimentale che il collettivo CERCLE si propone di affrontare da diversi anni, in differenti location. Si chiama Site Specific, consiste nell’elaborazione e l’adattamento dei luoghi fisici di ambientazione sulla base di uno sviluppo cooperativo tra la compagnia e artisti, portati con sé o ricavati dal luogo in cui l’opera è rappresentata, che contribuisca a far sì la tragedia si sviluppi anche a seconda dello spazio di manovra concesso dalla realtà in cui si cala l’operazione artistica. Non è un lavoro testuale in senso stretto, non interessa la scrittura in relazione al solo sviluppo di un intreccio: il Woyzeck è un’opera politica (nel senso etimologico del termine) che serba elementi e concetti intrinseci molto più rilevanti dal punto di vista comunicativo rispetto al dispiegarsi di una semplice trama: “Non ho nulla contro la canonica rappresentazione teatrale – dice Amiar – ma la tecnica del Site Specific prevede un approccio, un impegno e un lavoro sui luoghi molto diverso”. Quindi, la natura stessa dell’opera, incompiuta e priva di una successione logica delle sue scene, è terreno fertile per una rappresentazione teatrale originale e itinerante, che partirà da Galleria Toledo e permetterà allo spettatore di passare per la Chiesa di S.Giuseppe delle Scalze, infine dal museo Hermann Nitsch, dove avverrà quella che si annuncia come una performance “shock”. È in questi luoghi che sono stati attivati laboratori creativi, sinergie tra varie forme artistiche; è qui che si incrociano le più svariate forme espressive contemporanee. E’ tramite questo avvicendarsi di elementi che Woyzech ricerca un linguaggio comunicativo altro, diretto e calato nella maniera più tangibile negli ambienti in cui si dispiega la rappresentazione. L’entusiasmo e il dinamismo che la compagnia dimostra non sembrano essere, apparentemente, in contrasto con la saggezza che ognuno dei partecipanti abbia contribuito a immettere in questa operazione. Saranno 18 le persone coinvolte e dislocate nei diversi ambienti. Ci si augura che il risultato sia degno delle aspettative. Galleria Toledo sostiene questa operazione come una delle ultime della sua stagione. Oltre al teatro Stabile di innovazione, hanno partecipato alla messa in scena il Museo Hermann Nitsch, ALTRAdefinizione, Kyrahm e Julius Kaiser, Michael Ounsa, Compagnia Teatro Finestra, Teatro di Bottega, Pino Genovese, Marina Sciarelli, Nicole Riefolo, Cecilia De Paolis, Irene M-Vega, Renato Esposito, Paco Pennino, Giulia Ogrizek, Francesca Faller e i partecipanti al Woyzeck Lab. Andrea Parré


L’amaro in bocca che ti lascia Woyzeck maggio 12th, 2013 | Commenta

A Galleria Toledo è andata in scena un’opera di Georg Buchner, e che sarà in seguito nella Chiesa di S.Giuseppe delle Scalze e infine nel museo Hermann Nitsch. Ma il risultato delude le aspettative. Le premesse erano quelle di un grande lavoro, corposo e pieno. Il risultato disattende un po’ le aspettative sensazionalistiche, a beneficio del riconoscimento di un lavoro complesso e cerebrale, tuttavia caratterizzato da qualche limite comunicativo. Vedere un’opera come il Woyzeck di Georg Buchner, in scena fino al 12 a Galleria Toledo, realizzata dal collettivo Cercle, per la regia di Souphiène Amiar lascia un denso quantitativo di interdizione nello spettatore, contemporaneamente assalito dall’inebriante sensazione di un indecifrabile accumulo di interrogativi all’uscita della sala. Che in fondo è un grande complimento per uno spettacolo. In effetti sono tante le chiavi di lettura di un’opera principalmente visiva, condizionata da una parte dialogica inesistente, fatta solo di sporadici riferimenti al corpo originale che del testo ne rimane. Chi è Woyzeck? Che cosa può significare agli occhi dei contemporaneità? Quale peso specifico si può percepire se ci si lancia nell’operazione di valutare il grado d’attualità di uno scritto di questo tipo? Il risultato, è presto detto, è positivo, nella misura in cui l’intreccio, seppur limitato, ricalca una serie di topos letterari e un susseguirsi di accadimenti comuni. Ma questa messa in scena del Woyzeck si propone di essere tutto il resto, tutto ciò che nell’opera non è sensibilmente visibile, l’aspetto politico, quello morale, che giacciono sul fondo della narrazione. Ed è nelle atmosfere della chiesa di S.Giuseppe delle Scalze, tra lugubri miniature e chiaroscuri creati da giochi di luce saggiamente studiati, oppure ancora nell’impressionante location del museo Hermann Nitsch, che si dipana un racconto fatto di illustrazioni, danze “istrioniche” eil dramma di un proletario che cede nella maniera più illogica a ciò che pare l’apoteosi della logicità. E’ protagonista il sangue (quello vero), che scorre, catartico ed evocativo. Ma questo Woyzeck è anche una messa in scena che corre il rischio di non avere mai lo spettatore in pugno, di perderlo sacrificando un elemento basilare per la fruibilità di una qualsivoglia rappresentazione artistica: l’attenzione. Nella sua complessità dimentica la brevità, il ritmo e il ruolo fondamentale dell’interazione con chi ti guarda. Spiegare non è lecito a teatro, ma non lo è nemmeno l’autoreferenzialità, un concetto sì abusato nella critica, ma anche perché diretto e definito. La soddisfazione dello spettatore era a portata di mano, ecco il motivo dell’amaro in bocca per uno spettacolo eccessivamente cerebrale. Restano i complimenti alla compagnia, tutta, e a chi ha collaborato per rendere possibile quella che resta comunque un’impresa organizzativa dalle immense difficoltà e dagli infiniti ostacoli. Andrea Parrè Galleria Toledo, Teatro Stabile di innovazione, via Concezione a Montecalvario 34


Ma la sostanza?

Mercoledì, 15 Maggio 2013 00:00

Scritto da Caterina Serena Martucci

Teatro. Theatrum. Theatrom. Theaomai (vedere). In principio era teatro, ciò che credevamo di andare a vedere. L’appuntamento era innegabilmente presso un teatro, la Galleria Toledo. C’è un regista, c’è una compagnia, insomma tutti i presupposti (mai presupporre, si rischia di diventare supponenti...) per una rappresentazione teatrale. Verrebbe da porsi, ci si sarebbe dovuti porre, ci si dovrà porre la domanda: cos’è il teatro? Cos’è oggi qui teatro? Narrazione? Sembrerebbe di no. Denuncia? Chissà. Pura espressione? Forse. Ma per il momento fermiamoci con queste elucubrazioni, ché alla partenza eravamo bendisposti, sicuramente curiosi, accolti con un bicchiere di vino da Woyzeck in persona (ma non lo sapevamo...). Dunque partenza. Suona la campana e tutti compatti, seguendo una sorta di baldacchino da processione, raggiungiamo la chiesa di S. Giuseppe delle Scalze a Pontecorvo, alle spalle di piazza Dante, un gioiello stinto e malandato, ma enormemente ricco di fascino, del barocco napoletano. La chiesa, tuttora consacrata, anche se non officiata, è attualmente gestita da un coordinamento di associazioni, che svolgono un ruolo di cittadinanza attiva e cercano di animare la vita culturale e la consapevolezza politica (nel senso più antico e nobile del termine) del quartiere. Entrati in chiesa ci accoglie, proiettata sul muro della scala, una miniatura gigante, con un arcangelo che sconfigge un drago. La stessa spada di fuoco fiammeggiante la ritroveremo poco dopo dentro, nel presbiterio, sotto forma di angelo(?)/acrobata(?) con la spada di fuoco. Prendiamo posto a terra, nella navata, senza sapere che poi ci saremmo dovuti alzare, travolti dalla performance, ma questo viene dopo. Nel frattempo, tra gli stucchi cadenti, affascinati da quel senso di scoperta, da quella sorta di particolare voyeurismo che coglie chi si trova a sbirciare dietro una porta sprangata ma cadente, dietro un muro parzialmente crollato, sui lembi di un contesto archeologico sigillato che racchiude la promessa di racconto di qualcuno, qualcosa che fu. Finché l’occhio si posa sull’altare, illuminato di candele, e su una figura ieratica, una Madonna profana dal manto nero disseminato di stelle, immobile, dalle cui mani penzolano collane. Ondeggiano le fiammelle e ondeggiano le collane. Bella immagine. Però, però..però c’è qualcosa che turba l’animo, pur di per sé non particolarmente devoto alla Chiesa come istituzione, eppure attento al senso del sacro nella sua infinita esplicazione e contemporaneità spazio-temporale. Quello stesso perturbamento che coglie l’animo quando si scopre, sotto la vernice delle processioni mariane, una Afrodite, oppure una Hera o quando si coglie la danza priapica e itifallica che è dietro (davanti...) i portatori di stendardi delle processioni della Madonna dell’Arco e il loro triadico ritmo oscillatorio.


Insomma quel turbamento che coglie di fronte alla interpretatio cristiana dei luoghi del paganesimo, la necessità della nuova religione di appropriarsi di luoghi e riti per tenere legate le persone. Ecco, in questo uso di uno spazio sacro (ché ancora tale è, se fossimo in grado di sentire il numinoso) come fosse un luogo qualsiasi o meglio come se non fosse tale, ebbene in questo si sente come il senso di una perdita, più che di un arricchimento. Lo stesso turbamento che coglie nella seconda location (per usare un termine ormai di moda, quasi irrinunciabile), il museo Nitsh, dove vedremo una Madonna nuda infilzata di collane, col suo bambino proiettato sulla/nella pancia e un Woyzeck/Cristo ricoperto di sangue, senza sapere perché, compresi, attenti e attoniti astanti della performance. Viviamo in un’epoca in cui sembrano pochi gli autori che vogliano produrre storie per il teatro, storie da raccontare, belle o brutte che siano, e così, spesso, ci si rivolge ai classici, per riscriverli, reinterpretarli, risignificarli. Woyzec è un’opera incompiuta. D’accordo. Ogni interpretazione è possibile. D’accordo. Ogni sviluppo è possibile. D’accordo. La trama stessa è solo un ordito sul quale operare innumerevoli variazioni/completamenti senza che siano travisamenti. D’accordo. Tuttavia, seppure riscritto, reinterpretato, risignificato, bisognerebbe trovare qualcosa dell’originale nella sua ultima epifania. Qui? Cosa c’è di Woyzeck in questo Woyzeck? Labili, labilissime tracce, suggestioni eteree, singole parole. Il lavoro che abbiamo visto si caratterizza per una fortissima consapevolezza: ogni gesto è misurato e compreso di sé, ogni particolare, ogni oggetto in scena, ogni immagine, ogni secondo, sembrano avere un preciso significato (che ahimè sfugge al disarmato spettatore). Ciascuno degli attori/performers è un artista completo in sé. Le singole immagini, o forse quadri scenici sono molto efficaci, a volte coinvolgenti. Molto bello il momento in cui Woyzeck fa roteare, come uno sbandieratore, uno dei teli bianchi. Inquietante ed efficace il suo respiro attraverso un boccaglio da sub, mentre il suo corpo è avvolto in una busta dell’immondizia, prima di essere trasportato come un cadavere, come fosse già cadavere, sul feretro/baldacchino dietro il quale eravamo partiti, da Galleria Toledo, e che seguiamo dalle Scalze al museo Nitsch. Ma alla fine di questo percorso, quando ci si sia lasciati trasportare dal flusso della rappresentazione (?) e si ritorni al sé dopo la sospensione dell’incredulità (?) al comando degli organizzatori (ché tutti abbiamo seguito lungo la scala la Madonna delle collane, per scoprire che non avremmo dovuto, visto che lo spettacolo era finito...), quando si esce fuori, sul belvedere del museo Nitsch e si cerca dentro di sé un senso, o comunque una suggestione, si cerca di capire cosa hanno voluto dire, raccontare, mostrare, evocare, beh, lì si resta spiazzati, perplessi e dubbiosi. Come se tanta arte, tanta capacità, tanto sapere e consapevolezza fossero fini a se stessi e non orientati a comunicare qualcosa,qualsiasi cosa. Non vogliamo essere odiosamente pedanti e scolastici, con queste definizioni spicciole da manuale di linguistica, ma se il teatro è una forma di espressione utilizza un codice cui è affidato un messaggio. Quale? D’accordo, la forma è sostanza, ma la sostanza? Equivale alla pura forma? Stazioni di Emergenza Woyzeck liberamente ispirato a Woyzeck di Georg Büchner regia Souphiène Amiar con Collettivo Cercle produzione Galleria Toledo – Teatro Stabile d'Innovazione in collaborazione con Chiesa S. Giuseppe delle Scalze, Museo H. Nitsch, ALTRAdefinizione, Coordinamento Le Scalze fotografie Renato Esposito durata 2h 30' - Napoli, Galleria Toledo / Chiesa S. Giuseppe delle Scalze / Museo H. Nitsch, 11 maggio 2013


Woyzeck tra i Quartieri Spagnoli, le Scalze e il Nitsch. Uno spettacolo-installazione che parte dal teatro Galleria Toledo per poi muoversi verso la Chiesa di San Giuseppe delle Scalze ed il museo d'arte contemporanea. Il Colletivo Cercle ripropone l'opera di Buchner che li ha resi celebri e con cui ormai vengono identificati. Il progetto, che chiude la IV edizione della rassegna Stazioni d'emergenza di Galleria Toledo, si sviluppa attraverso un dialogo interdisciplinare nella perpetua ricerca di innovazioni stilistiche ed espressive, creando uno spettacolo-installazione che partendo dal teatro, si muove verso la Chiesa di San Giuseppe delle Scalze, completando il suo iter al museo Nitsch. LA PSEUDO-TRAMA - L'opera frammentaria da cui nasce la performance è un insieme di scene della vita del soldato Franz Wojzeck, il quale cerca di sostenere la compagna Marie, diventando addirittura cavia per esperimenti nel tentativo di guadagnare qualcosa. Ben presto Wojzeck si accorge del tradimento della sua compagna con un ufficiale, fino ad arrivare a sorprenderli di persona, ed allo scontro che ne seguirà. WOJZECK TRA I VICOLI DI NAPOLI - La sensazione iniziale è un generale disorientamento: iniziando con la processione che parte da Galleria Toledo, in cui vien innalzato, invece che il santo di turno, un bambino dei Quartieri Spagnoli, si giunge fino alla Chiesa delle Scalze, in cui il numeroso pubblico nella ricerca di un luogo in cui sedersi si trova dinanzi San Michele con la spada ardente tra le mani che illumina la scena: proprio la luce della spada ci mostra, dopo svariati minuti, la vera identità della madonna sopra l'altare, non inerme statua, ma attrice in posa plastica. LE INSTALLAZIONI E IL TEATRO - Lo spettacolo si compone di momenti del tutto estranianti alternati da immagini a tinte forti, volte ad evocare emozioni nascoste e celate nell'intimo dell'uomo. La ricerca dell'emozione vien perseguita forse troppo spudoratamente, tralasciando un elemento importante: la reale godibilità dello spettacolo che viene meno tra la freddezza del marmo, la forza dell'immagine non suffragata da un altrettanto forte motivazione e il continuo vagare per sale e luoghi. Ad una regia che lascia perplessi fa da contraltare l'intensità degli attori tutti, che mostrano con prove tecniche e fisiche notevoli, la vera indole del Colletivo Cercle e l'eccezionale lavoro di laboratorio che va avanti da diversi anni. Lucio Morsa

13 maggio 2013


Spettatori, scordatevi poltrone comode e il patio di fronte ai vostri occhi! Dal 9 al 12 maggio 2013, arriva a Napoli il teatro itinerante del collettivo Cercle e del progetto “Woyzeck”. Nato come compagnia teatrale alla fine dello scorso millennio, il collettivo CERCLE è cresciuto in molteplici direzioni allontanandosi gradualmente dagli spazi convenzionali e realizzando installazioni-performance, eventi e svolgendo progetti di teatro nell’educazione e in contesti di disagio. La Galleria Toledo di Napoli chiude i battenti per questa stagione artistica congedandosi dal pubblico con la collaborazione, innovativa e preziosa, con l’appena citato colletivo Cercle. Frutto della sinergia con un nucleo di artisti e professionisti provenienti da diverse discipline delle arti performative, Galleria Toledo chiude la stagione artistica con una vera e propria promenade performance itinerante. L'evento - che interesserà tre luoghi differenti della città (Galleria Toledo, il museo Nitsch e la Chiesa di S.Giuseppe delle Scalze) rappresenta un vero e proprio percorso performativo. Il primo step si realizzerà tutte le sere presso il Teatro Galleria Toledo che - a partire dalle 20.30 - si farà luogo di ritrovo per il pubblico che intende assistere allo spettacolo. Il cammino proseguirà verso la Chiesa delle Scalze, dove avrà luogo la fase iniziale della performance, che terminerà presso il Museo Nitsch, in vico Lungo Pontecorvo. "Woyzeck" è un dramma rimasto incompiuto e privo di una successione nelle scene che lo compongono per via della morte prematura dell’autore, lo scienziato e rivoluzionario George Buchner. Ispirato alla tragedia omonima, Woyzeck è un progetto del collettivo CERCLE che pone gli artisti e il territorio di riferimento sullo stesso piano e sulla medesima scena. La regia sarà di Souphiène Amiar e il messaggio che si vuole fare veicolare è Woyzeck come spazio aperto di dialogo tra linguaggi, artisti, territori e identità diverse che non trascuri alcuna voce. Lo spettacolo è itinerante in quanto “site specific”, dove testo, luogo e gente del luogo condividono in un tempo limitato una performance artistica attraverso la città e le sue strade. Obiettivo da non trascurare delle performance artistiche è la politica del fare. L’accezione di “politica” è da ascrivere alla definizione aristotelica,legata al termine "polis", che in greco significa città, la comunità dei cittadini. Secondo il filosofo, "politica" significava l'amministrazione della "polis" per il bene di tutti, la determinazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini partecipano ; ecco in questa dimensione che gli artisti del progetto Woyzeck “lavorano” restituendo una partecipazione ai cittadini, veri fruitori di ciò che è definito comunemente città. La partecipazione attiva del territorio ospitante manipola i codici espressivi dall’interno, generando i presupposti per la costruzione di un linguaggio comune tra artista e fruitore, alternativo allo standard, seppur di livello, che nella maggior parte dei casi ci viene proposto. Il “Woyzeck”, testo strutturalmente aperto al teatro contemporaneo, votato alla multidisciplinarietà, in continua ridefinizione, in cerca di codici espressivi e di luoghi, lontani da quelli istituzionali che non ne tengono in conto l’evoluzione storica e che rischiano di soffocarlo nella rigidità delle proprie strutture, per continuare a esprimere la necessità della sua esistenza. Gli artisti sono numerosi e con tutti vissuti e trascorsi formativi diversi: da Kyrahm e Julius Kaiser, artisti concettuali e body artist, alla ricerca trans-classica di Nicole Riefolo, ai costumi di Marina Sciarelli fino allo scultore e scenografo Pino Genovese. Lo spettacolo è assicurato e unico nel suo genere. (C.Crispino)

Redazione Sezione News c/o COINOR Università di Napoli Federico II - C.so Umberto I - 80138 Napoli contatti: redazionenews@unina.it - agendanews@unina.it - rubrichenews@unina.it


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