A
utunno. La Natura torna a dettare le sue leggi più dure. La pioggia si fa pesante, il vento inizia a soffiare freddo
e intorno tutto il verde brucia. La Terra si ripiega su sé stessa, disponendosi ad accogliere i semi sparpagliati durante i mesi dell’abbondanza e dei canti senza pensieri. E lo stesso facciamo noi, quasi cullati da una luce che cade più obliqua e un tempo che rallenta il suo respiro. A ben vedere il riuscire, nonostante tutto, a calarsi completamente nella sottile inquietudine dettata da questi ritmi è, probabilmente, l’unica via praticabile per assaporarne, poi, appieno gli inevitabili frutti.
ee Vi fa strada ancora una volta. Ci auguriamo che la compagnia continui ad essere di vostro gradimento. La Redazione di ee
Autumn, when nature starts again to dictate its most severe laws. The rain is heavy, the wind blows cold and the green around us is burnt. The Earth bends and prepares to receive the seeds scattered during the months of abundance and thoughtless songs. And we do the same, cradled by an oblique light and a time that slows down its breathing. Despite everything, succeeding in identifying with the subtle anxiety dictated by this pace is probably the only possible way to taste its inevitable fruits. ee guides you once again. We hope you will continue to appreciate it. The editorial staff of ee E d ito ria le
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a r i a t e r r a f u o c o a c q u a
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B e ppe S a n gi orgi
Itinerari dell’anima
s egue ndo le indicazioni de lla “se gnale tica re ligi o sa” p o p o lare
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I S e n s i d i R o m ag na
ITINERARIES OF THE SOUL_ FOLLOWING THE INDICATIONS OF THE POPULAR RELIGIOUS SYSTEM OF SIGNS
La campagna romagnola conserva una
Romagna’s countryside still has a sort of religious system of signs that does not lead to a physical destination, but rather to an internal destination of the soul and memories. These signs are small pillars and niches dedicated to the worship of sacred images, many of which have unfortunately disappeared. This handiwork has a popular nature, it can be rough or more elaborate, and it usually marks crossroads, field boundaries and sometimes the place where bloody events occurred, and which became places of popular worship. Especially in the hills, where the use of land is older, the fragmentation of property is stronger and the physical structure of the land is characterised by subsidence, hollows, ridges, torrents and streams. The old custom of pilgrims and wayfarers of picking up a stone and depositing it along the road or field in order to fix the material and spiritual points of reference that accompanies the long journeys of the faith originated here. Stone after stone, initially heaped and then orderly arranged, created the small pilasters, niches and wayside shrines that from 1600 onwards contained ceramic devotional plates mainly dedicated to the Virgin Mary. Every area had its favourite subject: the Virgin del Piratello in the area of Imola, the Virgin delle Grazie in the area of Faenza, of Fire in the area of Forlì and delle Grazie in Rimini. Several devotional practices were reinforced around the small pilasters and have survived to the present day, like the custom of gathering around these places of worship in the evenings of May to say the rosary. Bunches of wild flowers are often placed near the niches that have remained either empty or with fragments of the old image. This means that the small pilasters are still respected with old and sound devotion. In the past all men passing in front of them used to take off their hat and cross themselves, while women and children, before continuing their walk, said a Hail Mary and left a flower in the grid, probably stimulated by inscriptions such as: O peccator che percorri questa scoscesa via, arresta il passo e recita l'Ave Maria (Sinner walking along this steep road, stop and say a Hail Mary).
interiore dell’anima e del ricordo.
sorta di segnaletica religiosa che non porta ad una meta fisica ma a quella
S
ono pilastrini ed edicole dedicati alla venerazione di immagini sacre molte delle quali purtroppo sono
sparite. Si tratta di manufatti dal carattere popolare, alcuni rozzi e altri più elaborati, che segnano crocicchi, confini di proprietà, limiti di campi ed anche luoghi di fatti cruenti e che, nel tempo, sono diventati luoghi di culto popolare. Soprattutto in collina dove più antico è l'uso del territorio, più accentuato lo spezzettamento della proprietà e la conformazione fisica del territorio caratterizzata da avvallamenti, conche, crinali, torrenti e rii. Qui è nata l’usanza antica da parte di pellegrini e viandanti di raccogliere un sasso e di depositarlo al limitare della strada o del campo per fissare dei punti di rife-
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rimento materiali e spirituali che accompagnavano i
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lunghi viaggi della fede. Sasso dopo sasso, inizialmente ammucchiati e poi sistemati convenientemente, sono sorti i pilastrini, le edicole e le maestà che, dal Seicento in poi, hanno accolto targhe devozionali in ceramica, soprattutto di soggetto mariano. Con una predilezione che variava da zona a zona: la Madonna del Piratello nell'imolese, la Madonna delle Grazie nel faentino, quella del Fuoco nel forlivese e quella delle Grazie nel riminese. Attorno ai pilastrini si sono poi consolidate numerose e seguitissime pratiche devozionali giunte fino a noi, come l’abitudine di raccogliersi attorno a questi luoghi di culto nelle sere di maggio per recitare il rosario. Ancor oggi si possono vedere mazzetti di fiori di campo posti anche là dove le nicchie sono oramai vuote o conservano solo frammenti della vecchia immagine, lasciando intendere il permanere di un antico e solido rispetto devozionale per i pilastrini. Un tempo, infatti, gli uomini che vi transitavano davanti si toglievano il cappello e si facevano il segno della croce senza eccezione alcuna. Mentre donne e bambini non riprendevano il cammino se non dopo aver recitato un'Ave Maria e infilato un fiore nella grata, sollecitati in alcuni casi da iscrizioni quali: "O peccator che percorri questa scoscesa via, arresta il
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passo e recita l'Ave Maria". Te rrito rio
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A le s s a n dro An t on e l l i
La Buca del Tesoro
a lla r ice rca de lla “pig n at az a”
È probabile che ad un ominide del Paleolitico la visione di una grotta suggerisse sicurezza e calore ma, trascorsa la parentesi di assidua frequentazione tra il genere umano e le caverne, queste ultime hanno assunto un opposto significato nelle allegorie dei popoli.
L
e analogie tra leggende e dicerie che circondano il mondo sotterraneo sono sorprendenti, quasi sempre la fantasia popolare vuole che dal pozzo d’ingresso il budello raggiunga il centro della terra. Nel Nord Italia sono additate spesso come antico ritrovo di stre-
ghe o vetusto nido di draghi, mentre al sud diventano il rifugio di sibille e oracoli. Immancabilmente, però, a qualsiasi latitudine vi troviate, esse celano un tesoro; ovviamente maledetto. Mai l’occhio dell’avido dirà, cosi come non lo dicono il mare e l’inferno: mi basta. M. Alemán
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I S e n s i d i R o m ag na
Nell’alta Val Savio, presso la zona di Montione (un’ottantina di chilometri da Cesena), la fede dei villici nelle ricchezze custodite dal loro antro fu talmente radicata da spingere i topologi dell’IGM (Istituto Geografico Militare) a ufficializzarla sulle carte, che riportano la presenza della cavità con la dicitura “Buca del Tesoro”. Per raggiungerla è necessario percorrere l’antico selciato che porta al valico di Rotta dei Cavalli. Proprio sulla sommità del crinale, a più di mille metri dal livello del mare, si apre il pertugio che porta alla Buca del Tesoro, là dove di grotte non dovrebbero essercene. Questa singolarità è la scintilla che probabilmente ha innescato il meccanismo del mito. Comunque sia, gli abitanti della zona raccontano che circa un secolo fa due fratelli casentinesi tentarono di impadronirsi del tesoro. Per precauzione si fecero accompagnare da un fraticello che aveva il compito di recitare passi dei Libri Sacri mentre si inoltravano sotto terra. Tutto procedette per il meglio: i due fratelli trovarono la “pignataza” colma d’oro e stavano trascinandola all’esterno quando il frate, forse emozionato nel sentire il tintinnio del prezioso metallo, sbagliò una parola dell’orazione; come per incanto una folata di vento lo strappò dall’uscita della grotta trascinandolo verso un cielo che si stava facendo sempre più scuro e minaccioso. I due fratelli, caricato sul carro l’oro, si diressero sulla via del ritorno a rotta di collo mentre cominciava ad infuriare un fragoroso temporale. Guidati dai bagliori delle folgori giunsero finalmente sulla loro aia e corsero a rifugiarsi in casa. Fecero in tempo ad udire un fragore tremendo ed un fulmine si abbatté vicinissimo alla loro abitazione. Quando i due giovani si affacciarono alla porta al posto del carro rimaneva qualche tizzone carbonizzato. L’ultimo fulmine aveva colpito il loro oro; il diavolo si era ripreso ciò che gli era stato sottratto. A chi desiderasse, a distanza di un secolo, ritentare l’impresa possiamo solo consigliare l’utilizzo di una buona torcia elettrica e di un
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frate disinteressato ai beni terreni.
THE TREASURE’S HOLE_ LOOKING FOR THE “PIGNATAZA” (LARGE POT) For a Palaeolithic hominid the sight of a cavern meant safety and warmth, but after the aside of men regularly attending caverns, they acquired an opposite meaning in the allegories of civilisation. The analogies between the legends and rumours around the underground world are surprising and popular imagination wants that the alley reaches the centre of the Earth from the entrance well. In Northern Italy caverns are believed to be an old meeting place of witches or ancient dragons’ burrows, while in the South of Italy people believe that they are the shelter of sibyls and oracles. However, despite the latitude of the place where you are, caverns inevitably conceal an obviously damned treasure. In the upper Val Savio, near the area of Montione (about 80 km from Cesena), the villagers’ faith in the treasure preserved in their cavern was so immense that the topologists of IGM (Military Geographical Institute) made it official on the maps, where the cavern is called Buca del Tesoro (Treasure’s Hole). Buca del Tesoro can be reached from the old pavement that leads to the Rotta dei Cavalli pass. The narrow opening that leads to the Buca del Tesoro, positioned in a place where there should be no caverns at all, is on the top of a ridge, more than 1,000 metres above sea level. This peculiarity is probably the spark that led to the creation of the myth. However, the inhabitants of this area say that one century ago two brothers from the Casentino tried to take possession of the treasure. As a precaution, they went there with a young monk who had to recite the passages of the Sacred Books while the two brothers were penetrating underground. Everything was proceeding well: the two brothers found the pignataza (large pot) full of gold and were pulling it out when the monk, probably thrilled by the tinkling of the precious metal, pronounced a wrong word of the prayer. As if by magic a gust of wind tore him from the cavern exit and dragged him towards the dark and threatening sky. The two brothers loaded the gold onto the cart and hurried towards home, while a deafening storm was starting violently. Guided by the flashes of the lightening, the two brothers reached their farmyard and took shelter in their house. Then they heard a terrible noise and a bolt of lightning struck next to their house. When the two brothers went to the door, they saw burnt embers instead of their cart. The last lightning bolt struck their gold: the Devil had regained possession of what had been stolen from him. One century later, should you be interested in this task, we strongly recommend a good electric torch and a monk not interested in material goods. Te rrito rio
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Ma rc e l l o Ci c ogn a n i
Lungo la Valle del Montone
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itine rar io n at u ralist ic o
Come avanza la civiltĂ , 08
I S e n s i d i R o m ag na
Quest’itinerario parte ai piedi dell’Appennino forlivese, in quella zona d’Italia che nel XVI e XVII secolo ricopriva la propaggine più orientale del Granducato di Toscana.
F
u esattamente qui che, nel 1564, Cosimo de’ Medici fondò Terra del Sole sì da farne il centro amministrativo, militare, giudiziario
e religioso di tutta la Romagna-Toscana. Il paese progettato da Baldassarre Lanci – che conserva intatta l’originale struttura a pian-
ta rettangolare e la prospettica Piazza Garibaldi – rappresentò il tentativo di realizzare quell’utopica città ideale (per funzionalità e, soprattutto, estetica) tanto vagheggiata dagli uomini del Rinascimento. Poco distante sorge il centro di Castrocaro Terme – con le sue acque salso-bromo-iodio-litiose – che ancora sfoggia due cerchie di mura sovrastate dalla rocca medievale. Da qui si prosegue lungo l’antichissima strada che da Forlì porta a Firenze: si tratta, infatti, di una delle direttrici più utilizzate da mercanti, viandanti e “clerici vagantes” sin dai tempi dell’Impero Romano. La statale 67 (così, oggi, è chiamata) attraversa Rocca San Casciano proprio sotto l’antico castello di cui sono ben visibili i possenti bastioni. Il paese, posto in una conca assai fertile, merita una sosta nella singolare piazzetta triangolare e per ammirare un tondo di Andrea della Robbia, custodito nella Chiesa del Suffragio (sec. XVII-XVIII). Portico di Romagna conferma appieno il ricco passato di cui ha goduto questa zona. Il gruppo di case, disposto su tre piani, ha con-
servato quasi del tutto l’aspetto medievale: nella parte bassa si trovano i borghi e le botteghe artigiane, raccordati dal bel Ponte della Maestà eretto in pietra viva; in quella intermedia spiccano i palazzi costruiti fra XIII e XIV secolo dai nobili casati fiorentini, fra cui quei Portinari dai quali discendeva Beatrice che Dante tanto amò; infine, nella parte alta, si stagliano l’onnipresente castello e la pieve. Giunti a San Benedetto in Alpe una piccola deviazione vi permetterà di raggiungere le “Cascate dell’Acquacheta”. Dotate di una quiete quasi ipnotica, già esaltata da Dante nel XVI canto dell’Inferno, sono una meta imperdibile sia per gli amanti del trekking (l’anello che vi si snoda attorno è fra i più belli ed accessibili di questa parte di Appennino) sia per chi è alla ricerca di un po’ di tranquillità. Da San Benedetto, poi, solo pochi, ma ripidi, tornanti vi separano dal Passo del Muraglione – così chiamato per l’enorme muro fatto erigere, fra le due carreggiate, dal Granduca Leopoldo II con lo scopo di offrire riparo ai viaggiatori di passaggio – dove immancabili nugoli di motociclisti sostano per ristorarsi e scambiare racconti (e favole) sulle rispettive imprese a due ruote. Sperimenterete come,
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siate motociclisti o meno, mischiarsi un po’ a quella torma non potrà che agevolare la scelta di quale nuova direzione prendere.
ALONG THE MONTONE VALLEY_ NATURALISTIC ITINERARY This itinerary starts at the foot of the Apennines of the Forlì area, in that Italian area that in the 16th and 17th centuries covered the most Eastern part of the Granducato di Toscana. Here, in 1564, Cosimo de’ Medici founded Terra del Sole, with the aim of making it the administrative, military, legal and religious centre of the entire Romagna-Tuscany region. The small town planned by Baldassarre Lanci – which has still the original structure with rectangular plan and the perspective Piazza Garibaldi – was an attempt to create that utopian ideal town (from the point of view of functionality and aesthetics, above all) much longed for by the Renaissance born men. Not far away is Castrocaro Terme – a small town famous for its salt-bromine-iodine-lithia water- that boasts two circles of walls overlooked by the medieval fortress. From this point you go along the old road connecting Forlì and Florence, one of the guiding roads most used by merchants, wayfarers and clerici vagantes since the Roman Empire. The state road 67 (as it is called today) crosses Rocca San Casciano just under the old castle from which the powerful ramparts can be seen. This village is in a very fertile basin and is worth a visit, especially for its unusual triangular small square and a tondo by Andrea della Robbia in the Chiesa del Suffragio (17th-18th centuries). Portico di Romagna confirms the rich past that this area enjoyed. The group of houses is arranged on three floors and these dwellings still have a medieval look. In the lower part of the village there are the suburbs and craftsmen’s workshops, connected by the beautiful bridge Ponte della Maestà, built in stone. In the middle part of Portico di Romagna there are the palaces built between the 13th and 14th centuries by noble families from Florence, like the Portinari, from which Beatrice, whom Dante fondly loved, descended. In the upper part the omnipresent castle and church stand out. The Cascate dell’Acquacheta (falls) can be reached from San Benedetto in Alpe, by means of a deviation. The almost hypnotic quiet, exalted by Dante in the 16th Canto of his Inferno, are a destination that trekking lovers (the ring around them is one of the most beautiful in the Apennines of this area) and those looking for peace cannot miss. From San Benedetto, after a few but steep hairpin bends you reach the Muraglione Pass– whose name (large wall) derives from the huge wall built between the two carriageways by Grand Duke Leopoldo II in order to give shelter to travellers. There you will meet crowds of motorcyclists refreshing and telling stories (and tales) about their deeds with their motorcycles. You will see, whether you are motorcyclists or not, that mixing with this crowd for a while will certainly facilitate your choice of the direction to follow.
la poesia quasi inevitabilmente declina.
T.B. Macauly
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Al e s s a n dro An t onelli
L’enigma Bendandi
l’ uomo de i te r re moti Tra tutti i figli della Romagna che nei modi più disparati hanno dimostrato il loro legame con la terra, Raffaele Bendandi è certo uno di quelli che ha sviluppato questo rapporto nel modo più singolare.
N
ato a Faenza il 17 ottobre del 1893, Bendandi dedicò tutta la sua vita alla scienza con un
occhio rivolto agli astri e l’altro ai sussulti della crosta terrestre nel tentativo di individuare il filo invisibile che egli era certo collegasse i due ambiti. Completamente autodidatta, propugnatore di una tesi che si scontrava con le teorie avvalorate dalla comunità accademica, Bendandi percorse negli anni una strada sempre in salita, snobbato quando
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Among all the sons and daughters of Romagna who have always showed their link with earth in the most varied ways, Raffaele Bendandi certainly is one of those sons who developed this relationship in the most unusual way. Bendandi was born in Faenza on 17th October 1893 and devoted his entire life to science, with one eye looking at stars and the other observing the tremors of the earth’s crust, with the attempt to find an invisible thread connecting the two fields. Self-taught and the supporter of a thesis that was in conflict with the academic community’s theories, Bendandi’s path was always uphill and snobbed, if not mocked, by the official scientific bodies. His experience as a watchmaker and wood carver was precious for the construction of his very sensitive seismographs and all other devices that he used to calculate his parallelograms of endogenous forces, which drew a parallel between the phenomenon of tides and the landslides of the earth’s crust. In 1922 the publisher Vallecchi asked him to write an essay on his theories and promised him abundant remuneration. Bendandi rejected the offer because his system was not yet complete. However, the fame of this seismologist from Faenza went beyond the restricted group of his initial supporters and became famous throughout Italy (and also abroad) as the man of earthquakes, thanks to some events that excited the public opinion. One of these events dates back to 1929 when Raffaele Bendandi was received by the prefect of Bologna and Bendandi told the same prefect that according to his calculations Bologna would be struck by an earthquake. The prefect decided not to spread the information in order to avoid useless panic, but the earthquake arrived on time and the prefect, who had decided to spend the night in a carriage in the railway station, woke with a start. After a few years the same thing occurred in the area of Pisa, where Bendandi tried to warn Cardinal Mazzi, who was the manager of Pisa’s observatory. Also on this occasion Bendandi was treated with arrogance and after his forecasts came true, he rejected the Cardinal’s invitation to co-operate with the observatory. Many other earthquake forecasts made by Bendandi during his life came true. He often predicted earthquakes remarkably in advance, like in the case of Ancona, when Bendandi sent a written warning to the mayor 10 days before the earthquake. However, Bendandi never succeeded in completing his theories and never told his secrets to anyone and they were buried with him at the beginning of November 1979, because of the mistrustfulness that had always surrounded him.
J.W. Goethe
Se le scimmie sapessero annoiarsi diverrebbero presto uomini.
THE BENDANDI ENIGMA_ THE MAN OF EARTHQUAKES
non deriso dalla scienza ufficiale. L’esperienza come orologiaio e intagliatore di legno gli fu preziosa nel costruire i suoi sensibilissimi sismografi e quant’altro gli servisse a calcolare i suoi “parallelogrammi di forze endogene”, che in qualche modo mettevano in parallelo il fenomeno delle maree con gli smottamenti della crosta terrestre. Nel 1922 l’editore Vallecchi gli propose di redigere un saggio delle sue teorie promettendogli un compenso principesco: Bendandi rifiutò poiché il suo sistema non era ancora completo. Ma se la fama del sismologo faentino uscì dalla ristretta cerchia dei suoi iniziali sostenitori fino a farlo conoscere in tutta Italia (e non solo) come “l’uomo dei terremoti”, lo si deve principalmente ad alcuni episodi che allora eccitarono l’opinione pubblica. Uno di questi risale al 1929 quando Raffaele Bendandi si fece ricevere dal prefetto di Bologna e gli annunciò l’imminenza con cui, secondo i suoi calcoli, un sisma si sarebbe abbattuto sulla città. Questi, non volendo rischiare di scatenare il panico inutilmente, gli impose di non diffondere la notizia; il terremoto si verificò puntualmente svegliando di soprassalto il prefetto che aveva, comunque, deciso di trascorrere la notte in una carrozza ferroviaria alla stazione. Qualche anno dopo si ripeterà lo stesso copione nel pisano, dove Bendandi cercò di mettere in avviso il cardinal Mazzi che al tempo dirigeva l’osservatorio di Pisa. Anche questa volta lo scienziato faentino venne trattato con sufficienza e, proprio per questo, dopo che le sue previsioni si furono avverate, rifiutò l’invito del cardinale a collaborare con l’osservatorio. Molte altre furono le predizioni esatte dei fenomeni sismici che Bendandi compì durante la sua vita, spesso con notevoli margini d’anticipo sull’evento come nel caso del suo avvertimento mandato per iscritto al sindaco di Ancona dieci giorni prima del terremoto. Tuttavia egli non riuscì mai a completare la sua teoria e assediato dalle diffidenze non rivelò a nessuno i suoi segreti che lo seguirono nella tomba agli inizi del novembre 1979.
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B e ppe S a n gi orgi
L’inizio dell’inverno in Romagna
foto Circolo Fotografi Casolani
tra fre ddo, sagge zza popola re e prov erb i
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Nella Romagna di un tempo non esistevano le mezze stagioni.
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termini primavera ed autunno non erano usati nelle espressioni dialettali, ma si
parlava solo di buona e cattiva stagione. Che si davano il passo il 1° marzo ed il
25 novembre, giorno dedicato a Santa Caterina, che segnava l'inizio ufficiale dell'invernata. Sentenziava infatti uno dei proverbi più conosciuti in Romagna: Santa Catarena/ da la neva a la finestrena (Santa Caterina/ dalla neve alla finestrina). Qualcuno più prudente affermava invece: Per Santa Catarena/ arvess la finestra e a végh la brena (Per
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Santa Caterina/ apro la finestra e vedo la brina). Neve o brina, la sera del 25 novembre si accendeva sull'aròla (il focolare) il primo fuoco dell'invernata e, per la gioia dei bambini, si iniziava a "mettere il fuoco a letto". C'erano anche altri motivi di festa per i bambini perché in questo giorno era usanza che i panifici esponessero dei biscotti, degli zuccherini e dei dolcetti a forma di gallina, di galletto o di donnina; mentre in altre zone si vendeva e si regalava torrone. La festa e il grande fuoco sull'aròla scaldavano il sangue anche agli adulti, specialmente agli innamorati. Infatti, la sera di Santa Caterina era usanza che il moroso facesse visita alla fidanzata facendosi precedere dal bracco, una persona anziana ed esperta incaricata di far filare tutto liscio fino al matrimonio, il quale reggeva un sac-
foto Circolo Fotografi Casolani
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chetto di marroni che avrebbero rallegrato la serata cotti sulla fiamma del focolare o bolliti con le foglie di alloro. Non tutti, però, venivano mangiati: una parte veniva data al ragazzo perché la portasse ai genitori, chiudendo così un cerchio di doni e di auguri che le famiglie contadine si facevano l'un l'altra preparandosi ad affrontare la lunga stagione del freddo. E per superare l'inverno la saggezza popolare, dettata dalla miseria, consigliava di fare provvista di legna verde che dura a lungo perché brucia a fatica; di pane duro che fa riuscita oltre i tempi soliti e di vino aspro che si conserva a lungo perché si beve in piccole quantità.
THE BEGINNING OF WINTER IN ROMAGNA_ COLD WEATHER, POPULAR WISDOM AND PROVERBS In the Romagna of the past there were no in-between seasons. The terms spring and autumn were not used dialect, they talked about the good and the bad season. These two seasons were scanned by two dates: 1st March and 25th November, the day of Saint Catherine, the official beginning of winter. One of the most famous proverbs in Romagna stated: Santa Catarena/ da la neva a la finestrena (Saint Catherine with snow on the window). A more prudent one stated: Per Santa Catarena/ arvess la finestra e a végh la brena (Saint Catherine/ if I open the window I will see the frost). With snow or frost, on the evening of 25th November the first fire of winter was lit in the aròla (fireplace) and people started, to the great joy of the children, to warm their beds with pans containing embers put inside wooden structures (mettere il fuoco a letto, i.e. putting fire in the bed). There were other reasons why children celebrated: bakeries used to make and show biscuits, sweets and small cakes in the shape of hens, young cocks and little women while in other areas torrone was sold and given. The party and fire on the aròla warmed the blood of adults, too, especially of those in love. In fact, on the evening of Saint Catherine the moroso (boyfriend) used to visit his girlfriend, preceded by the bracco, a wise elderly who had to make sure that everything went smoothly until the wedding. The bracco used to bring a small bag of chestnuts in order to brighten up the evening, and they were cooked in the flame of the fireplace or boiled with leaves of laurel. Not all chestnuts had to be eaten: some of them were given to the young man, who took them to his parents, so that a circle of presents and wishes among the families of the farmers preparing themselves for the long and cold winter was closed. To overcome winter, popular wisdom, often dictated by poverty, suggested making provisions of green firewood, which lasted longer because it burnt with difficulty, of hard bread because it lasted longer, too, and sour wine because it could be preserved for a long time and was drunk in small quantities. S to ria
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Ma rc e l l o Ci c ogn a n i
Ridere in Romagna
Pla uto e l’ ar te de l buonum o re
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detto popolare
I S e n s i d i R o m ag na
confondili!
Se non puoi
convincerli,
Chi conosce la Romagna, o anche chi ne ha solo sentito parlare, di certo saprà dell’adamantina e diretta sincerità che contrassegna l’indole di chi abita questa terra.
U
na sincerità che tocca tutte le dimensioni della vita – siano esse il lavoro, la morte, l’amore o la fortuna – e trova la propria valvola di sfogo ideale nel piacere della burla, dello scherzo e della risata liberatoria.
Ma se tale inclinazione può considerarsi appurata, scovarne l’origine o i motivi della nascita è compito più arduo. Possiamo, però, tra il serio e il faceto, azzardare qualche ipotesi esaminando l’opera di uno dei tanti personaggi illustri che qui son venuti alla luce. Tito Maccio Plauto nacque, infatti, nel 254 a.C., a Sarsina; villaggio che, sebbene al tempo ancora appartenente all’Umbria, era già geograficamente compreso in quella Romagna di cui Plauto avrebbe evidenziato tutta la verve. Egli fu, senza alcun dubbio, il più sfrontato, nonché gustoso, commediografo latino. La sua salacità, i suoi lazzi, i dettagli sconci e la superficiale introspezione psicologica divennero proverbiali nell’antichità; ma è altrettanto vero che egli fu anche poeta profondamente umano e della poesia seppe far apprezzare il profumo e l’essenza. Le sue commedie non furono mai una cinica compiacenza del vizio quanto, invece, un chiaro tentativo di comprendere le oscillazioni della vita. Nel bene come nel male. E se, nello stravolto e ridondante mondo di Plauto, il parassita, la donna scostumata, il figlio scavezzacollo, il soldato smargiasso e le mezze figure costituiscono il centro naturale, è altrettanto vero che, nello stesso mondo, trovano posto l’eroismo di Tindaro, l’amicizia di Callifone o la fedeltà di Alcmena. La sua comicità è omnicomprensiva, mentre il suo riso non è mai imbevuto di malignità ma squillante, scanzonato e sempre teso ad illuminare la verità. In questo fuoco, dunque, par dibattersi lo spirito di Romagna. Fuoco appiccato da una schiettezza, forse, a volte un po’ rude e sbrigativa ma mai irrispettosa, poiché temperata da quell’odio al falso, al convenzionale, alla posa e all’esagerazione che qui è stato sempre sentito come una
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tradizione cromosomica sia di razza che d’ambiente.
LAUGHING IN ROMAGNA_ PLAUTO AND THE ART OF GOOD MOOD
Whoever knows the Romagna region, or has simply heard of it, will certainly know that the inhabitants of Romagna are characterised by genuine and direct frankness. This frankness concerns all situations of life: work, death, love and fortune, and finds its ideal outlet in the pleasure of fun, jokes and liberating laughter. This inclination is ascertained, but discovering its origins and reasons is no easy task. Half in jest, you can hazard a guess through the analysis of the work of one of the famous characters from Romagna. Titus Maccius Plautus was born in 254 b.C. in Sarsina; a small village that belonged to Umbria, but was geographically included in that Romagna whose verve was pointed out by Plautus. He was undoubtedly the cheekiest and most agreeable Latin playwright. His sharpness, jokes, obscene details and superficial psychological introspection became proverbial in ancient times. However, he was also a deeply humane poet who succeeded in making people appreciate poetry for its perfume and essence. His comedies were never cynical complaisance of vices, but rather a clear attempt to understand the vibrations of life, both the good and the bad ones. If, in Plautus’ upset and abounding world, the parasite, loose woman, reckless son, bragging soldier and half characters are the natural centre, there is also plenty of space for Tindarus’ heroism, Callifone’s friendship or Alcmena’s faithfulness. Plautus’ comedy is all-embracing and his laughter is not malicious, but rather sharp, easygoing and aiming at highlighting the truth. The spirit of Romagna seems to struggle in this fire, a fire set by frankness, which may seem rude and hasty, but never lacking in respect and it hates falsity, conventionality, posing and exaggeration and which is a chromosomal tradition of the people and land of Romagna.
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E’ assurdo il detto popolare che vuole che un uomo trasformato
A le s s a n dro An t on e l l i
La Romagna delle osterie
luoghi di se colare c o n vivio e. . .
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dall’ubriachezza; al contrario, i più sono trasformati dalla sobrietà.
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A tutt’oggi non è un’impresa impegnativa, in Romagna, trovare il modo di farsi servire un bicchiere di Sangiovese.
L
a più rustica delle “hostarie” odierne ha un volto ormai molto diverso da quello delle sue antenate, dove generazioni di contadini, marinai, bottegai o sensa-
li hanno scavato, negli anni, le orme dei loro boccali sui tavolacci. Non è facile stabilire una data di nascita delle osterie, ma nel 1800 erano già numerose: spuntavano ai bordi dei crocicchi famosi, nei luoghi dove i postiglioni davano il cambio ai cavalli o sugli sterrati secondari percorsi dai birocciai. Tranne rare eccezioni si assomigliavano tutte: una frasca abbracciata al battente invece di insegna, una tabella recante il costo delle libagioni affissa al robusto portone munito di spranghe, un piccolo atrio e una seconda porticina detta “bussola”. Spesso le osterie erano collocate sotto il livello stradale; in fondo alla scaletta che scendeva dietro la bussola potevano apparire come antri semibui resi opachi da fumo e fuliggine, risonanti di un vociare indistinto. Allora cosa spingeva, oltre naturalmente al vino, gli avventori a dilapidarvi i pochi risparmi, quando non più spesso a contrarvi debiti continui? Il fatto è che le osterie erano il luogo dello scambio, uno scambio non necessariamente economico: ci si potevano scambiare aneddoti, esperienze, idee o magari bestemmie, erano il luogo in cui si conservava la saggezza o l’ignoranza popolare. Vi accadevano e si raccontavano eventi inspiegabili, misteriosi, come quello accaduto all’osteria “de Gevul” a Savignano, così chiamata perché durante l’immancabile temporale uno sconosciuto dal volto seminascosto (successivamente identificato come il diavolo), entrato all’improvviso, avrebbe chiesto al becchino del paese di restituirgli il corpo del morto seppellito in giornata di cui aveva smarrito l’anima. Durante i periodi di maggiore instabilità politica, poi, le osterie diventavano il luogo in cui si organizzavano congiure e rivoluzioni come testimoniano i nomi di alcune di queste, uno su tutti quello della vecchia osteria di Rimini: “Catena dla Forza e Curag”. Spesso divenivano la roccaforte delle tradizioni popolari, è il caso dell’“Ustareja d’ Marianaza” (Faenza) dove la notte di San Silvestro del 1844 alcuni giovani squattrinati idearono “e Luneri di Smembar” che da allora continua a scandire i giorni e gli anni dei romagnoli. Più di tutto, le osterie, quelle seminascoste frequentate da fuggiaschi e contrabbandieri come quelle celebrate per le proprie cantine sono state per quasi duecento anni il dove dimenticarsi di quel che non si poteva avere, il dove una risata allontanava la miseria, il dove una regione frammentata e vessata si riuniva sotto
foto d’archivio
THE ROMAGNA OF TAVERNS_ PLACES OF AGE-OLD FEASTS AND … In Romagna it is not difficult to find a place where a glass of Sangiovese is served. However, the most rustic hostarie (taverns) of today are rather different from the original ones, where generations of farmers, seamen, shopkeepers and brokers dug the marks of their jugs into the large tables. The date of birth of these taverns is not easy to define. In 1800 there were many and were positioned near famous crossroads, where the postillions changed the horses or along the secondary dirt roads where cart drivers used to go. They were all very similar, apart from a few exceptions. They had a branch embracing the wing that replaced a sign, a table with the prices of the libations affixed to the stout door with bolts, a small entrance and a second door called bussola (screen). Taverns were often underground. At the bottom of a small staircase behind the screen there were semi-dark holes made opaque by smoke and soot, resonant with an indistinct noise of voices. Which were the reasons, besides wine of course, that led people to dissipate their scarce savings, and, more often, to make debts in these taverns? Taverns were the place of exchange, and not necessarily economic ones. Anecdotes, experiences, ideas, and also oaths were exchanged, the place where popular wisdom or ignorance was stored. Inexplicable and mysterious events happened and were told, like what happened at the tavern de Gevul in Savignano. The tavern was called de Gevul (Tavern of the Devil, in dialect) because during the usual storm a stranger hiding his face (subsequently identified as the Devil) suddenly arrived in the tavern looking for the gravedigger of the village, who had to give him back the corpse of the person buried that day whose soul had been lost. In the periods of political instability taverns became the place where plots and revolutions were organised, as many taverns show. The old tavern of Rimini called Catena dla Forza e Curag (Chain of Power and Courage) is an example. They often became the stronghold of popular traditions, like the Ustareja d’ Marianaza (in Faenza) where on the night of 31st December of 1844 some penniless young people created the e Luneri di Smembar (a calendar) that still scans the days and years of the people of Romagna. Above all, taverns, especially the hidden ones and the ones frequented by fugitives and smugglers, like those celebrated for their cellars, have been, for almost 200 years, a place for forgetting what one could not have, where laughter removed poverty, the place where a fragmented and oppressed region met in the sign of its Sangiovese.
il segno del suo Sangiovese. Pa ssio n i
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foto archivio Poderi dal Nespoli
I up pi Pa gl i e r i
Colline verdi, rosse di vino
sinuose ar m o n ie d i g u st o
Percorrendo la Valle del Bidente, sulle colline forlivesi, poco dopo il centro abitato di Cusercoli si arriva nella frazione di Nespoli (177 metri sul livello del mare).
Q
ui ha sede l’azienda vinicola “Poderi dal Nespoli”, fondata nel 1929. Posta in una felice posizione, caratterizzata da forti escursioni termiche fra il giorno e la notte ed un terreno particolarmente votato nella produzione di vino, l’azienda Nespoli è madre di alcu-
ni rinomati nettari. Vini prodotti elusivamente da uve proprie e quindi sottoposte ad un processo di vinificazione attento ed accurato che inizia direttamente in campagna, nelle vigne dove vengono prediletti impianti e lavorazioni atti a migliorare la qualità del prodotto finale. Le più aggiornate tecniche enologiche e le moderne attrezzature di cui è dotata l’azienda consentono poi di ottenere grandi prodotti in costante miglioramento. GREEN HILLS, RED WITH WINE_ SINUOUS HARMONIES OF TASTE
foto archivio Poderi dal Nespoli
Going along the Valle del Bidente, on the hills around Forlì, after the small village of Cusercoli we arrive in Nespoli (177 m above sea level), where we find the wine producing estate Poderi dal Nespoli, founded in 1929. In a lucky position, characterised by a great temperature range and excellent soil for the production of wine, Nespoli boasts some very famous wines. Nespoli’s wines are exclusively produced from its own grapes and undergo a thorough process of vinification that starts in the countryside, in the vineyards where systems and processing for the improvement of the end products are always used. Nespoli’s most advanced wine producing techniques and modern equipment allow for constantly improving excellent products.
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I S e n s i d i R o m ag na
foto archivio Poderi dal Nespoli
BORGO DEI GUIDI (Igt) Vitigno Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Raboso del Piave. L’uva viene raccolta a mano, selezionando quella migliore, e posta in cassette. La vinificazione si effettua mediante pigiatura e diraspatura, fermentazione in vasche di acciaio a temperatura controllata. Trasferimento in barrique di rovere Allier per dodici mesi. Ulteriore affinamento in bottiglia per un anno in cantina a temperatura costante prima di essere immesso nel mercato. Si presta ad un lungo invecchiamento. Il colore è rosso rubino intenso con un profumo ampio, persistente e speziato. Il sapore è caldo, avvolgente, con tannini soffici e finale persistente. Ottimo per arrosti di carne rossa, pollame, cacciagione, selvaggina. Vine: Sangiovese, Cabernet Sauvignon and Raboso del Piave. Grapes are hand-harvested and the best grapes are selected and placed in boxes. Vinification is made by pressing and destemming and fermentation in steel tanks at a controlled temperature. The wine is then transferred in Allier oak barriques for 12 months and improved in the bottle for one year, in cellars at a constant temperature, before it is marketed. Can be aged for a long time. Intense ruby red with wide, persistent and spicy bouquet. Warm and persistent taste with soft tannins and persistent aftertaste. Excellent with roasts of red meat, poultry and game.
IL NESPOLI (Igt) Vitigno Sangiovese 100%. Raccolta intorno a metà ottobre, rigorosamente a mano e selezionata. La vinificazione è effettuata nel rispetto delle più tradizionali tecniche, maturato in barrique francesi e americane al 2° e 3° passaggio per dodici mesi. Vino che si presta ad un lungo invecchiamento. Dal colore rosso rubino intenso, ha un profumo ampio, con note di tostato e frutta rossa. Dal sapore caldo con aromi concentrati di ciliegia marasca, è particolarmente adatto per accompagnare piatti a base di cacciagione, selvaggina, brasato, formaggi a pasta dura stagionati. Vine: 100% Sangiovese. Grapes are hand-harvested in mid-October and selected. Vinification is made with the most traditional techniques. Wine is aged in French and American secondary and tertiary passage barriques for 12 months. This wine can be aged for a long time. Intense ruby red with a wide bouquet and roasted and red fruit notes. Warm taste with concentrated fragrance of marasca cherry, excellent with game, braised beef and matured hard cheeses.
PRUGNETO (Sangiovese di Romagna DOC) Vitigno Sangiovese 100%. Vendemmia a mano nella prima quindicina di ottobre. Vinificazione con pigiatura, diraspatura e fermentazione in piccoli contenitori di acciaio. Maturato al 25% in barrique di rovere francese, successivamente assemblato e affinato in bottiglia prima della commercializza-
N. Clarasò
Si presenta con un colore rosso rubino con riflessi violacei e con un sapore duraturo, fruttato, con nota leggermente speziata. Il sapore si caratterizza per essere intensamente fruttato, avvolgente, con tannini soffici e finale persistente. È adatto per arrosti di carne bianca e rossa, formaggi semiduri non molto saporiti. Vine: 100% Sangiovese. Hand-harvest in the first two weeks of October. Vinification with pressing, destemming and fermentation in small steel containers. 25% is aged in French oak barriques; it is subsequently assembled and improved in the bottle before being marketed. Good ageing capacity. Intense ruby red with a purple tinge and a long-lasting, fruity and slightly spicy note. Intensely fruity and persistent taste with soft tannins and persistent aftertaste. Serve with roasts of red and white meat and semi-hard cheeses with a delicate taste.
foto d’archivio
Il corpo, se lo si tratta bene, può durare tutta una vita.
zione. Buona capacità d’invecchiamento.
En o g a stro n o mia
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foto d’archivio
I u ppi Pa gl i e r i
Con le mani nella marmellata
da lla sto ria al vaset t o
In una terra ricca di alberi da frutta come è la Romagna, non si può non parlare di marmellate.
N
ulla a che vedere con la frutta fresca, certo, ma le marmellate rappresentano sicuramente un prodotto interessante e gustoso. Il nome “marmellata” deriva dal portoghese marmelo (mele cotogne). Notizie di questo prodotto risalgono addirittura ai primi del
1500 e per di più alla corte di Enrico VIII (1491-1547) che a quanto pare oltre al pallino per le mogli (ne ebbe ben sei) aveva anche
quello delle marmellate. Tant’è che le cronache dell’epoca narrano che per conquistare il re ogni sposa si fosse specializzata nella realizzazione di una marmellata. In Italia, in passato, non c’era una grande tradizione per questo prodotto, visto che grazie al clima favorevole la frutta fresca abbondava, a differenza dei paesi del Nord Europa che ne sono grandi consumatori. Negli anni, però, il gusto delle persone ha portato a svilupparla non tanto come “surrogato” della frutta fresca, bensì come alimento ottimo per la preparazione di dolci, oppure semplicemente spalmato su pane e burro. La marmellata vera e propria è fatta con un purè di frutta (un solo tipo di frutta o frutta
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I S e n s i d i R o m ag na
foto d’archivio foto d’archivio
WITH THE HANDS IN THE JAM_ FROM HISTORY TO JAR In a land rich in fruits like Romagna, talking about jams is unavoidable. Not the same as fresh fruit, of course, but nevertheless jams are an interesting and delicious product. The Italian term marmellata (jam) derives from the Portuguese word marmelo (quince). The first information about this product dates back to the first years of 1500, from the court of Henry VIII (1491-1547), who had a mania for wives (six altogether) and jams. To such an extent that according to the news of that time each bride specialised in the production of a jam in order to conquer the king. In Italy, in the past, the tradition of this product was not particularly rooted, mainly because fresh fruit was abundant, unlike the North European countries, where jam is widely consumed. However, with the passing of time, people started to consider it not as a surrogate of fresh fruit, but rather as excellent food for the preparation of desserts or simply to be eaten with bread and butter. Jams can be prepared with fruit purée (with one or more varieties of fruit), with fruit pieces (only one variety of fruit), which is called confettura in Italian, or only with the fruit juice (jelly). Peaches, apricots, strawberries, plums, cherries, pears and many other fruits can be used to prepare jams. The procedure is the same despite the variety of fruit chosen. Boil a certain quantity of peeled and stoned fruit and sugar (about 300 grams of sugar per kg of fruit) for about 15-20 minutes and add some lemon juice, if you like it. When the fruit boils, lower the flame to the minimum and stir gently and frequently with a wooden spoon. When the fruit is homogenous, put a drop of jam on a dish. Incline it and if the drop does not move the jam is ready. Let it cool and fill glass jars with it. It can also be consumed after several years.
mista), quando ci sono anche i pezzi viene chiamata confettura (un solo tipo di frutta) e quando è fatta con il solo succo di frutta è chiamata gelatina. Pesche, albicocche, fragole, susine, ciliegie, pere, sono molteplici i frutti che possono rappresentare la materia prima per la marmellata. Indipendentemente che la scelta ricada su di uno o su di un altro frutto il procedimento di preparazione è analogo. Le marmellate si preparano facendo bollire una certa quantità di frutta sbucciata e snocciolata, naturalmente quando occorre, e di zucchero (circa 300 grammi di zucchero per chilo di frutta) per un tempo di 15-20 minuti, con l’eventuale aggiunta di un po’ di succo di limone. Una volta raggiunto il bollore occorre abbassare al minimo la fiamma e continuare a mescolare dolcemente con una certa frequenza, meglio se utilizzando un cucchiaio di legno. Quando il tutto assume un aspetto uniforme, si prova a mettere una goccia della marmellata su di un piatto. Inclinando quest’ultimo, se la goccia non scorre la marmellata è cotta. Dopo averla fatta raffreddare completamente è pronta per essere messa nei vasetti di vetro, per essere consumata anche a distanza di anni.
En o g a stro n o mia
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foto Raffaele Tassinari
St e f a n i a M a z z ot t i
La Bottega Zauli diventa museo l ’al c hi mi a del l a te r ra
Nel seminterrato i sacchi d’argilla sono ammucchiati. A fianco le macchine per impastare le argille. Più sopra i
tavoli sui cui modellare le forme.
S
ulle mensole sono appoggiate le bocce con infinite variazioni di polvere colorate. I forni per le alte temperature sono spenti, gli attrezzi appesi ai chiodi sulle pareti.
Il tempo si è fermato nel laboratorio di ceramica Carlo Zauli, in via della Croce a Faenza. Utensili celibi,
foto Raffaele Tassinari
ora privati del connubio vitale della mano d’artista, che raccontano un lavoro intensissimo, fatto di sperimentazioni, collaborazioni ed incontri con artisti importanti come Nanni Valentini, Fontana, Spagnulo e Pomodoro. Tra i muri di questa bottega-laboratorio, dal 1950 fino agli anni Novanta, Carlo Zauli ha portato alla luce migliaia di opere fino ad essere riconosciuto unanimamente dalla critica come “uno dei massimi rinnovatori della ceramica”. Oggi la bottega si è trasformata in museo. Il progetto voluto dalla famiglia Zauli espone accanto agli utensili, centocinquanta opere circa, testimonianza del suo percorso artistico compiuto dal 1952 fino al 1989. Carlo Zauli (1926-2002) è stato una figura capitale nella storia della ceramica nazionale e allo stesso tempo un riferimento per quella internazionale. L'intuizione fondamentale della sua ricerca, che ha saputo unire arte e tecnologia, è stata la sperimenta-
foto d’archivio
zione compiuta alla fine degli anni Cinquanta, quando recupera il grès, lo sostituisce alla maiolica, lo smal-
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ta di bianco e lo mette a cuocere alla temperatura di 1200 gradi. Risultato: i cosiddetti "Bianchi", ora conosciuti in tutto il mondo e che in Italia hanno fatto uscire la ceramica dalla posizione subordinata di arte applicata a quella di scultura vera e propria. Da allora Zauli lavora al gres mutuando idee dall’informale e
foto Raffaele Tassinari
E. Degas
Fortunatamente io non ho mai trovato la mia maniera.
ZAULI’S WORKSHOP BECOMES A MUSEUM_ THE ALCHEMY OF EARTH
svincolando la ceramica dalle forme di “oggetto d’uso”. Esposti al Museo Carlo Zauli tutte le fasi di questo percorso dalle prime opere, vasi in maiolica decoranti con tratti primitivi, fino alle sfere, alle ruote spezzate degli anni Sessanta, ai vasi sconvolti della seconda metà degli anni Settanta. In questi anni la forma viene rotta, letteralmente spezzata e Zauli arriva alla ideazione delle zolle, delle steli e dei pannelli ondulati. "Forme informali in forme primarie" così Zauli le autodefiniva. Elementi geometrici come il cubo e la sfera mossi da movimenti simili alle onde del mare o alle zolle di un campo arato. La natura è la sua grande musa ispiratrice. Una natura fisica e tattile che nell’argilla registra la potenza fisica e creativa dell’uomo. Le forme create sono modulari, come in eterno movimento. Riecheggiano le onde del mare e la terra arata, pronta per essere seminata. Flussi continui di vita.
The bags of clay are heaped in the basement. The machines that mix clay are nearby, and the tables where forms are moulded are above. Bottles with endless variations of coloured powders are on the shelves. The high-temperature kilns are turned off and the tools are hanging on the walls. Time has stopped in Carlo Zauli’s ceramic workshop, in via della Croce in Faenza. Single tools, deprived of the vital union with the artist’s hand, telling a very hard work of experiments, co-operation and meetings with famous artists such as Nanni Valentini, Fontana, Spagnulo and Pomodoro. In this shop-workshop Carlo Zauli, from 1950 to the 1990’s, gave birth to thousands of works to such an extent that the critics unanimously recognised him as “one of the greatest innovators of ceramics”. The workshop is today a museum, according to Zauli’s family will. Besides the tools, about 150 works are exhibited here, which bear witness to Zauli’s artistic path from 1952 to 1989. Carlo Zauli (1926-2002) was a leading character in the history national ceramics and a point of reference for international ceramics. The crucial intuition of Zauli’s research, which successfully matched art and technology, was the experimentation carried out in the end of the 1950’s, when he recovered stoneware, used it instead of majolica, glazed it white and cooked it at a temperature of 1200 degrees. The result is the so called world-wide known Bianchi, that in Italy caused ceramics to abandon its subordinate position of applied art, thus becoming real sculpture. Since then Zauli worked with stoneware borrowing ideas from the informal movement and freeing ceramics from the forms of “usable objects”. These are all stages of this path, from the first works, majolica pots decorated with primitive traits, to the spheres and broken balls of the 1960’s and the upset pots of the second half of the 1970’s. In these years forms were broken and literally shattered, and Zauli conceived the clods, steles and undulated panels, which he used to define forme informali in forme primarie (informal forms in primary forms). Geometric elements such as cubes and spheres were moved in a similar way to the waves of the sea or clods of a ploughed field. Nature is Zauli’s Muse, physical and tactile nature that records men’s physical and creative power in clay. The created forms are modular and eternally moving. They suggest the waves of the sea and the ploughed land, ready for sowing. Continuous flows of life. Arte
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immagine Associaz. Erasmo Giunti, De Agostini foto d’archivio
St e f a n i a M a z z ot t i
Il viaggio di Leonardo da Vinci in Romagna
un grande uomo in una grande te r ra
Quando nell’estate del 1502 Leonardo fu contattato da Cesare Borgia per andare a fare la ricognizione delle terre di Romagna come architetto e ingegnere militare, Leonardo non aspettava altro.
I
l ritorno a Firenze dopo avere vissuto alla corte di Ludovico il Moro lo aveva ricondotto di nuovo alle ristrettezze economiche. Poche erano le commissioni che gli poteva offrire la città medicea. Il terribile
Cesare Borgia, detto il Valentino, figlio naturale di Papa Alessandro VI, aveva appena terminato la conquista dello stato della Romagna, ma gli interessi su questa regione premevano da tutti gli stati confinanti, Venezia, Firenze in primo luogo. Le rocche e le mura di Romagna, ancora medioevali, necessitavano un sopralluogo e una risistemazione, soprattutto ora di fronte alla potenza delle nuove armi da fuoco introdotte in Italia dai francesi. Leonardo, non esitò, finalmente vedeva la possibilità di applicare i suoi studi ideati nel periodo milanese e nel maggio del 1502 partì accompagnato da un piccolo taccuino tascabile (10.9 x 7.2 cm), oggi catalogato come Codice L (Biblioteca dell’Istitut de France di Parigi), sul quale avrebbe annotato tappa per tappa, schizzi, invenzioni, misurazioni, considerazioni, pensieri sparsi ed emozioni riguardanti il suo viaggio. Leonardo si sposta con sorprendente frequenza. Passate Urbino e Pesaro, dall’8
immagine Associaz. Erasmo Giunti, De Agostini
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foto d’archivio
foto Associaz. Erasmo Giunti, De Agostini
LEONARDO DA VINCI’S JOURNEY TO ROMAGNA_ A GREAT MAN IN A GREAT LAND
agosto fino al settembre del 1502, quindi in poco meno di due mesi si ferma e lavora in ben cinque città strategiche della Romagna: in ordine Rimini, Cesena, Cesenatico, Faenza, Imola. In quasi tutti questi luoghi Leonardo esegue misurazioni delle distanze e rilievi delle mura e delle rocche attraverso il suo metodo di misurazione. Con la bussola in mano e il taccuino, lo immaginiamo camminare
cisione che dagli appunti confusi del taccuino si andrà a concretizzare tra il 1502 e il 1503 nei due capolavori esemplari per l’integrazione tra arte, geologia, cartografia e geometria: la mappa di Imola e la carta fisica della Romagna. Nel frattem-
foto Associaz. Erasmo Giunti, De Agostini
po il geniale Leonardo, matura intuizioni e si lascia andare a considerazioni di tipo etnografico. Con il sorriso sulle labbra, a Cesena, annota la stupidità della gente di Romagna: definita “capo di ogni grossezza di ingegno” di
costruire carri con le
ruote anteriori più piccole delle posteriori. A Rimini riamane incantato dalle armonie della fontana della piazza. A Faenza lo troviamo schizzare probabilmente il Duomo, opera del fiesolano Giuliano da Maiano, allora ancora in costruzione e ammirare il paesaggio argilloso dei calanchi della valle del Lamone, definita “terra da far boccali”. Il viaggio di Leonardo termina nel dicembre del 1502. Di lì a poco Cesare Borgia perderà il suo stato di Romagna dopo la morte nell’agosto del 1503 di Papa Alessandro VI, suo protettore. Leonardo già dal marzo era rientrato a Firenze, pronto a ricominciare. Di lì a poco dipingerà il capolavoro della “La gioconda”.
Leonardo da Vinci
misura gli angoli delle curvature. Un lavoro di pre-
La pittura è una poesia che si vede e non si sente, la poesia è una pittura che si sente e non si vede.
lungo le mura delle città, mentre conta i passi e
When in summer 1502 Leonardo was contacted by Cesare Borgia in order to carry out a land reconnaissance of Romagna as architect and military engineer, he was very enthusiastic. His return to Florence after living at the court of Ludovico il Moro had led him to financial straits. Florence could not offer him many commissions. The terrible Cesare Borgia, called il Valentino, natural son of Pope Alexander VI, had just conquered the state of Romagna, but the states nearby (Venice and especially Florence) were all interested in this region. Romagna’s medieval fortresses and walls needed an inspection and re-organisation, especially in consideration of the power of the new fire-arms introduced in Italy by the French. Leonardo did not hesitate as he could finally put into practice the studies that he had carried out in the period spent in Milan. In May 1502 he left, accompanied by a small pocket-notebook (10.9 x 7.2 cm), today known as the Codex L (Istitut de France Library of Paris). In this notebook Leonardo recorded all his sketches, inventions, measurements, remarks, thoughts and emotions concerning his journey. Leonardo moved with surprising frequency. After Urbino and Pesaro, from 8th August to September, 1502 (i.e. in less than two months) he stopped and worked in 5 strategic towns of Romagna: Rimini, Cesena, Cesenatico, Faenza and Imola. Leonardo carried out measurements of the distances and surveys of the walls and strongholds with his method of measurement. With a compass and notebook in his hands, you can imagine him walking along the walls of the town, calculating the steps and measuring the angles of the curves. It was a job of precision, and the confused notes of his notebook became concrete in 1502 and 1503 in the two masterpieces that represent an exemplary integration of art, geology, cartography and geometry: the map of Imola and the physical map of Romagna. In the meanwhile the ingenious Leonardo matured intuitions and made ethnographic remarks. In Cesena he noted the foolishness of the people of Romagna with a smile. He defined them as capo di ogni grossezza di ingegno (“very clever”) as they built carts with the front wheels smaller than back wheels. In Rimini he was enchanted by the harmony of the fountain of the square. In Faenza he sketched the Cathedral, designed by Giuliano da Maiano from Fiesole, which was being built in that period, and admired the clayey landscape of the badlands of the Lamone valley, defined terra da far boccali (land for the production of jugs). Leonardo’s journey finished in December 1502. Cesare Borgia soon lost his state of Romagna after the death of Pope Alexander VI, his protector, in August 1503. In March Leonardo was again in Florence, ready to re-start his activity. A short time later he painted his masterpiece Mona Lisa.
Arte
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Territorio Itinerari dell’anima_ Seguendo le indicazioni della “segnaletica religiosa” popolare
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Itineraries of the soul_ Following the indications of the Popular religious system of signs
Storia L’enigma Bendandi_ L’uomo dei terremoti
La Buca del Tesoro_ Alla ricerca della “pignataza”
The Bendandi enigma_ The man of earthquakes
The treasure’s hole_ Looking for the “Pignataza” (large pot)
L’inizio dell’inverno in Romagna_ Tra freddo, saggezza popolare e proverbi
Lungo la Valle del Montone_ Itinerario naturalistico
The beginning of winter in Romagna_ Cold weather, popular wisdom and proverbs
Along the Montone valley_ Naturalistic itinerary
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Passioni Ridere in Romagna_ Plauto e l’arte del buonumore Laughing in Romagna_ Plauto and the art of good mood La Romagna delle osterie_ Luoghi di secolare convivio e ... The Romagna of taverns_ Places of age-old feasts and …
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Enogastronomia Colline verdi, rosse di vino_ Sinuose armonie di gusto Green hills, red with wine_ Sinuous harmonies of taste Con le mani nella marmellata_ Dalla storia al vasetto With the hands in the jam_ From history to jar
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Arte La Bottega Zauli diventa Museo_ L’alchimia della terra Zauli’s workshop becomes a museum_ The alchemy of earth Il viaggio di Leonardo da Vinci in Romagna_ Un grande uomo in una grande terra Leonardo da Vinci’s journey to Romagna_ A great man in a great land
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I Sens i di Rom agn a
I Sensi di Romagna numero 2.
ottobre 2002
Periodico edito da CERDOMUS Ceramiche S.p.A. 48014 Castelbolognese (RA) ITALY via Emilia Ponente, 1000 www.cerdomus.com Direttore responsabile Luca Biancini Progetto Carlo Zauli Grafica e impaginazione Jan Guerrini/Cambiamenti per Divisione immagine Cerdomus Coordinamento editoriale Pierluigi Papi Redazione Alessandro Antonelli Marcello Cicognani Stefania Mazzotti Perla Micheli Iuppi Paglieri Giuseppe Sangiorgi Foto Archivio Cerdomus Circolo Fotografico Casolano Archivio Poderi dal Nespoli Raffaele Tassinari Marcello Cicognani Elisa Sangiorgi Jan Guerrini si ringrazia l’Associazione Erasmo, Giunti e De Agostini
si ringrazia per la preziosa collaborazione Maddalena Becca/Divisione immagine Cerdomus Traduzioni Omnitrad Castelbolognese Stampa Litographicgroup ŠCERDOMUS Ceramiche SpA tutti i diritti riservati Autorizzazione del Tribunale di Ravenna nr. 1173 del 19.12.2001