Magazine EE nr 03

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osì come la Terra anche EE ha compiuto la sua rivoluzione; la prima.

E, proprio come la Terra, ha scandito le stagioni, mutato i colori, offerto differenti frutti. Ci auguriamo che questi ultimi Vi abbiano incuriosito e, a volte, stupito; fatto venire l’acquolina in bocca o la voglia di alzare un po’ il gomito. Vi abbiano fatto piangere, ridere, reso malinconici e, subito dopo, euforici. Vi abbiano, alfine, spinti a partire perché è sempre bello, poi, ritornare. Soprattutto, ci auguriamo che, come noi, li abbiate sentiti anche un po’ Vostri. Buon Anno! La Redazione di ee Like the Earth, EE has undergone its own revolution; the first. And just like the Earth, it has marked the seasons, changed colours and offered different fruits. We hope that the latter succeeded in arousing your curiosity and, sometimes, amazing you; that they made your mouths water or encouraged you to have a drink; that they made you cry, laugh, feel melancholy and then euphoric; that they filled you with the desire to leave, because it’s always nice to come back. Most of all, we hope that, like us, you felt that part of them belonged to you. Happy New Year! The editorial staff of ee E d ito ria le

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Ma rc e l l o Ci c ogn a n i

Le vie della Bassa

tra sogno e re altĂ

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I S e n s i d i R o m ag na


L’itinerario che vi proponiamo in questo e nel prossimo numero foto d’archivio

di EE si snoda attraverso la cosiddetta “bassa”, ovvero quella parte di Romagna che si estende tra la Via Emilia e il mare.

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questa una zona dalla duplice anima: una, quella chiassosa dell’arcinota Riviera Adriatica, con

la sua incessante sequela di spiagge, alberghi, ristoranti e discoteche; l’altra, più intima e meno famosa, dell’area attorno a Ravenna, dove vestigia artistiche di valore universale fanno mostra di sé, adagiate su di una natura tenue ed insolita – come sospesa fra acqua, terra e cielo – in un’atmosfera di fulgente bellezza. Partiamo, quindi, da Lugo, il cui nucleo storico è caratterizzato dalle tre strade principali disposte a T. La Rocca mantiene il «maschio» merlato e la cortina a Nord risalente al ‘300, mentre il resto è stato completamente rifatto nel XVI secolo; gradevole il giardino pensile coltivato sui bastioni della fortezza. Di bell’impatto è il Pavaglione, un quadriportico rettangolare del XVIII secolo, un tempo sede del traffico dei bozzoli da seta e oggi luogo di mercato e d’incontro. Nella Piazza adiacente si erge il monumento a Francesco Baracca – opera metafisica, datata 1936, di Domenico Rambelli – mentre, poco distante, al n. 65

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della via omonima – nella casa natale dell’asso della prima Guerra Mondiale – è allestito il museo a lui dedicato, contenente cimeli storici come il famoso o, per meglio dire, famigerato biplano SPAD VII. A pochi chilometri, fra vigne e frutteti, troviamo Bagnacavallo, dove gli antichi portici s’intrecciano secondo tracciati radiocentrici medievali. Per il nome che porta leggenda vuole che Cyllaros, cavallo dell’eroe divino Castore, entrasse malato in una sorgente d’acqua del luogo per uscirne guarito e immortale. La Collegiata di S. Michele conserva l’antica abside poligonale del secolo XV, decorata da terrecotte e dipinti di Bartolomeo Ramenghi detto il Bagnacavallo. Interessante è pure Piazza Nuova, di origine settecentesca a forma ellittica, racchiusa da una struttura muraria porticata verso l’interno: nata come mercato coperto, oggi ospita botteghe artigiane e manifestazioni all’aperto.

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Da non perdere, infine, nella vicina Pieve di S. Pietro in Sylvis, la chiesa in laterizi del VI secolo che ancora conserva l’antico altare, un ciborio dell’VIII secolo e notevoli affreschi del XIV attribuiti a Giuliano da Rimini e al Bagnacavallo. Pochi chilometri ci separano da Ravenna. Inutile, in questa sede, tentare una pur minima disamina dei mille tesori di una città che, nel 402 d.C., divenne, per mano di Onorio, capitale d’Occidente. Nel secolo e mezzo che seguì qui batté il cuore del pur declinante Impero; quando l’arte poté attingere, oltre che dal retaggio classico e cristiano, anche, e soprattut-

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to, dal nascente canone bizantino. Una folgorante fusione che lasciò sul suolo di Roma capolavori e incanti di un Oriente, allora, vicino. È imperdonabile mancare una visita. Lasciata Ravenna alle spalle puntiamo decisamente verso il mare. Dopo una sosta (irrinunciabile) alla basilica di S.Apollinare in Classe (549 d.C.) – con i suoi spettacolari mosaici, che ricoprono l’abside e l’arco che l’incornicia, ed il caratteristico campanile a cilindro – ci si tuffa nella Pineta di Classe: un fitto bosco di pini impiantato, già in epoca romana, sulla primitiva foresta mediterranea a lecci e roverelle. Diversi sentieri ciclabili segnano questa Riserva Naturale; non lasciatevi sfuggire quello che

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conduce alla Foce del Bevano. Una carraia segue il Fosso Ghiaia, da cui dipartono una serie di sentieri frequentati da escursionisti a piedi e a cavallo; orientandosi con i cartelloni cartografici del Parco si zigzaga, in un silenzio irreale, fra boscaglia e campi coltivati, fino al cuore della pineta in prossimità del litorale. Qui, una successione di alte dune costiere – ricoperte da una rada vegetazione e disegnate dal corso naturale del Bevano in un dedalo di anse vive e morte – conservano il loro selvaggio aspetto, invitando la mente e il cuore a dondolare fra passato e presente. Ma siamo al mare e le luci della Riviera già scintillano sulla superficie increspata.

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Le cose sono il loro futuro di polvere. Il ferro è la ruggine. La voce, l’eco.

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Jorge Luis Borges

THE PATHS THROUGH “LOW ROMAGNA”_ AMIDST DREAM AND REALITY The itinerary we are presenting in this and the next issue winds through the so-called “low” part of Romagna, the area that stretches between Via Emilia and the sea. This is an area with a double soul: the rowdy soul of the super famous Adriatic Riviera, with its incessant series of beaches, hotels, restaurants and discos; and the more intimate and less famous soul of the area around Ravenna, where artistic traces of universal value can be found, set against a tender and unusual natural backdrop – as though suspended between water, earth and sky – in an atmosphere of shining beauty. We shall start from Lugo, the historical town centre of which is characterised by three main roads which form a “T”. The Fort retains the battlemented «male» and the North curtain, dating back to the 14th century, while the rest was completely rebuilt in the 16th century; there is a delightful hanging garden cultivated on the fort’s battlements. The Pavilion is rather impressive, with its 18th century rectangular gallery, once the seat of trade in silks and now a market and meeting place. In the neighbouring square there is a monument to Francesco Baracca – a metaphysical work dated 1936, by Domenico Rambelli – while just a short way off, at number 65 of the homonymous street – in the house where the World War II flying ace was born – there is a museum dedicated to him, containing historical relics such as the famous or, better, notorious SPAD VII biplane. A few kilometres away, amidst vineyards and orchards, we find Bagnacavallo, where the old porticoes entwine following medieval radial-centric patterns. Its name, according to legend, comes from the fact that Cyllaros, the horse of the divine hero Castor, fell sick and entered a spring of water in the town, coming out cured and immortal. The Collegiate Church of St Michael retains the 15th century polygonal apse, decorated with terracotta ornaments and paintings by Bartolomeo Ramenghi, known as Bagnacavallo. The so-called 18th century Piazza Nuova is also very interesting, with its elliptic shape and walled structure with inward-opening porticoes: it was conceived as an indoor market and now houses craft shops and open-air events. Lastly, in the neighbouring Parish Church of St. Peter in Silvis, the 6th century brick church with its original altar, a 13th century ciborium and noteworthy 14th century frescoes attributed to Giuliano da Rimini and Bagnacavallo, is not to be missed. A few kilometres separate us from Ravenna. There’s no point in trying to make even a brief examination of the thousand treasures of a town which, in 402 AD, became, thanks to Onorius, capital of the West. During the century and a half that followed, this was the heart of the declining Empire; when art was able to gather inspiration not only from the classic and Christian heritage, but also, and most importantly, from the emerging Byzantine canon. A striking merger which left masterpieces and enchantments of the East, which at that time was close at hand, on Roman ground. Failure to visit the town is unforgivable. Leaving Ravenna behind, we head directly towards the sea. After stopping (a must) at the basilica of St. Apollinare in Classe (549 AD) – with its spectacular mosaics which cover the apse and the arch that crowns it, and the characteristic cylindrical bell tower – we plunge into the pine wood of Classe: a thick wood of pines, planted as far back as Roman times, on the primitive Mediterranean forest of Holm-oaks and durmasts. Various cycle paths cross this Natural reserve but don’t miss the one that leads to the mouth of the River Bevano. A cart road follows the Fosso Ghiaia, leading off to a series of paths used by hikers and horse riders; moving through the Park following the map boards, the visitor zigzags, in an unreal silence, through woodland and cultivated fields, to the heart of the pine wood near the littoral. Here a succession of high coastal dunes – covered by sparse vegetation and created by the natural course of the River Bevano in a maze of moving and stagnant bends – retain their wild appearance, inviting the mind and the heart to swing between past and present. But we are at the seaside and the lights of the Riviera are already sparkling on the rippling surface.

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Be ppe S a ngiorgi

La casa contadina della Romagna Occidentale i l mi c roc os mo de lla v ita r ura le

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Le incomprensioni sono così strane, sarebbe meglio evitarle sempre, per non rischiare di avere ragione, chè la ragione non sempre serve.

L'inverno e l'inizio della primavera rappresentano il periodo migliore per conoscere l'architettura rurale, che trova la sua massima espressione nelle case contadine tradizionali non ancora velate dalle foglie delle piante che le circondano.

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i possono così individuare dimensioni e conformazioni che nella Romagna occidentale rientrano in tre tipologie, a seconda che si trovino in pianura, collina o montagna.

La casa di pianura, costruita normalmente in mattoni, presenta abitazione e servizi (cantina, stalla, ricovero dei carri e ripostigli) affiancati al piano terra. La casa tipica della collina è invece di arenaria ed ha gli ambienti di servizio al piano terra, sovrastati dall'abitazione raggiungibile attraverso una scala esterna e portichetto. Nelle zone montane si trova la casa di pendio, sempre in arenaria, con abitazione sopra i servizi, ma con accesso direttamente dall'esterno grazie al dislivello del terreno. La casa contadina tradizionale era composta nei suoi elementi essenziali da una grande cucina, le camere da letto, il solaio, la stanza dei telai, la stalla e la cantina. Il numero di vani, la loro dimensione e quindi l'ampiezza complessiva della casa erano proporzionali alla potenzialità produttiva dei terreni. Ciò in conseguenza di un secolare sistema economico-sociale in Romagna, fondato sulla mezzadria, cioè sulla divi-

Federico Zampaglione

sione a metà del prodotto tra il proprietario del podere e la famiglia colonica che traeva il suo sostentamento da tale quota di riparto. Pertanto, il numero delle braccia e quello delle bocche della famiglia colonica doveva essere proporzionato alla potenzialità produttiva del fondo cioè disporre di braccia sufficienti per lavorarlo e di bocche non eccedenti la disponibilità alimentare. Oltre che abitazione e strumento di lavoro, la casa rurale romagnola costituiva un microcosmo nel quale si dipanava il filo della vita dalla nascita alla morte in un susseguirsi di parole ed ancor più di gesti di grande intensità

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simbolica.

THE FARMHOUSE OF WESTERN ROMAGNA_ THE MICROCOSM OF RURAL LIFE Winter and early spring represent the best period for getting to know rural architecture, which is fully expressed in traditional farmhouses which can still be seen through the leaves of the plants that surround them. It is possible to make out shapes and sizes that can be split into three categories in Romagna, depending on whether they are situated on the plain, in the hills or in the mountains. The house on the plain, normally built of bricks, is arranged with the living area and service areas (cellar, cowshed, shelter for farm equipment and barns) side by side on the ground floor. The typical hill house is made of sandstone and has the service areas on the ground floor, with a porch and external staircase leading to the living area above. In mountain areas the houses are built on slopes and are always made of sandstone with the living area above the service areas, but with direct access from outside thanks to the sloping ground. The traditional farmhouse was made up of a big kitchen, bedrooms, the attic, la stanza dei telai- the weaving room, the cowshed and the cellar. The number of rooms, their size and therefore the overall dimensions of the house were proportionate to the productive potential of the land. This was due to a centuries-old economic and social system in Romagna which was based on sharecropping, in other words, on splitting the produce in half between the owner of the estate and the farmer, who lived on his share. Therefore the number of hands and mouths of the farmer’s family had to be proportionate to the productive potential of the estate, with sufficient hands to do all the work necessary and not too many mouths to feed. Besides a home and work tools, the rural house characteristic to Romagna made up the microcosm in which the circle of life revolved, from birth to death, in a continuing series of words and, more importantly, gestures of great symbolic intensity.

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Il primo romagnolo p a s s ato anteri ore di un popolo

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A l e s s a n dro An t on e l l i

THE FIRST “ROMAGNOLO”_ THE PAST OF A POPULATION Romagna is a hospitable place but it is surprising to learn that this concept has been known to man for over a million years, since the most ancient hominid community known to have existed in Europe decided to settle on the Adriatic coast. The first inhabitant of Romagna was Homo erectus. According to reconstructions, we can imagine him as being about 1.65 metres tall, robust, with a flattened face and backward sloping forehead. This, and many other indications regarding our prehistory, have been obtained thanks to the archaeological digs carried out since 1984 on Mount Poggiolo, just a few kilometres from Forlì, where important evidence of the lower Palaeolithic age was found. Besides the exceptional nature of the discovery, it is interesting to note the particular composition of the team of people involved: it was uncommonly composed of a big group of volunteers, directed by Professor Carlo Peretto. This group of amateur researchers enthusiastically dedicated their free time to a series of “archaeological outings”, often arousing a combination of amazement and ridicule in the inhabitants of the areas explored. If none of the occasional observers placed much faith in the productivity of the strange hobby of that heterogeneous group, even its members never would have expected to bring to the light one of the most important archaeological sites on the whole continent; and perfectly preserved at that. According to geological data, during the Palaeolithic age Mount Poggiolo, which is now a little hill about 200 metres high, was on the coastline. Our distant ancestors had chosen to settle near the mouth of the River Montone, as it was a million years ago, which besides being an important source of fresh water, had deposits of crushed stone on its banks, which they used to make tools. The extraordinary conditions of the prehistoric site made it possible to recover even the scraps leftover from the production of many items, enabling researchers to learn that Homo erectus had already perfected his own, somewhat primitive manufacturing technique. Armed only with rough weapons, over a million years ago, the “first Romagnoli” headed off into the endless coniferous forest, which covered the whole area, to kill or be killed by the bison, elephants and even rhinoceroses that populated it and, who knows, despite the climate, which was colder than it is today, perhaps every now and then, they would stop and enjoy the Adriatic sun. So (disrobed of every spirit of parochialism), with the primary aim of raising a smile, we would like to say that, on the basis of the current state of archaeological research, the cradle of European civilisation was Romagna!


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La Romagna è una terra ospitale, sorprende tuttavia che questo concetto sia noto all’uomo da più di un milione di anni, ossia da quando la più antica comunità ominide di cui si abbia traccia in Europa scelse di insediarsi proprio sulle rive dell’Adriatico.

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l primo romagnolo fu dunque un Homo erectus. Secondo le ricostruzioni possiamo figurarcelo alto circa 1 metro e 65 centimetri, di corporatura robusta, con la volta cranica appiattita e la fronte incli-

nata all’indietro. Questa e molte altre indicazioni sulla nostra preistoria si devono agli scavi archeologici effettuati dal 1984 sul monte Poggiolo, a pochi chilometri da Forlì, dove è stata rinvenuta un’importante testimonianza del Paleolitico inferiore. Oltre all’eccezionalità della scoperta è interessante citare la particolare natura dell’équipe che l’ha riportata: differentemente dal solito, infatti, essa si componeva di un nutrito gruppo di volontari, sotto la direzione del professor Carlo Peretto. Questo gruppo di ricercatori dilettanti dedicava con entusiasmo il proprio tempo libero ad una serie di “scampagnate archeologiche”, spesso suscitando un misto di stupore e derisione tra gli abitanti delle zone rastrellate. Se nessuno degli occasionali osservatori riponeva molta fiducia nella produttività dello strano hobby di quel gruppetto eterogeneo, i suoi stessi membri non si sarebbero mai aspettati di riportare alla luce uno dei più importanti siti archeologici dell’intero continente; per di più perfettamente conservato. Secondo i rilievi geologici, il monte Poggiolo, oggi una collinetta alta circa duecento metri, nel Paleolitico si trovava sulla linea costiera. I nostri lontani antenati avevano scelto di insediarsi vicino al punto in cui un milione d’anni fa sfociava il fiume Montone, che, oltre a costituire un’importante fonte d’acqua dolce, riversava sulle proprie sponde depositi di pietrisco selcifero di cui essi si servivano per ricavare i loro strumenti. Lo straordinario stato di conservazione del sito preistorico ha permesso di rinvenire addirittura i residui di lavorazione di molti manufatti, permettendo agli studiosi di apprendere che l’Homo erectus era già padrone di una sua, per quanto primitiva, tecnica di fabbricazione. Forti solo delle loro rozze armi, oltre un milione d’anni fa, i “primi romagnoli” si inoltravano nella sconfinata foresta di conifere che ricopriva tutta la zona per uccidere o essere uccisi dai bisonti, elefanti e addirittura rinoceronti che la popolavano e, chissà, nonostante il clima più rigido rispetto ai giorni

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nostri, forse di tanto in tanto si fermavano a godersi il sole dell’Adriatico. Thomas Carlyle

Così (spogliatici da ogni spirito di campanilismo) con lo scopo, più che altro, di far sorridere, ci piace affermare che, in base al punto attuale della ricerca archeologica, la culla della civiltà europea fu proprio la Romagna!

La storia è l’essenza di innumerevoli biografie.

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S to ria

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A l e s s a n dro An t on e l l i

L’aviatore di Lugo

ge ntiluomo de ll’ ar ia

Delle caratteristiche che più spesso incontriamo nella selva picaresca di personaggi romagnoli Francesco Baracca ebbe il cuore e il coraggio.

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n lui si fondevano con la gentilezza e il senso dell’onore, facendone un’icona dell’eroe romantico d’inizio secolo in Italia. Come si conviene agli eroi, Baracca era un giovane avvenente, al punto che il pittore Anacleto Margotti usò il suo volto a modello per il

Cristo, durante il restauro della chiesa di Alfonsine. L’infatuazione per il volo lo coglie mentre assiste per la prima volta a una dimostrazione aviatoria, nonostante il pilota finisca per perdere il controllo del velivolo e schiantarsi a terra. Francesco ha ventiquattro anni, incurante dell’atteggiamento popolare che considera alla stregua di squilibrati coloro che scelgono di scorrazzare per il cielo a bordo di quei parenti prossimi delle prime macchine volanti, decide di entrare in aviazione. Nel 1912 l’Italia non ne possiede ancora una vera e propria ma accoglie la richiesta del giovane Baracca e lo invia a Reims, in Francia, dove ottiene il brevetto di volo. Tre anni dopo Baracca viene chiamato a difendere i cieli italiani dagli incursori austriaci; gli aerei di cui dispongono le due controparti sono goffi e pesanti, frequenti sono i guasti tecnici e, anche in piena efficienza, i propulsori sviluppano una potenza limitata. Tantopiù la vittoria, nel corso di un duello aereo, dipende quasi interamente dalla maestria del pilota, oltre che da un buon pizzico di fortuna. Baracca è ben fornito di entrambe e il 7 aprile del 1916 abbatte il primo aeroplano nella storia dall’aviazione italiana. Inizia così la fama del pilota di Lugo, destinata ad accrescersi nel corso delle oltre cento vittorie; la sua insegna, un cavallo rampante, diviene simbolo di invincibilità. In cielo

Un eroe deve anche essere educato

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THE AVIATOR FROM LUGO_ GENTLEMAN OF THE AIR

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fascisti su marte

si combatte una guerra i cui protagonisti non sono odio e disperazione, nello sfidarsi gli aviatori rispettano un rigido codice cavalleresco e Francesco considera una vittoria, completa, solo se i piloti degli aerei da lui abbattuti si salvano. Nei giorni in cui le azioni aeree sono sospese si reca a far loro visita o a portare un fiore sulle loro tombe. Lo stesso barone Von Banfield, asso dell’aviazione austriaca, presenziò a Lugo per il cinquantesimo anniversario della morte di Baracca, testimoniando la stima portata dagli avversari al pilota italiano. Francesco incontrò la morte il 19 giugno del 1918. Colpito dai ciechi proiettili vaganti della contraerea di terra pre-

Of the characteristics that we most often come across in the picaresque multitude of personalities from Romagna, Francesco Baracca had the heart and the courage. He embodied both kindness and a sense of honour, making him an icon of the Italian romantic hero of the early twentieth century. As is fitting for a hero, Baracca was a handsome youth, so much so that the painter Anacleto Margotti used his face as a model for Christ during the restoration of the church of Alfonsine. The infatuation with flight took hold of him the first time he watched an air show, despite the fact that the pilot ended up losing control of the plane and crashing to the ground. Francesco was twenty-four years old and placed absolutely no importance on the popular attitude which considered those who chose to dash across the sky in those descendents of the first flying machines to be mad, decided to become an aviator. In 1912 Italy had no real air force, but the application of the young Baracca was accepted and he was sent to Reims, in France, where he obtained his pilot’s license. Three years later, Baracca was called to defend the Italian skies against the Austrian raiders; the aircraft piloted by both sides were clumsy and heavy, technical problems abounded and even when they were fully operational, the propellers developed limited power. This meant that victory during inflight combat depended almost entirely on the skill of the pilot, as well as a fair dose of good luck. Baracca had plentiful supplies of both and on the 7th of April 1916 he shot down the first aeroplane in the history of the Italian air force. So began the fame of the pilot from Lugo, which was destined to grow during over one hundred victories: his insignia, a rampant horse, became the symbol of invincibility. War in the sky didn’t involve hate and desperation, aviators respected a stiff, gentlemanly code and Francesco considered a victory complete only if the pilots of the aircraft he shot down managed to survive. On days when the air battles were suspended, he would go to visit them or to lay a flower on their graves. The very same baron Von Banfield, Austrian flying ace, came to Lugo for the fiftieth anniversary of the death of Baracca, bearing witness to the esteem in which his adversaries held the Italian pilot. Francesco died on the 19th of June 1918. Hit by the blind bullets of the ground-based anti-aircraft artillery, he crashed to the ground, maintaining his reputation as unbeatable in combat, so much so that, five years later, Enzo Ferrari chose his insignia as the brand for his automobiles. The picture that has been handed down to us through the years is not that of an efficient soldier, but that of a man who, having found the love letter from a girl in the pocket of a fallen adversary, flew low across the enemy lines with the sole aim of dropping a message of apology and condolence onto her house.

cipitò mantenendo intatta la sua aura d’imbattibilità in duello, tanto che cinque anni dopo Enzo Ferrari ne scelse l’insegna come marchio per le sue vetture. Il tempo ci tramanda non la figura di un efficiente soldato ma quella dell’uomo che, trovato nelle tasche di un avversario caduto il biglietto d’amore di una ragazza, oltrepassò a bassa quota le linee nemiche al solo scopo di lanciare sulla casa di lei un messaggio di scuse e cordoglio.

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se vuole essere un eroe completo. Eugène Ionesco

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B e ppe S a n gi orgi

Carnevale in Romagna

c i bo e vi no in a bbondanza, in atte sa de lla Qua re sima

Sosteneva un vecchio detto romagnolo che Dop Nadel/ tòtt i dé l'é Carnevel (Dopo Natale/ ogni giorno è Carnevale). foto d’archivio

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he oggi dura fino al Natale successivo, mentre un tempo terminava immancabilmente la notte che precedeva le Ceneri. La breve durata faceva sì che il Carnevale fosse un succedersi continuo di balli,

cortei, divertimenti e veglie, con un ostentato consumo di cibo e vino a cui tutti si abbandonavano. Sentenziava, infatti, un famoso detto popolare: Chi n'bala a Carnevel/ o ch'e' mor o ch'e' stà mèl (Chi non balla a Carnevale/ o che muore o che sta male). L'imperativo era insomma quello di divertirsi, sempre e in qualunque posto. Avvolti nella caparèla, in fila indiana, aiutati dal chiarore della luna o della neve, i contadini si ritrovavano la sera di casa in casa, secondo un calendario stabilito oralmente, ma da tutti conosciuto. E camminando cadenzavano il passo cantando strofe che ammonivano sulla

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CARNIVAL IN ROMAGNA_ FOOD AND WINE IN ABUNDANCE, AWAITING LENT

foto d’archivio foto d’archivio

La tentazione comune a tutte le intelligenze: il cinismo.

An old saying in Romagna says that Dop Nadel/ tòtt i dé l'é Carnevel (After Christmas/ every day is Carnival). Which today lasts until next Christmas, while at one time it unfailingly ended the night before Ash Wednesday. Its brief duration meant that Carnival was a continuing succession of balls, parades, enjoyment and late nights, with an ostentatious consumption of food and wine to which everyone gave in. A famous popular saying stated that: Chi n'bala a Carnevel/ o ch'e' mor o ch'e' stà mèl (Those who fail to dance during Carnival/ either die or fall ill). The most important thing was to have fun, anytime and anywhere. Wrapped up in the caparèla, in single file, aided by the light of the moon or the snow, the farmers would meet in the evening in one house or another, according to a calendar established by word of mouth, which everyone knew. And walking, they set the pace by singing verses that warned of the brevity of the bubâna and of the fact that during Lent, life would go back to normal, or even worse than normal due to all the waste. For this reason, the Carnival celebrations almost always ended with a big gabâna, when everyone drank their fill until they were quite merrily drunk. This was part of the ritual of Carnival, characterised by wild enjoyment and too much food. According to tradition, on the last day of Carnival, the farmers, men and women alike, young and old, had to eat no fewer than seven times, eating all the fat meat in the house. And at 10 p.m., the lòva (bell) would chime, announcing the approach of midnight so that those who still had meat could eat it before it was too late and then, as the saying went, "the frying pan was hung on a nail" because Lent had begun.

Albert Camus

brevità della bubâna e sul fatto che in Quaresima la vita sarebbe ripresa come prima, o addirittura peggio di prima per gli sprechi fatti. Per questo, le feste di Carnevale finivano quasi sempre con una gran gabâna, un’ubriacatura sazia e allegra che faceva parte del rituale carnevalesco, caratterizzato dal divertimento sfrenato e dagli eccessi alimentari. Infatti, secondo la tradizione, nell'ultimo giorno di carnevale i contadini, sia maschi sia femmine, giovani o vecchi, dovevano mangiare ben sette volte, consumando tutta la carne grassa che c'era in casa. E alle dieci di sera suonava la lòva, la campana che annunciava l'avvicinarsi della mezzanotte per cui chi aveva ancora della carne doveva mangiarla entro quell'ora e poi, come si diceva, "si attaccava la padella al chiodo" perché cominciava la Quaresima. S to ria

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Quel piacere dello spostamento che, in definitiva,

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La rondine d’argento foto d’archivio

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bi c i c l etta in Roma gna tra quotidianità e le tte rat u ra Impossibile scindere un romagnolo dal proprio velocipede: la bicicletta è parte integrante del suo patrimonio cromosomico.

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a nessun’altra parte, in Italia, la fusione tra le abitudini popolari e questo mezzo a trazione umana ha sviluppato un legame così stretto e perpetuo.

Eppure gli inizi di quest'idillio sono stati travagliati: fino alla fine del 1800, infatti, la bicicletta era appannaggio delle classi abbienti, perlopiù malvista dalla popolazione che la considerava una stravaganza da ricchi. Si ricorda, a Faenza, la manifestazione capeggiata da Alfredo Oriani nel 1894 durante la quale una settantina di ciclisti entrarono in piazza da Porta Pia, sfidando l’ordinanza con cui l’allora sindaco vietava ai ciclisti l’ingresso in sella

alla città. In quell’occasione i manifestanti furono dileggiati da un coro assordante di fischi, una scena paradossale se si pensa che oggi la bicicletta in Romagna gode addirittura di una

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consiste solo nel ricordo e mai nel presente.

Joris Karl Huysmans

THE SILVER SWALLOW_ BICYCLE IN ROMAGNA AMIDST EVERYDAY LIFE AND LITERATURE It is impossible to separate someone from Romagna from his velocipede: the bicycle is part and parcel of his chromosomal heritage. Nowhere else in Italy has the fusion between popular habits and this means of human traction developed such a close and perpetuated link. Yet the beginning of this idyll was anything but easy: up to the end of the nineteenth century, the bicycle was available only to the upper classes, and was dimly viewed by the common people who considered it to be a rich man’s plaything. In 1894, in Faenza, an event was organised by Alfredo Oriani during which about seventy cyclists entered the town square through Porta Pia, challenging the ordinance issued by the mayor, forbidding cyclists entry to the town whilst in the saddle. On that occasion, the cyclists were mocked by a deafening choir of whistling, a paradoxical scene if we think that, today, in Romagna the bicycle enjoys a silent exoneration from the rules of the Highway Code. If, while you’re driving your car, an old lady calmly pedalling on the wrong side of the road appears behind a hairpin bend and crashes into you, don’t expect an apology, she’s more likely to shout abuse at you regarding your selfish driving, as you’re watched critically by passers-by (the criticism being aimed at you!). There are two main categories of cycling enthusiasts: competitive cyclists, always ready to race anyone (even themselves if necessary) and contemplative cyclists, with a more solitary, introspective nature. Despite the fact that the passion in Romagna for cycling has reached a point where it is known in local dialect as “la malatèia” (the illness), this land has never produced a champion of the calibre of Bartali or Coppi; however it definitely holds the record for the representatives of the second species of cycling enthusiasts. Stecchetti, Panzini, Serra and, perhaps more than any other, the aforementioned Oriani, were not just, each in his own way, pioneers of the bicycle, most importantly, they wrote the first, most beautiful pages dedicated to it. Pieces such as “Sul pedale” or ”E’viazz” affectionately celebrate the modest geometrical machine that, during a century characterised by two wars, helped entire generations to survive, become emancipated or to escape from everyday places (physical and spiritual). Even today, there are many people in Romagna who follow that which Oriani called the old dream of racing on wheels at the speed of the swallow without the aid of an animal or an engine; in the saddle of that which Domenico Berardi liked to call “the silver swallow”.

silenziosa affrancatura dalle regole del traffico. Se, mentre siete alla guida della vostra automobile, dietro una curva a gomito vi si parasse la figura di un’anziana signora che serenamente pedala contromano venendovi addosso, non aspettatevi scuse, più probabilmente inveirà contro il vostro sconsiderato modo di guidare tra gli sguardi critici dei passanti (sicuramente rivolti a voi!). Esistono due principali categorie di amanti del ciclo: gli agonisti, sempre pronti a misurarsi in velocità con chiunque (sé stessi se necessario) e i contemplativi, di natura più solitaria e introspettiva. Nonostante in Romagna la passione per il ciclismo sia diffusa al punto da essere definita in dialetto “la malatèia”, questa terra non ha mai dato i natali a un Bartali o a un Coppi; detiene però certamente il primato per quanto riguarda i rappresentanti della seconda specie di cicloamatori. Stecchetti, Panzini, Serra e, forse più di tutti, il sopraccitato Oriani non furono solo, ognuno a modo suo, pionieri della bicicletta ma scrissero, soprattutto, le prime e più belle pagine ad essa dedicate. Brani come “Sul pedale” o ”E’viazz” celebrano con affetto la geometrica macchina modesta che, durante un secolo percorso da due guerre, aiutò intere generazioni a sopravvivere, ad emanciparsi o a evadere dai luoghi (fisici e spirituali) di tutti i giorni. Ancora oggi sono molti in Romagna ad inseguire ciò che Oriani chiamò il sogno antico di correre sulle ruote alla velocità della rondine senza l’aiuto di un animale o di un motore; in sella a quella che a Domenico Berardi piacque definire, appunto, la “rondine d’argento”. Pa ssio n i

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M a rc e l l o Ci c ogn a n i

É Dialett

l ’anti ca lingua de lla ge nte di Roma gna

Dello spirito di Romagna abbiamo già detto; adesso, invece, vogliamo tentare un tratteggio della lingua che lo anima.

È

aspro, il dialetto romagnolo. È una parlata che muta da paese a paese e, a volte, da podere a podere. Perfetto per intendersi al volo – in casa, in piazza, in campagna – e recalci-

trante, nella sua schiva sobrietà, a rivelarsi a chicchessia. Ma è anche un gergo intriso d’inaspettata poesia, squillante liricità e gioioso stupore, come le sue origini latine e greche, tuttora, fanno odorare. Così, quale tramite, meglio del dialetto, può destreggiarsi nella persistenza dei costumi, delle idee, dei precetti e delle suggestioni in tempi, come questi, di marea crescente? E dove, se non nelle genuine espressioni, nelle lapidarie sentenze, negli inevitabili proverbi, nelle incontrovertibili verità, si possono scorgere i legami con l’ambiente, le sfumature del carattere, i percorsi dei pensieri, le inclinazioni del cuore? Amore, morte, povertà, superstizione, tavola, giustizia, religione, meteorologia: nulla viene tralasciato in questa centrifuga d’emozioni che è il nostro idioma. E se, come afferma il commediografo inglese Arnold Wesker, «La lingua è un ponte per andare sani e salvi da un posto all’altro», allora questa breve traversata non potrà che condurvi (così speriamo) ancor più addentro all’animo della gente che abita questa terra.

foto d’archivio

foto d’archivio

É DIALETT_ THE ANCIENT LANGUAGE OF PEOPLE FROM ROMAGNA

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I S e n s i d i R o m ag na

We’ve already spoken about the spirit of Romagna; today, we want to try and create a picture of the language that animates the region. The local dialect is harsh, with a twang that changes from town to town and farm to farm. Perfect for an immediate understanding – at home, in the street, in the fields – and reluctant, in its shy soberness, to reveal itself to just anyone. But it is also a jargon filled with unexpected poetry, a tinkling lyrical quality and joyful amazement, through which its Latin and Greek origins can still be perceived. What better than dialect can cope with the persistence of customs, ideas, precepts and suggestions in an age, such as this, of rising tides? And where, if not in the genuine expressions, lapidary sentences, inevitable proverbs and indisputable truths, can one glimpse links with the environment, shades of character, trains of thought and the inclinations of the heart? Love, death, poverty, superstition, table, justice, religion and meteorology: nothing is forgotten in this whirlpool of emotions that is our idiom. And if, as the English playwright, Arnold Wesker, says, «Language is a bridge to get from one place to another fit and well», this brief crossing can only lead you (we hope) even deeper into the soul of the inhabitants of this land.


La lengua la j è senz’òss, la s’li tira totti adòss.

Fìdat pôch dla zent, mo manch di parent.

La lingua è senz’osso ma se le tira tutte addosso.

Fidati poco della gente e meno dei parenti.

The tongue has no bones but attracts them from all around.

Don’t trust people much and trust your relations even less.

A panza pina u s’rasona mej.

I bajócch i n’ha e’ mangh.

A pancia piena si ragiona meglio.

I soldi non hanno il manico.

One reasons better on a full stomach.

Money doesn’t have a handle.

Dop avé dbú ignún vô dí la sú.

E’ sbaja neca e’ prit a dì la messa.

Dopo aver bevuto ognuno vuol dire la sua.

Sbaglia anche il prete nel dir messa.

After a drink everyone wants to have his say.

Even the priest makes a mistake in saying mass.

L’aqua l’è bona da lavêss la faza.

La lengua malegna l’è pez che la gramegna.

L’acqua va bene per lavarsi la faccia.

La lingua maligna è peggio che la gramigna.

Water’s fine for washing your face.

The evil tongue is worse than weeds.

U j è ch’magna par campê e chi ch’magna par s-ciupê.

L’ora de’ quajòn la vèn par tot.

C’è chi mangia per campare e chi mangia per scoppiare.

L’ora del minchione viene per tutti.

There are those who eat to live and those who eat to die.

Everyone appears to be a simpleton sometimes.

I scurs dla sera i n’va cun quìi dla matena.

S’u n’sbagliess neca i sapient, u n’i sareb pió post par j ignurent.

I discorsi della sera non vanno d’accordo con quelli del mattino.

Se non sbagliassero anche i sapienti non ci sarebbe più posto

Words spoken in the evening don’t agree with those spoken in the morning.

per gli ignoranti. If the clever never got it wrong, there’d be no place for the ignorant.

La bessa la s’arvôlta a e’ zarlatàn. La serpe si ribella all’incantatore.

Sass tiré e parola dêda i n’s tira indrì.

The snake turns on the charmer.

Sasso lanciato e parola data non si tirano indietro. A stone thrown and a word given can’t be taken back.

L’è un custóm ch’l’è sempr’usê e’ viv e’ môrt l’ha da purtê. È costume ch’è sempre usato, il vivo il morto deve portare.

Magnê dla pulenta e bé dl’aqua, êlza la gamba c’la pulenta scapa.

It’s an age-old custom, the living have to carry the dead.

Mangiar polenta e bere acqua, alza la gamba che la polenta scappa. Eat polenta and drink water, raise your leg -the polenta’s escaping.

Chi ch’s’met int un pinsìr fôrt u n’ariquésta che la môrt. Chi si mette in gravi pensieri non acquista altro che la morte.

Par San Martèn volta e zira / tot i becch i va a la fira.

Those who think serious thoughts earn nothing more than death.

Per S.Martino volta e gira tutti i cornuti vanno in fiera. For St. Martin turn around, all the cuckolds are out and about.

E’ mêl e’ vèn a caval e us’aveja a pè. Il male viene a cavallo e se ne va a piedi.

Mej una mòra a la finëstra che zent gagi a una fësta.

Trouble comes on horseback and leaves on foot.

E’ meglio una bruna alla finestra che cento rosse ad una festa. Better a brunette at the window than a hundred redheads at a party.

S’ t’a n t’vú insimunì, pôch t’é da durmì. Se non ti vuoi rimbecillire poco devi dormire. If you don’t want to grow stupid, sleep just a little.

Pa ssio n i

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foto d’archivio

I u ppi Pa gl i e r i

Il vino “targato” Cesari

un prodotto che è e spre ssione de lla p ro p ria t erra

“La storia di un vino è anche quella della gente che lo produce;

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C

osì inizia la presentazione dell’Azienda vinicola Umberto Cesari di Castel San Pietro Terme. Azienda emiliana, cuore romagnolo, Umberto Cesari

ha avviato la propria attività nel 1965. I novanta ettari dei quali si compone la proprietà, suddivisa in cinque poderi, si snodano dalle colline che dominano l’antica via Emilia, al confine con la toscana, con un “distaccaviene posta nella produzione del vino è curata fin nei minimi particolari perché Cesari “ha voluto un prodotto che fosse piena espressione della sua terra”. Ecco allora che i vigneti sono stati impiantati negli appezzamenti più

foto d’archivio

mento”, quello del “Colle del Re”, sulle colline di Imola. L’attenzione che

vocati al tipo di clima, con esposizione sud-sud ovest per le uve rosse ed estnord est per quelle bianche. Ecco perché tutte le tecniche di coltivazione avvengono nel massimo rispetto dell’ambiente, dall’inerbimento del vigneto ai trattamenti con lotta integrata, alla concimazione organica. Ecco perché in cantina si utilizzano le più moderne tecniche di vinificazione. Ed ecco perché i vini “targati” Umberto Cesari sono apprezzati e riconosciuti di alta qualità tanto dagli esperti del settore quanto dal pubblico.

I S e n s i d i R o m ag na

foto d’archivio

Ben fortunati ove lo sappiano, i contadini.

Virgilio

del loro calore e della loro passione…”.


THE WINE “BRANDED” CESARI_ A PRODUCT WHICH IS THE EXPRESSION OF ITS HOME “The story of a wine is also the story of those that make it; of their warmth and their passion…”. This is the introduction to the presentation of the Umberto Cesari di Castel San Pietro Terme winery. An Emilian company and a Romganolo heart, Umberto Cesari set up his own business in 1965. The ninety hectares that make up the estate are split into five farms and wind through the hills that dominate the ancient via Emilia, on the border with Tuscany, with just one “detachment”, that of “Colle del Re” (the King’s Hill), on the Imola hills. The attention dedicated to producing the wine is meticulous, covering even the tiniest details, because Cesari “wanted a product that fully expressed his land”. This is why the vineyards were planted in the places which could benefit best from the climate, with south – southwesterly exposure for red/ grapes, and east – northeast for white grapes. This is why all of the cultivation techniques are performed with complete respect for the environment, from the grassing over of the vineyard to integrated batch treatments and organic fertilising. This is why work in the cellar involves the use of state of the art winemaking techniques. And this is why wines “branded” Umberto Cesari are appreciated and recognised as being high quality wines by experts in the sector and the public alike. Tauleto is made from selected clones of Sangiovese Grosso (90%) and Bursona Longanesi (10%). It has an attractive, bright red grape skin colour with the chromatic hues of a decisive bordeaux. It has a fresh bouquet with an exuberant, spicy top note. But it is in the mouth that Tauleto expresses its preciousness to the full with a persistent aftertaste. Excellent with red and braised meat.

foto d’archivio

Liano is the “fruit” of the vinification of Sangiovese (70%) and Cabernet Sauvignon (30%). It has a clear, ruby red colour with garnet hues and offers a complex, intense and persistent aromatic bouquet, with notes of vanilla and spices. It is the ideal accompaniment for red meat and game dishes. Rèfolo is a sparkling wine made from a cuveè of 50% Chardonnay and 50% Pignoletto grapes 50%. Temperature-controlled fermentation maintains all the characteristic fruity freshness of both grape varieties. It has a pale straw yellow colour and fine, persistent perlage, with a delicate fruity perfume with scents of yellow flowers and lavender. On the palate it is fresh, flavoursome and pleasantly smooth. It makes the perfect aperitif and is also the ideal companion for light or fish-based entrées.

Tauleto, nasce da cloni selezionati di Sangiovese Grosso (90%) e Bursona Longanesi (10%). Si presenfoto d’archivio

ta di un bel colore rosso vinaccia carico, dai riflessi cromatici di un bordeaux deciso. Al naso emerge freschezza ed un’esuberante vis speziata. Ma è in bocca che il Tauleto esprime tutta la sua preziosità con un retrogusto persistente. Ottimo per piatti a base di carni rosse e brasati. Liano, è il “frutto” della vinificazione di Sangiovese (70%) e Cabernet Sauvignon (30%). Di colore rosso rubino limpido con riflessi granati, offre un buquet aromatico complesso, intenso e persistente, con note vanigliate e di spezie. A tavola trova buon abbinamento con preparazioni a base di carne rossa e

foto d’archivio

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selvaggina. Rèfolo, è ottenuto dalla spumantizzazione della cuveè di uve Chardonnay e Pignoletto al 50%. La fermentazione a temperatura controllata mantiene integri il fruttato e la freschezza caratteristici dei due vitigni. Il colore è giallo paglierino, il perlage è fine e persistente. Il profumo è delicato e fruttato con sentori di fiori gialli e di lavanda. Al palato risulta fresco e sapido con una buona morbidezza. Indicato come aperitivo, si accompagna anche ad antipasti leggeri o a base di pesce.

En o g a stro n o mia

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foto d’archivio

I u ppi Pa gl i e r i

Squaquerone: il morbido piacere un nome insolito pe r un prodotto di gran d e t rad iz io n e

foto d’archivio

Che si scriva con una sola “q”, oppure con “cq” cambia poco. L’importante è la sua bontà, la sua

delicatezza,

la

sua

dolce

cremosità.

È

lo

“squaquerone”,

o

“squacquerone”,

uno

dei

formaggi più apprezzati e caratteristici della Romagna.

foto d’archivio


l nome deriva, almeno così si pensa, dalla sua caratteristica principale: la “squagliabilità” (anche se c’è

chi dice che il suo nome deriva dal modo “sgangherato” in cui ridevano i contadini burloni della Romagna). Infatti, lo squaquerone è un formaggio vaccino a pasta molle, ottenuto da latte intero, talmente molle che non riesce a mantenere nessuna forma. Privo di crosta e dal colore bianco madreperlaceo si presta ad abbinamenti gastronomici anche “audaci”, come i fichi caramellati o il miele d’acacia. Uno dei modi più tradizionali per degustare lo squaquerone resta comunque quello con la piadina (eventualmente con l’aggiunta di rucola). Se fatto con tutte le regole, ne risulta una pietanza veramente appetitosa. Lo squaquerone fa parte della tradizione gastronomica romagnola. Nel febbraio del 1800, il cardinale Bellisomi, all'epoca Vescovo di Cesena, costretto a Venezia in occasione di un conclave, chiede, in una missiva inviata al vicario generale della diocesi di Cesena, notizia sugli squaqueroni che ancora non erano giunti alla sua mensa. La lunga permanenza a Venezia aveva evidentemente acuito nel Cardinale il desiderio di tornare in Romagna, quantomeno per riassaporarne i gusti. Lo squaquerone era inoltre ricordato da Antonio Mattioli nel vocabolario romagnolo-italiano, da lui redatto e dato alle stampe per la prima volta nel 1879. In epoca più recente sono numerosi gli scrittori e studiosi che hanno ricordato questo tipico formaggio, come Luigi Pasquini e Aldo Spallici, quest'ultimo fondatore agli inizi degli anni Venti della rivista "La Piè".

foto d’archivio

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Ivan Illich

Oggi il mito del consumo illimitato sostituisce la fede nella vita eterna.

I

SQUAQUERONE: THE SMOOTH PLEASURE_ AN UNUSUAL NAME FOR A PRODUCT WITH A GREAT TRADITION Whether it’s spelled with just a “q”, or with “cq” it makes no difference. The important thing is its goodness, its delicacy, its sweet creaminess. I’m talking about “squaquerone”, or “squacquerone”, one of the most appreciated and characteristic cheeses of Romagna. The name derives, according to common belief, from its main characteristic: its melting quality (“squagliabilità” in Italian), though there are those who claim that the name originates from the clumsy way in which the joking farmers of Romagna laughed. Squaquerone is a soft cheese made from whole cows milk, and is so soft that it cannot be shaped. It has no crust and its mother-of-pearl white colour makes it ideal for “audacious” gastronomic combinations, with caramel-coated figs or acacia blossom honey. One of the most traditional ways of enjoying squaquerone is with the “piadina” (with the addition of rocket). If all the rules are followed, the result is extremely appetising. Squaquerone is part of the gastronomic tradition of Romagna. In February 1800, Cardinal Bellisomi, then Bishop of Cesena, forced to stay in Venice during a conclave, sent a message to the vicar general of the diocese of Cesena, asking for news about the Squaqueroni which he still hadn’t received. His long stay in Venice had obviously aroused a desire in the cardinal to return to Romagna, even if just to enjoy its flavours. Squaquerone was also remembered by Antonio Mattioli in his Romagnolo-Italian dictionary, first printed in 1879. More recently, numerous authors and intellectuals have mentioned this typical cheese from Romagna, including Luigi Pasquini and Aldo Spallici, the latter being the founder of the magazine "Le Piè" at the beginning of the nineteen twenties. En o g a stro n o mia

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foto d’archivio

S t e f a n i a M az z otti

Figlia di un Angelo le ali di A nton ia Bian c in i Esseri volatili che si librano leggeri come piume in volo sono i soggetti prediletti della scultrice di ceramica Antonia Biancini.

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I Sensi di Romagna


DAUGHTER OF AN ANGEL_ THE WINGS OF ANTONIA BIANCINI

foto d’archivio foto d’archivio

foto d’archivio

Birds that glide, as light as feathers in flight, are the favourite subjects of the sculptress of ceramics Antonia Biancini. Made of gres, they represent intangible figures. Owls, eagles, birds of paradise, angels, guardians of the well-being and happiness of the soul. They are represented without their third dimension, as fragile as sheets of paper, and painted with the natural colours of the earth and the sky. Ethereal birds that defy the force of gravity and the weight of the ceramic matter. “I prefer the theme of birds – explains the sculptress – for the air element, for the freedom and lightness that they communicate to me. My job is to try to lighten the material. This is why I use gres which, unlike majolica, is baked at very high temperatures and enables me to create very fine, fragile surfaces”. Antonia Biancini, daughter of the well known sculptor from Romagna, Angelo Biancini, was born in 1940 and trained in Faenza at the Ballardin Ceramics Institute, where she learned all about the chromatic and plastic potential of gres, which was unknown in Faenza at the time and was introduced by the great Albert Diatò. “None of us – explains Antonia – would have learned to use gres had Diatò not come to Faenza. The complete works of Carlo Zauli simply would not exist. I learned about gres from Diatò and then developed my own personal research”. Antonia Biancini, sculptress daughter of a sculptor father, has left her father’s work behind her. Her work seems to head in the exact opposite direction. At the start of her career she made chromatic panels with an almost metaphysical feel, free of figurative forms, before moving on to the ethereal world of angels. If her father is linked to heavy concrete matter and figures, Antonia chooses lightness and fights against the physicality of the matter. From her father she inherits the stylisation of forms, but then takes her own path, finding her own personal solutions. “Like all those who follow in their parent’s footsteps – she explains – I have always had to fight against complexity and the weight of the greatness of my father. I have always tried to be different. In fact one of the greatest compliments I have received came from a colleague who told me: ‘If you wanted to do something different, you’ve managed”. Today Antonia lives and works in Perugia. She has taken part in several ceramic competitions and from 1965 to the present day has presented various collective and one-man exhibitions.

R

ealizzati in gres, rappresentano figure immateriali. Gufi, aquile, uccelli del paradiso, angeli, custodi del bene e della felicità dell’anima. Sono rappresentati privi della terza dimensione, fragili come fogli di carta e dipinti con i colori naturali della terra e del

cielo. Volatili eterei che sfidano la forza di gravità e il peso della materia ceramica. “Preferisco il tema dei volatili - spiega la scultrice - per l’elemento aria, per la libertà e la leggerezza che mi comunicano. La mia operazione è quella di cercare di alleggerire la materia. Per questo utilizzo il materiale del gres che, a differenza della maiolica, viene cotto ad altissime temperature e mi permette di creare superfici molto sottili e fragili”. Antonia Biancini, figlia del noto scultore romagnolo Angelo Biancini, è nata del 1940 e si è formata a Faenza presso l’Istituto di Ceramica Ballardini dove ha appreso le potenzialità cromatiche e plastiche del gres, allora sconosciuto a Faenza e introdotto in città dal grandissimo Albert Diatò. “Nessuno di noi - spiega Antonia - avrebbe imparato ad usare il gres se Diatò non fosse arrivato in città. L’intero lavoro di Carlo Zauli non esisterebbe. Io ho imparato il gres da Diatò e poi ho elaborato la mia ricerca personale”. Antonia Biancini, figlia d’arte, si lascia alle spalle il lavoro del padre. L’intera sua opera sembra seguire un percorso opposto. All’inizio della carriera realizza pannelli cromatici di sapore quasi metafisico, privi di forme figurative ed infine approda al mondo etereo degli angeli. Se il padre è legato alla materia e a figure concrete, pesanti, Antonia sceglie la leggerezza e lotta contro la fisicità della materia. Dal padre eredita la stilizzazione delle forme, poi segue il proprio percorso ed approda a soluzioni autonome. “Come tutti i figli d’arte - spiega - ho sempre dovuto lottare contro il complesso e il peso della grandezza di mio padre. Ho sempre cercato di distin-

guermi. Infatti, uno dei complimenti più belli che mi è stato fatto proviene da un mio collega che mi disse: “Se volevi fare qualcosa di diverso ci sei riuscita”. Antonia ora vive e lavora a Perugia. Ha partecipato a diversi concorsi di ceramica e dal 1965 ad oggi è presente in diverse mostre collettive e personali. Arte

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S tefania Maz z otti

L’affresco della commenda G i rol amo da Tre v iso e Sabba Castiglione

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I Sensi di Romagna


foto d’archivio

Era

il

1533

quando

il

pittore

Girolamo da Treviso accettava la commissione della

dell’affresco

Commenda

Castiglione,

di

dell’abside

Faenza

umanista

e

di

Sabba

cavaliere

gerosolmitano.

I

l suo committente di origine milanese si era trasferito a Faenza nel 1519, perseguendo l’ideale

della vita solitaria tipico degli umanisti e letterati di fine ‘400 e volendo abbandonare l’arte della guerra.

di Faenza

Era stato infatti inviato a Rodi a difendere l’isola dall’impero Turco. Faenza definito nei suoi scritti come “securo e tranquillo porto di provincia” costituiva il luogo ideale dove ritirarsi dalla vita mondana e potere recuperare una dimensione spirituale e contemplativa a contatto con la natura. Qui scrisse la sua opera più importante “I ricordi”, una sorta di diario della propria vita e soprattutto un manuale di principi per diventare un buon cavaliere cristiano. Sabba, di gusto raffinato (era stato fra l’altro collezionista su commissione di Isabella d’Este), fece in pochi anni risistemare la sua tenuta di origine medievale. Allestì uno studiolo con una piccola collezione di quadri e oggetti antichi. Nel 1525 fece restaurare il chiostro e fece apportare delle iscrizioni autocelebrative. Sabba era cosciente del proprio valore intellettuale e si comportò alla Commenda come un signore rinascimentale artefice e consapevole della portata della propria dimora. Decise allora di “ornare” l’abside della sua chiesa, con un affresco che rappresentava se stesso in ginocchio ai piedi della Madonna in trono con il bambino, San

foto d’archivio

Giovanninino, Santa Caterina e la Maddalena. Sabba scelse non a caso Girolamo da Treviso, pittore allora

molto attivo nella scena bolognese, di

Arte

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foto d’archivio foto d’archivio

THE FRESCO OF THE COMMENDAM OF FAENZA_ GIROLAMO FROM TREVISO AND SABBA CASTIGLIONE

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I Sensi di Romagna

It was 1533 when the painter Girolamo da Treviso accepted the commission for the fresco of the apse of the Commendam of Faenza of Sabba Castiglione, humanist and Knight Hospitaller. The commissioner, of Milanese origin, had moved to Faenza in 1519, pursuing the ideal of the solitary life typical of humanists and literary men at the end of the 1400’s with a desire to leave the art of war behind him. He had been posted to Rhodes to defend the island from the Turkish Empire. Faenza, described in his writings as a “safe and peaceful provincial port”, was the ideal place in which to retire from his social life and recover a spiritual and contemplative dimension in contact with nature. It was here that he wrote his most important work “I ricordi” (The memoirs), a sort of diary of his life and, most importantly, a handbook of principles for becoming a good Christian knight. Sabba had refined tastes (he had also been commissioned as a collector by Isabella d’Este) and in just a few years, he had his estate, which was of medieval origin, completely renovated. He set up a studio with a small collection of paintings and antique objects. In 1525 he had the cloister restored and embellished with self-celebratory engravings. Sabba was aware of his intellectual ability and assumed his role at the Commendam as was fitting to a renaissance lord, responsible for and aware of the importance of his home. So he decided to “ornate” the apse of his church with a fresco which depicted him kneeling at the feet of the Madonna sitting on the throne with the child, St. Giovanninino, St. Caterina and Maria Magdalene. Sabba’s choice of Girolamo da Treviso, a painter who was very active in the Bologna area, with an excellent reputation and belonging to the same circle of acquaintances and friends sharing the humanist culture, reflecting upon and discussing the religious and political problems which had arisen from Luther’s protest, was no mere coincidence. In this fresco Sabba was depicted as a knight, dressed in the armour of his order, in profile, according to the auto-celebratory customs of the time. Girolamo da Treviso painted a simple, harmonious and timeless composition which exemplified the ideals of his commissioner: the solitary life and faith of peaceful Christianity, despite the diffusion of heresies which placed the principles of the church under discussion and the fact that the violent suppressions of the Holy inquisition were near. Girolamo da Treviso described the saints with monumental bodies and faces inclined in contemplative, melancholy attitudes. The luminous landscape was depicted at dawn. Streaked with blues, yellows and purples blending into the orangey and yellowy colours of the clothes of the saints, in an attempt to illustrate the pleasure of contact and fusion with the nature of the solitary life. At the top in the lunette, the figure of the Everlasting Father carried by angels holding olive branches, symbols of peace. The peace for Christianity so longed for by Sabba Castiglione. History took a different route. Different Churches were formed and the counter-reform in Italy suppressed all the heretic currents. Just a few years later (1550) Faenza was to be proclaimed a coven of heretics, including its governors. And in 1538, Girolamo da Treviso, who probably did not live a strictly Catholic life, moved to the court of Henry VIII, where he painted works such as “Gli evangelisti lapidano il papa” (The Evangelists stone the Pope). Sabba, who belonged to the religious order of the Knight Hospitallers, was never a heretic, considering himself to be an Evangelic Christian, but he struggled to understand the conflicting and repressive positions of the Roman Church. At the end of his life he was so disgusted and confused that he felt that Judgement Day was at hand and wrote, in the closing stanza of the last edition of “I Ricordi” (1554), “I regret and it pains me considerably that I am not who I would like to and should be…I do not know what I would like to do and do what I would rather not do”.


buona fama, appartenente alla stessa schiera di conoscenze e amicizie di cultura umanista in riflessione e in discussione per i problemi religiosi e politici aperti dalla protesta di Lutero. cavaliere, vestito con l’armatura del suo ordine, di profilo secondo i canoni autocelebrativi dell’epoca. L’arte del bisogno è straordinaria: essa ha la virtù di rendere preziose, per noi, le cose più vili. William Shakespeare

foto d’archivio

foto d’archivio

Sabba in questo affresco fu raffigurato come un

Girolamo da Treviso dipinse una composizione semplice, armonica e atemporale che esemplificasse gli ideali del proprio committente: la vita solitaria e la fede in una cristianità in pace, nonostante la diffusione delle eresie, che mettevano in discussione i principi della chiesa, e nonostante fossero vicine le soppressioni violente della santa inquisizione. Girolamo da Treviso descrisse allora le Sante con corpi monumentali e i volti reclinati in atteggiamenti contemplativi e melanconici. Il paesaggio luminoso fu fissato all’alba. Venato di azzurri, gialli, violetti fusi con i colori arancioni e giallastri delle vesti delle Sante voleva illustrare il piacere del contatto e della fusione con la natura della vita solitaria. In alto nella lunetta la figura del Padre Eterno trasportato dagli angeli con in mano rami di ulivo, simboli di pace. La pace per la cristianità tanto auspicata da Sabba Castiglione. La storia andò diversamente. Si formarono Chiese diverse e la Controriforma in Italia soppresse tutte le correnti eretiche. Faenza di lì a pochi anni (1550) sarebbe stata scoperta covo di eretici compresi i suoi governanti. E Girolamo da Treviso, che probabilmente non apparteneva ad una posizione rigidamente cattolica, si trasferì nel 1538 al servizio di Enrico VIII dove dipinse quadri come “Gli evangelisti lapidano il papa”. Sabba, appartenente all’ordine religioso dei gerosolmitani, non fu mai eretico. Si considerò sempre cristiano evangelico, ma a fatica comprendeva le posizioni conflittuali e repressive della chiesa di Roma. Alla fine della sua vita era tanto disgustato e confuso da sentire imminente il Giudizio universale e da scrivere nel commiato dell’ultima edizione dei Ricordi (1554) “mi spiace e mi doglio assai a non essere quel che io vorrei e dovrei essere… io non so quel ch’io vorrei fare e fò quello che non vorrei fare”.

Arte

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Territorio Itinerari di pianura_ La terra di Romagna dalla “bassa” al mare

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The paths through “Low Romagna”_ Amidst dream and reality

Storia Il primo romagnolo_ Passato anteriore di un popolo

La casa contadina della Romagna Occidentale_ Il microcosmo della vita rurale

The first “Romognolo”_ The past of a population

The Farmhouse of Western Romagna_ The microcosm of rural life

L’aviatore di Lugo_ Gentiluomo dell’aria The Aviator from Lugo_ Gentleman of the Air Carnevale in Romagna_ Cibo e vino in abbondanza in attesa della Quaresima Carnival in Romagna_ Food and wine in abundance, awaiting Lent

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Passioni La rondine d’argento_ Bicicletta in Romagna tra quotidianità e letteratura The silver swallow_ Bicycle in Romagna amidst everyday life and literature É Dialett_ L’antica lingua della gente di Romagna É Dialett_ The ancient language of people from Romagna

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Enogastronomia Il vino “targato” Cesari_ Un prodotto che è espressione della propria terra The wine “branded” Cesari_ A product which is the expression of its home Squaquerone: il morbido piacere_ Un nome insolito per un prodotto di grande tradizione Squaquerone: the smooth pleasure_ An unusual name for a product with a great tradition

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I Sens i di Rom agn a

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Arte Figlia di un Angelo_ Le ali di Antonia Biancini Daughter of an Angel_ The wings of Antonia Biancini L’affresco della commenda di Faenza_ Girolamo da Treviso e Sabba Castiglione The Fresco of the Commendam of Faenza_ Girolamo da Treviso and Sabba Castiglione



I Sensi di Romagna numero 3.

febbraio 2003

Periodico edito da CERDOMUS Ceramiche S.p.A. 48014 Castelbolognese (RA) ITALY via Emilia Ponente, 1000 www.cerdomus.com Direttore responsabile Luca Biancini Progetto Carlo Zauli Luca Biancini Grafica e impaginazione Jan Guerrini/Cambiamenti per Divisione immagine Cerdomus Coordinamento editoriale Pierluigi Papi Redazione Alessandro Antonelli Marcello Cicognani Stefania Mazzotti Iuppi Paglieri Giuseppe Sangiorgi Foto Archivio Cerdomus Circolo Fotografico Casolano Archivio Cesari Marcello Cicognani Jan Guerrini

si ringrazia per la preziosa collaborazione Maddalena Becca/Divisione immagine Cerdomus Traduzioni Omnitrad Castelbolognese Stampa Litographicgroup ŠCERDOMUS Ceramiche SpA tutti i diritti riservati Autorizzazione del Tribunale di Ravenna nr. 1173 del 19.12.2001


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