Magazine EE nr 04

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ue personaggi antitetici trovano posto nel numero che avete tra le mani: Dino Campana e René Gruau.

Il primo, formalmente toscano, era nato sui monti; il secondo, mezzosangue francese, in riva al mare. L’uno, arso dal proprio genio, fuggirà se stesso per ogni angolo del mondo; l’altro, leggero come il suo tratto, del mondo farà la propria dimora. Il poeta, figlio illegittimo di un’era fulminea, sarà riabilitato da morto; il disegnatore, esteta ricercato di un universo frenetico, celebrato da vivo. Lontani in tutto, per entrambi la terra natale sarà sempre al centro delle rispettive orbite; mai dimentichi di quanta parte di lei fosse stata, irreparabilmente, iniettata sotto la pelle. In fondo, nel vivere come nel sentire: due romagnoli. La Redazione di

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You’ll find two antithetical characters in this number: Dino Campana and René Gruau. The former, formally Tuscan, was born in the mountains and the latter, half French, by the sea. One of them, burnt up by his own genius, was to flee from himself to every corner of the world, while the other, as light as his stroke, made the world his home. The poet, illegitimate son of a threatening era, would be rehabilitated after his death; the designer, sought-after aesthete in a frenetic universe, was celebrated in his lifetime. Distant in everything else, for both of them the land of their birth would always be at the centre of their respective orbits, never forgetting how much of it had been inexorably injected under their skin. All in all, in living as in feeling: two men of Romagna. The editorial staff of ee E d ito ria le

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acquaterrafuocoaria


foto d’archivio

Ma rc e l l o Ci c ogn a n i

La riviera adriatica

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I S e n s i d i R o m ag na

fra luci e ombre


La Riviera Adriatica romagnola. Una linea di sabbia dorata che, da Marina di Ravenna a Gabicce, espone un’incessante teoria di stabilimenti balneari dai nomi improbabili o banali, pensioni e hotel a ‘mezza-pensione’, ristoranti alla moda e pizzerie dov’è impossibile non far la coda, discoteche e balere, parchi a tema e riserve naturali solo per elencare quanto riluccica sotto i raggi del sole.

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ilano Marittima, la “città giardino” con le sue ville liberty mimetizzate nella pineta, è in simbiosi con Cervia, l’arcaica “città del sale” di cui già abbiamo detto (ee1). Poco oltre Cesenatico. Edificata e muni-

ta dai cesenati nel 1302 fu distrutta e ricostruita a più riprese, sino a quando, nel 1382, Galeotto Malatesta la riguadagnò alla Chiesa. Un refuso identifica con Leonardo da Vinci l’ingegnere di Cesare Borgia che, nel 1501, voleva prolungare il canale navigabile fino a Cesena; il genio toscano avrebbe, invece, compiuto un rilievo del porto nell’anno seguente (ee2). La Storia, poi, fece qui un balzo la notte del 2 Agosto 1849, quando Garibaldi e i resti della sua milizia salparono durante la vorticosa e tragica fuga dagli eserciti di mezza Europa. Oggi, il Museo galleggiante della Marineria aduna nel porto-canale barche tipiche dell’Adriatico, armate e rimesse a nuovo secondo gli schemi originali. Da qui le stazioni balneari continuano a susseguirsi senza soluzione di continuità e, varcato il Rubicone, sono piacevoli soste l’antico borgo di pescatori di Bellaria (dove resiste una torre saracena del 1673), e Igea Marina, nata da un’intuizione del riminese Vittorio Belli il quale, nel 1912, risanò questo scampolo di costa e v’impiantò una pineta di cui, oggi, restano frammenti. Finché si giunge a Rimini. Quantunque ribattezzata con un orribile, quanto azzeccato, neologismo il “divertimentificio”, Rimini non dimentica d’esser città d’eco antica nonché ricca di vestigia d’un passato, ormai, remoto. L’originaria Ariminum (così chiamata dal vecchio nome del fiume Marecchia: Ariminus) – centro di cultura umbroetrusca e dagli Umbri (secondo Strabone) fondata – fu dedotta colonia romana nel 268 a.C.. L’attuale Piazza Tre Martiri copre la superficie del fòro, punto d’arrivo della Via Flaminia e partenza dell’Emilia: agli antipodi del decumanus limes s’ergono l’Arco d’Augusto – il più antico fra i superstiti (27 a.C.) – e il ponte a cinque volte iniziato dallo stesso Augusto ma dedicato a Tiberio che lo ultimò nel 21 d.C.. E’ suppergiù in quest’intorno che Giulio Cesare proferì la celebre arringa alla XIII legione in procinto di marciare su Roma (49 a.C.).

foto d’archivio

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Te rrito rio

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Caduto l’Impero Rimini guadagnerà la propria autonomia passando indenne fra le intemperie della Storia, sino a vivere la sua seconda stagione di splendori grazie ai fasti della famiglia Malatesta. La signoria si formò agli inizi del Duecento con Malatesta da Verucchio e i suoi figli Paolo Bello, Gianciotto e Malatestino «dall’occhio» (tutti citati da Dante), per poi consolidarsi dal 1295 e toccare l’apice con l’età di Sigismondo Pandolfo (1429-1468). Tipica figura di signore italiano del Rinascimento, alla sua corte il rampollare delle arti seguì di pari passo quello degli studi umanistici nonché della poesia latina e volgare (come già all’epoca del precedente Pandolfo, amico del Petrarca). A lui, soprattutto, si deve il magnifico rivestimento, per opera di Leon Battista Alberti, della duecentesca cappella di S.Francesco che, così grandiosamente rinnovata, è ancor oggi appellata Tempio Malatestiano. Il prospetto triplica fra quattro colonne scanalate l’Arco d’Augusto e ne ribadisce, nei semipennacchi, il motivo dei medaglioni; la pianta, che doveva essere a croce latina con la cupola brunelleschiana, ha, invece, un semplice sviluppo longitudinale con cappelle aperte sui lati. All’interno, le decorazioni a rilievo furono dirette da Agostino di Duccio mentre nella cella delle reliquie, a custodire «Patribus digna sepulcra suis», si può ammirare in tutto il suo splendore l’affresco votivo di Piero della Francesca. Sigismondo fu valente condottiero, ampliò il feudo ereditato e partecipò a tutte le guerre d’Italia dal 1433 al 1463. Ebbe anche fama (in parte esagerata) di uomo crudele e infido; fama che gli alienò le simpatie di Francesco Sforza duca di Milano e, soprattutto, di Pio II. Questi, per disfarsi del vassallo ribelle, gli mosse contro una guerra senza quartiere che costò la perdita degl’interi domini. Episodio che, unito alla prepotenza di Cesare Borgia, decretò, dopo un breve sussulto di Roberto successore di Sigismondo, la diaspora dei Signori e il tramonto del loro potentato. Oggi, l’importanza romana e medievale di Rimini quasi scompare di fronte alla sua funzione di “capitale del divertimento”: oramai da 160 anni (i primi passi dell’industria balneare furono mossi nel 1843 da pionieri quali Claudio Tintori assieme ad Alessandro e Ruggiero Baldini) la città ha fatto di tutto per aderire alle brame della ressa che, ogni estate, inonda la sua spiaggia. Ma se il Grand Hotel, il Kursaal, gli stupori di Fellini, il lungomare e quant’altro hanno tramandato Rimini al fantastico, è altresì vero che le (spesso) deleterie conseguenze di quel turismo di massa inventato, guardacaso, proprio qui hanno gettato, negli ultimi decenni, rifrazioni sempre più opache sulla sua finissima rena. Rimini, dunque, sino in fondo alla stregua di Giulio Cesare? Difficile a dirsi. Certamente, più d’un navigatore di passaggio viene, ancora, ammaliato dal suo miraggio e rapito dai suoi (in)canti; suggestioni d’una città, da sempre, riverbero dell’epoca che l’ha attraversata.

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foto d’archivio

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THE ADRIATIC RIVIERA_ BETWEEN LIGHTS AND SHADOWS

Te rrito rio

La fiducia nell’altrui bontà è non lieve testimonianza della propria.

Michel de Montaigne

The Adriatic Riviera of Romagna. A line of golden sand which, from Marina di Ravenna to Gabicce, displays an endless succession of beach bars with improbable or banal names, half-board hotels and pensions, fashionable restaurants and pizza parlours where you always have to queue, discos and dancehalls, theme parks and nature reserves, just to list how much there is sparkling under the sun. Milano Marittima, the “garden city” with its Art Nouveau villas camouflaged in the pinewood, lives in symbiosis with Cervia, the ancient “salt town” mentioned previously (ee1). Slightly farther on, Cesenatico. Built and equipped by the people of Cesena in 1302 it was destroyed and rebuilt several times until, in 1382, Galeotto Malatesta won it back for the Church. A typographical error identifies Leonardo da Vinci as Caesar Borgia’s engineer who, in 1501, wanted to extend the navigable canal as far as Cesena, whereas the Tuscan genius actually carried out a survey of the port the following year (ee2). Then a leap of history to the night of 2nd August 1849 when Garibaldi and the remains of his militia embarked during the dizzy and tragic flight from the armies of half Europe. Today, the floating Maritime Museum on the canal port displays typical Adriatic vessels, restored and fitted out as they were originally. From here the seaside resorts continue uninterruptedly and, having crossed the Rubicon, you can make a pleasant visit to the ancient fishing village of Bellaria (where a 1673 Saracen tower still stands) and Igea Marina, created by the insightful Vittorio Belli of Rimini who, in 1912, rehabilitated this patch of coast and planted a pinewood of which fragments remain today. Then you come to Rimini. Though re-baptised with a neologism as horrible as it is accurate – Divertimentificio (Fun Factory) – Rimini has not forgotten its echoes of an ancient town rich in vestiges of a now remote past. The original Ariminum (from the old name of the river Marecchia: Ariminus) was an Umbrian-Etruscan cultural centre and according to Strabo was founded by the Umbrians. It became a Roman colony in 268 BC. The present day Piazza Tre Martiri stands on the forum, where the Via Flaminia arrived and the Via Emilia departed: at the antipodes of the decumanus limes the Arch of Augustus was erected – the oldest among those extant (27 BC) – and the five vaulted bridge begun by Augustus himself but dedicated to Tiberius who completed it in 21 AD. It was more or less in these surroundings that Julius Caesar delivered his celebrated harangue to the 13th Legion about to march on Rome (49 BC). With the fall of the Empire Rimini gained independence, passing unharmed through the storms of History and experiencing its second season of splendours thanks to the sumptuousness of the Malatesta family. Dominion was established at the beginning of the 13th century by Malatesta da Verucchio and his sons Paolo Bello, Gianciotto and Malatestino dall’occhio (all mentioned by Dante), and was consolidated from 1295 onwards, reaching its peak with the age of Sigismondo Pandolfo (1429-1468). A typical Italian Renaissance lord, at his court the arts flourished hand in hand with humanistic studies and poetry in Latin and the vulgar tongue (as in the days of the earlier Pandolfo, friend of Petrarch). To him above all we owe Leon Battista Alberti’s magnificent facing of the 13th century chapel of San Francesco which, renovated with such grandeur, is still called the Malatesta Temple. Between four fluted columns the elevation triplicates the Arch of Augustus and, in the spandrels, repeats its medallion motif. The plan, which must have been Latin cross with the Brunelleschi cupola, has in fact a simple longitudinal development with open chapels at the sides. The interior relief decorations were supervised by Agostino di Duccio while in the reliquary cell, preserving «Patribus digna sepulcra suis», you may admire Piero della Francesca’s votive fresco in all its splendour. Sigismondo was an able commander and fought in all the wars in Italy between 1433 and 1463. He was also (somewhat exaggeratedly) notorious as a cruel and treacherous man, a notoriety that lost him the sympathy of the Duke of Milan, Francesco Sforza, and above all of Pius II who, to get rid of his rebel vassal, waged a merciless war against him that led to the loss of all his dominions. This episode, together with the high-handedness of Caesar Borgia, resulted in the diaspora of the Lords and the end of their power after a brief tremor caused by Sigismondo’s successor Roberto. Today the Roman and mediaeval importance of Rimini is almost obscured by its function as the “capital of fun”: it is now 160 years (the first steps in the seaside resort industry were taken in 1843 by pioneers such as Claudio Tintori together with Alessandro and Ruggiero Baldini) that the town has been doing everything possible to satisfy the longings of the hordes that invade its beach every year. But if the Grand Hotel, the Kursaal, Fellini’s wonders, the seafront and all the rest have reduced Rimini to the fantastical, it is equally true that the (often) deleterious consequences of mass tourism – invented precisely here be it noted – have in recent decades thrown increasingly opaque refractions on its very fine sand. Rimini, then, at bottom sharing its fate with Julius Caesar? It’s hard to say. Certainly more than one passing navigator still comes, bewitched by its mirage and enraptured by its (songs of) enchantment; evocations of a town, always there, reverberation of the epoch that has passed through it.

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Paol o M a r t i n i

La prima associazione industriale

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THE FIRST ITALIAN INDUSTRIAL ASSOCIATION

Tell of your village and you will be universal. Flaubert “Where was the first Italian industrial association set up?” The answer to this TV quiz question should have been familiar to us: in Faenza. Our own town was theatre of this extraordinary and obscure adventure which finds little mention in history books, local ones included. The adventure got under way on 9th October 1864. Count Achille Laderchi was nominated president with Lorenzo Landi, the mover of the enterprise, as vice-president. Obviously the term industrial should not be understood in today’s sense. It was rather an attempt to resolve the social question, a problem of prime importance in the Romagna ferox of the post-unification period. The Association took action in various economic and social directions: silkworm-breeding, hemp spinning, charity committees, foundling hospitals, vine-growing, art and trade schools and campaigns to eliminate illiteracy. This experience bore important fruits for our town. One need only recall that the local Banca Popolare was established in November 1865 as a result of Landi’s great commitment to convincing the Faenza Savings Bank and various notables of the Manfredi family to finance this newborn bank. It was set up as “a powerful means of associating and harmonising work with capital”. The Faenza model enjoyed only a few years of great vitality: in the course of 1866 it took root first in Ravenna, then Bologna and lastly Milan. Precisely this contact with the main city of Lombardy was to prove fatal for the adventure. Landi worked with Luigi Luzzatti, a skilful economist and future minister. The Milanese Association was set up in February ’67, adopting the Faenza statutes. This was the end: Luzzatti separated Landi from the latter’s own creation, scared by the energy of this Romagnol who though uncultured was a man of genius. The Italian Industrial Association of Faenza ceased to exist in 1867. Its creator, Lorenzo Landi, led a picaresque life roaming the world, returning to the town in 1890. In time to make a last gift to Faenza. Old and with little money, he recognised and supported the artistic talent of a greengrocer’s son. In acknowledgement the young man sculpted a bust of his crushed patron. The young man’s name was Domenico Baccarini. The bust of Landi, blackened with age, is still there in the Osservanza Cemetery.

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italiana

Narra del tuo villaggio e sarai universale. Flaubert

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ove nacque la prima associazione industriale italiana?». Trattasi di domanda da Milionario, eppure per noi faentini la

risposta dovrebbe suonare familiare: a Faenza. Proprio la nostra città è stata teatro di questa straordinaria e oscura avventura che trova pochi riscontri nei libri di storia, anche in quelli locali. L’avventura prende l’abbrivio il nove ottobre dell’anno 1864. Presidente dell’Associazione viene nominato il conte Achille Laderchi, come vicepresidente ci si affida a Lorenzo Landi, anima dell’impresa. E’ ovvio che il termine industriale non è da intendersi con la sensibilità contemporanea, ma piuttosto come il tentativo di risolvere la questione sociale, problema di primaria importanza nella Romagna ferox del periodo postunitario. L’Associazione si adoperò in varie direzioni economiche e sociali: bachicoltura, filatura della canapa, comitati di beneficenza, brefotrofi, viticoltura, scuole di arti e mestieri e campagne di alfabetizzazione. Questa esperienza diede frutti importanti per la nostra città. Basti pensare che la locale Banca Popolare viene fondata nel novembre del 1865, proprio grazie all’impegno profuso dal Landi che convinse la Cassa di Risparmio di Faenza e vari notabili manfredi a finanziare il neonato istituto di credito. La banca nasce come «potente mezzo onde associare ed armonizzare il lavoro col capitale». Il modello faentino ebbe pochi anni di grande vitalità: nel corso del 1866 attecchisce prima a Ravenna poi a Bologna, sino a giun-

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gere a Milano. Proprio il contatto con il capoluogo lombardo sarà fatale all’avventura. Landi lavora con Luigi Luzzatti, economista di vaglia e futuro ministro. Nel febbraio ‘67 nasce l’Associazione milanese che sposa gli statuti manfredi. E’ la fine: Luzzatti allontana Landi dalla sua creatura, spaventato dall’energia di questo

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incolto ma geniale romagnolo. L’Associazione Industriale Italiana di Faenza cessa di esistere nel 1867. Il suo creatore, Lorenzo Landi, menò una vita picaresca per il mondo e tornò in città nel 1890. In tempo per fare l’ultimo regalo a Faenza. Vecchio e con scarsi mezzi, riconobbe e sostenne il talento artistico del figlio di un fruttivendolo. Il giovane, per riconoscenza, modellò il busto del suo stazzonato mecenate. Il ragazzo si chiamava Domenico Baccarini. Il busto del Landi è ancora là, al Cimitero dell’Osservanza, annerito dagli anni.

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Val e n t i n a Ba r u z z i

Il fonte monumentale di Faenza pi etra d’Is tri a e bronzo, a cqua e sa ngiov e se

Alla fine del Cinquecento, dopo un lungo periodo di degrado urbano iniziato nel VI sec., la magistratura faentina decise di allinearsi con le tendenze culturali, sociali e scientifiche che si diffusero in Italia e in Europa.

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er questo fu deciso di rinnovare l’assetto urbano anche attraverso la realizzazione di un impianto idrico che portasse l’acqua fino al centro della città. La prima proposta risale al 1567 ma i lavori iniziarono nel 1583 assegnati a Padre Domenico Paganelli, archi-

tetto e ingegnere faentino. Dopo un breve periodo l’opera fu interrotta a causa dei costi lievitati e poi ripresa per volontà del Cardinal Legato Domenico Rivarola solo nel 1614. I lavori furono portati a termine nell’ottobre dello stesso anno quando fu fatta zampillare, da una colonna di marmo posta alla testata del loggiato comunale, l’acqua proveniente da una sorgente presso la vicina località di Errano. Giunti a questo punto, superate tutte le difficoltà tecniche grazie a un efficiente sistema di cisterne e condotti in terracotta, si decise di dare alla fontana una forma decorosa e un’immagine dignitosa che testimoniasse l’orgoglio civico per questa impresa. Il nuovo fonte fu posizionato in prossimità del crocevia tra gli assi stradali principali, il decumano massimo, corrispondente alla via Emilia, e il cardo

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THE MONUMENTAL FOUNTAIN OF FAENZA_ ISTRIA STONE AND BRONZE, WATER AND SANGIOVESE At the end of the 16rh century, after a long period of urban decay that had begun in the 6th century, the Faenza magistrature decided to get in line with the cultural, social and scientific trends that were spreading through Italy and Europe. So it was decided to renew the townscape, also through the creation of a water supply system that would bring water right into the centre. The first proposal dates to 1567 but the work was actually begun in 1583 under the supervision of the Faenza architect and engineer Padre Domenico Paganelli. After a short period the work was interrupted due to increased costs, then resumed on the initiative of Cardinal Legate Domenico Rivarola in 1614 and completed in October of the same year when water from a source in the nearby locality of Errano was made to gush from a marble column at the head of the municipal open gallery. Having come this far, overcoming all technical difficulties through an efficient system of cisterns and pipes in terracotta, it was decided to give the fountain a proper form and dignified image that would bear witness to civic pride in the enterprise. The new fountain was placed near the intersection of the principal thoroughfares, the main decuman (corresponding to the Via Emilia) and the main cardo, precisely between the town’s two main piazzas, at the meeting point of political, economic and religious power. With the employment of numerous craftsmen from the surrounding areas work was begun in 1619 to Paganelli’s design, transposed into working drawings by Chevalier Domenico Castelli, known as “the fountain man”. Casting and erection was finished in 1621, the year the public fountain was inaugurated. It was surrounded by a railing, also designed by Castelli, as protection against vandalism. Raised on three steps, the fountain consists of a great hexagonal tank in Istria stone and a triangular central shaft that terminates in the upper basin. The structure is decorated with alternating representations of dragons (heraldic symbols of the reigning pope Paul V Borghese) that carry water to lions rampant, emblem of Faenza; there are also grotesque masks, shells, eagles and eagles on lions, these last probably symbols of Cardinal Rivarola. The superabundance and richness of detail is also confirmed by the so-called “baroque jests”, imperceptible due to both their small size and the ravages of time: a frog and a fly, each placed on a lion’s head. With the increase of public and private systems between 1621 and 1824, the original purpose of the fountain as a source of direct supply was altered, leading to the creation of an embryonic water distribution network which was to cause problems also of a legal nature. The fountain was repeatedly and expensively restored, above all as a result of deterioration due to calcareous deposits and corrosion, but it has never ceased to be the cynosure of citizens’ attention and important events involving the town, such as in May 1970, on the occasion of the Tour of Italy cycling race passing through, when Sangiovese wine gushed festively from the pipes of the upper basin. foto d’archivio

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massimo, esattamente fra le due piazze principali della città in cui si incontrano potere politico, economico e religioso. Nel 1619 su progetto dello stesso Paganelli, tradotto in disegni esecutivi dal Cav. Domenico Castelli detto “il fontanino”, ebbe inizio l’esecuzione dell’opera (a cui collaborarono numerosi artigiani provenienti dalle regioni limitrofe) il cui lavoro di fusione e montaggio fu finito nel 1621, anno in cui la fontana pubblica fu inaugurata chiusa entro una cancellata, disegnata dallo stesso Castelli, a protezione da ogni vandalismo. Il fonte, elevato su tre gradini, è composto dalla grande vasca esagonale in pietra d’Istria e dal fusto centrale a pianta triangolare che termina con il bacino superiore. Sulla struttura si alternano rappresentazioni di draghi, simboli araldici del Papa regnante Paolo V Borghese, che portano l’acqua ai leoni rampanti, emblema di Faenza, insieme a mascheroni, conchiglie, aquile e aquile su leoni, questi ultimi probabilmente simboli del cardinal Rivarola. La ridondanza e la ricchezza dei particolari è confermata anche dai cosiddetti “scherzi barocchi”, impercettibili sia per la piccolezza sia per l’usura del tempo, che sono una ranocchia e una mosca ognuna posta su una testa di leone. Con l’aumento delle derivazioni pubbliche e private praticate dal 1621 al 1824 fu alterato l’originario senso del fonte quale elemento di diretto approvvigionamento, portando alla realizzazione di un’embrionale rete di distribuzione idrica che causò anche problemi di contenzioso giuridico. La fontana fu oggetto di ripetuti e costosi restauri, soprattutto a causa del degrado dovuto ai depositi calcarei e alla corrosione, ma non ha mai smesso di essere al centro dell’attenzione dei faentini e di eventi importanti in cui è stata coinvolta la città, come quando nel maggio del 1970 in occasione della tappa faentina del Giro d’Italia, il sangiovese zampillò festoso dalle canne della tazza superiore.

S to ria

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A le s s a n dro An t on e l l i

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bohé mie nne lonta no da lla Se nna

Tutte le stravaganze, le intemperanze, gli atti di lucida follia che rendono così naturale sovrapporre il vissuto di Campana alla sua lirica gli avrebbero certo permesso di risaltare anche i n una Parigi complice del decadentismo; tantopiù in un’Italia abbagliata dai lampi del primo futurismo la sua condotta e il suo genio gli costarono il ruolo della più nitida mosca bianca.

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Dino Campana, Canti Orfici

O poesia poesia poesia Sorgi,sorgi,sorgi Su, dalla febbre elettrica del selciato notturno Sfrénati dalle classiche silhouettes equivoche Guizza nello scatto e nell’urlo improvviso...

Dino Campana


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C

ampana nasce il 23 agosto del 1885 a Marradi, il mal sopportato autoritarismo del padre e la gelosia per la madre, che gli preferisce il fra-

tello minore, sono forse la prima scintilla ad accendere l’inquietudine del giovane Dino, un sentimento che mal si accorda con i canoni della vita di un tranquillo paese d’Appennino. Cominciano presto le fughe, prima per i boschi delle sue montagne, poi Parigi, poi ancora Campana s'imbarca con la mansione di fuochista su un bastimento diretto in Argentina. Si perderà per il mondo facendo ogni mestiere: gaucho, carbonaio, saltimbanco, pompiere, persino suonatore di triangolo nella banda della Marina argentina. Vedrà Odessa, sarà garzone di un tiro al bersaglio in Svizzera, eppure l’unico posto in cui forse Campana si è sentito a casa è la Bologna goliardica del pre-guerra. Sono per il poeta gli anni più importanti anche dal punto di vista della produzione artistica, sotto i portici della città universitaria Dino e i suoi più stretti amici, quasi tutti romagnoli come lui, passano le loro non astemie notti a scherzare, cantare e a discutere, nel caso di Campana non di rado anche con le forze dell’ordine. Lungo questi vagabondaggi probabilmente prende forma finale l’unica opera organica di Dino Campana: i Canti Orfici. Il poeta li farà stampare a sue spese ed egli stesso, alienato dalla comunità intellettuale, cercherà di venderne qualche copia nei caffè di Firenze, città in cui si era trasferito dopo l’inizio della guerra. Secondo la leggenda egli era solito strapparne prima le pagine che riteneva non potessero essere capite dall’acquirente (a Marinetti consegnò la sola copertina). Nel 1916 Campana è di nuovo in Romagna. Rina Faccio, poetessa e scrittrice sotto lo pseudonimo di Sibilla Aleramo, sedotta dalla sua opera vuole incontrarlo, ne scaturirà una relazione intensissima e violenta testimoniata dai loro scambi epistolari. A lei Dino rivolgerà quell’amore che aveva fino ad allora nutrito solo per le figure femminili rappresentate nelle opere d’arte. Meno di due anni dopo, la fine del loro rapporto coinciderà con la definitiva caduta del poeta nei vortici della rabbia e del turbamento, verrà, per la quarta volta nel corso della sua vita, rinchiuso in manicomio; non ne uscirà mai più. Oggi, sulla figura di Dino Campana, affrancata dalle antiche accuse, soffia il vento della riscoperta e della riabilitazione. I successori di coloro che l’ignorarono o ne consigliarono l’internamento scrivono generosi elogi alla sua opera convinti, forse a torto, che il tempo ne abbia ormai affievolito la drammatica vena eversiva.

DINO CAMPANA_ BOHEMIAN FAR FROM THE SEINE All the extravagances, intemperance and lucid madness that make it so natural to set Campana’s experience over his lyrics would certainly have made him stand out even in the Paris of decadence; and even more so in an Italy blinded by the lightning of early Futurism. His behaviour and his genius cost him the role of the most manifest rare bird. Campana was born in Marradi on 23rd August 1885. The intolerable authoritarianism of his father and jealousy of his mother’s preference for his younger brother were perhaps the first sparks to light young Dino’s unease, a feeling that did not go well with the canons of life in a peaceful Apennine village. He soon began to take flight, first to the woods of his mountains, then to Paris and then signing on as stoker on a ship bound for Argentina. He lost himself in his travels, doing all kinds of jobs: gaucho, charcoal-burner, acrobat, fireman and even triangle player in the Argentine Navy band. He saw Odessa and was gofer on a shooting range in Switzerland, but the only place where Campana perhaps felt at home was in the university atmosphere of pre-war Bologna. These were the most important years for the poet from the viewpoint of artistic production. Beneath the arcades of the university town Dino and his closest friends, almost all Romagnol like himself, spent their non-abstemious nights joking, singing and arguing, this last in Campana’s case not rarely with the forces of law and order. Dino Campana’s only organic work probably took its final form during this vagabondage: Orphic Songs. The poet had it printed at his own expense and he himself, alienated from the intellectual community, tried to sell a few copies in the cafes of Florence where he had moved after the beginning of the war. Legend has it that he usually tore out the pages which he felt the buyer would not understand (to Marinetti he gave only the cover). In 1916 Campana was once more in Romagna. Rina Faccio, poet and writer under the pseudonym of Sibilla Aleramo, was seduced by his works and wanted to meet him. A very intense relationship ensued to which violent witness is borne by their letters. Dino gave her that love which heretofore he had felt only for females portrayed in works of art. Less than two years later the end of their relationship would coincide with Dino’s definitive fall into the vortex of rage and disturbance. For the fourth time in his life he was put into a mental hospital: he was never to leave it. Today the winds of rediscovery and rehabilitation are blowing on the figure of Dino Campana, freed of old accusations. The successors of those who ignored him or recommended his internment write generous eulogies of his work, convinced perhaps wrongly that time has now weakened his dramatic subversive vein.

S to ria

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B eppe S angiorgi

Antonietta Cimolini

un’ e roina de l v o lo

Quasi un secolo fa, il 13 marzo 1904, moriva a Mar de la Plata in Argentina, la romagnola Antonietta Cimolini, vittima della sua passione per l'avventura e le ascensioni in pallone aerostatico.

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a Cimolini era nata nel 1878 a Casola Valsenio, laddove la provincia di Ravenna confina la Toscana, da una famiglia della piccola borghesia paesana. Ripudiata appena ventenne, sposò

il forlivese Giuseppe Silimbani, di professione fornaio, tenore dilettante e sportivo versato in molte discipline dove eccelleva con la spavalderia tipica dei romagnoli. Era soprannominato "Ce ne fosse", motto con il quale concludeva trionfante le sue esibizioni nella corsa o nella lotta. All'apparenza minuta e fragile, ma dotata di un carattere forte e volitivo, Antonietta decise di condividere col marito non solo la vita ma anche le passioni sportive. Iniziarono, così, ad effettuare ascese con l'aerostato sia a Forlì che a Ravenna. Qualche anno dopo, con la figlioletta, emigrarono in Argentina in cerca di fortuna. Fortuna che arrivò subito grazie ai concerti che i due, l'uno tenore e l'altra soprano leggero, tennero nei teatri di Buenos Aires. Il tutto senza mai rinunciare alle ascensioni che la Cimolini eseguiva anche sola davanti al pubblico, evoluendo appesa ad un trapezio attaccato alla navicella. Anche nel pomeriggio di quel lontano 13 marzo Antonietta si alzò per compiere acrobazie sul porto di Buenos Aires quando un forte vento la fece precipitare al largo. Una barca si staccò veloce dalla costa: il pubblico pensò trattarsi di soccorritori che si rivelarono, invece, delinquenti accorsi per strangolare l'aeronauta e rubarle i gioielli. Scompariva così tragicamente una delle prime eroine del volo in Romagna.

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foto d’archivio

A un eroe che sta per morire foto d’archivio

si dovrà pur permettere che prima di morire

pensi a quello

che diranno di lui

dopo.

Virginia Woolf

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ANTONIETTA CIMOLINI_ A HEROINE OF FLIGHT Almost a century ago, on 13th March 1904, the Romagnol Antonietta Cimolini died in Mar de la Plata, Argentina, victim of her passion for adventure and air-balloon flights. Cimolini was born in 1878 in Casola Valsenio, where the Province of Ravenna meets the Tuscan boundary, of a lower middle class country family. Disowned at just twenty years old she married Giuseppe Silimbani of Forlì, a baker by trade but also an amateur tenor and a sportsman in various fields where he excelled with typical Romagnol cockiness. His nickname was “Let’s have the next”, his motto when he’d won a race or a wrestling bout. Tiny and apparently fragile, but strong-willed and with a powerful character, Antonietta decided not only to share her life with her husband but also to share his sporting passions. So they started making air-balloon flights in Forlì and Ravenna. Some years later, with their young daughter, they emigrated to Argentina to seek their fortune. They were lucky from the start with their concerts – he a tenor and she a light soprano – in the theatres of Buenos Aires. Without ever giving up the flights which Cimolini made before the public, even on her own, swinging on a trapeze attached to the craft. In the afternoon of that far-off 13th March Antonietta was up performing acrobatics over the port of Buenos Aires when a strong wind blew her out to sea. A boat set out at once from the port. The public thought it was going to her aid, but in fact they were criminals who strangled her and stole her jewellery. Thus the tragic end of one of the first heroines of flight in Romagna.

S to ria

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M a rc e l l o Ci c ogn a n i

L’autodromo del Santerno

bolidi e passione fra v ig n e e f ru t t et i

THE SANTERNO RACETRACK_ RACING CARS AND PASSION IN VINEYARDS AND ORCHARDS “Right from the first moment I noted that this hilly area could one day become a little Nürburgring, with a really selective course for cars and drivers”. With these words, written in his own hand following a survey of the place, Enzo Ferrari gave the go ahead for the construction of a racetrack near the Santerno river, Imola. And the Drake’s contribution was immediately seen to be precious and consistent, so much so that the track, in acknowledgement, was first dedicated to the memory of his late lamented son Dino, and later to his own memory after his death in 1988. The Grand Old Man always considered it the Stable’s “home” track and had special expectations for all the races in which his creations took part. The original idea had illuminated a summer night in ’48 while four enthusiasts (Vighi, Golinelli, Montevecchi and Campagnoli) were seeking a little fresh air, strolling among the trees of the “Mineral Water” park. The idea was immediately taken up and implemented by Checco Costa, a volcanic organiser of motorcycle races since the pre-war period, and the then mayor Veraldo Vespignani. Work was completed in 1952 (not exactly in record time!) and the first race (the CONI motorcycle GP) was held on 25th April 1953: in the early years it was in fact motorbike racing that brought the track to the forefront. The Formula 1 Circus was to begin on the banks of the Santerno only ten years later: on that occasion Jim Clark, with a Lotus, won a race that was not yet valid for the World championship. This would come only on 14th September 1980 when the Italian Grand Prix was held here instead of at Monza. It was

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I S e n s i d i R o m ag na


«Valutai fin dal primo momento che quell’ambiente collinoso poteva un giorno diventare un piccolo Nürburgring, offrendo un percorso veramente selettivo per macchine e piloti».

C

on queste parole, scritte di suo pugno all’indomani di un sopralluogo, Enzo Ferrari aveva dato il proprio benestare alla costruzione di un autodromo nei pressi del fiume che bagna Imola, il Santerno. E il contributo del Drake alla causa si sarebbe rivelato, sin

da subito, prezioso e consistente tanto che l’impianto, per riconoscenza, fu dapprima dedicato alla memoria del compianto figlio Dino, indi anche alla sua dopo la scomparsa avvenuta nel 1988. Il Grande Vecchio non mancò mai di considerare questa come la pista “di casa” della Scuderia e a nutrire sempre un’aspettativa particolare per tutte le gare in cui le sue creature vi si trovavano a competere. L’idea originaria aveva illuminato una notte d’estate del ’48, quando quattro appassionati (Vighi, Golinelli, Montevecchi e Campagnoli) s’eran ritrovati a cercare un po’ di frescura passeggiando fra gli alberi nel parco delle “Acque Minerali”; idea immediatamente sposa-

ta e messa in opera da Checco Costa, vulcanico organizzatore di gare motociclistiche già nell’anteguerra, e dall’allora sindaco Veraldo Vespignani. I lavori terminarono nel 1952 (non proprio a tempo di record!) mentre la prima corsa (il GP CONI di motociclismo) si disputò il 25 Aprile 1953: furono proprio le moto, nei primi anni d’attività, a portare il circuito alla ribalta. Il Circus della Formula1 sarebbe sbarcato sulle rive del Santerno dieci anni dopo: in quell’occasione fu Jim Clark, su Lotus, ad aggiudicarsi una gara non ancora valevole per il Campionato del Mondo. Per questo si dovrà attendere sino al 14 settembre 1980, allorché il Gran Premio d’Italia si tenne qui anziché a Monza. Fu un’eccezione: dall’anno seguente, infatti, la manifestazione sarebbe passata sotto l’egida della Repubblica di San Marino (il piccolo Stato incastrato tra Romagna e Marche), attirando, di anno in anno, decine di migliaia di fanatici della velocità. “Tosa”, “Piratella”, “Rivazza”; questi ed altri sono i nomi delle curve di questo toboga entrate nell’epica come la Parabolica di Monza, l’Eau Rouge di Spa-Francorchamps o quella del Casinò a Montecarlo. Anfiteatri di duelli avvincenti, queste pieghe hanno visto cimentarsi e trionfare tutti i più grandi di questo sport; campioni che hanno inciso sgommate indelebili sull’asfalto del tracciato ma pure infausti ricordi nella memoria di chi li ama. Vale per tutti quanto accadde in un tragico finesettimana di Maggio del 1994 quando, nel giro di ventiquattr’ore, perirono l’esordiente Roland Ratzenberger e l’immenso fuoriclasse brasiliano Ayrton Senna. L’impianto finì sotto processo e si rese necessario correggerlo con modifiche (a volte ottuse) che l’hanno reso, sì, più sicuro ma anche più insipido per i seguaci della guida al limite. Un fio che altri gloriosi circuiti nel mondo han dovuto pagare ma che oggi, a cinquant’anni dalla sua inaugurazione, non ha scalfito il fascino e la risonanza “del Santerno”. Non è difficile rendersene conto sedendo sulle tribune deserte nei giorni lontani dalle corse, quando sembra quasi di vedere quella marea di bandiere sventolanti, annusare i fumi inebrianti dei gas di scarico e udire gli urli di un motore che accelera lontano.

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an exception: from the following year onwards the event was held in the Republic of San Marino (a tiny State wedged between Romagna and The Marches) which from one year to the next attracted tens of thousands of speed fanatics. “Tosa”, “Piratella”, “Rivazza”; these are some the names of the bends in this toboggan ride that have become epical like the Parabolica of Monza, the Eau Rouge of Spa-Francorchamps or the Casino one in Monte Carlo. Amphitheatres of fascinating duels, these curves have seen all the greatest figures in this sport make their names and achieve victory. Champions who have left indelible skid marks on the asphalt of the track, but also sad recollections in the memories of those who loved them. We need only mention the tragic weekend in May 1994 when in the space of 24 hours we saw the death of Roland Ratzenberger at his debut and that of the outstandingly great Brazilian Ayrton Senna. The track ended up under court proceedings and had to be modified (in some cases obtusely), thus making it safer, it is true, but also more insipid for enthusiasts of driving at the limits. A tribute which other glorious circuits worldwide have had to pay but which, today, fifty years from its inauguration, has not touched the fascination and resonance “of the Santerno”. It’s not hard to notice this when sitting in the deserted terraces, on days when no races are imminent, when you almost seem to see that ocean of waving flags, smell the inebriating exhaust fumes and hear the screams of an engine revving up in the distance. Pa ssio n i

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Al e s sandro Antonelli

Giorno di fiera

a ffar i e spasso ne lle piazze di Romagna

Oggi il mito del consumo illimitato sostituisce la fede nella vita eterna.

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Ivan Illich

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I S e n s i d i R o m ag na


per tante persone la cui esistenza era legata al lavoro della terra, il teatro della vita era spesso compreso entro il confine dei campi, il traguardo dei pensieri era la fine dell’inverno e un pur breve viaggio fino al paese aveva il sapore dell’avvenimento.

C

osì è stato per gran parte dei romagnoli, popolo di profonde radici contadine, ma anche un'economia ispirata all’autosufficienza deve concedere uno

spazio allo scambio e questo, facilmente, rompendo la monotonia di giorni altrimenti molto simili, può diventare il pretesto per un po’ di baldoria. A ciò forse si deve la provenienza della parola “fiera” dal termine latino “feria”, festa. Il motore di tutto era comunque il commercio del bestiame, a centinaia, bovini da soma o da macello invadevano il paese in fiera e fin dal primo mattino si accendevano le contrattazioni tra gli astuti venditori capaci di mille furbizie per nascondere eventuali difetti delle bestie (fino a tingerne le corna), i tenaci compratori che tra ironia e insistenza cercavano l’affare e i molti mediatori quasi sempre fedeli ai propri interessi. Dalla campagna arrivavano anche le contadinelle a vendere pollame, uova e formaggio, i fornai del paese facevano le ore piccole per preparare pane e dolci da sistemare sui banchetti in strada e il gelataio aveva spesso fretta di esaurire il suo prodotto prima che si sciogliesse il ghiaccio che lo manteneva. Attirati dal movimento di denaro giungevano in paese venditori ambulanti d’ogni tipo, si facevano sentire le urla dei ciarlatani che garantivano l’efficacia del grasso di pitone o di marmotta contro i reumatismi. In un angolo della piazza il cantastorie amalgamava le notizie di “fuori” con invenzioni e canzonature, non disdegnando una prudente satira politica. Giovanotti e ragazze si sceglievano in silenzio in vista delle feste danzanti serali, quando l’allegria, la stanchezza e i brindisi augurali facevan sì che fossero più spesso i muli che non i loro alticci padroni a guidare sulla strada di casa i birocci cui erano aggiogati. Oggi l’aspetto squisitamente affaristico si è trasferito nei quartieri fieristici dei centri più importanti e il lato festaiolo sopravvive nelle centinaia di sagre e fiere di paese che ancora si tengono quasi in ogni cittadina della Romagna. Brisighella, Casola, Sarsina, Mercato Saraceno, l’elenco potrebbe continuare fino a citare paesini a malapena presenti sulle cartine. Spesso più che una sterile rievocazione del passato si può osservare la ripetizione di un sentimento che non si è interrotto, ogni località offre orgogliosamente i piatti della sua tradizione, i giovanotti continuano la loro ricerca, resistono gli ultimi discendenti dei cantastorie (dal 1947 riuniti in un sindacato) e, a ben guardare, il ciarlatano ha solo cambiato mercanzia.

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In un’epoca meno lontana di quanto sembri,

THE DAY OF THE FAIR_ BUSINESS AND LEISURE IN THE PIAZZAS OF ROMAGNA In an age less distant than it may seem, for many people whose existence was linked with working the land the theatre of life was often enclosed by the confines of the fields and the boundary of thought was the end of winter. A trip to the village, though brief, had the flavour of an event. This is how it was for much of the population of Romagna, a people with deep peasant roots. But even an economy inspired by self-sufficiency had to grant itself space for exchange; and this, breaking the monotony of days that were pretty much the same, could be the pretext for having a bit of fun. This is perhaps the derivation of the word “fiera” (fair) from the Latin “feria” (holiday). The motivating factor of everything was however the cattle market, hundreds of working oxen and beef cattle invaded the village on fair days, and from early morning negotiations were carried on between astute dealers with a thousand tricks for concealing defects (including painting the beasts’ horns) and stubborn buyers who with irony and insistence sought the right bargain. There were also plenty of middle men who almost always looked to their own interests. Peasant girls came in from the countryside to sell poultry, eggs and cheese; the village bakers worked all night making bread and cakes that were set up on stalls in the street, and the ice-cream man was often in a hurry to sell his goods before the ice melted. Drawn by the movement of money in the village, peddlers of all kinds arrived. You could hear the shouting of charlatans who guaranteed the efficaciousness of python or marmot fat against rheumatism. In a corner of the piazza the street-singer mixed news from “outside” with inventions and songs, not disdaining some prudent political satire. Young men and girls silently chose one another for the evening dances when merriment, tiredness and toasts created a situation in which it was more often the mules than their drunk masters that drove the carts homeward. Today the strictly business aspect has been moved to trade fair zones in the most important centres while the celebratory aspect lives on in the hundreds of village fairs and festivals held almost everywhere in Romagna. Brisighella, Casola, Sarsina, Mercato Saraceno, one could continue the list to include places that are scarcely on the map. Often, more than just a sterile evocation of the past, you can observe the repetition of a feeling that has continued uninterrupted. Every locality proudly offers its traditional dishes and the young still eye one another up. The latest descendents of the street-singers survive (unionised since 1947) and, take note, the charlatan has only changed merchandise.

Pa ssio n i

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B e ppe S a n gi orgi

Lo Scalogno di Romagna IGP

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odor i e sapor i for ti de lla n o st ra t erra

L’agricoltura è l’arte di saper

Dal cartoccio del bracciante ai tavoli dell'alta ristorazione: questo il felice destino dello Scalogno di Romagna.

U

n bulbo originario di Ascalonia, nell'Asia Minore, che, una volta spellato, si presenta a forma di fiaschetto allungato di color bianco striato di violetto e costituiva, fino alla metà del '900, la colazione delle fasce più povere della gente di Romagna. Con un pugno

ben assestato si spaccava il bulbo per "cavargli l'anima", cioè far uscire la parte più piccante e predisporlo ad assorbire olio e sale, quindi veniva mangiato accompagnato con un boccone di pane, un po' di prosciutto ed un sorso di vino rosso. O, meglio, di vino nero, come usa ancora dire in Romagna, dove lo scalogno viene chiamato “scalogna”. Un nome che rimanda a sfortuna e miseria e che di fatto identificava uno stato di povertà. Per questo il suo consumo fu in parte abbandonato negli anni del boom economico, anche perché il mercato di massa rifiutava le piccole produzioni come, appunto, quella dello scalogno. “Frutto” che in Romagna continuò, comunque, ad essere coltivato negli orti per uso domestico.

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I S e n s i d i R o m ag na


THE ROMAGNA SHALLOT IGP_ THE STRONG SCENT AND FLAVOUR OF OUR LAND

a s p e t t a r e .

R. Bacchelli

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From the labourer’s paper bag to the tables of top restaurants: this is the happy fate of the Romagna Shallot. Originating in Ascalonia, Asia Minor, it is a bulb which, when peeled, has an elongated wine-fiasco shape and is white with violet stripes. Until the mid 20th century it formed part of the lunch of the poorest classes in Romagna. With a well-aimed fist you burst the bulb to “get its heart out”, meaning the most spicy part which was then soaked in oil and salt and eaten with a mouthful of bread, a bit of prosciutto and a drop of red wine. Or rather, of black wine as it is still called in Romagna, where the shallot (scalogno) is called scalogna, a word referring to bad luck and misery and by definition to a state of poverty. This is why people almost stopped eating them in the years of the economic boom, but also because the mass market refused such small scale production. In Romagna however this “fruit” is still grown in gardens for personal consumption. It was saved from oblivion when in 1997 the Riolo Terme local tourist board obtained European Union IGP recognition (Protected Geographical Indication) for shallots grown in the restricted area of west Romagna. This recognition brought the shallot to the attention of top class restaurants where it is prized for the originality of its aroma: stronger and more highly perfumed than onions but sweeter than garlic. A piece of luck that was also due to the shallot festival held in Riolo Terme on the third weekend in July and to the book “Lo scalogno di Romagna” by Graziano Pozzetto: almost 400 pages that range through history and offer more than 500 tasty and unusual recipes.

Un oblio dal quale lo ho tratto la Pro Loco di Riolo Terme quando, nel 1997, ha ottenuto dall'Unione Europea il riconoscimento IGP (Indicazione Geografica Protetta) per lo scalogno prodotto nella ristretta area della Romagna occidentale. Un riconoscimento che lo ha riportato all'attenzione dell'alta ristorazione per l'originalità del suo aroma: più forte e profumato della cipolla ma più dolce dell'aglio. Una fortuna che si deve anche alla sagra a lui dedicata, che si tiene a Riolo Terme nel terzo fine settimana di luglio, ed al volume “Lo scalogno di Romagna” di Graziano Pozzetto: quasi 400 pagine che spaziano nel tempo proponendo oltre 500 gustose e inusuali ricette. En o g a stro n o mia

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Carlo Zauli

Oro antico

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l ’a l bana di R omagna

L’azienda Celli nasce nel 1965 con l’intento di selezionare e tramutare in vino le migliori uve del comune di Bertinoro.

L

a produzione vitivinicola di questa zona va ben distinta da quella del resto della Romagna; infatti, le caratteristiche completamente diverse del terreno e del microclima contribuiscono a differenziare nettamente la qualità e l’importanza dei vini prodotti.

Il ritrovamento, nel 1968, di anfore romane atte al trasporto del vino, esattamente in località Casticciano, fa presumere l’esistenza, già

a quei tempi, di un florido commercio del nettare che veniva poi esportato dal porto di Rimini, all’epoca il più importante dell’Adriatico, a tutto il mondo, allora, conosciuto. Attualmente la produzione della azienda Celli proviene da 9 aziende agricole, situate in zone particolarmente vocate tra i 120 e i 270 metri s.l.m., per un totale di 39 ettari, dove, oltre alla vinificazione, sono curate tutte le fasi della produzione: lo studio del terreno per i nuovi impianti, i sistemi di allevamento, le potature, i trattamenti e le diverse fasi della vendemmia. La natura delle genti di questa terra si può ben cogliere in una espressione del dialetto bertinorese in cui il vino viene chiamato “e bè” (il bere), non essendo concepita altra bevanda all’infuori di quella derivante dalla vite. OLD GOLD_ ALBANA OF ROMAGNA The Celli company was set up in 1965 with the intention of selecting the best grapes in the Municipality of Bertinoro and transforming them into wine. Wine production in this area should be carefully distinguished from that of the rest of Romagna: in fact the wholly different features of soil and microclimate contribute to clearly differentiating the quality and importance of the wines produced. In 1968 a Roman amphora for transporting wine was found precisely in the Casticciano area. This leads us to assume that already in those times there was a flourishing trade in this nectar which was then exported throughout the known world from Rimini, the most important Adriatic port of the day. Currently the Celli company’s production is supplied by 9 farms situated in particularly suitable zones between 120 and 270 metres above sea level for a total of 39 hectares where, over and above vinification, all production phases are carried out: study of the soil for new plantations, growing systems, pruning, treatments and the various phases of the harvest. The nature of the people of this area may be best grasped from an expression in Bertinoro dialect: wine is known as “e bè” (drinking), any beverage not deriving from the vine being inconceivable.

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Bron & Ruseval Chardonnay 2000_ Bianco Igt - Uve: Chardonnay 100%. Giallo paglierino vivace con sfumature verdoline molto luminoso. Al naso si offre con sentori di burro, vaniglia, ananas, melone e camomilla. In bocca è equilibrato e il legno si fonde completamente con le altre componenti. Il vino è elegante, strutturato, con finale decisamente marcato. Vinificazione classica in bianco e criomacerazione. Maturazione in carati di rovere e affinamento in bottiglia per due mesi.

Albana di Romagna Secco I Croppi_ Bianco Docg - Uve: Albana 100%. Giallo dorato intenso, consistente. Al naso si offre con toni evoluti di pesca e

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White IGT - Grapes: Chardonnay 100% Lively straw yellow with very bright greenish highlights. The bouquet gives odours of butter, vanilla, pineapple, melon and chamomile. It is balanced on the palate and the wood blends completely with the other components. The wine is elegant, structured and with a decidedly marked finale. Classical white wine vinification and cryo-maceration. Aged in oak casks and matured in the bottle for two months.

papaia, accompagnati da note floreali su una chiusura di miele. Al palato è morbido, compatto, esprime sensazioni di freschezza e sapidità. Buona la rispondenza gusto-olfattiva. Macerazione in carati di rovere e affinamento in White DOCG - Grapes: Albana 100% Intense, consistent golden yellow. The bouquet offers evolved hints of peach and papaya, accompanied by flowery notes and closing with honey. On the palate it is soft and compact, expressing sensations of freshness and flavour. Good taste-olfactory correspondence. Macerated in oak casks and matured in the bottle for 2 months.

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bottiglia per 2 mesi.

Sangiovese di Romagna Superiore Le Grillaie Riserva 1998_ Rosso Doc Uve: Sangiovese 100%. Limpido, rosso granato intenso, consistente. Al naso è persistente, con sentori di lampone e rosa canina, su fondo speziato. Nell’impatto gustativo il vino si gusto-olfattiva. Maturazione in carati di rovere, quindi affinamento di 10 mesi in bottiglia.

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presenta di corpo, con tannini ben amalgamati. Finale con buona rispondenza

Red DOC - Grapes: Sangiovese 100% Limpid, intense, consistent garnet red. The bouquet is persistent with odours of raspberry and dog-rose on a spicy base. To the taste it is a full-bodied wine with well amalgamated tannins. The finale has a good taste-olfactory correspondence. Aged in oak casks then matured in the bottle for 10 months.

L’alcool è come l’amore o la vecchiaia: ci si trova quel che ci si porta. M. Youcenair En o g a stro n o mia

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S t e f a n i a Maz z otti

pittr ice romagnola de l Cinq u ec en t o

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Barbara Longhi

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I Sensi di Romagna

La magnificenza dei colori del quadro deve attrarre con forza lo spettatore


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Sembrano pochissime le artiste documentate in Italia fra Quattro e Cinquecento: in tutto circa venticinque.

I

n realtà l’Italia, a quel tempo, detiene il primato delle donne artiste poiché, tradizionalmente,

tutta l’attività è riservata agli uomini legati alle corporazioni artigiane. Alla donna sono destinati i lavori legati alla casa e alla cura della prole mentre la sola arte consentita è quella del ricamo e degli arazzi. Le uniche donne artiste sono monache che si dedicano alla miniatura insieme alle consuete attività di clausura. E’ solo nel Cinquecento che la donna acquista una certa dignità al lavoro intellettuale ed artistico. La cortigiana, la dama di corte secondo il celebre tomo di Baldassarre Castiglione, “Il cortigiano”, edito nel 1528 e subito famoso fra gli ambienti benestanti d’Europa - diventa il modello da seguire: la buona dama di corte deve conoscere, leggere, dipingere, suonare, cantare, scrivere poesie ed essere in grado di sostenere una conversazione arguta ed intelligente. Si tratta di un testo

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fondamentale sia per l’emancipazione della donna appartenente alla classe nobile sia per quella di ceto medio. Dall’altra parte, proprio nel Rinascimento, l’arte del dipingere si eleva al rango di arte liberale come le lettere e la matematica. I pittori devono conoscere le regole della prospettiva, leggere i testi antichi greci e latini, confrontarsi con le opere classiche del passato, disegnare nudi maschili. Il dipingere diventa un’arte intellettuale così, per le donne, risulta più arduo intraprendere la carriera artistica. La figura di donna più diffusa del Rinascimento resta, comunque, quella dell’angelo del focolare, dotato di bellezza e castità, perennemente legato alla propria abitazione. Ma il modello di Baldasarre Castiglione si diffonde lentamente. Ecco il motivo

ed al tempo stesso deve celare il contenuto profondo.

Vasilij Kandinskij

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Arte

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per cui sono poche le donne artiste: di solito, e non a caso, figlie di artisti. Ricordiamo Lavinia Fontana, figlia del bolognese Prospero, la notissima Artemisia Gentileschi, figlia di Orazio, Elisabetta foto d’archivio

Sirani, di Giovanni Andrea, Marietta Robusti, figlia di Jacopo, detto il Tintoretto. Solo così, le nostre, possono tenersi aggiornate sui nuovi stili e le nuove tecniche pittoriche. Tra queste troviamo anche Barbara Longhi. Nata a Ravenna nel 1552, è figlia d’arte del noto Luca Longhi (1507-1580), pittore manierista che raffina in forme eleganti e delicate la lezione di Raffaello. Lavora in prevalenza in Romagna dove muore, a Ravenna, nel 1638. Alcune sue opere sono esposte alla Pinacoteca Comunale di Ravenna ed è possibile ammirare un “Madonna delle nevi” presso l’altare maggiore della Cattedrale di Cervia. Altre sue tavole sono oggi divise tra la Gemaldegalerie di Dresda e il Louvre di Parigi. Si conosce poco della sua vita, eccetto l’importanza che rivestì nei circoli artistici, tanto da essere citata da Giorgio Vasari nelle sue “Vite” (1550). Tra le sue opere più famose una serie di 12 “Madonne con bambino” che il foto d’archivio

Vasari elogia per la semplicità delle linee e i colori soffusi e brillanti. Il suo stile matura su quello del padre fino a creare un proprio tratto che si esprime, nelle sue Madonne tenere e delicate, con una sentita descrizione del rapporto madre/figlio, tipica espressione della sua sensibilità femminile. In lei la consapevolezza di essere un’artista è molto forte. Nel 1580 rappresenta se stessa nelle vesti di una Santa; non quelle della sua omonima, come sarebbe stato normale per i tempi, bensì di Santa Caterina d’Alessandria, donna colta ed intellettuale uscita vittoriosa da una disputa con uomini dotti. Nel Seicento Barbara abbandonerà le composizioni a figure intere in favore di immagini più devote che riflettono la religiosità della Controriforma. I passi

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in avanti fatti con “Il Cortigiano” di Castiglione

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I Sensi di Romagna

sono, così, disattesi e la donna di virtù torna ad essere quella del focolare, ben avvinta ai valori della castità e della devozione religiosa.

Siamo brutti,


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BARBARA LONGHI_ CINQUECENTO ROMAGNOL PAINTER

ma la vita è bella.

Henri de Toulouse-Lautrec

Female artists in Italy between the 15th and 16th centuries seem very few: about twenty-five documented in all. Italy in that period had less women artists than other countries because traditionally all activity was reserved to men who had links with the craftsmen’s guilds. Women occupied themselves with housework and childcare and the sole arts they could practise were embroidery and tapestry. The only women artists were nuns who dedicated themselves to miniatures together with their usual closed-order activities. It was only in the sixteenth century that women gained a certain dignity in intellectual and artistic work. Baldassarre Castiglione’s celebrated work “The Courtier”, published in 1528 and an immediate success in upper class circles throughout Europe, became the model to imitate: the accomplished court lady should possess knowledge, should read, paint, play music, sing, write poetry and be capable of carrying on a witty and intelligent conversation. It was a book fundamental to the emancipation of both aristocratic and middle class women. Moreover it was precisely during the Renaissance that painting was raised to the level of a liberal art like letters and mathematics. Painters had to know the laws of perspective, read the ancient Greek and Latin texts, measure themselves against classical works, draw male nudes. Painting became an intellectual art so it was harder for women to take up an artistic career. The most widespread Renaissance figure of woman remained however the angel of the hearth, gifted with beauty and chastity and perennially bound to her own home. But Baldassarre Castiglione’s model slowly gained ground. This is why there were few women artists: usually, and not by chance, painters’ daughters. One thinks of Lavinia Fontana, Prospero of Bologna’s daughter; the very well known Artemisia Gentileschi, daughter of Orazio; Giovanni Andrea’s daughter Elisabetta Sirani and Marietta Robusti, daughter of Jacopo, known as Tintoretto. Only in this way could our women keep up with new styles and new painting techniques. One of these women was Barbara Longhi. Born in Ravenna in 1552, she was the daughter of the well known mannerist painter Luca Longhi (1507-1580) who refined the teachings of Raphael in elegant and delicate forms. She worked mainly in Romagna and died there, in Ravenna, in 1638. Some of her works can be seen in the Ravenna Municipal Picture Gallery and there is an “Our Lady of the Snows” on the main altar of Cervia Cathedral. Other of her works are today divided between the Gemaldegalerie in Dresden and the Louvre in Paris. Little is known of her life apart from her importance in artistic circles, which was such that she is mentioned by Giorgio Vasari in his “Lives” (1550). Among her most important works is a series of 12 “Virgin with Child” paintings which Vasari eulogises for the simplicity of line and the suffused, bright colours. Her style matured on the basis of her father’s until she created her own distinctive trait which is expressed, in her tender and delicate Madonnas, with a deeply felt description of the mother/child relationship, a typical expression of her feminine sensitivity. Awareness of herself as an artist was very strong in her. In 1580 she portrayed herself as a Saint: not St. Barbara, as would have been normal for the period, but St. Catherine of Alexandria, a cultured intellectual woman who emerged victorious from a dispute with learned men. In the seventeenth century Barbara abandoned full-length figure compositions in favour of more devout images that reflect the religiosity of the Counter-reformation. The steps forward taken with Castiglione’s “The Courtier” were thus disregarded and the virtuous woman was once more the woman of the household, closely bound to the values of chastity and religious worship.

Arte

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Vi o l a E m a l di

René Gruau

una scia di rosse tto ba cia Rimini e Pa r igi Linea rossa uscita dalla mano rapida e sicura di René Gruau, uno tra i più celebrati creatori d’immagini di questo secolo.

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l suo nome non dirà molto, eppure tutti conoscono le sue opere. Si chiamano ‘Scandale’, ‘Rouge Baiser’, ‘Miss Dior’, per citarne solo alcune.

Una raffinata galleria d’immagini femminili in cui dominano il rosso, il bianco, il nero. Labbra scarlatte, gambe affusolate, un sottile fruscio di calze di seta color argento, il brivido di una ‘guepière’, l’ammiccare di una giarrettiera, l’allegria del ‘French Cancan’ e delle

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’Bluebell’, il fascino del ‘Moulin Rouge’ e del ‘Lido’: c’è tutto un mondo nelle affiches di René Gruau. Grande alchimista dell’immaginazione, geniale disegnatore di moda e pubblicità che con Christian Dior ha condizionato un’intera epoca.

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I Sensi di Romagna


M. Monroe

La fama è una cosa meravigliosa, ma non può salvarti da una notte fredda.

RENÉ GRUAU_ A TRAIL OF LIPSTICK KISSING RIMINI AND PARIS A red line from the sure and rapid hand of René Gruau, one of the century’s most famous image creators. His name won’t mean much, yet everybody knows his works. To name only a few: ‘Scandale’, ‘Rouge Baiser’, and ‘Miss Dior’. A refined gallery of female images in which the dominating colours are red, white and black. Scarlet lips, tapering legs, a subtle swish of silver coloured silk stockings, the shiver of a guêpière, the beckoning of a garter, the gaiety of French Cancan and the Bluebell girls, the fascination of Moulin Rouge and Lido: there’s a whole world in René Gruau’s affiches. Great alchemist of the imagination, a fashion designer and publicity artist of genius who, with Christian Dior, conditioned an entire epoch. Gruau was born in Rimini on 4th February 1909. Don’t be fooled by the French name: his father, Count Alessandro Zavagli Ricciardelli delle Camminate, belonged to the oldest Italian aristocracy, but young Renato chose the surname of his Parisian mother, Marie. From adolescence onwards his relationship with the town of his birth was intermittent but deep. Every summer Madame Gruau returned from Paris with her son to live the fashionable life of the “bathing season” on one of Italy’s most exclusive beaches. So Gruau’s Rimini was not the better known one – the ‘village’ so beloved of his friend Federico Fellini – but the cosmopolitan and elegant town around the Kursaal where, in the early decades of last century, the most exclusive Italian and Middle-European elite gathered in a chic and refined atmosphere. And Gruau’s style is elegant and cosmopolitan, rooted in 19th century metropolitan civilisation, matrix of the culture of tourism and leisure; a synthesis of different figures and values that the artist manipulates in a unique style, fine-tuning a formidable narrative consecrated to gilded elegance, the absolute star of his depictions. With pastels, encre-de-chine and coloured inks he developed a fluid form, fast, concise and impermeable to fashions and changes, which permitted him to seize the phantom-like body of the market. A magical point where everything was overturned into the impalpable lightness of a silhouette, the curves of a female ankle, the spirals of a gloved hand. Attention and distraction with regard to the world combine here to create ‘ornament’: a beckoning gleam that does honour to every object, and an official blessing of the symbolic elective affinity between Rimini and René Gruau.

foto d’archivio

foto d’archivio

foto d’archivio

Gruau nacque a Rimini il 4 febbraio 1909. Il nome francese non tragga in inganno: suo padre, il conte Alessandro Zavagli Ricciardelli delle Camminate, apparteneva alla più antica aristocrazia italiana; fu il giovane Renato a preferire il cognome della madre parigina, Marie. Fin dall’adolescenza il suo rapporto con la città natale è stato intermittente ma profondo. Madame Gruau, ogni estate, tornava da Parigi con il figlio per vivere la mondanità della “stagione dei bagni” su una delle spiagge più esclusive d’Italia. Così, quella di Gruau non è la Rimini più nota – il ‘borgo’ tanto amato dall’amico Federico Fellini – ma la città cosmopolita ed elegante raccolta intorno al Kursaal dove, nei primi decenni del secolo scorso, si riuniva, in un’atmosfera chic e raffinata, la più ristretta élite italiana e mitteleuropea. Ed elegante e cosmopolita è lo stile di Gruau, le cui radici affondano nella civiltà metropolitana ottocentesca, matrice della cultura del turismo e del tempo libero; sintesi tra figure e valori diversi che l’artista manipola in un unico stile, mettendo a punto un formidabile racconto consacrato all’eleganza dorata, assoluta protagonista della sua raffigurazione. Con pastelli, chine e inchiostri colorati matura una forma fluida, veloce, sintetica, invariabile a mode e cambiamenti che gli permette di cogliere il corpo fantasmatico del mercato. Punto magico in cui tutto si ribalta nell’impalpabile leggerezza di una silhouette, nelle curve di una caviglia femminile, nelle spirali di una mano guantata. Attenzione e distrazione sul mondo qui coincidono e creano ‘ornamento’: ammiccante luccichio che rende onore ad ogni oggetto e crisma di un’affinità elettiva, simbolica, tra Rimini e René Gruau.

Arte

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Territorio La riviera adriatica_ fra luci e ombre

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The Adriatic Riviera_ Between Lights and Shadows

Storia Il fonte monumentale di Faenza_ pietra d’Istria e bronzo, acqua e sangiovese

La prima associazione industriale italiana_

The Monumental Fountain of Faenza_ Istria stone and bronze, water and Sangiovese

History of the First Italian Industrial Association_

Dino Campana_ bohémienne lontano dalla Senna Dino Campana_ Bohemian far from the Seine Antonietta Cimolini_ un’eroina del volo Antonietta Cimolini_ A Heroine of Flight

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Passioni L’autodromo del Santerno_ bolidi e passione fra vigne e frutteti The Santerno Racetrack_ Racing cars and passion in vineyards and orchards Giorno di fiera_ affari e spasso nelle piazze di Romagna The Day of the Fair_ Business and Leisure in the Piazzas of Romagna

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Enogastronomia Lo Scalogno di Romagna IGP_ odori e sapori forti della nostra terra The Romagna Shallot IGP_ The strong scent and flavour of our land Oro antico_ l’albana di Romagna Old gold_ Albana of Romagna

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Arte Barbara Longhi_ pittrice romagnola del Cinquecento Barbara Longhi_ Cinquecento Romagnol Painter René Gruau_ una scia di rossetto bacia Rimini e Parigi René Gruau_ A trail of lipstick kissing Rimini and Paris

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I Sens i di Rom agn a



I Sensi di Romagna numero 4.

luglio 2003

Periodico edito da CERDOMUS Ceramiche S.p.A. 48014 Castelbolognese (RA) ITALY via Emilia Ponente, 1000 www.cerdomus.com Direttore responsabile Luca Biancini Progetto Carlo Zauli Luca Biancini Grafica e impaginazione Jan Guerrini/Cambiamenti per Divisione immagine Cerdomus Coordinamento editoriale Valentina Baruzzi Redazione Alessandro Antonelli Valentina Baruzzi Marcello Cicognani Viola Emaldi Paolo Martini Stefania Mazzotti Giuseppe Sangiorgi Carlo Zauli Foto Archivio Cerdomus Circolo Fotografico Casolano Archivio Celli Archivio Le Bosche Marcello Cicognani Jan Guerrini si ringraziano per la cortesia Comune di Faenza ed HERA/AMI, servizio acquedotto Biblioteca Comunale di Faenza Cimitero dell’Osservanza, Faenza Fondo “Le Bosche”, Riolo Terme, nella persona di Giuseppe Zaccarini

si ringrazia per la preziosa collaborazione Maddalena Becca/Divisione immagine Cerdomus Traduzioni Omnitrad Riolo Terme Stampa Litographicgroup ©CERDOMUS Ceramiche SpA tutti i diritti riservati Autorizzazione del Tribunale di Ravenna nr. 1173 del 19.12.2001


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