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scita autunnale di ee. Per l’occasione abbiamo ascoltato i racconti di nicchi secolari e scoperchiato sassi nella “bassa”
ancora arroventata trovando, nuovamente, qualcosa d’inedito, gustoso e, in questo caso, tinto di “giallo”. Farete, così, la conoscenza dei fuorilegge anfibi romagnoli, parenti “poveri” dei loro più celebrati emuli di terraferma, che, più delle loro tasche, riempirono, per qualche tempo, le cronache e le chiacchiere dei primi decenni dell’800. Leggerete, poi, di Anita Garibaldi – l’altra eponima di questo numero ed eroina mai dimenticata da queste parti –, delle sue ultime ore e del mistero che, a tutt’oggi, le avvolge. Qualche brivido non può far male in questo inizio di autunno. La Redazione di
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The autumn issue of ee. For the occasion we have listened to tales of secular niches and uncovered stones in the lowlands which are still burning hot, finding something new, interesting and, in this case, with a touch of mystery. You will make the acquaintance of Romagna’s amphibious outlaws, “poor” relations of their more famous counterparts on dry land who, instead of filling their pockets, filled the news and animated gossip for some time during the early decades of the 19th century. Then you will read about Anita Garibaldi – the other eponym of this issue and heroine who lives on in local memory –, about her final hours and about the mystery which continues to envelop her demise. The odd shiver can’t be such a bad thing in the early autumn. The editorial staff of ee
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Ma rc e l l o Ci c ogn a n i
La leggenda di Marino
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e di come div en n e san t o
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Come usualmente accade per la maggior parte degli umani affari di una certa rilevanza, l’origine della Repubblica di San Marino fu evento alquanto fortuito.
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econdo un manoscritto del X secolo pare che Diocleziano, imperatore nella seconda metà del III sec. d.C., avesse
fatto giungere, dall’isola di Arbe, maestranze per attendere ai lavori di restauro del porto e delle mura di Rimini: mitologia vuole che di quel manipolo facesse parte anche un tagliapietre di nome Marino. Una volta sbarcato, il nostro ebbe modo di salire più e più volte l’aguzzo e suggestivo rostro calcareo del monte Titano; dapprima per ricavarne pietre e blocchi di roccia, dipoi per stanziarvisi definitivamente (3 Settembre 301 d.C.), stanco del duro lavoro e, soprattutto, delle persecuzioni
La goccia scava la pietra.
Lucrezio
in atto contro i seguaci di un culto, allora, nascente: il cristianesimo. Altri compagni di fede e di mestiere non tardarono a seguirlo negli spechi del massiccio dandosi, in una sorta di cenobio, alle devote pratiche e divenendo in fretta, una volta accolti anche pastori e boscaioli delle zone limitrofe, una piccola congrega civile e religiosa. Bosco e terreno circostante furono resi produttivi mentre la comunità s’accresceva di accoliti e abituri: così il paese lievitò rapidamente, acquisendo in breve il nome del leggendario santo «libertatis fundator». Sino al X sec. questo popolo abbarbicato alla solitudine continuò a reggersi prima con le consuetudini quindi con la legge longobarda: un po’ alla volta i suoi istituti si trasformarono mentre l’agglomerato divenne vico, indi pieve e poi castello.
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THE LEGEND OF MARINO_ AND HOW HE BECAME A SAINT
Cesare Pavese
L’origine di tutti i peccati è il senso di inferiorità, detto altresì ambizione.
As usually happens for the majority of human affairs of a certain importance, the origin of the Republic of San Marino was a rather fortuitous event. According to a 10th century manuscript, Diocleziano, emperor in the second half of the 3rd century AD, brought in craftsmen from the island of Arbe to carry out the restoration work on the port and walls of Rimini: legend would have it that this group of workmen included a stonemason named Marino. After he arrived, he repeatedly climbed the sharp, atmospheric calcareous rostra of Mount Titano; initially to find stones and blocks of rock and later to make his home (September 3rd 301 AD), tired of hard work and, above all, of the persecution of the followers of a certain new religion: Christianity. Other religious companions weren’t long in following him to the caves of the rock to practice, in a sort of cenoby, their devotion and soon, with the arrival of shepherds and woodcutters from neighbouring areas, they had set up a small civil and religious congregation. The surrounding woods and land were put into production while the community set up acolytes and humble dwellings: the village grew quickly, soon acquiring the name of the legendary saint «libertatis fundator». Until the 10th century this population, which clung to solitude, continued to survive following its own rules and, later, the Longbard Law. Its institutes were gradually transformed while the conglomeration became a district, then a parish and then a castle. Thanks to the strategic position and its relative poverty, the village didn’t suffer at first from the barbarian invasions and was able to lie forgotten by men and time, devoting its efforts to shepherding and farming. Later, when this “splendid isolation” ended and the village was threatened by the raids of the Hungarians, Saracens and Normans, the castle was fortified with three towers – the Rocca, the Fratta (or Cesta) and the Montale – which, linked together by defence walls, made that towering bastion of freedom even more complete and compact. Then, after the 11th century, during the battle of the investitures, San Marino became a Commune with its own consuls and statutes: the oldest date back to the 13th century, while the most recent, which is still partially in force, is dated 1600. These are the sources thanks to which the ancient republic was able, during the centuries, to face complicated and uncertain events (the hardest and most unstable internal situation took place throughout the 18th century, and almost led to its annexation to the Church State) while remaining faithful to its code of freedom and independence. Today, up there, everything, between a place selling stereo equipment and a souvenir shop, reminds us of the past and for those on holiday in the neighbouring area, the pleasure of this light-hearted trip “abroad” has always been a must, even if only to enjoy the view which runs from the pinewoods of Ravenna to Rimini and from the Gabbice hills to the Conero. By the way, maybe not everyone knows that another stonemason accompanied Marino during his journey from Dalmatia; that he, another Christian, sought refuge on a ridge which was just a stone’s throw from Titano, Mount Feretrio; and that, like his friend, he too became a saint and eponym. His name was Leo. But that’s another story.
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Grazie alla postura strategica e alla sua, relativa, povertà il paese non soffrì, dapprincipio, delle invasioni barbariche e poté vivere, dimenticato dagli uomini e dal tempo, dedicandosi alla pastorizia e all’agricoltura. In seguito, terminato lo “splendido isolamento” e minacciato dalle scorribande di Ungari, Saraceni e Normanni, il castello fu fortificato con tre torri – la Rocca, la Fratta (o Cesta) e la Montale – che, congiunte da mura di difesa, resero sempre più guarnito e compatto quel sorgente bastione della libertà. Poi, dopo l’XI sec., durante la lotta delle investiture, anche San Marino divenne Comune con consoli e statuti proprî: i più antichi rimontano al XIII sec. mentre l’ultimo, in parte ancora in vigore, è datato 1600. Queste le fonti grazie alle quali l’antica repubblica ha saputo, nei secoli, fronteggiare vicende complicate e incerte (su tutte spicca la difficile e instabile situazione interna avutasi a cavallo del XVIII sec. che, quasi, portò all’annessione allo Stato della Chiesa) pur restando strenuamente fedele al proprio codice di libertà e autonomia. Oggi, lassù, tutto, fra un negozio di Hi-Fi e uno di souvenir, ricorda il passato e, per chi si trovi a villeggiare qua intorno, il piacere di quest’espatrio a cuor leggero è, da sempre, quasi d’obbligo anche solo per godere della vista che spazia dalle pinete di Ravenna a Rimini e dalle colline di Gabicce al Conero. A proposito. Forse non tutti sanno che un altro scalpellino fu compagno di Marino durante il loro viaggio dalla Dalmazia; che anche lui, cristiano, cercò rifugio su di una cresta distante un tiro di schioppo dal Titano, il monte Feretrio; e che, come l’amico, divenne santo ed eponimo. Il suo nome era Leo. Ma questa, è un’altra storia.
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Va l e n t i n a Ba r u z z i
La Razza Romagnola
Ciò che dobbiamo imparare a fare, lo impariamo facendolo. Aristotele
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vec c hi a c ompagna de ll’ uomo e de lla te r ra
THE ROMAGNOLA BREED_ OLD COMPANION OF MAN AND EARTH According to the most recent studies, the Romagnola breed originates from the Bos taurus macrocerus (big-horned urus), a bovine from the Steppes of central-eastern Europe. Breeds of similar constitution, coat, head and limbs are thought to have come from this area. This bovine first came to Italy during the 4th century AD, with the Longbard invasion led by Agilulfo. At that time the installation of these animals in Romagna was sanctioned and after a period of gradual adaptation, led to the development of the Romagnola breed. A further selection was made at the end of the nineteenth century and until the 1960’s this bovine was characterised by a double attitude: a strong ally of man working in the fields and a consistent and high quality food. Later, with the advent of farm machinery, the “Romagnola” was replaced in the fields and risked extinction, but thanks to today’s demand for high quality meat, it has regained its space and its land. Its imposing and solid appearance calls to mind a distant history and
La razza Romagnola, secondo gli studi più recenti, trae origine dal Bos taurus macrocerus (uro dalle grandi corna), bovino proveniente dalle steppe dell’Europa centro-orientale.
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a questa zona si suppone che siano derivate razze simili per costituzione, tipo di mantello, forma della testa e degli arti. Questo bovino raggiunse il suolo italico durante il IV sec. d.C. con l’invasione dei Longobardi guidati da Agilulfo. In quell’epoca fu san-
cito il definitivo stanziamento di questi animali nelle terre di Romagna che, in seguito a un periodo di graduale adattamento, condusse alla suddetta razza. Un’ulteriore selezione fu eseguita alla fine dell’Ottocento, da allora fino agli anni ’60 questo bovino fu caratterizzato da una doppia attitudine: come forte alleato dell’uomo nel lavoro dei campi e come alimento consistente e pregiato. In seguito, con l’avvento delle macchine agricole, la “Romagnola” è stata sostituita nelle attività delle campagne e per questo ha rischiato di scomparire, ma oggi, con la richiesta di prodotti alimentari di alta qualità, tale bovino ha ritrovato un suo spazio e ritrovato la sua terra. Il suo aspetto imponente e massiccio rievoca una storia lontana e un’origine antica. E’ caratterizzato da un mantello grigio chiaro, con sfumature più accentuate in diverse regioni del corpo, e si distingue per un notevole sviluppo muscolare, l’ottima conformazione del bacino e la robustezza degli arti; particolari che rivelano un lungo passato di lavoro nei campi. Ultimamente, la razza romagnola ha subìto un grande rilancio nel nostro territorio, è diffusa nelle zone comprese fra le province di Ravenna, Forlì, Bologna e Pesaro e, in seguito ad una moderna opera di selezione, ha portato la produzione di carne a uno sviluppo sia nella qualità che nella resa. Le carni della “Romagnola”, forse meno note di quelle della “Chianina” toscana ma di pari qualità, sono eccezionali e primeggiano per il colorito roseo, la fine venatura e il grande valore nutrizionale e organolettico. La scelta di riprendere questo bovino allevato prevalentemente all’aperto, nei pascoli, come da tradizione, rievoca il ritorno ad antichi usi, a tempi in cui l’aratro segnava la terra e i carri servivano al trasporto, dove non erano le richieste dell’uomo a dettar legge bensì le stagioni, le piogge e la terra. Per questo il recupero di una razza antica diventa un valore culturale importantissimo nel rispetto del bestiame, della salute dell’uomo e del passato di
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questo territorio.
antique origin. It is characterised by a light grey coat with more accentuated shading in various regions of the body, and is distinguished by considerable muscular development, excellent conformation of the pelvis and the strength of its limbs; particulars which reveal its long past spent working in the fields. The Romagnola breed has recently been subject to a large-scale local relaunch. It is popular in the areas between the provinces of Ravenna, Forlì, Bologna and Pesaro and, following modern selection techniques, has led the production of meat to a development both in terms of quality and quantity. The meat of the “Romagnola”, which is perhaps less well known than that of the Tuscan “Chianina”, but is of equal quality, is exceptional and has a perfect pinkish colour, fine veining and great nutritional and organoleptic value. The decision to concentrate on this bovine, which is mainly reared, in accordance with tradition, in outdoor pastures, shows a return to antique customs, to times in which the plough furrowed the land and carts were used for transport, where the rules were dictated by the seasons, rains and soil as opposed to man. For this reason, the recovery of an antique breed becomes a very important cultural value in the respect of livestock, human health and the past of this territory. Te rrito rio
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A le s s a n dro An t on e l l i
Pirati romagnoli
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Dal debole al forte, questo sarebbe rubare; dal forte al debole è solo appropriarsi del bene altrui. Jean Jaques Rousseau 10
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Nell’Ottocento, l’eco delle gesta dei briganti di terraferma in Romagna ha avuto forza di propagarsi oltre i confini della regione; non altrettanta fama ebbero i loro fratelli marittimi.
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uello che rimane delle loro imprese, o meglio dei loro arditi, quando non disperati, tentativi di sbarcare il lunario è contenuto negli atti della direzione provinciale di Ravenna, “mattinali” quotidiani che podestà e commissariati di allora trasmettevano alla prefettura.
E’ difficile quantificare la distanza che deve essere intercorsa tra le reali scorrerie dei Fratelli della Costa e l’immagine che ne ha divulgato l’industria cinematografica, certo è che diviene abissale se quest’ultima viene confrontata con la pirateria romagnola. Nemmeno fu loro possibile rispettare la più elementare concessione alla bandiera con teschio e tibie incrociate su campo nero, sostituita da una più sobria banda scura traversante la vela latina. Il 26 giugno 1811 il podestà di Cervia segnala al vice-prefetto di Ravenna che, a tre miglia dalla costa, una barca sconosciuta ha aperto il fuoco su un bragozzo d’altura (la tipica imbarcazione da carico di queste acque) impadronendosi del "legno" con il suo carico di sapone che, sebbene possedesse al tempo un valore notevolmente più elevato di quello odierno, stenta a reggere il confronto con lo stereotipato forziere di dobloni. Per di più, nelle febbrili manovre di fuga, il bastimento catturato si incaglia e i gendarmi marittimi riescono quasi a raggiungerlo, ferendo alcuni degli assalitori che la cronaca del tempo definisce con il curioso epiteto di “mannari”. Nonostante ai danni dei pirati di casa nostra si aggiungesse il fuoco delle batterie costiere, essi riuscirono a liberare la barca e tentare la fuga verso Cesenatico. Secondo i documenti del tempo si diedero al loro inseguimento il comandante francese della Guardia nazio-
nale Mannau e quello dei cannonieri guardacoste; forniti di due imbarcazioni equipaggiate di sessanta uomini e armate di tutto punto intrapresero un estenuante inseguimento che costrinse, infine, i pirati ad abbandonare la barca predata e dileguarsi con il favore della tradizionale sostenitrice dei “mannari”: la notte. Non si trattava, tuttavia, di un caso isolato poiché la temporanea vittoria venne descritta dal podestà come ottenuta sull’“orgoglioso corsaro che quasi giornalmente si presenta ai nostri occhi con tanto danno per la navigazione”. foto d’archivio
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La stessa estate l’equipaggio di un vascello italiano carico di merci abbandona carico e nave in mano ai pirati di fronte alle coste di Savio, l’intervento dell’artiglieria di terra li costringerà, comunque, anche in questo caso ad una fuga precipitosa lasciando gran parte del bottino. Non era, tuttavia, unicamente il miraggio di un grosso guadagno a spingere i pirati romagnoli a prendere il mare. La mattina del 9 luglio anno medesimo, giorno in cui si festeggia il battesimo del Re di Roma, figlio di Napoleone Bonaparte e di Maria Luisa, una nave pirata incrocia per più di dodici ore nelle acque antistanti il porto di Cervia sfidando il fuoco delle batterie costiere, una provocazione che è segnale incontrovertibile di come il mare non annacqui il proverbiale caratteraccio romagnolo e che ci mostra l’ideale punto d’incontro tra gli abitanti della costa e quelli dell’entroterra di una regione vessata ma ostinata. L’odio per il governatorato francese sembrerà ancor più giustificato alla luce dei rapporti che parlano dell’affondamento di pescherecci scambiati, nella notte, dai cannoni francesi, per fregate nemiche durante le scaramucce del 1813. Saranno le avverse fortune del regno napoleonico, successive alla disastrosa campagna di Russia, a spostare il fuoco dell’interesse delle milizie francesi su problemi interni come la coscrizione obbligatoria, permettendo ai banditi del mare di svolgere con maggiore privacy il loro famigerato mestiere. La restaurazione del governo papalino e la nomina di monsignor Tiberio Pacca a delegato in Romagna, ricordato per la ferocia con cui piegò la legge al suo arbitrio, finirà per stroncare questo fenomeno che, solo molti lustri più tardi, riecheggerà nelle azioni dei contrabbandieri. La storia ufficiale di questa zona di mare ricorda sotto il nome di pirateria unicamente gli episodi occorsi tre secoli prima dei fatti qui riportati, tuttavia, i corsari del 1500, il più celebrato dei quali è il Barbarossa, in quanto per l’appunto corsari e non pirati, operavano con il favore di uno o più stati tra quelli che si affacciavano sulle sponde opposte dell’Adriatico e non mancavano di trattenere sui bottini sbarcati nei loro porti una sostanziosa percentuale. Nei confronti di coloro che si dedicheranno, trecento anni dopo, alla pirateria per rabbia e bisogno, spesso senza sospendere la parallela professione di pescatori, essi assomigliano quasi più ad imprenditori spregiudicati che agli avventurieri romagnoli di cui parlano le cronache d’inizio Ottocento. Il motivo per cui di questi marinai si è persa la memoria può essere trovato forse nella modesta entità delle loro prede; certo non nella dose di coraggio, ad essa inversamente proporzionale, con cui si esponevano ai medesimi rischi dei loro più blasonati colleghi inseguendo, un giorno dopo l’altro, il tesoro della sopravvivenza. foto d’archivio
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In the nineteenth century, the echo of the gestures of land-based brigands in Romagna was strong enough to reach beyond the region’s boundaries; their seafaring brothers failed to enjoy such fame. All that remains of their feats, or should we say hazardous, when not downright desperate, attempts at making both ends meet, is contained in the acts of the provincial management of Ravenna, daily “morning reports” that the podestà and police of the time transmitted to the prefecture. It’s hard to quantify the distance that must have separated the real raids of the Brothers of the Coast and the image portrayed by the film industry, but the gap has to be immense if the latter is compared with Romagna’s pirates. The weren’t even able to respect the most basic concession to the flag with the skull and crossbones on a black background, which was replaced by a plainer dark band crossed by the Latin sail. On the 26th of June 1811, the podestà of Cervia informed the subprefect of Ravenna that, three miles off the coast, an unknown ship had opened fire on a deep-sea bragozzo (the characteristic two-mast fishing boat used in the Adriatic) taking possession of the “wood” with its cargo of soap which, while being worth much more at that time than it is today, struggled to live up to the stereotypical chest full of doubloons. What’s more, in the feverish manoeuvres to escape, the captured ship ran aground and the maritime police almost managed to reach it, injuring some of the assailants who were curiously defined in the newspapers of the time as “bogey men”. Despite our pirates being damaged by the fire of the coastal batteries, they succeeded in freeing the boat and attempting to escape towards Cesenatico. According to the documents of the time they were pursued by the French commander of the National Guard, Mannau, and by the coast guard gunners; equipped with two boats manned by sixty men and armed to the teeth, there ensued an exhausting chase which finally forced the pirates to abandon their boat and disappear under cover of the traditional patron of “bogey men”: the night. This wasn’t however an isolated case because the temporary victory was described by the podestà as having been achieved over the “proud corsair who appears almost daily before our eyes, so greatly damaging navigation”. The same summer, the crew of an Italian vessel loaded with goods abandoned both cargo and ship to the hands of pirates just off the coast of Savio. Once again, intervention by the land artillery forced the pirates to flee hastily, leaving most of the loot behind. However it wasn’t just the mirage of immense earnings which encouraged Romagna’s pirates to take to the seas. On the morning of July 9th of the same year, the day of the celebrations for the christening of the King of Rome, son of Napoleon Bonaparte and Maria Luisa, a pirate ship sailed back and forth for more than twelve hours in the waters just outside the port of Cervia challenging the fire of the coastal batteries, a provocation which incontrovertibly showed that the sea did nothing to dilute the proverbial dreadful character of those born in Romagna and presented the ideal meeting point for the inhabitants of the coast and those inland, in a region which was oppressed but obstinate. The hatred for the French governor was to seem even more justified in the light of the reports which refer to the sinking of fishing boats exchanged during the night by the French cannons for enemy frigates during the scuffles of 1813. The adverse fortunes of Napoleon’s reign following the disastrous campaign in Russia moved the fire of the interest of the French militia to internal problems such as compulsory conscription, permitting the seafaring bandits to carry out their notorious job with a bit more privacy. The restoration of the Papal government and the election of Monsignor Tiberio Pacca to the position of delegate in Romagna, remembered for the ferocity with which he moulded the law to his will, ended up finishing off this phenomenon which, only many years later, re-echoed in the actions of smugglers. The official story of this area of sea only remembers the episodes of piracy which occurred three centuries before the facts recorded here, performed by the corsairs of the 1500’s, the most famous of whom was Red Beard. Being corsairs and not pirates, they operated in favour of one or more of the states on the opposite side of the Adriatic and never failed to withhold a substantial percentage of the loot that entered their ports. Compared with those who, three hundred years later, devoted their efforts to piracy in the name of anger and need, often without giving up their “day jobs” as fishermen, the corsairs were more like ruthless businessmen than the adventurers from Romagna quoted in the early nineteenth century newspapers. The reason why these sailors haven’t been remembered probably has something to do with the modest nature of their prey; it definitely has nothing to do with the courage, which was available in immense amounts, with which they exposed themselves to the same risks as their much emblazoned colleagues pursuing, day after day, the treasure of survival.
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ROMAGNA’S PIRATES_ RAIDING IN THE HIGH ADRIATIC SEA
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B e ppe S a n gi orgi
Anita Garibaldi: una morte sospetta i l mi s tero di un m a cabro par ticolare ma i spie gato
ANITA GARIBALDI: A SUSPICIOUS DEATH_ THE MYSTERY OF A MACABRE DETAIL WHICH HAS NEVER BEEN EXPLAINED I might as well say it immediately: I think Anita Garibaldi was strangled. This was the first conclusion drawn by the coroner who examined the corpse of Garibaldi’s wife, Anna Maria Ribeiro da Silva, known as Anita. The corpse was found by chance near Mandriole di Ravenna on the 10th of August 1849 where it had been buried during the night of the 4th of August by a member of the Ravaglia family. The family had sheltered Giuseppe Garibaldi on their farm that afternoon as he fled from Rome towards Venice to escape the Austrians. He was accompanied by Captain Leggero and Anita, who was six months pregnant, affected by tertian fever and on the verge of death. Garibaldi asked the owners of the house to give his wife a decent burial and set off on his journey with the aid of a chain of courageous solidarity expressed by Ravennate patriots, known as the “trafila”. Despite these instructions, Anita’s corpse was hurriedly buried under half a metre of sand in the neighbouring area of Motte della Pastorara, where it was found a week later. The protruding eyes and tongue, together with the marks on her neck, led the coroner to conclude that she had been strangled to death. This conclusion was joined by anonymous letters accusing the Ravaglia brothers, Stefano and Giuseppe, of murdering Anita, and led to their arrest. A second opinion was requested and this time the coroner declared that the marks on her neck could have been caused by the posture of the chin and the process of putrefaction. Nothing was said to justify the fact that her tongue protruded evidently and it is hard to accept that neither Garibaldi nor the women of the house, despite the agitation and the drama of the moment, did anything to arrange the woman’s body. However, the Ravaglia brothers were released and remained unpunished, and all the subsequent memoirs agreed that Anita had died a death by naturally causes. But no one ever explained the fact that her tongue was so obviously protruding, a fact that was completely incompatible with the human respect and customs which have always accompanied death in Romagna. So we ought to ask ourselves: was Anita really dead when Garibaldi left the Ravaglia farm? And what really happened after her death?
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Lo dico subito: per me Anita Garibaldi fu strangolata. Come certificò in un primo momento il perito che esaminò il cadavere della moglie di Garibaldi, Anna Maria Ribeiro da Silva, detta Anita.
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l cadavere fu scoperto casualmente nei pressi delle Mandriole di Ravenna il 10 agosto 1849, dove era stato
sepolto la notte del 4 agosto da qualcuno della famiglia Ravaglia presso la cui fattoria Giuseppe Garibaldi, in fuga da Roma verso Venezia, era riparato in quel pomeriggio per sfuggire alla ricerca degli austriaci. Lo accompagnava-
Sono le parole più tacite quelle che portano
la bufera.
Friedrich Nietzsche
no il capitano Leggero ed Anita, incinta di sei mesi, colpita da febbri terzane ed oramai in fin di vita. Garibaldi chiese agli abitanti della casa di dare una degna sepoltura alla sua compagna, riprendendo la fuga con l’ausilio di una catena di coraggiosa solidarietà di patrioti ravennati, detta trafila. Il corpo di Anita venne invece sepolto frettolosamente sotto mezzo metro di sabbia nelle vicine Motte della Pastorara dove venne scoperto una settimana dopo. Gli occhi e la lingua sporgenti insieme ai segni sul collo, indussero il perito a concludere che la morte era avvenuta per strangolamento; a questo si affiancarono voci e lettere anonime che accusavano i fratelli Stefano e Giuseppe Ravaglia della morte di Anita e di averla derubata di quanto portava di valore; per questo i due vennero arrestati. Richiesto un nuovo parere, il perito dichiarò che i segni sul collo potevano derivare dalla postura del mento e dal processo di putrefazione. Nulla fu detto per giustificare la lingua sporgente in modo evidentissimo: a questo proposito risulta difficile accettare che Garibaldi, o le donne di casa, pur nella concitazione e nella drammaticità del momento, non avessero provveduto a sistemare il corpo della donna. Comunque i Ravaglia furono liberati e non subirono conseguenze e tutta la
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memorialistica successiva sostenne concordemente la morte naturale di Anita ma nessuno ha mai chiarito quel particolare della lingua sporgente, assolutamente incompatibile con il rispetto umano e con le usanze che hanno sempre accompagnato la morte in Romagna. C’è quindi da chiedersi: Anita era veramente morta quando Garibaldi abbandonò la fattoria Ravaglia? E cosa avvenne veramente dopo la sua partenza?
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Marcello C icognani
Breve storia di un foglio volante fra e mpir ismo e supe rstizione
SHORT STORY OF A FLIER_ BETWEEN EMPIRICISM AND SUPERSTITION Non fare mai profezie. Se sono sbagliate, nessuno se lo dimenticherà; se sono giuste, nessuno se lo ricorderà. Josh Billings
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Despite the presence of calendars filled with scantily clad platinum blondes and futbolisti desnudi, the tradition of the almanac has always been, and continues to be, popular in Romagna. For decades, on New Year’s Eve, the arzdôr has removed the yellowed, stained sheet of the year ended from the door of the main room, the stable entrance or the kitchen wall – places where a lot of time was spent during the winter – and hung up the new issue to historically mark the start of the year just beginning. Of all the almanacs which, for over two centuries, have adorned the walls of town houses and country farms, the oldest and most famous is definitely E’ lunêri di smémbar (which freely translates as: the tramp’s almanac), from Faenza, conceived on Saint Sylvester’s night (New Year’s Eve) 1844, by the fervid and inebriated mind of Romolo Liverani, Achille Calzi and other artists who had met for the occasion at the Marianaza trattoria, which still displays an epigraph in memory of the event hanging on the large chimney breast. Since then, this slender almanac, full of cutting cartoons and lame rhymes in dialect, comments current, sporting and customary events, foul deeds and curious happenings: a corrosive countermelody to chauvinistic fervours, passing enthusiasms and political itches. A distinguishing mark of the smémbar or tramps, even when they shout abusive and sharp criticism of taxes or feed the flames of basic mistrust of power, is to move inside the circle of an inveterate fatalism: what really matters is to live off your work and bring home as much as it allows. But the almanac is more than just this. Right from the start, it’s main function has had necessary astrological hints; these references usually rose out of refined knowledge, moving into a rougher and more relaxed awareness that was supposed to cope with the need to reduce a plethora of information and forecasts destined to a multitude of illiterate users, into a small space. There is absolutely no esoteric pretext for placing the accent exclusively on the movement of the moon. Lunations are inalienable events linked with farming: around the new moon you must never saw wood, prune vines or spread manure in the fields; wine should neither be transferred nor bottled, pigs shouldn’t be slaughtered, cocks shouldn’t be castrated and the incubation of silkworms and eggs should be avoided; it isn’t possible to make tomato preserve nor place eggs under lime. These are all old wives tales which, compounded by an infinite theory of meteorological proverbs, follow the eternal agricultural cycle, confirming the influence of the ineffable star on everything that’s born, grows and dies in the countryside. So after 159 years, alongside its role as unequalled precious witness of popular moods and its priceless function as aid to human activity, E’ lunêri continues to have an indulgent understanding of collective superstitions mixed with a sort of inevitable, but liberating, acceptance of times ahead.
Pur in tempi di calendari farciti di platinate discinte e futbolisti desnudi, la tradizione del lunario è, in Romagna, ancora ben viva.
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er decenni, a Capodanno, l’arzdôr ha staccato dalla porta della stanza principale, dall’uscio della stalla o dalla parete della cucina – luoghi
dove, per lo più, si sostava in inverno – il foglio ingiallito e impataccato dell’anno ormai passato per affiggere il nuovo numero che farà da scansione cronostorica per quello appena nato. Di tutti i lunari che, da ormai due secoli, tappezzano case di città e casali di campagna, il più longevo e famoso è sicuramente il faentino E’ lunêri di smémbar (liberamente: Il lunario dei pezzenti), partorito, nella notte di S.Silvestro del 1844, dalle fervide ed ebbre menti di Romolo Liverani,
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Achille Calzi ed altri artisti riuniti per l’occasione presso la trattoria Marianaza, recante ancora, appesa alla cappa del grande camino, un’epigrafe in ricordo dell’episodio. Da allora, questo magro almanacco, zeppo di mordaci vignette e claudicanti rime in dialetto, commenta i fatti, i fattacci e i fatterelli dell’attualità, dello sport e del costume: un controcanto corrosivo verso i fervori sciovinistici, gli entusiasmi passeggeri e i pruriti politici. Contrassegno distintivo degli smémbar, anche quando inveiscono in aspre critiche alle tasse o alimentano una sfiducia di fondo nei confronti del potere, è di muoversi dentro al cerchio d’un inveterato fatalismo: ciò ch’è importante è vivere del proprio lavoro ed incassare dalla ventura quel tanto ch’essa concede. Ma il lunario non è solo questo. La sua funzione precipua ha avuto, sin dall’inizio, necessari rimandi astrologici; in genere, tali riferimenti, esulavano da un sapere raffinato per spaziare in una conoscenza più grossolana e disinvolta che doveva far fronte alla necessità di ridurre, in uno spazio ridot-
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to, una pletora d’informazioni e pronostici destinata ad una moltitudine di fruitori illetterati. E’ assente, quindi, qualsiasi pretesa esoterica per porre l’accento, esclusivamente, sul moto della luna. Le lunazioni, infatti, sono irrinunciabili riscontri legati al lavoro agreste: con la luna nuova non si sega la legna, non si pota la vite e neppure si sparge letame nei campi; è da evitare il travaso e l’imbottigliamento del vino, la mattanza del porco, la castratura dei galletti, l’incubazione dei bachi e la cova; non è permesso fare la conserva di pomodoro né riporre le uova sotto calce. Si tratta di
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precetti che, compendiati da una teoria infinita di proverbi meteorologici, aderiscono al sempiterno ciclo agricolo, confermando l’influenza dell’ineffabile astro su tutto quanto nasce, cresce e muore in campagna. Così, oggi, dopo 159 anni, E’ lunêri continua a detenere, accanto al suo ruolo di testimone impareggiabile e prezioso degli umori popolari e alla sua impagabile funzione di coadiuvante alle attività umane, un’indulgente comprensione nei confronti delle superstizioni collettive mischiata ad una sorta d’inevitabile, quanto affrancante, accettazione dei tempi a venire. foto d’archivio
Pa ssio n i
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Al e s s a n dro An t onelli
Ironia della “bassa”
Bisogna ridere prima di essere felici, per paura di morire senza aver riso.
Jean de La Bruyère
la cultura de lla be ffa a tutti i c o st i
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I S e n s i d i R o m ag na
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Non esiste fatica, rischio o limite etico che possa costituire un ostacolo insormontabile tra un vero romagnolo e uno scherzo pesante.
L
a condizione ideale per il verificarsi di questo fenomeno è a tavola, dopo una cena abbondante in compagnia, quando la digestione e le laute liba-
gioni vanno ad indebolire le inibizioni ma la mente è ancora sufficientemente lucida per produrre idee di senso compiuto. La scintilla può facilmente nascere da un difetto fisico o comportamentale di un commensale, come nel caso accaduto a Ravenna all’inizio del secolo scorso ad un tale con la pelle del collo in eccesso, cui gli amici decisero di tendere il gargarozzo come un elastico e di trapassarlo con un colpo di pistola, accompagnandolo persino in ospedale per ridere dell’espressione del medico. Della stessa zona e di tempi poco successivi è l’episodio verificatosi ad un certo Orfeo, vorace e sdentato, il quale, operato d’urgenza dopo una solenne abbuffata, venne a conoscenza del fatto che, a quelle che dovevano esser tagliatelle, i suoi amici avevano opportunamente sostituito strisce di tela incerata verde, certo allo scopo di metterlo in guardia dai pericoli del proprio eccessivo appetito. Non è però necessariamente all’ospedale che si esauriscono le burle romagnole, uno degli scherzi tradizionali consiste nell’indurre la vittima ad una precoce e robusta ubriacatura, per poi abbandonarla nel luogo più lontano dalla sua abitazione che sia possibile raggiungere. Meta classica di questa beffa, fino a mezzo secolo fa, erano Pesaro o Ferrara ma il progresso della rete dei trasporti ha reso possibile il perfezionamento della prassi, fino al caso limite, occorso a Rimini verso la metà degli anni settanta, in cui, alla richiesta di dove si trovasse, la malcapitata vittima si è sentita rispondere in francese. Sempre il progresso e la maggior diffusione dei mezzi di spostamento individuale hanno permesso di giungere a ulteriori traguardi d’azzardo, come esemplifica l’episodio (documentato dai verbali del tribunale) in cui un orgoglioso possessore di automobile nuova, vantatosi con il passeggero della facilità con cui la sua autovettura “fa le curve da sola”, si è visto abbassare il cappello sugli occhi davanti ad una curva a gomito dall’amico ansioso di verificare l'affermazione. Per una volta è facile individuare la linea di contiguità che collega passato e presente; qui nella terra dove, come recita l’antico detto di un ignoto del quinto secolo: “…i muri cadono e le acque stanno, le torri scorrono giù e le navi si piantano fisse, gli invalidi vanno girando e i loro medici si mettono a letto, i bagni gelano e le case bruciano, i vivi muoiono di sete e i morti galleggiano sull’acqua, i ladri vegliano e i magistrati dormono, i preti fanno gli usurai e
IRONY OF THE LOWLANDS_ THE CULTURE OF THE PRANK AT ALL COSTS There’s no fatigue, risk or ethical limit that can create an insurmountable obstacle between a true native of Romagna and a heavy joke. The ideal situation for this phenomenon to occur is sitting at the table, after a big dinner in the company of friends, when the digestion and abundant libations dilute inhibition but the mind is still sufficiently clear to produce sensible thoughts. The spark can be easily triggered by a physical or behavioural defect in one of the diners, as in the case in Ravenna at the beginning of the last century, of a bloke with saggy skin round his neck, whose friends decided to stretch his throat like a piece of elastic and shoot a bullet through it, even going so far as to accompany him to hospital just to see the look on the doctor’s face. In the same area, not long after, a certain Orpheo, a toothless greedy eater, after an emergency operation following a right royal feast, found out that his friends had replaced what should have been tagliatelle with strips of green waxed canvas, convinced that this would teach him the risks of his excessive appetite. However the hospital isn’t always the place in which these local pranks end up, one traditional trick consists in getting the victim blind drunk as quickly as possible, then leaving him as far away from his home as possible. Until fifty years ago, Pesaro and Ferrara were classic locations for this, but the progress of the public transport systems has made it possible to perfect the art, taking it to the limit, as happened in Rimini in the mid-seventies. When the victim asked where he was, the answer came back to him in French! Progress and the higher number of cars have made it possible to reach even more daring limits, such as the episode (registered in court documents) in which the proud owner of a new car, having boasted to his passenger of the ease with which his car “took bends all by itself”, had his cap pulled down over his eyes just before a hairpin bend by his friend who was anxious to see whether it was true. For once it’s easy to identify the common denominator which links past and present; here, in the land where, according to the old fifth century saying: “…walls fall down and the waters stay put, towers run and ships remain firm, invalids get out and about and their doctors take to their beds, baths freeze and houses burn, the living die of thirst and the dead float on the water, thieves stay awake and magistrates sleep, priests operate as money lenders and Syrians sing psalms”.
i siriani cantano i salmi”.
Pa ssio n i
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La vite ad alberello
l a valor izza zione di un v itigno e de l suo te r r ito rio
La Fattoria Zerbina si trova a Marzeno sulle prime pendici della dorsale appenninica che collega la Romagna alla Toscana.
A
metà degli anni ’80, con l’intento di ottenere un prodotto di qualità molto elevata, si decise di realizzare i primi impianti ad alta densità utilizzando un sistema di alleva-
mento “antico” nella nostra regione: l’alberello. Questa forma di coltivazione contenuta e
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la scelta dei cloni più consoni alle basse produzioni consentirono con l’ausilio di portinnesti poco vigorosi di ottenere dei risultati qualitativi estremamente lusinghieri fin dalle prime vendemmie. Oggi l’azienda possiede il 70% dei vigneti ad alta densità, da 8.000 a 11.000 piante per ettaro, allevati ad alberello; di questi circa l’ 85% è Sangiovese, il resto Cabernet Sauvignon e, in piccola percentuale, Merlot. Accanto al Sangiovese prosegue di pari passo l’impegno di valorizzazione dell’Albana, vitigno autoctono della nostra regione, la cui espressione massima alla Zerbina si riferisce ai tipi passito, Scacco Matto ed Arrocco, ottenuti da rigorose selezioni di uve colpite dalla muffa nobile. Oggi la linea di prodotti commercializzati dalla Fattoria Zerbina vuole dimostrare la possibilità di saper interpretare un territorio in tutte le sue sfaccettature attraverso una ricerca continua per poter offrire la migliore espressione che la sua terra ha dato in quel momento con quelle uve e quelle risorse umane.
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I S e n s i d i R o m ag na
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C ar l o Z a u l i
THE ALBERELLO VINE_ THE ENHANCEMENT OF A GRAPE VARIETY AND ITS HOMELAND The Zerbina Farm is located in Marzeno in the foothills of the Apennine ridge that links Romagna to Tuscany. In the mid-eighties, with the intention of obtaining a very high quality product, the decision was made to plant the first high-density vineyards using an “old” local cultivating system: the alberello. This form of contained cultivation and the choice of the clones best suited to low productions, combined with the aid of slow-flourishing stocks, made it possible to obtain extremely good quality results right from the very first harvests. Today the farm has 70% high-density vineyards, with 8,000 to 11,000 plants per hectare, cultivated using the alberello technique; about 85% of these are cultivated with Sangiovese, the rest being Cabernet Sauvignon and a small percentage of Merlot. Along with the Sangiovese, similar commitment is dedicated to the enhancement of the Albana, an autochthonous grape variety, the maximum expression of which is reached in the Zerbina passito wines, Scacco Matto and Arrocco, obtained from meticulous selections of grapes affected by noble mould. Today the range of products marketed by the Zerbina Farm aims to show that it is possible to interpret every facet of an area through continuous research, offering the best expression obtainable from the soil at that time, from those grapes and those human resources. PIETRAMORA 2000_ Sangiovese di Romagna DOC Superiore Riserva - Grapes:100% Sangiovese Due to its exposure, the vineyard ripens late and the wine is characterised by a rather singular acid vein, which makes it surprising to the taste. The grapes undergo 1518 days maceration in steel, maturing in 300-litre French oak barrels, 80% of which are new. In Pietramora 2000 the characteristic ripeness of the 2000 vintage is balanced perfectly by the natural acid vein of the soil and of the exposure: ample olfactory range, bright garnet colour, silky consistency, easy to drink with mature tannin.
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MARZIENO 2000_ Ravenna Rosso IGT - Grapes: 50% Sangiovese, 50% Cabernet Sauvignon Nicely consistent, impenetrable ruby red colour. It develops in the nose with scents of wild berries and blackberry jam, the spiciness of black pepper, liquorice, leather and cocoa powder. The flavour features tannins which have still to be rounded off but also has a sensitive softness, with a very pleasant finish of unsweetened cocoa. The Cabernet Sauvignon is harvested in the middle of September, followed by the Sangiovese at the end of the month. It is vinified on skins and undergoes malolactic fermentation in wood before maturing in barriques for 15 months.
PIETRAMORA 2000_ Sangiovese di Romagna DOC Superiore Riserva - Uve: 100% Sangiovese A causa della sua esposizione la vigna giunge a maturazione tardi ed il vino è caratterizzato da una vena acida sicuramente singolare, che in degustazione lo rende sorprendente. Macerazione di 15-18 giorni in acciaio, affinamento in legni francesi da 300 litri di primo passaggio all’80%. In Pietramora 2000 la caratteristica maturità dell’annata 2000 è risolta con grande equilibrio dalla vena acida naturale dei terreni e di quell’esposizione: ampio il ventaglio olfattivo, granato brillante il colore, setosa la consistenza, fresca la beva, maturo il tannino. SCACCO MATTO 2000_ Albana di Romagna DOCG Passito - Uve: 100% Albana Di colore giallo oro intenso con rapidi riflessi oro antico, brillante. Il profumo è elegante e profondo, con sentori ripetuti di confettura di pesca, miele e, più sfumato, di muffa nobile. Il sapore è caratterizzato da una profondità riflessa al palato, di dolce e misurata avvolgenza che si completa con la tenue amaritudine della muffa nobile. Accostamenti gastronomici adatti sono il patè di fegato d'oca, i formaggi erborinati piccanti - Gorgonzola naturale, Stilton e Roquefort, Taleggio stagionato a pasta cruda. MARZIENO 2000 - Ravenna Rosso IGT - Uve: Sangiovese 50%, Cabernet Sauvignon 50% Colore rosso rubino impenetrabile, di buona consistenza. Al naso si dispiega su un fruttato di bosco e marmellata di more, speziato di pepe nero, liquirizia, cuoio e polvere di cacao. Alla gustativa mostra tannini ancora da arrotondare ma una morbidezza già sensibile, con un chiusura piacevolissima di cacao amaro. Vendemmia a fine settembre per il Sangiovese e a metà settembre per il Cabernet Sauvignon. Vinificazione in rosso e fermentazione mallolattica in legno. Maturazione in barrique per 15 mesi.
En o g a stro n o mia
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Si gusta doppiamente la felicità faticata. Baltasar Gracián
SCACCO MATTO 2000_ Albana di Romagna DOCG Passito - Grapes: 100% Albana Deep golden yellow colour with fleeting bright old gold hues. The perfume is elegant and deep with repeated scents of peach jam, honey and a more elusive scent of noble mould. The flavour is characterised by a sweet, measured enveloping depth reflected on the palate, which is completed by the soft bitterness of noble mould. The ideal companion for goose liver pâté and strong blue cheeses – natural Gorgonzola, Stilton and Roquefort, and uncooked mature Taleggio.
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B e ppe S a n gi orgi
La zucca dai cento usi
tra ca mpo, cucina , sa lo t t o e b ag n o
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THE MULTIPURPOSE PUMPKIN_ FROM FIELD TO KITCHEN, LOUNGE AND BATHROOM
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I S e n s i d i R o m ag na
They say that the pumpkin is a bit like a pig – nothing goes to waste. And besides being an excellent food, it’s both useful and decorative. From the dietary point of view, the pumpkin – known locally as zòcca – harks back to the time when farmers cultivated beautiful yellow and reddish, bumpy but really sweet pumpkins, which were baked and were traditionally planted on the first Thursday in April, as this date was linked with their being both attractive and delicious. In town and in the local villages it was possible to buy pieces of pumpkin from the greengrocers’ who displayed them in big pans. The seeds were dried and toasted and added to the “e' zardinet” – the mixture of toasted pumpkin seeds and chickpeas, peanuts, dried figs and carob sold by travelling salesmen. In the olden days, the zòcca da ven (the wine pumpkin), also known as the trofa, with the characteristic flask shape narrowing in the middle, was used in the Romagna countryside. After being emptied and waterproofed by soaking it in fermenting must, it was used to hold wine or water and keep it cool as it was carried to the workers in the fields. Today trofe are cultivated for decorative use, as are hundreds of other strangely shaped, brightly coloured varieties with the most bizarre names: Turkish turban, mushroom, double bottle, Sicilian trumpet, Dutch crown, oval giant and so on. The most curiously odd varieties include the vegetable sponge or loofah, a pumpkin which can be used in the bathroom instead of natural sea sponges or synthetic sponges and has the advantage of being naturally and pleasantly rough. So the pumpkin is extraordinary in terms of the number of varieties and the number of uses to which they can be put in dishing out pleasure and relief. It’s also considered to be lucky, being quoted in the old Romagnolo saying used to identify those for whom life seemed to be a bed of roses l'è com la zòcca, ch'la nas con e' fiór in t e' cul, which translates something like this: he’s like a pumpkin, born with a flower upon his backside.
La zucca - dicono - é come il maiale: non si butta via niente. Ed oltre ad essere un eccellente piatto è anche utile e decorativa.
D
al punto di vista alimentare la zucca - la zòcca - rimanda al mondo contadino di una volta che coltivava quelle belle zucche gialle e rossastre, bitorzolute e dolcissime, quando erano cotte al forno
e perché risultassero belle e buone le piantavano, secondo la tradizione, il primo giovedì di aprile. In città e nei paesi la zucca si poteva acquistare a tocchi dai fruttivendoli che le esponevano nei padelloni. Poi c'erano i semi, essiccati ed abbrustoliti, che entravano nel giardinetto - e' zardinet - cioè la mistura di semi di zucca e ceci abbrustoliti, noccioline, fichi secchi e carrube che si acquistavano dai venditori ambulanti. Nelle campagne romagnole di un tempo si usava la zòcca da ven, la zucca da vino, detta anche trofa, con la caratteristica forma a fiaschetta per una strozzatura centrale. Una volta svuotata ed impermeabilizzata con l'immersione nel mosto in fermentazione, serviva per contenere e mantenere freschi vino od acqua che venivano portati ai lavoratori nei campi. Oggi le trofe vengono
coltivate per uso decorativo insieme a centinaia di altre varietà dalle forme curiose, dai colori sgargianti e dal nome bizzarro: turbante turco, fungo, bottiglia doppia, trombetta siciliana, corona olandese, gigante ovale e così via. Tra le più curiose e ricercate troviamo la spugna vegetale, una zucca che può essere usata per il bagno al posto delle spugne di mare o di quelle sintetiche, rispetto alla quali presentano il vantaggio di una gradevole e naturale ruvidezza. La zucca dunque è un frutto della terra straordinario per le sue varietà e per i tanti usi ai quali si presta nel dispensare piacere e sollievo agli uomini. Un frutto fortunato insomma, come testimonia un antico detto romagnolo che così identificava coloro ai quali andavano bene le cose della vita: l'è com
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la zòcca, ch'la nas con e' fiór in t e' cul (è come la zucca, che nasce con un fiore nel sedere).
Prima ci si innamora delle cose e poi si portano avanti. Italo Lupi
En o g a stro n o mia
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St e f a n i a M a z z ot t i
Terra del Sole
città ide ale foto d’archivio
TERRA DEL SOLE_ THE IDEAL TOWN The cloud-covered sky opened up, the suns rays kissed it. Time seems to have stood still. The beaten earth and gravel piazza and, at either end, Palazzo Pretorio and, opposite, the church of Santa Reparata. Symbols of juridical and religious power. In flight over the town it is possible to admire the boundaries which are clearly marked by the walls and the perfectly symmetrically star-shaped plan of the castle. Lets take a step back in time. It’s 1564, the 8th of December to be exact. Cosimo dei Medici, the Grand Duke of Tuscany, signs the birth certificate of this new fortress town, inspired by the urban ideals of the ideal Renaissance town. One of the rare Italian examples to have been created and remain intact. The town was built from nothing to a project studied at the drawing board, on the border between Romagna and Tuscany, to serve as a checkpoint and customs to circumvent the activities of the brigands and bandits of the turbulent region. The project was assigned to the architect from Urbino Baldassarre Lanci, one of the most popular at the time. In Urbino the architect grew up in contact with court where the panel of the ideal town has been kept since the second half of the fifteenth century. The painting represents the prospective of a piazza built to a plan of ideal beauty: geometric arrangements and a harmonious urban structure which is a reflection of the harmonies of the macrocosm and of a well organised social structure. This is Terra del Sole, developed on a rectangular plan, with ten-metre high walls which surround the citadel of over two kilometres, four bastions at the corners, symmetrical entrance gates, the poorer districts with picturesque little houses, the eastern section of the main road with the elegant buildings and the piazza, set perfectly in the middle. Palazzo Pretorio rises on one side of the square. Classic example of Renaissance architecture, it was the seat of the local police who administered justice from 1579 to 1784.The Medicean prisons still remain today, along with the filing documents that bear witness to the numerous executions of bandits on the gallows. Until 1923 Terra del Sole had marked the border between the Granduchy of Tuscany and the Papal State. Today in Romagna, on the road from Forlì to Castrocaro Terme, there is an example of Renaissance Tuscan architecture. Legend says that at the time of its foundation, the cloud-covered sky opened up and the suns rays kissed it, hence the name Terra del Sole. In actual fact, Cosimo ordered that this name be used to honour the reflection of the harmony of cosmic law on the earth.
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I Sensi di Romagna
I
Ricordatevi che le mura delle città si fanno con le macerie delle case di campagna. J.J. Rousseau
Il cielo coperto di nubi si aprì, i raggi del sole la baciarono. l tempo sembra essersi fermato. La piazza in terra battuta e ghiaia e ai due estremi il Palazzo Pretorio e di fronte la chiesa di Santa Reparata. Simboli rispettivamente del potere giuridico e religioso. In
volo sulla città si ammirano i confini del paese ben delimitati dalle mura e la pianta di un castello a stella perfettamente simmetrico. Torniamo indietro. Siamo nel 1564, precisamente l'8 dicembre. Cosimo de’ Medici, allora Granduca di Toscana, firma l'atto di nascita di questa nuova città fortezza, ispirata agli ideali urbanistici della città ideale rinascimentale. Uno dei rari esempi italiani realizzati ed ancora intatti. La città è edificata dal nulla secondo un progetto studiato a tavolino, al confine tra la Romagna e la Toscana, con funzioni di controllo e di dogana per circoscrivere i fenomeni di brigantaggio e banditismo della turbolenta regione. Il progetto è affidato all'architetto urbinate Baldassarre Lanci, uno dei più conclamati del periodo. Ad Urbino, l'architetto è cresciuto a contatto con la corte dove, fin dalla seconda metà del Quattrocento, è custodita la tavola della città ideale. Il quadro rappresenta una prospettiva di una piazza realizzata secondo un canone di bellezza ideale: impianti geometrici e una struttura urbana armonica che è specchio delle armonie del macrocosmo e di una struttura sociale ben ordinata. Ecco Terra del Sole, sviluppata su pianta rettangolare, con le sue mura alte una decina di metri che circondano la cittadella di oltre due chilometri, agli angoli i quattro bastioni, le porte d'ingresso simmetriche, i quartieri più poveri con pittoresche casette, il taglio a est del corso principale con i palazzi signorili e la piazza, collocata perfettamente al centro. Il palazzo del pretorio si erge su uno dei lati della piazza. Classico esempio di architettura rinascimentale è sede dei commissari locali che amministrano la giustizia dal 1579 al 1784.Oggi rimangono ancora le carceri medicee e i documenti di archivio che testimoniano le numerose esecuzioni di banditi con la forca. Fino al 1923 Terra del Sole ha segnato il confine tra Granducato di Toscana e lo Stato pontificio. Ora in Romagna, sulla strada che da Forlì porta a Castrocaro Terme, è uno splendido esempio di architettura toscana rinascimentale. Si narra che al momento della fondazione il cielo coperto di nubi si aprì e i raggi del sole la baciarono, da questo Terra del Sole. In realtà Cosimo volle per lei questo nome come riflesso concreto dell'armonia delle leggi cosmiche sulla terra.
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Arte
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Val e n t i n a Ba r u z z i
Aula Nuti
i l c uore a ntico de lla bibliote ca di Ce se na
Luogo il cui fascino mai fu scalfito, testimonianza della storia e della tradizione dei Malatesta a Cesena, cuore pulsante dell’elefante conquistatore.
U
ltimata nel 1454 dall’architetto Matteo Nuti da Fano, la sala fu costruita per volere del signore di Cesena, Novello Malatesta, grande sostenitore del pensiero umanista, come manifestò
nella realizzazione e nella gestione della biblioteca. L’aula a basilica si sviluppa su una forma rettangolare allungata divisa in tre navate da due file di esili colonnine; e mentre la navata centrale è aperta per il passaggio dei lettori, in entrambi i lati sono disposti 29 plutei, i banchi di lettura, composti dal leggio, per favorire una comoda consultazione e da una scansia da cui poter prelevare i testi che erano legati al mobile con una catenella di ferro, sì da non poter essere trasferiti. La disposizione dell’arredo e l’illuminazione sono in stretto legame e perfettamente ade-
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guati per la conservazione e la facile consultazione dei manoscritti; la luce, infatti, entra in
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I Sensi di Romagna
maniera diffusa e uniforme sia dalle finestrelle laterali che dal grande rosone in fondo all’aula, senza zone d’ombra o di eccessiva luminosità.
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A place the charm of which was never tarnished, proof of the history and of the tradition of the Malatesta family in Cesena, throbbing heart of the conquering elephant. Completed in 1454 by the architect Matteo Nuti of Fano, the room was built to a commission by the Lord of Cesena, Novello Malatesta, a great supporter of humanism, as proven by the creation and management of the library. The basilica hall has an elongated rectangular shape split into three aisles by two rows of slender columns; and while the central aisle is open to the passage of readers, both side aisles are occupied by 29 plutei, the reading benches, made up of the book rest to make consultation easier, and a bookcase from which to take down the books, which are fastened to the shelves by an iron chain so that they can’t be removed. The furnishing and lighting arrangements are closely linked and perfectly suited to the conservation and easy consultation of the manuscripts; the light enters in a diffused and even manner from the side windows and the large rose window at the end of the hall, without any shadowed or excessively lit areas. The originality of this place, every part of which is authentic, is also confirmed by the fact that the library was open to the public and was accessible to anyone who wished to consult the texts: a choice which confirms Novello’s farsightedness. Inside the room there are numerous celebrations of the reigning family. In many places there are a chequered grid and three heads, the Malatestian insignias: engraved on the sides of the plutei, painted in the capital letters of the manuscripts, sculpted on the capitals; even the colour scheme reflects the aristocratic emblem The red of the terracotta flooring and lateral semi columns, the white of the columns and the green of the plaster on the walls and vaults are the colours of the Malatestian coat of arms. The library perfectly fulfils its duty of celebrating and transmitting the glory of the Lord as proven by the tympanum that sits over the splendid fifteenth century portal, which is decorated with the symbol of the Malatestian elephant, with an elegant scroll bearing a Latin motto which, ironically, proclaims: ‘the Indian elephant has no fear of mosquitoes’.
L’originalità di questo luogo, autentico in ogni sua parte, é confermata anche dal fatto che la biblioteca era aperta al pubblico, un luogo accessibile a chiunque volesse consultare i testi: una scelta che conferma la lungimiranza di Novello. All’interno della sala non mancano le celebrazioni della famiglia regnante. In molti punti campeggiano un reticolo a scacchiera e tre teste, le insegne malatestiane: incisi ai lati dei plutei, dipinti nelle lettere capitali dei manoscritti, scolpiti sui capitelli; anche nella scelta cromatica si cita la signoria, infatti, il rosso della pavimentazione in cotto e delle semicolonne laterali, il bianco delle colonne e il verde dell’intonaco delle pareti e delle volte sono i colori dello stemma malatestiano. La biblioteca adempie perfettamente il dovere di celebrare e trasmettere la gloria del Signore come testimonia il timpano che sormonta lo splendido portale quattrocentesco, su cui campeggia il simbolo dell'elefante malatestiano recante, su un elegante cartiglio, un motto latino che, ironicamente, proclama: ‘l'elefante indiano non teme le zanzare’.
Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere. Gustave Flaubert
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AULA NUTI_ THE OLD HEART OF CESENA LIBRARY
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Vi ol a E m a l di
Gli ideali, oltre la tela, di Silvestro Lega l’ a r te ra cconta la stor ia de l pa ese
Febbraio 1848, Silvestro Lega lascia precipitosamente Firenze per raggiungere la natia Modigliana dove il padre morirà il 10 di quel mese. Sullo sfondo di questo piccolo dramma personale si stava delineando quello, ben più grave, della disfatta italiana nella I Guerra d’Indipendenza.
N
el marzo dello stesso anno, infatti, il Granduca di Toscana, Leopoldo II – sotto la cui giurisdizione si trovava, allora, Modigliana – metterà controvoglia in armi contingenti del proprio esercito e battaglioni volontari stu-
denteschi. Contributo che gli ‘staterelli’ della penisola offrivano ad una patria da far risorgere. Ma facciamo un passo indietro. Il giovane ‘Vestro’ era partito alla volta di Firenze nel ’42, in tempi di inquietudini preparatorie ai moti di Romagna, per studiare “fino alla filosofia” sotto gli Scolopi, abbandonati in seguito per l’Accademia di Belle Arti, poi lasciata per assistere in studio alle lezioni del purista Mussini. In tempi di guerra, inserito nell’ambiente cittadino, ne frequentava attivamente le riunioni patriottiche. Poi trascorreva le vacanze in seno alla famiglia, riscoprendo abitudini paesane come tendenze ed umori del momento. Fu così che, ventiduenne, si arruolò volontario nel 1° battaglione fiorentino, prendendo parte alla campagna
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I Sensi di Romagna
“Quando al ritorno dalla prima esposizione internazionale di Parigi del 1855, l’Altamura e il Tivoli portarono fra noi le nuove idee dell’arte, che poi generarono la macchia nel chiaroscuro (..) il Lega (..) fu avverso a questa rivoluzione artistica perché ci veniva dalla Francia, da quella nazione che era stato dolente di non aver potuto combattere nel 1849, in Roma, a difesa della Repubblica (..). Ma poi (..) divorziò completamente con tutto questo suo passato accademico, non provando altra commozione che nella infinita rappresentanza del vero reale” Telemaco Signorini, 1896
THE IDEALS, BESIDES CANVAS, OF SILVESTRO LEGA_ ART TELLS THE STORY OF A TOWN In February 1848, Silvestro Lega hurriedly left Florence, heading for his hometown of Modigliana, where his father died on the 10th of the same month. The background for this small personal tragedy was provided by the far more serious issue of the Italian defeat in the First War of Independence. In March of the same year, the Grand Duke of Tuscany, Leopoldo II – under whose jurisdiction Modigliana fell at that time – against his will, sent contingents of his army and voluntary student battalions to fight. This was the contribution offered by the peninsula’s states to a patria to be reinstated. But let’s take a step backwards. The young ‘Vestro’ had set off for Florence in 1842, during unsettled times in preparation for the movements of Romagna, to study “up to philosophy” under the Scolopis, but abandoned these studies in favour of the Academy of Fine Art, which he also abandoned to study under the purist, Mussini. During the war, having become part of the town, he actively attended patriotic meetings. Then he would spend his holidays with his family, rediscovering village habits, current fashions and moods. So it was that, aged twenty two, he joined up as a volunteer in the 1st Florentine battalion, taking part in the campaign of ’48, enflamed, in the words of the art historian Dubrè, pronounced in 1973, “by his rebellious Romagnolo nature” and filled with ideas of the Republic and the Risorgimento. As everyone knows, despite the valour of the Italian patriots, the campaign ended in defeat and Lega was forced to put down his arms and uniform and pick up his beloved paintbrushes once more. This fierce commitment to the events in which the town was involved is obvious in the artist’s work. After returning to Florence in ’49, the historical and military picture gradually led Lega, not without resistance, to approach realism. In his military paintings he focussed on studies in luminosity which drew him to the Macchiaiolis. Despite attending the cultural meetings of the Café Michelangiolo (a place which was fundamental to the birth of the movement of the Macchia) for some time Lega remained attached to a romantic type of painting, the novelty of which lay in the subject: the minor episodes of the Wars of Independence. His stubborn character forced, rather than persuaded, him to be convinced, and it was only in ’61 that he joined the group of the Macchiaiolis, when he changed direction in search of “reality”. But that’s another story.
foto d’archivio
foto d’archivio
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del ’48, infiammato, come dirà nel 1973 lo storico dell’arte Dubré, “dal ribellismo romagnolo della sua natura” nonché carico d’idee repubblicane e risorgimentali. Com’é noto, nonostante il valore dei patrioti italiani, la campagna finì in disfatta e al Lega altro non restò che deporre armi ed uniforme per riprendere in mano i cari pennelli. Questa sentita partecipazione alle vicende del proprio paese è evidente nelle tematiche dell’artista. Tornato a Firenze nel ’49, fu attraverso il quadro storico-militare che Lega iniziò ad accostarsi lentamente, e non senza resistenze, al realismo. Nei quadri militari, infatti, si orientò a studi di luminosità che lo avvicinarono ai Macchiaioli. Pur partecipando agli incontri culturali del Caffè Michelangiolo (luogo fondamentale per la nascita del movimento della Macchia) il Lega restò a lungo affezionato ad una pittura di tipo romantico, dove la novità stava nel soggetto: gli episodi minori delle guerre d’Indipendenza. L’ostinatezza del suo carattere gli imponeva di essere, più che persuaso, convinto e solo nel ’61 aderirà al gruppo dei Macchiaioli, quando volgerà la sua rotta alla ricerca del “vero”. Ma di questo parleremo un’altra volta.
Arte
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Territorio La leggenda di Marino_ e di come divenne santo The legend of Marino_ And how he became a Saint La Razza Romagnola_ vecchia compagna dell’uomo e della terra The Romagnola Breed_ Old companion of man and earth
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Storia Pirati romagnoli_ arrembaggi d’alto Adriatico Romagna’s pirates_ Raiding in the high Adriatic Sea Anita Garibaldi: una morte sospetta_ il mistero di un macabro particolare mai spiegato
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Anita Garibaldi: a suspicious death_ The mystery of a macabre detail which has never been explained
Passioni Breve storia di un foglio volante_ fra empirismo e superstizione Short story of a flyer_ Between empiricism and superstition Ironia della “bassa”_ la cultura della beffa a tutti i costi Irony of the lowlands The culture of the prank at all costs
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Enogastronomia La vite ad alberello_ la valorizzazione di un vitigno e del suo territorio The alberello vine_ The enhancement of a grape variety and its homeland La zucca dai cento usi_ tra campo, cucina, salotto e bagno The multipurpose pumpkin_ From field to kitchen, lounge and bathroom
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Arte Terra del Sole_ città ideale Terra del Sole_ The ideal town Aula Nuti_ il cuore antico della biblioteca di Cesena Aula Nuti_ The old heart of Cesena library Gli ideali, oltre la tela, di Silvestro Lega_ l’arte racconta la storia del paese The ideals, besides canvas, of Silvestro Lega_ Art tells the story of a town
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I Sens i di Rom agn a
I Sensi di Romagna numero 5.
ottobre 2003
Periodico edito da CERDOMUS Ceramiche S.p.A. 48014 Castelbolognese (RA) ITALY via Emilia Ponente, 1000 www.cerdomus.com Direttore responsabile Luca Biancini Progetto Carlo Zauli Luca Biancini Grafica e impaginazione Jan Guerrini/Cambiamenti per Divisione immagine Cerdomus Coordinamento editoriale Valentina Baruzzi Redazione Alessandro Antonelli Valentina Baruzzi Marcello Cicognani Viola Emaldi Paolo Martini Stefania Mazzotti Giuseppe Sangiorgi Carlo Zauli Foto Archivio Cerdomus Circolo Fotografico Casolano Archivio Fattoria Zerbina Valentina Baruzzi Jan Guerrini si ringraziano per la cortesia Pro.In.Carne, Faenza, nella persona di Mirco Coriaci Trattoria Marianaza, Faenza Fattoria Zerbina, Marzeno, nella persona di Cristina Geminiani Biblioteca Malatestiana, Cesena
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