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compie la sua terza primavera, difficile dire a quale età una pubblicazione sia ancora giovane oppure già stagionata;
certo è che earth elements matura in fretta. Crescono le sue pagine, si allarga la rosa dei redattori, resta intatta la sua natura polimorfa, aperta a tutte le scuole di pensiero, a tutti gli stili, a tutti gli sguardi. Contrariamente a ciò che frequentemente capita agli entusiasti, con il passare del tempo si rafforzano i suoi valori, mentre si perfezionano i suoi propositi di originalità. E, perché no? Cresce di pari passo la ricercatezza della sua veste. Giacché a
ee piace sedurre, e della sua anima poliedrica ed
appassionata non nasconde una certa attitudine maliziosa; particolarmente intonata alla stagione che più incoraggia l’ostentazione: la primavera. La Redazione di
ee
It's difficult to say at what age a publication stops being young and becomes a little more seasoned, but ee earth elements, now 3 springs old, is certainly growing up fast. With more pages and more contributors, it retains its multifaceted character, its openness to different ways of thinking, diverse styles of writing, alternative perspectives. Enthusiasm often wanes with time, but not with us: our values grow in strength as our originality gains in form. We're looking better too – and why not, after all. ee aims to please, but it's not averse to a little provacativeness – and what better season than spring to show what we've got? The editorial staff of ee
E d ito ria le
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acqua terra fuoco aria
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Ma rc e l l o Ci c ogn a n i
Da Riolo a Solarolo pas s ando da “ C a ste llo”
Rincorrendo le placide acque del Senio, poco dopo aver oltrepassato gli affioramenti della Vena del Gesso, la vallata si apre e disegna un ampio catino cui fanno da ghirlanda morbidi crinali e fertili colline.
E
proprio qui, adagiata su di un verone digradante rivolto ad oriente, sorge Riolo Terme. Località rinomata sin dai tempi antichi per la salubrità portentosa delle sue acque, Riolo mantiene inalterata, in virtù
del suo retaggio medievale, una propria dimensione a misura d’uomo, raccolta, com’è, attorno ai poderosi bastioni della rocca centenaria e custodita dagli altrettanto vetusti spalti della cinta muraria. Il primo e solitario torrione di Castrum Rioli – detto anche Orioli Sichi (Riolo Secco) per via dello scarno rivo che ivi scorreva – esisteva già all’inizio del XIII secolo: dagli scritti risulta, infatti, che nel 1212, quand’era soggetto ad Imola, il fortilizio fu aggredito e conquistato dai Faentini. La disputa tra i due Comuni durò sin quando, nel 1336, il luogo munito passò in mano ai Bolognesi: furono loro, nel 1388, che diedero ufficio a Masino della Colla, già artefice della cittadella imolese, di alzare una nuova fortezza. Questa si distinse subito per le sue forme maschie e arcigne – in particolare per gli atticciati e, apparentemente, disarmoni-
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I S e n s i d i R o m ag na
FROM RIOLO TO SOLAROLO_ VIA “CASTELLO” Following the winding course of the Senio, a little after the outcrops of Vena del Gesso, the broad valley opens out to accommodate a wide basin garlanded by gentle crests and fertile hillsides. Here, poised on an eastward-sloping hillside, stands Riolo Terme. A town renowned since Antiquity for the miraculous properties of its springs, today's Riolo retains much of its medieval heritage and human dimensions, rising in the shadows of its old and imposing fortress and guarded by the equally ancient bastions of its walls. The original and solitary fort of Castrum Rioli – also known as Orioli Sichi ("dry creek") after the meagre stream that ran through the zone – was already standing at the beginning of the 13th century, and history records that in 1212, when the town was subject to Imola, its fortress was assaulted and conquered by Faenza. The dispute between the two city-states lasted until 1336, when the stronghold passed into the possession of Bologna: and it was the Bolognese who, in 1388, commissioned Masino della Colla, architect of the fortress of Imola, with the task of raising a new fortress there. The new structure was immediately distinctive for its stern and forbidding aspect – in particular its robust and apparently ill-matched angle towers – built according to the precepts of the military architecture of the epoch which, especially here in Romagna, flowered in a diverse range of expressions. In later epochs the town played an active role in history and had its share of the vicissitudes which shook first the region and later the entire Italian peninsula: first among which were the dramatic events of 1944/45, which are still engraved in the memories of those who lived to tell the tale. But Riolo itself, in almost Romantic fashion, has continued to contemplate itself in the looking-glass of its miraculous waters, taking from them the strength and vigour which have allowed it to survive unscathed the storms of time. Now more than ever it's a pleasant place to visit or stop in even for a flying visit, wandering on the trail of distant echoes in the shade of the ancient trees that dot its streets and gardens.
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ci masti angolari – quali erano quelle prescritte dall’architettura bellica del periodo che, specialmente qui in Romagna, brillò in un disparato ventaglio d’espressioni. Nelle epoche susseguenti, la città è stata partecipe attiva della Storia e di tutte le vicissitudini che hanno percorso, prima, la regione, poi, l’intera penisola: su tutte valgano i drammatici accadimenti del 1944/45, ancora impressi a fuoco nella memoria di quanti scamparono alla tragedia. Va da sé che Riolo, quasi romanticamente, ha sempre continuato a specchiarsi nello zampillio delle sue miracolose acque, traendone quel vigore e quella forza che le hanno permesso di passare indenne attraverso le burrasche del tempo. Si tratta, oggi ancor di più, di un luogo ameno in cui soggiornare o far tappa anche solo per una visita veloce, girovagando fra i sentori di un’eco lontana all’ombra degli antichi alberi che picchiettano i parchi e i viali.
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La Natura è un tempio dove pilastri vivi mormorano a tratti indistinte parole; l'uomo passa, tra foreste di simboli che l'osservano con sguardi familiari. Charles Baudelaire
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Oltrepassata Riolo, la discesa verso la pianura è rapida, e proprio qui, pervasa dalla vivacità della Via Emilia, troviamo Castel Bolognese. Fondata dai felsinei nel 1380, la sua nascita risale direttamente alle lotte comunali, allorché fu tutto un moltiplicarsi di città-fortezza costruite a guardia dei confini territoriali; un oneroso compito che Castel Bolognese non disattese, trovandosi a più riprese al centro di guerre e battaglie. Essa presenta un singolare e complesso reticolo medievale: dei due assi generatori, infatti, solo uno (la Via Emilia) è completo mentre l’altro, a questo normale, termina alla sua intersezione. Sono, quindi, presenti due elementi urbani distinti e perpendicolari, tanto che il centro risulta formato da due piccole città saldate ortogonalmente l’una rispetto all’altra. Già nel 1501 Cesare Borgia, durante la sua personale e sistematica conquista della Romagna, occupò e rase al suolo la cittadella ribattezzandola, con spregio, “Villa Cesarina”. Decaduto il Valentino, lo Stato della Chiesa provvide a restaurare le mura mentre il maniero non risorse mai dalle proprie ceneri. Indi, Napoleone in persona, durante la sua trionfale campagna d’Italia, sbaragliò qui, nel 1797, le raccogliticce truppe vaticane, costringendo Pio VI, in quel di Tolentino, a porre l’autografo su di un armistizio gonfio d’onerose cessioni. Infine, tra il Dicembre del ‘44 e l’Aprile del ’45, “Castello” fu, suo malgrado, importante caposaldo tedesco in virtù dell’ubicazione strategica immediatamente a ridosso della linea Gotica.
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I S e n s i d i R o m ag na
After Riolo, the hillside descends rapidly towards the plain, where steeped in the lushness of the Via Emilia we find Castel Bolognese. Founded by the Bolognese in 1380, the appearance of the town was a direct result of the struggles between rival cities, as it was one of a string of fortress-towns that grew up to guard the territorial frontiers of Bologna; it was an onerous task from which Castel Bolognese did not shirk, finding itself on more than one occasion in the thick of wars and conflict. Today, it retains its tightly-meshed and distinctive medieval street layout: of its two principal arteries, only one (Via Emilia) is complete, with the other terminating where it intersects at right angles with the former. This structure gives the town two distinct quarters, with the centre comprising two small towns meeting one another at right angles. In 1501 Cesare Borgia occupied and razed the citadel during his personal campaign of conquest of Romagna, contemptuously rebaptizing the town “Villa Cesarina”. After the demise of Borgia, the Papal States restored the walls, but the fortress within failed to rise from its ashes. At a later period, in 1797, Napoleon himself, during his triumphant Italian campaign, routed the disorganized forces of the papal army here, forcing Pius VI, at the treaty of Tolentino, to put his signature to an armistice replete with serious concessions. Then to the Second World War, when, from December 44 to April 45, “Castello” was, against its will, an important German stronghold by virtue of its strategic location immediately behind the Gothic Line. A short distance across the plain with its vineyards, orchards and farmlands lies Solarolo. Present in historical chronicles since 993, when it was subject to the rule of the Imola clergy, Castrum Solaroli too has a history full of conflict and changes of possession. Of its imposing castle, damaged and rebuilt on several occasions, there now remain only a few traces of the walls and a recently-restored gate; the mighty keep was reduced to dust in the spring of 1945. The history of the village is to some extent symbiotically linked with the appearance of Castel Bolognese: in the late XIV century, in fact, a mill was built in Solarolo (the Scodellino mill, which still exists today) and was powered via a ditch tapped from the Senio; the mill was part of the development of the outpost raised by the Bolognese. One further historical fact worth recording is that towards the end of the 13th century, papal policy designed to re-size Bologna led to the creation of the “Comune del Contado Imolese”: an autonomous subject-city – with its own administration but governed by an imposed podesta – subject to Statutes which dictated social conduct and town life until 1816. Evidently, as that same century was so amply to demonstrate, the age of temporal power was over.
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Poco distante – fatti quattro passi nella piana fra vigne, alberi da frutto e campi coltivati – troviamo Solarolo. Presente nei resoconti sin dal 993, quand’era sottomessa al clero imolese, anche Castrum Solaroli sarà, per tutta la sua storia, al centro di dispute e repentini passaggi di mano. Del suo imponente castello, a più riprese danneggiato e poi ricostruito, restano solo tracce delle mura e una porta di recente rimessa a nuovo, mentre il possente mastio andò polverizzato nella primavera del ‘45. Le vicende del borgo, poi, si legano, in qualche modo simbioticamente, alla genesi di Castel Bolognese: dalla fine del XIV secolo, infatti, Solarolo fu servita da una mola (l’ancora esistente mulino di Scodellino) alimentata da un fossato fatto giungere dal Senio e realizzata, in special modo, per lo sviluppo del nuovo avamposto rizzato dai petroniani. È, infine, cenno storico interessante registrare come, verso il finire del 1200, una politica pontificia tendente a ridimensionare Bologna portasse a costituire il “Comune del Contado Imolese”; un soggetto autonomo – dotato di un proprio consiglio ma retto da un podestà imposto – disciplinato da uno Statuto che avrebbe guidato le norme sociali ed il vivere civile addirittura sino al 1816. Evidentemente, come quel secolo avrebbe di lì a poco ampiamente dimostrato, non era più tempo di potere temporale.
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Sa n dro Ba s s i
Vulcani pigmei
... Ciascun di loro imita la sommità dei vulcani ed ha il proprio cratere, e perché nulla manchi alla somiglianza, una liquida fanghiglia scola per il loro dorso a modo di lava... ... Each one of them imitates the summit of a volcano and has its own crater, and to complete the likeness, a slimy liquid oozes like lava over their crests... Luigi Angeli, fine XVIII sec.
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se nza ma gmi né la v a
Sono i “buldùr” della Serra, presso Bergullo, fra Imola e Riolo. Nulla a che fare con i veri fenomeni eruttivi: si tratta di emissioni di metano che trascinano in superficie argille fluidificate.
I
n Romagna non ci sono vulcani. E ci mancherebbe altro: la natura geologica del territorio - composto in massima parte da rocce sedimentarie, cioè formatesi per accumulo di sedimenti, generalmente in ambien-
te marino (arenarie, marne, argille, gessi, ecc.) - non contempla masse eruttive. Tuttavia esistono alcuni fenomeni che la scienza classifica con il non bellissimo - ammettiamolo - termine di «pseudovulcanici». Fra questi, le salse. Si tratta di emissioni di gas, soprattutto metano, a partire da depositi sotterranei di idrocarburi e tramite fratture in terreni argillosi: tali gas sospingono verso l'alto acque salate che “stemperano” le argille stesse portandole in superficie a formare un cono, più o meno grande, ed una circostante colata. Sono diffuse lungo una fascia ai piedi dell'Appennino, che va dal parmense (Rivalta di Langhirano) fino alla Romagna occidentale (Bergullo, tra Imola e Riolo Terme). Per i loro numerosi motivi di interesse naturalistico - geologico, certo, ma anche botanico e paesaggistico - furono oggetto di uno studio della Regione EmiliaRomagna, la quale nel 1982 istituì, in quello che resta il complesso più rilevante di tali fenomeni, il suo secondo (in ordine di tempo) parco naturale: quello delle Salse di Nirano. Ma veniamo alle nostre. Anzi, ai nostri. Quelli di Bergullo sono noti come i buldùr (bollitori) di Rio Sanguinario o del Monticino della Serra. Non si trovano in un parco bensì fra i campi e gli ultimi residui dei boschetti di fondovalle, non hanno un impatto così rilevante sul paesaggio e non possiedono una flora peculiare, tuttavia sono caratteristici e curiosi, se non altro per il loro buffo conetto e l'altrettanto buffo cratere sommitale dove gorgogliano le argille fluide che periodicamente, fra brontolii, rutti, e sommovimenti (visivamente ed acusticamente ben percettibili), danno luogo a vere e proprie eruzioni in miniatura. L'attività delle salse - per molti versi ancora da studiare - è infatti certamente disomogenea, alternando momenti di quiete ad altri di parossismo; la fantasia popolare si è impossessata anche di questo dettaglio raccontando di improbabili e catastrofiche alluvioni di fango, tuttavia una recente (e, questa sì, vera) manifestazione parossistica si è verificata nel gennaio 1985, al termine della ben nota e crudissima gelata, con le memorabili temperature sotto zero (fino a - 15 ed oltre) protrattesi per più giorni: i buldùr si scongelarono all'improvviso, con una sorta di «esplosione di fango» che imbrattò gli alberi tutt'attorno per una ventina di metri.
TINY VOLCANOES_ WITH NEITHER MAGMA NOR LAVA The buldùr or mud volcanoes of Serra, near Bergullo, between Imola and Riolo, are not really volcanoes at all: just vents of methane that cause eruptions of liquefied clay. There are no volcanoes in Romagna. And neither can there be: the geological makeup of the region – for the most part composed of sedimentary rocks (i.e. formed by an accumulation of sediment, generally in a marine environment - sandstone, marl, clay, gypsum) – contains no volcanic fabric. Yet there are some phenomena here which science describes with the (admittedly unlovely) term of "pseudovolcanic". Among these are mud springs, or salse. These are emissions of gas, principally methane, escaping from underground hydrocarbon pockets via fissures in clayey rock: the gas drives saline water to the surface with it, which dissolves the clay it passes through and brings it to the surface where it forms a fairly large cone and a ring of mud around it. These salse can be found along a belt of land which skirts the Apennine foothills from the province of Parma (Rivalta di Langhirano) to western Romagna (Bergullo, between Imola and Riolo Terme). Their interest is more than merely geological as they are also of botanical and scenic value, and in 1982, after a study commissioned by the authorities of Emilia-Romagna region, its second nature reserve was created, encompassing within its confines the region's largest concentration of salse: the natural park of Salse di Nirano. But to return nearer home… The mud springs of Bergullo are known in the dialect as buldùr ("boilers") and can be found in the fields and last remnants of the valley-floor woodlands of Rio Sanguinario and Monticino della Serra. They have no great impact on the landscape and have no particular flora associated with them, but they're a distinctive and curious sight nonetheless, not least for their odd-looking cones and equally odd craters bubbling with liquid clay which every now and again, in a commotion of rumbles and belches which are audibly as well as visually impressive, enter into veritable mini-eruptions. The activity of the salse – many aspects of which have yet to be studied – is nothing if not unpredictable. Moments of calm alternate with others of paroxysm, which the popular imagination has magnified into accounts of improbable and catastrophic deluges of mud – although in one such paroxysm in January 1985, after a particularly severe cold snap which saw temperatures drop as low as –15º for several days, the buldùr suddenly thawed out in a great explosion of mud which spattered the surrounding trees over a radius of some 20 metres.
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Gi u l i a n o B ettoli
“Borgo di Faenza” . . . o “Borgo de i Br iga nti”?
Il Borgo Durbecco di Faenza era, ed è, quell’agglomerato di case che, chiuso dentro le mura manfrediane del ‘400,
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si stende oltre il Lamone, verso Forlì.
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C’è molta logica in questa follia. William Shakespeare
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e bombe del 1944 ne hanno ben bene spianata una metà, e la successiva ricostruzione ne ha modificato, in parte, l’aspetto, ma lo spiritaccio dei bor-
ghigiani, seppur attenuato, si avverte ancora. Ho ricordato anche Faenza: per ragioni geografiche non se ne può fare a meno. Ma noi del Borgo, Faenza l’abbiamo sempre sentita come una realtà distinta, spesso nemica. Io stesso, che sono stagionato il mio po’, da ragazzo sono riuscito a respirarla ancora questa “antica” inimicizia. - A végh a Fénza (vado a Faenza) - diceva mio nonno, solo perché doveva attra-
versare il Ponte di Ferro sul Lamone per andare in piazza: andava all’estero! Del resto, noi, Cvì de Borgh, “quelli del Borgo”, da “quelli di Faenza” siamo sempre stati considerati una manica di mezzo-delinquenti, se non di delinquenti del tutto. Non avevano poi tutti i torti, dal loro punto di vista. Il fatto è che noi, borghigiani, eravamo una massa di proletari e di plebei e, quindi, ce l’avevamo a morte con i “signori” di Faenza, da sempre. Ma furono gli scombussolamenti politici e sociali dell’Ottocento che ci diedero l’occasione per passare dalla… teoria alla pratica. Dopo la disfatta di Napoleone, in quei movimentatissimi quarantacinque anni fra il ritorno dello Stato Pontificio e la proclamazione del Regno d’Italia, molti intellettuali e nobili della città sono stati conquistati dalle idee liberali. I poveracci del Borgo, invece, bastian contrari, diventarono “papalini” sfegatati e arrabbiati: “sanfedisti” venivano detti allora. Il contrasto tra Faenza e il Borgo non si esprime solo a parole: no, i borghigiani si esprimono con il coltello e l’archibugio. I morti ammazzati sono all’ordine del giorno. Il cardinal Rivarola, legato del Papa a Ravenna, in un estremo tentativo di pacificazione tra borghigiani e faentini, nel 1824 arriva persino a combinare dodici matrimoni tra giovani e ragazze di qua e di là dal Lamone, offre 50 scudi per
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ogni dote alle spose, organizza un’unica, grande cerimonia, un grandioso banchetto, ci sono i nobili a servire a tavola: finisce in una babilonia disastrosa e i matrimoni vanno subito per aria.
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Borgo Durbecco is the quarter of Faenza which, enclosed within the walls built by the Manfredi dynasty in the 15th century, lies on the other side of the river Lamone towards Forlì. The bombs of 1944 destroyed half of it, and the subsequent reconstruction has to some extent disfigured its appearance, but the spirit of the inhabitants of the Borgo, in somewhat attenuated form, survives still. I mentioned Faenza: it's difficult not to, for geographical reasons. But we of the Borgo have always seen Faenza as a distant, and often hostile, reality. I myself, well seasoned in years as I am, can remember as a boy how real that ancient enmity was. - A végh a Fénza ("I'm going to Faenza") – my grandfather used to say, when all he was really doing was crossing the Ponte di Ferro bridge over the Lamone to get to the market: it was a trip into foreign territory! As for the inhabitants of Faenza, they always considered us, the people of Borgo – cvì de Borgh in the dialect – as a gang of semi-delinquents, if not delinquents outright. And they weren't entirely wrong, from their point of view. The fact is that we inhabitants of the Borgo were a rabble of proletarians and plebeians and therefore congenitally at odds with the “signori” of Faenza. But not until the political and social turmoil of the 19th century did we have the chance to put theory into practice, so to speak. After the demise of Napoleon, in those eventful 45 years between the restoration of the Papal State and the proclamation of the Kingdom of Italy, many of the town's nobles and intellectuals were won over to the liberal cause. But the rabble of the Borgo, ever the contrary ones, became ardent and implacable papalists: “sanfedisti” as they were called in those days. The quarrel between Faenza and the Borgo found its expression in more than just words: for the Borgo expressed itself with daggers and guns. Murders became commonplace. In 1824, in a desperate attempt to pacify the opposing parties, cardinal Rivarola (papal legate to Ravenna) went so far as to arrange twelve marriages between young men and women from either side of the Lamone. He offered 50 scudi (the scudo was the currency used in those times) for every dowry and organized a single, grand ceremony with a great banquet in which the tables were waited by nobles: the event ended in bedlam and the marriages fell through. Exactly what stamp we bore is even recorded by Bacchelli in his famous novel The Mill on the Po, where he speaks of Virginio Alpi, a man from Borgo: one of the worst elements of the police in the entire Papal State. Alpi is described as a “hard-line sanfedista and papal functionary, an Austrian agent, a seditious fanatic, a common renegade, a bully by vocation with an acrid fury”. Further on we read: “Virginio Alpi nurtured a visceral hatred for the liberals, that of a sanfedista inhabitant of Borgo d’Urbecco in Faenza”. In his valuable Vocabolario romagnolo-italiano (Ravenna, 1994), Libero Ercolani even devotes a heading specially to us. The entry reads: “Borgh di Brighént: Borgo dei Briganti. The Borgo Durbecco, Faenza, extending from Porta delle Chiavi to the Lamone”. “Brigands” – so it was official: and I've heard it said myself, many times. A friend of mine used to relate how, while serving in the army some years ago in the south of Italy, a fellow soldier asked him where he came from. Faenza, my friend answered; to which the brusque reply came: “So you're a brigand from Borgo di Faenza!” Dumbfounded yet curious, he asked: “Why do you say that?” “I've always heard that at home,” came the answer. I once had further proof of our reputation throughout the entire Papal State from Ugo Piazza, himself from the Borgo, a poet equally fluent in standard Italian and dialect, a doctor and personal friend of Papa Montini who had always lived in Rome. Leafing through Giggi Zanazzo's Proverbi romaneschi ("Proverbs in the Roman dialect”) (Staderini Editore, Rome), Ugo came across this one: “Trasteverini der Borgo de Faenza”. The explanation: “Since in days gone by the Trasteverini had been ardent supporters of the Papacy, they were known by this derogatory term, which can be explained by the fact that in Faenza there existed a “Borgo” whose inhabitants were especially devoted to the Holy See. This Borgo di Faenza supplied the pope with the armed guard who, like all inhabitants of the Romagna region, cursed like veritable Turks.” You get the idea. To express the idea that the Trasteverini (the inhabitants of the district "across the Tiber") were scoundrels, the Romans labelled them as inhabitants of the district across the Lamone – the Borgo. Thus the scoundrelism of the Trastevere was multiplied by the scoundrelism of the Borgo, raised to a higher power, sublimated. Although it should be pointed out that we could curse better than anyone! All this leaves one question: but just how scoundrelish are we from Borgo Durbecco (of Faenza, unfortunately)?
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“BORGO DI FAENZA”_ ...OR “BORGO OF BRIGANDS”?
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Il capro espiatorio è diverso dalla martire, non può insegnare resistenza o rivolta. Adrienne Rich
Di che razza fossimo lo ricorda persino Bacchelli nel suo famoso romanzo “Il Mulino sul Po”, quando parla del borghigiano Virginio Alpi: uno dei peggiori elementi della Polizia di tutto lo Stato Pontificio. Lo definisce: “ Sanfedista «gregoriano» e poi funzionario pontificio e agente politico austriaco, fazioso arrabbiato, prevaricatore volgare, vocazione al sopruso con una furia acre…”. E, più avanti: “Virginio Alpi l’aveva dentro come una tarantola: l’odio suo, da borghigiano sanfedista d’Urbecco in Faenza, per i liberali…”. Libero Ercolani, nel suo preziosissimo “Vocabolario romagnolo-italiano” (Ravenna, 1994), a noi dedica addirittura una voce apposita. Scrive: “Borgh di Brighént: Borgo dei Briganti. E’ il Borgo Durbecco che si estende, a Faenza, fra Porta delle Chiavi e il Lamone”. “Briganti”, così ci chiamavano ufficialmente, sissignori: me lo sono sentito dire anch’io, e molte volte. Un mio amico mi raccontava che, quando anni fa andò sotto le armi nel Sud d’Italia, dichiarandosi faentino, in risposta alla domanda di un commilitone sulla sua provenienza, si sentì apostrofare: “Allora sei un brigante del Borgo di Faenza!”. Ci rimase di stucco e, incuriosito, domandò: “Perché dici così?”, “L’ho sempre sentito dire in casa mia” fu la risposta. Che la nostra fama fosse diffusa capillarmente in tutto lo Stato Pontificio, me lo confermò una volta Ugo Piazza, borghigiano, poeta in lingua e in dialetto, medico e amico personale di Papa Montini, vissuto sempre a Roma. Sfogliando un libro – “Proverbi romaneschi” di Giggi Zanazzo (Staderini editore, Roma) - Ugo, tra i tanti detti, inaspettatamente trovò questo: “Trasteverini der Borgo de Faenza” con la seguente spiegazione: “Per essere i Trasteverini stati, in altri tempi, gli sviscerati sostenitori e difensori del Papato, erano per disprezzo chiamati così, a motivo che a Faenza esisteva un “Borgo” i cui abitanti erano in ispecial modo attaccati alla Santa Sede. Questo cosiddetto Borgo di Faenza forniva al Papa i Gendarmi i quali, come tutti i Romagnoli, bestemmiavano da veri Turchi”. Capite? I Romani, per dire che i Trasteverini (quelli di là dal Tevere) erano delle gran carogne, gli davano l’aggiunta di Borghigiani (quelli di là dal Lamone): così il “carognismo” trasteverino, moltiplicato con quello borghigiano veniva addirittura elevato al quadrato, sublimato. Con il supplemento che noi eravamo anche superiori a tutti come bestemmiatori! Dico: ma quanto siamo mai stati carogne noi del Borgo Durbecco (di Faenza, purtroppo)?
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Augustin Codazzi noto a d ue mondi
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AUGUSTIN CODAZZI_ ILLUSTRIOUS IN OLD AND NEW WORLDS
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The events which took Domenico Battista Agostino Codazzi from the mists of Lugo to glory and acclaim in a country whose oldest divinity is the Sun god may seem paradoxical – but only to those with no familiarity with the anthropology of Romagna. Codazzi was born in 12 July 1793. His first schoolteacher was Pier Matteo Zappi, a blind man who induced him into the world of knowledge; his mentor, the "privateer" admiral Luigi Aury, under whose command Codazzi served until his death. Codazzi's adventures took him to Constantinople, the Black Sea, Bulgaria, Walachia and Moldova, Galicia, Russia, Poland and Prussia. He sailed across the Baltic to the Netherlands and from here set out for the Americas, in whose southern portion he was to find his second homeland. He played an active part in the revolution led by Simón Bolívar, was elected head of the joint chiefs of staff of the new republic of Venezuela and was commissioned with the task of carrying out a cartographic survey of the republic's territory. He also visited the tract of land which one day would become the Panama Canal, and in his travel notes correctly predicted the geographical co-ordinates of the future canal and the historical moment when the idea would become a reality. Venezuela's founding fathers essentially belonged to two distinct groups: one whose sole vocation was political intrigue and the exploitation of others, and the other (to which Codazzi clearly belonged) whose qualities can scarcely be confined to a single discipline. Augustin Codazzi (as he is known in South America) is frequently dismissed as a cartographer, but he was a man of many talents whose popular image as a diligent surveyor of topographical reliefs fails to do him justice. He was a military leader, governor, explorer, archaeologist, anthropologist, botanist, zoologist, ethnologist and (not least) a gifted writer who could not only inform but move his readers – as his memoirs show. These memoirs offer testimony to the integrity of a man who, having witnessed the betrayal of the ideals which had underpinned the Venezuelan revolution, did not hesitate to renounce the benefits he had accumulated in twenty years' honourable service to his adoptive country, exiling himself in New Granada, where he set himself the task of carrying out a comprehensive cartographic survey. It was a task which, unfortunately, he was unable to bring to completion, as he died, consumed by fever, on 7 February 1859 in the remote settlement of Espiritu Santo, which exchanged its own name for that of the courageous Romagnol. His remains were returned to Venezuela where they now lie entombed beside the grave of Simón Bolívar. In the long winter of lowland Romagna that frequently shrouds Lugo in a mist once likened to the colour of a glass of anis and water, it's curious to imagine the inhabitants of the city telling their grandchildren the true fairy-tale of their compatriot laid to rest in the Pantheon of that distant, sun-drenched country.
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M a n l i o Ra stoni
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Il caso che, dalle brume di Lugo, portò tal Domenico Battista Agostino Codazzi a conoscere gloria e riconoscenza in una terra che ha la sua più ancestrale divinità nel dio Sole può apparire paradossale solo a chi non ha familiarità con l’antropologia romagnola.
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l futuro eroe venne alla luce il 12 luglio 1793. Ebbe per primo maestro un cieco: Pier Matteo Zappi, cui dovette il suo ingresso nel mondo del sapere, e per mentore un corsaro, così era soprannominato l’ammiraglio Luigi Aury,
sotto il comando del quale Codazzi servì fino alla di lui morte. Nel suo peregrinare di avventuriero Codazzi vide Costantinopoli, il Mar Nero, la Bulgaria, Valachia e Moldavia, Galizia e Russia, Polonia e Prussia. Traversò il Baltico fino a sbarcare in Olanda e di qui raggiunse il continente Americano, nel Sud del quale doveva trovare la sua seconda patria. Partecipò attivamente alla rivoluzione capitanata da Simón Bolívar, fu eletto capo dello stato maggiore generale della nuova Repubblica del Venezuela e gli fu affidato il compito di redigere un’opera geografica e cartografica riguardante la medesima. Percorse anche il tratto che sarebbe un giorno divenuto il Canale di Panama e, nelle sue annotazioni, ne predisse con precisione le coordinate geografiche ed il momento storico che sarebbe stato propizio alla sua messa in opera. I Padri della Patria appartengono fondamentalmente a due specie: quella abile solo all’intrallazzo politico e allo sfruttamento degli altrui meriti, e quella (cui certamente appartenne Codazzi) le cui qualità si stenta a circoscrivere ad un solo filone. Augustin Codazzi (nome con il quale è noto nel Sudamerica), che venne spesso liquidato con la definizione di cartografo, fu un uomo dai molteplici talenti; lontano dall’immagine di diligente annotatore di rilevamenti topografici a cui questa definizione potrebbe far pensare. Fu capo militare, governatore, esploratore, archeologo e antropologo, botanico, zoologo, etnologo e (non ultimo) scrittore capace, oltre che di descrivere, di trasportare; come la stesura delle sue memorie dimostra. Sono i fatti a testimoniare la coerenza di un uomo che, visti traditi gli ideali che avevano sostenuto la rivoluzione, non esitò a rinunciare ai vantaggi accumulati in vent’anni di onorato servizio al Paese e si autoesiliò in Nuova Granada, assumendosi il compito di mapparla interamente. Compito che, suo malgrado, non poté portare a compimento, spegnendosi divorato dalle febbri il 7 febbraio 1859 sul suolo dello sperduto paesino di Espiritu Santo, che barattò il proprio nome con quello del coraggioso romagnolo. I suoi resti, riportati in Venezuela, furono tumulati a Caracas, di fianco alla tomba di Simón Bolívar. Nel lungo inverno della “bassa”, immerso in quel che a qualcuno è piaciuto definire il colore di un bicchiere d’acqua e anice, è curioso immaginare i lughesi raccontare ai propri fanciulli la favola vera del loro compaesano; che riposa nel Pantheon di quel lontano paese del sole.
S to ria
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Francesco Bacone
Sono cattivi esploratori quelli che pensano che non ci sia terra se vedono solo mare.
Se re n a Togn i
Cripte profane dell’Adriatico le a ntiche Conse r v e di Ce se na tico
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... un quartiere tutto di ghiacciaie in forma di grotte scavate in profondo, cinte all'esterno di muri bassi e rotondi e coperti di tegoli ... orrizontarsi in quella specie di "villaggio abbissino", come qualcuno lo vedeva, mettere i piedi ove non fosse fango, evitare i rivoletti d'acqua sudicia sgorganti da ognuno di quegli usci, non era agevole ... senza dire che la stessa natura del terreno doveva avere influito sull'immaginazione della gente da poco se un dislivello di due o tre metri faceva dare a quei luoghi assurdi il nome di "monti".
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Marino Moretti, L’Andreana
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I S e n s i d i R o m ag na
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PROFANE CRYPTS OF THE ADRIATIC_ THE CONSERVE OF CESENATICO ... a whole quarter made of ice-houses in the form of caves excavated from the ground, enclosed externally by low, round walls and roofed with tiles ... to find one's bearings in what was a kind of "Abyssinian village", as someone called it, to side-step the mud or avoid the rivulets of foul water spouting from every aperture, was no easy task … not to mention that the nature of the terrain itself must have had quite an influence on people of limited intellect if an elevation of two or three metres was enough to earn these absurd places the names of "mountains" Marino Moretti, L’Andreana
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riginale e singolare museo etnografico all’aperto quello ospitato nella pittoresca piazza delle Conserve di Cesenatico, ancora oggi uno degli angoli più
suggestivi della città, mirabilmente evocato anche dalla poetica penna di Marino Moretti. In questo spazio, punto nevralgico per i cittadini che qui si raccolgono in occasione del mercato e di eventi culturali, sono stati recuperati, dopo un accurato restauro, alcuni esemplari delle antiche vasche a forma ovoidale un tempo utilizzate per conservare le derrate alimentari, molto diffuse a partire dal XVI secolo nella zona costiera romagnola e nei territori limitrofi. A Cesenatico, fervido porto peschereccio dell’Adriatico, tali strutture erano finalizzate principalmente al mantenimento dei prodotti ittici, tanto che gli antichi documenti le indicavano come "conserve del pesce", e continuarono a svolgere la loro funzione fino al 1930, quando venne attivata la prima fabbrica per la produzione del ghiaccio artificiale. Nella seconda metà dell'Ottocento erano circa venti, tutte concentrate nella zona a levante del canale, ancora oggi chiamata “Del Monte”, a causa della sopraelevazione rispetto al terreno circostante conferita da questi “trulli”. Le conserve erano formate da un tronco conico rovesciato, profondo mediamente sei metri, con un’imboccatura di circa otto metri di diametro, racchiusi da bassi e robusti muri perimetrali in muratura e sormontati da coperture in laterizio e tetti in legno, ricoperti ulteriormente da sabbia, paglia o terra per garantire l’isolamento termico. La refrigerazione, un sistema di conservazione più evoluto rispetto alla salatura, si otteneva riempiendo i pozzi fino all’orlo con strati alternati di pesce e di ghiaccio o neve compressa, raccolta durante l’inverno nei fossi, nei maceri o nelle colline dell'entroterra. Questo sistema consentiva di mantenere all'interno della cella una temperatura vicino allo zero costante per quasi tutto l'anno e di conservare, così, il bene più prezioso per una città di pescatori, accuratamente custodito come reliquia laica, destinata non a guadagnare il posto per l’anima in paradiso, ma a procurare il sostentamento per il corpo in terra. Queste antiche cripte, significativa testimonianza della cultura marinara di que-
The piazza delle Conserve was famously celebrated by local poet Marino Moretti and even today it's one of the most picturesque corners of the town of Cesenatico. It's also home to a unique ethnographical feature. On the piazza, the town's market place, nerve centre and venue for cultural events, some of the oval tanks formerly used for conserving foodstuffs, frequently found along the Romagna coast and beyond from the 16th century onwards, have been lovingly restored to working order. In the busy Adriatic fishing port of Cesenatico, these tanks were principally used for preserving seafood – and in fact they are referred to in historical documents as "conserve del pesce". They remained in use right up until 1930, when the town's first artificial ice production plant opened. By the second half of the nineteenth century there were some twenty conserve, all of which were to be found in the zone to the east of the canal, an area even today known as “Del Monte” in reference to the elevation conferred upon the zone by their conical roofs. The conserve take the form of inverted truncated cones six metres deep, with apertures of some eight metres in diameter. They are enclosed by low, stout masonry walls and surmounted by roofs of timber and brick which were then covered with sand, straw or earth to ensure heat insulation. Refrigeration, which is a more advanced method of conservation than salt-curing, was obtained by filling the tanks to the brim with alternate layers of fish and ice or packed snow gathered during winter from the hills and crevices of the hinterland. This system made it possible to keep temperatures inside the tanks at a constant zero for nearly the whole of the year, and in this way to conserve the most valuable assets of a fishing town – its catch, preserved religiously as “lay” relics, its purpose not to earn the soul a place in heaven but to ensure sustenance for the body on earth. These old crypts, which so eloquently testify to the seagoing way of life of the people of Cesenatico, are now unique among the ethnographic artefacts of Italy – and yet their original function remains largely ignored, as many people still believe they were used for making another type of conserve – jam!
sta gente, rappresentano oggi una realtà unica nell’ambito della cultura etnografica italiana, purtroppo insipientemente misconosciuta, tanto che c’è ancora chi ritiene quel foro il luogo in cui si facevano le confetture. S to ria
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M a n l i o Rastoni
Cinema degli albori
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l a R omagna di fronte agli “sple ndidi qua dr i animati”
Che il cinema debba esser considerato forma d’arte o d’intrattenimento, è un interrogativo basato su assunti che nel fragile lasso di passaggio tra l’800 e il ‘900 erano tutt’altro che scontati. Nel momento in cui un attore ha finalmente imparato come recitare qualsiasi parte, è spesso troppo vecchio per recitarne se non alcune.
W.S. Maugham
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I S e n s i d i R o m ag na
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iuttosto, lo stato d’animo diffuso nel buio che precedeva le prime proiezioni doveva essere simile a quello di colui che si appresta ad assistere ai sorprendenti effetti di un notevole esperimento
scientifico, o meglio di una notevole invenzione, come usava esser definito il cinematografo nei documenti dell’epoca. La prima occasione per i romagnoli di sperimentare questa stravagante tecnologia si presenta nella Ravenna del tardo agosto 1896, ad un anno di distanza dal battesimo parigino tenuto dai celebrati fratelli Lumière nel seminterrato del Le Grand Café. Nonostante la qualità infima delle immagini in movimento contribuisse a porre questo tipo di spettacolo al livello dei fenomeni da baraccone, ai quali era peraltro frequentemente abbinato (ad esempio nel caso della donna mosca o del leone marino parlante), la reazione del pubblico, dopo un transitorio momento di discredito, non si fece attendere.
THE DAWN OF CINEMA_ ROMAGNA IN THE ERA OF “THE SPLENDID MOVING PICTURES”
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Whether cinema is entertainment or an art form is a debate founded on questions which, in the brief transition between the 19th and 20th centuries, were anything but irrelevant. In fact, the mood which prevailed in the gloom preceding the earliest cinematic projections must have been similar to that experienced by someone about to witness a remarkable scientific experiment, or rather a remarkable contrivance, as the cinematograph was often described in historical accounts. The first opportunity for Romagna to see this fantastic new technology came in late August 1896 in Ravenna, one year after the famous Lumière brothers had unveiled cinema to the world in the basement of Le Grand Café in Paris. The poor quality of the earliest moving pictures was doubtless a contributing factor in their classification as a side-show event, and the cinematograph was often bracketed alongside attractions such as the Fly Woman or the Talking Sealion, but the reaction of the public, after a faltering moment of disbelief, was not late in coming. One indication of how this new medium of communication captured people's imagination was the way the phenomenon spread. Instead of extending along the Via Emilia as almost every novelty did in those days, it spread in a massive and spontaneous manner through towns and villages, presented by overnight entrepreneurs lured by the easy earnings which popular enthusiasm for the phenomenon promised. These early shows were staged in makeshift pavilions or toured from place to place as moving side-shows, tricked out as gaudily as possible to attract the maximum interest. It was the pioneering epoch of the cinema, or more accurately of the cinematograph, a decade which marked the age of heroes of what was to become the cinematic entertainment industry. Films were shown by rudimentary projectors rigged up in makeshift pavilions, which not infrequently caught fire. Less common but worthy of a mention were the travelling cinematograph shows: each one a tour de force of kitsch with coloured lights, arabesques and gilded decoration, often equipped with a barrel organ, also decorated to excess, which provided a sound accompaniment to the film. It was in these surroundings that the people of Romagna viewed the earliest films in circulation, such as Innaffiatore e innaffiato, which in the Romagna was more prosaically titled The Gardener, or Boulevards of Paris, or the immortal Arrival of the Train. But cinema's path was not always a level one. As late as 1907 the news spread in Italy of a study by the faculty of medicine of the university of Berlin which warned that exposure to the cinematograph was a health hazard. And yet cinema was soon to take over theatres; and later won for itself, in the material as well as the abstract sense, a place all of its own.
Uno dei segnali di come questo nuovo mezzo comunicativo colpì l’immaginario delle genti d’allora è fornito dal modo in cui si sparse il fenomeno. Invece di propagarsi diramandosi dall’asse della Via Emilia come capitava al tempo per quasi tutte le novità, si sparse in maniera massiccia e disordinata attraverso borghi e paesini, presentato da improvvisati imprenditori solleticati dai facili guadagni che l’entusiasmo popolare lasciava sperare. Parliamo di spettacoli ancora allestiti in padiglioni temporanei o portati in giro da baracconi itineranti, ornati nei modi più appariscenti allo scopo di attirare maggiormente il pubblico. È la stagione pionieristica del cinema, o meglio del cinematografo, un decennio che sancisce l’epoca più sognante di ciò che sarà l’industria dell’intrattenimento cinematografico. Le pellicole vengono girate su primitivi proiettori alloggiati alla meglio in improvvisati padiglioni, non di rado animati da innocui incendi. Più rari ma degni di menzione i baracconi ambulanti: trionfi kitsh di luci colorate decorazioni astratte, arabeschi e indorature, di solito forniti (come controparte sonora ai film) di organo musicale, anch’esso decorato all’eccesso. In queste cornici, i romagnoli facevano la conoscenza con le prime pellicole circolanti quali: Innaffiatore e innaffiato, in Romagna intitolato più prosaicamente: Il giardiniere, o Boulevard di Parigi, fino all’intramontabile Arrivo del treno. Non sempre il cinema avrebbe trovato la strada spianata, addirittura nel 1907 in Italia fu diffuso uno studio della facoltà di medicina di Berlino, che bollava l’esposizione al cinematografo come pratica dannosa per la salute. E ciò nondimeno, a breve, avrebbe mosso l’assalto ai teatri; per poi conquistare, sul piano materiale come su quello astratto, un posto tutto per sé.
Pa ssio n i
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Val e r i a Ba r be r i n i
Il pallone... prima del calcio gioco de l pallone col bracciale in Romag n a
Quando si parla di “pallone” in Italia si pensa immediatamente al football, ma non bisogna dimenticare che i primi e più diffusi giochi “sferistici” si praticavano con le mani.
I
l gioco del bracciale consiste nel battere con un attrezzo di legno irto di punte una sfera di cuoio, quindi scagliarla con precisione e forza da una parte all’altra di un rettangolo da gioco. Quest’arte nacque in epoca rinascimentale presso le corti toscane, come rievo-
cazione di un’attività ludica di origine greco-romana. A quel tempo veniva praticato soprattutto all’interno dei palazzi nobiliari dai signori, dagli aristocratici e da alcuni ecclesiastici. Le cronache, a tal proposito, raccontano che a Ravenna il cardinal Caetani fu uno dei più appassionati giocatori e nel 1608 fu colpito al naso proprio mentre si esercitava al gioco del pallone. Fu a partire dal ‘700 che l’arte sferistica conobbe una grande diffusione negli ambienti borghesi e fra i popolani; con il trascorrere del tempo il gioco dilagò nelle strade e nelle piazze, con conseguente aumento dei problemi d’ordine pubblico. Risse e danni agli edifici divennero sempre più frequenti, così all’inizio dell’800 si rese necessaria la creazione di appositi luoghi ludici: gli sferisteri, che sancirono definitivamente l’ufficializzazione dell’arte del pallone all’interno dello spazio urbano e sociale, riducendo i diffusi conflitti nelle piazze. Tale situazione si riscontrò anche in Romagna, dove la passione per il gioco sferistico era profondamente radicata. Quando infatti, alla
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A DIFFERENT BALL GAME... BEFORE SOCCER_ THE GAME OF “PALLONE COL BRACCIALE” IN ROMAGNA Mention the word “pallone” (ball) to anyone in Italy and they'll immediately think of soccer. But the earliest and most popular ball game was played not with the foot but with the hand. “Pallone col bracciale” is a game in which a leather ball is struck using a wooden guard worn over the hand, the idea being to drive the ball with force and precision from one end of a game court to the other. It first appeared in the courts of Renaissance Tuscany in a re-evocation of a game of Greco-Roman origins. Initially it was confined to the palazzi of sovereigns and aristocrats, as well as a few high-ranking ecclesiastics – historical accounts relate how in Ravenna in 1608, cardinal Caetani, one of the game's most passionate players, received a nose injury during a game of pallone. Not until the 18th century did pallone extend to the town-dwelling and popular strata of society, and before long the game had spread to the streets and squares with a consequent increase in problems of public order. Brawls and damages to buildings became ever more frequent, until in the early 19th century arenas specially designed for the game were built: these arenas, or sferisteri, marked the official acceptance of pallone in the social and urban fabric and helped reduce fighting in the squares. Romagna, where the passion for the game of pallone was deeply rooted, was no exception to these developments. By the late 18th century, when as one of the Papal States the region was ravaged by a growing economic crisis, the government decided to intervene by assigning to a group of wealthy citizens the task of building pallone courts in numerous towns of the state. Some of these courts were new structures, others were built within the town walls. Faenza's court was built in 1777, Cesena's in 1809, Rimini's in 1816 and Forlì's in 1824. In this way the authorities elevated “pallone col bracciale” to the status of a public spectacle, with its own rules, regulations and pitches. These sferisteri were therefore forerunners of today's stadiums, complete with the attendant phenomena: game schedules, wagers, and fan rivalry. In Santarcangelo di Romagna, a major market centre around which many spectacles and events grew up, pallone was the focus of attentions – and it was here that a set of regulations for the correct conduct of players and spectators was first drawn up. After becoming a professional pursuit in the 19th century, pallone then went into steep decline. The new ruling classes encouraged other forms of sport such as fencing, mountaineering, archery and gymnastics as propitious to the physical and intellectual wellbeing of the people. At the same time football, a sport born in Victorian England, made its first appearance, and while the passion for ballgames remained it was no longer with the hands but the feet that they were played.
Già è uno spettacolo per sé lo sferisterio. E’ l’unico recinto moderno da gioco che arieggi la maestà dei circhi antichi. Edmondo De Amicis
fine del XVIII secolo sotto il dominio dello Stato Pontificio, il paese era piegato dalla crescente crisi economica, il governo decise di intervenire affidando a gruppi di cittadini facoltosi la realizzazione di sferisteri in molte città dello stato; in alcuni casi si trattava di strutture nuove, in altri di campi costruiti a ridosso delle mura. A Faenza lo sferisterio fu costruito nel 1777, a Cesena nel 1809, a Rimini nel 1816 e a Forlì nel 1824. I pubblici poteri, in questo modo, elevarono al rango di spettacolo pubblico il pallone col bracciale; conferendogli regole, norme e spazi. Gli sferisteri anticiparono così gli stadi con tutte le loro manifestazioni: i calendari delle partite, le scommesse e il tifo. A Santarcangelo di Romagna, centro di un’intensa attività fieristica attorno alla quale si sviluppavano molte iniziative spettacolari, il gioco del pallone era al centro dell’attenzione, fu dunque, proprio qui, stilato un regolamento per il corretto comportamento dei giocatori e del pubblico. Trascorso l’800, periodo in cui si afferma anche il professionismo, il gioco del bracciale subisce un profondo declino. La nuova classe dirigente promuove altre forme di educazione popolare come la scherma, l’alpinismo, il tiro a segno e la ginnastica; a giovamento del miglioramento fisico ed intellettuale del popolo. Contemporaneamente si inserisce nello scenario anche il football, pratica sportiva nata
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nell’Inghilterra vittoriana, che accende la passione per il gioco della palla non più battuta con le mani, ma calciata con i piedi.
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C ar l o Z a u l i
i l retaggi o di u na famiglia tra sfe r ito a l suo v ino
THE WINEMAKER’S PEDIGREE_ A FAMILY HERITAGE DEVOTED TO WINE The estate of Drei Donà lies on the hillsides of Romagna between the towns of Forlì, Castrocaro and Predappio, in a strategic position at the confluence of the Rabbi and Montone valleys, near one of the watch towers that Caterina Sforza in 1481 erected in defence of her territory. The estate has belonged to the counts of Drei Donà since the beginning of the last century, and it has always been devoted to the cultivation of the Sangiovese grape. The advent of the current proprietor Claudio Drei Donà, who gave up a legal career to dedicate himself full-time to his estate with the assistance of his son Enrico, marked a turning point in the fortunes of 30-hectare estate. Of the 27 hectares planted with vines, most, naturally enough, is dedicated to the Sangiovese di Romagna grape, which has been carefully improved by a process of selective replanting. To supplement the excellent work of the family they recruited as advisor Franco Bernabei, one of the most highly-esteemed of Italian wine-makers.
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PRUNO – Grape variety: 100% Sangiovese Fermentation takes place in stainless steel vats for a period of between 12 and 18 days. The wine selected as "Pruno" is wholly refined in Allier and Tronçais casks for a period which, depending on the vintage, lasts between 15 and 18 months. After bottling it is matured for a further 8-10 months. A demanding wine with great character, it goes well with hearty traditional dishes and is especially suited to game and full-flavoured main courses. It can be aged in the bottle for 15-20 years or more.
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MAGNIFICAT – Grape variety: 100% Cabernet Sauvignon Fermentation takes place in stainless steel vats for a period of between 14 and 20 days. "Magnificat" is wholly refined in Allier and Tronçais casks for a period which, depending on the vintage, lasts between 18 and 20 months. After bottling it is matured for a further 8-10 months. A wine with a dark impenetrable colour, it is extremely complex on the palate with deep, intense flavours that make it an ideal accompaniment to full-bodied cheeses, goose and in general all rich main courses. It can be aged in the bottle for over 20 years. TORNESE – Grape variety: 100% Chardonnay After 12-18 hours of cold maceration together with the skins, the grapes are fermented in casks of Allier, Tronçais and Nevers wood for a period of between 30 and 40 days. After fermentation the wine remains in the casks to sediment for some 4 or 5 months; after decanting it is returned to the wood casks where it matures for a further 4-5 months. It is then bottle-aged for a good 18 months. A wine of great elegance and remarkable structure, when young it combines beautifully with the traditional fried-fish fritto dell'Adriatico. When older it is excellent with grilled John Dory or a classic salt-grilled sea bass, or with terrine of hare and chicken. It can be aged in the bottle for at least 8-9 years.
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Quarti di nobiltà enologica
Alla salute, vecchia amica, possa tu vivere mille anni e io essere là a contarli! R.S. Surtees
La tenuta Drei Donà sorge sulle antiche colline romagnole tra le città di Forlì, Castrocaro e Predappio in strategica posizione allo sbocco delle valli dei fiumi Rabbi e Montone, attorno ad una delle torri di guardia che Caterina Sforza nel 1481 pose a difesa dei suoi territori.
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a tenuta appartiene ai conti Drei Donà dagli inizi del secolo, e da sempre è dedita alla produzione di uve Sangiovese. Con l'avvento dell'attuale proprietario Claudio Drei
Donà, che ha abbandonato l'attività forense per dedicarsi a tempo pieno all'azienda, e poi anche di suo figlio Enrico, inizia una radicale opera di cambiamenti che imprimono una svolta decisiva ai circa 30 ettari della proprietà. Dei 27 ettari vitati, la maggior parte è naturalmente dedicata al Sangiovese di Romagna, i cui vecchi impianti sono stati oggetto di un particolare studio e selezione che ha portato poi al loro restauro attraverso il reimpianto della selezione massale di Palazza, a rafforzare l’ottimo lavoro della famiglia viene chiamato come consulente Franco Bernabei: uno dei più quotati wine-makers italiani. PRUNO - Uvaggio: 100% Sangiovese 12 ed i 18 giorni. La selezione "Pruno" viene interamente affinata in barrique di Allier e
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Tronçais per un periodo, variabile a seconda delle annate, di circa 15-18 mesi. Dopo l'imbottigliamento è affinato per altri 8-10 mesi. Si tratta di un vino impegnativo e di gran
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La fermentazione viene effettuata in vasche di acciaio inox per un periodo compreso tra i
carattere che apprezza gli accostamenti con i grandi piatti della tradizione e trova il suo migliore abbinamento con la cacciagione ed i secondi piatti saporiti. Può invecchiare in bottiglia per 15-20 anni ed oltre. MAGNIFICAT - Uvaggio: 100% Cabernet Sauvignon La fermentazione viene effettuata in vasche di acciaio inox per un periodo compreso tra i rique di Allier e Tronçais per un periodo, variabile a seconda delle annate, di circa 18-20 mesi. Dopo l'imbottigliamento è affinato per altri 8-10 mesi. Vino dal colore impenetrabile, sviluppa profumi di grande complessità e sapori profondi ed intensi, che ne fanno un
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14 ed i 20 giorni. Il Cabernet Sauvignon "Magnificat" viene interamente affinato in bar-
compagno ideale di formaggi importanti, secondi a base di oca ed in generale secondi di una certa ricchezza. Può invecchiare in bottiglia per oltre 20 anni. TORNESE - Uvaggio: 100% Chardonnay effettuata in carati di legno di Alliers, Tronçais e Nevers per un periodo variabile di circa 30-40 giorni. Dopo la fermentazione rimane nei carati sulle fecce nobili per un periodo di
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Dopo 12-18 ore di macerazione a freddo, a contatto con le bucce, la fermentazione viene
4-5 mesi; dopo il travaso ritorna ad affinare nei legni per ulteriori 4-5 mesi. Viene poi affinato per ben 18 mesi in bottiglia. Vino di grande eleganza e notevole struttura, in giovane età, si sposa deliziosamente col tipico gran fritto dell'Adriatico. In fase adulta è ottimo con un S. Pietro alla griglia o un classico branzino al sale, fino a maritarsi ottimamente con terrine di coniglio e pollo. Può invecchiare in bottiglia per 8-9 anni ed oltre.
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Il culto dei passatelli foto d’archivio
s aporosi ne lla loro romagnola se mplicità
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I Sensi di Romagna
PASSATELLI - HERESY AND ORTHODOXY_ SIMPLE, TASTY AND UNIQUE TO ROMAGNA It's a crime to deprive a true Romagnol of passatelli. The cuisine of Romagna can be distinguished from that of Emilia by its stronger flavours more approximate to central Italy. It excels in minestre, which in Romagna designates any first course dish, whether pasta served in soup or "dry". The legendary sheet pasta is the basic ingredient of these minestre, best made with the rolling pin of an arzdora (housewife) to produce cappelletti, strozzapreti, tortelli, tagliatelle and tagliolini served in succulent traditional sauces. But it's in its soups that Romagna clearly surpasses Emilia. And among these the place of honour goes to passatelli, in dialect pasadén, Romagna's oldest and only truly unique dish. It's also something of an anomaly, as it requires no flour. Passatelli are made by mixing breadcrumbs, eggs, grated Parmesan, nutmeg and lemon peel into an even paste and then forcing the paste through a special iron consisting of a circular perforated sheet operated by two wooden handles. It's this iron, once present in every kitchen in Romagna but now forsaken by heretics in favour of the humble potato masher, which gives the passatelli their distinctive shape reminiscent of fat noodles, which according to tradition should then be cooked in meat stock.
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Criminoso delitto privare dei passatelli la mensa di un romagnolo verace. a nostra gastronomia, che si distingue da quella emiliana per sapori più forti e vicini alla cucina del centro Italia, eccelle nelle minestre, termine col quale in Romagna si indicano tutti i primi piatti sia
asciutti che in brodo. La loro base è la leggendaria sfoglia, rigorosamente tirata a mano con il mattarello dall’arzdora, da cui nascono cappelletti, strozzapreti, tortelli, tagliatelle e tagliolini, avvolti dai succulenti sughi della tradizione. Ma è nelle minestre in brodo che la Romagna sopravanza nettamente l’Emilia. Tra esse il posto d’onore spetta proprio ai passatelli, in dialetto i pasadén, la ricetta più antica e l’unica veramente originale di questa terra, anche se assai anomala, in quanto non richiede l'uso della farina. Dopo aver amalgamato in maniera omogenea pangrattato, uova, parmigiano grattugiato, noce moscata e scorza di limone, i passatelli si estrudono facendo passare l’impasto attraverso l'apposito ferro, costituito da una lamiera circolare forata e dotata di due manici di legno. Proprio questo attrezzo, presente un tempo in tutte le dispense di Romagna e oggi sostituito dai profani con il volgare schiacciapatate, conferisce ai passatelli la caratteristica forma di grossi vermicelli, che la tradizione impone di cuocere nel brodo di carne. Minestra in brodo per eccellenza, dunque, ma non certo una “pappa” destinata a bambini, anziani e inappetenti. Tutt’altro, i passatelli nascono come piatto delle feste, rappresentando per la mensa quotidiana dei contadini una portata troppo costosa: preziosissime le uova, proibitivo il formaggio. Per lungo tempo compaiono sulle tavole povere solo per ricorrenze eccezionali, rimanendo prerogativa delle famiglie facoltose fino al secondo dopoguerra, quando si trasformano nel piatto romagnolo per antonomasia. Fondamentale per la buona riuscita della sostanziosa minestra la compattezza: assolutamente inammissibili i passatelli spappolati o flaccidi. Vergognose, per i veri cultori del passatello, anche le versioni alternative proposte oggi da eretici ristoranti, prima fra tutte la variante asciutta, che rinnega l’antica consuetudine. A sancire l’esatta ricetta è il geniale ed ironico Pellegrino Artusi, che la propone alla fine dell’Ottocento in due differenti versioni, entrambe in brodo. Proprio il celebre letterato di Forlimpopoli, cuoco per diletto, spiega che “si chiamano passatelli perché prendono la forma loro speciale passando a forza dai buchi di un ferro fatto appositamente” e, grazie al successo del suo originale “ricettario” (vedi ee N°1), riesce a far varcare all’autoctono piatto i confini della Romagna.
Ciascuno deve stare nella religione in cui è nato. Napoleone Bonaparte
A minestra in brodo par excellence, therefore, but certainly not a mere pap for children, the elderly and those with ailing appetites. On the contrary, passatelli were originally a festive dish, as they were far too expensive for the daily diet of peasant farmers to whom eggs were precious and Parmesan a luxury. For a long time passatelli were served on the tables of the poor only on special occasions. They remained the preserve of wealthier families until the end of the Second World War, when they became the hallmark Romagnol dish. The right consistency is fundamental for good passatelli: a paste that's over-mushy or limp is unforgivable. Equally shameful for the true appreciator of passatelli are the alternative versions offered in many restaurants nowadays, the leading offender being the "dry" variant which renounces the customary stock. The genuine recipe was prescribed by the genial and ironic 19th-century writer and gastronome Pellegrino Artusi, who gave two different versions, both cooked in stock. A native of Forlimpopoli and an enthusiastic cook, Artusi explained that passatelli are so called “because they owe their special shape to being forced ("passando a forza") through the holes of a specially-made iron”. Thanks to the success of Artusi's original recipe book (see ee issue no. 1), this typically Romagnol dish became known far outwith the confines of Romagna.
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V i ol a E m a l di
Domenico Rambelli c ar ica tura a lle radici de ll’ e spre ssionismo
Da quando, sullo scorcio del XIX secolo, l’artista accolse la deformazione e l’astrazione dal reale come uniche possibilità d’espressione, la storia della caricatura è venuta spesso a coincidere con la storia foto d’archivio
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dell’arte tout court.
L’
esercizio di questa spiritosa forma d’arte, allora molto vivo anche in Italia, contava tra i suoi interpreti il faentino Domenico Rambelli.
Nato nel febbraio del 1886 a Pieve del Ponte, quest’uomo dalle “romagnolissime spalle”, come in futuro lo avrebbero definito Marinetti e gli altri futuristi, è colui che, sebbene gran fama non preceda ancora il suo nome, ha retto le fortune dell’espressionismo italiano assieme ad Arturo Martini e Lorenzo Viani. Rambelli è figlio dell’attivissimo ambiente artistico faentino, dove, sin dai primi del ‘900 (è del 1908 l’Esposizione Torricelliana che vide partecipi figure della statura di Rodin, Meunier, Fattori, Previati, Viani, Chini e colleghi), maestranze eccellenti coltivano il gusto dell’ormai consolidato stile Liberty. A Faenza fa parte del “cenacolo” di Domenico Baccarini – gruppo di giovani artisti orientato verso una grafica simbolista – molto influente sull’artigianato locale. Da un orientamento di questo tipo, Rambelli e compagni si avviarono, così, a tracciare la tendenza per l’epoca successiva: l’espressionismo; stile cui l’artista aderirà con un segno deciso ed un’interpretazione, diremmo oggi, “allucinata” delle figure.
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I Sensi di Romagna
DOMENICO RAMBELLI_ A CARICATURE AT THE ROOTS OF EXPRESSIONISM Ever since the end of the 19th century, when artists saw the deformation and abstraction of reality as the only avenues of expression open to them, caricature and "serious" art have often overlapped. One of the exponents of this irreverent art form at a time when it was alive and well in Italy was Faenza's Domenico Rambelli. Born in Pieve del Ponte in February 1886, this "broad-backed Romagnol", as Marinetti and the other futurists were to refer to him, was an artist who, though he never attained great renown, was a formative influence on the development of Italian expressionism together with Arturo Martini and Lorenzo Viani. Rambelli was a product of a happening art scene in Faenza where, since the early years of the century (the 1908 Esposizione Torricelliana had exhibits by artists of the stature of Rodin, Meunier, Fattori, Previati, Viani, Chini and others), some excellent artists worked in the (by then well established) art nouveau style. In Faenza Rambelli was a member of the coterie of Domenico Baccarini – a group of young artists with symbolist leanings – whose influence on local crafts was considerable. It was this orientation which led Rambelli and companions to open the way to the next period: expressionism. It was a style to which our artist adhered with commitment and a figurative interpretation which today we might describe as “feverish”. In parallel with his work as an artist and sculptor, in the next decade Rambelli began caricature work which was gradually to become more and more frequent until becoming his prevalent idiom, permeating all his work right down to the roots of his distinctive deformed expressionism. At this point Rambelli declared that he took his ideas from the observation not of psychic but of visible reality; though the latter underwent some spectacular modifications. With an idiom as simple as it was effective, he brought out the timeless, traditional traits of his subjects, filtered through a lucid interpretation of reality structured via carefully descriptive citations. Rambelli's world is a tranquil one, whether his caricatures are dramatic or humorous, because he always touches on the heart of his subject. Rambelli's artistic quest was one which always kept alive his ties with his native land and customs; they were ties which underpinned his work and which he never renounced. And in his deformed figures he found the way of renewing these ties both for himself and for others. It was this awareness that allowed him to bring to the surface what lies deepest in our collective subconscious, to show only the genetic component of what flows in our veins and therefore to show us as we are – in our faces and figures – with just a few calculated and captivating strokes of a pencil.
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Meta suprema dell'arte è di cogliere l'essenza dell'apparenza. Alessandro Morandotti
Parallelamente all’opera di disegnatore e scultore, Rambelli dà inizio, negli anni ‘10, ad interventi di tipo caricaturale col tempo via via più frequenti. Esercizio, questo, che prenderà, poi, il sopravvento, permeando tutta la sua opera sino alle radici del suo marcato espressionismo deformatore. Rambelli dichiara, qui, di prendere spunto non dall’osservazione del reale psichico, bensì del reale visibile; pur acquistando, quest’ultimo, vistose modificazioni. Con un linguaggio d’estrema semplicità ed efficacia, egli mette in risalto le caratteristiche tradizionali – senza tempo – dei suoi personaggi, filtrate da una lucida presa del vero fatta di mirate citazioni descrittive. Così, l’universo rambelliano si legge sereno, sia nella caricatura drammatica sia in quella divertita, grazie al suo toccare sempre il nocciolo della questione. E’ una ricerca, quella di Rambelli, che mantiene sempre vivo il legame con la terra e la cultura natie; relazione, questa, fondante la sua opera e alla quale mai rinunciò. E, anzi, fu proprio nella pratica della deformazione che egli ebbe l’intuizione di trovare il mezzo giusto (o giusto mezzo?) per rinnovare tale rapporto sia per sé che per il mondo. Con questa coscienza, egli si premurò sempre di far giungere a galla dal profondo quanto è patrimonio collettivo, rappresentare solo ciò che geneticamente vi scorre nelle vene e, quindi, tratteggiarlo così com’è – nei visi e nelle figure – con pochi, calcati e accattivanti tratti di matita.
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I l a r i a Pi a z z a
La storia di un dipinto
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il “Ba tte simo” di A na cle to Ma rgotti ad A lfo n sin e
STORY OF A PAINTING_ THE BAPTISM BY ANACLETO MARGOTTI IN ALFONSINE A Christ with the face of the famous Italian aviator Francesco Baracca at the centre of a succession of events in which art and history intermingle. In 1974, a painting of the baptism of Christ was hung in the church of Santa Maria delle Grazie in Alfonsine. The artist, Anacleto Margotti, had sixty years previously painted a fresco on the same subject on the walls of the same church, after the destruction of the original picture, from the studio of 17th-century artist Guido Reni. The painting went up in flames along with the other treasures of the church during the "red week" of 1914, a revolt which had some of its most violent manifestations in the Marche and the Romagna. Once this brief wave of insurrection had passed, archbishop Tellarini of Alfonsine began to repair the damage and commissioned Margotti, then aged 15, to repaint the Baptism on the wall of the church. It was on this occasion that the painter first gave the face of Christ the features of his friend and future Italian flying ace Francesco Baracca (see ee edition no. 3), for whose family the father of the young artist worked and in whose house he had made one of his earliest artistic endeavours. The painting defied history for thirty years, until in 1944 destiny finally caught up with it. During the Second World War the town of Alfonsine was occupied by
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Un Cristo dipinto con il volto di Francesco Baracca fu al centro di una vicenda in cui l’arte e la storia si legarono profondamente.
N
el 1974, nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie ad Alfonsine fu collocata una tela raffigurante il “Battesimo di Cristo” realizzata da Anacleto Margotti, che sessant’anni prima aveva affrescato lo stesso soggetto sulle pareti della stessa chiesa, in seguito alla
distruzione del dipinto originale, un’opera risalente alla scuola seicentesca di Guido Reni. L’antica tela, infatti, venne incendiata insieme agli altri paramenti della chiesa durante la “settimana rossa”, un movimento di rivolta scoppiato nel 1914, che ebbe nelle Marche e nella Romagna gli esiti più violenti. Passata la breve ondata insurrezionale, l’arciprete di Alfonsine D. Tellarini iniziò a riparare i danni e incaricò l’allora quindicenne Margotti di ridipingere sul muro della sua chiesa il “Battesimo”. Fu in quell’occasione che, per la prima volta, il pittore raffigurò nel volto di Cristo le sembianze dell’amico e futuro asso dell’aviazione italiana Francesco Baracca (vedi ee N°3), presso la cui famiglia il padre del giovane artista prestava servizio e nel cui palazzo si era cimentato in una delle sue prime
esperienze decorative. Per trent’anni l’opera resistette alla storia, che però ritornò incombente a determinarne il destino. Nel 1944, durante la seconda guerra mondiale, la città di Alfonsine, essendo collocata sulla linea gotica, fu occupata dai tedeschi e divenne teatro di numerose operazioni militari che ne causarono la totale distruzione. Con la scomparsa dell’intero paese, sparì anche la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, e con essa il dipinto del “Battesimo”. Nel dopoguerra Alfonsine venne interamente ricostruita, come la sua chiesa, ma questa volta senza il quadro, che dovette aspettare altri trent’anni per tornare a rivivere. A commissionare nuovamente l’opera fu un ex aviatore americano, rimasto anonimo per sua volontà, che durante la seconda guerra mondiale aveva preso parte ai bombardamenti della Romagna. L’ex militare, essendo venuto a conoscenza dell’esistenza di un quadro riportante i tratti del celebre aviatore Francesco Baracca e della sua distruzione durante la guerra, decise di compiere un gesto simbolico di riparazione dei danni causati a questa terra, incaricando Anacleto Margotti, artista ormai maturo ed affermato, di ridipingere il “Battesimo” e di far rivivere nel Cristo il volto del suo eroe del cielo. Dopo tanta violenza e distruzione, l’opera tornava nella sua chiesa come simbolo di pace e fratellanza fra gli uomini, così come è indicato nell’iscrizione voluta dall’aviatore e posta a margine della tela. Una storia unica, il cui fascino risiede nello stretto legame venutosi a creare tra l’arte e la storia di una città che fu scenario di alcuni
Ex aviatore americano – operante cielo Romagna – umilmente dona – a risorta chiesa Alfonsine – Battesimo Cristo – a ricordo Eroe Baracca – passate storiche vicende – auspicando Pace fra i Popoli – L.F. American ex-aviator – who flew in the skies over Romagna – graciously donates – to the restored church of Alfonsine – a Baptism of Christ – in remembrance of his hero, Baracca – and of past historical events – with wishes for Peace between Peoples –
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dei più drammatici avvenimenti del secolo scorso.
German forces as it lay on the Gothic Line, and it became the theatre for a series of military operations which left the town completely destroyed. Alfonsine was gone, the church of Santa Maria delle Grazie was gone, and Margotti's Baptism with it. Alfonsine was totally rebuilt after the war, as was its church, but this time without the painting, which was to wait a further thirty years before coming to life again. The new Baptism was commissioned by an American ex-aviator who preferred to remain anonymous; during WWII he had taken part in the aerial bombardments of Romagna. Having learned of the existence of a painting with the face of the famous aviator Francesco Baracca and of the destruction of the painting during the war, the American resolved to make a symbolic gesture of redress for the destruction caused to the town, and he commissioned the same Anacleto Margotti, now experienced and well-known, to re-paint the Baptism and bring back to life on the face of Christ the features of his hero Baracca. And so, after so much violence and destruction, the picture returned to the church as a symbol of peace and fraternity among men, as attested by the inscription placed beside the painting at the request of its donor. It's a unique story whose fascination resides in the close ties binding the art and the history of a town which was the scene of some of the most dramatic events of the last century.
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Territorio Da Riolo a Solarolo_ passando da “Castello” From Riolo to Solarolo_ via “Castello” Vulcani pigmei_ senza magmi né lava Tiny Volcanoes_ with neither magma nor lava
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Storia “Borgo di Faenza”_ ... o “Borgo dei Briganti”? “Borgo di Faenza”_ ... or “Borgo of Brigands”? Augustin Codazzi_ noto a due mondi Augustin Codazzi_ illustrious in old and new worlds
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Passioni Cinema degli albori_ la Romagna di fronte agli “splendidi quadri animati”
Cripte profane dell’Adriatico_ le antiche Conserve di Cesenatico Profane crypts of the Adriatic_ the Conserve of Cesenatico
The dawn of Cinema_ Romagna in the era of “the splendid moving pictures” Il pallone... prima del calcio_ gioco del pallone col bracciale in Romagna A different Ball game... before Soccer_ the game of “pallone col bracciale” in Romagna
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Enogastronomia Quarti di nobiltà enologica_ il retaggio di una famiglia trasferito al suo vino The Winemakers pedigree_ a family heritage devoted to wine Il culto dei passatelli_ saporosi nella loro romagnola semplicità Passatelli - heresy and orthodoxy_ simple, tasty and unique to Romagna
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Arte Domenico Rambelli_ caricatura alle radici dell’espressionismo Domenico Rambelli_ caricature at the roots of expressionism La storia di un dipinto_ il “Battesimo” di Anacleto Margotti ad Alfonsine Story of a painting_ the Baptism by Anacleto Margotti in Alfonsine
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I Sens i di Rom agn a
I Sensi di Romagna numero 7.
giugno 2004
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