E
state, una stagione dal duplice influsso. Capace di simboleggiare agli occhi degli entusiasti il trionfo della spirito vitale e della fisicità, mentre
le personalità crepuscolari tendono ad avvertire più marcatamente il contrasto tra il mondo esterno e la propria natura.
ee, come sempre al di sopra delle parti, offre i suoi spunti ad entrambe le sopraccitate sensibilità, delineando una Romagna di luoghi ameni e paesaggi anomali, di avvenimenti spassosi e vicende conturbanti, di placidi personaggi e cruenti individui, di opere d'arte rasserenanti e raffigurazioni inquietanti. A coloro, infine, che non si identificano in nessuna di queste due scuole di pensiero (o semplicemente in nessuno stereotipo), valga il consiglio di esporsi pigramente al calore di un sole finalmente africano e ritrovarsi a degustare un calice di vino, accompagnato da qualche altro dono di questa magnanima terra. Dopo tutto, l'estate, oltre agli aspetti per i quali è più universalmente celebrata, è anche la stagione del carciofo moretto. La Redazione di
ee
Summer elicits different reactions from people. Those who love it see it as a celebration of the vital spirit and physical pleasure, while for more crepuscular personalities it tends to throw into sharper relief the contrast between the external world and their inner natures. As always ee sees some truth in every view, and both sensibilities are catered to here. Included in this edition are articles on some of the more unsung and unusual attractions of Romagna, on lighter and darker episodes from the region's history, on works of art with the power both to uplift and to disturb. As for readers who conform to neither of the above views - or those who simply reject every stereotype - they could do worse than stretch out under a finally sultry sun with a glass of wine and some other seasonal gift from Romagna's generous earth. After all, no matter what you think about it, summer is the season of the delicious carciofo moretto or spiny artichoke. The editorial staff of ee
E di t or i a l e
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acqua terra fuoco aria
In questa natura ordinata secondo regole “classiche”, appaiono però di frequente le fratture profonde dei calanchi dagli orli taglienti,
Ma n l i o R a s t o n i
Una lunga “frattura” attraverso i poggi l a Ve n a de l G ess o romagnol a
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La gente del luogo non ci fa molto caso, oramai le linee che interrompono curiosamente l'armonia dei declivi coltivati sono impresse da generazioni nei sensi dei contadini della zona.
I
ntravedendola per la prima volta da lontano, la si intuisce come un elemento discordante nel panorama. Forse non tale da togliere il fiato, poiché se questo fenomeno non manca di singolarità, difetta forse quanto ad imponenza. Ciò nonostante, oltre ad esse-
re una preziosità dal punto di vista geologico, la Vena del Gesso o “Vena de' Zess'”, come è stata battezzata da tempo immemorabile, anche agli occhi di un individuo digiuno di nozioni naturalistiche manifesta il suo tagliente fascino. Tecnicamente si tratta di un affioramento di strati gessosi, percorso internamente da grotte e doline, che si sviluppa per circa 25 km (tra le province di Ravenna e Bologna) e può essere considerato una vera e propria catena rocciosa di bassa quota il cui picco più alto è rappresentato dai 515 metri di Monte Mauro. La sua particolare morfologia ne fa un'oasi di rifugio per fauna e flora molto rare in regione (dal 15/02/2005 è Parco regionale), una sorta di sutura tra l'ambiente mediterraneo e quello centroeuropeo che annovera tra i suoi ospiti il Gufo reale, oltre dieci specie di pipistrelli, la Lingua cervina, il Terebinto ed una piccola eminenza vegetale: la rarissima Cheilanthes persica, altrimenti detta Falcetta persiana.
04
I Sensi di Romagna
ferite inguaribili che sottragono inesorabilmente il terreno al contadino che s'è industriato per secoli a coltivarlo. Stefano Papetti
THE FRACTURED HILLS_ ROMAGNA'S VENA DEL GESSO The inhabitants of the region scarcely notice it anymore, so accustomed they are to this curious geological feature which twists incongruously across the hills they have farmed for generations. When first glimpsed from the distance, it always strikes the observer as rather out of place. It's no breathtaking sight, for though it's certainly a curious feature it's not an imposing one. Nevertheless, as well as being something of a geological marvel, the Vena del Gesso - or Vena de' Zess as it has been known in the local dialect for longer than anyone can remember - exerts its fascination on observers bereft of even the most elementary notions of natural science. Geologically speaking, it's an outcrop of gypsum which runs for 25 km across the landscape of the provinces of Ravenna and Bologna. Percolated by caves and sinkholes, it's something of a miniature mountain range in its own right, rising to a highest point of 515 m on Monte Mauro. The Vena del Gesso is like a seam where the Mediterranean and central European climates overlap, and its curious morphology makes it an oasis for some extremely rare plants and wildlife (it was made a nature reserve on 15/02/2005). Among the species to be found here are the eagle owl, over ten varieties of bats, the hartstongue fern, the turpentine tree and a real gem: the extremely rare fern known as cheilanthes persica. The low hills known as the calanchi undulate along the flanks of the Vein like indolent, perpetually subsiding waves, cresting right in the middle of the farmlands which cling tenaciously to their flanks. These fields are a perfect illustration of the obstinacy of the local farmers who, despite their awareness that the slightest movement of the Vein can lose them their entire crop, persist in using every centimetre of earth available. The triumph of this obstinacy is perfectly illustrated by the houses that some of them have built right on the unstable crests of the calanchi. And yet, even if in some ways this struggle between domesticated nature and the primeval wildness of the calanchi may seem to some a battle in which the odds are stacked against man, there are other areas of Italy - such as Tuscany - where the calanchi have been “tamed”: in other words, demolished and re-landscaped as picture-postcard hills. In Romagna, though, the struggle between man and nature goes on, as so eloquently illustrated in the paintings of Andrea Cimatti in lines and colours that perfectly capture the spirit of a precarious coexistence. Seen from above, the Vena del Gesso could easily be an enormous supine dinosaur besieged by a patchwork army of fields and trees - besieged, but not yet vanquished.
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I calanchi, che si formano sui fianchi della Vena, come pigrissime onde terrestri in perenne assestamento, si innalzano nel mezzo dei campi coltivati che ne lambiscono pericolosamente le “rive”. Una dimostrazione lampante della caparbietà dei contadini autoctoni che, pur consapevoli di poter perdere come niente il raccolto ad un minimo movimento della Vena, insistono a tentare di utilizzare ogni centimetro di terra disponibile. Il trionfo di questa ostinata convivenza è ben rappresentato dalle abitazioni che alcuni di loro arrivano a costruire sulle sue instabili creste. Eppure, anche se in qualche modo questa poco pacifica lotta tra la natura addomesticata e la primigenia selvaggia esistenza dei calanchi potrebbe ad alcuni sembrare impari e sfavorevole all'uomo, non dobbiamo dimenticare che in altre zone d'Italia, come la Toscana, i calanchi sono stati da tempo “dolcificati”, in altre parole demoliti e convertiti in colline da cartolina. Una fotografia eloquente di questa coesistenza che perdura in Romagna ci viene, ad esempio, dalla pittura di Andrea Cimatti che, attraverso le sue linee e le sue scelte cromatiche, riesce bene a trasformare in evidenza e trasmettere l'atmosfera di questa acerrima convivenza. Con un esercizio di fantasia, favorito da una postazione d'osservazione sopraelevata la Vena del Gesso potrebbe addirittura sembrare un mastodontico dinosauro assediato da un esercito di ordinati filari e campi organizzati e geometrici. Ancora vivo, in ogni caso.
Ter r i t or i o
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Va l en t i n a B a r u z z i
Un bagno al fiume... . . . a Boccon i d’ e s ta te
A DIP IN THE RIVER… BOCCONI IN SUMMER A small, out of the way place that's great for escaping the baking summer heat. It's called Bocconi and it's just a few kilometres from Portico di Romagna on the main road (Statale 67) to Florence. There isn't much history to the place: we know it was founded in the Middle Ages, and that the castle which overlooks the village was a Benedictine monastery before falling into the hands of the Guidi dynasty. The village did not take shape until 1836 after the construction of the road linking Rocca San Casciano and the Muraglione pass. Bocconi has remained a small village since, and today is no more than a casual stopping point for travellers on the way to somewhere else; but it's also a delightful place for anyone looking to escape the busier tourist trails. The village itself is like any other small Apennine settlement, with women talking to their neighbours from window to window and old men watching the traffic and the time go by from the bar on the main street. But Bocconi's real treasure is natural, a small and enchanting spot which captivates everyone who stumbles upon it. To get there you have to take the earth track which descends from the village into an area of luxuriant vegetation and an old, perfectly conserved stone bridge. The majesty of its construction is best appreciated by actually crossing the bridge; from higher up, a waterfall completes the harmony of the view. This is the Brusìa bridge, its graceful camber carried on three arches rising among riotous greenery. The bridge and its setting are most impressive when seen from below, like a stone crown surmounting a truly enchanting corner of nature. Below the bridge flows the river Montone, where a waterfall tumbles into a large pool at least seven metres deep before the river continues on its course below and beyond the bridge. In summer, this spectacularly scenic hideaway is a favourite bathing spot for holidaymakers seeking respite from the crowded beaches of the coast and the oppressive heat of the cities. Between dips you can sun yourself on the warm boulders or rest in the shade of the trees and take in the peace and harmony of the spot. The Montone is popular with canoe enthusiasts who come here to shoot the rapids, while bathers, despite the ice-cold water all year round, enjoy floating downstream over the smooth rocks. Beside the bridge an old mill seems to watch over the spot while the sunlight filters through the trees; time seems to pass more slowly. It's a delightful picture painted in just a few brush strokes, and once you've set eyes on it, you'll never forget it.
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I Sensi di Romagna
C'è una località piccola e poco conosciuta, ma dove d'estate è bello cercar frescura.
S
i chiama Bocconi, si trova a pochi chilometri da Portico di Romagna, sulla Statale 67 che porta a Firenze. Poche le notizie storiche sul paese: sappiamo che fu fondato in epoca medioevale, nell'attuale parte alta sorse un castello appartenuto
prima ai monaci benedettini, poi ai conti Guidi. Il borgo sottostante si sviluppò invece dopo il 1836 in seguito alla costruzione della strada carrozzabile tra Rocca San Casciano e il passo del Muraglione. Bocconi è una località di poche anime; un luogo di passaggio per i distratti avventori ma allo stesso tempo una zona amena per chi vuole allontanarsi dai circuiti più affollati. Pare un paesino appenninico come tanti, dove le donne si parlano da una finestra all'altra e gli anziani, dal bar affacciato sulla via principale, seguono distrattamente il passaggio delle automobili, e del tempo. Ma Bocconi cela un piccolo patrimonio naturale, un luogo incantevole, inaspettato. Si raggiunge percorrendo una mulattiera proprio sotto l'abitato e da lì, scendendo tra il verde più rigoglioso, si riconosce un antico ponte in sasso, perfettamente conservato. Nell'attraversarlo
si intuisce la maestosità della sua costruzione, mentre dall'alto è facile ravvisare l'armonia della cascata sottostante. È il ponte della Brusìa, uno splendido esempio di ponte a schiena d'asino a tre arcate, risalente al periodo medioevale ed immerso in una natura vigorosa ed incantata. L'imponenza dell'opera si coglie più convenientemente dal basso, dove è possibile cogliere una visione completa dell'ambiente, poiché il ponte incorona un angolo di natura magico ed affascinante. Sotto scorre l'acqua del Montone che, cadendo da una morbida cascata, fluisce verso un ampio gorgo, profondo almeno sette metri, per poi proseguire il suo corso lungo il letto del fiume. Durante l'estate questo spettacolare angolo paesaggistico diviene la meta di numerosi bagnanti che fuggono dall'afa cittadina e dalle spiagge affollate. Sono coloro che cercano ristoro sulle rocce calde o all'ombra degli alberi, diventando parte integrante di una scenografia armoniosa. Talvolta è possibile assistere alle esibizioni dei canoisti che discendono le rapide del Montone, molti trovano pure emozionante, nonostante l'acqua perennemente gelida, lasciarsi trasportare a corpo libero giù dagli scivoli rocciosi di questo tratto del fiume. A fianco del ponte un vecchio mulino sembra vegliare su quest'angolo incantato, mentre il sole diffonde la sua luce e il tempo sembra trascorrere più lentamente. Pochi tratti compongono un affresco prezioso al punto da rimanere inevitabilmente impresso negli occhi di chi lo contempla.
Mia madre mi disse Non devi giocare con gli zingari nel bosco. Ma il bosco era scuro l'erba già verde lì venne Sally con un tamburello ma il bosco era scuro l'erba già alta dite a mia madre che non tornerò. Fabrizio De Andrè “Sally” foto d’archivio
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Ter r i t or i o
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Giuliano Bettoli
Pipinè
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l a voc e di F aen z a
È bello doppo il morire, vivere anchora.
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Motto della casa editrice Loescher
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I Sensi di Romagna
Era il giorno di S. Pietro, 29 giugno, del 1937 credo; la grande, bellissima piazza di Faenza era piena zeppa: cinquemila persone stipate in piedi per l’estrazione della tradizionale Tombola, ognuno con la sua cartellina in mano, in spasmodica tensione.
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l premio? Lire 3000. Io, accanto al mio babbo, ogni tanto sentivo “quella voce”, una voce tremenda, gutturale ma nitida, possente: annunciava, scandiva ogni numero estratto della Tombola. Era di un essere umano quella voce che tuonava dall’alto loggiato
del Palazzo dei Manfredi, ma pari, per potenza, a quella che producono oggi gli strumenti di amplificazione. Sovrastava il brusio infernale di tanti uomini accalcati. È stata la prima volta che ho sentito la voce di Pipinè. Poi l’ho conosciuto di persona. Pipinè: abbastanza alto, volto rugoso, naso rosso, baffi bianchicci, occhi stretti, vestito sempre alla stessa maniera, come una divisa, il berretto con l’ala in testa. Per un certo periodo andò in giro con un uccello nero su di una spalla, una merla che volava via e ritornava ad un ordine del suo padrone. Un’istituzione per Faenza: Pipinè era il banditore pubblico. Il nome con cui era conosciuto è il diminutivo dialettale del nome “Giuseppe”. E difatti, all’anagrafe, Pipinè era semplicemente Giuseppe Melandri nato a Faenza il 23 giugno 1879, sempre per l’anagrafe, di professione “strillone”. Quante volte, in seguito, ho sentito risuonare quella voce per le strade di Faenza. Se un capo di bestiame, morto per incidente, era in vendita a “bassa macellazione”, vale a dire a costo ridottissimo, ecco che l’avvenimento era annunciato da Pipinè in giro per le strade della città e del Borgo. Se un faentino metteva in vendita una partita di sangiovese o di albana, ancora la voce di Pipinè annunciava l’occasione per gli amanti del vino. Erano tanti quegli amanti, e fra i tanti c’era anche lui, Pipinè. La sua voce riempiva poi lo sferisterio fuori Porta Montanara. Lì si svolgevano accanite partite di pallone col bracciale (vedi ee N°7), tra grandi campioni come Patriossi, Gustavo, Padova, Rondini... E la voce di Pipinè, tonante, indicava il susseguirsi dei punti delle due squadre, sino alla fine. Pipinè vendeva anche i giornali ogni mattina e la sua voce ne faceva echeggiare i titoli. Se poi era famoso, divenne famosissimo a causa di un avvenimento singolare. Un celebre acrobata tedesco del tempo, Strohschneider, si esibiva di tanto in tanto a Faenza nei più strambi esercizi su di una corda tesa tra i due grandi loggiati contrapposti della piazza. Ebbene, una volta, nel 1923, di fronte ad una foltissima platea, attraversò la corda dopo essersi caricato sulla schiena proprio lui, Pipinè, il quale giurò in seguito a gran voce che mai più si sarebbe esposto ad una simile strizza. È morto da tanti anni: il 3 luglio del 1949. Eppure se qualcuno a Faenza pronuncia quel nome, Pipinè, noi vecchi di Faenza ce lo rivediamo davanti, ancora vivo, quel personaggio indimenticabile. E soprattutto ne risentiamo la voce, unica. La voce di Pipinè.
It was St Peter's day, 29 June, the year (if I remember correctly) was 1937. The large and impressive central piazza of Faenza was packed to capacity: five thousand people crammed together for the traditional prize draw, the Tombola, every single one of us clutching a ticket in an agony of anticipation. The prize was 3000 lire. Standing beside my father, I heard “that voice”, a fearsome voice, guttural but clear, powerful, declaiming one by one the numbers drawn. It was a human voice that resounded from the upper gallery of Palazzo dei Manfredi, but it was so powerful that it seemed to be amplified, and it sounded loud and clear above the simmering noise of the packed crowd. It was the first time I heard the voice of Pipinè. Later, I got to know him in person. Pipinè was quite tall, with rugged features, a red nose, whitish whiskers, close-set eyes. He always dressed the same way, as if wearing a uniform, a wide-brimmed beret on his head. For a time he used to go around with a bird perched on his shoulders, a blackbird that from time to time would take off and return when called by its master. Pipinè was an institution as well as a character: he was Faenza's town crier. His name was the local diminutive of “Giuseppe”. His entry in the town's birth register reads Giuseppe Melandri, born in Faenza on 23 June 1879. The same entry records his occupation as “news vendor”. I was to hear his voice resound through the streets of Faenza on many occasions. If a head of cattle died in an accident and its flesh was put up for sale at a knockdown price, Pipinè would go round the streets of the town announcing the news. If a local winegrower was putting a batch of Sangiovese or Albana up for sale, it was from the voice of Pipinè that wine lovers learned of the sale. There was no shortage of wine lovers in the town, and Pipinè himself was one of them. His voice was also to be heard in the ball court at Porta Montanara, where bitterly-fought games of pallone col bracciale (see ee issue 7) took place between champions such as Patriossi, Gustavo, Padova or Rondini. Pipinè kept the score, his voice thundering out the tally. And every morning he sold newspapers, hollering the headlines. He was already something of a local celebrity; but one day he became famous. A well-known German acrobat of the day, Strohschneider, occasionally came to Faenza to perform spectacular feats on a tightrope strung between the two balconies that faced each other across the piazza. On one such occasion, in 1923, above a packed crowd, Strohschneider walked the tightrope with Pipinè on his back. Pipinè later announced, loud and clear, that he would never again endure such terrifying ordeal. Pipinè died on 3 July 1949. Yet even today, it's enough just to mention the name of Pipinè and the older citizens of Faenza can almost see that unforgettable character before them again in flesh and blood. But most of all hear him too, of course.
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PIPINÈ_ THE VOICE OF FAENZA
St or i a
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Pa o l o M a r t i n i
Gli Accoltellatori
Felici i popoli i cui annali sono vuoti nei libri di storia. Thomas Carlyle
la cos tru z ion e di u n proce s s o (1865 -1 8 7 5 )
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THE KNIFEMEN_ FABRICATION OF A TRIAL (1865-1875) It started at 11 in the evening, 3 January, 1865, when Antonio Monghini, manager of the Banca Nazionale's Ravenna branch, was attacked at knifepoint. Monghini got away with a flesh wound and after twenty days' recuperation was back at work. It looked at first like just one more act of aggression in the general atmosphere of violence and unrest which characterized post-unification Romagna. In fact, it was the first in a string of violent exploits by a group which was later to become known as the Setta degli Accoltellatori - the “society of knifemen”. Their story contains many of the characteristic ingredients of life in Romagna at the time. National unity had done nothing to dispel the spectre of hunger from the region, and popular unrest was rife. Another long-standing tradition was banditry. Republican elements found it difficult to operate amid the political intrigue of the new-born Kingdom of Italy. Lastly but no less importantly, there was the profound mistrust of the House of Savoy towards a region considered as savage and lawless and overrun with savages. A mistrust which had its consequences. Not until 1888 did Umberto I “dare” to visit Romagna. The motive? To quell public disorder. Romagna was as harsh and violent as frontier territory. The society of knifemen ended up in court in 1874 thanks to the tip-off of an informer, one Giovanni Resta, who, according to contemporary accounts, resolved to unburden his conscience for the sake of his young son and revealed the names of the twenty-three accused. The 23 defendants were accused of a total of 8 murders, including the assassination, on 17 March 1870, of the prefect of Ravenna, Pietro Escoffier, who had been urgently summoned to
I Sensi di Romagna
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Alle 23:00 del tre gennaio 1865 Antonio Monghini, direttore della sede di Ravenna della Banca Nazionale, viene aggredito e accoltellato.
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e la cava con una ferita leggera e una ventina di giorni di riposo. Pare un'aggressione come tante, in linea con la difficile gestione dell'ordine pub-
blico e la violenza diffusa nella Romagna nel periodo post-unitario. In realtà si trattava del primo atto di quella che passerà alla storia giudiziaria come la “Setta degli Accoltellatori”. In questi accadimenti confluiscono gran parte delle costanti romagnole di quel periodo storico. Il malessere popolare per un'unità nazionale che non ha modificato in alcun modo lo spettro della fame. Una lunga tradizione in fatto di banditismo. Il difficile ruolo del composito universo repubblicano negli intrecci politici del neonato Regno d'Italia. In ultimo, ma non meno importante, la profonda diffidenza della Casa Sabauda nei confronti di una terra giudicata violenta e selvaggia, abitata da “Pellerossa”. Un sentimento che giustifica appieno il fatto che Umberto I “oserà” visitare la Romagna solamente nel 1888, per
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motivi di ordine pubblico. Terra di confine, terra di scontri. Il dibattimento processuale parte alla fine del 1874, grazie alla collaborazione di un pentito, tal Giovanni Resta, che, narrano le cronache dell'epoca, per amore del figlioletto si sgravò la coscienza e fece i nomi dei ventitrè imputati. Questi uomini furono accusati dell'assassinio di 8 persone, inclusa l'uccisione, il 17 marzo del 1870, del prefetto di Ravenna Pietro Escoffier chiamato d'ur-
Romagna to put down a popular uprising. In addition to these 8 killings they were also accused of wounding another 6 people. Four pistol shots and one hundred and seven stab wounds - these were the figures cited by the public prosecutor. The irregularities in the trial, however, may have been more numerous still. Every single defendant was a diehard republican - the rest came as a logical consequence. The trial took place in an atmosphere of almost incandescent tension: secret deals were hatched, evidence was concealed, and there was wholesale use of the newly-introduced sus laws by which anyone could be arrested merely on suspicion of subversive activities, even without the slightest evidence. Local and national press clamoured for exemplary sentences. The trial ended on 10 March 1875; 19 of the defendants were found guilty. Which raises the obvious question: what happened to the other four? They too were condemned as criminals and severely punished. Justice was done; or at least, the equation: republican = knifeman, demonstrated.
genza in Romagna per sedarne gli animi. A queste morti vanno aggiunte altre 6 persone ferite. Quattro colpi di pistola e centosette coltellate, questa la triste contabilità attribuita agli Accoltellatori dal pubblico ministero. Più difficile contabilizzare le irregolarità processuali. Tutti gli imputati erano di provata fede repubblicana. Il resto fu una logica conseguenza. Il processo si svolse in un clima incandescente: accomodamenti, prove occultate, utilizzo massiccio della neonata legge dei sospetti, grazie alla quale si poteva arrestare chiunque fosse sospettato di attività sovversive, anche senza la minima prova. La stampa, locale e nazionale, fece pressioni perché ci fossero condanne esemplari. Il processo si conclude il 10 marzo 1875 con 19 condanne. Ciò che fa più riflettere è il destino dei quattro imputati assolti. Furono considerati in ogni caso dei malfattori e come tali pesantemente puniti. Giustizia è fatta e l'equazione: repubblicano uguale accoltellatore, dimostrata.
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E l i s a Pa l m a
Il Castello di Montebello e la sua eterea “presenza” La palla di stracci rotola giù per le scale; quelle che conducono alla “nevaia”, una sorta di cantina. Non corre nessun rischio, avranno pensato le guardie che avevano l'ordine di sorvegliarti e proteggerti, o chissà, forse non si erano neppure accorte che la stavi già rincorrendo, saltellando giù per i gradini con tutta la gaiezza dei tuoi otto anni. Un urlo. Poi, più niente.
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I Sensi di Romagna
Ciò che non si comprende non lo si possiede. Johann Wolfgang Goethe
il mis te ro di Azzurrina
THE GHOST OF THE CASTLE OF MONTEBELLO_ THE MYSTERY OF AZZURRINA
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Down the stairs towards the cellars a rag ball rolled. If they saw it, the guards entrusted with her protection would hardly have raised an eyebrow; or perhaps they didn't even notice her, skipping down the stairs with all the carefree grace of an eight-year-old. There was a cry. Then, nothing. Seven days and nights of frantic searching failed to uncover a trace of the little girl known as Azzurrina. The rag ball too disappeared for ever on 21 June 1375. Every avenue of investigation exhausted, her guardians were sentenced to death for dereliction of duty. The cold walls of the castle have yet to yield their secret. Perched on an outcrop of the Valmarecchia hills, set in a belt of abundant vegetation known as the Bosco delle Ombre or wood of shades, the castle of Montebello in Torriana, Rimini province, commands impressive views of Romagna and the Marche. Azzurrina's real name was Guendalina. She was the daughter of Ugolinuccio Malatesta, and she was an albino: her skin was translucent, her hair white and her eyes pink. Her mother tried to conceal her daughter's condition, which at the time was considered a mark of the devil and earned its “victims” death by burning at the stake, by dyeing her hair with herbal tinctures: but these left no more than a pale blue tint in her hair: hence her nickname, Azzurrina - “pale blue”. On the summer solstice of every lustral year - years ending in 0 or 5 - the ghost of the little girl is said to return to evoke the enigma of her disappearance. So far so good, as tales of the supernatural go: but this would seem to be much more than a tale. Three sound recordings made in 1989 during renovation work on the castle by the Guido family, the descendants of its original owners, captured the unmistakeable sounds of a voice: laughter, according to some, a cry of despair to others; and some claim to hear the word mamma. It's difficult to remain indifferent to the enigma, and the setting in which visitors to the castle can hear the recordings certainly adds to its eeriness. With original furniture and fittings dating from 1400 to 1700, the castle exudes an ancient, timeworn, sinister atmosphere. The Renaissance wing is decorated with paintings documenting the lives and riches of its owners. The hall is dominated by the original dining table of the Guidi family, around which guest would banquet to the accompaniment of musicians who, for reasons of separation of the social classes, were confined to a loft as they played. The hall leads into the imposing fortress, which accommodated a garrison of over a hundred soldiers whose job was to guard it against assaults that never happened. At present, the soldiers have been replaced by a cohort of researchers and specialists in the paranormal; and visitors as well as custodians have attested to a strange “presence” in the castle. In its thousand years of history, of the splendour and exploits, tragedies and atrocities which shaped the history of a powerful family with many enemies, the castle still holds its secrets.
nulla sono valse le ricerche disperate durate sette giorni e sette notti, piccola Azzurrina. Tu e la tua palla di stracci, quel 21 giugno del 1375, siete scomparse per sempre. Tante ipotesi fatte, le guardie mandate a morte per non aver assolto debi-
tamente al loro compito. Le fredde mura del castello restano a custodire il segreto. Arroccato su una rupe della Valmarecchia, circondato da una rigogliosa vegetazione detta “Bosco delle Ombre”, il Castello di Montebello di Torriana, in provincia di Rimini, offre al visitatore un suggestivo paesaggio che abbraccia la Romagna e le Marche. Guendalina era la figlia di Ugolinuccio Malatesta, ed era albina: pelle diafana, capelli bianchi e occhi chiari. Sua madre
tentava di celare questa peculiarità, allora ritenuta opera del demonio, al fine di evitarle la morte sul rogo, tingendole i capelli con delle erbe che più di un pallido azzurro sulla sua chioma non poterono. Da qui il soprannome di Azzurrina. Ogni anno lustro che termini con 0 o 5, la notte del solstizio d'estate, lo spirito della piccola torna a rievocare il mistero della sua fine. Sembrano confermare che questa sia molto più di una leggenda, le tre registrazioni effettuate dopo che i discendenti conti Guidi curarono la ristrutturazione del castello nel 1989. In tutte s'individua distintamente una voce: chi riconosce un riso, chi un pianto disperato, chi sente la parola “mamma”. Certo è difficile restare indifferenti, e la cornice entro cui i visitatori fanno conoscenza di questi straordinari documenti accentua sensazioni e palpiti. Arredato con mobilia e oggetti autentici del periodo che va dal 1400 al 1700, il castello conserva un fascino antico, vissuto e sinistro. L'ala Rinascimentale è adorna di quadri raffiguranti i molti possedimenti e l'albero genealogico dei suoi proprietari. La sala è dominata dal tavolo da pranzo originale dei Guidi, attorno al quale i convitati banchettavano, allietati dai musici, che per dovere di distanza tra classi sociali erano collocati sul soppalco. Da lì si accede all'austera Fortezza, dove più di cento soldati abitavano in pianta stabile per difenderla dagli assalti mai andati a segno. Il Castello di Montebello è attualmente sede di studi e ricerche parapsicologiche; non solo i custodi sono stati testimoni del manifestarsi di alcune altre “presenze”. Nei suoi mille anni di vita, racchiude gli antichi fasti, le gesta, le tragedie e le atrocità che hanno fatto la storia di una potente famiglia e dei suoi nemici.
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I t a l o e Va n n a G ra z i a ni
Sogni d’autore L u igi Be ra rdi, poe ta de l vis ibile
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LUIGI BERARDI_ POET OF THE TANGIBLE AND THE INTANGIBLE Luigi Berardi is a man who believes in bringing art to the community - and involving the community in art. In the course of his career he has worked in situations and projects which are impressive in their diversity. Since his early days in the 1970s, Luigi Berardi has explored the way technology and its ceaseless proliferation change and compromise our relationship with the earth. For Berardi, nature is the ultimate measure of this exploration, endlessly diversifying imagination the stimulus. Berardi belongs to Romagna by birth (he was born in Santerno in 1951) and by choice: at present his studio is in Sant'Alberto di Ravenna, though he has moved extensively around Romagna. These close ties to his native territory have not limited his horizons, however: he has worked as an archivist in the State Russian Museum and within Italy has pursued projects in places as far apart as Brescia and San Benedetto del Tronto, Tuscany and Puglia. This attachment to his territory is an endless source of ideas for Berardi, an artist and craftsman of many talents. His sculptures, fountains, labyrinths, bells, giant seashells and soundscapes inspire a sense of marvel and awe that can only be described in the fantasy-language of fairy tales. Berardi has special affection for those
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Luigi è l'uomo che, abitando vicino, conosci, e che accompagna con il proprio fare pubblico la vita artistica e culturale che ogni luogo cerca di rendere migliore, coinvolgendo in questa crescita la comunità delle persone.
È
l'uomo che è capitato di incrociare negli anni in situazioni diverse e con il quale, a volte, si sono condivisi esperienze e progetti. Sin dagli esordi, negli anni '70, Luigi si propone di interpretare questo periodo di invenzioni tecnologiche, che con il loro inces-
sante susseguirsi modificano e diluiscono i rapporti con la propria terra; e lo fa avendo sempre la natura come riferimento e la continua evoluzione del pensiero come stimolo. È unito alla Romagna, per nascita (Santerno, RA, 1951) e per scelta: attualmente il suo laboratorio d'arte si trova a Sant'Alberto di Ravenna, ma sono tantissimi i paesi romagnoli che hanno ospitato temporaneamente o stabilmente i suoi lavori. Questo legame, comunque, non ha limitato i suoi orizzonti: ne sono prova la trasferta in Russia, dove si è occupato degli archivi del Museo di Stato, e la varietà dei luoghi, in Italia, in cui ha messo in atto i suoi progetti, da Brescia a San Benedetto del Tronto, dalla Toscana alla Puglia. Risulta grande e forte il valore dell'insediamento sul territorio di un artista-artefice di molteplici e multiformi opere. Bisogna chiedere le parole alla fantasia “senza i piedi per terra” delle favole per descrivere la meraviglia e lo stupore per la creazione di sculture, fontane, labirinti, campane, macro-conchiglie e suoni nati con l'aiuto del vento. Luigi dedica una particolare attenzione a quegli elemen-
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La mia opera è una "trappola" percettiva. Luigi Berardi
Pa s s i on i
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elements which are customarily regarded as no more than part of the landscape: rivers and shores, woods and gardens, air and earth: in his hands these background features become the prime ingredients, the protagonists of his creations. Always alive to the fact that nature is transformation not destruction, Berardi plays ideas against experience in his artist's endeavour to produce unique objects which have never been seen before: for instance his wings made of bamboo canes - real wings, made for flights of the imagination. An essential feature of his approach is love for the forms, symbols and media of popular art: woodcuts and drawings, the endless virtuosity with wood, a passion for the sounds and harmonies conjured up by casual instruments. Berardi's work with the celebrated Romagnol poet and author Tonino Guerra has been a considerable influence on his career. The projects conceived by the two artists include Voice of the Leaf, a fountain in Pennabilli (PS), and the impressive Ball of Forgotten Sounds, which has been permanently installed in Maiolo, Val Marecchia (PS), since 2000. In this same period Berardi's fascination with the “voice of the wind” produced the Wind Organ which can be admired in Riccione (RN). These products of the solitary workings of the imagination are as typical of the artistic urge as is the need to pursue increasingly sophisticated projects in the remotest regions, places where image meets mirage. In China, for instance, he installed a hundred wind harps on the Great Wall - a return to primitive sound achieved with a carefully measured awareness of the courage required to face the obstacles and hardships that unknown, inhospitable environments can present. Since 1996, in a joint project with educational specialist Arianna Sedioli, Berardi has been exploring different, though no less demanding, avenues. The Sound Art for Children project is a mixture of art, music and education and has brought exhibitions, installations and soundscapes (also available on video) to numerous Italian cities. Let's hope those who wield temporal powers in the affairs of man and earth can appreciate how his work contributes to the growth of those who stop to look and listen.
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ti che di solito sono considerati semplicemente “parte del paesaggio”, come fiumi e spiagge, boschi e parchi, l'aria e la terra: nelle sue mani sono questi i soggetti, le materie prime, i protagonisti degli eventi. Sempre attento a questo “scambio alla pari” con la natura, abbina idee ed esperienze, conscio della necessità artistica di realizzare pezzi unici e mai visti prima: da qui sono nate, per esempio, le ali di canne di bambù, da indossare per un volo immaginario della fantasia di ogni persona. Imprescindibile dal suo operato è la vicinanza ideale a forme, segni, mezzi di comunicazione legati alla cultura popolare: xilografia e disegni, magico uso del legno, passione per armonie e suoni scaturiti da strumenti occasionali. La collaborazione con Tonino Guerra, celebre poeta e scrittore romagnolo, sicuramente lascia il segno. Insieme concepiscono “La voce della foglia”, fontana che si trova a Pennabilli (PS) e il grande “Gomitolo dei suoni dimenticati”, installato permanentemente nel 2000 a Maiolo, in Val Marecchia (PS). Nello stesso periodo, per “dare voce al vento”, Luigi realizza “Organo eolico”, opera che è possibile ammirare a Riccione (RN). Sono propri del mestiere dell'artista la ricerca e il lavoro solitari, mai appagati, come anche il bisogno di cimentarsi in imprese sempre più sofisticate, estendendo viaggi e miraggi. Un tale impulso può spingere addirittura fino in Cina, per scoprire l'immenso fascino di cento arpe eolie disposte sulla Grande Muraglia. Non è altro che un riandare a suoni primitivi, con la precisa consapevolezza del coraggio di sfidare i disagi e gli ostacoli che ambienti inospitali e sconosciuti possono presentare. Dal 1996, collaborando con la pedagogista Arianna Sedioli, elabora un progetto diverso, ma non meno impegnativo: “L'arte sonora per i bambini”. Dalla commistione tra arte, musica e, appunto, pedagogia, traggono origine mostre, allestimenti in numerose città, paesaggi sonori, di cui sono disponibili anche i video. Che i “prìncipi del tempo”, come erano chiamati coloro che avevano il potere temporale su uomini e terre, abbiano consapevole e viva la fortuna e la ricchezza che
Luigi Berardi
di un bosco...
fondendosi con il suono
il suono di un torrente
dove si interrompe
diventano sonori...
dei confini che
scopro dei luoghi,
che in genere non hanno nome,
Nel mio percorrere zone,
questo lavoro artigiano porta alla crescita delle persone che vengono avvicinate.
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M a rc el l o C i c o gn a n i
Capitano (di ventura) e gentiluomo
SOLDIER OF FORTUNE AND GENTLEMAN_ JOHN HAWKWOOD, A ROMAGNOL HERO The mercenary's motto, Kill 'em all, let God sort 'em out, must hardly have been to the liking of comandante Giovanni Acuto John Hawkwood - although he was undoubtedly one of the most courageous and, obviously, best paid soldiers of fortune of the entire Middle Ages. Born circa 1320 in Hedingham Sible in Essex, the son of a rich merchant and landowner, John Hawkwood left home while still a young man for France (where it would appear he was known as Jean Haucoud) in his determination to make his warfaring debut in the Hundred Years' War. Then, after the peace of Brétigny (1360), he descended to Italy with the veterans of the White Company - so called because of the shining armour worn by its knights - where he remained till the end of his days. Hawkwood's army, thanks to some ingenious tactical innovations such as the fighting unit made up of two soldiers and a page - the celebrated lancia - and a force of archers with extra long range, quickly gained the upper hand in the wars that raged through Italy in this period; but notwithstanding the undeniable advantages that these new methods offered, the real power of his army lay in a discipline and esprit de corps which was rare in other mercenary companies of the period. Hawkwood was a man of medium height, with brown eyes, brown hair, strong limbs and a lively expression. For thirty years he waged war in the pay of various patrons ranging from the Pisani to the Visconti, the church, the Florentines - and exerted considerable influence on Italian politics. He often arbitrated in relations between states and, on occasion, aspired to creating a state of his own - as when in 1376 Pope Gregory XI awarded him Faenza, Bagnacavallo and Cotignola. But as Hawkwood himself said: “I'd rather be first among condottieri than last among sovereigns.” A mixture of Garibaldi and Rommel, Hawkwood was brave in battle and a skilled tactician who commanded the loyalty of his troops and the respect of his enemies; and he also showed a constancy to his commitments well in excess of other condottieri of his time. Yet although he was proud of his reputation and a passionate student of the arts of war, Hawkwood never refused a cash payment in return for desisting from combat; and he was not always exemplary in his respect for civilian populations. Although rightly accused of acts of sack and violence, however, he had no liking for wholesale slaughter, and in this respect he exercised a good deal more restraint than many of his rivals. On his death in 1394 Hawkwood was honoured by the Florentines - who bluntly refused to send his remains to England - with a solemn funeral and a fresco in the city's cathedral. In the 15th century Paolo Uccello restored it to the form which we can still admire today.
Giovanni Ac ut o, on orat o i n R omagna per il s u o va lore
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L'imperativo dei mercenari, secondo cui è bene uccidere tutti e lasciare a Dio il compito di smistare i buoni dai cattivi (“Kill 'em all, let God sort 'em out”), di sicuro non sarebbe La paura della morte ci impedisce di vivere, non di morire. Paul C. Roud
andato troppo a genio al comandante Giovanni Acuto, sebbene egli sia indubitabilmente stato uno dei più valenti e, ovviamente, meglio pagati venturieri che il mercato medievale abbia mai offerto.
N
ato attorno al 1320 a Hedingham Sible, nella placida contea inglese dell'Essex, da un ricco mercante e proprietario terriero, John Hawkwood
(questo il suo nome di battesimo) lasciò ben presto la casa paterna alla volta della Francia (dove pare fosse appellato Jean Haucoud) determinato ad incrociare le sue prime armi nella guerra dei Cento Anni; da qui, conchiusa la pace di Brétigny (1360), scese in Italia con i veterani della “Compagnia Bianca” - così chiamata a cagione dell'armatura rilucente indossata dai suoi cavalieri - per rimanervi sino alla fine dei suoi giorni. La milizia dell'Acuto, grazie ad innovazioni tattiche come l'unità combattente formata da due guerrieri e un paggio - la famigerata “lancia” - ed i possenti arcieri dotati di archi per lunghe gittate, ottenne subito la superiorità nei conflitti italiani; ma, al di là degli innegabili vantaggi che queste tecniche offrivano durante gli scontri, il loro reale valore si concretizzò in una disciplina ed uno spirito di corpo difficilmente riscontrabili in altre compagnie mercenarie dell'epoca. Di statura media, membra forti, volto rubizzo, occhi e capelli castani, per trent'anni l'Acuto guerreggiò al soldo di vari padroni - dai Pisani ai Visconti, dalla Chiesa ai Fiorentini - ed esercitò un'influenza grande sulle cose politiche italiane. Spesso fu arbitro delle relazioni fra stato e stato e, a volte, accennò a costituirsi una propria signoria - come quando, nel 1376, Papa Gregorio XI gli passò come indennizzo Faenza, Bagnacavallo e Cotignola - ma com'ebbe a dire egli stesso: «Preferisco essere il primo dei condottieri che l'ultimo dei Signori d'Italia». Sintesi di Garibaldi e Rommel, fu valoroso in battaglia e abilissimo manovratore, guadagnandosi l'obbedienza dei sottoposti ed il rispetto degli avversari; mantenne, inoltre, nell'adempimento dei suoi impegni, costanza e lealtà ben superiori a quelle d'altri condottieri. Comunque, benché orgoglioso della sua autorità e vero appassionato nell'arte della guerra, non ricusò mai di accettare denaro in cambio della rinuncia a combattere e non mostrò sempre gran rispetto per
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la popolazione civile; ma se, giustamente, gli si rimproverano saccheggi e violenze, va detto che cercò di evitare almeno gli eccidi, rimanendo per crudeltà molto al di sotto della condotta dei suoi rivali. Alla sua morte, nel 1394, fu onorato dai Fiorentini - i quali rifiutarono fermamente d'inviarne la salma al re d'Inghilterra - con un solenne funerale ed un affresco nella cattedrale, poi rinnovato nel XV secolo da Paolo Uccello nella foggia che ancor oggi è possibile ammirare.
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Va l er i a B a r b e r i ni
Spinosa prelibatezza il ca rciofo more tto
foto di Fabio Liverani
Bisogna coltivare anche quando si raccoglie. Anonimo contadino
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Salendo sulle colline brisighellesi scopriamo che a primavera, oltre a sbocciare le ginestre, tra i calanchi maturano squisiti carciofi. A THORNY TREAT_ THE SPINY ARTICHOKE Spring time in the hills around Brisighella is a time when the broom is in flower and a particularly delicious artichoke is in season. The spiny artichoke or carciofo moretto, one of the typical products of the Lamone valley, has the peculiar characteristic of actually thriving in the hard, unyielding soil of its habitat. It's not a wild plant but is cultivated by a handful of passionate enthusiasts, thanks to whose efforts a vegetable forgotten by many people and unknown to even more is now making something of a comeback. One of the leading producers of the spiny artichoke is Vincenzo Farolfi, descendant of a family with a long tradition of farming the vegetable. At present the Farolfi artichoke farm covers one and a half hectares, with a total of 15,000 plants. Many of these plants are new, and others keep waiting every year the first sunny days to yield their exquisite artichokes. The spiny artichoke is a robust plant which can live for years and needs little in the way of special care: rocky ground, sunshine and a little water are generally enough to enable the plant to resist its natural parasites; more dangerous, in winter, are the ravages of wild boar and roe deer. The best time to harvest spiny artichokes is May, when their distinctive purplish heads with their tapering, pointed bracts can be seen nestling like precious flowers among broad, pointed leaves. In appearance they're rich yet a little harsh, just like the soil that yields them. Their flavour too is a distinctive blend of contrasts: bitterish but fruity, with a way of lingering on the palate that makes them instantly distinguishable from ordinary artichokes. There are many ways to enjoy the spiny artichoke from starter to dessert, but the best and simplest way to prepare it is with olive oil, preferably Brisighello oil, an equally distinguished product from the very same valley which is perfect for bringing out all the natural flavour of the artichoke. The external leaves are also used for making a liqueur, said by those who have tasted it to be an equally exquisite treat. Many people contribute to spreading the qualities of the spiny artichoke: farmers with their hard work, restaurants with their imagination, and all who believe in the rehabilitation of a product of considerable cultural value which is so representative of our region.
S
i tratta del carciofo moretto, prodotto tipico della Valle del Lamone, che ha la particolarità di crescere proprio sotto le argil-
le di un terreno povero e disagevole. Non sono piante selvatiche, ma coltivate da alcuni appassionati estimatori, grazie ai quali negli ultimi tempi si è potuto recuperare e riscoprire un ortaggio purtroppo dimenticato da molti e sconosciuto ai più. Vincenzo Farolfi è uno dei più importanti produttori di carciofo moretto, discendente di una famiglia che, per tradizione, destina da sempre parte dell'orto a tale coltivazione. Ad oggi la carciofaia del podere Farolfi ha un'estensione di circa un ettaro e mezzo, per un totale di 15.000 piante di moretto. Molte di queste sono piante nuove, benché ve ne siano anche alcune che da diversi anni continuano ad attendere i primi caldi per produrre carciofi, sempre squisiti. Il carciofo moretto può infatti raggiungere una certa longevità, essendo una robusta pianta selvatica e necessitando di pochi requisiti ambientali: terreno spigoloso, soleggiato e un po' d'acqua. Questi gli elementi che bastano al nostro ortaggio per resistere ai parassiti naturali; più temute, d'inverno, sono le incursioni di cinghiali e caprioli. Il tempo ideale della raccolta è il mese di maggio, momento in cui, fra le foglie ampie e appuntite, sbocciano come fiori pregiati i carciofi dal caratteristico color violaceo, dalla forma affusolata e con le foglie acuminate. Un aspetto armonico ed allo stesso tempo pungente, proprio come la terra da cui prendono vita. Anche il sapore è particolare e composto di contrasti: gusto amarognolo ed allo stesso tempo fruttato, un sapore vegetale persistente così riconoscibile da potersi differenziare facilmente rispetto ai carciofi tradizionali. Tale prelibatezza si può gustare in tanti modi, dai primi piatti fino al dessert, ma vogliamo ricordare che la preparazione più semplice e migliore in cui il moretto riesce ad esprimere tutto il suo gusto è sott'olio, utilizzando magari la varietà Brisighello; un abbinamento importante attraverso cui si incontrano due prodotti notevoli e pregiati della stessa vallata. C'è anche chi ha utilizzato le foglie esterne della pianta per farne un liquore e, a detta di chi lo ha gustato, anche in questo caso il risultato è nuovamente sorprendente. Sono molte le persone, ognuna a suo modo, che contribuiscono a diffondere il valore del carciofo moretto: i produttori
foto di Fabio Liverani
con la loro opera, i ristoratori con la loro fantasia insieme a tutti coloro che credono nel recupero e nel rilancio di un prodotto di così grande valore culturale e così rappresentativo della nostra terra.
E n oga s t r on omi a
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Leone Conti Viticoltore cre a tività e s pe rime n ta z ion e in v ig na “Per me si doveva aprire la strada notarile, ma poi la vita ha voluto che mi occupassi di vigneti, di vitigni e di vinificazione […] ho scoperto quanto spazio ci sia per caratterizzare una bottiglia di vino con la propria personalità”.
U
na storia forse insolita, ma contenente il seme della filosofia di questa azienda posta a Faenza, nel centro della Romagna, che attraverso una quindicina d'anni di gestione Leone Conti ha saputo condurre verso alti livelli d'eccel-
lenza. Un'attività legata indissolubilmente al carattere del suo titolare, che nutre da sempre l'aspirazione di procedere nella ricerca e nella sperimentazione di nuovi vini, di nuove sfumature, di nuovi profumi. Tradizione, tecnologia, ma principalmente creatività sono le parole chiave che contraddistinguono questa azienda vitivinicola estesa su 42 ettari, 18 dei quali occupati dal vigneto specializzato e 1 da ulivi. Negli ultimi anni sono stati inoltre realizzati 8 ettari di nuovi impianti volti al miglioramento qualitativo della produzione: “Abbiamo vigne coltivate a cordone speronato come quelle di sangiovese destinate a produrre il Superiore Doc e vigne con la tradizionale pergola romagnola per la produzione di Albana Docg”. La progressiva crescita dell'azienda ha permesso ai vini di Leone Conti di comparire sulle carte d'un numero sempre maggiore di ristoranti italiani ed esteri. Un palese riconoscimento che non può che incoraggiarlo a proseguire ulteriormente lungo il proprio percorso di ricerca e innovazione.
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Carlo Zauli
LEONE CONTI, WINEGROWER_ WHERE CREATIVITY GOES HAND IN HAND WITH EXPERIMENTATION “I was marked down for a career as a notary, but vineyards, vines and winemaking turned out be my true calling […] I've discovered how much potential there is for the winemaker to impress his own personality on a bottle of wine.” An unusual story, but one which contains the germ of the philosophy which this winery in Faenza in the heart of Romagna, which in its fifteen years of existence Leone Conti has taken to exceptional heights of refinement. Conti's winery is very much a reflection of his own character and aspirations and his endless experimentation in new wines, nuances and aromas. Tradition, technology and above all creativity are the key to Conti's 42-hectare estate, with 18 hectares dedicated to special vines and 1 to olives. A further 8 hectares of production facilities have been added recently to improve quality: “Some of our wines we grow on spurred cordon, like the ones that produce our Superiore Doc. Others we grow on the traditional Romagnol pergola, for wines like Albana Docg”. With the estate growing constantly, Leone Conti's wines have begun to appear on the wine lists of leading restaurants in Italy and abroad. A manifest recognition of his achievements that can only spur him on to further innovations. Le Betulle _ Sangiovese di Romagna _ Grapes: 100% Sangiovese This is the estate's leading Sangiovese, a rewarding combination of texture, bouquet and intense sensation. Dominant notes are wood and fruit, with the second prevailing. Vinification involves 15 days of malolactic fermentation in wood vats followed by 15 months' ageing. The colour is deep ruby, the aroma fruity, with notes of cherry and blackberry. The flavour is elegant and well-balanced. Goes well with white and roasted meats, all red meats, game, and mature cheeses. (Tu chiamale se vuoi) Emozioni _ Sauvignon Blanc _ Grapes: 100% Sauvignon Blanc The idea behind this wine is to create something quite different. Every stage in the process, from the birth of the grape to pressing, is painstakingly monitored to produce a wine which is captivatingly original. The grapes are harvested by hand in mid-October, with the bunches affected by the sugar-enhancing mould known as muffa nobile or noble rot specially selected. After fermentation the wine is aged in oak barriques for 18 months. The colour is an intense golden yellow, the aroma potent with exotic fruits and pineapple. The flavour is sweet but not cloying, conducive to meditation.
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Pis and lov _ Ravenna Rossonero IGT _ Grapes: 90% Syrah, 10% Sangiovese The idea: “We need peace and love to make the world a better place to live in.” Harvest is by hand and takes place at the end of October. Vinification involves 30 days' malolactic maceration in wood vats followed by 9 months' ageing in oak casks of 225 and 300 litres. Annual production runs to around 3500 75 ml bottles, plus a limited edition of magnums.
Per vitem ad vitam. Proverbio latino
Le Betulle _ Sangiovese di Romagna _ Uve: 100% Sangiovese È il Sangiovese più importante per l'azienda, un connubio tra stoffa, bouquet e intense sensazioni. Un'unione tra legno e frutto, nel quale il secondo deve predominare. La vinificazione comporta 15 giorni di macerazione malolattica svolta in legno durante l'affinamento di 15 mesi. Il colore è rosso rubino intenso, l'odore è fruttato, con sentori di ciliegia e frutti di rovo. Il sapore è elegante e armonioso e gli abbinamenti ideali sono con carni bianche e arrossite, carni rosse in genere, selvaggina, formaggi stagionati. (Tu chiamale se vuoi) Emozioni _ Sauvignon Blanc _ Uve: 100% Sauvignon Blanc L'intento è di creare emozione attraverso un vitigno trattato in modo inusuale. È seguito con trepidante attesa, dalla nascita del grappolo alla pigiatura dell'uva, per realizzare un prodotto adatto a chi vive le novità con rinnovato stupore. La vendemmia è manuale e si svolge verso metà ottobre con selezione di grappoli colpiti da muffa nobile. Alla fermentazione segue l'affinamento in barrique per 18 mesi. Il colore è giallo dorato intenso, l'odore di frutta esotica e ananas è potente, il sapore dolce non dolce, da meditazione. Pis and lov _ Ravenna Rossonero IGT _ Uve: 90% Syrah, 10% Sangiovese L'idea: “Vogliamo pace e amore per vivere un mondo migliore”. La vendemmia: manuale avviene a fine ottobre. La vinificazione comporta 30 giorni di macerazione malolattica svolta in legno cui segue l'affinamento di 9 mesi in botti di rovere da 225 e 300 litri. La produzione annua è di circa 3500 bottiglie da ml 750, cui si aggiunge un simbolico numero limitato di bottiglie magnum. E noga s t r on omi a
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BEYOND SURFACE AU DELA DE LA SURFACE
foto di Luciano Liuzzi
A les s a n d ro A n t o n e l l i
Fontane come haiku l e not e l i qu ide di Ton in o Gu e rra HAIKU FOUNTAINS_ THE LIQUID MUSIC OF TONINO GUERRA Le cose che si perdono non hanno voglia di farsi trovare. Tonino Guerra
foto di archivio
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“[…] We should not disturb what is old, no matter how big or small the memories it holds; not even a crumbling wall but we can place something beside it that speaks of our own times. That's what I like doing. For me it's almost a theatrical thing.” This is one of the many facets of poet Tonino Guerra's work. While his fountains are real, they also play a different but no less crucial role compared with other times; in a Romagna where water is now abundant, it's time to stop and reflect that's becoming an increasingly rare commodity. The Voice of the Leaf, a fountain installed in the Orto dei frutti dimenticati in Pennabilli, evokes the idea of the tree as a source of life and poetic inspiration. The large oakwood outline of a leaf (by the Gruppo del Ferro cooperative together with Luigi Berardi - see p. 14) rises from the earth, water gurgling down copper veins which trace the internal nerves of the leaf. The base is an old millstone fringed by pebbles. The form of this giant leaf is a kind of signature for Guerra, who has placed it among other works of art as the archetype of the “classical” leaf. In similar spirit is Guerra's Water Tree on the panoramic terrace of Piazza Salvador Allende in Torriana. This was the first fountain built in Val Marecchia after an idea by Tonino Guerra (with Rita Ronconi and Claudio Lazzarini). It's in the form of a mulberry tree with a bronze trunk, its “branches” formed by criss-crossing spouts of water. Guerra uses the leaf to evoke the tree while, metonymically, the tree evokes a river. Its a device which is echoed in one of his poems, Il Marecchia è l'albero dell'acqua: “Marecchia is a water tree / whose branches slip through stony ground.” The stony ground in question is rich in fossils, which for Guerra are like nature's memory: as he says, they “carry inside themselves the infancy of the world” - a notion which is the inspiration behind the Fountain of Memory in Piazza di S. Rocco, Poggio Berni - a giant reproduction of a prehistoric snail known as an ammonite, made of Montefeltro stone and sculpted entirely by hand. The circular forms houses an internal spiral cavity through which the water runs, turning like the screw of a millstone. In Guerra's own words, “This fossil is for people who want to stop a minute and cast their minds back in time”. To the modern descendant of the ammonite, the humble snail, is dedicated the Snail Fountain in Sant'Agata Feltria, consisting of no fewer than 300,000 multicoloured and gilt tesserae made by Marco Bravura. This unusual work of art is particularly impressive when seen from the stairs descending from the upper part of village to the small square it occupies.
“[…] non si deve disturbare quello che c'è di antico, le grandi memorie o anche le piccole, anche un muro sgretolato, però gli si può mettere accanto qualcosa che ricordi i tempi nostri. Ed è ciò che mi piace. Questo mio agire per me è quasi una cosa teatrale.”
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uesta è una delle sfaccettature dell'arte di Tonino Guerra. Le sue fontane, pur conservando l'antica funzione riservata a questi strumenti, hanno un ruolo diverso ma non meno cruciale di quello di un tempo; dimorando in una Romagna dove l'acqua è un bene
oramai diffuso e i momenti di riflessione un dono sempre più raro. La voce della foglia, inserita nell'Orto dei frutti dimenticati a Pennabilli è dedicata all'idea di albero quale fonte di vita e di ispirazione poetica. La grande sagoma in legno di quercia di una foglia lobata (realizzata dal Gruppo del Ferro congiuntamente a Luigi Berardi, vedi pag. 14) si eleva da terra, venature di rame dalle quali zampillano i getti della fontana ne disegnano la nervatura interna ed un'arcaica macina da sale attorniata da antichi ciotoli le funge da basamento. La forma che quest'opera riproduce equivale ad una firma per Guerra, che l'ha raffigurata entro innumerevoli altre creazioni artistiche considerandola l'archetipo della foglia “classica”. Sempre al soggetto arboreo è dedicata L'albero dell'acqua, a Torriana, posta sulla splendida terrazza panoramica in Piazza Salvador
Allende. È la prima fontana realizzata in Val Marecchia da un'idea di Tonino Guerra (coadiuvato da Rita Ronconi e Claudio Lazzarini) e rappresenta un gelso con il tronco di bronzo i cui rami vengono idealmente ricreati dagli spruzzi d'acqua. Guerra si serve della foglia per evocare l'albero e, attraverso una successiva sinèddoche, dell'albero per simboleggiare un fiume. Ne troviamo riscontro nel frammento della poesia Il Marecchia è l'albero dell'acqua che recita: “Il Marecchia è un albero d'acqua/ coi rami che scivolano tra la sassaia”. Proprio queste pietraie sono ricchi giacimenti di fossili, frammenti che nel pensiero di Guerra ben rappresentano la memoria della natura poiché, come suole dire, “portano con sé l'infanzia del mondo”, a ciò s'ispira la Fontana della Memoria posta nella Piazza di S. Rocco a Poggio Berni. Una riproduzione ingigantita del fossile di un'ammonite (lumaca millenaria) realizzata in pietra di Montefeltro ed interamente scolpita a mano. La sua forma circolare ospita internamente un incavo a spirale che permette all'acqua di scorrervi, quasi a ricordare la macina di un mulino. Nei propositi di Guerra “Questo fossile dovrebbe tenere compagnia a chi ha voglia di fermarsi qualche momento e viaggiare nei sentieri della memoria”. Alla contemporanea discendente dell'ammonite, la comune chiocciola, è dedicata invece a Sant'Agata Feltria La fontana della chiocciola, composta da 300.000 tessere di mosaico policrome e dorate (realizzata da Marco Bravura). L'originale opera accoglie coloro che discendono dalla parte alta del borgo alla piazzetta sottostante srotolandosi sulla scalinata che le unisce. Un invito alla lentezza in
foto di Luciano Liuzzi Arte
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gruppo di foto di Luciano Liuzzi
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I Sensi di Roma gna
It's an enjoinder to move in pace with time, or to paraphrase an Amazonian proverb much loved by the poet: go too fast and you risk leaving your soul behind. Also by Bravura, and dedicated to another denizen of the meadows (and folk tales) so beloved by Guerra, the Fountain of Butterflies in Piazza Matteotti, Sogliano al Rubicone, is a multicoloured tapestry measuring three metres by two, again made entirely in hand-cut mosaic. Among the butterflies set in a blanket of brilliant red, orange and gold mosaic, a larger butterfly seems about to take to the air, its form rising from the mosaic as if breaking free from its two-dimensional confinement. The latest of Guerra's fountains made from mosaic can be seen between two former salt warehouses in Piazzale dei Salinari, Cervia. This fountain is called Flying Carpet and with its double message combining symbols from tradition and folklore is considered one of the poet's most fascinating works. It's in the form of a large (3 x 5m) carpet on which lie two heaps of salt; the carpet itself seems to be suspended in the air by jets of water in the centre of a large, irregularly shaped basin at the side of which stands a clump of reeds. Tonino Guerra loves the Romagnol coast. After his failure to persuade the authorities to broadcast thunderstorms from loudspeakers on the beaches during the height of summer, he conceived (with Stefano Coveri) The Rain Wood in Piazzale Roma, Riccioine, as his gesture of love for the rain - and this in a place where rain is not always welcome. Six columns of layered glass (by Stefano Baldassarini) which take on every shade of green when lit by sunlight support seven hand-made fishing nets from which water falls in a perpetual drizzle: drops of water to irrigate thought. Finally, in Santarcangelo di Romagna, is Guerra's invitation to contemplation as orchestrated by the gurgle of water is the Fountain of Francesca da Rimini, in the town's Villino gardens. This small fountain-sculpture, based on an idea by Guerra with execution by Rita Ronconi, comprises an ancient oil jar from which water gushes and a triangular basin in which stand five totems in Furlo stone, decorated with low reliefs with stylized versions of Guerra's drawings. It's a symbolic tribute to Paolo and Francesca, the lovers of Dante's Inferno whose passion may well have blossomed on this very spot. The fountains devised by Tonino Guerra are a kind of artistic emporium where all the poet's favourite themes and talents flow together. Hopefully this brief sketch is enough to whet your appetite for an unusual and interesting tour in which water is the common element, a world of creations rising from a common source: the poet's imagination. Fountains that are like a leavening for the imagination of the observer, and which have the no less noble function of helping us see with different eyes the places they occupy - places quite literally drenched in legend and tradition.
tempi nei quali, parafrasando un proverbio amazzonico caro al poeta: andando troppo veloci si rischia che l'anima resti indietro. Sempre realizzata da Bravura, dedicata ad un altro abitatore dei prati (e delle favole) particolarmente cara al maestro, La Fontana delle Farfalle, sita in Piazza Matteotti a Sogliano al Rubicone, si presenta come un tappeto multicolore di tre metri per due, realizzato anch'esso con il tradizionale taglio a mano delle tessere. Delle farfalle impresse nel mosaico, che gioca cromaticamente sulle tonalità dominanti del rosso, arancio e giallo oro, una più grande sembra sul punto di librarsi in volo ed il suo contorno esce dalla bidimensionalità del mosaico. Troviamo l'ultima delle fontane suggerite da Guerra imperniate sulla tecnica del mosaico a Cervia, in Piazzale dei salinari, area compresa tra i due antichi magazzini del sale. È intitolata Il Tappeto sospeso e viene considerata una tra le più affascinanti opere del poeta poiché contiene un duplice messaggio, intersecando simboli riconoscibili della tradizione e prototipi della favola. Il grande tappeto di metri 3x5 trasporta alcuni cumuli di sale, idealmente sospeso su diversi getti d'acqua che paiono formare un manto di nuvole sulla larga pozza irregolare dalla quale si erge un ciuffo di canne. Tonino Guerra ama la costa romagnola, non essendo riuscito a convincere le maestranze a far trasmettere dagli altoparlanti della spiaggia il suono del temporale durante le ore della canicola, ha ideato (insieme a Stefano Coveri) Il Bosco della pioggia, portando a Riccione, in Piazzale Roma, il suo atto d'amore per la pioggia; in una località dove non sempre è la benvenuta. Sei colonne di vetro stratificato (opera di Stefano Baldassarini), che attraversate dalla luce del sole acquistano tutte le sfumature del verde, sostengono sette reti da pesca lavorate a mano da cui cade una continua pioggerella; gocce d'acqua che bagnano i pensieri. A Santarcangelo di Romagna, l'invito di Guerra alla contemplazione accompagnata dal mormorare dell'acqua si concretizza infine ne La Fontanella di Francesca da Rimini, ospitata nel parco del Villino. La piccola scultura ideata dal poeta (sviluppata insieme a Rita Ronconi) si compone di un antico coppo da cui sgorga l'acqua e di una vasca triangolare dalla quale si stagliano cinque totem in pietra del Furlo, lavorata con bassorilievi che raffigurano in maniera stilizzata i disegni di Guerra. Un simbolico omaggio a Paolo e Francesca, il cui amore, secondo il poeta, per quanto ne sappiamo sarebbe potuto benissimo sbocciare proprio qui. Le fontane sono nei pensieri e nelle opere artistiche di Tonino Guerra una sorta di crocevia dove confluiscono i temi e i talenti cari al maestro. Questa abbozzata panoramica si proporrebbe l'intento di tratteggiare e suggerire un percorso tematico legato all'acqua, attraverso il mondo di opere scaturite dall'immaginario del maestro. Opere che oltre ad agire da enzima per la fantasia di chi le contempla, hanno il non meno nobile compito di aiutare a cogliere con occhi diversi i luoghi intrisi di memoria che abitano e fedelmente accompagnano.
foto di Luciano Liuzzi Arte
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Viola Emaldi
Alberto Sughi
immagine di archivio
u n a le ttera, un i nc ont ro, una s ce lta
Caro Sughi, Avevo visto con grande interesse il suo dipinto presso l’amica Annarella Salvatore ed ora sono veramente lieto di avere con me fotografie di altri suoi dipinti quasi tutti sorprendenti (...) anche solo il fatto di sapere che nel concerto “realistico” italiano esista la pittura di Sughi, mi rallegra e mi conforta molto (...). Suo aff. Roberto Longhi.
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I Sensi di Roma gna
ALBERTO SUGHI_ A LETTER THAT CHANGED A CAREER Alberto Sughi, a member of the existential realist school of Italian painters, first made a name for himself in the early 1950s. He lived in Rome from 1948 to 1951, where he made contact with the artistic circles of the capital and quickly established himself as a leading exponent of neo-realism with his paintings on Resistance themes. In 1956, the year he exhibited at the Venice Biennale, he also exhibited in his own show at Galleria del Pincio. As Sughi recalls: “Most of my paintings were sold, and I went back to work at my studio in Cesena, in the 15th-century keep of the Rocca Malatestiana. The success of the exhibition left me feeling a mixture of exhilaration and apprehension.” A few months later, on 4 July 1957, he received a letter postmarked Florence. On the back of the envelope was the sender's address - but no name. “I opened it and looked at the bottom of the page, where I saw the signature of Roberto Longhi, the famous art historian. It started my heart racing.” Sughi did not know Longhi personally but was acquainted with his writings, especially his studies of the Italian masters from
immagine di archivio
Alberto Sughi, uno degli artisti italiani del cosiddetto “realismo esistenziale”, irruppe sulla scena agli inizi degli anni '50.
T
rasferitosi a Roma tra il 1948 ed il '51, egli entrò in contatto con l'ambiente artistico capitolino, divenendo ben presto un esponente di spicco della pittura neorealista ed esponendo tele su tema-
tiche legate alla Resistenza. Nel 1956, anno in cui espose anche alla Biennale di Venezia, allestì la sua prima personale alla Galleria del Pincio. Ricorda l'artista: «La maggior parte dei quadri fu venduta, ricominciai a lavorare nel mio studio di Cesena dentro il torrione quattrocentesco della Rocca Malatestiana. Il consenso che incontrai mi lasciò un misto di compiacimento e d'inquietudine». Poi, dopo qualche mese, precisamente il 4 luglio 1957, giunse da Firenze una missiva. Sul retro della busta campeggiava l'indirizzo del mittente ma non il nominativo. «La apro, vado al fondo della pagina, leggo la firma: Roberto Longhi, il celebre e prestigioso storico dell'arte. Il mio cuore accelerò il suo battito». Sughi non conosceva Longhi ma i suoi scritti, soprattutto la rivisitazione della pittura antica da Masaccio fino a Caravaggio, e sentiva di appartenere alla sua scuola. Era, quello, un tempo di forti contrapposizioni; si fronteggiavano, all'epoca, la scuola longhiana e la scuola venturiana. Lionello Venturi sosteneva la corrente astratta, Longhi la figurazione. Poi, il 3 ottobre, dopo vari scambi epistolari, avvenne l'incontro tra i due, a Villa il Tasso, nell'ampio studio dell'autorevole studioso d'arte. Così commenta Sughi: «Longhi era seduto ad una grande scrivania dove, fra pile di carte e libri, stava dormendo un enorme gatto persiano di colore grigio. Ricordo dipinti antichi alle pareti ma anche un bellissimo Giorgio Morandi e una splendida marina di Carlo Carrà. All'ingresso avevo gettato l'occhio sul Bacchino col ramarro di Caravaggio». Gli incontri si fecero frequenti, ricorda il cesenate, e «forse alla terza conversazione la pittura moderna diventò l'argomento centrale». Lo sguardo di Longhi ad un pittore appena apparso sulla scena, la generosità del suo apprezzamento e del sostegno intellettuale ad una posizione che dava conto di questo disagio, il suggerimento che la sua scelta non si perdesse fra equivoci e falsi traguardi, sotto la suggestione delle sirene ideologiche e di mercato, esortarono Sughi a tenere ferma la barra di orientamento, a crescere su di sé, senza falsità. Fu grazie alle parole del critico che il maestro romagnolo capì meglio le motivazioni per cui attenersi alla scelta figurativa. I rapporti, ad un certo punto, si allentarono fino a sfumare. «Non ci furono ragioni particolari. Ci si vide un po' meno, poi di meno ancora finché, lentamente, vai da un'altra parte». Ma il pittore non abbandonò mai i significati di quei colloqui: «Gli debbo la mia formazione intellettuale. Senza quegli incontri la mia strada sarebbe, forse, stata un'altra». immagine di archivio
Masaccio to Caravaggio, and sympathized with Longhi's views. At this time art theory was strongly divided between the opposing theses of Longhi and Lionello Venturi, another distinguished critic. Venturi championed abstract art; Longhi favoured figurative. So, on 3 October of the same year, after various exchanges of letters, the two men met in Longhi's spacious study in Villa il Tasso. Sughi remembers the meeting: “Longhi was sitting at a large desk; an enormous grey Persian cat lay sleeping among heaps of papers and books. I remember seeing paintings by old masters on the walls, as well as a beautiful Giorgio Morandi and a wonderful seascape by Carlo Carrà. In the hallway I'd caught a glimpse of Caravaggio's Boy Bitten by a Lizard.” The two men met frequently after this first encounter. “Maybe by our third conversation the talk began to turn to modern art,” recalls Sughi. The regard in which Longhi held an artist who had only recently appeared on the scene, the generosity of his esteem and the strength of his arguments in favour of the artist's orientation, his insistence that Sughi beware false pretensions and the siren calls of ideology and market, helped Sughi to keep a firm grip on the helm in his voyage of development as an artist. Thanks to the words of the critic the Romagnol artist was able to better understand his own commitment to figurativism. Sughi's encounters with Longhi eventually became less frequent until they lost touch completely. “There was no particular reason. We saw each other a little less, then less still, until eventually we went our separate ways.” But Sughi has never forgotten the importance of his conversations with Longhi: “I owe my intellectual development to him. Without those encounters I would maybe have taken a different road.”
foto di archivio
Arte
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Territorio Una lunga “frattura” attraverso i poggi_ la Vena del Gesso romagnola The fractured hills_ Romagna's Vena del Gesso Un bagno al fiume... ...a Bocconi d’estate
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A dip in the river… ...Bocconi in summer
Storia Pipinè_ la voce di Faenza Pipinè_ The voice of Faenza Gli Accoltellatori_ la costruzione di un processo (1865-1875) The knifemen_ Fabrication of a trial (1865-1875)
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Passioni Sogni d’autore_ Luigi Berardi, poeta del visibile
Il Castello di Montebello e la sua eterea “presenza”_ il mistero di Azzurrina The ghost of the castle of Montebello_ The mystery of Azzurrina
Luigi Berardi_ Poet of the tangible and the untangible Capitano (di ventura) e gentiluomo_ Giovanni Acuto, onorato in Romagna per il suo valore Soldier of fortune and gentleman_ John Hawkwood, a Romagnol hero
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Enogastronomia Spinosa prelibatezza_ il carciofo moretto A thorny treat_ The spiny artichoke Leone Conti Viticoltore_ creatività e sperimentazione in vigna Leone Conti, winegrower_ Where creativity goes hand in hand with experimentation
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Arte Fontane come haiku_ le note liquide di Tonino Guerra Haiku fountains_ The liquid music of Tonino Guerra Alberto Sughi_ una lettera, un incontro, una scelta Alberto Sughi_ A letter that changed a career
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I S en s i d i Ro m a g na