Magazine EE nr 16

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I Sensi di Romagna Periodico edito da CERDOMUS Ceramiche S.p.A.

numero 16.

luglio 2007 Periodico edito da CERDOMUS Ceramiche S.p.A. 48014 Castelbolognese (RA) ITALY via Emilia Ponente, 1000 www.cerdomus.com Direttore responsabile Luca Biancini Progetto Carlo Zauli Luca Biancini Grafica e impaginazione Jan Guerrini/Cambiamenti per Divisione immagine Cerdomus Coordinamento editoriale Alessandro Antonelli Redazione Giuliano Bettoli Stefano Borghesi Marcello Cicognani Franco De Pisis Italo Graziani Vanna Graziani Paolo Martini Manlio Rastoni Tatiana Tomasetta Carlo Zauli Foto Archivio Cerdomus Archivio Giuliano Bettoli Archivio Stefano Borghesi Archivio Marcello Cicognani Archivio Fattoria Camerone Archivio Paolo Martini Jan Guerrini Ettore Pezzi si ringraziano _ Ufficio Turismo di Bertinoro _ Museo virtuale balnea.net _ Federico Lucchini, Foto Speedy _ Stefano Tellarini _ Ufficio stampa M.I.C. si ringrazia per la preziosa collaborazione Maddalena Becca/Divisione immagine Cerdomus Traduzioni Traduco, Lugo Stampa FAENZA Industrie Grafiche ŠCERDOMUS Ceramiche SpA tutti i diritti riservati Autorizzazione del Tribunale di Ravenna nr. 1173 del 19.12.2001


E

state è sole: equazione elementare che nasce dai sensi, non certo dal calcolo. E il sole si manifesta in ognuno dei bozzetti scritti presentati da questo numero di

ee.

Il sole che proiettando la sua ombra indica il passare del tempo, il cui riverbero scintilla sulle onde dell’Adriatico, concedendo un’aurea cornice alla Riviera di tutte le epoche. Il sole che gonfia gli acini d’uva abbarbicati alle viti romagnole, e matura il cocomero, creato a sua immagine e, dunque, simbolo vegetale della bella stagione. Il sole che picchia duro sulla testa degli abitanti della Romagna forgiando caratteri testardi e geniali, parlando agli spiriti più sensibili la lingua dell’abbaglio. Lo stesso sole che, ogni giorno, prima di inabissarsi nell’orizzonte, concede una replica del suo più solenne spettacolo d’improvvisazione, il tramonto impressionista. La Redazione di

ee

Summer means sunshine: it’s an elementary association that operates through the senses, not the intellect. And the sun features strongly in each of the articles in this issue of ee. Its shadows, which allow us to measure the passage of time; its reflected light, scintillating on the waves of the Adriatic like a golden frame for the Riviera and the ups and downs it’s endured through the ages. The heat of the sun, which swells the grapes on the vines of Romagna and ripens the watermelon – one of the sunniest of fruits and an appropriate symbol of la bella stagione. The sun which burns down from the summer sky above Romagna, forging the obstinate and genial character of its inhabitants and endowing them with a gift for dazzling language. The same sun that every day performs a solemn and spectacular variation on the same eternal theme – the Impressionistic sunset. The editorial staff of ee

Editoriale

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qua t c a e

r

ra

fuoco

a r ia


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Tante popolazioni hanno pensato, nei millenni, di sfruttare la luce del sole, o meglio l’ombra che essa origina, per misurare lo scorrere del tempo; tecnica e precisione nello stabilire la successione delle ore e delle stagioni possiedono infatti il carattere dell’universalità.

L

a nostra voglia di misurare il tempo, dunque, sembra eterna: si può ipotizzare che, dopo la coscienza, questa necessità sia uno dei tratti

distintivi della specie umana. Cercare dei punti di riferimento nelle presenze più significative, quali il sole, la luna e le stelle, è probabilmente da sempre insito nei nostri geni. In effetti la meridiana è un segno indelebile di un connubio uomo-natura di intenso valore simbolico e culturale. Come per una favola, ogni orologio solare ha una storia e la sua realizzazione è frutto di riflessione e conoscenza. Nelle nostre campagne costruire una meridiana sulla facciata significava anche conferire un’identità a

I t a l o e Va n n a Gra z i ani

quella casa, a quell’edificio: usando un termine religioso, si trattava di una

Arloi da sol

sorta di “battesimo”. Nella zona di Russi le case contadine decorate da una meridiana sono circa una decina: quattro di queste, essendo state costruite recentemente, mostrano un evidente apporto di materiali contempora-

m e r i d i a n e i n p i a n u ra : v i a g g i o b re v e i n B a s s a R o m a g n a

(...) che cosa è, allora, il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so (...)

esempio, apparteneva a un generale la cui mente era rimasta profondamente segnata dalle vicende vissute durante il primo conflitto mondiale: dopo essere tornato a vestire gli abiti civili, oltre ad altre stranezze, egli aveva infatti rifiutato la misurazione convenzionale del tempo con l’orologio e fu la meridiana a regolare il resto della sua vita. A Prada si trova un’altra abitazione particolare, con la facciata orientata ad est ed un orologio solare posto su di un angolo della casa, con la doppia funzione di indicare le ore del mattino e quelle del pomeriggio su lati diversi dell’abitazione. Del resto, se il principio che sta alla base delle meridiane è unico, cioè l’ombra dello gnomone proiettata su di una superficie piana con segni che indicano le ore, lo stile e i materiali con cui viene costruita possono invece essere molto vari a seconda della tradizione del luogo, del periodo

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I Sensi di Romagna

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storico e della “fantasia” del creatore. Ne esistono infatti di tantissimi tipi,

Sant’Agostino

nei e un design moderno, le altre sono ben più antiche. Una di queste, ad

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And the things you can't remember Tell the things you can't forget that History puts a saint in every dream Tom Waits

“ARLOI DA SOL”_ SUNDIALS ON THE PLAIN: A BRIEF VOYAGE AROUND BASSA ROMAGNA orizzontali e verticali, in ceramica, in mosaico, dipinte, in marmo (inserite nella struttura stessa della parete) o in ferro (legate alla foggia simbolica della ruota a raggi). Spesso le forme antiche ed essenziali sono anche le più armoniose e adatte alla sobrietà delle vecchie abitazioni della nostra zona, come la bella casa vicino al “ponte dell’Albergone”, che affascina,

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I Sensi di Romagna

Ma bisogna ricordare che l’orologio solare non era tradizione esclusiva delle case private. Le chiese, infatti, erano frequentemente provviste di una

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nella sua semplicità, quando la si osserva dalla riva del fiume Lamone.

sorta di lucernaio o feritoia da cui entrava un sottile raggio di luce che segnava l’ora su di un’apposita linea orizzontale. Una sorta di meridiana sul pavimento in prossimità dell’altare, carica di un profondo valore emblematico e spirituale, e parallelamente deputata al preciso intento pratico di indicare l’ora della preghiera, fondamentale per la vita monacale e per i riti liturgici. Infine, l’aspetto forse più interessante degli orologi solari è il motto che sempre li accompagna: con un gesto d’amore si attribuisce un nome ad un bambino quando viene al mondo, ed allo stesso modo si usa scrivere una frase quando “nasce” una meridiana. Di solito si tratta di una breve sentenza in latino, che può essere un proverbio o un consiglio: Ruit ora cioè “Il tempo corre”, Carpe diem “Cogli l’attimo”, Vide et vade “Guarda e vai”. perderne e ne avrai abbastanza”, “Il tempo passa ma l’eternità resta” o perfino giochi di parole: “Parlo in silenzio” oppure “Cammino senza piedi e parlo senza lingua”. Non mancano poi i motti augurali, come: “Che l’ora

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In altri casi sono frasi più articolate, come “Il tempo è come il denaro, non

sia buona per tutti”, ma nella maggior parte dei casi, come abbiamo visto, si fa riferimento al tema della fugacità della vita e dell’inesorabile scorrere del tempo. Del resto la meridiana, per il principio stesso che sta alla base del suo meccanismo, ossia la luce del sole, non può che farci ricordare i nostri limiti, la breve durata della nostra esistenza rispetto all’eternità del tempo e della terra. Ecco perché, in qualche caso, un orologio solare è diventato la testimonianza di una vita per coloro che verranno: a Santerno si racconta di un padre gravemente malato che ha commissionato ad un artista la costruzione di una meridiana sulla casa di famiglia, un dono per l’amata

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figlia, a perpetuare il suo affetto finché il sole la illuminerà. foto d’archivio

Over the millennia, so many cultures have used sunlight – or more properly the shadow that sunlight casts – to measure the passage of time and the succession of the seasons that it can fairly be described a universal of human nature. Our will to measure time, in other words, seems to be as old as humanity itself: we might even say that, after consciousness, it is one of the most distinctive traits of the human species. The urge to look for points of reference in the sun, moon and stars may well be an innate quality, something we carry in our genes. And the sundial is one of the most enduring tokens of a union between humanity and nature whose symbolic and cultural value is immense. Like the folk tales of oral tradition, every sundial has its own history, and the origins of each lie in a careful combination of craft and knowledge. In Romagna, the act of placing a sundial on the face of a building also conferred a certain identity on the house which bore it: or to borrow a religious term, it was a sort of baptism. In the town of Russi, for example, around ten houses are decorated with a sundial. While four of these are evidently of recent construction, as their materials and design show, the others are much older. One of these older sundials, for instance, belonged to a general whose mental faculties had been profoundly affected by his experiences in the First World War: once back in his civilian apparel he began to show various signs of eccentricity, one of which was his refusal to live by the conventional measurement of time – and it was according to his sundial that he lived out the rest of his life. In Prada, meanwhile, on a house whose façade faces east, a sundial affixed to the corner of the house performs the double function of indicating a.m. and p.m. hours on different sides of the building. While the principle behind all sundials is the same – the shadow of the gnomon is projected onto a flat surface with markings indicating the hour - the style and materials used in making sundials can vary greatly according to location, tradition, historic period and the imaginative whims of their creators. And in fact there are countless types of sundial – horizontal or vertical, made from ceramic or from mosaic, painted, of marble (embedded in the actual structure of the wall) or of iron (whose form symbolically evokes a spoked wheel). The oldest and sparest forms are often the most attractive, however, and best suited to the sobriety of the old houses of Romagna. An example is the fine old house near the Albergone bridge, which presents a fascinatingly simple appearance when viewed from the banks of the river Lamone. Sundials are not only to be found on the walls of private houses, however. Churches too were often built with a kind of skylight or embrasure through which a narrow blade of sunlight could enter, tracking the hours on horizontal markings on the floor. These markings would typically be found on the floor near the altar, a location which imbued them with a profound emblematic and spiritual value – and practical value too, as they conveniently indicated the hours of prayer, a vital factor for monastic life and liturgical rites. Perhaps the most interesting features of sundials are the mottos which invariably accompany them: just as a child is given a name when it comes into the world, so the sundial was christened with a motto when it was “born”. Usually these mottoes took the form of a short phrase in Latin which would either be a proverb or an exhortation: Ruit ora (“Time Passes”), Carpe diem (“Seize the Day”), Vide et vade (“Look and leave”). In other cases the mottoes are more articulate, such as “Time is like money: don’t waste it and you’ll have enough”, or “Time passes but eternity remains”. Then there are plays on words or riddles, such as: “I speak in silence” or “I move without feet and speak without tongue”. Other mottoes express a wish: “May the time be ripe for all” for instance. In most cases, however, the motto evokes the fleetingness of life and the inexorable passage of time. And therein lies the power of the sundial – its very principle, the mechanism by which it works, the fuel which drives it, is sunlight, and this cannot help reminding us of our limits, of the brief duration of our existence compared to the eternity of time and the earth. That’s why the sundial has become a testimony of life for those still to live: in Santerno they tell the story of a man who was seriously ill and commissioned an artist to build a sundial on the walls of the family house as a gift for his beloved daughter – a way of perpetuating his love for as long as the sun shines.

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B

ertinoro, splendido borgo medievale immerso nel verde sulle prime colline tra Forlì e Cesena, è certo fra queste. Perfettamente conservato, attraversato da una scalinata medievale rimasta intatta e fregiato da palazzi storici, chiese, abitazioni e sentieri

che costeggiano antiche mura, non solo è “stravisitato” da turisti ed appassionati, ma è anche una delle mete favorite dagli abitanti di questo territorio, che di sera affollano le sue osterie ed enoteche. Detto il “balcone di Romagna” per la splendida vista, il borgo Castrum Britinori ebbe il titolo di Contea sotto il regno di Ottone III. Quando vi transitarono i pellegrini britannici, pensarono bene di fermarvisi e decisero anche di trovargli un nome più immediato: Bertinoro. La leggenda vuole invece che l’attuale nome derivi dall’affermazione pronunciata da Galla Placidia, sorella dell'Imperatore Teodosio, che bevendo l’“Albana" offertole in una rozza brocca, avrebbe esclamato: “Non di così rozzo calice sei degno, o vino, ma di berti in oro!”. Che sia vero o no,

Ta t i a n a Tom a s e t t a

l’Albana di Bertinoro è stato il primo vino bianco italiano ad ottenere il riconoscimento D.O.C.G., una delle eccellenze che hanno

Bertinoro

reso famoso questo borgo e la sua terra generosa. Ben lo sapeva Pellegrino Artusi, nato in questi pressi. La scuola artusiana insieme alla grande tradizione “piadinara” del luogo, ha reso il paese unico per la cucina tipica che si può assaporare nelle sue tante osterie, trattorie ed enoteche rigorosamente esposte su scorci e paesaggi da cui è possibile gustare anche incredibili tramonti.

monumento al viver bene

Molto conosciuta è poi la Pieve romanica di San Donato a Polenta, classificata come monumento nazionale. Dante qui riposò le sue stanche membra e Giosuè Carducci la fece oggetto del suo canto “La Chiesa di Polenta”. Bertinoro è inoltre sede di uno dei Nella vita scegliamo di raggiungere luoghi che quasi sempre

più importanti musei interreligiosi italiani. Dedicato all’Ebraismo, al Cristianesimo ed all’Islam, quest’ultimo rappresenta una

non sanno chi siamo. Li preferiamo, e le nostre scelte sono

testimonianza unica delle tre grandi fedi monoteiste. Ha sede in cima al paese, nella Rocca Vescovile costruita ad opera dei Conti

sostenute dall’azione di recarci a visitarli. Le suddette

di Bertinoro nel X secolo e recentemente restaurata. Ora è anche un centro residenziale universitario dell’Ateneo bolognese e vede

scelte, e le azioni che ne conseguono, posseggono una

scienziati e letterati giungere da tutto il mondo per partecipare ai congressi di portata internazionale che vi si tengono. Girando

fortissima energia ideale, sono esperienze che contengono

intorno al camminamento della Rocca e passando da un’apertura intagliata nella siepe si accede direttamente ad uno dei torrio-

un principio contagioso, seminando nella società e negli

ni, suggestivo punto da cui pare di potersi sdraiare tra le stelle. Questo forse è uno dei pochi angoli di Bertinoro poco conosciu-

individui l’archetipo della meta imperdibile.

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ti, custodito come un segreto delle giovani coppie a caccia di romanticismo.

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BERTINORO_ A MONUMENT TO LIVING WELL

John Steinbeck

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I Sensi di Romagna

Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone.

Sometimes in life it’s good to go somewhere nobody knows us. We choose our destination, and we go there. Our choices, and the actions they dictate, have the power to inspire new ideas. And there’s something contagious about these ideas – all of us have places we feel we have to see, at least once, as every society has its places of pilgrimage. For many people, Bertinoro, a splendid medieval village immersed in the rolling green hills between Forlì and Cesena, is certainly one of these places. This perfectly-preserved village is pierced by a totally intact medieval staircase and studded with historic palazzos, churches and houses all enclosed within ancient walls. Not only is it practically overrun by tourists and enthusiasts, it’s also a favourite excursion destination for the inhabitants of the surrounding region, who throng its inns and wine bars of an evening. Known as “The Veranda of Romagna” on account of the splendid views it affords, the former Castrum Britinori was made a county during the reign of Otto III. It may have received its present name from passing British pilgrims, who decided to remain there and also decided to give it a more accessible name: Bertinoro. According to legend, however, the name derives from an exclamation by Galla Placidia, sister of emperor Theodosius, when served some "Albana" wine in a rough pitcher: "You do not deserve so coarse a vessel, oh wine, but a golden cup!” (= berti in oro). True or not, Bertinoro’s Albana was the first Italian white wine to obtain D.O.C.G. (guaranteed and controlled denomination of origin) status, one of the many merits that have made this town and its generous soil so famous. The famous gastronomist Pellegrino Artusi, born not too far away, knew this better than most. Artusi and his followers celebrated the piadina flatbread and traditional cuisine of Bertinoro, which can still be enjoyed in the town’s many restaurants, inns and wine bars – all of which seem to be strategically located to afford their patrons spectacular views over the surrounding countryside and its unforgettable sunsets. Leading local monuments include the Romanesque church of San Donato in the nearby village of Polenta, now a national monument. Dante rested his weary limbs in this church once, and another poet, Giosuè Carducci, sang its praises in La Chiesa di Polenta. Bertinoro is also home to one of Italy’s most important inter-faith museums. Dedicated to Judaism, Christianity and Islam, the museum is a unique testimony to harmony between the three great monotheistic religions. It’s housed in the episcopal castle which towers over the town, built by the counts of Bertinoro in the 10th century and recently restored. The castle is also a student residence attached to the university of Bologna, and is a major conference venue where scientists and scholars from all over the world converge for major international events. In a place so busy with tourists and daytrippers, finding a quieter spot can be a challenge. But follow the path round the castle’s ramparts and you’ll come to an opening in the hedge that leads to one of the turrets. The view is so dizzying that at night you feel you could almost reach out and grab stars by the handful. You may not find yourself alone here though, for the turret is something of a well-kept secret among young couples... Territorio

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Le cose che una generazione considera un lusso, la generazione successiva le considera necessità. Anthony Crosland

S t e f a n o B o rg h e s i

d a v a n t i a l l ’A d r i a t i c o d e l ‘ 70 0

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La “prima” di una turista straniera Nella storia di un’affascinante marchesa, un filo congiunge le verdi sponde di Romagna e d’Irlanda.

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na cronaca manoscritta del Giangi, conservata nella Biblioteca Gambalunghiana di Rimini, recita così: “1790. Rimini, 28 agosto. Oggi è partita da qui la Signora Marchesa Rondanini di Roma, irlandese, stata per quindici giorni per attuffarsi nell’acqua di Mare”.

È un avvenimento straordinario per la storia della balnearità romagnola: la nobildonna è considerata la prima bagnante straniera certificata della Riviera. I Rondanini, nel ‘500, si trasferirono in un prestigioso palazzo di Via del Corso a Roma dalla Romagna, ove conservarono sempre il possesso di case e terreni nel territorio di Faenza. Nel ‘600 acquistarono un palazzo a Castel Bolognese ove furono soliti trascorrere periodi di vacanza. Nel 1784 il sessantenne marchese Giuseppe Rondanini impalmò Elisabetta Kenneis, una damigella irlandese, presumibilmente ventenne, da lui conosciuta nell’alta società romana. Nell’agosto del 1970 la marchesa interruppe il soggiorno a Castel Bolognese e decise di trascorrere quindici giorni di bagnature. Rimini fu scelta per probabili motivi di comodità. Era un posto tranquillo, lontano da occhi indiscreti e vicino a Cesena, patria di uno degli spasimanti della nobildonna: il duca Luigi Braschi, nipote del Papa. La giovane marchesa era di una bellezza tale da non passare inosservata. I pettegolezzi romani furono impietosi sulle sue presunte trasgressioni. Nella satira del Geminiani la nobile coppia Rondanini venne paragonata ad “Aurora con il vecchio Titone suo consorte”. Aurora, ovvero la bella Elisabetta, capelli rossi e corporatura slanciata, avrebbe avuto “occhi amorosi” e “labbra di paradiso”, che ammaliavano quanti la vedevano scarrozzare tutto il giorno sostituendosi al marito nella guida del calesse. Le sue sembianze, forse, sono impresse nel busto di una pastorella arcade conservata nel palazzo romano. La protagonista del primo bagno di mare di una turista straniera nella Riviera Romagnola si spense ancor giovane nel 1796. Fu suo foto d’archivio

destino soccombere al temuto “mal sottile”, che strappò prematuramente alla vita fragili creature romantiche come Violetta, immortalata da Giuseppe Verdi nella “Traviata”.

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A handwritten account by Giangi, now preserved in Rimini’s Biblioteca Gambalunghiana, reads as follows: “1790. Rimini, 28 August. Today saw the departure of Signora Marchesa Rondanini of Roma, an Irishwoman, who was here for a fortnight’s dip in the sea.” An extraordinary event in the history of Romagna’s seaside culture: for Rondanini is considered to be the first recorded bather on our Riviera. In the 16th century, the Rondanini moved from Romagna (where they retained houses and land in the Faenza district) to an opulent palazzo on Rome’s Via del Corso. In the 17th century they bought a palazzo in Castel Bolognese, where they habitually spent their holidays. In 1784, the sexagenarian marquis Giuseppe Rondanini married Elizabeth Kenneis, an Irish damsel who would have been in her twenties at the time, and who Rondanini had met in society circles in Rome. In August 1790, the marchioness decided to cut short her holiday at Castel Bolognese and spend a fortnight at the seaside. Rimini was the obvious destination, for reasons of convenience. In those days it was a quiet resort, removed from prying eyes, and it was near Cesena, home of a lover of the marchioness: duke Luigi Braschi, a nephew of the Pope. The young marchioness was said to have been breathtakingly beautiful. And Rome was rife with gossip concerning her supposed indiscretions. In one of his satires, Geminiani compared the Rondanini to “Aurora with old Triton, her consort”. Aurora, or the fair Elizabeth, was red-haired and shapely, with “come hither eyes” and “heavenly lips” that bewitched every man who saw her passing in her carriage, replacing her husband at the reins of his gig. Her features are believed to be those of the bust of an Arcadian shepherd girl now preserved in the palazzo of the Rondanini in Rome. The first foreigner ever to take a seaside holiday on the Romagna Riviera died in 1796, still a young woman, a victim of the dreaded pulmonary tuberculosis, an illness with a predilection for delicate, Romantic creatures like herself or like Violetta, immortalized by Giuseppe Verdi in his Traviata.

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THE FIRST FOREIGN TOURIST_ ON THE ADRIATIC COAST IN THE 18TH CENTURY

Storia

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Giuliano Bettoli

I busti di Rodin celati a Faenza d o n o i n v o l o n t a r i o d e l l o s c u l t o re

Due opere di Auguste Rodin, lo scultore francese definito il Michelangelo dei tempi moderni, dormono da tempo nei depositi della Pinacoteca Comunale di Faenza.

S

i tratta di due busti femminili in bronzo, entrambi eseguiti dal grande artista nel 1907. Uno ritrae la signora Russell, l’altro raffigura Rose

Beuret, moglie di Rodin medesimo. Ho detto “dormono” poiché la Pinacoteca d’Arte Moderna di Faenza è chiusa ormai da anni, e pochissimi sanno dell’esistenza di questi due capolavori. La loro storia è però ugualmente curiosa. Siamo nel 1908. Faenza è in gran fermento. Sta per essere inaugurata una Grande Esposizione in ricordo del terzo centenario della nascita di Evangelista Torricelli. Verrà addirittura il re Vittorio Emanuele III a visitarla. In quest’ambito, fra le varie altre mostre parallele, si terrà anche la I Biennale d’Arte Romagnola, organizzata da Gaetano Ballardini: ceramologo di fama mondiale e futuro fondatore del Museo Internazionale delle Ceramiche. Per dar lustro a questa rassegna serve un gran nome. Ballardini è amico di Ricciotto Canudo, uno scrittore e critico italo-francese in buoni rapporti con Rodin. Insieme pensano: “Chiediamogli un’opera, sarebbe un gran colpo!”. E Canudo, a Parigi, parla col grande artista, riuscendo chissà come a convincerlo. Ballardini gli scrive poi una lettera talmente elogiativa da commuovere i sassi. Rodin, di solito refrattario a concedere sue sculture per esposizioni all’estero, manda addirittura due busti. La Mostra di Faenza si apre il 15 agosto 1908 e si chiude il 10 settembre suc-

restituzione. Del resto va detto che una volta chiuse le varie mostre della Grande Esposizione Torricelliana, non c’erano più i fondi per rispedire le

OUT OF SIGHT - THE RODIN BUSTS IN FAENZA_ THE STORY OF AN “INVOLUNTARY” DONATION

tante opere esposte. In attesa di tempi migliori, Ballardini tace. Nessuno si

Two works by Auguste Rodin, the French sculptor known as the Michelangelo of modern times, have for years languished in the vaults of the Pinacoteca Comunale (municipal art gallery) of Faenza. Both works are busts of female figures, made by the great artist in 1907. One bust is of a Mrs Russell, the other of Rose Beuret, Rodin’s wife. And “languish” is exactly what both busts are doing, for the Pinacoteca d'Arte Moderna (municipal modern art gallery) of Faenza has been closed for years, and few people are even aware of the existence of the two masterpieces. Their story, however, is a curious one. 1908, and Faenza was a hive of activity. Preparations were underway for the Great Exposition commemorating the third centenary of the birth of Faenza-born mathematician and physicist Evangelista Torricelli. The king himself, Vittorio Emanuele III, was to visit. One of the many events running parallel to the exposition was the first Biennale of Romagnol art, organized by Gaetano Ballardini: a world-famous authority on ceramics and the future founder of the International Museum of Ceramics. Ballardini, at the time, was casting around for a big name to lend lustre to the event. And it happened that Ballardini was a friend of Ricciotto Canudo, a French-Italian writer and critic who was on good terms with Rodin. The two men hit on an idea: “Let’s ask Rodin to lend us some of his work, it would be a major coup!” So Canudo, in Paris, talked to the great sculptor and somehow managed to persuade him. Ballardini then wrote Rodin a letter so fawningly adulatory that it would have moved a stone to tears. Rodin, who was not normally keen to lend his sculptures for exhibition abroad, promptly sent off two busts. The Faenza exhibition opened on 15 August 1908 and ran until 10 September. At this point Ballardini wrote Rodin a second missive, this time a hastily composed letter of thanks in which he didn’t even mention the matter of returning the busts to their creator. And at this point we should also mention that by the time the various exhibitions held as part of the Great Exposition had closed, there were actually no funds left to return many of the borrowed works. Pending a general upturn in fortunes, Ballardini kept quiet. So did everyone. Time passed. In 1914 came the outbreak of the Great War; Rodin died in 1917 and Canudo in 1923. And the two bronze busts remained in Faenza, first in hiding in the Museo Internazionale della Ceramica (International Museum of Ceramics), then in semi-hiding in the Pincacoteca Comunale. They went unnoticed by the art world; there were no articles, no monographs. And even while they were still on display to the public, they caused no great fuss. And in fact, back in France it was believed until just a few years ago that the two sculptures, recorded in Rodin’s diaries as having been sent to “Exp. Ballardini (Faenza)” on 29 July 1908, had gone astray on their return journey! But now that their fate is known, Faenza can nevertheless rest assured: the Musée Rodin, which holds the world’s largest collection of the sculptor’s works, has declared that in view of the time that has elapsed in the meantime it can no longer lay claim to the return of the busts. Which is a stroke of luck for Faenza, and may even lead to the long-awaited reopening of the modern wing of the city’s municipal art gallery.

fa vivo. Passa il tempo, nel 1914 scoppia la Grande Guerra, Rodin muore nel

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I Sensi di Romagna

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volta molto sbrigativa, per ringraziarlo, ma senza neanche accennare ad una

Il destino mescola le carte e noi giochiamo. Arthur Schopenhauer

1917 e Canudo scompare nel 1923. I due busti bronzei restano a Faenza, prima nascosti nel Museo Internazionale della Ceramica, poi seminascosti nella Pinacoteca Comunale. Nessuno studio o articolo viene scritto su di essi. Se anche si mostrano al pubblico, ciò avviene senza alcun clamore. Ebbene, sino a pochi anni fa, in Francia si pensava che queste due sculture, risultanti

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cessivo. Ballardini scrive a questo punto una seconda lettera a Rodin, sta-

dalle agende di Rodin come spedite a “Exp. Ballardini (Faenza)” il 29 luglio 1908, fossero andate smarrite nel viaggio di ritorno! Ora che la loro sorte è nota, Faenza può comunque dormire serena: la Direzione del Museo Rodin, ove è raccolta la maggiore collezione di opere del grande scultore, ha infatti dichiarato che, dato il tempo trascorso, non può più richiedere la restituzione delle due opere. Una bella fortuna, che potrebbe anche rappresentare l’occasione adatta per riaprire, finalmente, il reparto moderno della Pinacoteca, chiuso da troppo tempo. Storia

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Pa o l o M a r t i n i

la Belle Époque di Rimini

I veri paradisi sono i paradisi perduti.

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Grand Hotel

Some buildings endure for so long through history that they themselves end up becoming a kind of prism through which history can be viewed. Rimini’s Grand Hotel is one such building. For to retrace the fortunes of this unique icon is to review the events of a century as experienced (and not only by tourists) up and down that strip of sand and sea known as the Romagna Riviera. Rimini’s Grand Hotel was inaugurated on 29 June 1908. Its construction had been entirely financed by a Milanese private investor, Smara. This private investment was in itself a revolution in the nascent seaside industry of the Rimini coast, which at the time was still tied to an aristocracy intent on extracting its income from public investment. The resulting Grand Hotel was so luxurious that according to contemporary commentators it “rivalled in splendour the great hotels of Ostend and Biarritz.” Although its opening set the modern tourist industry in motion, the Grand Hotel itself was a personification of an earlier period: the Belle Époque. Its guest list read like a roll-call of the monarchs, heads of state and ambassadors of Europe. Though it survived the devastation of the Great War and the earthquake which struck Rimini in 1916, the Grand Hotel was to become the symbol of life emerging from the ashes of devastation, and on 4 August 1919 the city’s spa was reopened with a sumptuous banquet in the Grand Hotel. But other disasters were on their way. On 14 July 1920, the hotel caught fire. Firefighting units were called from Bologna, Ravenna and Cesena. They fought the fire for seven hours, saving much of the building. But the two central domes, damaged beyond repair, had to be demolished. And the human cost was even higher: one person died and four were seriously injured. The next day, a socialist newspaper featured a front-page story whose title was a prophetic one: A Symbol. Less than a year later, on 24 April 1921, a militant fascist cell had formed in Rimini. But the Grand Hotel was still standing. And it was around this time that it captured the imagination of a boy whose dreams would later enrapture the whole world. “On summer evenings the Grand Hotel became Istanbul, Baghdad, Samarcand.” The boy, needless to say, was Federico Fellini, who as a filmmaker was to capture that sense of enchantment in his films. Although – like a fiction within a fiction – Fellini actually reproduced the whole set in the Cinecittà studios in Rome. Another familiar face in Rimini was Mussolini, since 1921 an assiduous visitor of the hotel’s 5-star suites. He liked it so much that in 1931 he bought, and restored, the hotel. Out of decorum, Mussolini’s mistress Claretta Petacci stayed with her family in Riccione. With the outbreak of World War II, the rooms of the Grand Hotel played host to a series of generals, both Allied and Axis. But this was no holiday, for the bombardments were continuous. Having survived WW2, the Grand Hotel faced a new menace in the post-war period: rampant urban development. When the historic seaside resort, the Kursaal, was demolished in the name of modernity, it seemed that the game was up for the Grand. Like the Kursaal, it was a symbol – of a time that had gone forever. It survived; but to exist only as a shadow of its former self: marginalized, viewed with mild contempt. A condition that almost confirms what Fellini said: “We spend the second half of our lives undoing the damage our education wrought in the first.”

Ci sono monumenti che attraversano la storia, diventando della storia stessa

Ma altri sfaceli sono alle porte. Il 14 luglio 1920, l’albergo è in fiamme. Per domare l’incendio accorrono pompieri da Bologna, Ravenna

una chiave di lettura atipica. E il Grand Hotel di Rimini non è immune da

e Cesena. Per sette ore lottano contro il fuoco, salvando gran parte dell’edificio. Sarà comunque necessario demolire le due cupole cen-

codesta regola. Anzi: ripercorrere le vicissitudini di questa anomala icona

trali, devastate dal calore. Il costo umano è ancora più alto: un morto e quattro ustionati gravi.

significa dare una scorsa agli accadimenti, non solo turistici, del

Il giorno dopo, un periodico socialista pubblica in prima pagina un commento dal sapore vaticinante fin dal titolo: Un simbolo. Meno

ventesimo secolo in quel lembo di sabbia e mare chiamato Riviera Romagnola.

di un anno dopo, il 24 aprile 1921, viene costituito il fascio di combattimento di Rimini. Comincia il ventennio, il Grand Hotel è sem-

I

l Grand Hotel di Rimini è inaugurato il 29 giugno 1908. Il progetto è interamente finanziato dai capi-

pre lì e colpisce la fantasia di un ragazzino che conquisterà il mondo con i suoi sogni. «Le sere d’estate il Grand Hotel diventava

tali privati della milanese Smara. L’ingresso di capitali privati è già una rivoluzione nella nascente indu-

Istambul, Bagdad, Samarcanda…». Il ragazzetto, va da sé, è Federico Fellini che fisserà i ricordi nei suoi film. Riproducendo tutto, in

stria balneare riminese, ancora vincolata ad un’aristocrazia intenta a procacciarsi una rendita attraverso gli

una sorta di finzione nella finzione, negli studi di Cinecittà.

investimenti pubblici. Con i suoi lussi, l’Hotel, narrano le cronache dell’epoca, «rivaleggia per splendore con

Mussolini, cittadino onorario di Rimini dal 1921, è assiduo frequentatore delle stanze a cinque stelle, tanto da spingere nel 1931 il

i grandi alberghi di Ostenda e Biarritz».

podestà ad acquistare l’Hotel e a restaurarlo. Claretta Petacci, per decoro, alloggia con la famiglia a Riccione. La guerra mondiale vede

La sua apertura dà inizio, di fatto, all’industria turistica moderna, ma il G. H. è uno scorcio della Belle Épo-

passare nelle stanze del G. H. vari quartieri generali, tedeschi e alleati, sempre e comunque sotto il fuoco dei bombardamenti.

que. Nelle sue stanze alloggiano tutte le teste coronate d’Europa, primi ministri e ambasciatori. Passato

Il secondo dopoguerra si apre con un nuovo pericolo, quello dell’innovazione urbanistica. In nome della modernità è abbattuto il

indenne dall’ecatombe del ‘15-‘18 e dal devastante terremoto che colpì Rimini nel 1916, diventa il simbo-

Kursaal, storico stabilimento balneare. Lo stesso rischio lo corre il Grand Hotel, simbolo di un tempo che fu. Sopravvive, ma è lascia-

lo della vita che ricomincia a scorrere dopo la tragedia: il 4 agosto 1919 vengono riaperti i bagni con un

to a margine, quasi sopportato. Come a voler confermare quanto detto da Fellini: «Noi passiamo la seconda metà della nostra vita a

sontuoso banchetto al Grand Hotel.

cancellare i guasti che l’educazione ha fatto nella prima».

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I Sensi di Romagna

Storia

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Marcel Proust

GRAND HOTEL_ THE BELLE ÉPOQUE IN RIMINI


Che gli abitanti della Romagna abbiano il sangue caldo e siano contraddistinti da accesi attributi caratteriali, tali da valergli il soprannome di “meridionali del nord”, è cosa nota. Manlio Rastoni

D

Carattere di razza

esta, tuttavia, un certo stupore, misto talvolta a pura ilarità, la lettura delle testimonianze che il celebre studioso del costume romagnolo Gianni Quondamatteo ha raggruppato negli anni ’70, traendole dal saggio di Giorgio Leoni ed Eros Cicognani “Aspetti psi-

cologici del folklore romagnolo”. Troviamo i toni più accesi e caricaturali nello studio dello psichiatra G. Ferrero “Il Mondo Criminale Italiano” (1893): egli sostiene,

p ro f i l o p s i c o l o g i c o d e l ro m a g n o l o

infatti, nel capitolo “I violenti e frodolenti in Romagna” che alla base delle abitudini romagnole vi sarebbe una “animalità sana e forte” che li connota come voraci mangiatori dotati di stomaci formidabili, amanti dei pasti succulenti e delle ampie libagioni. I romagnoli sarebbero poi non meno attivi nelle funzioni amorose, come testimonierebbero i matrimoni spesso celebrati in età molto giovane e, non di rado, per legalizzare nozze già consumate di fatto. Completano il quadro negativo un linguaggio triviale, i modi brutali e la tendenza alle burle spinte talvolta fino al pericolo (vedi ee N° 5). Fortunatamente, dopo aver dipinto un simile scenario, Ferrero trova il tempo di elencare anche le qualità francamente positive: il coraggio personale, la laboriosità, il vivo senso dell’ospitalità, il carattere franco, aperto ed allegro. Altri autori, senza alcuna pretesa scientifica, hanno tentato di delineare le caratteristiche caratteriali degli abitanti delle città e delle campagne romagnole. Bonoli (1661) attribuisce ai forlivesi “natura subita, ignea e collerica, con malinconia”, D. Montanari (1883) attribuisce invece ai Faentini un carattere franco, leale, incline all’ira e tenace nei propositi. Bisogna attendere il 1914 per una recensione perlopiù favorevole, con T. Mediani che pone a simbolo del carattere romagnolo la rude sincerità, cui si aggiungerebbero buon cuore, galantomismo, coraggio e passionalità, tendenza al sano umorismo, amore per il bel canto e slanci di alta spiritualità. Contrapposte a queste lodi, egli segnala, in ogni caso, una diffusa irreligiosità (spesso però solo ostentata) e l’opposizione sistematica alle istituzioni. Nel 1926, P. Toschi segnala a sua volta l’amore per la libertà insito nel carattere romagnolo, portato fino all’insofferenza di qualsiasi giogo (religioso o politico), l’attitudine alla ribellione e l’interessamento alle varie forme d’arte e della cultura, unito ad una speciale inclinazione per la musica e le arti applicate. Oggi, che, come già osservato a suo tempo da Quondamatteo, impera la tendenza ad una progressiva scomparsa delle differenze regionali (causata da un incalzante processo di globalizzazione), dall’appennino al litorale, attraverso le campagne della “bassa” e le città,

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paiono però resistere nella Romagna delle nuove generazioni non poche delle sopraccitate peculiarità comportamentali. Tutto ci condurrebbe alla conclusione clinica che il “famigerato” gene del carattere romagnolo non sia, dunque, affatto recessivo. Un ramo di pazzia abbellisce l'albero della saggezza. Alessandro Morandotti

I Sensi di Romagna

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The inhabitants of Romagna are renowned for being hot-blooded and temperamental. Not for nothing are they known as “the southerners of the north”. It’s with a certain amazement, however – not to mention amusement – that today’s readers peruse the accounts collected by the famous Romagna ethnologist Gianni Quondamatteo in the 1970s, based on the essay by Giorgio Leoni and Eros Cicognani entitled “Psychological aspects of Romagnol folklore”. The most colourful, caricature-fraught passages are to be found in the study published by psychiatrist G. Ferrero, “The Italian Criminal World” (1893): in the chapter entitled “Violence and Fraudulence in Romagna”, Ferrero argues that at the heart of the Romagnol character there lies a “healthy and robust animality” which makes the Romagnols voracious eaters with formidable stomachs, lovers of succulent foods and unsparing in their drinking. And they seemed to have been no less vigorous in their amorous habits, as witness the many weddings between child spouses – not infrequently to legalize unions which had already been consummated in fact. Completing this rather negative profile are vulgar language, brutish manners and a fondness for prank-playing often carried to dangerous extremes (see ee issue N° 5). Fortunately, after painting so discouraging a picture, Ferrero finds time also to list some positive qualities: personal courage, industriousness, a well-developed sense of hospitality, and a frank, open and cheerful character. Other authors, with no scientific pretensions, have also tried to delineate the characteristic qualities of the inhabitants of the cities and countryside of Romagna. Bonoli (1661) attributes to the inhabitants of Forlì an “impulsive, fiery and choleric nature, given to bouts of melancholy”; while D. Montanari (1883) describes the inhabitants of Faenza as frank, loyal, with a tendency to anger and tenacious in the pursuit of their intentions. We would have to wait until 1914 for a rather more favourable appraisal. This time the author (T. Mediani) summarizes the Romagnol character as unpretentious and sincere. We are kind-hearted, courteous, courageous and passionate, with a healthy sense of humour, a love of bel canto and a streak of exalted spirituality. On the other side of the coin Mediani noted a widespread irreligiosity (often in appearance only, however) and a systematic aversion to public institutions. Writing in 1926, P. Toschi noted the innate love of freedom in the Romagnol character, a love which led to the rejection of any yoke, religious or political, a rebellious cast of mind, and an interest in art and culture in their many forms, with a special inclination for music and the applied arts. Although, as Quondamatteo noted, regional differences are nowadays disappearing anyway (rampant globalization is to blame), from the mountains to the coast, over the plains of lower Romagna and through the cities, many of the peculiarities of character given above seem to persist among the younger generations of Romagna. Which leads us to the clinical yet happy conclusion that the “notorious” gene which characterizes the Romagnol character is not, at least, a regressive one.

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THOROUGHBRED, BUT NOT INBRED_ A PSYCHOLOGICAL PROFILE OF THE ROMAGNOL

Passioni

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M a rc e l l o C i c o g n a n i foto d’archivio

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Giancarlo Minardi ul timo “romantico” in For mula 1

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opo aver preso il via ad alcune gare in salita con una Cinquecento, Minardi inizia la carriera come Team Manager nel 1972 alla Scuderia del Passatore, con cui conquista, l’anno seguente, il tricolore di Formula Italia. Poi, nel ’74, la telefonata che non t’aspet-

ti; Enzo Ferrari vuol conoscerlo: «Mi tremarono le gambe. Per me è stato un maestro, ma prima di tutto una persona semplice e cordiale. Non mi ha mai negato un consiglio, un aiuto. Mi ha voluto bene, lo dico senza presunzione». Al vecchio monarca di Maranello piace questo sanguigno figlio della Via Emilia; dice che gli ricorda se stesso da giovane. Una cosa, in particolare, i due hanno in comune: il “fiuto” per il “manico”. «Si tratta di sensazioni», filosofeggia Minardi, e lui, di certo, ne ha colte un bel po’: da De Angelis, Alboreto, Martini, Nannini, passando per Fisichella e Trulli, sino al due volte campione del mondo in carica, Alonso. Il rapporto col Drake è fecondo e induce Giancarlo a fondare, nel 1979, il Minardi Team di Formula 2. I risultati arrivano, ma la “febbre” sale alla svelta, e la sirena della Formula 1 canta a squarciagola. Il debutto avviene nel 1985, al Gran Premio del Brasile, con un organico d’una quindicina di persone: «Fosse stato necessario un cambio-gomme ci saremmo trovati in difficoltà». Dopo i primi anni d’ambientamento, la squadra, con Pierluigi Martini alla guida, ottiene il suo storico primo punto nel GP di Detroit del 1988. Un deciso passo avanti si ha nel biennio seguente, foriero di numerosi piazzamenti a punti e di ottimi tempi in qualifica – come nel GP di Phoenix del 1990, quando, ancora Martini, riesce a issare la sua M189 addirittura in prima fila. Simili exploites non passano inosservati alla Ferrari, che, sebbene orfana del suo deus ex machina, concede al team faentino i suoi V12 per la stagione ‘91. Annata che si rivelerà essere la migliore di sempre, a conferma della regola secondo cui alla Minardi non hanno mai fatto difetto dinamismo e capacità, bensì “soltanto” un buon motore. La scarsità di fondi unita al cronico deficit di potenza, infatti, hanno sempre costretto i suoi tecnici ad aguzzare l’ingegno, introducendo soluzioni meccaniche e aerodinamiche spesso imitate anche dai top teams; prova ne è il saccheggio di

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A Faenza corre l’anno 1947, quando Giovanni Minardi – titolare della concessionaria FIAT

La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli.

aperta dal padre nel ’26 –, forse per festeggiare degnamente la nascita del suo primogenito,

Aristotele

realizza la prima Minardi da corsa, poi appellata GM 75, piazzando un motore 750 a 6 cilindri sopra un telaio derivato dalla Balilla. Con un simile battesimo, il “morbo” della velocità, per il neonato Giancarlo, può già dirsi contratto.

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Passioni

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It was in Faenza in 1947 that Giovanni Minardi, owner of a FIAT dealership opened by his father in 1926, perhaps to celebrate the birth of his first son, built the first Minardi racing car. Later known as the GM 75, it had a 6-cylinder 750 cc engine fitted to a chassis based on the Balilla. With a commemoration like this, it’s easy to understand where the newborn Giancarlo’s love of speed came from. After starting out in hillclimbs at the wheel of a Cinquecento, Giancarlo Minardi began his career as a team manager in 1972, leading the Scuderia del Passatore, the team with which the following year he won the Formula Italia title. Then in 1974 came that telephone call: Enzo Ferrari wished to meet him. “My legs were trembling. For me he was a maestro, but above all a simple and friendly person. He never refused me advice or help. He was good to me, and I say that without any arrogance.” The ageing Ferrari took a shine to this temperamental boy from the Via Emilia, saying he reminded him of himself as a young man. One thing in particular the two men had in common: an instinctive flair for racing. “It’s all about feeling,” reflects Minardi, and he should know what he’s talking about: drivers such as De Angelis, Alboreto, Martini, Nannini, Fisichella, Trulli and reigning twice world champion Fernando Alonso all started their careers in the Minardi stable. Minardi’s relationship with Drake was fruitful and led Giancarlo in 1979 to found the Minardi Team in Formula 2. Success was quick to come, but the “fever” was rising and the siren song of Formula 1 was becoming increasingly difficult to ignore. Team Minardi made its Formula 1 debut in at the Brazilian GP in 1985, with a squad of just 15: “If we’d needed to make a tyre change we would have been in serious difficulties.” After a couple of years’ acclimatization, driver Pierluigi Martini won Minardi its first points at the Detroit GP in 1988. The next couple of seasons saw the team make considerable progress, with plenty points scored and some excellent qualifying times – like at the Phoenix GP in 1990, when Martini, at the wheel of his M189, started in the front row of the grid. These exploits did not go unnoticed by Ferrari, which, although abandoned by their deus ex machina, supplied the Minardi team with its V12 engines for the ’91 season. This turned out to be Minardi’s best year to date, and seemed to bear out the dictum that Minardi had never lacked dynamism or ability, but “just” a decent engine. For the fact was that scarcity of funds and a chronic lack of engine power had previously forced Minardi’s mechanics to sharpen their powers of inventiveness, introducing mechanical and aerodynamic innovations which were often imitated by the top teams – as witness the frequent poaching of talent and drivers which did much to undermine its strength. However, so honourably had Minardi acquitted itself “on equal terms” with Ferrari – which at the time was hitting an all-time technical low – that it may even have piqued its more illustrious (and haughtier) Emilian cousins, who suddenly discontinued their supply of engines at the end of the year. Team Minardi soldiered on, but by the mid-90s media interest and the entry of the major motor manufacturers were triggering, with their exorbitant investments, a spiralling of costs which, like the magical beanstalk of the fairytale, quickly rocketed out of sight. Minardi negotiated these financial straits as well he could – while more illustrious teams like Lotus and Tyrrel were forced to hoist the white flag – and continued to dedicate every ounce of his energy to his beloved team, but in 1998 he was forced to sell his controlling stake to Gabriele Rumi who, with his track record in F1 as former boss of Fondmetal, could give the team the quality and structure it needed. It seemed like a perfect partnership, but despite a promising start the expected results failed to transpire; and in 2000 Team Minardi was sold for the symbolic sum of 1000 lire to the Australian Paul Stoddart. The boastful promises made by Stoddart on his arrival remained just that – promises. Five barren years followed, by the end of which the sale of Minardi to Dietrich Mateschitz, “Mr. Red Bull”, was inevitable. With a resounding lack of imagination, Mateschitz renamed the team Toro Rosso, Italian for… Red Bull. All cold comfort anyway, for Formula 1 is now no more than a shadow of its former self. The last decade has seen the world of Formula 1 turn into a circus, its impresarios taking it wherever the big money is to be had, building multi-million dollar circuits as soulless as they are far-flung, in locations which are not just remote in the geographic sense. The result is a sterile spectacle dominated by silly rules dictated by the interests of people who often have – or want – little to do with the spirit of motor racing. It’s a world which alienates the enthusiast, which is bereft of charismatic figures, where money speaks louder but has little to say except about itself, where the racing car is just a “product” like so many others – and as such can be mass-produced – and where sport is just one more business; and it’s run by figures who are evidently unaware that each racing car is a prototype, in other words a unique creation. The name of their game is business – they should mind their own. But so it goes. And yet… the invaluable human and technical patrimony assembled by Minardi has not been wholly squandered. Thanks to a partnership with the GP Racing Team sealed in 2006, the Faenza-based team with its distinctive lion-and-sword emblem has returned to racing – and winning – in the Euro Formula 3000 series. Minardi, ultimately, can do without Formula 1 without losing his identity; but can Formula 1 afford to do without personalities like Minardi? On Minardi’s behalf, I’d like to close with a few words from a poet who was only too familiar with the ups and downs of those who live in pursuit of their ideals: All was yearned for / and all was tried. / What wasn’t done / I dreamed it; / and with so much ardour / that the dream was equal to the act (Gabriele D’Annunzio).

Il significato di un uomo non va ricercato in ciò che egli raggiunge, ma in ciò che vorrebbe raggiungere. Khalil Gibran

GIANCARLO MINARDI_ THE LAST ROMANTIC OF FORMULA 1

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“teste pensanti”, oltre che di “piedi pesanti”, sovente perpetrato ai suoi danni. Tuttavia, le onorevoli prestazioni ottenute nel confronto “ad armi pari” con la “rossa” – che in quegli anni sta toccando il fondo della sua involuzione tecnica –, provocano, forse, qualche sghignazzo di troppo all’indirizzo dei più blasonati (e permalosi) cugini emiliani, i quali, a fine anno, interrompono bruscamente la fornitura di propulsori. Il Team non s’arrende, ma, dalla metà degli anni ’90, l’interesse dei media e l’ingresso delle grandi Case automobilistiche innescano, coi loro faraonici investimenti, un’impennata esponenziale dei costi, che – come l’albero nella fiaba del fagiolo magico – raggiunge in fretta vette siderali. Minardi si barcamena come può – mentre marchi gloriosi come Lotus e Tyrrel sono costretti ad alzare bandiera bianca –, continua a profondere nella sua creatura ogni stilla d’energia, ma, nel ‘98, deve cedere il pacchetto di maggioranza a Gabriele Rumi, il quale, grazie ai trascorsi in F1 come patron del Team Fondmetal, mette a disposizione strutture di prim’ordine. La simbiosi pare azzeccata, ma, dopo un promettente inizio, non porta i frutti sperati; così, nel 2000, la Minardi viene venduta, per la simbolica cifra di 1000 Lire, all’australiano Paul Stoddart. Questi arriva tronfio e gonfio di proclami, che, purtroppo, tali rimangono per tutti e cinque gli anni della sua inutile gestione; inevitabile, a questo punto, la definitiva cessione a Dietrich Mateschitz, “Mr. Red Bull”, che con poca fantasia muta definitivamente il nome della scuderia in Toro Rosso. Ma la Formula 1 degli esordi, magra consolazione, è ormai solo un pallido ricordo. L’ultimo decennio ha visto i burattinai del Circus inseguire soldi freschi in ogni dove e costruire circuiti stratosferici, ma con l’anima d’un elettrodomestico, in mezzo a deserti non solo geografici, riuscendo a confezionare uno spettacolo asettico, dominato da regole insulse dettate dagli interessi di chi, spesso e volentieri, con l’automobilismo ha ben poco da spartire. Un mondo distante dagli appassionati, privo di personaggi carismatici, dov’è, anzi, diventato normale sorbirsi le “perle” d’improbabili figuri, secondo cui la macchina da corsa è un «prodotto», fa cioè parte di una serie, e lo sport un «business»; ignorando, evidentemente, che la prima è un prototipo, ossia un esemplare unico, mentre il secondo – per sicurezza ho controllato sul mio vecchio vocabolario – con gli affari dovrebbe avere punto a che fare. Ma tant’è. Comunque sia, il patrimonio incommensurabile di uomini e mezzi accumulato da Minardi non è andato scialato. Grazie alla partnership col Team GP Racing, sancita nel 2006, il leone con la spada, stemma di Faenza, è tornato a campeggiare, e a vincere, sulle monoposto che competono nel Campionato Euroseries. Minardi, in fondo, può fare a meno della Formula 1 senza perdere la propria identità; ma può la Formula 1 privarsi ancora di personalità come quella di Minardi? Valgano, per lui, le parole d’uno che ben conosceva le vette e gli abissi del vivere inseguendo i propri ideali: Tutto fu ambìto / e tutto fu tentato. / Quel che non fu fatto / io lo sognai; / e tanto era l’ardore / che il sogno eguagliò l’atto (Gabriele D’Annunzio).

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I Sensi di Romagna

Passioni

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AN EYE FOR THE PRIZE_ THE WINES OF FATTORIA CAMERONE

Nei primi anni '60, per la precisione nel 1962, nacque a Faenza il Consorzio per la difesa dei vini tipici romagnoli, la Fattoria Camerone fu tra le prime aziende

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i v i n i d e l l a F a t t o r i a C a m e ro n e

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Precoce passione romagnola

When the Consortium for the Defence of Traditional Romagnol Wines was founded in Faenza in 1962, Fattoria Camerone was one of the first local wineries to join. In those years the first bottles of Sangiovese, Albana and Trebbiano were beginning to circulate with labels showing the figure of Il Passatore, the brigand and adventurer who roamed the Romagna countryside in the mid-1800s: this was the original emblem which still distinguishes the wines produced by members of the consortium. Since then, Fattoria Camerone has remained faithful to its own philosophy, and continues to produce wines with a distinctive personality full of the typical character of the DOC wines of Romagna. With over 25 hectares of monovarietal vines (on land which is partly owned and partly leased) extending across the lower slopes of the hills around Castel Bolognese, Fattoria Camerone takes its name from the name applied locally to the building it operates from: a 13th-century villa (formerly the residence of the local bishop) which has belonged to the Marabini family for over four hundred years. The present head of the dynasty is Giuseppe, a veterinary surgeon by training and a wine grower by vocation who, with the help of other family members, directly oversees every stage in production with the greatest care: from the planting and cultivation of the vines according to the most advanced agronomical and ecological techniques through trimming, harvesting and vinification to the bottling of the wine. No effort is spared, then, in obtaining, using strictly traditional methods, a wine which meets the standards of quality of an increasingly discerning clientele. And the endeavour has paid off. Over the last 50 years Fattoria Camerone has received numerous official accolades for its wines (25 shields from the Tribunato di Romagna, two stars in the Bolaffi Catalogue, medals at the Pramaggiore-Asti, Oscar della Cucina (Perugia) and Bianco più Bianco (Gorizia) competitions) and exports its huge range of wines (Sangiovese, Albana, Trebbiano, Chardonnay, Pagadebit, Cagnina as well as a few blended varieties) all over Italy and abroad. Although its wines can be found in the best restaurants of New York, Frankfurt or Salzburg, perhaps the best place to appreciate them is right next door to the place they’re made: in the shade of the ancient trees of the gardens, crossed by the Mulini canal, which surround Fattoria Camerone.

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Carlo Zauli

vitivinicole ad aderirvi con entusiasmo.

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rano gli anni in cui cominciarono a circolare le prime bottiglie di Sangiovese, Albana e Trebbiano con il sigillo recante l’effige del Passatore (brigante ed avventuriero che nella metà dell'800 scorazzava per le terre di Romagna): originale emblema

che ancora oggi contraddistingue le produzioni delle Cantine vinicole associate al Consorzio. Da allora, la Fattoria Camerone non ha alterato la propria filosofia, continuando a distinguersi per la personalità netta dei suoi vini, che ben conservano le virtù caratteriali tipiche delle DOC romagnole. L’aqua la fa mêl, e’ ven e’ fa cantê. L’acqua fa male, il vino fa cantare. Proverbio romagnolo

Con i suoi oltre 25 ettari di vigneti specializzati (parte di proprietà, parte in affitto) che si stendono sulle prime alture collinari di Castel Bolognese, l’azienda deve il suo nome allo pseudonimo popolare attribuito alla propria sede: una residenza duecentesca (anticamente vescovile), che da più di quattrocento anni appartiene alla famiglia Marabini. Attuale rappresentante della dinastia è Giuseppe, veterinario per formazione e vitivinicoltore per passione, che, coadiuvato attivamente dalla famiglia, segue direttamente, e con la massima cura, tutte le fasi della produzione: l'impianto e la coltivazione della vite secondo i più moderni criteri agronomici ed ecologici, la potatura, la vendemmia e la vinificazione delle uve, fino al momento dell'imbottigliamento. Non vengono, dunque, lesinati gli sforzi per ottenere, con metodi squisitamente artigianali, un vino che risponda ai requisiti qua-

ROSSO DEL CAMERONE_ Sangiovese di Romagna Superiore Riserva D.O.C. - Uve/Grapes: 100% Sangiovese Di colore rosso rubino con riflessi granati, corposo e intensamente vinoso, denota un profumo intenso e speziato. La fermentazione avviene in rosso con macerazione delle bucce per 15 giorni ad una temperatura controllata di 26-28°C. L’affinamento si protrae in barriques ed in cemento per 24 mesi, segue un ulteriore affinamento in bottiglia. Si accompagna a piatti elaborati a base di carni, come rotoli farciti e grigliate. È anche un vino da meditazione. Ruby red with garnet highlights, full-bodied and heady, with an intense, spicy bouquet. Fermentation takes place on the skins, with 15 days’ maceration at a controlled temperature of 26-28.8ºC. Aged for 24 months in barriques followed by cement vats, followed by bottle-ageing. Goes well with meat dishes such as meat rolls and grills - also good as a dessert wine.

litativi richiesti da una clientela sempre più attenta. Impegno che nell’ultimo mezzo secolo d’attività ha fruttato all’azienda ampi riconoscimenti (25 Targhe del Tribunato di Romagna, due stelle del tradizionale catalogo Bolaffi, medaglie a Pramaggiore-Asti, "Oscar della Cucina" di Perugia, "Bianco più Bianco" di Gorizia) ed ha fatto conoscere la vastissima produzione dei suoi vini (Sangiovese, Albana, Trebbiano, Chardonnay, Pagadebit, Cagnina ed alcuni uvaggi) in tutta Italia ed all’estero. Si possono, infatti, trovare nei ristoranti rinomati di New York, Francoforte, Salisburgo… forse però, il luogo migliore ove degustarli è vicino a dove nascono: nel parco di alberi secolari attraversato dal Canale dei Mulini che circonda la Fattoria Camerone.

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CAMERONE MILLENNIUM_ Sangiovese di Romagna Superiore Riserva D.O.C. - Uve/Grapes: 85% Sangiovese – 15% Cabernet Sauvignon Vino prodotto in quantità limitata da uve selezionate, presenta un colore rosso rubino intenso tendente al granato con l'invecchiamento. Il profumo è intenso e persistente con piacevoli sfumature di ciliegia e frutti di bosco. Una delicata tostatura, proveniente dalla sua maturazione in barriques francesi, dona note speziate e vanigliate. Armonico e vellutato nel gusto, è un vino corposo, asciutto, caldo e di grande stoffa. Si abbina idealmente ad arrosti, carne rossa e selvaggina. Temperatura di servizio: 18°-20°C (si consiglia di stapparlo un'ora prima di servirlo). Produced in limited quantities from selected grapes, this wine has a deep ruby colour which sheers towards garnet with age. The bouquet is intense and persistent, with pleasant nuances of cherry and forest fruits. Aging in French-made barriques adds some delicate notes of spice and vanilla. Well-orchestrated and velvety on the palate, Camerone Millennium is a warm, full-bodied, dry wine full of character. It goes well with roasts, red meat and game. Serving temperature: 18.8-20.8ºC (uncork an hour before serving).

I Sensi di Romagna

BIANCO DEL CAMERONE_ Rubicone Chardonnay I.G.T. - Uve/Grapes: 100% Chardonnay Colore giallo paglierino, con riflessi verdognoli. Il profumo è elegante, fruttato con sentori di acacia e albicocca. In bocca è asciutto e persistente, nel finale si rivela morbido con nota vanigliata. La vinificazione si effettua in bianco con l’utilizzo di lieviti selezionati e viene seguita da fermentazione a bassa temperatura in acciaio. Affinamento in barrique per 4-5 mesi. Si serve fresco alla temperatura di 10-12°C, per accompagnare antipasti magri, minestre, pesce e piatti a base di uova. Straw-yellow in colour with greenish highlights. The bouquet is elegant and fruity, with notes of acacia ad apricot. Dry and persistent in the mouth, with a soft finish characterized by a note of vanilla. Fermented off the skins using selected yeasts, followed by low-temperature fermentation in inox. Aged in barriques for 4-5 months. Serve cool (10-12.8ºC) as an accompaniment to light starters, soups, fish and egg dishes. Enogastronomia

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Romagna, culla del cocomero v i ci s s i tudi ni di un frutto

P

atria non è però il termine più adatto, poiché l’anguria è originaria foto d’archivio

F ra n c o D e Pi sis

ROMAGNA, WATERMELON COUNTRY_ THE FORTUNES OF A FRUIT

In Romagna il rito estivo del cocomero è a tal punto radicato da essere considerato universale, perciò paradossalmente sono proprio i romagnoli spesso a non rendersi conto di abitare quella che viene reputata la patria del polposo frutto.

dell’Africa tropicale e pare che le prime varietà furono introdotte in

Italia dalla Francia, durante il periodo di dominazione napoleonica. Sia come sia, esistono fior di testimonianze che segnalano la coltura del cocomero come una delle più diffuse alla fine dell’Ottocento in Romagna: regione che dagli anni ’20 ai ’70 viene indicata in ogni pubblicazione di settore agronomico come indiscussa terra d'elezione del frutto. Se viene coltivato in tutto il territorio, i migliori risultati si ottengono nella zona di Faenza, dove la fitta rete di canali ne ha sem-

Quando avrete abbattuto l'ultimo albero quando avrete pescato l'ultimo pesce quando avrete inquinato l'ultimo fiume allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro. Proverbio africano

pre favorito l’irrigazione ed il terreno argilloso, benché renda più laboriosa la coltivazione, conferisce ai frutti migliori qualità organolettiche. Le due varietà storiche, che hanno valso tale fama al cocomero di Romagna furono il “Faenza”, sferico, di grosse proporzioni dalla buccia verde scuro e dalla polpa rosso viva con semi neri e il cocomero (o Mora) di Bagnacavallo, di dimensioni più contenute, con la buccia sottile a settori verde-neri, riconoscibile anche dai grandi semi di color bianco-giallognoli orlati di nero. La polpa di entrambi era eccezionalmente dolce e poco fibrosa, con una granulosità che veniva definita in frutto. Negli anni ’60 iniziarono però a diffondersi in Romagna nuove varietà estere, prima dall’America ed in seguito dal Giappone, che gradualmente rimpiazzarono quelle autoctone, fino a farle scomparire, in

foto d’archivio

gergo la “sabbia” della polpa, indice di piena e riuscita maturazione del

virtù delle loro migliori caratteristiche di commerciabilità (come la maturazione uniforme, i tempi di conservazione più lunghi e la miglior resistenza al trasporto), ma in nessun modo paragonabili nel gusto. Fortunatamente agli albori del Novecento, i semi nostrani accompagnavano sovente gli emigranti romagnoli nelle loro peregrinazioni attraverso l’Italia ed oltreoceano, pare dunque che il cocomero di Bagnacavallo si produca oggi largamente nell’entroterra della Repubblica Dominicana ed in altre zone del Sudamerica. Ora, grazie anche al lavoro di molti studiosi come Stefano Tellarini (consulente dell’osservatorio agroambientale di Cesena) in seno al progetto Agrobiodiversità delle Province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini è in corso un progetto di reintroduzione della vecchia varietà autoctona sul territorio. Se ciò dovesse concretizzarsi, il rimpianto antenato vegetale tornerà a presenziare personalmente nelle sagre che lo celebrano (come quella di Zello a luglio), negli innumerevoli chio-

foto d’archivio

pausa dissetante, e ricomparirà ad accompagnare le chiacchere e le baldorie dei romagnoli sotto il cielo delle serate estive, magari galleggiando pigramente nell’acqua gelata di un pozzo.

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I Sensi di Romagna

foto d’archivio

schi, che offrono lungo le strade di campagna la promessa di una dolce

In Romagna the summer ritual of the watermelon is so deeply rooted that people tend to take it for granted – for they often forget they’re living in the region known as the “home” of this succulent fruit. And yet the watermelon is in fact an exotic, for it originated in tropical Africa and seems to have first been introduced into Italy via France, during the Napoleonic domination. Whatever its provenance, there are plenty of contemporary accounts of the watermelon as one of the most widely cultivated fruits in late 19th-century Romagna: a region which from the 1920s to the 1970s was indicated in the agricultural press as the land of the watermelon par excellence. While it’s grown all over the region, the best results are obtained around Faenza, where the close-knit network of canals has always provided irrigation and the clayey soil contributes to the excellent taste and texture of the fruit (although it also makes cultivation more laborious). The two historical varieties which have made the Romagna watermelon so famous are the Faenza – large, spherical, with a dark green rind, bright red flesh and black pips – and the Bagnacavallo, which is smaller, with a thinner rind divided into segments of black and green, and large, yellowish pips flecked with black. The flesh of both varieties is exceptionally sweet and yielding, with a granularity described in the local patois as its sabbia (“sand”), the measure of the full ripeness of the fruit. New varieties of watermelon began to appear in Romagna in the 1960s, coming first from America and then from Japan. Their appearance led to the gradual demise of the traditional varieties, as the incomers had better commercial properties (uniform ripening times, longer conservation times and better endurance under transit) – although in terms of taste they are far inferior. Fortunately, however, the Romagnol emigrants of the early 20th century often took some of the seeds of the local watermelon varieties with them on their journey to new homes in Italy and overseas, and the Bagnacavallo watermelon is now widely produced in the Dominican Republic and certain regions of South America. And now, thanks to the endeavours of researchers like Stefano Tellarini (an advisor to the agro-environmental observatory of Cesena) working in the agro-biodiversity project of the provinces of Ravenna, Forlì-Cesena and Rimini, the traditional Romagna watermelon is making a comeback. If the project is a success, the longlamented watermelon of our ancestors will once again be present “in person” at the local festivals which celebrate it (such as the Zello watermelon festival in July), the many roadside stalls offering a thirst-quenching break for drivers, and the summer evening gatherings in the villages of Romagna, where the watermelons bob lazily in the cool water of wells.

Enogastronomia

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BEYOND SURFACE AU DELA DE LA SURFACE


Manlio Rastoni

RIVIERA BILLBOARDS_ SEASIDE HOLIDAYS IN PERIOD POSTERS In the early days of the Romagna Riviera, when seaside holidays were only just beginning to emerge as a social and cultural phenomenon, the state of the art in advertising, marketing and mass behavioural psychology was the humble poster. For over 80 years, the Come to the Riviera message was vehicled in the form of wall posters, or affiches as they were more Frenchly and elegantly known. Whole generations of holidaymakers were lured to the seaside by these posters, whose styles changed in keeping with the latest trends and fashions. In today’s world of airbrush and photoshop, to retrace the history of these posters is to discover a world rich in inventiveness, of creations devised using only crayon, brush and gouge, which attest to an important period in the figurative arts. It may seem strange now, but the most important exemplars of this art form anywhere in Europe were the posters advertising the charms of a seaside holiday on the Romagna Riviera. It was a phenomenon with many exponents and it spanned various styles: from the art nouveau and art deco of Busi and Dudovich and the futurist-influenced creations of Ossani and Guerrini to the slavishly pictorial and academic expressions of Della Volpe, De Carolis and Filippini or the symbolist-tinged posters of Nardi, extending finally to cover nearly every stylistic idiom of the 20th century. The parent of all the Riviera posters was perhaps a wall poster advertising the Adriatic’s first seaside resort, inaugurated in Rimini on 15 July 1843. Unfortunately, despite the efforts expended on prettifying it, this poster was so anonym in its appearance that it could easily have been confused with a tax announcement. Not until the final years of the century, with the appearance of new lithographic printing techniques imported from France and the advent of new possibilities for composition and colour combinations, did these posters manage to work primarily as communication, their subjects perhaps taken from photographs testifying to the reality of the dreams being sold. These early posters avoided allusion to the actual landscape and environment, preferring instead to depict mythological figures. The earliest graphic representation of the Riviera as a pleasure resort appeared in an advertisement for Dupré mineral waters. This was followed by the advertising campaign organized by Società Milanese Grandi Alberghi, which with posters designed by Mario Borgoni cultivated a high-prestige aura which invited comparison with Europe’s most elite seaside resorts. This trend reversed after the First World War with the poster of Adolfo De Carolis, which depicted Rimini as a city more in keeping with its natural vocation as a “popular” seaside resort. By the 1920s the posters and the atmosphere they evoked were on display in walls all over Europe in the form of the symbols (such as the siren Argo and her garland of roses) of that sprawling seaside strip which, under nine different names, extends all the way from Cattolica to Marina di Ravenna.

Riviera réclame l e a f f i c h e d e l l a p ro p a g a n d a b a l n e a re

immagine d’archivio

Anonimo

nza. La pubblicità non è una scie È persuasione. E la persuasione è un'arte.

foto d’archivio foto d’archivio foto d’archivio foto d’archivio

La moderna scienza della comunicazione, del marketing e della psicologia dei comportamenti di massa, all’epoca che ha visto germogliare e svilupparsi il fenomeno social-culturale della Riviera Romagnola, coesistevano, in più mite forma, sotto la

foto d’archivio foto d’archivio

foto d’archivio

foto d’arch ivi

o foto d’arch ivi

o

foto d’arch ivi

o

definizione di réclame. er oltre 80 anni, il suo più votato messaggero è stato il manifesto murale, o “affiche” (per usare il suo più aristocratico

le nuove tecniche di stampa litografica importate dalla Francia, l’avvento di nuove linee, forme e combinazioni di

pseudonimo), che ha saputo irretire intere generazioni di spettatori, riuscendo ad imporre sempre nuove mode, miti e

colori, consegnò all’immagine la responsabilità primaria della comunicazione, tratta talvolta da vere fotografie a testi-

modelli. In un’attualità dominata da immagini elaborate elettronicamente, uno sguardo rivolto alla storia dei cartelloni

monio incontrovertibile delle meraviglie annunciate. All’inizio, i soggetti non riportavano descrizioni fisiche ambien-

pubblicitari ci restituisce uno scenario ricco di invenzioni create con il solo ausilio di matite, pennelli e sgorbie, che testi-

tali, a cui si preferiva la rappresentazione di figure mitologiche. La prima proposizione grafica del lido riminese, quale

moniano un’importante stagione umanistica della figurazione. Sembra singolare, ma la più importante realtà specifica di

luogo di piacevole soggiorno, ci viene dall’immagine pubblicitaria delle acque minerali Duprè. In questo senso, la

questo tipo a livello europeo è rappresentata proprio dai manifesti della propaganda balneare sulla Riviera di Romagna.

fase più incisiva è costituita dalle campagne della Società Milanese Grandi Alberghi, che con il manifesto di Mario

Fenomeno che ospita in sé una moltitudine d’artisti e di stili: dal Liberty dei primi lavori decò di Busi e Dudovich, alle

Borgoni adottò modelli e slogan prestigiosi, suggerendo il paragone con le più elitarie località di villeggiatura euro-

influenze futuriste di Ossani e di Guerrini, alle espressioni rigorosamente pittoriche ed accademiche di Della Volpe, di De

pee. Tendenza destinata ad invertirsi dopo la Grande Guerra, con il manifesto istituzionale di Adolfo De Carolis, che

Carolis e di Filippini, agli accenti simbolisti di Nardi, fino a toccare quasi ogni stilema artistico del Novecento.

mostra una città di Rimini più fedele alla sua naturale vocazione, intenta a parlare la lingua dei comuni bagnanti.

Il progenitore di tutte le affiche della Riviera si può forse considerare l’avviso murale del primo stabilimento balneare

Un’atmosfera che, a partire dagli anni ‘20, si manifesterà sui muri di mezza Europa attraverso i simboli (come la

d’Adriatico, inaugurato a Rimini il 15 luglio del 1843. Purtroppo, nonostante gli sforzi profusi per ingentilirne la foggia,

sirena Argo e la sua ghirlanda di rose) di quell’unica grande città di bagni, che con ben nove nomi diversi conti-

a causa del suo aspetto anonimo rischiava di essere confuso con gli avvisi delle tasse. Solo verso la fine del secolo, con

nua ad estendersi da Cattolica a Marina di Ravenna.

P

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I Sensi di Romagna

Arte

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foto d’archivio

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uesto instancabile talento “bello e pulito” capace di forte espressività, ritrattista valente, esperto con carta, matita e carboncino, quanto con pittura ad olio e tele, ceramica e grafica, oltre a lasciare il frutto di una ricca attività artistica quasi febbrile per il nume-

ro d’opere realizzate - disegni ma anche pitture, sculture e decorazioni - è ricordato soprattutto per la sua acribia ed un carisma tali da riuscire a creare il celebre movimento d’arte che all’inizio del secolo fu soprannominato “Cenacolo Baccariniano”. Questo momento di fecondo scambio tra le menti dell’arte nel territorio faentino s’innestava in quel periodo di creatività e di ricchezza delle arti che già fu il primo decennio del secolo, tra simbolismo e Art Noveau. Proprio in questo ricco fermento storico Baccarini riuscì, per l’intelligenza del suo operare, lui artista in erba, a rendersi celebre per la sua identità d’istrione. Sicuramente il suo appeal dipendeva dall’amore per l’arte e per il bello. D’umile famiglia, aveva riunito, nel retro della bottega di Faenza della madre, Maddalena Baccarini, un gruppo dapprima riferito agli anni della Scuola di disegno diretta da Antonio Berti, che vedeva la presenza d’artisti, letterati e musicisti, ma anche quella di medici e scienziati. Partecipavano personaggi di vivace confronto e orgoglio: scrittori come Alfredo Oriani, collezionisti come Ercole Alberghi, filantropi socialisti come Ugo Bubani, mentre per le arti figurative primeggiavano Domenico Rambelli, Giuseppe Ugonia, Giovanni Guerrini, Francesco Nonni, Pietro Melandri, Ercole Drei; un vero e proprio sodalizio, come se a Faenza da un’unica origine uscissero più portavoce di una trama artistica. Il Cenacolo Baccariniano fu internazionalmente riconosciuto e con lui il suo “motore”, il giovane Domenico. Si descrive un vero e proprio convivio tutto romagnolo tra le osterie e le vecchie mura di via Montanara, sempre coesi anche nell’andar per mostre o nelle esplorazioni comuni consumate durante gli interminabili dibattiti intorno ad un tavolo. Non scordiamoci poi le influenze europeiste - Art Decò, Liberty - che già rinnovavano l’artigianato artistico dall’inizio del secolo e che non potevano lasciare indifferenti chi da Faenza avrebbe poi sviluppato un linguaggio individuale. Il gruppo del “Cenacolo” visse un momento unico durante il quale le coeve esperienze estetiche degli accoliti si esposero al panorama internazionale portandoli alla ribalta. Dopo la scomparsa di Domenico, spingendo la ricerca dal primo decennio del Novecento fino al terzo, anche i suoi protagonisti cambiarono ideali artistici, forti d’esperienze maturate in città e fuori, al seguito o meno delle avanguardie. I successivi Cenacoli di casa Missiroli e di casa Galli si occuparono d’altre forme in altre forme, ormai nell’ombra del mito di Baccarini.

Ta t i a n a Tom a s e t t a

foto d’archivio

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Baccarini e il movimento d’arte da lui intavolato

foto d’archivio

Il cenacolo colto THE BACCARINI CIRCLE_ THE MAN AND HIS MOVEMENT

esattamente cento anni fa, muore a Faenza Domenico Baccarini. Aveva solo 24 anni, ma come abile artista in odore di fama internazionale già si era distinto, abile disegnatore

foto d’archivio

in giovanissima età,

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I Sensi di Romagna

scultore da studente.

Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni. Anonimo

Il 31 gennaio del 1907,

Domenico Baccarini died in Faenza one hundred years ago, on 31 January 1907. A gifted painter from a very young age, as a student he had distinguished himself as a sculptor and was on the way to international fame when he died. He was only 24.Baccarini was a “handsome and clean-living” man, and an indefatigably talented artist of great expressive power, a capable portraitist who was as much at home with paper, pencil and charcoal expert as he was with oil and canvases, ceramics or graphic arts. His output was stupendous, and he left behind drawings, paintings, sculpture and decorations; but he’s remembered above all for his zeal and his charisma as the central figure of the famous early 20th-century art movement known as the Cenacolo Baccariniano (Baccarini Circle). This period of fecund exchange among Faenza’s leading lights of art and literature was a local manifestation of the great flourishing of artistic expression and creativity of the opening decade of the 20th century, between symbolism and Art Nouveau. It was from this rich ferment of ideas and art that Baccarini managed, while still a budding artist, to make a name for himself through intelligent work and a powerful personality. Ultimately, of course, his appeal lay in his love of beauty and the arts. Baccarini was of humble origins and he and his like-minded friends met in the back room of his mother Maddalena’s shop in Faenza. The coterie was first attested during Baccarini’s art school years under Antonio Berti, who recorded the presence not only of artists, litterati and musicians but also of doctors and scientists. Those present were a potent mixture of colourful and spirited personages: there were writers (Alfredo Oriani), collectors (Ercole Alberghi), socialist philanthropists (Ugo Bubani), and artists – Domenico Rambelli, Giuseppe Ugonia, Giovanni Guerrini, Francesco Nonni, Pietro Melandri, and Ercole Drei. It was nothing short of a brotherhood, a “conspiracy” of artists whose common ground was the city of Faenza. As the Cenacolo Baccariniano became internationally famous, so did its driving force, the young Domenico Baccarini. The circle moved with typically Romagnol verve between the inns and the old walls of via Montanara, and always retained its cohesion whether it was visiting exhibitions or sitting round a table engaged in its interminable debates. And we shouldn’t forget that the Europeanizing influences – art deco, art nouveau – which had been breathing new life into the crafts since the turn of the century could hardly have failed to reach the artists and craftsmen of Faenza, who took the new styles and moulded them according to their own peculiar idiom. The renown of the Baccarini circle reached a brief pitch of incandescence when the international acclaim which the artistic achievements of its members attracted brought it into the spotlight. In the decades following Domenico Baccarini’s death, his followers eventually changed artistic direction under the influence of new currents in new milieus, some more avantgarde than others. Later salons – the Missiroli and the Galli – have had other concerns and other approaches, but none has surpassed the mythical Cenacolo Baccariniano.

Arte

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Territorio Arloi da sol_ meridiane in pianura: viaggio breve in Bassa Romagna “Arloi da sol”_ sundials on the plain: a brief voyage around Bassa Romagna Bertinoro_ monumento al viver bene Bertinoro_ a monument to living well

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Storia La “prima” di una turista straniera_ davanti all’Adriatico del ‘700 The first foreign tourist_ on the Adriatic coast in the 18th century I busti di Rodin celati a Faenza_ dono involontario dello scultore Out of sight - the Rodin busts in Faenza_ the story of an “involuntary” donation

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Passioni

Grand Hotel_ la Belle Époque di Rimini

Carattere di razza_ profilo psicologico del romagnolo

Grand Hotel_ the Belle Époque in Rimini

Thoroughbred, but not inbred_ a psychological profile of the Romagnol Giancarlo Minardi_ ultimo “romantico” in Formula 1 Giancarlo Minardi_ the last romantic of Formula 1

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Enogastronomia

28 Precoce passione romagnola_ i vini della Fattoria Camerone An eye for the prize_ the wines of Fattoria Camerone Romagna, culla del cocomero_ vicissitudini di un frutto Romagna, watermelon country_ the fortunes of a fruit

Arte Riviera réclame_ le affiche della propaganda balneare Riviera billboards_ seaside holidays in period posters Il cenacolo colto_ Baccarini e il movimento d’arte da lui intavolato The Baccarini circle_ the man and his movement

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I Sensi di Romagna


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