B
atte la Romagna il vento che cambia la stagione. Il vento caldo che leviga i muri di sasso degli antichi borghi, strattona le chiome degli alberi e si rincorre la coda tra i
filari delle viti, gonfia le vele e frusta le bandiere. Un alito secco che scalda la terra e asciuga l’acqua. Un provocatore strafottente che sfida alla corsa schiaffeggiando la faccia, che allontana il sonno ed incoraggia notti brave, che partecipa ai nuovi ricordi e porta via quelli passati. Un messaggero neutrale che trasporta le note delle serenate odierne e l’eco di quelle passate, facendosi docile strumento del più lirico romanticismo e conservando un atomo d’essenza delle struggenti figure femminili che gli appartengono. Un vigoroso traghettatore che trasporta nelle sue spire le sementi floreali per disporle con grazia secondo un preciso disegno impossibile per noi da penetrare. E da qualche parte, chissà, sfoglia nervosamente con una folata le pagine di ee. La Redazione di ee
The wind that sweeps Romagna at this time of the year heralds a change of season. A warm wind that caresses the stone walls of ancient villages, shakes the treetops and stirs through the vines, puffs out sails and tugs at flags. A breath of dry air that warms earth and dries water. An insolent wind that lashes at our faces, that hinders sleep and encourages nocturnal escapades, that brings new memories and spirits old ones away. A neutral messenger that carries the notes of today’s serenades and the echoes of those past, like the gentlest and most romantic of musical instruments, seemingly preserving an atom of the essence of the female figures whose tormenting charms they sing. A busy ferryman that lifts the seeds of flowers in its comings and goings, depositing them here and there according to a design whose mysteries we are incapable of penetrating. And that somewhere, surely, ruffles the pages of the latest issue of ee. The editorial staff of ee
Editoriale
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AC Q UAT E R R A F U O C O A R I A
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I t a l o e Va n n a G ra z i a n i
I giardini portati dal vento in Romagna u n “ l u o g o re c i n t a t o ” p e r l a r i c e rc a d e l l a s p i r i t u a l i t à
per la crescita di piante che non prospererebbero altrimenti nell’ambiente prescelto; in questo caso, al contrario, significa aiutare la natura a manifestarsi spontaneamente.
È
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Dove la natura non sparge il seme, invano ha arato l’arte. Antico proverbio popolare
Creare un giardino può anche voler dire creare condizioni artificiali
la filosofia alla base dei giardini portati dal vento, uno dei quali è stato realizzato vicino alla rocca di Brisighella. Un lavoro originale che si basa sull’attenta osservazione dell’opera della natura e
sulla valorizzazione dell’armonia che la caratterizza. Il progetto si fonda su un’idea di Gabriella Buccioli, triestina di nascita e bolognese di adozione, ma con alle spalle un’infanzia felice trascorsa nei boschi della Carnia, che ha iniziato questo mestiere per caso, con una passione che è cresciuta lentamente, forse senza la consapevolezza della straordinarietà di ciò che sarebbe stato in seguito. Il giardino è un teatro di passioni, ed esprime il carattere e il temperamento di chi lo immagina e lo coltiva. Bisogna considerare che sono numerose le condizioni che influenzano la nascita di una pianta spontanea: il tipo di terreno, che può essere argilloso, sabbioso, acido o alcalino, la luce o l’ombra, la temperatura, il modo in cui la terra è stata lavorata, e perfino la luna. Infine non si può tralasciare l’importantissimo ruolo giocato dagli insetti, dagli uccelli, dalla fauna selvatica, e soprattutto dal principale protagonista, il vento, nel trasportare i semi e i pollini anche a grandi distanze. L’eccezionalità del lavoro di Gabriella sta appunto nell’aver “aiutato”, con piccole forzature, la natura a compiere il suo miracolo. La “fata delle piante”, così, è riuscita a creare un ambiente unico, caratterizzato da accostamenti cromatici spesso casuali, ma anche da una combinazione di elementi vegetali scelti con attenzione e intelligenza.
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gerci a cercare l’autrice, a desiderare di conoscerla e visitare il giardino che ha creato. Assistendo alle speciali “lezioni di giardinaggio” che Gabriella tiene riguardo al recupero del rapporto con la natura si
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I Sensi di Romagna
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È stata la lettura del libro che racconta questa esperienza originale “I giardini venuti dal vento”, a spin-
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I Sensi di Romagna
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quanto piuttosto come una scelta di vita. Grazie alla pazienza e alla forza di volontà, al desiderio di apprendere e mettere in pratica, ha realizzato una grande oasi dove “madre natura è rispettata e amata”, come lei stessa non si stanca di ripetere. Da questo incontro è nata l’idea di portare l’esperienza in Romagna. La proposta è stata lanciata dal Comune di Brisighella insieme all’Associazione “Il lavoro dei contadini” che, ormai da qualche anno, tutti i sabati del mese di agosto, organizza la manifestazione “L’Arca dei Savori”, evento durante il quale vengono presentati i prodotti tipici della zona, e per il quale si preparano allestimenti che rimandano alla natura e alla cultura della tradizione. Gabriella come tutti i veri “maestri” fanno, ha accettato di realizzare il progetto di una scenografia particolare, cioè un altro “giardino portato dal vento”, senza nemmeno chiedere un compenso. Sede privilegiata della manifestazione è la Rocca Veneziana di Brisighella, un castello medievale situato in posizione sopraelevata rispetto al resto del paese che nelle sere d’estate offre uno scenario particolarmente affascinante, quasi fiabesco. Proprio qui, una domenica di luglio, ci siamo incontrati per scegliere le piante più caratteristiche della flora spontanea delle colline romagnole: il verbasco, l’inula, il finocchio selvatico, il cardo, l’iperico ed altre ancora. La selezione è stata compiuta in base al periodo e alla durata della fioritura, ma soprattutto a seconda del colore e dell’impatto visivo degli accostamenti cromatici. Abbiamo lasciato nella loro posizione le piante prescelte, eliminando invece quelle non volute, le più sole e il fabbisogno d’acqua, abbiamo modificato la disposizione delle piante collocando, ad esempio, piante grasse nelle zone di terreno più aride e assolate. Inoltre abbiamo tracciato i sentieri, indispensabili in un vero giardino, seguendo la conformazione del terreno, salva-
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invadenti che avrebbero “soffocato” le altre. Quando necessario, valutando l’esposizione al
guardando e garantendo buona visibilità alle piante giudicate più interessanti, per esempio il verbasco che è caratterizzato da una spiga gialla molto alta e particolare. In poco tempo, entro un’area di circa cento metri quadrati vicina alla Rocca, è sorto così un giardino speciale, in cui le cosiddette “erbacce” hanno acquisito la dignità di piante decorative. Per magro la presenza delle diverse piante, con il nome e la descrizione di ognuna. In questo luogo unico, al tocco che solo la mano dell’uomo sa dare si è congiunto un particolare rispetto dei tempi naturali, l’attenzione per ciò che avviene spontaneamente nell’ambiente che ci circon-
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giore completezza abbiamo deciso di aggiungere anche cartellini esplicativi che segnalassefoto d’archivio
da e la pazienza di lasciar fare al vento il proprio lavoro. Il pensiero di un giardino di questo genere ha affascinato anche il poeta e scrittore romagnolo Tonino Guerra, che vorrebbe ne fosse realizzato uno simile a Pennabilli, dove risiede. Il progetto possiede, infatti, una sua poetica intrinseca in quanto esalta quello scambio
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Some gardens create artificial conditions for plants to grow in environments where they would not normally prosper; the idea behind the “wind-sown” garden, however, is to help nature flourish spontaneously. This is the philosophy behind the wind-sown garden, one of which has been built near the castle of Brisighella. It’s an original approach to gardening which is based on careful observation of nature at work and the enhancing of the harmony which characterizes it. The project is based on an idea by Gabriella Buccioli. Born in Trieste and now resident in her adoptive city of Bologna, Buccioli spent a happy childhood in the woods of Carnia and came to gardening almost by accident, with a passion that grew slowly, without being aware of how extraordinary her work was to become. Every garden is a theatre of passions, and expresses the character and temperament of the person who conceives it and tends it. And many different factors combine to determine whether or not a plant will be able to grow spontaneously: the type of soil (which may be clayey or sandy, acid or alkaline), the amount of light and shade, temperature, the way the soil has been worked, and even the moon. Then there is the vital role played by insects, birds, fauna, and the main protagonist – the wind, which carries seeds and pollen over a great distance. What makes Gabriella Buccioli’s work so original is that she simply helps nature to accomplish its own miracles: the result is a unique environment with unusual, often casual matches of colours and a combination of plants selected with care and intelligence. Buccioli tells the story of her creation in her book I giardini venuti dal vento. After reading it, we were impelled to go in search of the author and visit the garden she created. And after attending some of the special gardening classes that Gabriella gives on how to recover our lost rapport with nature, we can appreciate how Gabriella’s profession is not just a job but a way of life. Thanks to her patience, willpower and her readiness to learn as she goes along, she has created a veritable oasis where “Mother Nature is respected and loved”, as Gabriella herself never tires of repeating. Our meeting led to the idea of transporting the experiment to Romagna. The proposal was tabled by the council of Brisighella and an association, “Il lavoro dei contadini”, which for several years now, every Saturday in August, has organized its “Feast of Flavours”, a fair which showcases local produce and is staged in a setting which recalls nature, tradition and popular culture. Like all true artists, Gabriella accepted the proposal to design another wind-sown garden without even discussing a fee. The location chosen for the project was Rocca Veneziana in Brisighella, a medieval castle overlooking the town. On summer evenings the view from the castle is spectacular, like something from a fairy-tale. It was here, on a Sunday in July, that we met to select the plants most characteristic of the spontaneous flora of the Romagna hills: mullein, inula, wild fennel, thistle, hypericum and others. The selection was based not only on the period and duration of florescence, but above all on colour and the visual impact obtained from certain colour combinations. The selected plants were left to grow where they germinated, although we eliminated certain unwanted and more invasive species that would have “strangled” the others. Where necessary, and as water and sun exposure requirements allowed, we relocated certain plants, for example moving fleshier, water-retaining plants to drier, sunnier parts of the garden. We also laid out the pathways, essential features in every real garden, in such a way that they followed the contours of the terrain, ensuring good visibility for the plants deemed most interesting, such as mullein with its unusually high yellow stem. In a short time, in a plot of a hundred square metres next to the castle, there flourished a very special garden in which so-called “weeds” acquired the same dignity as decorative plants. As a finishing touch, we then added explanatory tags giving the names and descriptions of each plant in the garden. It’s a unique spot where the human hand has operated in harmony with the rhythms of nature, with all the patience needed to let the wind do the work. The concept behind this kind of garden has also captivated the Romagnol poet and writer Tonino Guerra, who wanted a similar garden to be made in Pennabilli, where he lives. The wind-sown garden does in fact possess its intrinsic poetry in that it exalts that symbiosis between nature and humanity that our forebears held to be sacred, but which more recently has become a relationship founded on subjection and exploitation. To create places like Gabriella Buccioli’s wind-sown gardens is to support the restoration of this symbiosis and to bring younger generations to a new kind of ecological awareness. To raise Buccioli’s project to a more general plane, we might speak of ethnobotany, or the interaction of nature and culture. In other words, it’s impossible to preserve nature without taking into account the complex cultural practices that have harnessed, managed and organized nature for thousands and thousands of years.
comprende che la sua occupazione non debba essere intesa semplicemente come un lavoro,
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La natura non fa nulla di inutile. Aristotele
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THE WIND-SOWN GARDENS OF ROMAGNA_ SECLUDED PLACES THAT SPEAK TO THE SPIRIT
uomo-natura che i nostri avi hanno sempre considerato sacro, e che invece recentemente, con presunzione, viene avvertito quasi come una sudditanza. Creare luoghi come il giardino portato dal vento significa alimentare l’interesse verso la rinascita di questo rapporto e cercare di risvegliare nelle nuove generazioni una sorta di “coscienza ecologica”. Per portare questo discorso su un piano generale, potremmo parlare di etnobotanica, concetto che nasce dall’interazione tra natura e cultura. In altri termini, non si può conservare la natura senza considerare le complesse pratiche culturali che l’hanno percepita, gestita e organizzata per migliaia di anni.
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Posto al limitare della cosiddetta Romagna d’Este, Bagnacavallo è un microcosmo a parte.
Manlio Rastoni
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Bagnacavallo
otato di vera vocazione “cinegenica”, dal 1967, anno in cui ha ospitato il set di un episodio girato da Vittorio De Sica di “Boccaccio ‘70”, ha “recitato” il ruolo di cornice per una nutrita schiera di maestri della settima arte, tra cui i fratelli Taviani, Pupi Avati,
Montaldo, D’Amico, Polidoro, Vancini, Zaccaro e Soldini, guadagnandosi lo status di una delle location classiche della migliore era del
incanto senza tempo
cinema italiano. Differente dai comuni che lo circondano, dai borghi che dovrebbero somigliargli, originale fin dal suo nome, che non ricorda, in tutt’Italia, quello di nessun’altra località. La prima suggestione che trasmette ad un forestiero che vi accede, magari seguendo la sinuosa Strada Maestra che scorre come un fiume attraverso la pianta centrale del suo Centro Storico, è quella di trovarsi in un’antica “isola” architettonica che conserva eredità di ognuna delle sue numerose antiche dominazioni. Nel corso della storia, dall’Età del Bronzo all’Unità d’Italia, romani, goti, bizantini, longobardi, quasi ogni signoria locale e lo Stato Pontificio hanno contribuito a comporre un intreccio di palazzi, torri, piazze e chiese i cui suggestivi angoli, le corti interne, i giardini meritano di essere vissuti, anziché visitati, come può avvenire partecipando all’antichissima festa di San Michele. Più ancora dei celebri attori che ne hanno calcato le strade negli ultimi 40 anni, sono le molte personalità storiche che si sono avvicendate tra le sue mura negli ultimi sette secoli ad aver contribuito a delineare la fisionomia immaginifica del paese, a cominciare da Dante, che la citò nel Poema e pare abbia indugiato in preghiera davanti alla cosiddetta Madonna dal profilo dantesco, nel 1357 il paese fu consegnato al condottiero inglese Giovanni Hawkwood (vedi ee N° 10), tra le mura del Convento di S. Giovanni morì nel 1821, la figlia di Lord Byron, Allegra (vedi ee N° 14), al primo piano della torre civica fu detenuto il brigante Stefano Pelloni (vedi ee N° 8), l’arcinoto Passatore, nato nella vicina frazione di Boncellino. Lungo tutte le epoche diede i natali ad una nutrita schiera di pittori, scienziati e letterati, come Leo Longanesi (vedi ee N° 14) a cui è intitolato anche un raro vitigno di sangiovese tipico di questa zona. Così, sia che il suo nome derivi dalla presenza di una sorgente di acque curative per i cavalli (di cui avrebbe usufruito l’amato destriero dell’Imperatore romano Tiberio), sia che lo debba più prosaicamente ad un frequentato guado del fiume Senio in prossimità del primo agglomerato urbano (per attraversare il quale era necessario bagnare le cavalcature), Bagnacavallo è un suono che richiama immediatamente alla mente di chi lo conosce una sensazione benefica, poiché rievoca un luogo ove la cultura del buon vivere ha radici profonde.
BAGNACAVALLO_ TIMELESS CHARM The town of Bagnacavallo, a part of Romagna once ruled by the Este dynasty, is a world in itself. Ever since Vittorio De Sica shot some scenes from his “Boccaccio ‘70” here in 1967, Bagnacavallo has featured in films by numerous directors, including the Taviani brothers, Pupi Avati, Montaldo, D’Amico, Polidoro, Vancini, Zaccaro and Soldini, earning itself the status as one of the classic locations from one of the most illustrious periods in Italian cinema. It’s this cinegenic vocation which sets Bagnacavallo apart from neighbouring towns, which should, but don’t, resemble it. Even its name is original – no other place in Italy even remotely approaches it. The first impression it makes on the newcomer making his way along the sinuous Strada Maestra, the main thoroughfare that winds like a river through the old town, is of an architectural “island” in which each and every one of the many civilizations, dynasties and powers that have exercised dominion over the town has left its mark. Throughout history, from the Bronze Age down to Italian unification, Romans, Goths, Byzantines, Lombards, local seigneurs and the Papal States have made their contribution to a jumble of palaces, towers, squares and churches whose secluded corners, courtyards and gardens need to be experienced as much as visited. The feast of San Michele, celebrated every year in Bagnacavallo since no-one can remember when, is one way to experience the town’s unique charms. While some famous actors have walked its streets over the last 40 years, Bagnacavallo is a town whose complexion and reputation have taken form over the course of centuries, thanks to the many historical figures who in some way have been connected with it. First among these is Dante, who names the town in his Divine Comedy and who seems to have stopped here to pray in front of the “Madonna of the hooked nose”. In 1357 the town fell under the dominion of the English adventurer and condottiere John Hawkwood (see ee issue 10). Allegra, the daughter of Lord Byron, died in the convent of S. Giovanni in 1821 (see ee issue 14), and the notorious brigand Stefano Pelloni, better known as Il Passatore, a native of the nearby village of Boncellino, was imprisoned in the first storey of the belltower (see ee issue 8). At every period in history Bagnacavallo has produced more than its fair share of painters, scientists and writers, among them Leo Longanesi (see ee issue 14), after whom a rare variety of the Sangiovese grapes, typical of the region, is named. Whatever the origins of its name – some say it derives from the presence in the town of a spring whose waters had restorative properties for horses, one of which was the beloved steed of Roman emperor Tiberius, while others favour a more prosaic thesis according to which the early settlement rose in the vicinity of a busy ford across the river Senio, where those wishing to get to the other bank were forced to wet (bagnare) their horse (cavallo) – Bagnacavallo is an enchanting town with a special place in the heart of everyone who knows it, a place where the art of living has deep and ancient roots. foto d’archivio
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L’uomo I Sensi di Romagna
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fa
il
luogo,
e
il
luogo
l’uomo.
Antico
proverbio
popolare Territorio
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E come li stornei ne portan l'ali
se fosse amico il re de l'universo,
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c'hai pietà del nostro mal perverso.
così quel fiato li spiriti mali
Dante – Inferno, Canto V di qua, di là, di giù, di sù li mena;
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Di quel che udire e che parlar vi piace,
(...) Siede la terra dove nata fui / su la marina dove ‘l Po discende / per aver pace co’ seguaci suoi (...) noi udiremo e parleremo a voi,
nulla speranza li conforta mai,
mentre che 'l vento, come fa, ci tace.
non che di posa, ma di minor pena.
Siede la terra dove nata fui
E come i gru van cantando lor lai,
su la marina dove 'l Po discende
faccendo in aere di sé lunga riga,
per aver pace co' seguaci sui.
così vid'io venir, traendo guai,
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
ombre portate da la detta briga;
prese costui de la bella persona
per ch'i' dissi: "Maestro, chi son quelle
che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.
genti che l'aura nera sì gastiga?".
foto d’archivio "La prima di color di cui novelle
FRANCESCA DA RIMINI_ THE TRUE STORY OF A STAR-CROSSED LOVE AFFAIR
tu vuo' saper", mi disse quelli allotta,
"fu imperadrice di molte favelle.
A vizio di lussuria fu sì rotta,
che libito fé licito in sua legge,
per tòrre il biasmo in che era condotta.
Ell'è Semiramìs, di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa:
tenne la terra che 'l Soldan corregge.
L'altra è colei che s'ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi è Cleopatràs lussuriosa.
Elena vedi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi 'l grande Achille,
che con amore al fine combatteo.
Vedi Parìs, Tristano"; e più di mille
S t e f a n o B o rg h e s i
ombre mostrommi e nominommi a dito,
ch'amor di nostra vita dipartille.
immagine d’archivio Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
foto d’archivio
Francesca da Rimini
Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e ' cavalieri,
d ra m m a ro m a n t i c o d i a n t i c a m e m o r i a
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
mi prese del costui piacer sì forte,
Medieval chroniclers expended rivers of ink on the bloody events which unravelled between 1283 and 1285 and clouded the previously good relationship between two of the most powerful families in Romagna. Both families, the Da Polenta of Ravenna and the Malatesta of Rimini, were supporters of the Guelph faction, and in arranging the marriage (celebrated by proxy in Ravenna) between Francesca, daughter of Guido Da Polenta, and Giovanni or Gianciotto (a.k.a. the Cripple), son of Malatesta da Verucchio, they sought to strengthen the alliance that bound them. Contemporary chroniclers agreed that the beauty of Francesca was legendary throughout Romagna. And the people of Rimini, nobles and populace alike, could appreciate her beauty for themselves when the newly-wed Francesca first visited their town. But all the splendour – feasting, tournaments, precious gifts – failed to dispel Francesca’s disappointment in the physical appearance of her groom, who had been assigned to her without her own feelings having been consulted. And Gianciotto had a brother, Paolo the Fair, who soon fell in love with Francesca – and his love was ardently requited. Dante’s Inferno is our principal source for the events surrounding the love affair between brother- and sister-inlaw. The poet would have been aged around twenty when the adultery was consummated, and he is believed to have heard news of the tragedy at the court of the counts Guidi di Romena in Casentino, from Margherita, the daughter of Paolo the Fair. The story goes that one day the future lovers were reading the story of Lancelot of the Lake, the knight of the Round Table who fell helplessly in love with Guinevere, wife of King Arthur. Impelled by the enchantments of their reading, they revealed their love for one another. It was the beginning of the end for both. As an anonymous chronicler from Rimini wrote in the 14th century: “It happened such that the aforementioned Gianne the Cripple discovered Paulo his brother with his wife and at once killed him and the lady.” In a story which has been successively embroidered in its passing from one generation to another, we can safely accept as fact the identities of the lovers and their death at the hands of Gianciotto, husband and brother. Other things are less certain, however: such as the ages of the lovers and, more particularly, where the events took place. Many towns under the dominion of the Malatesta dynasty at the time have staked their claim as the stage of the tragedy. After Rimini, one of the most plausible candidates is the charming castle of Gradara, where the bedroom believed to have been occupied by Francesca has been restored. So was Francesca da Rimini a kind of 13th-century Madame Bovary? That’s certainly the interpretation of Edoardo Sanguineti, who ambitiously compares Francesca to the heroine of Flaubert’s great novel. Unable to content herself with the boredom of her petitbourgeois milieu, Emma Bovary flouted convention and sought satisfaction in the pleasures and adventures of adultery. Francesca, however, was of noble origin, though she shared with Madame Bovary a rejection of everyday reality; beguiled by the story of Lancelot, she gave herself up to the fool’s gold of chivalric romance. More convincingly, Dante emphasizes the dramatic appeal of Francesca, a fragile creature who fell victim to the overwhelming sweetness of love. But though his encounter with Francesca in the depths of hell left him profoundly moved and overcome by pity, it was Dante nevertheless who consigned her to hell as punishment for her guilty love.
che, come vedi, ancor non m'abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense".
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand'io intesi quell'anime offense,
china' il viso e tanto il tenni basso,
fin che 'l poeta mi disse: "Che pense?".
Quando rispuosi, cominciai: "Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!".
Poi mi rivolsi a loro e parla' io,
e cominciai: "Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.
Ma dimmi: al tempo dei dolci sospiri,
a che e come concedette Amore
che conosceste i dubbiosi disiri?".
E quella a me: "Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.
Ma s'a conoscer la prima radice
I' cominciai: "Poeta, volontieri
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
parlerei a quei due che 'nsieme vanno,
immagine d’archivio dirò come colui che piange e dice.
e paion sì al vento esser leggeri".
Si favoleggiò a lungo nelle cronache medievali sul grave fatto di sangue, avvenuto Ed elli a me: "Vedrai quando saranno
facto che el dicto Gianne Scianciato trovò Paulo so’ fradello cum la donna sua et habelo morto subito lui et la
Noi leggiavamo un giorno per diletto
presumibilmente tra il 1283 e il 1285, che turbò i buoni rapporti tra due delle più più presso a noi; e tu allor li priega
donna”. Elementi storicamente certi dell’accaduto, di cui si è sempre tramandata la romantica memoria, sono
di Lancialotto come amor lo strinse;
potenti Signorie della Romagna.
per quello amor che i mena, ed ei verranno".
l’identità dei due cognati e il loro assassinio per mano di Gianciotto, marito e fratello.
soli eravamo e sanza alcun sospetto.
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I
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: "O anime affannate,
Da Polenta di Ravenna e i Malatesta di Rimini, entrambi di parte guelfa, suggellarono l’alleanza combinando il matrimo-
Molte congetture, invece, sull’anno, sull’età dei protagonisti e, in particolare, sul luogo. Varie città e paesi
Per più fiate li occhi ci sospinse
nio, celebrato per procura a Ravenna, tra Francesca, figlia di Guido Da Polenta e Giovanni detto Gianciotto (ossia lo
appartenuti alla Signoria dei Malatesta rivendicano di essere stati il teatro della tragedia. Tra i luoghi più accre-
quella lettura, e scolorocci il viso;
Sciancato), figlio di Malatesta da Verucchio. I cronisti dell’epoca dicono concordi che la bellezza di Francesca era nota in tutta
ditati, dopo Rimini, è l’incantevole castello di Gradara, ove è stata ricostruita la camera detta “di Francesca”.
la Romagna. Poterono confermarlo l’aristocrazia e il popolo di Rimini quando accolsero per la prima volta, giovane sposa, la
Francesca da Rimini: una Bovary del Duecento? È questa l’interpretazione di Edoardo Sanguineti, che accosta
Quando leggemmo il disiato riso
nobildonna ravennate. Feste, tornei, preziosi regali non rimossero tuttavia la delusione di Francesca per l’aspetto fisico dello
arditamente Francesca alla protagonista di un noto romanzo di Flaubert. Emma Bovary è una piccolo-borghe-
esser basciato da cotanto amante,
sposo, che le era stato assegnato senza ascoltare le ragioni del suo cuore. Gianciotto aveva un fratello, Paolo detto il Bello, che
se, che non si adatta al grigiore della quotidianità e, sfidando le convenzioni, cerca invano di soddisfare le sue
la bocca mi basciò tutto tremante.
venite a noi parlar, s'altri nol niega!".
Quali colombe dal disio chiamate
con l'ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l'aere dal voler portate;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.
di Francesca ben presto s’invaghì, ardentemente corrisposto. L’Inferno di Dante è la principale fonte di notizie sulla relazione
aspirazioni nell’adulterio. La nobile Francesca, che ha in comune con Madame Bovary il rifiuto della realtà
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
a noi venendo per l'aere maligno,
tra i due cognati. Il poeta aveva circa vent’anni quando si consumò l’adulterio e ne avrebbe avuto notizia, presso la corte dei
quotidiana, sogna i baci di Lancillotto e si abbandona alle illusioni dei romanzi cavallereschi. Più verosimil-
quel giorno più non vi leggemmo avante".
sì forte fu l'affettuoso grido.
conti Guidi di Romena nel Casentino, da Margherita, figlia di Paolo il Bello. I due amanti leggevano un giorno la storia di
mente Dante mette in risalto la drammaticità di Francesca, una fragile creatura, vittima della soverchiante dol-
Mentre che l'uno spirto questo disse,
Lancillotto del Lago, cavaliere della Tavola Rotonda, perdutamente innamorato di Ginevra, moglie di re Artù. Quella soave let-
cezza dell’amore. Il poeta esce sconvolto dall’incontro con lei nel girone infernale, sopraffatto da un sentimento
l'altro piangea; sì che di pietade
tura li spinse a rivelarsi il reciproco amore. Fu la loro fine, così descritta da un anonimo riminese del ‘300: “Accadde caso così
di pietà, che non esclude tuttavia la condanna dell’amore colpevole.
cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
"O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l'aere perso
io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade.
noi che tignemmo il mondo di sanguigno,
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I Sensi di Romagna
Storia
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Iris Versari d ra m m a ro m a n t i c o d i m o d e r n a m e m o r i a Vi è un fazzoletto di terra, ove la fertile pianura si fa dolcemente ondulata, in cui a una donna, persino negli anni ‘40, era concesso essere una bandita, una combattente, una dissidente,
Q
Il valore di un sentimento è la somma dei sacrifici che si è disposti a fare per esso. John Galsworthy
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senza che niente fosse tolto alla sua femminilità.
This story took place in the 1940s in the gently-rolling plains of Romagna. Its protagonist was a bandit, a fighter, a dissident – and a woman. The backdrop to the story was the Romagna of the arzdore, the indefatigable housewives and managers of households, families and farmsteads in peacetime; in wartime, they were couriers, accomplices and nurses to the husbands, sons and often anonymous heroes of the Resistance. Partisan heroine Iris Versari was born in the hills of Forlì, and it was here, at the farm known as Cornio di San Valentino, that she ended her days at the age of 22, betrayed by an informer, in the same hills and among the same courageous people where a hundred years previously Garibaldi had been offered refuge while being pursued by Austrian troops. As with many distinguished females, Iris Versari is mainly known for having been the companion, in life and in arms, of Silvio Corbari, a noted Faenza-born partisan. But her exploits tend to have been portrayed in a light more erotic than heroic in cinema and in folklore. The reality, however, is rather different. Iris Versari was a rebel, and she could resist hunger and extremes of heat and cold, could plan guerrilla raids, could shoot – and could kill. And kill herself. Which is what happened in the cold early hours of 18 August 1944. The Banda Corbari was a partisan formation well known to the fascists: Silvio Corbari, Iris Versari, Adriano Casadei and Arturo Spazzoli, who later won gold medals for valour, were considered as nothing better than common bandits: but with popular support behind them, they carried off more than one daring exploit against the fascist regime. On 15 August 1944, Iris Versari was holed up in the house of a peasant farmer in San Valentino when she accidentally injured herself while cleaning her sub-machine gun, the precious, arabesque-figured weapon that Il Curbera had taken from a fascist officer and given to Iris as a present. Suspecting that an ex-member of the group had informed on them, the four were planning to make their getaway the following dawn. However, even before the cock had crowed they found themselves surrounded by a huge group of Germans. The first officer to enter the house was shot dead by Iris, but the rebels were vastly outnumbered and resistance was nearly impossible: their only hope was to make a run for it. By killing herself, Iris Versari hoped to save her beloved Corbari, who would otherwise have lost vital time in trying to take his wounded companion to safety. Destiny, however, had other designs: Iris’ sacrifice failed to save Corbari who, caught by surprise, stumbled as he fled. He was captured and hung together with his companions who had tried to help him. Iris’ lifeless body was dragged into the farmyard and left for hours at the mercy of the farm animals before it was finally strung up from a lamp post in piazza Saffi in Forlì, alongside those of Corbari’s companions. Companions in life as well as death, in whose hearts the bloody cruelty of war had never extinguished a sense of loyalty and mercy.
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Va l e n t i n a S a n t a n d re a
IRIS VERSARI_ A MODERN-DAY HEROINE
uesto luogo è la Romagna delle arzdore, le instancabili direttrici di case, famiglie e poderi; in guerra staffette, complici e infermie-
Iris, verso il 15 di agosto, ospite presso un contadino a San Valentino, si era ferita accidentalmente nel pulire il suo mitra, un’ar-
re di mariti, figli ed eroi della Resistenza, seppur anonime.
ma arabescata e preziosa che il Curbera aveva preso a un gerarca fascista e poi portato in dono alla compagna.
Il caso ha voluto che Iris Versari, eroica partigiana, sia nata proprio nel cuore delle colline forlivesi, e qui, nel podere Cornio di San
Sospettando la spiata di un ex membro della banda, i quattro progettavano comunque di fuggire all’alba. Tuttavia, ben prima del
Valentino, a ventidue anni finì i suoi giorni tradita da un delatore, negli stessi poggi e tra le stesse genti coraggiose che offrirono rifu-
canto del gallo furono circondati da un nutrito squadrone di tedeschi. Il primo ufficiale che entrò fu freddato da Iris, ma la resi-
gio a un Garibaldi braccato dagli austriaci cent’anni prima.
stenza dell’esiguo gruppo ribelle era pressoché impossibile: rimaneva solo la speranza della fuga.
Come accade a molti personaggi femminili, Iris è conosciuta principalmente per essere stata la compagna di lotta e di vita di Silvio
Con il suicidio, Iris Versari sperava di salvare l’amato Corbari, che, diversamente, avrebbe indugiato nel cercare di portare in salvo
Corbari, noto partigiano faentino, e le sue gesta hanno assunto tratti più erotici che eroici in più di una rappresentazione, popolare o
la compagna ferita.
cinematografica. La realtà storica vuole invece che Iris fosse una ribelle capace di resistere alla fame, al caldo, al freddo, di progetta-
Il destino volle tuttavia che la sua morte non valesse a salvare il partigiano che, ancora annichilito, inciampò nel fuggire: fu cat-
re azioni di guerriglia, finanche di sparare e di uccidere. E di uccidersi. Come nelle prime ore, ancora fresche, del 18 agosto 1944.
turato e impiccato insieme con i complici che avevano cercato di soccorrerlo. Lo stesso corpo esanime di lei fu trascinato sull’aia,
La Banda Corbari era una formazione partigiana ben nota ai nazifascisti: Silvio Corbari, Iris Versari, Adriano Casadei, Arturo Spazzoli,
lasciato per ore in balia degli animali da cortile ed infine appeso ad un lampione di piazza Saffi a Forlì, con quello dei compagni.
poi medaglie d’oro al valor militare, erano considerati dei veri e propri banditen; forti del sostegno popolare, erano responsabili di più
Compagni di vita e di morte, nei cui petti la spietatezza e la bestialità della guerra non erano bastate a sopprimere i
di un’efferata azione ai danni del regime.
sentimenti pietosi.
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Storia
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Ricordati di Rimini, cantava sornione quasi mezzo secolo fa, ondeggiando ad arte il suo ciuffo “tirabaci” brillantinato, l’indimenticato Fred Buscaglione, il cui spiritaccio beffardo non poteva che amalgamarsi felicemente con la picaresca indole romagnola. Italia degli anni ’50 era divisa in due: da una parte una schiaccian-
L’
te maggioranza che si identificava nello scenario dominante confor-
mista e bigotto, dall’altra una sparuta minoranza di personalità gioviali ed aperte alle contaminazioni culturali, la cui esistenza sregolata avrebbe ispirato l’espressione dolce vita. L’assenza di sfumature tra le due fazioni faceva sì che chi apparteneva alla seconda categoria potesse esercitare il suo stile di vita solo in determinate “zone franche”, spesso luoghi elitari di villeggiatura o ristretti quartieri delle grandi città, quando non addirittura semplici locali ove le ordinarie convenzioni sociali veniFred Buscaglione
vano allegramente sovvertite. Il simbolo di queste “riserve” era indubbiamente il night. Luogo proibito, ricettacolo peccaminoso dell’alta borghesia e habitat naturale di Fred Buscaglione. di Nord-Est di Santa Margherita Ligure, La Rupe Tarpea di Roma e, natu-
(...) Se c’è una cosa che mi fa proprio male è l’acqua minerale (...).
ralmente, l’Embassy di Rimini, fumoso e scintillante club ove eleganza
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Il “triangolo delle Bermude” dei night italiani aveva per vertici il Covo
ed eccessi andavano felicemente a braccetto spesso fin oltre le prime ore dell’alba. Posto al centro di viale Vespucci, la via Veneto di Rimini, tra il Sombrero To m m a s o A t t e n d e l l i
di Marina centro ed il Mocambo di piazza Tripoli, l’Embassy, benché forse meno mondano del Covo (dove non era infrequente poter incrocia-
Alla Riviera piace Fred
re magnati del calibro di un giovane ed euforico Gianni Agnelli circondati dai loro compagni di debosce), non aveva rivali in termini di sfre-
l e n o t t i a l n i g h t d i B u s c a g l i o n e s u l l a c o s t a ro m a g n o l a
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natezze, e qui Fred Buscaglione era davvero di casa. Vi si esibiva regolarmente da quando nel 1954, non ancora famoso, dopo un’esperienza non troppo positiva al Savioli di Riccione (altro locale di culto), si guadagnò con la sua prima esibizione il plauso degli allora gestori del club, i fratelli Semprini, con i quali finì per instaurarsi un solido e duraturo rapporto di amicizia. A testimonianza di ciò è noto che anche dopo l’incredibile boom della sua carriera canora, avvenuto alla fine degli anni ’50, che aveva fatto schizzare il suo cachet alle stelle, Buscaglione, pur di non mancare l’appuntamento con l’Embassy in luglio ed agosto, era solito rinunciare a compensi da capogiro che gli venivano offerti altrove per esibirsi quasi gratis. La sua leggendaria Thunderbird rosa parcheggiata davanti al locale valeva più di qualsiasi insegna luminosa. Nel ’59, sborsando la strabiliante cifra di tremila lire d’ingresso era possibile assistere all’istrionico crooner prodursi nel suo inimitabile show. Sullo sciabordio di sottofondo del placido Adriatico risuonavano gli hot refrain ed foto d’archivio
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Asternovas, pronti a sconfinare nei primi di accenti di Rock’n’Roll, ma gli occhi degli astanti erano tutti per lui. Faccia da schiaffi, baffo alla nel taschino, Fred Buscaglione faceva il verso ad un esotico universo costellato di bulli e pupe da film noir hollywoodiano, imbastendo farsesche storie di scazzottate, sparatorie, amori provocanti e scampoli di romanticismo, spingendo fino all’autoironia la sua immagine di duro dal cuore tenero, protagonista di tante canzoni ancora oggi popolarissime come Teresa Non Sparare, Che Notte, Il Dritto di Chicago, Whisky Facile o Guarda Che Luna. Un personaggio interpretato con mimica e gestualità da attore consumato che spesso si produceva in gustose pantomime, la più celebre delle quali vedeva Fred terminare il suo grande successo Eri Piccola Così estraendo una pistola a salve ed esplodendo alcuni colpi (siparietto che una volta costò anche l’accidentale caduta di un malfermo lampadario di cristallo sul tavolo di alcuni blasonati spettatori in uno dei locali più chic della Penisola). Ma Buscaglione non frequentava assiduamente la Riviera solo in virtù degli amici romagnoli che gli avevano dato credito quando non era ancora nessuno. Esisteva un parallelo evidente tra la patria di quei vitelloni così magistralmente descritti da Fellini e lo scenario d’appartenenza del Trio Pastiglia, come veniva ironicamente chiamato (per motivi non chiari) il gruppo composto da Buscaglione, Leo Chiosso e Gino Latilla, inossidabili compagni di baldorie e principali “responsabili” della nascita del personaggio Fred. Si trattava, dunque, di una naturale affinità elettiva maturata in un profondo legame affettivo con questa terra. foto d’archivio
Legame che è stato reciso, insieme ad ogni altro quando, all’alba delle 06.20 del 4 febbraio 1960 la sua famosa Thunderbird targata Torino 286788 (forse poco più che un amato strumento di scena per Fred che la foto d’archivio
(...) Ho un sinistro da un quintale, ed il destro, vi dirò, solo un altro ce l’ha eguale ma l’ho messo Kappa O (...).
i ritmi sincopati dello Swing americano della sua orchestra: gli
Clark Gable, sigaretta equilibrista a bordo labbro e bicchiere di whisky
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Fred Buscaglione
Ricordati di Rimini (Remember Rimini). It’s nearly fifty years since he told us that, artfully tossing a brylcreamed kiss curl, but Rimini still remembers Fred Buscaglione, whose banter and easy charm couldn’t help but strike a chord with the picaresque Romagnol temperament. Italy in the 1950s was a divided country: on one side an overwhelming majority, sanctimonious and conformist, on the other a tiny minority of genial characters open to cultural contamination, whose bohemian lifestyles are believed to have inspired the proverbial dolce vita. The two factions were hermetically separate, and this meant that members of the bohemian persuasion could only live out their lifestyles in certain “free zones”, often upmarket holiday resorts or confined neighbourhoods in the larger cities, or simply places where the reigning social conventions could be happily subverted. The natural element of these bohemians was, of course, the night club. Night clubs had a forbidding aura; they were seen as dense of iniquity, honeypots of perdition where the upper middle classes indulged their debauchery; and they were the natural habitat of Fred Buscaglione. In those days, the three points in the “Bermuda Triangle” of Italian nightlife were the Covo di Nord-Est in Santa Margherita Ligure, La Rupe Tarpea in Rome, and – of course – the Embassy in Rimini, a smoky and glamorous night club where elegance and excess went happily arm in arm into the small hours and beyond. The Embassy stood midway along viale Vespucci, Rimini’s version of the via Veneto, between the Sombrero in Marina town centre and the Mocambo in piazza Tripoli. Though not as popular with socialites as the Covo, where a young and high-spirited Gianni Agnelli was often to be seen in the company of like-minded revellers, the Embassy was unrivalled for its lack of restraint, and it was here that Fred Buscaglione was really at home. Buscaglione performed here as early as 1954, before he was famous, when after a largely unsuccessful engagement at the Savioli in Riccione (another ultra-trendy bohemian night spot) his first performance met with the approval of the club’s managers, the Semprini brothers, with whom he formed a close and lasting friendship. Testimony to this friendship is the fact that even after his meteoric rise to stardom in the late 1950s (by which time he could command a very hefty fee), to honour his July and August commitments at the Embassy Buscaglione would often turn down lucrative offers to perform elsewhere to sing almost for free at the Embassy. His legendary pink Thunderbird parked outside the night club said more than any luminous sign ever could. By 1959 it cost a small fortune – three thousand lire – to see the charismatic crooner work his magic in his unique show. Here, on the shores of the placid Adriatic, Rimini rocked to the hot refrains and swinging syncopated rhythms of Buscaglione’s orchestra: the Asternovas. Rock’n’Roll was about to burst upon the scene, but audiences only had eyes for Fred. With his cheeky face, Clark Gable moustache, cigarette in the corner of his mouth and glass of whisky in his breast pocket, Fred Buscaglione evoked an exotic universe of tough guys and molls and Hollywood noir, with tragicomic tales of punch-ups, shoot-outs and dangerous loves, all tempered with a good dose of romanticism. He even carried his tough-guy-with-a-heart image into the realms of self-parody with songs that remain popular today: Teresa Non Sparare, Che Notte, Il Dritto di Chicago, Whisky Facile and Guarda Che Luna. Buscaglione projected his persona with the facial expressions and gestures of a consummate actor, and would often incorporate elements of pantomime into his performances – the most famous example being the climax of his hit Eri Piccola Così, when he would pull out a pistol loaded with blanks and shoot into the air (this gag once brought down a glass chandelier on a table occupied by some illustrious patrons in an ultra-chic night club). But Buscaglione didn’t frequent the Riviera solely on account of his Romagnol friends who had believed in him when he was a nobody. There was a clear parallel between the milieu of the loafers so perfectly depicted by Fellini and the background of the Trio Pastiglia, the ironic name given (for reasons which remain unclear) to the group composed of Buscaglione, Leo Chiosso and Gino Latilla, the singer’s indefatigable companions in revelry and the principal “culprits” behind the creation of Buscaglione’s stage persona. It was a case of natural affinity, then, born of a deeply-rooted emotional identification with Romagna. All this came to an end at 6.20 in the morning of 4 February 1960 when Buscaglione’s famous pink Thunderbird (perhaps more than a mere prop for the singer, who once confided to a friend that he thought of it as a lovable old banger), speeding through the Roman quarter of Parioli, crashed into a Lancia Esatau truck carrying a load of porphyry. Ferdinando “Fred” Buscaglione was just 38 when he died; the previous night, according to unconfirmed sources, he had secretly met Anita Ekberg in an encounter which degenerated into an argument. His car came to a halt on the pavement outside Villa Torriani, the official residence of the US ambassador to Italy. And so Fred Buscaglione met his end halfway between the most celebrated symbol of the dolce vita and a patch of American soil in Italy. Maybe that was destiny’s idea of a bad joke, or maybe it was a suitably dramatic climax to a life of excess, a death as spectacular as the life that had preceded it, a gesture as involuntary as it was excessive of loyalty to a persona which had ended up prevailing over the person. The perfect passport to that great last-chance saloon in the sky.
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A MUTUAL ATTRACTION_ FRED BUSCAGLIONE AND THE ROMAGNOL RIVIERA
descrisse in confidenza ad un amico come un grosso meraviglioso cator-
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cio), sfrecciando attraverso il quartiere romano Parioli, terminò la sua corsa su un più prosaico camion Lancia Esatau carico di porfido. Ferdinando “Fred” Buscaglione aveva 38 anni; quella notte, secondo alcune fonti non comprovate, si era incontrato segretamente con Anita Ekberg, incontro che sarebbe degenerato in litigio. La sua corsa si fermò a ridosso del marciapiede prospiciente a Villa Torriani, residenza ufficiale dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia. Si spense, dunque, sospeso tra il simbolo più celebrato della dolce vita ed un fazzoletto di suolo americano in patria. Forse uno scherzo di cattivo gusto del destino, oppure un drammatico omaggio ad un’esistenza sopra tutte le righe, “premiata” con un non meno cinematografico addio alle scene, di certo un estremo, quanto involontario, gesto di coerenza con la pesante maschera del proprio personaggio che ha finito per sopraffare l’uomo, ascendendo per sempre in quel melanconico “cielo dei bar” che così spesso cantava in vita.
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Storia
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È
un ragazzino garzone meccanico, tale Angelo Savini, quattordici anni appena compiuti, a inoculare il virus, feroce e incurabile, dei mutor nel cuore dei romagnoli. Lui, allampanato e macilento, conduce un mostro preistorico: una Hildebrandt e Wolfmuller,
fabbricata in Germania, millecinquecento di cilindrata, trasmissione a biella, freno da bicicletta sulla ruota anteriore. Il tutto con un Una cosa che non senti mai menzionare riguardo ai pionieri è che essi sono, invariabilmente, per loro stessa natura, dei casinari. Robert M. Pirsig
tocco da maestro: la marmitta è posta sul manubrio anteriore. La prima uscita di una motocicletta in città finisce letteralmente in fumo, giacché i nostri pionieri utilizzano come lubrificante il casereccio olio d’oliva al posto del più indicato olio di ricino. Savini, uscito malconcio dall’esperienza, torna alla più mite bicicletta. Poco importa, la motocicletta entra immediatamente nell’immaginario romagnolo e Faenza diventa in breve la città dei motori. Il segreto del successo è presto detto, e’ mutor si presta al carattere romagnolo: sanguigno, rumoroso, cialtrone con un certo amore per le guasconate e l’azzardo. E poi, sui motori si può scazzignare: argot che potrebbe tradursi con smontare, studiare, modificare. Rompere per poi aggiustare e migliorare. Pensare e sognare con le mani. Basta poco, un bicchiere di sangiovese e qualche balla, per organizzare le prime competizioni, simili a rodei estemporanei. L’uno confoto d’archivio
tro l’altro, sfide sul chilometro lanciato. Ma nel 1905 nasce il primo circuito nella storia della Romagna: la pista in terra battuta della piazza d’Armi di Faenza. Il vincitore è un bolognese, tale Taylor, alla guida di una Bignardi che percorre dieci chilometri scarsi in poco meno di otto minuti. La febbre è inarrestabile, dilaga a Ravenna, Rimini, Lugo, Russi. Dopo il 1910 ormai i piloti sono diventati delle autentiche stelle. Strano a dirsi, ma il Valentino Rossi dei tempi è Vittorina Sambri. Una donna in uno sport, pardon, una ragione di vita, dove alberga il maschilismo. Il 17 agosto del 1913, Vittorina corre sul circuito di piazza d’Armi di Faenza. Gareggia, in una sfida dal sapor medievale, contro Antoniazzi di Padova. Dieci chilometri, l’un contro l’altra armati. La prima gara viene annullata per una scorrettezza del padovano. Si ripete la prova e la Sambri sopravanza lo sfidante dopo pochi giri e vince fra il tripudio della folla. Proprio questa manifestazione sancisce la superiorità faentina nel panorama motociclistico romagnolo. Ma la prima guerra mondiale è alle porte e con il primo dopoguerra comincia il declino faentino. Un declino che porterà la storia del motociclismo in altri lidi, nei foto d’archivio
circuiti di Monza, Imola e Misano Adriatico. Piste leggendarie nate sulla terra battuta della piazza d’Armi di Faenza. Romagna, terra di teste matte, guasconi e scazzignatori.
i l t e m p o d e i ro d e i s u d u e r u o t e Esterno giorno, in un pomeriggio assolato giovani azzimati sciamano sul pubblico passeggio di Faenza. Corre l’anno 1896 e di lì a qualche minuto entrerà in scena il futuro di una piccola “regione” d’Italia:
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la Romagna.
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Circuito cittadino faentino
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Pa o l o M a r t i n i
It was a sunny afternoon, and the main thoroughfare of Faenza was thronged with well-dressed young men. The year was 1896, and just a few minutes later one particular young man was to make his reputation as a hero in the small Italian “region” of Romagna. Just turned fourteen, a young farm hand by the name of Angelo Savini was responsible for infecting the inhabitants of Romagna with their fierce and incurable passion for the mutor or motor cycle. Savini, a gaunt and scrawny youth, was at the handlebars of a prehistoric monster: a 1500cc German-built Hildebrandt & Wolfmuller with rod transmission and bicycle brakes on its front wheel. To crown it all, a touch of genius: the muffler was mounted on the handlebars. Faenza’s first-ever motorcycle outing finished quite literally in a haze of smoke, for our pioneers were using good old-fashioned olive oil as a lubricant, instead of the more suitable castor oil. Savini emerged from his experience in a rather battered state and stuck to the more sedate pushbike from then on. The damage, however, was done: motorcycle fever had taken hold of Romagna and Faenza would soon become the città dei motori – motor city. The reason for this overnight infatuation was quickly diagnosed. The mutor was the very image of the Romagnol character: impetuous, noisy, unpredictable, attention-seeking and with an affinity for danger. And then motor bikes could be tampered with: they could be dismantled and their inner workings examined, and they could be customized. Taking apart to adjust and improve: this was a form of thinking and imagining not with the head but the hands. Before long, then – it would have taken just a tall story or two over a glass of Sangiovese – the first motor bike competitions were being held in Faenza. These early challenges were a question of single-handed combat, of who could endure more kilometres at the handlebars. Then, in 1905, Romagna’s first racetrack was built: the earth track in Faenza’s main piazza. The winner was a Bologna-based rider called Taylor, whose Bignardi covered barely ten kilometres in a little under eight minutes. There was nothing stopping the fever now, and it soon spread to Ravenna, Rimini, Lugo, Russi. By 1910 many riders had attained veritable stardom. Strange though it may seem, the Valentino Rossi of those days was a woman, Vittorina Sambri. A woman in a sport – some would say a way of life – which has always been a redoubt of machismo. On 17 August 1913, Vittorina raced the Piazza d’Armi circuit in Faenza. In a challenge with more than a whiff of the medieval joust about it, her opponent that day was a rider called Antoniazzi from Padua. The distance was ten kilometres, man against woman. The first race was declared void after the Paduan rider infringed the rules. The race was repeated, and this time Sambri overtook her opponent after a few laps, remaining in front to cross the finishing line amid scenes of wild jubilation. It was this race that sealed Faenza’s position as Romagna’s leading motorcycling town; but the First World War was already looming, and in the postwar period Faenza was unable to recapture its former motorcycling glory. The decline had started, and the history of motor racing was entering a new phase in new pastures: the circuits of Monza, Imola and Misano Adriatico. It all started, however, on the earth track in Faenza, the heart of Romagna, a region of eccentrics, boasters and people with a fondness for tinkering with engines.
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FAENZA AS RACETRACK_ THE EARLY DAYS OF THE MOTORCYCLE RACES
Passioni
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Il corteggiamento sta al matrimonio come un prologo divertente sta a una commedia noiosa.
La serenata - l’iniziativa più romantica fra quelle che, una volta, potevano servire ad un ragazzo per conquistare il cuore della donna di cui era innamorato - è scomparsa per sempre, quasi contemporaneamente all’inizio della Seconda Guerra Mondiale.
E
rano preziose le serenate. Anche perché, a quei tempi, le occasioni di contatto fra giovani uomini e giovani donne erano limitatissime. Naturalmente mi riferisco alle serenate che echeggiavano nelle campagne della Romagna. Queste ultime, in genere,
potevano suddividersi pressappoco in due tipologie: individuali e collettive. Primo tipo: un ragazzo voleva mostrare il suo interesse speciale a una ragazza, ed ecco che assoldava un violinista campagnolo il quale in genere si faceva accompagnare da un altro suonatore, o di violoncello o di chitarra. Naturalmente si trattava per lo più di musicisti da balera, non certo di professionisti da orchestra sinfonica. Di notte, i due, guidati dal ragazzo promotore della serenata, si recavano vicino alla casa dove abitava la ragazza “oggetto del desiderio”. Nel silenzio assoluto, venivano eseguite tre suonate. Solo tre. Era il numero perfetto delle esecuzioni di una serenata. Guai se venivano suonati solo due pezzi! Ciò avrebbe significato “le corna”, che era cioè stato consumato un tradimento. Poteva addirittura capitare che venisse organizzata una “serenata di disprezzo” o “di dispetto”, programmata appositamente con due sole suonate, per dichiarare pubblicamente che la ragazza, cui era diretta, era una traditrice in amore. Certo se il cane di guardia abbaiava furiosamente, e normalmente succedeva, la serenata veniva un po’ sabotata, tuttavia la ragazza appariva comunque alla finestra per scoprire chi fosse il “promotore”. Ecco che lo spasimante era stato premiato. Il secondo tipo di serenata coinvolgeva un numero maggiore di persone. Dopo le tre suonate, se la porta di casa veniva aperta e il reggitore, o anche la padrona di casa, invitavano dentro tutta la comitiva, allora era festa grande. L’imponente tavola della spaziosa cucina veniva messa da una parte, e si ballava e si beveva in allegria sino a tarda notte. Ma se la porta rimaneva chiusa era inutile far suonare ancora gli strumenti. Poteva anche accadere che si venisse cacciati via in malo modo, magari con l’accompagnamento di qualche colpo di fucile. Un popolare violinista di campagna, Giacomo Donati detto “Bagarèta”, mi raccontò che una volta, aveva appena cominciato una serenata quando fu cacciato in malo modo perché - pensate un po’ - il suono disturbava una scrofa che stava partorendo dodici maialini. Il maestro faentino Ino Savini, invece, che raggiunse fama in Italia e all’estero come
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direttore d’orchestra (vedi ee N° 9), più di una volta raccolse su un camion scoperto una cinquantina di orchestrali amici suoi partendo alla volta di incredibili, memorabili, sontuose serenate, con un gran codazzo di gente in bicicletta al seguito. Sì. Anche la serenata poteva toccare “la polvere o l’altar”.
Giuliano Bettoli
William Congreve
Serenate agresti a m o re o d i s o n o re
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RUSTIC SERENADES_ FOR LOVE OR SHAME The serenade was the most romantic of all the stratagems a young suitor could employ to win the heart of the girl he loved. In Romagna it disappeared with the onset of the Second World War, never to return. Serenades were important: not least because in those days the opportunities for young men and women to meet were extremely limited. I’m referring, naturally, to the serenades held in the countryside of Romagna. Broadly speaking, there were two types of serenade: individual and group. With the first type, a youth wishing to show his special affection for a girl would hire the services of a peasant violinist, who would generally enlist the accompaniment of a fellow musician, playing cello or guitar. These musicians were of the dance-hall variety, of course, and were rarely professionally trained. At night, the hopeful youth would lead the two musicians to the house of his object of desire. In the silence of the night, they played three pieces, and only three. This was the regulation number for the serenade. It meant trouble if the musicians played just two pieces: for that would mean the sponsor was a cuckold, and the girl had betrayed him.
In some serenades – known as “serenades of spite” – the number of pieces was purposely limited to two. This amounted to a public declaration that the girl was unfaithful in love. Of course, if the guard dog began to bark furiously – and this was what would normally happen – the serenade would not always go according to plan. Although the girl might still appear at the window to discover who was the sponsor of the serenade – and this was the prize the suitor was hoping for. The second type of serenade involved a larger party. If, after the musicians had played their three pieces, the door of the house opened and the man or the lady of the house invited the whole company in, then the party would begin. The large table in the spacious kitchen would be set to one side, and there was drinking and dancing until late into the night. If the door remained closed, however, it was useless for the musicians to play on. They might even be rudely chased off, sometimes with a few blasts from a shotgun to speed them on their way. A well-known country violinist, Giacomo Donati a.k.a. “Bagarèta”, told me that one time he had just started to play a serenade when he was driven away because the noise was disturbing a sow that was giving birth to twelve piglets. Faenza-born maestro Ino Savini, famous in Italy and abroad as an orchestra conductor (see ee issue 9), has on more than one occasion assembled an orchestra of 50 or more musician friends on the back of a lorry and set off on memorable, adventure-fraught serenades with a throng of cyclists following in their wake. Which all goes to show that serenades too can lead, literally, anywhere.
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I Sensi di Romagna
Passioni
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Carlo Zauli
N
Tenuta La Viola
on è però in virtù di soli meri calcoli economici che dal 1997 Stefano Gabellini (per il quale la produzione vitivinicola non costituisce la principale fonte di reddito), coadiuvato dalla moglie Elisa Soldati, ha improntato la filosofia della Cantina di famiglia
verso un progetto a lungo termine volto ad ottenere il miglior vino che può nascere da queste vigne, le più vecchie delle quali raggiungono i 18 anni di età, appoggiandosi anche alle professionalità dell’agronomo Remigio Bordini e dell’enologo Franco Calini.
impegno in vigna
Il vitigno storico della tenuta è il Sangiovese a cui si affianca una minima produzione di Cabernet e Merlot, le viti sono allevate a cordone speronato e trattate rispettando rigorosamente il protocollo biologico.
Cinque ettari vitati di filari orientati a sud/est sulle
La densità degli impianti è piuttosto bassa, ma è sul lavoro in vigna e sulla resa per ceppo che si esprime la meticolosità che contrad-
prime alture di Bertinoro, a circa 100 metri sul livello
distingue distingue questa Cantina, che per i suoi vini di gamma alta lascia da un massimo di tre ad un minimo di due grappoli per
del mare, sono un’eredità considerevole, che può ulteriormente
pianta, attentamente selezionati durante la maturazione ed al momento della raccolta, che viene effettuata rigorosamente a mano. La
impreziosirsi se chi la gestisce è determinato a portarne alla
vinificazione e l’imbottigliamento avvengono in loco, la cantina è sobria e strettamente funzionale, ma ospita una discreta bottaia
luce il massimo potenziale qualitativo.
composta di tonneaux e di barrique di rovere delle foreste di Tronçais della regione di Allier. Comprende inoltre una saletta di analisi, dove si svolgono gli esami preliminari prima di inviare i campioni finali al laboratorio esterno. Il risultato è una produzione limitata di bottiglie che rappresenta quanto di più lontano dalla sempre più famigerata idea di vino industriale su larga scala. Solo nelle annate particolarmente favorevoli, Tenuta La Viola ottiene anche una minima produzione di olio pre-
Il Colombarone_ Sangiovese di Romagna Superiore Riserva D.O.C. 2005 Prodotto maggiormente rappresentativo della Cantina, nasce dalle uve di tre piccole vigne di proprietà: Vigna del Re, Vigna del Pozzo e Vigna del Sole. Denota un colore rosso rubino intenso con note di frutta rossa in evidenza al naso oltre a netti sentori di viola. Elegante e piacevole, al palato risulta particolarmente gradevole con tannini decisi ma dolci al tempo stesso. La fermentazione avviene in vasche d’acciaio a temperatura controllata con ripetute follature. Il 45% delle uve passa in barrique di rovere delle foreste di Tronçais di secondo passaggio per circa 6 mesi. L’affinamento in vetro, infine, dura almeno 6 mesi. Temperatura di servizio 18°C. Si abbina ottimamente agli arrosti e ai bolliti.
Gotthold Ephraim Lessing
The signature wine of La Viola, Il Colombarone is made from grapes from three small parcels of the estate: Vigna del Re, Vigna del Pozzo and Vigna del Sole. Deep ruby red in colour, with notes of red berries and violet on the nose. An elegant and agreeable wine that’s especially pleasant on the palate, with strong yet restrained tannins. Fermentation is in inox vats at a controlled temperature, with repeated punching down of the grapes. 45% of the wine is aged for around 6 months in barriques made of oak from the forest of Tronçais. Bottle ageing takes at least a further 6 months. Serving temperature 18°C. Goes well with roasts and stews.
Pietra Honorii_ Sangiovese di Romagna Superiore Riserva D.O.C. 2005 Vino di punta della Cantina, viene prodotto principalmente dalle uve della Vigna Vecchia, che si estende su un singolo ettaro della tenuta. Mostra un colore rubino pieno. Particolarmente equilibrato al palato con note di mora e ciliegia matura e note terziarie di vaniglia. La fermentazione alcolica avviene in vasche d’acciaio a temperatura controllata con ripetute follature. Il 65% delle uve passa in tonneaux, mentre il 35% in barrique di rovere delle foreste di Tronçais di primo e secondo passaggio per circa 14 mesi. L’affinamento in vetro, infine, dura almeno 8 mesi. Temperatura di servizio 16°C. Si sposa alle carni saporite ed ai formaggi stagionati. La Viola’s finest wine, principally made from grapes grown in the Vigna Vecchia plot which extends over a single hectare of the estate. Full ruby red in colour. Wonderfully balanced on the palate, with notes of blackberry and ripe cherry and secondary notes of vanilla. Fermentation is in inox vats at a controlled temperature, with repeated punching down of the grapes. 65% of the wine is cask-aged, with the remaining 35% aged for around 14 months in smaller new or used barriques made of oak from the forest of Tronçais. Bottle ageing takes at least a further 8 months. Serving temperature 16°C. Goes well with strong meats and mature cheeses.
LA VIOLA ESTATE_ DEDICATION TO EXCELLENCE
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I Sensi di Romagna
Particella 25_ I.G.T Forlì 2005 Uve/Grapes: 45% Cabernet, 45% Merlot e/and 10% Sangiovese Vino elegante di taglio bordolese, prende il suo nome dalla particella della mappa catastale occupata dalla Vigna degli Ulivi, che si estende su meno di un ettaro della tenuta, dalle cui uve viene prodotto. Mostra un bel colore rosso intenso. Equilibrato e di grande struttura, offre al naso profonde note di ribes, mora, ciliegia matura, oltre a note terziarie di acacia e note balsamiche. La fermentazione alcolica avviene in vasche d’acciaio a temperatura controllata con ripetute follature. Evoluzione in tonneaux e barrique di rovere delle foreste di Tronçais di primo e secondo passaggio per circa 14 mesi. L’affinamento in vetro, infine, dura almeno 8 mesi. Temperatura di servizio 16°C. Accompagna bene antipasti di salumi, primi importanti e carni rosse.
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The estate of La Viola comprises five hectares of south- and east-facing vineyards in the low hills outside Bertinoro, some 100 metres above sea level. It’s a site with considerable promise for anyone determined to exploit its potential to the full. La Viola has been run since 1997 by Stefano Gabellini with the assistance of his wife, Elisa Soldati. Since wine is not Gabellini’s principal source of income, his dedication to the estate is not driven by economic reasons alone, and Gabellini has imprinted a family business philosophy on the running of the estate. The long-term objective is to get the very best wine possible from the vines, the oldest of which are 18 years old, drawing on the skills of agronomist Remigio Bordini and oenologist Franco Calini. The grape variety historically grown on the estate is Sangiovese, with some very limited cultivation of Cabernet and Merlot. The vines are trained according to the spurred cordon system and cultivated using strictly organic methods. Vine density is fairly low, but it’s in the way the vines are tended and in yield per vinestock that the meticulous approach to wine growing that distinguishes this estate really finds expression. Premium vines have a maximum of three and a minimum of two bunches per plant, carefully selected during ripening and at harvesting, which is exclusively manual. Fermentation and bottling occur on the estate, in a sober and functional winery which includes a small cellar housing casks and barriques made from oak from the forest of Tronçais in the French region of Auvergne. It also includes a testing room where preliminary examinations are carried out before the final samples are sent to an external laboratory. The result is a limited production of wine that’s a million miles away from a drink produced on an industrial scale. In exceptionally good years, La Viola also produces a small quantity of premium olive oil from the small olive grove located beside the vineyard.
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Uve/Grapes: 100% Sangiovese
An elegant Bordeaux blend wine, named after the parcel or particella of land occupied by the Vigna degli Ulivi plantation from which the wine is produced, which extends over less than a hectare of the estate. An attractive, deep red in colour. Well-balanced and solidlybuilt, with pronounced notes of redcurrant, blackberry and ripe cherry, plus hints of acacia and balsam. Fermentation is in inox vats at a controlled temperature, with repeated punching down of the grapes. The wine is then aged for around 14 months in new or used barriques made of oak from the forest of Tronçais. Bottle ageing takes at least a further 8 months. Serving temperature 16°C. Goes well with cold cuts, robust first courses and red meats.
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Si può bere troppo, ma non si beve mai abbastanza.
Uve/Grapes: 100% Sangiovese
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giato dal piccolo uliveto che sorge a latere delle vigne.
Enogastronomia
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Il sale di Cervia, anticamente detto “oro bianco”, esprime le sue squisite suggestioni non solo in virtù delle proprie caratteristiche di spezia pregiata, bensì in quanto protagonista di un lungo corso storico che conduce dalla tradizione alla ricerca e nasce in seno ad un inebriante patrimonio paesaggistico.
P
er questo il sale “dolce” di Cervia permane nel palato, ma anche nel cuore. Così speciale perché privo di retrogusto amaro per la purezza del cloruro di sodio e la minoranza degli altri sali amari contenuti normalmente nell’acqua di mare (solfa-
ti di magnesio, di calcio, di potassio, cloruro di magnesio), è oggi un prodotto per buongustai, entrato nelle nicchie di mercato riservate agli alimenti pregiati. Il trend della rivalutazione dei prodotti tipici ha reso giustamente famoso il marchio del sale dolce di Cervia e popolare un deposito gastronomico così importante da identificarlo tra le eccellenze italiane al fianco di sali preziosi come quello estratto nella salina di Guérande in Francia. La sua dolcezza esalta i sapori rendendolo un ingrediente perfetto per la salatura di salumi e formaggi, per cuocervi all’interno pesce e carni regalando al suo territorio piatti squisiti come i gamberi al sale di Cervia, e per “condirci” la cioccolata, idea di un pasticciere di Forlì che, abbinando finissimo cacao al sale dolce cervese, ha dato vita ad una tavoletta unica e ricercata che richiama il sapore del pane e cioccolato. La coltura del sale dolce si esegue con metodi che rispettano la tradizione, sia nelle vasche della salina grande, attraverso la produzione industriale (la trasformazione delle antiche saline fu avviata nel 1959 dal Monopolio), sia nella Salina Camillone, un bacino superstite delle antiche saline etrusche, dove la raccolta avviene secondo il metodo antico, affidata alla cura dei “vecchi” salinari e riconosciuta presidio Slow Food. Cervia è anche l’unica salina in Italia che produce il salfiore, un sale leggero, integrale, che resta in superficie ed è raccolto ogni giorno a mano usando dei retini. L’“oro bianco”, così detto perché in passato aveva enorme valore economico e condizionava l’intera economia della zona, ha un legame inscindibile con i salinari, figli di salinari a loro volta, che accolgono il curioso nelle saline per incantarlo con i profumi dell’antico e contagiarne il gusto con un assaggio di sale della Camillone, vero e proprio museo a cielo aperto dove
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de sel (lt. rimessa del sale). Raccolto a mano dai salinari e trasportato sulla “burchiella”, l’antica imbarcazione, fino ai seicenteschi “magazzeni” del sale, ad attenderlo c’è, proprio come in passato, la popolazione festante, che ne riceve in dono una manciata, tradizionale augurio di fortuna per l’anno a venire.
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è possibile assistere a tutti i passaggi di produzione. Ancora oggi nel mese di settembre Cervia rinnova il rito della armessa
I Sensi di Romagna
Sale dolce di Cervia c u l t u ra d e l l a c o l t u ra
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Lascia che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo. Ippocrate
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Ta t i a n a To m a s e t t a
Cervia salt, formerly known as “white gold”, is prized not just for its intrinsic qualities but also because it is the protagonist of a long history combining tradition with progress - all in a setting of enchanting natural heritage. Which means Cervia salt lingers not only on the palate but also in the heart. What makes Cervia salt so special is that because of its exceptional purity and low content of other bitter salts usually contained in sea water (magnesium sulphate, calcium, potassium, magnesium chloride), it lacks the bitter aftertaste found in coarser salts, making it a gourmet product in a prosperous niche market. The trend towards the rediscovery and re-evaluation of traditional products has made Cervia salt deservedly famous once again, restoring recognition to a gastronomic treasure of such importance that it ranks alongside the salt of the Guérande in France. Its lack of bitterness means it enhances flavours excellently, making it the perfect ingredient for seasoning charcuterie and cheeses, or for encasing baked fish and meats. It’s also a key ingredient in dishes such as shrimps in Cervia salt, and is even used as a seasoning in chocolate – the idea of a pastry chef in Forlì who combined premium cocoa with Cervia salt to create a unique and refined chocolate bar with a flavour reminiscent of bread and chocolate. Cervia salt is harvested according to traditional methods, either on an industrial scale as in the large salt pan (transformation of the old salt pans began in 1959, under the state monopoly), or on a smaller, artisan scale in Salina Camillone, a salt pan which has existed since Etruscan times, where the salt workers still harvest the salt using ancient methods which more recently have won recognition from the Slow Food movement. Cervia is also the only salt pan in Italy to produce salfiore or “flower of salt”, a light and unrefined salt which is skimmed from the surface of the salt precipitate every day using nets. Cervia salt was known as “white gold” because it was an enormously valuable resource and drove the entire economy of the surrounding zone. It has been the livelihood of generations of salt farmers, who even today welcome curious visitors and offer them a blissful taste of the exquisitely sapid salt from the Camillone salt pan, an open-air museum where visitors can see for themselves every stage in production. Even today, every September Cervia re-enacts the rite of the armessa de sel, or collection of salt. Harvested by hand from the salt pans and then transported in a traditional craft known as the burchiella to the 17th-century magazines, the salt is received, now as always, by a festive population who receive a gift of a handful of salt as a traditional gesture of good wishes for the coming year.
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CERVIA SALT_ CULTURE AND CULTIVATION
Enogastronomia
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BEYOND SURFACE AU DELA DE LA SURFACE
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Manlio Rastoni
Demos Bonini
FEBO era il nome di una bottega della caricatura che aprì sommessamente i battenti nel 1937 a Rimini in via IV Novembre. Dietro questa sigla, che coincide con uno degli epiteti del dio Apollo, si cela l’acronimo composto dalle iniziali dei cognomi dei due amici artisti che la fondarono.
p i t t o re d i u n a R i m i n i p e rd u t a
U
no era quel Federico Fellini che avrebbe finito per abbagliare il mondo cambiando per sempre la grammatica del linguaggio cinematografico, l’altro era Demos Bonini, figura anch’essa fortemente legata alle proprie radici e contemporaneamente al
riparo da qualsiasi provincialismo, in quanto partecipe allo scenario artistico italiano “maiuscolo”. Il suo percorso artistico inizia con un breve apprendistato presso il pittore Primo Amati e prosegue con la frequentazione dell’istituto d’Arte di Urbino. L’episodio che lo porterà a scegliere definitivamente la via della pittura è l’incontro con Filippo de Pisis, avvenuto nel 1942 durante uno dei soggiorni estivi del maestro sulla riviera romagnola. Negli anni ’50 incontra poi Renato Guttuso, che non si trova però in Romagna in villeggiatura, è infatti accompagnato dalla futura moglie, una nobildonna lombarda venuta a divorziare a San Marino. Bonini seguirà Guttuso a Roma ed entrerà con la qualifica di allievo/segretario nel suo atelier. Si accosterà al movimento del Realismo divenendo l’unico firmatario romagnolo del suo manifesto, abbandonando però
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ben presto questa corrente per concentrarsi su di uno stile figurativo venato di influenze espressioniste e surrealiste. I suoi soggetti spaziano dalla rappresentazione del mondo dei lavoratori, con una predilezione per la vita del porto, popolato di pescatori marinai e pescivendole, ai paesaggi della Valle del Marecchia fino alle nature morte. Gli oggetti in cui pare meglio incarnarsi la sua cifra stilistica, fino a divenire una sorta di tema nella sua pittura, sono le giacche. Appese diligentemente sugli appendiabiti o gettate con noncuranza dove capita assurgono a simbolo intenso della quotidianità. Dagli anni ’60 in poi la sua opera acquista una crescente impronta di denuncia sociale della tendenza consumista e della incalzante “disumanizzazione” dell’età moderna. Nell’ultima fase del suo ciclo artistico, opere come “Grande Piramide” (che raffigura un ammasso informe di motociclette come “idoli” giovanili rottamati) o “Tutti prigionieri nello stesso condominio” (che raffigura un freddo grattacielo surreale con i ritratti di cento politici italiani, vero monumento alla corruzione ed al malgoverno) esprimono una provocazione non urlata eppure penetrante. Bonini si è spento, settantaseienne, il 20 agosto del 1991, concorrendo, con la sua dipartita, ad ampliare il divario che separa ormai chirurgicamente la Rimini contemporanea, capitale italiana del turismo balneare, alienante centro urbano affetto da sinfoto d’archivio
drome di gigantismo, dalla Rimini che egli stesso contribuì ad “edificare”, luogo dell’anima che sopravvive oramai alla deriva
Adesso c’è soltanto il sentimento di un buio in cui stiamo sprofondando. Federico Fellini
DEMOS BONINI_ THE PAINTER OF A RIMINI THAT’S GONE FOREVER In 1937, in Rimini’s via IV Novembre, a caricature painter’s workshop named FEBO quietly opened its doors for business. The name – which in Italian means Phoebus, an epithet of the god Apollo – was a compound acronym formed from the first letters of the surnames of the two friends and artists who founded the business. One was Federico Fellini, who went on to dazzle the world with films that forever changed the grammar of the language of cinema; the other was Demos Bonini, an artist who, as a major figure on the cosmopolitan Italian art scene, managed to remain faithful to his roots without ever lapsing into provincialism. Bonini’s career began with a short apprenticeship under the artist Primo Amati, after which he attended art school in Urbino. The event which led him definitively to pursue a career in painting was his meeting with Filippo de Pisis in 1942, during one of the renowned artist’s summer sojourns on the Romagna riviera. In the 1950s Bonini met Renato Guttuso. This time the circumstances were rather different: Guttuso was not on holiday, but had come to Romagna in the company of his future wife, a Lombard noblewoman on her way to San Marino where she was to be divorced. Bonini later followed Guttuso to Rome, where he worked as a pupil-cum-secretary in Guttuso’s studio. Bonini at first aligned himself with the Realists, and was the only Romagnol artist to sign the Realist manifesto. However, he soon abandoned Realism in favour of a figurative style in which expressionist and surrealist influences were patent. Bonini’s subject matter ranged from depictions of the world of work – with a special predilection for port scenes thronged with fishermen and fishwives – to landscapes from the Valle del Marecchia and still lives. But the subject matter in which his style found its supreme expression, to the point that it became a kind of signature motif in his paintings, was the jacket. Draped neatly over clothes stands or nonchalantly disposed any which way, Bonini’s jackets became a kind of vivid symbol of everyday life. From the 1960s onwards, his work increasingly addressed social issues with its indictments of consumerism and the creeping dehumanization of the modern age. In his final artistic period, works such as Big Pyramid (a shapeless heap of motorcycles as scrap youth “idols” dismantled, thrown away) and All Prisoners in the Same Condominium (a forbiddingly surreal apartment block with the portraits of a hundred Italian politicians in its windows, a scathing indictment of corruption and misadministration) were penetratingly provocative without ever being shrill. Bonini died on 20 August 1991 at the age of 76. His death marked a watershed that will forever separate two different Riminis – the modern capital of seaside tourism, the alienating urban centre with its infatuation with gigantism, from the Rimini that Bonini himself helped, in a sense, to build: a place whose soul no longer has any body to inhabit except the occasional poetic representations that the paintings of Bonini exemplify.
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entro la sensibilità di chi si imbatte nei frutti della sua originaria poetica, magari anche attraverso la pittura di Bonini.
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Arte
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Potrebbe sembrare un miraggio, o lo strappo antico su un mondo moderno che guarda, un po’ assopito e un po’curioso, la variegata esplosione di colori e luci che in estate tutto travolge.
A n g e l a m a r i a G o l f a re l l i
Vele che prendono il vento restando sulla spiaggia, che non partono, ma inducono al viaggio.
Tende al mare
È
b a n d i e re s e n z a s t a t o
nata nel 1998 da un’idea di Dario Fo, che è stato anche il primo ad esporsi, la rassegna “Tende al mare” e, da allora, ogni anno interpretando sempre temi diversi, offre una delle mostre più insolite e coinvolgenti che bagnanti, e non, possano ammirare. Un
percorso che in undici anni ha visto succedersi artisti di grande spessore quali: Mantegazza, Zancanaro, Luzzati, Munari, Berico ed importanti Accademie come quella di Belle Arti di Brera, Ravenna e Firenze. Un’esposizione all’aperto dove le opere con la mediazione del sole, del vento, delle nuvole si trasformano continuamente in dinamiche suggestioni fiabesche e che, nelle edizioni del 2002 e del 2006 ha “respirato” l’essenza di personaggi quali Leonardo e Fellini.
TENDE AL MARE (STANDARDS BY THE SEA)_ STATELESS BANNERS
Davanti al mare di Cesenatico, sbocciano sulla spiaggia libera fra il Grand Hotel e il Grattacielo, da inizio luglio a fine agosto, 20 tende
It’s like a mirage, or a glimpse of ancient times through the torn canvas of a modern world that looks on, half curious and half bemused, at this annual explosion of colours and lights. Or sails that catch the wind without actually leaving the beach – but which transport the observer nevertheless. This annual exhibition started in 1998 from an idea by Dario Fo, who was also the first artist to exhibit here. Based on a different theme every year, it’s one of the most unusual and engaging exhibitions in any seaside anywhere. Over the eleven years of the event’s life, some major Italian artists have exhibited here, including Mantegazza, Zancanaro, Luzzati, Munari and Berico. Students from art schools in Brera, Ravenna and Florence have also shown their work. As an open-air exhibition, Tende al Mare is an event in which the works on show interact with sun, wind and clouds in a dynamic and ever-changing play of light, colour and movement. Inspirations for the 2002 and 2006 shows were personages such as Leonardo da Vinci and Fellini. Tende al Mare runs every year from early July to late August, on the non-paying stretch of beach in Cesenatico between the Grand Hotel and the Skyscraper, with 20 loud and colourful banners that snap in the wind like the lugsails first adopted by ships sailing the Adriatic in the 17th century. And though they remain rooted to the spot, they do have the power to transport the observer. The effect at sunset is especially striking, when the long shadows of the banners stretch all the way into the sea through the warm, dusky air. Cesenatico is a place where beauty is a natural manifestation of the spontaneity of its people, where even in the herb market in the town’s delightful piazzetta della Conserve the poetry is almost palpable, where unique artistic experimentation can develop and flourish – proof of the great local affection for the land both in the past and in the present. Tende al Mare is a perfect example of how art and ambience can come together in a mutually enriching dialogue outwith the conventional confines of the exhibition, uniting the beauty of landscape (and seascape) and architecture with that of art. The natural setting makes an invaluable contribution to the event, the elements contributing to the creation of imaginary ever-changing backdrops within which we have the sensation of taking part in an extraordinary experience that involves all the senses and makes every observer the protagonist of the show. It’s a fascinating experience which seems to bring heaven and earth together. And although no-one needs to hoist anchor, raise sheets or cast off moorings, it lets our imagination set sail. And before we know it, the world’s turned upside down and it’s as if we’re standing in the sky, flying kites in the earth.
dai caldi e sgargianti colori che, gonfiandosi al vento come le vele al terzo delle antiche imbarcazioni che dal XVII secolo si dotarono di questo nuovo tipo di vela per risalire l’Alto Adriatico, conducono chi le osserva ad inevitabili e mai scontate mete. Al tramonto si fondono, poi, in quella densa atmosfera che allungando le ombre le proietta come giganti addormentati, dalla sabbia all’acqua. Cesenatico è un luogo dove la bellezza è figlia autentica della spontaneità della gente e dei luoghi, dove persino al mercato delle erbe che si svolge nella deliziosa piazzetta della Conserve, la poesia è palpabile e dove esperienze artistiche, uniche nel loro genere, si fanno continuamente strada incontrando sempre ampi consensi, a dimostrazione della grande attenzione che questo territorio ha, sia al passato che al suo presente. E le Tende al mare sono uno degli esempi di come l’arte possa incontrare i luoghi dialogando con essi al di fuori delle solite convenzioni, amalgamando la bellezza del paesaggio a quella delle architetture, a quelle di un’opera d’arte. Con la straordinaria partecipazione di una scenografia naturale che lascia liberi i suoi elementi di creare illusori palcoscenici mutanti dentro i quali si ha la sensazione di partecipare ad una straordinaria esperienza che, coinvolgendo tutti i sensi, riesce a renderne ognuno il protagonista. Questo affascinante percorso è un viaggio dalla terra al cielo che, senza alcun bisogno di “issare le ancore, ammainare le vele o mollare gli ormeggi”, ci conduce al mare pur non prendendo il largo. E poi via, come aquiloni impazziti che da un mondo rovesciato si alzano e pensano che sia la terra ad essere attaccata ad un filo.
Io credo che l’aver dipinto insieme queste tende abbia lasciato un segno in tutti noi, il piacere di aver offerto alla gente che stava sul litorale non solo lo sventolio delle vele, ma anche l’agitarsi e lo sventolare delle idee. Dario Fo foto d’archivio
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Arte
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Territorio I giardini portati dal vento in Romagna_ un “luogo recintato” per la ricerca della spiritualità The wind-sown gardens of Romagna_ secluded places that speak to the spirit
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Bagnacavallo_ incanto senza tempo Bagnacavallo_ timeless charm
Storia Francesca da Rimini_ dramma romantico di antica memoria Francesca da Rimini_ the true story of a star-crossed love affair Iris Versari_ dramma romantico di moderna memoria Iris Versari_ a modern-day heroine
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Passioni
Alla Riviera piace Fred_ le notti al night di Buscaglione sulla costa romagnola
Circuito cittadino faentino_ il tempo dei rodei su due ruote
A mutual attraction_ Fred Buscaglione and the Romagnol riviera
Faenza as racetrack_ the early days of the motorcycle races Serenate agresti_ amore o disonore Rustic serenades_ for love or shame
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Enogastronomia Tenuta La Viola_ impegno in vigna La Viola Estate_ dedication to excellence Sale dolce di Cervia_ cultura della coltura Cervia salt_ culture and cultivation
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Arte Demos Bonini_ pittore di una Rimini perduta Demos Bonini_ the painter of a Rimini that’s gone forever Tende al mare_ bandiere senza stato Tende al mare (Standards by the sea)_ stateless banners
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