Magazine EE nr 31

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Cerindustries SpA

numero 31 giugno 2013


C’

è una terra in cui la bella stagione si annuncia

In this part of the world, the first signs of

con un bouquet floreale portato dalla brezza

summer are a scent of flowers borne on a balmy

balsamica marina. Diventa di sabbia di fronte

sea breeze. Down on the seashore, where the

al mare, of frendo seducenti scorci naturali

beauty of nature infuses all kinds of man-made

ma soprattutto variopinti panorami umani. Sa

landscapes, the dominant fragrance is sand.

tramutare un piccolo paese in un grande convivio,

Small villages come alive in shared celebration

un angolo di territorio in una gustosa tipicità. Sa

of their traditions and customs. This breeze

indurre passioni il cui eco attraversa gli oceani

stirs passions whose echoes cross oceans.

ed essere essa stessa al contempo oggetto di

This part of the world knows how to look

profonda passione. Sa guardarsi dentro, scavare

inside itself, excavate its history, defend its

nella sua storia, difendere (divertendosi) le sue

traditions by enjoying them, protect (and often

tradizioni, curare (quando non riscoprire) il proprio

rediscover) its artistic and cultural heritage;

patrimonio artistico-culturale; ma sa anche porsi

but it also knows how to look into the abyss

le difficili domande giuste di fronte agli abissi della

of contemporary experience and asks itself the

contemporaneità. Interrogativi cruciali per tentare

most difficult questions - questions of crucial

di tenere una rotta coerente in mezzo ai marosi di

importance in our attempt to remain on course

un mondo che sembra girare sul suo asse sempre

in a world that seems to be spinning ever more

più vo r t i cosa m e n te. Tal e ter ra, l a Ro m a g n a,

quickly on its axis. This part of the world,

neanche chi ci vive sopra può essere certo di

Romagna, is not always easy to understand,

comprenderla fino in fondo, ma questo non è un

even for those who live here: but that’s no

buon motivo per rinunciare a “rappresentarla”.

reason to stop trying.

EDITORIALE

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ea r th elem en t



Giulio Pantoli L’uomo Che ConoSCe IL SeGReTo DeLLe RoSe La storia di questo uomo straordinario è talmente unica che di certo la si potrebbe iscrivere in una raccolta di favole o leggende popolari. angelamaria golfarelli immagini: archivio giulio pantoli

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ma Giulio Pantoli esiste davvero ed è un uomo così acuto e vivace che, dall’alto dei suoi 90 anni suonati, non vacilla né trascende verso l’inerzia o la noia. Il suo segreto è di facile comprensione e sta in una vita in cui le passioni radicate e sanguigne sono veicolate attraverso l’amore per la regina dei fiori e una coraggiosa giovinezza cui l’esperienza partigiana è stata forgiante. La sua passione per le rose nasce nel 1938, quando il padre, coltivatore diretto, decise di mandarlo a Bologna presso l’azienda Bonfiglioli, ad apprendere i segreti della floricoltura. e da allora, in oltre settant’anni Pantoli si è occupato di rose producendo ibridi riconosciuti e premiati a livello nazionale che solo due importanti vivai di Imola e Padova possono vantare il privilegio di commercializzare in tutto il mondo. Sono rose eleganti, che posseggono una caratteristica cara a Giulio: il profumo. Fra queste spicca la Bella ciao, vera rosa di Romagna, voluta per ricordare la sua militanza partigiana e quella guerra di Liberazione che di tante giovani vite volle il sacrificio. una rosa rossa dai vellutati petali odorosi, nata come tante altre nelle serre che circondano la bella Cà dal rôs dove Giulio e la moglie Adriana vivono soli, in quel di Castiglione di Ravenna. Qui la decadente atmosfera che avvolge le serre è fortemente in contrasto con la vitalità di Pantoli, ma I

Sensi

conferisce all’ambiente un’immagine delicata che ben si sposa con le sgargianti colorazioni delle rose. Ancora oggi, non c’è mattina estiva che Giulio, alzandosi poco dopo le cinque, non si rechi a far visita ai suoi fiori prediletti, quando i turgidi boccioli non ancora immolati al giorno, si riempiono di vigore emanando rigogliosa bellezza. È a quest’ora infatti che le leggere stille di rugiada imperlano il roseto come sparsi gioielli. È sorprendente ascoltarlo mentre si racconta e vedere quanto ancora lo emozioni parlare delle sue rose e di una vita per nulla facile a cui però lui sente di dovere tanto. Ciò che lo rende così umanamente prezioso è una semplicità orgogliosa e ferma che, un po’ come le sue rose, dall’alto della loro spinosa regalità, anche quando sono vicine a sfiorire, non chinano mai il capo. Quando Giulio ci accompagna alla passeggiata nel roseto, pare accarezzarle una ad una con lo sguardo. Di tutte conosce la storia che in molti casi ha scritto lui stesso. La sua autorevolezza in questo campo gli è valsa nell’ottobre del 2012 un articolo celebrativo sulla più importante rivista nazionale di giardinaggio e floricoltura. oltre alle sue tecniche, che ha condiviso con gli appassionati pubblicando il libro una vita tra le rose, Pantoli conserva gelosamente anche alcuni “segreti”, che ne fanno l’“imperatore” di un regno odoroso e nobile cui l’unico fine è la bellezza. di

Romagna


cos’è una rosa? / ora lo so / solo ora che è passata l’età delle rose. sulle spine / ne brilla / ultima / una. / e ogni fiore ha in sé. johann wolfgang von goethe

G I uL I o PA n T o L I The man who knows the secrets of the roses The extraordinary story of Giulio Pantoli is so unique it wouldn’t look out of place in a collection of folk tales. But Giulio Pantoli is a real person, and so alert and lively despite his ninety years that inertia and boredom remain completely alien to him. His secret is simple enough: a life whose passions have been channelled into a love for the loveliest of all flowers, and a courageous youth in which Pantoli’s involvement with the partisan cause was a character-forming experience. Pantoli’s passion for roses dates from 1938, when his father, a landowning farmer, decided to send him to work with Bonfiglioli in Bologna to learn the secrets of floriculture. In the three-quarters of a century that have elapsed since then, Pantoli has dedicated his life to roses, producing prizewinning hybrids that only two garden centres in the whole world, in Imola and Padua, have the privilege of selling. Pantoli’s hybrids are elegant roses, and all possess a distinctive characteristic that’s especially dear to their creator: fragrance. One of these is Bella ciao, an authentically Romagnol rose named in remembrance of Pantoli’s experiences as a partisan in the war of liberation which claimed so many young lives. With its red, velvety, fragrant petals, Bella ciao was created, like so many of Pantoli’s roses, in the greenhouses surrounding Cà dal rôs, the house Giulio Pantoli shares with his wife Adriana in Castiglione di Ravenna. The decadent fragrance that envelopes the greenhouses contrasts strongly with the vitality of Pantoli, but it also lends the atmosphere a delicacy that goes well with the gaudy colours of the roses. Every summer morning, without fail, Giulio Pantoli gets up shortly after five to inspect his beloved flowers, at a time when their swollen buds seem to be bursting with exuberant beauty, droplets of dew clinging to them like jewels. Listening to Pantoli, we’re struck by how passionately he still talks of his roses and a life that has been far from easy, but which Pantoli himself feels he owes so much. What makes him so humanly precious is his proud and solid simplicity, a little like his roses on their thorny stems, their heads never bowing even when they’re ready to blossom. Walking with us around his rose garden, Pantoli seems to caress each and every rose with his gaze. He knows the history of every one – for in many cases it was Pantoli himself that wrote it. His authority on all things to do with roses was recognized in the October 2012 issue of one of Italy’s leading gardening magazines, which dedicated an article to him. Pantoli has shared his know-how with fellow rose-lovers in a book, Una vita tra le rose. But there are some secrets he jealously guards to himself: the secrets that make him the overlord of a fragrant and noble empire whose only raison d’être is beauty. Territorio

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emozione Riccione LA PeRLA veRDe DeLL’ADRIATICo luca biancini

immagini: archivio comune di riccione, archivio oltremare, giorgio salvatori

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Dalla fine dell’Ottocento a oggi la spiccata vocazione turistica di Riccione si è costantemente perfezionata, facendo di questa cittadina “satellite” di Rimini una delle mete balneari più conosciute d’Italia. Le sue prime ville eleganti, appartenenti per la maggior parte a famiglie dell’aristocrazia romagnola ed emiliana, cominciarono infatti a sorgere, non lontano dalle case dei pescatori, ben oltre un secolo fa. nel 1934, Benito mussolini

“miami Beach” nazionale, un bengodi del divertimento giovanile costellato di ristoranti, locali e discoteche storiche. Qui è nato il cosiddetto divertimentificio, più volte immortalato da pellicole d’essai e nazionàl-popolari,

vi stabilì la propria residenza estiva (oggi visitabile ed aperta ad eventi pubblici) che era solito raggiungere in idrovolante (sistema che sarebbe tuttora efficacissimo per evitare il convulso traffico dei vacanzieri) scortato da una nave da guerra al largo della costa. A quei tempi Riccione accoglieva già 30 000 turisti e si guadagnò lo pseudonimo di Perla verde dell’Adriatico grazie ai suoi lussureggianti giardini, pubblici e privati. nel secondo dopoguerra, le passerelle delle sue spiagge si tingono di mondanità, ospitando personaggi dello spettacolo, della cultura e dello sport. Astri internazionali (come Pelé in viaggio di nozze) e affezionate celebrità del Belpaese quali mina, ugo Tognazzi, vittorio De Sica, Gina Lollobrigida e tanti altri. Dagli anni Sessanta inizia poi l’ulteriore metamorfosi che ha portato Riccione a trasformarsi in una sorta di piccola

ad intendere il teatro ideale per notti rigorosamente “bianche” di frenetico clubbing che sfumano in albe sempre accompagnate dall’immancabile bombolone caldo. A questa realtà fanno da contraltare i grandi parchi divertimento tematici per famiglie, che offrono attrazioni per tutti i gusti: dalle esibizioni di delfini ai toboga acquatici. Sul centralissimo viale Ceccarini (equivalente di ocean Drive per continuare il parallelo statunitense) si affacciano invece centinaia di boutique e flagship store delle griffe più esclusive, che attirano schiere di fashion victim anche grazie a una fitta programmazione di sfilate e concorsi di bellezza. Testimonial ideale di questo volto della località adriatica è certamente la riccionese ex miss Italia martina Colombari, che negli anni novanta ha calcato i più prestigiosi catwalk della moda mondiale.

I

Sensi

di

Romagna


[…] i bambini giocano sulla spiaggia dei mondi non sanno nuotare né sanno gettare le reti. rabindranath tagore

R I CCI o n e Fo R T h R I L LS The “green pearl” of the Adriatic

Ever since it first emerged as a tourist resort in the late 19th century, Riccione’s reputation has grown. Nowadays, this small town on the Adriatic coast, a “satellite” of Rimini, is one of Italy’s best-known seaside holiday destinations.

It was over a century ago when the first elegant villas, most of them belonging to the aristocracy of Romagna and Emilia, began to appear not too far from the humble shacks of the local fishing community. Mussolini established his summer residence here in 1934 (the house is now open to visitors and is used for public events), usually arriving by seaplane (a system which would still be useful today for avoiding the busy holiday traffic on the roads), with a warship, moored just offshore, acting as an escort. In Mussolini’s day, 30,000 tourists flocked to Riccione every summer, and it became known as “the Green Pearl of the Adriatic” thanks to its luxuriant gardens, both private and public. After the Second

Perpendicolare a viale Ceccarini, scorre il Lungomare, recentemente ristrutturato e oggi caratterizzato da una serie di fontane e gazebo ad alto design architettonico che riproducono forme particolari (di nave, di isola tropicale, di scacchiera…). Chiude la passeggiata un gigantesco mappamondo realizzato con ciottoli di marmo di colorazioni differentI dov’è riportato il 44° parallelo che attraversa il Lungomare. Il meridiano di Riccione.

World War, Riccione’s beaches became popular with personalities from the worlds of showbusiness, culture and sport. International superstars (Pelé spent his honeymoon here) rubbed shoulders with home-grown celebrities including Mina, Ugo Tognazzi, Vittorio De Sica, Gina Lollobrigida and many others. Riccione’s latest metamorphosis occurred in the 1960s, when it became a kind of Italian-style Miami Beach, a magnet for the young with its discotheques and nightspots. Riccione was the birthplace of divertimentificio, or “the art of enjoyment”, and the chosen venue for long nights of frenetic clubbing that lasted until the break of dawn and the inevitable breakfast of hot bomboloni. All these enticements were rivalled by the emergence of large theme parks, directed at families and with all kinds of attractions, from performing dolphins to rafting slides. Riccione’s central artery is viale Ceccarini (the local equivalent of Ocean Drive, to develop the Miami analogy). The hundreds of boutiques and flagship stores which line this street attract fashionistas in their thousands, and there’s a busy programme of fashion shows and beauty pageants to keep things ticking over. This facet of the Adriatic resort’s life is best embodied by Martina Colombari, the Riccione-born fashion model and former Miss Italy who graced the world’s leading catwalks in the 1990s. Running perpendicular to viale Ceccarini is the seafront or Lungomare, recently renovated with a series of architectural fountains and gazebos in the form of ships, tropical islands and chessboards. At the junction of viale Ceccarini and the Lungomare is a giant map of the world made of coloured marble pebbles. The line running across the map is the 44th parallel, which cuts right through the town: the Riccione meridian.

Territorio

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paolo martini

immagini: archivio centro naturalistico sammarinese

La Balena del Titano IL TITAnoCeTo “PeSCATo” neLLA RoCCIA

C’è stata un’epoca in cui la Terra era dominata dai mari e le montagne viaggiavano in lungo e in largo prima di trovare il posto giusto ove fermarsi. il caso è lo pseudonimo di dio quando non vuole firmare. anatole france

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di

Romagna


T h e w h A L e o F m o u n T T I TA n o The story of Titanocetus sammarinensis A long time ago, our planet was dominated by seas, and its mountains moved long ways before settling in their present positions. Mount Titano did the same thing, millions of years ago. The massif which for centuries has overlooked the Republic of San Marino, its crest dominating the Adriatic and the hinterlands of Romagna, turns out to have come from the Tyrrhenian Sea – and it brought a whale with it. This mountain we now call our own has undergone many transformations over the course of the geological eras. Only since the Late Pleistocene age, geologists tell us, has it been the Mount Titano we know. And inside the mountain is an extraordinary horde of fossils which tell the story of its wanderings. The limestone rock of Mount Titano is quite literally made from the remains of the sea that it once was. Which means there is much to explore in its interior. Our story starts in June 1897, when Luigi Reffi, the owner of a number of marble quarries in San Marino, noticed something unusual as he oversaw quarrying work. The rock his quarrymen were excavating, Reffi observed, was full of fossils: nothing strange in this, but these particular fossils were not the usual seashells. Reffi’s men were unearthing bones. The story goes that Reffi instantly ordered his men to down their tools, before proceeding like the good citizen he was to inform the authorities. When Giovanni Capellini, a palaeontologist at the university of Bologna, arrived on the scene, he turned pale at what he saw. With the help of the educational authorities and the royal geological museum of Bologna, Capellini managed to buy the 900 hundredweight of rock, complete with its strange bones, for 600 lire. After careful examination of the find, Capellini pronounced his verdict: the mountain had given birth to a whale. It scientific name: Aulocetus sammarinensis Capellini. Scientists continued to give this name to the whale for over a century. Only recently, in 2006, did they come to the conclusion that the bones actually belonged to a new species of whale, similar to the great whale but no more than six metres in length, that had lived over ten million years ago: Titanocetus sammarinensis. Or as it’s more commonly known, the whale of the Titano. The remains of this whale are now equally divided between Bologna and San Marino. So if you’re ever in San Marino, don’t miss a visit to the local Nature Centre, which is home to San Marino’s extraordinary collection of fossils. There are skulls, jawbones, vertebrae, and rib fragments galore. And beside the remains of Titanocetus, those of its principal predator: the megalodon, the biggest shark that has ever existed, and probably the biggest predator ever to have roamed our planet. At up to twenty metres long, the megalodon was not a beast to be messed with: a full-grown man could stand erect in its splayed jaws. And that’s another story about the mountain with a whale in its belly.

Così fece, qualche milione di anni fa, anche il monte Titano. Il massiccio che da secoli culla la Repubblica di San marino, la vetta che domina il mar Adriatico, la terra dalla storia così originale all’interno della altrettanto originale Romagna, beh, viene dal mar Tirreno con tanto di balena al seguito. ora, nel lento evolvere delle ere geologiche il nostro monte ha compiuto un lungo peregrinare finché nel Pleistocene superiore, raccontano gli studiosi, è diventato il monte Titano. Al suo interno un patrimonio straordinario di fossili che ne raccontano la storia. Ché la roccia calcarea è letteralmente fatta dei resti del mare che fu. Così dal cuore della montagna escono autentici tesori. Siamo nel mese di giugno del 1897, quando il marmista Luigi Reffi, proprietario di alcune cave di pietra in San marino, sorvegliando gli scavi si accorge di qualcosa di strano. I suoi cavatori stanno lavorando un masso pieno di fossili – cosa abbastanza comune – ma non si tratta delle solite conchiglie: i suoi operai stanno picconando ossa di vertebrati. La storia racconta che l’imprenditore bloccò immediatamente i lavori e, da buon cittadino, informò le autorità. Sul luogo accorse Giovanni Capellini, paleontologo dell’università di Bologna, che allibì davanti al ritrovamento. Grazie al contributo della Pubblica

istruzione e del Regio museo di geologia di Bologna, lo studioso acquista i nove quintali di pietra con le strane ossa per 600 lire. Dopo un’attenta analisi, la sentenza: il monte ha “partorito” una balena. nome scientifico: Aulocetus sammarinensis Capellini. Per oltre un secolo gli scienziati hanno continuato a chiamarla così. Solo recentemente, nel 2006, si è giunti alla conclusione che le ossa appartenevano a una nuova specie, un cetaceo simile alle odierne balenottere ma lungo non più di sei metri, vissuto oltre dieci milioni di anni fa: il titanoceto ( Titanocetus sammarinensis). Per tutti: la balenottera del Titano. I resti del capodoglio sono oggi equamente ripartiti fra Bologna e San marino. Se vi capita di fare una gita sammarinese, è d’obbligo una sosta al locale Centro naturalistico. Qui potrete immergervi nello straordinario patrimonio fossile della Repubblica. Crani, mandibole, vertebre, frammenti di coste. Accanto al titanoceto, il suo principale predatore: il megalodonte. ovvero lo squalo più grande mai esistito e, con buona approssimazione, il maggiore predatore mai visto sul pianeta Terra. un essere da cui stare alla larga, lungo fino a venti metri. nelle sue fauci spalancate poteva entrare un uomo in piedi. Tutte storie della montagna che ha “partorito” la balena.

Storia

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manlio rastoni

immagini: archivio registro storico bandini

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I Bolidi LA CASA AuTomoBILISTICA FoRLIveSe e LA SuA eReDITà Appena i “fortunali” del secondo conflitto mondiale si furono dissipati, il forlivese Ilario Bandini decise che l’unica automobile che poteva davvero soddisfarlo era quella che avrebbe costruito lui stesso potenziale di questa vettura nella giusta categoria di gara. Dopo un folgorante “battesimo dell’asfalto” sui tracciati americani, Pompeo riuscì a convincere Ilario che i suoi bolidi, le cui caratteristiche avevano già incuriosito i piloti statunitensi, avrebbero potuto sfruttare al meglio le proprie doti ciclistiche gareggiando nella categoria riservata alle cubature entro i 750 centimetri cubi. Fu così che, equipaggiata da un modesto motore Crosley (trasformato da Bandini in un propulsore rabbioso e potente), sostenuta da un telaio ultraleggero (costruito con tubi in acciaio a sezione ovale di derivazione aeronautica)

Per farlo, era il 1946, utilizzò i pezzi di una Fiat 1100 che aveva smontato (per occultarla) durante la guerra e vestì la sua creatura con una carrozzeria in alluminio commissionata ad una ditta torinese. Quello che poteva essere un traguardo si rivelò però un punto di partenza e l’anno dopo Ilario aveva già realizzato una nuova versione che dimostrava un’indole sportiva ancor più spiccata. Fu proprio questa seconda 1100 Sport con la sua livrea rossa a suscitare l’interesse di un certo Tony Pompeo. Il primo fan della Bandini era un italo-americano che conosceva bene il mondo delle competizioni motoristiche d’oltreoceano e presagì il grande I

Sensi

di

Romagna


B An DIn I RA C I n G C A R S The Forlì-based automobile manufacturer and its legacy No sooner had the storms of the Second World War dispersed than Forlì-born Ilario Bandini decided the only automobile really capable of satisfying him was the one he’d built himself. This was 1946. Bandini used parts from a Fiat 1100 which he had dismantled (to hide it) during the war, dressing his creation in bodywork of aluminium which he’d ordered from a Turin firm. What might have marked the end of a project turned out to be the beginning of another, and the following year Ilario Bandini created a new version of his car, this time even sportier. With its bright red paintwork, this second version, the 1100 Sport, attracted the attention of one Tony Pompeo. The very first fan of the Bandini racing car was an Italo-American who was well connected in the US automobile racing world, and the first to spot the potential of Bandini’s racing car, provided it found the right category of race. After a dazzling debut on the American racing circuits, Pompeo succeeded in convincing Ilario that his cars (which had already aroused the curiosity of many US drivers) were best suited to the 750 cc category. And so the first Bandini 750 Sport was born, with a modest Crosley engine that Bandini had transformed into a powerful, growling propulsion unit, an ultra-light chassis of oval-section aviation-grade tubular steel, and sleek aluminium bodywork. The new car was quick to distinguish itself in all kinds of races, including the 12 Hours of Sebring and the Mille Miglia. In their American boom years, Bandini racing cars graced the covers of the trade magazines and went on display in New York’s Madison Square Garden and even the Chicago Automobile Show of 1952. Those were different, simpler times.

e vestita da una aerodinamica carrozzeria in alluminio, debuttò la Bandini 750 Sport, che si distinse subito in gare di ogni tipo tra cui la 12 ore di Sebring e la mille miglia. Sono gli anni del boom americano delle Bandini, che conquistano le copertine dei giornali di settore, vengono presentate al madison Square Garden di new York e si ritrovano addirittura esposte al Salone di Chicago del 1952. erano tempi che si fatica a sovrapporre a quelli odierni. Per darne un’idea diremo che l’officina dove Ilario sviluppava le sue creature era situata nel cuore del centro storico di Forlì, a pochi passi dal Duomo. Il successo, anziché spingerlo a demandare più lavorazioni a terzisti rafforzò il proprio spirito di autonomia. Ciò che, mancando dei macchinari necessari, Bandini non può fabbricarsi con le sue mani lo progetta servendosi talvolta di mezzi di fortuna. Traccia a gesso lo schema dei telai sul pavimento, sagoma a mano le carrozzerie, intaglia i modelli delle parti motoristiche servendosi di semplici blocchi di legno e sfrutta la vicina fabbrica aeronautica Caproni di Predappio

un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della vittoria di samotracia. filippo tommaso marinetti

come “succursale” della sua officina. Dimostra in questo certamente una caparbietà tutta romagnola, d’altronde il legame di Ilario con la propria terra viene ben testimoniato anche dal suo marchio, che abbina due dei più veraci simboli della Romagna: il galletto rampante e la caveja (vedi ee n. 15). La via maestra è tracciata. negli anni seguenti Bandini continua ad alleggerire, potenziare ed affusolare le sue creature, coprendo tutte le classi di cilindrata dalla 750 alla 2000 centimetri cubi. Spesso è lo stesso Ilario a pilotarle (chiudendo così il cerchio delle possibilità di interazione tra uomo e automobile), che ottiene vittorie e ottimi piazzamenti in alcune tappe delle mille miglia, alla Predappio-Rocca delle Caminate, alla Trento-Bondone, alla Coppa S. Ambreus di monza e su molti altri tracciati. Le Bandini sfoggiano soprannomi evocativi come Siluro o Saponetta, quest’ultimo modello spopolerà sia come granturismo sia come macchina da gara in America dal momento della sua partecipazione, nel 1961, al seguitissimo campionato nazionale SCCA (Sports Car Club of America).

Storia


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non sono solo le auto a far breccia nel cuore degli americani, ma anche il loro deus ex machina, che negli States inizia ad intervenire ufficialmente in programmi televisivi, inaugurazioni ed eventi pubblici. Ilario riceve pure le chiavi d’oro della città di Daytona (che ospita il celebre omonimo circuito) e gli viene addirittura intitolata una strada. Raggiunto l’apice nei primi anni Sessanta, inizia però un lento declino che allontana il “galletto con la caveja” dal podio, portandolo dalle gare minori fino all’uscita definitiva dal panorama delle corse. L’eccitante parabola della Casa automobilistica forlivese termina definitivamente nel 1992, quando il nominato ingegnere honoris causa Ilario Bandini passa a miglior vita. Fortunatamente le sue doti di caparbietà sono state ereditate dal nipote Dino, fondatore del Registro Storico Bandini (che ha censito i 46 esemplari attualmente esistenti al mondo dei 75 costruiti), vero punto di riferimento per tutti gli appassionati del marchio. Coadiuvato dal pronipote di Ilario, michele orsi Bandini, egli ha iniziato, alla fine degli anni novanta, una certosina I

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di

ricerca delle auto “di famiglia” sparse per il mondo (Stati uniti, Giappone, Russia, Germania, Inghilterra, olanda…) che gli ha permesso di riportare a casa, in Italia, sia la Saponetta, nel 1998, sia la Siluro nel 2005. Due bolidi carichi di gloria che oggi fanno bella mostra di sé all’interno della collezione del Registro, tra una decina di altre vetture Bandini tutte raccolte nei locali ove Ilario sviluppò le sue ultime realizzazioni. oltre alle loro linee mozzafiato, qui è possibile contemplare (sempre previo appuntamento) fotografie storiche, trofei, articoli di giornale e altri reperti che testimoniano l’incredibile avventura autarchica del costruttore e pilota forlivese, la cui epopea viene celebrata anche da una monografia, fortemente voluta nonché curata da Dino, e dalla manifestazione itinerante “Bandini day”. Questa piccola “mecca” per gli appassionati, richiama visitatori non solo da tutta Italia ed europa, ma pure dal Giappone e soprattutto dagli Stati uniti. In accordo con la massima nemo profeta in patria si direbbe infatti che il “galletto rampante” canti più forte proprio nei cuori dei suoi ammiratori d’oltreoceano. Romagna


The workshop where Ilario assembled his creations was located in the heart of the old town of Forlì, just a stone’s throw from the cathedral. Rather than forcing him to outsource his operations, success actually reinforced Bandini’s independent spirit. What he couldn’t build because he lacked the necessary machinery, Bandini designed himself, often using whatever materials came to hand. He designed his chassis with chalk drawings on the floor of his workshop, hammered the bodywork into shape by hand, cut prototypes of motor parts using simple wooden dies, and used the nearby Caproni aeronautics factory in Predappio as a “branch office” of his own workshop. In all this Bandini demonstrated a typically-Romagnol obstinacy. And his bond of affection with his region of birth was clearly attested in the sign emblazoned on his racing cars, which combined two of the most authentic symbols of Romagna: the rampant cockerel and the caveja (see ee issue no. 15). The high road to success now lay open. In subsequent years Bandini continued to make his creatures lighter, more powerful and more streamlined, with models ranging in power from 750 to 2000 cubic centimetres. Himself a racing driver, Ilario Bandini often drove the cars he built, gaining victories and respectable placings in several stages of the Mille Miglia, the Predappio–Rocca delle Caminate, the Trento-Bondone, the Sant’ Ambreus circuit in Monza and many other circuits. Bandini racing cars had evocative nicknames like Siluro (torpedo) or Saponetta (soap bar), the latter becoming as popular in the US as a grand tourer as it was as a racing car after its 1961 participation in the SCCA (Sports Car Club of America) championship. It wasn’t just the cars that were winning a place in American hearts: so was their creator. Ilario Bandini began to make guest appearances on TV, at inaugurations and public events. He received the golden key of the city of Daytona (home of the famous race circuit) and even had a street named after him. Baldini cars reached their peak in the early 1960s.

There followed a slow decline, with the cockerel-and-caveja symbol appearing more and more infrequently on the winner’s podium. After a spell in minor races, Bandini withdrew his cars from the racing world. The impressive career of the distinguished Forlì racing car firm came to a definitive end in 1992, when Ilario Bandini, by now an honoris causa in mechanical engineering, passed on to a better life. Fortunately, Ilario’s obstinate nature has been inherited by his grandson Dino, founder of the Registro Storico Bandini, the museum dedicated to Bandini automobiles. With records on 46 of the 75 Bandini racing cars ever built, the museum is a shrine for enthusiasts of Bandini cars. Helped by Ilario’s great-grandson, Michele Orsi Bandini, in the early 1990s Dino embarked on a painstaking survey of extant Bandini automobiles all over the world (United States, Japan, Russia, Germany, the UK, Netherlands etc.), bringing home a Saponetta in 1998 and a Siluro in 2005. These two illustrious racing cars now grace the museum’s collection among another ten Bandini models, in the very place where Ilario developed his later cars. Together with the cars, the museum (open by appointment only) has photographic records, trophies, newspaper cuttings and other artefacts which trace the incredible adventure of a Forlì-born racing car driver and builder whose legacy is celebrated in a monograph dedicated to him by his grandson Dino and a touring event called Bandini Day. This minor Mecca for motor-racing enthusiasts attracts visitors from all over Italy and Europe, and even from Japan and – above all – the USA. No one is a prophet in his own land, as the saying goes. For it seems the rampant cockerel crows loudest in the hearts of Baldini’s transatlantic admirers.

Storia

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franco de pisis

immagini: archivio cral ospedalieri “a. banzola”

Il “niballo, Palio di Faenza” RIe voCA zIone SToRICA In “ SA LSA SeneSe” Il saldo legame di Faenza alle proprie tradizioni, non solo in ambito ceramico, è ben testimoniato anche dal Palio del Niballo. [14

Come Siena è spartita in Contrade, Faenza è infatti divisa in Rioni, cinque in questo caso (Rione Bianco, Rione Giallo, Rione nero, Rione Rosso, Rione verde), i cui campioni si contendono ogni anno il Palio, anche se in questo caso non si tratta di una semplice corsa. Deriva quasi certamente dai Franchi l’usanza secondo cui i cavalieri si sfidavano con i colori della dama del cuore nella giostra detta “alla barriera”, cercando di colpire in determinati punti dello scudo o della corazza l’avversario allo scopo di disarcionarlo. Per far ciò, veniva quasi sempre utilizzata la bigorda o bagorda, un’arma “cortese”, in quanto non permette l’eliminazione fisica dell’avversario, tanto che spesso la sfida finiva davanti ad un banchetto. La prima giostra di cui si hanno notizie nel Faentino è la quintana voluta nel gennaio 1164 dall’imperatore Federico Barbarossa per verificare la maestria dei faentini in battaglia. L’avvenimento restò a lungo nella tradizione popolare e dopo la “Quintana del Barbarossa”, progenitrice del Palio attuale, dal XIII secolo è documentato che a Faenza si sono corse tradizionalmente quattro giostre: la Quintana del niballo (l’ultima settimana di Carnevale), il Palio di San Pietro (29 giugno), il Palio di San nevolone (27 luglio) e il Palio dell’Assunta (16 agosto). Il moderno niballo, che si disputa dal 1959, si tiene la quarta domenica di giugno. Tra lo sventolio delle I

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bandiere multicolori, magistralmente agitate da abilissimi alfieri, sfilano i cavalieri ai quali è affidato l’onore della dama di ciascun Rione. Il Podestà della giostra chiama in campo i cinque contendenti, vestiti con costumi ispirati al primo Rinascimento sui loro cavalli sellati. La gara consiste nel colpire con la punta della lancia un bersaglio posto all’estremità dei due bracci del niballo (simulacro rappresentante un moro o saracino). Diviso in 20 tornate, il Palio inizia con le sfide agli altri quattro Rioni dell’ultimo classificato dell’anno precedente, si prosegue con le sfide agli altri quattro Rioni del penultimo e così via. La tornata consiste nel percorrere al galoppo la pista che va dallo stallo di partenza al niballo. Il primo sfidante che colpisce il proprio bersaglio fa scattare il congegno che innalza il braccio teso dalla sua parte, mentre l’avversario che giunge in ritardo, anche se colpisce il proprio bersaglio, non riesce ad alzarne il “suo” braccio. Ad ogni tornata il cavaliere vittorioso prende uno scudo col colore del Rione avversario: vince chi totalizza più scudi. oltre al Palio, la cui creazione viene affidata ogni anno a un pittore di chiara fama, al vincitore viene consegnata anche la Torre d’oro, mentre al Rione ultimo classificato va la “chiave”, con la quale chiuderà virtualmente le porte dello stadio. Se infatti questa tenzone non provoca ferite fisiche, lo stesso non si può dire per l’onore dei Rioni. di

Romagna


The nIBALLo: FAenzA’S veRY own PALIo A re-enactment of history in the spirit of Siena Faenza is a town with a strong bond to tradition, and not just where its ceramics are concerned. Another example is the Niballo, an equestrian event in the spirit of Siena’s Palio.

accorrete alla tenzone ch’ogn’anno si corre nel dì di santo pietro. […] dame e cavalieri, armigieri e balestri muoveranno, alte portando le insegne dei rioni, per disputar sul campo della giostra l’ambìto palio. chiamata tradizionale del banditore ai rioni.

Just as Siena is divided into urban districts named contrade, Faenza is divided into rioni: five in this case, each with its own colour (white, yellow, black, red, green), which every year dispute the Niballo. But unlike the Palio of Siena, the Niballo is more than a mere horse race. Jousting, a contest in which knights wearing the colours of their ladies trained their weapons on certain points of their adversary’s shield or breastplate in an attempt to unsaddle him, almost certainly derives from the Franks. To do so, they invariably used a lance called a bigorda or bagorda, a “courtly” weapon in the sense that it posed no physical threat to their adversary, who would therefore survive to join them in the post-tournament banquet. The earliest-recorded jousting tournament to take place in Faenza was the tournament held in 1164 by the Holy Roman Emperor, Frederick I Barbarossa, to evaluate the battle prowess of his Faentine subjects. The event was perpetuated in popular tradition as a precursor to the modern event. By the 13th century, four tournaments were held annually in Faenza: the tournament of the Niballo (last week of Lent), the Palio di San Pietro (29 June), the Palio di San Nevolone (27 July) and the Palio dell’Assunta (16 August). The modern Niballo has been contested since 1959, and is always held on the fourth Sunday in June.

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The event opens with the knights of each rione parading between the multi-coloured banners artfully wielded by capable standard bearers. The event’s presiding official or podestà then calls the five contestants, dressed in costumes styled on the early Renaissance, to take to the field on their (saddled) mounts. Their challenge: to hit the targets held in the outstretched arms of the Niballo, an effigy of a Moor or Saracen. Divided into 20 face-offs, the contest opens with the previous year’s lowest-scoring rione challenging the other colours in turn, followed by the second-lowest rione, and so on. The competing riders start from traps and gallop round the field to the finishing line where the Niballo stands. The first rider to hit the target triggers a mechanism that raises the effigy’s arm on the winner’s side. The other arm, on the loser’s side, does not rise even if its target is hit. After each face-off, the winning rider gains a token or scudo in the colour of his losing adversary: the rione that wins most tokens wins the tournament. Besides the palio, the winner’s banner which is every year designed by a renowned artist, the winning rider is awarded a trophy called the Torre d’Oro, while the rione which wins the fewest scudi is given they “key” – as last men out they have the job of symbolically closing the gates of the stadium. While no one is physically injured in the tournament, the same cannot be said of the pride of the competing rioni. Storia


Il Paganello

bernardo moitessieri immagini: greta farneti, giorgio salvatori

LA PRImAveRA RomAGnoLA DeL FRISBee

Pasqua, Rimini, spiaggia. Queste coordinate spazio-temporali vi porteranno ad assistere alla più incredibile concentrazione di dischi volanti annualmente registrata in Romagna.

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non stiamo però parlando di ufo, ma di quei leggeri oggetti di forma rotonda con i bordi sollevati universalmente conosciuti come frisbee (dal nome con cui vennero brevettati nel 1957 dalla ditta californiana di giocattoli wham-o) utilizzati negli sport all’aria aperta che vengono lanciati dai giocatori imprimendogli nell’aria un particolare effetto. È infatti dal 1991 che sul mezzo chilometro di spiaggia compreso tra piazzale Kennedy e piazzale Tripoli, in corrispondenza del bagno numero 34, nel week-end lungo di Pasqua si danno convegno da tutto il mondo campioni e appassionati di questo spettacolare sport, che alla competitività esasperata antepone il puro divertimento. Con tale spirito la manifestazione è nata per I

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iniziativa di alcuni amici che desideravano semplicemente passare un week-end in compagnia. oggi, fedeli a questa ispirazione, oltre 1500 frisbisti arrivano da Stati uniti, Russia, Canada, oltre che da tutta europa, per prendere parte a quello che è diventato uno dei contest (competizioni) più prestigiosi dedicati al flying disk nel panorama mondiale. Due le discipline contemplate: il Beach ultimate, lo sport a squadre giocato con il frisbee (versione da spiaggia dell’ultimate) e il Freestyle. nel Beach ultimate si affrontano cinque giocatori in un campo lungo 75 metri e largo 25 delimitato alle estremità da due zone di meta. Potrebbe ricordare il rugby per il fatto che si segna un punto quando uno dei giocatori riceve il frisbee in meta. di

Romagna


The PAGAneLLo Romagna’s spring frisbee festival he la poesia sia comincia ta c ice c d i on s lo spo rt .

an dr é

Easter, Rimini, beach. Three spatio-temporal coordinates that converge in a remarkable annual event dedicated to a very special flying disk. sc al a

Not the UFO but the frisbee, the name with which Californian toy company Wham-O patented its new invention back 1957. Rimini has been holding its annual frisbee festival since 1991. Every long Easter weekend, frisbee champions and enthusiasts from all over the world descend on Rimini’s beach 34 – the stretch of sands running between piazzale Kennedy and piazzale Tripoli – to take part in a five-day extravaganza that combines competition with pure fun. The festival began as the initiative of a group of friends who hit upon an original way of spending a weekend together, and it remains faithful to its fun-oriented origins today. This year, over 1,500 enthusiasts from all over Europe, the USA, Canada and Russia will be taking part in what has become one of the world’s biggest frisbee contests. Two separate competitions take place in the festival: the Beach Ultimate, a team contest (i.e. the beach version of ultimate), and the Freestyle. In the Beach Ultimate, two teams of five players compete on a pitch 75 metres long and 25 wide, delimited at either extremity by an end zone. It’s a configuration reminiscent of a rugby pitch, and as in rugby the players score points by making a “touchdown” – i.e. catching the disk – in their opponents’ end zone. Unlike rugby, players are not allowed to run with the disk in their hand; and as soon as they’re in possession, they have ten seconds to pass the frisbee. Another significant difference is that no physical contact is allowed. Another distinctive feature of the Beach Ultimate, and one which speaks volumes of the spirit of this type of contest, is that there’s no referee. The players observe the rules as they play, in a spirit of sporting integrity that’s worthy of de Coubertin. An attitude that’s increasingly rare in modern competitive sports. The second competition, Acrobatic Freestyle, is a uniquely exciting combination of competition and spectacle, contested by singles or pairs. Freestyle frisbee is not unlike artistic gymnastics: the participants choreograph their routines to a music soundtrack. Putting plenty of spin on their frisbees, they can balance the disk on their fingertips and perform all sorts of tricks involving bodily agility, nudge it with hands or feet, roll it down their arms and back: the effect is a rhythmic dance that’s full of movement, leaps and somersaults that require perfect motor coordination. Imagination, agility, athleticism and artistic verve combine to create a spectacle that’s original, acrobatic and visually exuberant. Freestyle is by definition a flexible discipline, and it can be practised alone or in groups, indoors our outdoors. At the Paganello, the Freestyle jury is made up of other contestants, who score performances according to execution, difficulty and artistic impression. Most teams in the Open, Mixed and Women’s Pairs have two members, while teams in the Coop category have three players. Although frisbee is not a particularly well-known sport in Italy, the Paganello is a member of the official world competitive circuit, which includes European and World trophies. There’s also a world ranking of players competing on the circuit. Entry to the Paganello is absolutely free, and its organizers are strongly committed to making the competition an event with zero environmental impact. In 2008 they launched GreenPaganello, a pilot project designed to make the tournament more sustainable on the social as well as environmental levels, via a model which can be reproduced in other situations. All the electricity necessary for the event is generated from renewable sources, and disposable plastic recipients (bottles, tumblers, plates, sporks) have been prohibited and replaced by Mater Bi, a totally organic biodegradable bioplastic. Passioni

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In questa disciplina però non si può correre con il disco in mano; da quando lo si riceve si hanno dieci secondi per lanciarlo. Altra differenza, non da poco, è che sono quasi assenti i contatti fisici. un’ulteriore particolarità del Beach ultimate, che la dice lunga sullo spirito di queste competizioni, è che non esiste l’arbitro, a nessun livello. I giocatori si auto-arbitrano in campo secondo un reale spirito di lealtà e rispetto delle regole, mettendo in pratica un ideale decoubertiniano sempre più disconosciuto nel panorama sportivo agonistico contemporaneo. Il rapporto tra competitività e spettacolo si sposta ancor più a favore del secondo nel caso del Freestyle, che si pratica da soli o a coppie in modo non così dissimile dalla ginnastica artistica: ogni partecipante esegue infatti un esercizio sulla base di una coreografia e di un sottofondo musicale. Al frisbee viene impressa una forte rotazione, grazie alla quale è possibile tenere il disco in equilibrio sull’unghia dell’indice, per poi coinvolgerlo in trick (numeri di abilità) attorno al corpo, colpirlo con mani e piedi o farlo rotolare lungo le braccia e la schiena, per creare una danza a tempo di musica, ricca di movimenti, salti e capriole che richiedono una perfetta coordinazione motoria. La fantasia, l’abilità, il gesto atletico e l’estro artistico si fondono così per comporre uno spettacolo originale, acrobatico e di grande impatto scenico. La duttilità di questo sport fa sì che lo si possa praticare da soli o in gruppo, indoor o all’aperto. La giuria è formata da altri giocatori e valuta secondo i parametri di esecuzione, difficoltà ed impressione artistica. I team sono solitamente formati da due atleti, per le categorie open, mixed e women Pairs, o da tre atleti per la categoria Co-op. Benché in Italia non sia uno sport conosciutissimo, esiste in tutto il mondo un sistema ufficiale di tornei (di cui fa parte la manifestazione riminese), che include europei e mondiali, nonché una classifica internazionale che riporta il ranking (piazzamento) dei giocatori che vi partecipano. L’ingresso al Paganello è rigorosamente gratuito e non sorprende, date le premesse, che gli organizzatori si impegnino fortemente per fare di questo torneo un evento a zero impatto ambientale. Dal 2008 è stato addirittura varato il progetto pilota GreenPaganello, con l’obiettivo di rendere il Torneo sempre più sostenibile sia a livello ambientale sia a livello sociale e creare un modello riproducibile per altre situazioni. Tutta l’energia necessaria al funzionamento delle strutture proviene da fonti rinnovabili, gli oggetti di plastica usa e getta (bottiglie, bicchieri, piatti, posate) sono stati banditi e sostituiti con quelli realizzati in mater Bi, una bioplastica biodegradabile interamente organica. Grazie a speciali fontanelle, anche la fornitura d’acqua potabile ai partecipanti avviene minimizzandone lo spreco ed eliminando i rifiuti di imballaggio.

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La diffusa coscienza ambientale dimostrata dal folto pubblico del Paganello permette infine di svolgere una capillare raccolta differenziata dei rifiuti. ma non si può pensare di raccontare il “Paga” (così è stato ribattezzato il Torneo dai suoi aficionados) senza parlare delle feste che lo completano. La regola del Paganello è infatti: “giocare a frisbee con pioggia o sole da mattina fino a sera e ballare dalla sera alla mattina”. Seguirla alla lettera non è difficile grazie alla fitta programmazione di concerti, DJ set, danze etniche e performance, immancabilmente aperta dal party inaugurale eloquentemente intitolato Paga Circus. Per decidere quale band si esibirà sul suo palco, viene anche annualmente organizzato un contest musicale aperto ai gruppi emergenti riminesi: il Paga Idol. A condire il tutto, momenti enogastronomici a base di piadina, sangiovese e sardoncini fritti, laboratori per bambini e installazioni artistiche. Insomma, più che un torneo, il Paganello, con i suoi cinque giorni di sport e divertimento, rappresenta un vero e proprio eldorado mondiale dei frisbisti, ma anche la preziosa possibilità di prendere parte a un’occasione di vero cosmopolitismo.

Special drinking water fountains for participants reduce waste to a minimum, while eliminating the need for packaging. And the general spirit of environmental awareness among the many spectators at the Paganello means all waste is sorted and recycled. But no account of the “Paga” (as it’s known to its many aficionados) is complete without a mention of the nightlife which accompanies the event. If the Paganello has one rule, it’s this: “frisbee from morning till night, rain or shine; and dancing from night till morning”. It isn’t difficult to observe this rule to the letter, with a busy programme of concerts, DJ sets, ethnic dancing and performances, and the opening party, which is eloquently named Paga Circus. To decide which bands will appear, every year a talent contest is held for upand-coming bands from Rimini and around: Paga Idol. And to keep the partying well fuelled there’s plenty of piadina, Sangiovese wine and fried sardines, as well as activity workshops for kids and art installations. More than just a competition, therefore, the five days of the Paganello are packed with fun and sports. A Mecca for frisbee fans, and a truly cosmopolitan event.

di

Romagna


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Ricordando valter P I C C o Lo “ R e Q u I e m ” L A I C o P e R u n R o m A G n o Lo P u R o

Nelle prime ore del 17 novembre scorso si fermava improvvisamente il cuore di Valter Dal Pane. Era un cuore “famoso”, conosciuto da molti in Romagna per la sua speciale “capienza emotiva”. Scrigno di molte anime, conferiva a valter un esclusivo talento sia nel valorizzare le tradizioni della sua terra sia nel leggere la contemporaneità globale e sintonizzarsi con il futuro. Il suo percorso di “figura pubblica” era iniziato negli anni ottanta, come gestore e animatore di locali notturni nella provincia di Ravenna, impegno portato avanti con un’attitudine fieramente innovativa e anticonformista. Questa esperienza lo aveva spinto ben presto a nutrire la propria vocazione per l’organizzazione di eventi e manifestazioni, grazie alla sua innata capacità di raccogliere l’energia collettiva ed incanalarla in iniziative concrete. Tra le più recenti, oltre al suo notevole contributo alla creazione di enologica (Salone del vino e del prodotto tipico dell’emilia-Romagna), numerosi progetti legati all’identità territoriale, come Cinemadivino (proiezioni cinematografiche allestite nelle Cantine vinicole), Io bevo Romagnolo (circuito di promozione dell’enologia romagnola) e altri ancora. La sua permanente curiosità, la sua creatività mai atteggiata avevano reso valter a suo modo celebre non solo in Romagna, ma in buona parte d’Italia. una delle sue passioni era quella di supportare i progetti artistici. In questo si rivelava un particolare tipo di mecenate che, invece di finanziare direttamente le idee, sapeva reperire sul territorio locale le risorse umane ed economiche necessarie a portarle in porto.

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alessandro antonelli immagini: archivio gian maria manuzzi, nero/alessandro neretti

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il ricordo è un modo di incontrarsi. kahlil gibran

uno dei suoi “protetti”: l’artista visivo nero (autore anche del logo di Io bevo Romagnolo) ha forse centrato la sua indole, definendolo nel suo intervento ai funerali “il governatore del caos”. un “governatore” che si poteva incontrare, quasi sempre a piedi o in sella alla sua sgangherata bicicletta, nelle anguste vie del centro storico faentino. Da 11 anni, la sua base strategica era l’osteria della Sghisa, che qui gestiva con il suo socio storico e sodale Gian maria manuzzi. non solo un locale innovativo per la sua offerta, ma un crocevia di artisti, musicisti e situazioni. un salotto capace di legare enogastronomia e cultura con una salutare nota di autoironia generale. valter è mancato all’alba di un week-end, aveva 45 anni. Tra le molte serrande “a mezz’asta”, la sua città lo ha stretto nell’abbraccio commosso di centinaia e centinaia di persone, che hanno seguito il suo feretro lungo strade tappezzate di volantini a lui dedicati (iniziativa in pieno stile viral attuata dai suoi tanti amici) fino a una Cattedrale troppo piccola per poterne contenere anche solo la decima parte. un riflesso delle diverse anime che convivevano in valter è balenato anche nella musica della brass band che ha accompagnato la processione funebre; una “colonna sonora” capace di accostare canzoni popolari romagnole a brani dei Beatles.

RememBeRInG vALTeR A secular requiem for an authentic Romagnol Valter Dal Pane’s heart stopped beating in the early hours of 17 November 2012. His was a “famous” heart, known by many in Romagna for its special “emotional capacity”. A man with a great gift of empathy, Valter had a remarkable talent for celebrating the traditions of his native territory, reviving them in their contemporary setting and projecting them into the future. His life as a public figure began in the 1980s as the manager and entrepreneur behind many nightclubs in Ravenna province, a profession he cultivated with a proudly original and non-conformist approach. His experience in the world of nightlife quickly revealed his vocation as an organizer of events and happenings, something he excelled at thanks to his ability to galvanize collective energies and channel them into specific initiatives. Among the most recent of these, not including his remarkable contribution to the creation of the Enologica show dedicated to the food and wine of Emilia-Romagna, were a number of projects examining Romagna’s identity, such as Cinemadivino (a film festival whose screenings were held in vineyards), IO bevo Romagnolo (an initiative designed to promote Romagnol wines) and many more. His abiding love of everything new and his irrepressible creativity made Valter something of a celebrity not only in Romagna but in much of Italy. One of his passions was supporting artistic projects. In this he showed himself to be a special type of patron. Instead of directly funding the projects, he located the human and financial resources necessary for bringing them to fruition. It was one of his protégés, the artist Nero (creator of the logo for IO bevo Romagnolo), who perhaps best summed up the spirit of Valter Dal Pane when he referred to him at his funeral as the “governor of chaos”. A governor who was invariably to be found walking (or riding his rickety bicycle) through the narrow streets of Faenza’s old town. For 11 years, Valter’s operational base was Osteria della Sghisa, the restaurant he ran with his long-standing partner and fellow-entrepreneur Gianmaria Manuzzi. The Sghisa was different: not only for the food it offered, but also because it was a meeting place of artists, musicians and tendencies, with its large hall that was equally suitable for enjoying wine, food and culture in an original setting with unusual, witty decor. Valter died in the early hours of a Saturday morning. He was 45. His death was widely mourned, with many local shops and business remaining closed as a mark of respect. Hundreds of people followed his funeral procession through streets carpeted with leaflets printed in his honour (a viral initiative taken up by his many friends). The town’s cathedral was too small to accommodate even a tenth of the mourners. It was a turnout that bore witness to the many souls that lived together in Valter Dal Pane’s. And the brass band that accompanied his funeral procession played popular Romagnol songs and Beatles tracks.

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Dedicata ad Artusi

alba pirini

immagini: enrico filippi

A F o R L I m P o P o L I , u n A F e S TA P e R I L PA L AT o Una volta all’anno, Forlimpopoli, patria del celeberrimo gastronomo Pellegrino Artusi, si trasforma in una “città da assaggiare”, divenendo il baricentro della cucina nazionale del Belpaese. [22

Se Artusi è l’indiscusso padre della gastronomia italiana (vedi ee n. 1) e Casa Artusi a Forlimpopoli è l’istituzione che ne preserva la memoria (vedi ee n. 20), le nove giornate che la cittadina dedica al suo figlio più illustre rappresentano certamente la più sentita celebrazione in suo onore. una festa “militante”, in difesa e a tutela dei prodotti enogastronomici di qualità e delle preparazioni culinarie tradizionali. Dal 22 al 30 giugno 2013 si terrà la 17a edizione della Festa Artusiana, che vedrà ancora una volta il centro storico di Forlimpopoli diventare un intreccio di percorsi gastronomici, grazie anche alla ridenominazione tematica delle sue strade, vicoli e vie, destinate ad ospitare incontri, degustazioni, concerti, mercatini, riflessioni sul cibo e molto altro ancora. Gli oltre duemila volontari, gli operatori di settore e le migliaia di visitatori che popolano l’evento contribuiscono ad innescare un alto momento di convivialità e coscienza culturale. una delle scommesse degli organizzatori è infatti quella di affiancare il cibo, inteso come piacere del palato, alla riflessione culturale e sociale della tavola: al suo uso consapevole, alla sua sostenibilità ambientale, alla tipicità. In questa direzione vanno gli incontri pubblici con studiosi e docenti universitari, che si aggiungono agli oltre 150 appuntamenti, fra laboratori e degustazioni, che avranno luogo nei 60 ristoranti allestiti

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appositamente per la Festa e ai non pochi già attivi a Forlimpopoli. molti dei protagonisti dell’enogastronomia nazionale e internazionale verranno in questi giorni a rendere omaggio al grande Pellegrino. Per riceverli degnamente, ogni anno la città di Forlimpopoli attribuisce un premio ad un personaggio che, a qualsiasi titolo, si sia distinto per l’originale contributo dato alla riflessione sui rapporti fra uomo e cibo. Altra iniziativa legata alla Festa è il concorso nazionale Premio marietta (dedicato alla celebre governante/“sous chef” del gastronomo), che viene assegnato a cuochi dilettanti animati dalla passione per i fornelli i quali concorrono componendo una ricetta originale (che deve contenere riferimenti alla cucina domestica regionale, alla filosofia e all’opera dell’Artusi) di un primo piatto eseguibile in un tempo massimo di due ore. Per sottolineare l’aspetto conviviale indissolubilmente legato al cibo, la Festa è movimentata da spettacoli, performance di strada, momenti di animazione per i bambini e concerti, in particolare di musica popolare e jazz. Coerentemente con il percorso portato avanti negli ultimi anni, questa edizione della Festa Artusiana cercherà di mettere a fuoco l’ampio tema della cucina italiana nel mondo indagandone la grande varietà e le differenze territoriali che la rendono così unica ed eclettica.

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DeDICATeD To ARTuSI A feast for the palate in Forlimpopoli Once every year, Forlimpopoli, the town of birth of the celebrated gourmet Pellegrino Artusi, transforms itself into a huge showcase of the very best in Italian cuisine. Pellegrino Artusi is the undisputed father of Italian gastronomy (see ee issue no. 1), and Casa Artusi in Forlimpopoli preserves the memory of the great man (see ee issue no. 20). The nine days which this small town dedicates to its most illustrious son are Italy’s most heartfelt celebration in honour of Artusi and his legacy. But it’s also a “militant” celebration, a festival which actively projects and protects quality food, wine and traditional dishes. This year’s Festa Artusiana, the 17th, runs from 22 to 30 June. As in previous years, the festival will take over the historic centre of Forlimpopoli, transforming its streets, lanes and alleys – specially renamed for the occasion, according to a number of themes – into a mesh of intersecting gastronomic trails where visitors can meet, sample produce, and enjoy concerts, markets, debates on food, and much, much more. The two thousand volunteers, food and wine sector professionals, and the thousands of visitors that attend the festival help make it a major social and cultural event. For one of the objectives of the organizers is to use food, in its acceptance as a pleasure for the palate, as a pretext for wider reflection on the social and cultural importance of food and wine: in terms of responsible eating, environmental sustainability, and authenticity. Many of the public encounters with experts and university professors examine these and related issues. They’re accompanied by over 150 workshops and tasting sessions held in the 60 restaurants specially opened for the festival – alongside the numerous restaurants to be found in Forlimpopoli all year round. Food and wine specialists from all over Italy and further afield will be descending on the town to pay tribute to the great gourmet. Every year as part of the festival, Forlimpopoli awards a prize to the food and/or wine specialist who has made the most original contribution to the debate on the relationship between humanity and the food it consumes. Another initiative connected with the festival is the Marietta Prize (named after Artusi’s housekeeper/sous chef) for amateur cooks. Contestants have to devise an original recipe (a first course) which combines references to regional domestic cuisine and the work and philosophy of Artusi. Their dishes have to be ready in two hours. To underline the aspect of conviviality that’s so intimately linked with food, the festival also features all kinds of shows, street performances, events for children and concerts – especially folk and jazz. In a continuation of a recent trend, this year’s Festa Artusiana will be placing the spotlight on Italian cooking around the world, celebrating the variety and territorial variations that make Italian food so eclectic and unique.

il mondo ipocrita non vuol dare importanza al mangiare; ma poi non si fa festa, civile o religiosa, che non si distenda la tovaglia e non si cerchi di pappare del meglio. pellegrino artusi

Enogastronomia

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Passione in

fermento IL BIRRIFICIo vALSenIo

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carlo zauli

immagini: archivio birrificio valsenio

Un piccolo edificio incastonato in un fianco dell’alta valle del Senio, vicino a dove sgorga la fonte del Poggio Nero, ospita un “avamposto” romagnolo della birra artigianale. Qui a Baffadi (frazione di Casola valsenio, in provincia di Ravenna) l’aroma dolce del mosto in fermentazione si sposa con i profumi di una natura intatta. A seconda della stagione, con l’odore del fieno appena tagliato, del bosco che butta i funghi o magari dell’aria da neve. Questo è il regno incontrastato di Davide Finoia, mastro birraio che ha scelto di allestire un impianto di piccole dimensioni per poter seguire personalmente con la massima cura ogni fase della produzione ed accertarsi che oltre all’acqua, al luppolo, al lievito e al malto non manchi mai l’altro ingrediente capace di legarli tutti e trasformarli in una birra sorprendente: la sua passione. Finoia si è avvicinato all’universo della birra artigianale partendo dal gradino più basso, appassionandosi a un kit per homebrewing. era il 1991, da allora Davide ha frequentato una serie di corsi tecnici decidendo quindi di fare il grande passo e il 12 maggio 2009 il Birrificio valsenio ha cotto la sua prima birra. I

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una birra prodotta secondo i principi più “talebani” della produzione artigianale: ingredienti di prim’ordine esclusivamente naturali, lavorazione tradizionale, nessuna pastorizzazione, nessuna filtrazione, nessuna rifermentazione in bottiglia e rispetto dei tempi di maturazione. Solo in questo modo, secondo Finoia, il profilo aromatico ed organolettico della birra si può conservare integro, la sua sfida è quella di ottenere tipologie di gusti differenti e molto caratterizzati partendo sempre dai quattro ingredienti base. Il Birrificio produce attualmente due tipi di birra disponibili tutto l’anno (la birra chiara vals e l’ambrata I.R.A.) ed altri che vengono commercializzati solo in una determinata stagione (la Caveja in estate, la 8BRe in autunno e la Poggio nero in inverno). Dal 2011 il Birrificio ha ricevuto la certificazione Bio e sta per essere “varata” la prima birra biologica in conversione dei suoi prodotti. Romagna


A small building set into the hillside in the upper Senio valley, near the spring of Poggio Nero, is home to this Romagnol outpost of artisan beer. Here, in Baffadi (a village near Casola Valsenio, in the province of Ravenna), the sweet smell of fermenting mash mingles with the fragrances of unspoiled nature. Depending on the season, that’s freshly cut hay, wild forest mushrooms or snow-freshened air. This is the undisputed realm of Davide Finoia, a master brewer whose decision to open a small brewery was determined by his wish to personally supervise every phase in the production process, ensuring that the vital ingredient that binds water, hops, yeast and malt together and transforms an ordinary beer into an exceptional one is always present: his passion for his craft. Finoia began his adventure in the world of artisan beer at the very lowest level: with a home brewing kit. That was back in 1991; he then attended a series of brewing classes before finally deciding to take the plunge. On 12 May 2009, Birrificio Valsenio produced its first beer. It was made to the most rudimentary principles of artisan beer: exclusively natural ingredients, traditional brewing processes, no pasteurization or filtration, no bottle fermentation, and plenty time for the beer to mature. Only in this way, believes Finoia, can the aromatic and organoleptic profile of the beer be preserved intact. The challenge is to obtain beers with different flavours and distinct characters from the same basic ingredients. At present, Valsenio makes two beers which are available all year round (Vals, a blond beer, and I.R.A., an amber), and others sold only in certain seasons (Caveja in summer, 8BRE in autumn and Poggio Nero in winter). In 2011, the Valsenio brewery obtained Bio certification and is now preparing to launch its first organic beer.

Vals _ Birra chiara a bassa fermentazione/bottom-fermented light lager Questa birra, che richiama le Hell bavaresi, esibisce un bel colore giallo oro e rivela un gusto di malto tendente al miele abbinato ad una pronunciata ma rotonda amarezza con sentori erbacei da luppolo boemo. Si abbina felicemente ai primi piatti di verdure e ai formaggi non eccessivamente strutturati. Temperatura di servizio: 7 °C. Reminiscent of the pale lagers of Bavaria, Vals has an attractive golden yellow colour and a malty flavour tending to honey, combined with a pronounced yet well-rounded bitterness with notes of Bohemian hop. Goes well with vegetables and milder cheeses. Serving temperature: 7 ºC.

I.R.A. _ Birra ambrata ad alta fermentazione/Top-fermented amber beer Ispirata alle Irish Red Ale, la I.R.A. (nome ben poco politically correct) colpisce l’occhio con il suo color giallo carico e possiede un gusto dolce di malto caramello con toni fruttati, ben bilanciato da un ampio amaro con sentori floreali da luppoli aromatici inglesi. Al suo “carattere” così marcatamente irlandese si accostano i sapori decisi come quelli dei risotti aromatici, delle carni rosse e degli arrosti saporiti. Temperatura di servizio: 10-12 °C. Styled on Irish Red Ale, I.R.A. is a beer with a politically incorrect name and an eye-catching vivid yellow colour. Its flavour is a sweet blend of malt and caramel with fruity notes, offset by a broad spread of bitter with a floral scent of aromatic English hops. Its distinctively Irish character makes it well suited to food with assertive flavours like risotto, red meats and roasts. Serving temperature: 10-12 °C.

Caveja _ Birra di frumento ad alta fermentazione/Top-fermented wheat beer Disponibile da maggio ad ottobre, questa birra in stile Weiß, come si intuisce subito dal suo colore giallo tendente all’arancio, risulta notevolmente frizzante al palato. Il suo gusto leggero, lievemente acidulo e persistente si apre con un pronunciato aroma di banana, prosegue con un sentore di chiodi di garofano e termina con un finale di mela, tipico delle birre ad alta fermentazione. Ottima per accompagnare antipasti leggeri, si sposa bene anche con il pesce fritto e con i primi piatti delicati. Temperatura di servizio: 7-8 °C. Available from May to October, this Weiss-style beer is yellow shading into orange in colour and is distinctively fizzy on the palate. Its light, slightly acidic, persistent flavour unfolds with a pronounced banana aroma, followed by clove and the apply finish typical of top-fermented beers. The perfect accompaniment to a light starter. Also goes well with fried fish and delicately-flavoured first courses. Serving temperature: 7-8 ºC.

Enogastronomia

birra e buoi dei paesi tuoi. davide finoia, mastro birraio del birrificio valsenio

PASSIon BRe wInG The beers of Birrif icio valsenio

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BEYOND SURFACE

AU DELA DE LA SURFACE



In arte nero

LA

ReCheRChe

DI

ALeSSAnDRo

Una serie di avvenimenti che comprendono sia vicende di livello personale (di tipo verbale e di tipo visivo) sia eventi di portata globale possono essere esaminati e presi come spunto per la descrizione del sistema socioeconomico e del “vivere contemporaneo�.

tommaso attendelli

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neReTTI

immagini: roberto cornacchia, marco piffari

I

Sensi

di

Romagna


la provocazione di un immaginario collettivo è sempre impresa inumana, non solo perché il sogno essenzializza la vita come destino, ma anche perché il sogno è povero ed è la cauzione di un’assenza. roland barthes

Questo enunciato racchiude la teoria del post-reale formulata dall’artista faentino neretti, ovvero nero per usare lo pseudonimo che si è scelto, nel 2008 e da allora presente nelle forme più disparate all’interno delle sue opere. opere (esposte in occasione di varie personali e collettive in tutta Italia) sviluppate mediante tecniche, medium e ambientazioni diverse, ma osservando le quali si avverte distintamente la medesima nota di fondo. Classe 1980, nero si autodefinisce infatti un critico osservatore della condizione contemporanea che conduce una personale indagine espressiva tesa a esplorare con occhio disincantato e impudente dinamiche e processi sociopolitici ed economici, concentrando particolare attenzione sulla sfera della realizzazione individuale e collettiva, del desiderio, del corpo, del simbolo. Fatto non scontato, alla base della sua indagine si trova un approccio artistico estremamente organizzato, composto, oltre che dal “filtro” post-reale, dall’interazione tra concetti, contesto socioeconomico, iconografia religiosa e pagana, comunicazione, lavoro strategico, input esterni ed altri elementi ancora, che convergono in maniera corale verso l’atto finale della creazione artistica. Che si tratti di composizioni fittili o di assemblaggi di objet trouvé, con i suoi interventi di carattere installativo, l’Artista mira a smascherare la corruzione operata ai danni dell’immaginario collettivo da parte della “comunicazione di massa”. È il caso, ad esempio, della serie di opere People watching, in cui le pagine di quotidiani cartacei, grazie a un doppio foro, paiono mascheramenti usati da un malintenzionato per sorvegliare il suo obiettivo. In altri esempi, figure zoomorfe su “base” canina, come “organismi ceramicamente modificati” esibiscono incoerenze mostruose e interagiscono con parti anatomiche quali cuori, ossa e mandibole. Frequenti sono anche i suoi lavori site-specific, ossia interventi funzionali alla cornice in cui sono inseriti. Anche in questo caso troviamo luoghi simbolo del panorama socioeconomico come una chiesa ( end ), una banca ( Post real life or hostage/privilege) o Galleria vittorio emanuele a milano ( Ancora un tassello del puzzle). nell’ultima produzione di nero si nota però un ricorso sempre più frequente al disegno, che sembra portare la provocazione concettuale dell’artista a un più alto livello di “scontro” con il fruitore. meno ironia trasognata e più aperta critica ai meccanismi di condizionamento della nostra società, sempre seguendo la personalissima teoria dell’Artista secondo cui l’economia è la psicologia del mondo

The ARTIST Known AS neRo The experimental art of Alessandro neretti All kinds of events, from the personal (verbal or visual) to the global, provide the stimulus for a critique of our socio-economic system and contemporary ways of life. The above statement encapsulates the theory of the post-real formulated by Alessandro Neretti, the Faenza-born artist who since 2008 has worked under the pseudonym of Nero. Nero has exhibited in many one-man and collective shows all over Italy. His works embrace various techniques, media and settings, but in all of them we can detect the same background note. Born in 1980, Nero defines himself as a critical observer of the contemporary condition, an artist who explores with a detached and irreverent eye the economic and sociopolitical dynamics which shape our lives. His work focuses particularly on topics such as individual and collective fulfilment, desire, the body, and the power of symbols. At the core of his artistic vision is a rigorously articulated approach examining, through the “filter” of the post-real, the interaction between concepts, socio-economic context, pagan and religious symbolism, communication, external inputs and other elements which come together in a great chorus of artistic creation. In his clay models, installations and assemblages of objets trouvés, the artist seeks to unmask the corrupting effects of mass communication on the collective consciousness. One example is his People Watching series, where newspapers with eyeholes cut in them take on a new life as masks through which the ill-intentioned can spy on their victims. In other cases, his “ceramically-modified” dog-figures with incongruent and monstrous deformities interact with anatomical parts such as hearts, bones and jaws. Nero also specializes in site-specific art, where the setting makes an essential contribution to the creation. Here too we find symbols of the contemporary socioeconomic landscape such as churches (End), banks (Postreal life or hostage/privilege) and Milan’s Galleria Vittorio Emanuele (Ancora un tassello del puzzle). In his recent output, Nero has increasingly used drawing as his technique of choice, due perhaps to its power to raise the sense of provocation to a higher level of conflict with the observer. Implied irony gives way to a more overt critique of the mechanisms which condition our society, articulating the highly-personal view of an artist for whom economics is the psychology of the contemporary world. Arte

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encausto contemporaneo italo graziani – testo raccolto da alessandro antonelli immagini: carta bianca editore

ReSuRRezIone D I u n ’A n T I C A T eCn I C A PIT ToRICA PeRDu TA

Venti gocce d’acqua messe assieme fanno una goccia grande; Tonino Guerra ripeteva spesso questa massima che richiama quella secondo cui l’addizione “1+1” non fa due.

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Attraverso questa chiave può essere interpretato anche l’imponente lavoro di ricerca trentennale condotto da egidio miserocchi, architetto, stampatore di tela (vedi ee n. 17) e pittore, incentrato sulla pittura ad encausto od Incausto. Questa tecnica, largamente utilizzata dagli artisti dell’antica Grecia, trarrebbe origine, come provano alcuni reperti, addirittura dalla civiltà egizia. La parola latina da cui mutua il proprio nome: encastrum (abbruciamento) rivela come sia elemento decisivo di questa pratica una fonte di calore, capace di “asciugare” le tinte e conferire all’insieme forte matericità unita ad una scala cromatica di inimitabile brillantezza, trasparenza e vigore. Perduto già durante il medioevo, questo genere pittorico, spesso usato per ottenere composizioni murali o su tavole di legno, continuò ad attirare nei secoli l’interesse degli artisti che tentarono invano di riappropriarsi del suo segreto. Lo stesso Leonardo Da vinci, in epoca rinascimentale, si cimentò in questo esperimento realizzando La battaglia di Anghiari, ma non riuscì a riprodurre la ricetta originaria dei colori e il dipinto, una volta esposto al calore, colò giù anziché fissarsi alla parete. Studiando gli antichi tomi e i reperti archeologici esistenti (pratica connessa al suo ruolo di ispettore onorario della Sopraintendenza Archeologica regionale), miserocchi è riuscito a riappropriarsi dei “segreti operativi” dell’encausto riproducendo il “fissante” usato dagli antichi: la cosiddetta cera punica.

I

Sensi

Una serie di avvenimenti che comprendono sia vicende di livello personale (di tipo verbale e di tipo visivo) sia eventi di portata globale possono essere esaminati e presi come spunto per la descrizione del sistema socioeconomico e del “vivere contemporaneo”.

di

Romagna


ConTemPoRARY enCAuSTIC PAInTInG The revival of an ancient technique Put twenty drops of water together and they make one big drop. A maxim Tonino Guerra was fond of repeating, and which is reminiscent of another, which holds that “1+1” does not equal two. Both are useful keys to the comprehension of the work of Egidio Miserocchi, an architect, fabric printer (see ee issue no. 17) and artist specializing in encaustic painting. Widely used by the artists of ancient Greece, this technique is believed to have originated in Egypt, a theory supported by archaeological finds. As its Latin name, encastrum (“burning”) suggests, one of the essential elements of this technique is a heat source, whose purpose was to “dry” the paint and impart a solid material unity to medium and support, with a resulting chromatic effect of inimitable brilliance, transparency and vigour. The encaustic technique was often used on mural compositions or in panel paintings. By the Middle Ages, the technique had been lost, although it continued to attract the interest of artists who attempted, in vain, to rediscover its secrets. During the Renaissance, no less an artist than Leonardo Da Vinci attempted to use the encaustic technique in his Battle of Anghiari. He was unable to reproduce the original recipe for mixing the colours, which ran when exposed to heat instead of bonding with the wall. Thanks to his research in ancient books and archaeological finds (he holds an honorary position with the regional heritage office for archaeology), Miserocchi succeeded in unlocking the secrets of encaustic painting by reproducing the “fixative” used by the ancients: Punic wax. Assisted by The Ravenna-based art teacher and writer Isotta Roncuzzi, the researcher Vanda Budini and the recently-deceased painter Elena Schiavi, Miserocchi managed to reproduce the the basic compound by reducing beeswax to a water-soluble emulsion and adding exceptionally pure pigments and natural resins. While our ancestors mainly used this painting technique for still lives, a project sponsored by Ravenna Province uses encaustic painting to represent twenty of the finest products of Romagna. Ten belong to the plant world, ten are animals and five are culinary dishes: there are nectarines, Brisighella olive oil, Romagnol cattle, piadina, sardines, and more. And the medium chosen to make all this rich cultural patrimony even more enticing to the eye is not an ultra-modern multimedia spectacular but a technique that’s as old as our civilization: one that truly conveys the sense of continuity that each of these products embodies, with the human touch that painting so effectively communicates to the eye. A fitting recreation of a nature that still resists the encroachments of modern technology and remains an essential element of our lives.

Assistito anche dalla docente d’arte e scrittrice ravennate Isotta Roncuzzi, dalla ricercatrice vanda Budini e dalla pittrice, recentemente scomparsa, elena Schiavi, è riuscito a riprodurre il composto di base trattando la cera d’api allo scopo di ridurla ad emulsione solubile in acqua ed unendola a pigmenti purissimi e a resine naturali. Se i nostri antenati utilizzavano questa tecnica pittorica principalmente per raffigurare nature morte, oggi, grazie a un progetto sostenuto dalla Provincia di Ravenna, è stata impiegata per rappresentare venti eccellenze del territorio romagnolo. Dieci di origine vegetale, cinque di origine animale e cinque piatti (o meglio elaborati di pronto consumo). La pesca nettarina, l’olio di Brisighella, la Razza bovina Romagnola, la piadina, il pesce azzurro… Per rendere più appetibile anche agli occhi questo patrimonio culturale, al posto dei tanti supporti all’avanguardia che si potevano impiegare è stato così scelto un mezzo antico come la nostra civiltà, capace però di valorizzare il grande percorso di coerenza che è a alla base di questi prodotti e di conferire quel sapore “umano” che la pittura sa trasmettere agli occhi. una riproposizione piena e bella di una natura che, benché assediata da una ingorda modernità tecnologica, resta elemento essenziale della vita.

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la tradizione non significa che i vivi sono morti, ma che i morti sono vivi. gilbert keith chesterton Arte


[0 4] TERRITORIO G I u L I o PA n To L I _ l’u o m o ch e co n o s ce i l s e g re to d e l l e ro s e G I u L I o PA n To L I _ t h e m a n w h o k n ow s t h e s e cre t s o f t h e ro s es e m oz I o n e R I CCI o n e _ l a p e r l a ve rd e d e l l’a d r i a t i co R I CCI o n e Fo R T h R I L LS _ t h e “g re e n p e a r l” o f t h e a d r i a t i c

[08] STORIA L A B A L e n A D e L T I TA n o _ i l t i ta n o ce to “p es ca to” n e l l a ro cci a T h e w h A L e o F m o u n T T I TA n o _ t h e s to r y o f t i ta n o ce t us sa m m a r i n e nsis I B o L I D I B A n D I n I _ l a cas a a u to m o b i l is t i ca fo r l i ves e e l a su a e re d i tà B A n D I n I R ACI n G C A R S _ t h e fo r l ì - b as e d a u to m o b i l e m a n u fa c t u re r a n d i t s l e g a cy IL “ nIB A L Lo , PA L Io DI FA en z A” _ r ievocazione s tor ica in “salsa senese” The nIBALLo: FAenzA’S veRY own PALIo _ a re-enactment of history in the spirit of siena

[16] PASSIO NI [32

IL PAGAneLLo _ la primavera romagnola del frisbee T h e PAGA n e L Lo _ ro m a g n a’s s p r i n g f r is b e e fes t i va l R I Co R DA n D o vA LT e R _ p i cco l o “re q u i e m” l a i co p e r u n ro m a g n o l o p u ro R e m e m B e R I n G vA LT e R _ a s e cu l a r re q u i e m fo r a n a u t h e n t i c ro m a g n o l

[22] ENOGASTRONOMIA D e D I C ATA A D A R T u S I _ a fo r l i m p o p o l i, u n a fes ta p e r i l p a l a to D e D I C AT e D To A R T u S I _ a fe a s t fo r t h e p a l a te i n fo r l i m p o p o l i PA S S I o n e I n F e R m e n To _ i l b i r r i f i ci o va ls e n i o PA S S I o n B R e w I n G _ t h e b e e r s o f b i r r i f i ci o va ls e n i o

[28] ARTE I n A R T e n e R o _ l a re ch e rch e d i a l es s a n d ro n e re t t i T h e A R T I ST K n ow n A S n e R o _ t h e ex p e r i m e n ta l a r t o f a l es s a n d ro n e re t t i

e n C Au STo Co n T e m P o R A n eo _ resu r rez i o n e d i u n’a n t i ca te cn i ca p i t to r i ca p e rd u ta Co n T e m P o R A R Y e n C Au ST I C PA I n T I n G _ t h e rev i va l o f a n a n ci e n t te ch n i q u e

I

Sensi

di

Romagna


Periodico edito da Cerindustries SpA 4 8 0 14 C a s t e l B o l o g n e s e ( R A ) I T A LY v i a e m i l i a Po n e n te, 10 0 0 w w w.c e r d o m u s .c o m w w w.c e r d o m u s . n e t Direttore responsabile Raf faella Agostini Direttore editoriale Luca Biancini Progetto Carlo zauli Luca Biancini Grafica e impaginazione Laura zavalloni – Cambiamenti per Divisione immagine Cerdomus Coordinamento editoriale Alessandro Antonelli Redazione To m m a s o A t t e n d e l l i Franco De Pisis A ngelamaria Golfarelli Italo Graziani Paolo martini Bernardo moitessieri Alba Pirini manlio Rastoni Carlo zauli Foto Archivio APT Rimini A rchi v io Bir r i f icio valsenio A rchivio Car ta Bianca editore Archivio Centro naturalistico Sammarinese Archivio Comune di Riccione A rch i v i o CR A L o s p e d a l i e r i “A . B a n zo l a” Archivio Gian maria manuzzi Archivio oltremare Archivio Giulio Pantoli A rchivio Provincia di Forlì- Cesena Archivio Registro Storico Bandini Archivio Tipografia Carta Bianca Roberto Cornacchia Greta Farneti enrico Filippi nero/A lessandro neret ti marco Pif fari Giorgio Salvatori Si ringraziano APT Rimini Centro naturalistico Sammarinese Dino Bandini Davide Finoia Paolo Gianessi Gian maria manuzzi egidio miserocchi michele orsi Bandini Giulio Pantoli Alessandro neretti Prima Pagina Si ringrazia per la preziosa collaborazione maddalena Becca / Divisione immagine Cerdomus Tr a d u z i o n i Tr a d u c o , L u g o Stampa FA e n z A I n d u s t r i e G r a f i c h e © Cerindustries SpA Tu t t i i d i r i t t i r i s e r v a t i A u t o r i z z a z i o n e d e l Tr i b u n a l e d i R a v e n n a nr. 1173 d el 19/12 / 2 0 01 (co n var ia z io n e iscr i t ta in d a ta 11/ 0 5/ 2 010)



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